Nel principio Dio creò i cieli e la terra. La terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso, e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. E Dio disse: “Sia la luce!”, e la luce fu. Dio vide che la luce era buona; e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce “giorno”, e le tenebre “notte”. Così fu sera, poi fu mattina: e fu il primo giorno. Poi Dio disse: “Ci sia una distesa tra le acque, che separi le acque dalle acque”. E Dio fece la distesa e separò le acque che erano sotto la distesa, dalle acque che erano sopra la distesa. E così fu. Dio chiamò la distesa “cielo”. Così fu sera, poi fu mattina: e fu il secondo giorno. Poi Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo, e appaia l’asciutto”. E così fu. Dio chiamò l’asciutto “terra”, e chiamò la raccolta delle acque “mari”. E Dio vide che questo era buono. Poi Dio disse: “Produca la terra dei germogli, delle erbe che facciano seme e degli alberi fruttiferi che portino, sulla terra, del frutto avente in sé la propria semenza, secondo la loro specie. E così fu. E la terra produsse dei germogli, delle erbe che facevano seme secondo la loro specie, e degli alberi che portavano del frutto avente in sé la propria semenza, secondo la loro specie. Dio vide che questo era buono. Così fu sera, poi fu mattina: e fu il terzo giorno. Poi Dio disse: “Ci siano delle luci nella distesa dei cieli per separare il giorno dalla notte; e servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni; e servano da luminari nella distesa dei cieli per dare luce alla terra”. E così fu. E Dio fece i due grandi luminari: il luminare maggiore, per presiedere al giorno, e il luminare minore per presiedere alla notte; e fece pure le stelle. Dio li mise nella distesa dei cieli per dare luce alla terra, per presiedere al giorno e alla notte e separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che questo era buono. Così fu sera, poi fu mattina: e fu il quarto giorno. Poi Dio disse: “Producano le acque animali viventi in abbondanza, e volino degli uccelli sopra la terra per l’ampia distesa del cielo”. E Dio creò i grandi animali acquatici e tutti gli esseri viventi che si muovono, che le acque produssero in abbondanza secondo la loro specie, e ogni volatile secondo la sua specie. E Dio vide che questo era buono. Dio li benedisse, dicendo: “Crescete, moltiplicatevi, e riempite le acque dei mari, e moltiplichino gli uccelli sulla terra”. Così fu sera, poi fu mattina: e fu il quinto giorno. Poi Dio disse: “Produca la terra animali viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici della terra, secondo la loro specie”. E così fu. E Dio fece gli animali selvatici della terra, secondo le loro specie, il bestiame secondo le sue specie, e tutti i rettili della terra, secondo le loro specie. E Dio vide che questo era buono. Poi Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. E Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: “Crescete e moltiplicatevi, riempite la terra e rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra”. Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, e ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento. E a ogni animale della terra e a ogni uccello dei cieli e a tutto ciò che si muove sulla terra ed ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento”. E così fu. Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. Così fu sera, poi fu mattina: e fu il sesto giorno. Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto l’esercito loro. Il settimo giorno, Dio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta. Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati, nel giorno che l’Eterno Iddio fece la terra e i cieli. Non c’era ancora sulla terra alcun arbusto della campagna, e nessuna erba della campagna era ancora spuntata, perché l’Eterno Iddio non aveva fatto piovere sulla terra, e non c’era alcun uomo per coltivare il suolo: ma un vapore saliva dalla terra e bagnava tutta la superficie del suolo. L’Eterno Iddio formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale, e l’uomo divenne un’anima vivente. L’Eterno Iddio piantò un giardino in Eden, in oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato. L’Eterno Iddio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli alla vista e il cui frutto era buono da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino, e l’albero della conoscenza del bene e del male. E un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, e di là si divideva in quattro bracci. Il nome del primo è Pison, ed è quello che circonda tutto il paese di Avila dove c’è l’oro; e l’oro di quel paese è buono; lì si trovano pure il bdellio e l’onice. Il nome del secondo fiume è Ghion, ed è quello che circonda tutto il paese di Cus. Il nome del terzo fiume è Tigri, ed è quello che scorre a oriente dell’Assiria. E il quarto fiume è l’Eufrate. L’Eterno Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. E l’Eterno Iddio diede all’uomo questo comandamento: “Mangia pure liberamente del frutto di ogni albero del giardino; ma del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché, nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai”. Poi l’Eterno Iddio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che gli sia adatto”. L’Eterno Iddio, avendo formato dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli dei cieli, li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati, e perché ogni essere vivente portasse il nome che l’uomo gli avrebbe dato. E l’uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli dei cieli e a ogni animale dei campi; ma per l’uomo non si trovò aiuto che gli fosse adatto. Allora l’Eterno Iddio fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; e prese una delle sue costole, e richiuse la carne al suo posto. E l’Eterno Iddio, con la costola che aveva tolto all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo. E l’uomo disse: “Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Lei sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo”. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne. L’uomo e sua moglie erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna. Ora il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che l’Eterno Iddio aveva fatto; ed esso disse alla donna: “Come! Dio vi ha detto: ‘Non mangiate del frutto di tutti gli alberi del giardino?’”. La donna rispose al serpente: “Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: ‘Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete’”. E il serpente disse alla donna: “No, non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri si apriranno, e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male”. E la donna vide che il frutto dell’albero era buono da mangiare, che era bello da vedere, e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò, e ne diede anche a suo marito che era con lei, ed egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi a entrambi e si accorsero che erano nudi; e cucirono delle foglie di fico, e se ne fecero delle cinture. E udirono la voce dell’Eterno Iddio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell’Eterno Iddio, fra gli alberi del giardino. E l’Eterno Iddio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Ed egli rispose: “Ho udito la tua voce nel giardino, e ho avuto paura, perché ero nudo, e mi sono nascosto”. E Dio disse: “Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai tu mangiato del frutto dell’albero del quale io ti avevo comandato di non mangiare?”. L’uomo rispose: “La donna che tu mi hai messo accanto, è lei che mi ha dato del frutto dell’albero, e io ne ho mangiato”. E l’Eterno Iddio disse alla donna: “Perché hai fatto questo?”. La donna rispose: “Il serpente mi ha sedotta, e io ne ho mangiato”. Allora l’Eterno Iddio disse al serpente: “Poiché hai fatto questo, sii maledetto fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali dei campi! Tu camminerai sul tuo ventre, e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. E io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la sua progenie; questa ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno”. Alla donna disse: “Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito, ed egli dominerà su di te”. E ad Adamo disse: “Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dell’albero circa il quale io ti avevo dato quest’ordine: Non ne mangiare, il suolo sarà maledetto a causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l’erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto finché tornerai nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere, e in polvere ritornerai”. E l’uomo chiamò sua moglie Eva, perché è stata la madre di tutti i viventi. E l’Eterno Iddio fece ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì. Poi l’Eterno Iddio disse: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre”. Perciò l’Eterno Iddio mandò via l’uomo dal giardino di Eden, perché lavorasse la terra dalla quale era stato tratto. Così egli scacciò l’uomo; e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita. Adamo conobbe Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, e disse: “Ho acquistato un uomo, con l’aiuto dell’Eterno”. Poi partorì ancora Abele, suo fratello. E Abele fu pastore di pecore; e Caino, lavoratore della terra. E avvenne, di lì a qualche tempo, che Caino fece un’offerta di frutti della terra all’Eterno; e anche Abele offrì dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso. E l’Eterno guardò con favore Abele e la sua offerta, ma non guardò con favore Caino e la sua offerta. E Caino ne fu molto irritato, e il suo viso fu abbattuto. E l’Eterno disse a Caino: “Perché sei irritato? perché hai il volto abbattuto? Se agisci bene non rialzerai il volto? ma, se agisci male, il peccato ti sta spiando alla porta, e i suoi desideri sono rivolti verso di te; ma tu lo devi dominare!”. E Caino disse ad Abele suo fratello: “Usciamo fuori ai campi!”, e avvenne che, quando furono nei campi, Caino si scagliò contro suo fratello Abele, e lo uccise. E l’Eterno disse a Caino: “Dov’è tuo fratello Abele?”, ed egli rispose: “Non lo so; sono forse il guardiano di mio fratello?”. E l’Eterno disse: “Che hai fatto? la voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. E ora tu sarai maledetto, condannato a vagare lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti, e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra”. E Caino disse all’Eterno: “Il mio castigo è troppo grande perché io lo possa sopportare. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo, e io sarò nascosto lontano dalla tua presenza, e sarò vagabondo e fuggiasco per la terra; e avverrà che chiunque mi troverà mi ucciderà”. E l’Eterno gli disse: “Perciò, chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui”. E l’Eterno mise un segno su Caino, affinché nessuno, trovandolo, l’uccidesse. E Caino si allontanò dalla presenza dell’Eterno e dimorò nel paese di Nod, a oriente di Eden. E Caino conobbe sua moglie, la quale concepì e partorì Enoc. Poi, si mise a costruire una città, a cui diede il nome di Enoc, dal nome di suo figlio. A Enoc nacque Irad; Irad generò Meuiaèl; Meuiaèl generò Metusaèl, e Metusaèl generò Lamec. Lamec prese due mogli: il nome di una era Ada, e il nome dell’altra Zilla. Ada partorì Iabal, che fu il padre di quelli che abitano sotto le tende presso le greggi. Il nome di suo fratello era Iubal, che fu il padre di tutti quelli che suonano la cetra e il flauto. E Zilla partorì anche ella Tubal-Cain, l’artefice di ogni sorta di strumenti di bronzo e di ferro; e la sorella di Tubal-Cain fu Naama. Lamec disse alle sue mogli: “Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamec, porgete orecchio al mio dire! Sì, io ho ucciso un uomo perché mi ha ferito, e un giovane perché mi ha contuso. Se Caino sarà vendicato sette volte, Lamec lo sarà settantasette volte”. E Adamo conobbe ancora sua moglie, ed ella partorì un figlio, che chiamò Set, “perché”, disse, “Dio mi ha dato un altro figlio al posto d’Abele, che Caino ha ucciso”. E anche a Set nacque un figlio, che chiamò Enos. Allora si cominciò a invocare il nome dell’Eterno. Questo è il libro della discendenza di Adamo. Nel giorno che Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; li creò maschio e femmina, li benedisse e diede loro il nome di “uomo”, nel giorno che furono creati. Adamo visse centotrent’anni, generò un figlio, a sua somiglianza, conforme alla sua immagine, e lo chiamò Set; e il tempo che Adamo visse, dopo avere generato Set, fu ottocento anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Adamo visse fu novecentotrent’anni; poi morì. E Set visse centocinque anni, e generò Enos. E Set, dopo aver generato Enos, visse ottocentosette anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Set visse fu novecentododici anni; poi morì. Ed Enos visse novant’anni, e generò Chenan. Ed Enos, dopo aver generato Chenan, visse ottocentoquindici anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Enos visse fu novecentocinque anni; poi morì. E Chenan visse settant’anni, e generò Maalaleèl. E Chenan, dopo aver generato Maalaleèl, visse ottocentoquarant’anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Chenan visse fu novecentodieci anni; poi morì. E Maalaleèl visse sessantacinque anni, e generò Iared. E Maalaleèl, dopo aver generato Iared, visse ottocentotrent’anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Maalaleèl visse fu ottocentonovantacinque anni; poi morì. E Iared visse centosessantadue anni, e generò Enoc. E Iared, dopo aver generato Enoc, visse ottocento anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Iared visse fu novecentosessantadue anni; poi morì. Ed Enoc visse sessantacinque anni, e generò Metusela. Ed Enoc, dopo aver generato Metusela, camminò con Dio trecento anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Enoc visse fu trecentosessantacinque anni. Ed Enoc camminò con Dio; poi scomparve, perché Dio lo prese. E Metusela visse centottantasette anni e generò Lamec. E Metusela, dopo aver generato Lamec, visse settecentottantadue anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Metusela visse fu novecentosessantanove anni; poi morì. E Lamec visse centottantadue anni, e generò un figlio; e lo chiamò Noè, dicendo: “Questo ci consolerà della nostra opera e della fatica delle nostre mani causata dal suolo che l’Eterno ha maledetto”. Lamec, dopo aver generato Noè, visse cinquecentonovantacinque anni, e generò figli e figlie; e tutto il tempo che Lamec visse fu settecentosettantasette anni; poi morì. E Noè, all’età di cinquecento anni, generò Sem, Cam e Iafet. Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e nacquero loro delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle, e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. E l’Eterno disse: “Lo spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo; poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni saranno quindi centovent’anni”. In quel tempo vi erano sulla terra i giganti, e ci furono anche dopo, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, ed esse diedero loro dei figli. Essi sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi. E l’Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra, e che tutti i disegni del loro cuore non erano altro che male in ogni tempo. E l’Eterno si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. E l’Eterno disse: “Io sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato: dall’uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti”. Ma Noè trovò grazia agli occhi dell’Eterno. Questa è la discendenza di Noè. Noè fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio. E Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet. Ora la terra era corrotta davanti a Dio; la terra era piena di violenza. Dio guardò la terra; ed ecco, era corrotta, poiché ogni carne aveva corrotto la sua via sulla terra. E Dio disse a Noè: “Nei miei decreti, la fine di ogni essere vivente è giunta; poiché la terra è piena di violenza a causa degli uomini; ecco, io li distruggerò, insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di gofer; falla a stanze, e spalmala di pece, dentro e fuori. Ed ecco come la dovrai fare: la lunghezza dell’arca sarà di trecento cubiti; la larghezza, di cinquanta cubiti, e l’altezza, di trenta cubiti. Farai all’arca una finestra, in alto, e le darai la dimensione di un cubito; metterai la porta da un lato, e farai l’arca a tre piani: uno in basso, un secondo e un terzo piano. Ed ecco, io sto per far venire il diluvio delle acque sulla terra, per distruggere sotto i cieli ogni essere vivente in cui è alito di vita; tutto quello che è sulla terra, morirà. Ma io stabilirò il mio patto con te; e tu entrerai nell’arca: tu e i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli, con te. E di tutto ciò che vive, di ogni essere vivente, fanne entrare nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te; e siano maschio e femmina. Degli uccelli secondo le loro specie, del bestiame secondo la propria specie, e di tutti i rettili della terra secondo le loro specie, due di ogni specie verranno a te, perché tu li conservi in vita. E tu prenditi ogni sorta di cibo che si mangia, e fattene provvista, perché serva da nutrimento a te e a loro”. E Noè fece così; fece tutto quello che Dio gli aveva comandato. L’Eterno disse a Noè: “Entra nell’arca tu con tutta la tua famiglia, poiché ho visto che sei giusto davanti a me, in questa generazione. Di ogni specie di animali puri prendine sette paia, maschio e femmina; e degli animali impuri un paio, maschio e femmina. Allo stesso modo, degli uccelli del cielo prendine sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza sulla faccia di tutta la terra; poiché di qui a sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti, e sterminerò dalla faccia della terra tutti gli esseri viventi che ho fatto”. E Noè fece tutto quello che l’Eterno gli aveva comandato. Noè aveva seicento anni, quando il diluvio delle acque inondò la terra. E Noè, con i suoi figli, con sua moglie e con le mogli dei suoi figli, entrò nell’arca per salvarsi dalle acque del diluvio. Degli animali puri e degli animali impuri, degli uccelli e di tutto quello che striscia sulla terra, vennero delle coppie, maschio e femmina, da Noè nell’arca, come Dio aveva comandato a Noè. Al termine dei sette giorni, avvenne che le acque del diluvio furono sulla terra. Il seicentesimo anno della vita di Noè, il secondo mese, il diciassettesimo giorno del mese, in quel giorno, tutte le fonti del grande abisso scoppiarono e le cateratte del cielo si aprirono. E piovve sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. In quello stesso giorno, Noè, Sem, Cam e Iafet, figli di Noè, la moglie di Noè e le tre mogli dei suoi figli con loro, entrarono nell’arca: essi e tutti gli animali secondo le loro specie, tutto il bestiame secondo le sue specie, tutti i rettili che strisciano sulla terra secondo le loro specie, tutti gli uccelli secondo le loro specie, tutti gli uccelletti, tutti gli esseri con le ali. Di ogni essere vivente in cui è alito di vita venne una coppia a Noè nell’arca: venivano maschio e femmina di ogni specie, come Dio aveva comandato a Noè; poi l’Eterno lo chiuse dentro l’arca. E il diluvio venne sopra la terra per quaranta giorni; e le acque crebbero e sollevarono l’arca, che fu elevata in alto al di sopra della terra. E le acque ingrossarono e crebbero grandemente sopra la terra, e l’arca galleggiava sulla superficie delle acque. Le acque ingrossarono oltremodo sopra la terra; e tutte le alte montagne che erano sotto tutti i cieli, furono coperte. Le acque salirono quindici cubiti al di sopra delle vette dei monti; e le montagne furono coperte. Così perì ogni essere vivente che si muoveva sulla terra: uccelli, bestiame, animali selvatici, rettili di ogni sorta striscianti sulla terra, e tutti gli uomini. Tutto quello che era sulla terra asciutta e aveva alito di vita nelle sue narici, morì. Tutti gli esseri che erano sulla faccia della terra furono sterminati: dall’uomo fino al bestiame, ai rettili e agli uccelli del cielo; furono sterminati sulla terra; non scampò che Noè con quelli che erano con lui nell’arca. E le acque rimasero alte sopra la terra per centocinquanta giorni. Poi Dio si ricordò di Noè, di tutti gli animali e di tutto il bestiame che era con lui nell’arca; e Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si calmarono; le fonti dell’abisso e le cateratte del cielo furono chiuse; e cessò la pioggia dal cielo; le acque andarono via via ritirandosi dalla terra, e alla fine di centocinquanta giorni cominciarono a diminuire. Nel settimo mese, il diciassettesimo giorno del mese, l’arca si fermò sulle montagne di Ararat. E le acque andarono diminuendo fino al decimo mese. Nel decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le vette dei monti. E dopo quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatto nell’arca, e mandò fuori il corvo, il quale uscì, andando e tornando, finché le acque furono asciugate sulla terra. Poi mandò fuori la colomba, per vedere se le acque fossero diminuite sulla superficie della terra. Ma la colomba non trovò dove posare la pianta del suo piede, e tornò a lui nell’arca, perché vi erano delle acque sulla superficie di tutta la terra; ed egli stese la mano, la prese, e la portò con sé dentro l’arca. E aspettò altri sette giorni, poi mandò di nuovo la colomba fuori dell’arca. E la colomba tornò a lui, verso sera; ed ecco, essa aveva nel becco una foglia fresca d’ulivo; così Noè capì che le acque erano diminuite sopra la terra. E aspettò altri sette giorni, poi mandò fuori la colomba; ma essa non tornò più a lui. L’anno seicentouno della vita di Noè, il primo mese, il primo giorno del mese, le acque erano asciugate sulla terra; e Noè tolse la copertura dell’arca, guardò, ed ecco che la superficie del suolo era asciutta. E il secondo mese, il ventisettesimo giorno del mese, la terra era asciutta. E Dio parlò a Noè, dicendo: “Esci dall’arca tu e tua moglie, i tuoi figli e le mogli dei tuoi figli con te. Fa’ uscire con te tutti gli animali che sono con te, di ogni specie: uccelli, bestiame, e tutti i rettili che strisciano sulla terra, perché abbondino sulla terra, siano fecondi e si moltiplichino sulla terra”. E Noè uscì con i suoi figli, con sua moglie, e con le mogli dei suoi figli. Tutti gli animali, tutti i rettili, tutti gli uccelli, tutto quel che si muove sulla terra, secondo le loro famiglie, uscirono dall’arca. E Noè costruì un altare all’Eterno; prese di ogni specie di animali puri e di ogni specie di uccelli puri, e offrì olocausti sull’altare. E l’Eterno sentì un odore soave; e l’Eterno disse in cuor suo: “Io non maledirò più la terra a motivo dell’uomo, poiché i disegni del cuore dell’uomo sono malvagi fin dalla sua fanciullezza; e non colpirò più ogni cosa vivente, come ho fatto. Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno mai”. Dio benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: “Crescete, moltiplicatevi, e riempite la terra. E avranno timore e spavento di voi tutti gli animali della terra e tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere con tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare. Tutto ciò che si muove ed ha vita vi servirà di cibo; io vi do tutto questo, come l’erba verde; ma non mangerete carne con la sua vita, cioè con il suo sangue. Certo, io chiederò conto del vostro sangue, del sangue della vostra vita; ne chiederò conto a ogni animale; e chiederò conto della vita dell’uomo alla mano dell’uomo, alla mano di ogni suo fratello. Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine. Voi dunque crescete e moltiplicatevi; spandetevi sulla terra, e moltiplicatevi in essa”. Poi Dio parlò a Noè e ai suoi figli con lui, dicendo: “Quanto a me, ecco, stabilisco il mio patto con voi e con la vostra progenie dopo voi, e con tutti gli esseri viventi che sono con voi: uccelli, bestiame, e tutti gli animali della terra con voi; da tutti quelli che sono usciti dall’arca, a tutti quanti gli animali della terra. Io stabilisco il mio patto con voi, e nessun essere vivente sarà più sterminato dalle acque del diluvio, e non ci sarà più diluvio per distruggere la terra”. E Dio disse: “Ecco il segno del patto che io faccio tra me e voi e tutti gli esseri viventi che sono con voi, per tutte le generazioni future. Io pongo il mio arco nella nuvola, e servirà di segno del patto fra me e la terra. Avverrà che quando avrò raccolto delle nuvole al di sopra della terra, l’arco apparirà nelle nuvole, e io mi ricorderò del mio patto fra me e voi e ogni essere vivente di ogni carne, e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni carne. L’arco dunque sarà nelle nuvole, e io lo guarderò per ricordarmi del patto perpetuo fra Dio e ogni essere vivente, di qualunque carne che è sulla terra”. Dio disse a Noè: “Questo è il segno del patto che io ho stabilito fra me e ogni carne che è sulla terra”. E i figli di Noè che uscirono dall’arca erano Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. Questi sono i tre figli di Noè e da loro fu popolata tutta la terra. Noè, che era agricoltore, cominciò a piantare la vigna; e bevve del vino, s’inebriò e si denudò in mezzo alla sua tenda. E Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre, e andò a dirlo ai suoi fratelli che stavano fuori. Ma Sem e Iafet presero il suo mantello, se lo misero assieme sulle spalle, e, camminando all’indietro, coprirono la nudità del loro padre; e siccome avevano la faccia rivolta alla parte opposta, non videro la nudità del loro padre. E quando Noè si svegliò dalla sua ebbrezza, seppe quello che gli aveva fatto il figlio minore, e disse: “Maledetto sia Canaan! Sia servo dei servi dei suoi fratelli!”. Poi disse ancora: “Benedetto sia l’Eterno, l’Iddio di Sem, e sia Canaan suo servo! Dio estenda Iafet, e abiti nelle tende di Sem, e Canaan sia suo servo!”. Noè visse, dopo il diluvio, trecentocinquant’anni. Tutto il tempo che Noè visse fu novecentocinquant’anni; poi morì. Questa è la discendenza dei figli di Noè: Sem, Cam e Iafet; a loro nacquero dei figli, dopo il diluvio. I figli di Iafet furono Gomer, Magog, Madai, Iavan, Tubal, Mesec e Tiras. I figli di Gomer: Aschenaz, Rifat e Togarma. I figli di Iavan: Elisa, Tarsis, Chittim e Dodanim. Da essi vennero i popoli sparsi nelle isole delle nazioni, nei loro diversi paesi, ciascuno secondo la propria lingua, secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni. I figli di Cam furono Cus, Misraim, Put e Canaan. I figli di Cus: Seba, Avila, Sabta, Raama e Sabteca; e i figli di Raama: Seba e Dedan. E Cus generò Nimrod, che cominciò a essere potente sulla terra. Egli fu un potente cacciatore davanti all’Eterno; perciò si dice: “Come Nimrod, potente cacciatore davanti all’Eterno”. E il principio del suo regno fu Babel, Erec, Accad e Calne nel paese di Scinear. Da quel paese andò in Assiria e costruì Ninive, Recobot-Ir e Cala; e, fra Ninive e Cala, Resen, la gran città. Misraim generò i Ludim, gli Anamim, i Leabim, i Naftuim, i Patrusim, i Casluim (da dove uscirono i Filistei) e i Caftorim. Canaan generò Sidon, suo primogenito, e Chet, e i Gebusei, gli Amorei, i Ghirgasei, gli Ivvei, gli Archei, i Sinei, gli Arvadei, i Semarei e i Camatei. Poi le famiglie dei Cananei si sparsero. I confini dei Cananei andarono da Sidone, in direzione di Gherar, fino a Gaza; e in direzione di Sodoma, Gomorra, Adma e Seboim, fino a Lesa. Questi sono i figli di Cam, secondo le loro famiglie, secondo le loro lingue, nei loro paesi, nelle loro nazioni. Anche a Sem, padre di tutti i figli di Eber e fratello maggiore di Iafet, nacquero dei figli. I figli di Sem furono Elam, Assur, Arpacsad, Lud e Aram. I figli di Aram: Uz, Ul, Gheter e Mas. E Arpacsad generò Sela, e Sela generò Eber. E a Eber nacquero due figli; il nome di uno fu Peleg, perché ai suoi giorni la terra fu spartita; e il nome di suo fratello fu Ioctan. E Ioctan generò Almodad, Selef, Casarmavet, Iera, Adoram, Uzal, Dicla, Obal, Abimael, Seba, Ofir, Avila e Iobab. Tutti questi furono figli di Ioctan. E la loro dimora fu la montagna orientale, da Mesa, fin verso Sefar. Questi sono i figli di Sem, secondo le loro famiglie, secondo le loro lingue, nei loro paesi, secondo le loro nazioni. Queste sono le famiglie dei figli di Noè, secondo le loro generazioni, nelle loro nazioni; e da essi uscirono le nazioni che si sparsero sulla terra dopo il diluvio. Tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. E avvenne che, essendo partiti verso l’Oriente, gli uomini trovarono una pianura nel paese di Scinear, e lì si stanziarono. E dissero l’uno all’altro: “Avanti, facciamo dei mattoni e cuociamoli con il fuoco!”; e usarono mattoni invece di pietre, e bitume invece di malta. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo, e acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra”. L’Eterno discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini costruivano. E l’Eterno disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti il medesimo linguaggio; questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. Venite, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio, affinché l’uno non capisca il parlare dell’altro!”. Così l’Eterno li disperse di là sulla faccia di tutta la terra, ed essi cessarono di costruire la città. Perciò a questa fu dato il nome di Babele perché lì l’Eterno confuse il linguaggio di tutta la terra, e di là l’Eterno li disperse sulla faccia di tutta la terra. Questa è la discendenza di Sem. Sem, all’età di cento anni, generò Arpacsad, due anni dopo il diluvio. E Sem, dopo aver generato Arpacsad, visse cinquecento anni e generò figli e figlie. Arpacsad visse trentacinque anni e generò Sela; e Arpacsad, dopo aver generato Sela, visse quattrocento anni e generò figli e figlie. Sela visse trent’anni e generò Eber; e Sela, dopo aver generato Eber, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. Eber visse trentaquattro anni e generò Peleg; ed Eber, dopo aver generato Peleg, visse quattrocentotrent’anni e generò figli e figlie. Peleg visse trent’anni e generò Reu; e Peleg, dopo aver generato Reu, visse duecentonove anni e generò figli e figlie. Reu visse trentadue anni e generò Serug; e Reu, dopo aver generato Serug, visse duecentosette anni e generò figli e figlie. Serug visse trent’anni e generò Naor; e Serug, dopo aver generato Naor, visse duecento anni e generò figli e figlie. Naor visse ventinove anni e generò Tera; e Naor, dopo aver generato Tera, visse centodiciannove anni e generò figli e figlie. Tera visse settant’anni e generò Abramo, Naor e Aran. E questa è la discendenza di Tera. Tera generò Abramo, Naor e Aran; e Aran generò Lot. Aran morì in presenza di Tera suo padre, nel suo paese di origine, in Ur dei Caldei. E Abramo e Naor si presero delle mogli: il nome della moglie di Abramo era Sarai; e il nome della moglie di Naor, Milca, che era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. E Sarai era sterile; non aveva figli. Tera prese Abramo, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, cioè figlio di suo figlio e Sarai sua nuora, moglie di Abramo suo figlio, e uscirono insieme da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan; e, giunti a Caran, dimorarono lì. E il tempo che Tera visse fu duecentocinque anni; poi Tera morì in Caran. L’Eterno disse ad Abramo: “Vattene dal tuo paese e dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò: e io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione: benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra”. E Abramo se ne andò, come l’Eterno gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran. E Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono per andarsene nel paese di Canaan; e giunsero nel paese di Canaan. E Abramo traversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. A quel tempo i Cananei erano nel paese. L’Eterno apparve ad Abramo e disse: “Io darò questo paese alla tua progenie”. Ed egli costruì lì un altare all’Eterno che gli era apparso. E di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai a oriente; e lì costruì un altare all’Eterno e invocò il nome dell’Eterno. Poi Abramo partì, proseguendo da un accampamento all’altro, verso il meridione. Ora venne nel paese una carestia; e Abramo scese in Egitto per soggiornarvi, perché la fame era grave nel paese. E come stava per entrare in Egitto, disse a Sarai sua moglie: “Ecco, io so che tu sei una donna di bell’aspetto; e avverrà che quando gli Egiziani ti avranno vista, diranno: ‘Lei è sua moglie’; e uccideranno me, ma a te lasceranno la vita. Dì dunque che sei mia sorella, perché io sia trattato bene grazie a te, e la vita mia sia conservata per amor tuo”. E avvenne che quando Abramo fu giunto in Egitto, gli Egiziani osservarono che la donna era molto bella. E i principi del Faraone la videro e ne fecero le lodi al Faraone; e la donna fu condotta in casa del Faraone. Ed egli fece del bene ad Abramo per amore di lei; e Abramo ebbe pecore, buoi, asini, servi, serve, asine e cammelli. Ma l’Eterno colpì Faraone e la sua casa con grandi piaghe, a motivo di Sarai, moglie di Abramo. Allora Faraone chiamò Abramo e disse: “Che mi hai fatto? perché non mi hai detto che era tua moglie? perché hai detto: È mia sorella? Così io l’ho presa per moglie. Ora dunque eccoti tua moglie; prenditela e vattene!”. E Faraone diede alla sua gente ordini relativi ad Abramo, ed essi fecero partire lui, sua moglie, e tutto quello che egli possedeva. Abramo dunque risalì dall’Egitto con sua moglie, con tutto quello che possedeva e con Lot, andando verso il meridione di Canaan. Abramo era molto ricco di bestiame, d’argento e d’oro. E continuò il suo viaggio dal meridione fino a Betel, al luogo dove dal principio era stata la sua tenda, fra Betel e Ai, al luogo dov’era l’altare che egli aveva fatto prima; e lì Abramo invocò il nome dell’Eterno. Anche Lot, che viaggiava con Abramo, aveva pecore, buoi e tende. E il paese non era sufficiente perché essi potessero abitarvi assieme; poiché il loro bestiame era numeroso ed essi non potevano stare assieme. E nacque una contesa fra i pastori del bestiame di Abramo e i pastori del bestiame di Lot. I Cananei e i Ferezei abitavano a quel tempo nel paese. E Abramo disse a Lot: “Ti prego, non ci sia contesa fra me e te, né fra i miei pastori e i tuoi pastori, poiché siamo fratelli! Tutto il paese non sta forse davanti a te? Ti prego, separati da me! Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; e se tu vai a destra, io andrò a sinistra”. E Lot alzò gli occhi e vide l’intera pianura del Giordano. Prima che l’Eterno avesse distrutto Sodoma e Gomorra, essa era tutta quanta irrigata fino a Soar, come il giardino dell’Eterno, come il paese d’Egitto. E Lot scelse per sé tutta la pianura del Giordano, e partì andando verso oriente. Così si separarono l’uno dall’altro. Abramo dimorò nel paese di Canaan, e Lot abitò nelle città della pianura e andò piantando le sue tende fino a Sodoma. Ora gli abitanti di Sodoma erano scellerati e grandi peccatori contro l’Eterno. E l’Eterno disse ad Abramo, dopo che Lot si fu separato da lui: “Alza ora i tuoi occhi e guarda, dal luogo dove sei, a settentrione, a meridione, a oriente, a occidente. Tutto il paese che vedi, lo darò a te e alla tua progenie, per sempre. E farò in modo che la tua progenie sia come la polvere della terra; in modo che, se alcuno può contare la polvere della terra, anche la tua progenie si potrà contare. Àlzati, percorri il paese in tutta la sua lunghezza e in tutta la sua larghezza, poiché io te lo darò”. Allora Abramo levò le sue tende, e andò ad abitare alle querce di Mamre, che sono a Ebron; e vi costruì un altare all’Eterno. Ora avvenne, al tempo di Amrafel re di Scinear, d’Arioc re di Ellasar, di Chedorlaomer re di Elam, e di Tideal re dei Goim, che essi mossero guerra a Bera re di Sodoma, a Birsa re di Gomorra, a Scinear re di Adma, a Semeber re di Seboim e al re di Bela, che è Soar. Tutti questi ultimi si radunarono nella valle di Siddim, che è il Mar Salato. Per dodici anni erano stati soggetti a Chedorlaomer, e al tredicesimo anno si erano ribellati. E nell’anno quattordicesimo, Chedorlaomer e i re che erano con lui vennero e annientarono i Refaim ad Asterot-Carnaim, gli Zuzei ad Am, gli Emei nella pianura di Chiriataim e i Corei nella loro montagna di Seir fino a El-Paran, che è presso il deserto. Poi tornarono indietro e vennero a En-Mispat, che è Cades, e annientarono gli Amalechiti su tutto il loro territorio, e così pure gli Amorei, che abitavano ad Asason-Tamar. Allora il re di Sodoma, il re di Gomorra, il re di Adma, il re di Seboim e il re di Bela, che è Soar, uscirono e si schierarono in battaglia contro quelli, nella valle di Siddim: contro Chedorlaomer re di Elam, Tideal re dei Goim, Amrafel re di Scinear e Arioc re di Ellasar: quattro re contro cinque. Ora la valle di Siddim era piena di pozzi di bitume; e i re di Sodoma e di Gomorra si diedero alla fuga e vi caddero dentro; quelli che scamparono fuggirono al monte. I vincitori presero tutte le ricchezze di Sodoma e di Gomorra, e tutti i loro viveri, e se ne andarono. Presero anche Lot, figlio del fratello di Abramo, con la sua roba; e se ne andarono. Lot abitava in Sodoma. Ma uno degli scampati venne a dirlo ad Abramo, l’Ebreo, che abitava alle querce di Mamre l’Amoreo, fratello di Escol e fratello di Aner, i quali avevano fatto alleanza con Abramo. E Abramo, appena udì che suo fratello era stato fatto prigioniero, armò trecentodiciotto dei suoi più fidati servitori, nati in casa sua, e inseguì i re fino a Dan. E, divisa la sua schiera per assalirli di notte, egli con i suoi servi li sconfisse e li inseguì fino a Coba, che è a sinistra di Damasco. Recuperò tutta la roba, e riportò pure Lot suo fratello, la sua roba, e anche le donne e il popolo. E come egli se ne tornava dalla sconfitta di Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sodoma gli andò incontro nella valle di Sciave, che è la Valle del re. E Melchisedec, re di Salem, fece portare del pane e del vino. Egli era sacerdote dell’Iddio altissimo. Ed egli benedisse Abramo, dicendo: “Benedetto sia Abramo dall’Iddio altissimo, padrone dei cieli e della terra! E benedetto sia l’Iddio altissimo, che ti ha dato in mano i tuoi nemici!”. E Abramo gli diede la decima di ogni cosa. Poi il re di Sodoma disse ad Abramo: “Dammi le persone, e prendi per te la roba”. Ma Abramo rispose al re di Sodoma: “Ho alzato la mia mano all’Eterno, l’Iddio altissimo, padrone dei cieli e della terra, giurando che non prenderei neppure un filo, né un laccio di sandalo, di tutto ciò che ti appartiene; perché tu non abbia a dire: ‘Io ho arricchito Abramo’. Nulla per me! tranne quello che hanno mangiato i giovani, e la parte che spetta agli uomini che sono venuti con me: Aner, Escol e Mamre; essi prendano la loro parte”. Dopo queste cose, la parola dell’Eterno fu rivolta in visione ad Abramo, dicendo: “Non temere, Abramo, io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà grandissima”. E Abramo disse: “Signore, Eterno, che mi darai tu? poiché io me ne vado senza figli, e chi possederà la mia casa è Eliezer di Damasco”. Poi Abramo aggiunse: “Tu non mi hai dato progenie; ed ecco, uno schiavo nato in casa mia sarà mio erede”. Allora la parola dell’Eterno gli fu rivolta dicendo: “Questi non sarà tuo erede; ma colui che uscirà dalle tue viscere sarà erede tuo”. Lo condusse fuori, e gli disse: “Guarda il cielo, e conta le stelle, se le puoi contare”. Poi aggiunse: “Così sarà la tua progenie”. Ed egli credette all’Eterno, che gli contò questo come giustizia. L’Eterno gli disse: “Io sono l’Eterno che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti questo paese, perché tu lo possegga”. E Abramo chiese: “Signore, Eterno, come potrò sapere che lo possederò?”. E l’Eterno gli rispose: “Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un montone di tre anni, una tortora e un piccione”. Ed egli prese tutti questi animali, li divise in mezzo, e pose ciascuna metà di fronte all’altra; ma non divise gli uccelli. Degli uccelli rapaci calarono sulle bestie morte, ma Abramo li scacciò. E, sul tramontare del sole, un profondo sonno cadde sopra Abramo; ed ecco, uno spavento, un’oscurità profonda, cadde su lui. E l’Eterno disse ad Abramo: “Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro, e saranno schiavi, e saranno oppressi per quattrocento anni; ma io giudicherò la gente di cui saranno stati servi; e, dopo questo, se ne partiranno con grandi ricchezze. E tu te ne andrai in pace ai tuoi padri, e sarai sepolto dopo una prospera vecchiaia. E alla quarta generazione essi torneranno qua; perché l’iniquità degli Amorei non è giunta finora al colmo”. Appena il sole tramontò e venne la notte scura, ecco una fornace fumante e una fiamma di fuoco passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno l’Eterno fece patto con Abramo, dicendo: “Io do alla tua progenie questo paese, dal fiume d’Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate; i Chenei, i Chenizei, i Cadmonei, gli Ittiti, i Ferezei, i Refaim, gli Amorei, i Cananei, i Ghirgasei e i Gebusei”. Ora Sarai, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Lei aveva una serva egiziana di nome Agar. E Sarai disse ad Abramo: “Ecco, l’Eterno mi ha fatta sterile; su, va’ dalla mia serva, forse avrò discendenza da lei”. Abramo diede ascolto alla voce di Sarai. Sarai dunque, moglie di Abramo, dopo dieci anni che Abramo dimorava nel paese di Canaan, prese la sua serva Agar, l’Egiziana, e la diede per moglie ad Abramo, suo marito. Ed egli si unì ad Agar, che rimase incinta; e quando si accorse che era incinta, guardò la sua padrona con disprezzo. Allora Sarai disse ad Abramo: “L’offesa fatta a me, ricade su te. Io ti ho dato la mia serva nelle braccia; e da quando lei si è accorta di essere incinta, mi guarda con disprezzo. L’Eterno sia giudice fra me e te”. E Abramo rispose a Sarai: “Ecco, la tua serva è in tuo potere; fa’ con lei come ti piacerà”. Sarai la trattò duramente, e lei se ne fuggì dalla sua presenza. L’angelo dell’Eterno la trovò presso una sorgente d’acqua, nel deserto, presso la sorgente che è sulla via di Sur, e le disse: “Agar, serva di Sarai, da dove vieni? e dove vai?”, e lei rispose: “Me ne fuggo dal cospetto di Sarai mia padrona”. L’angelo dell’Eterno le disse: “Torna dalla tua padrona, e umiliati sotto la sua mano”. L’angelo dell’Eterno soggiunse: “Io moltiplicherò grandemente la tua progenie, e non la si potrà contare, tanto sarà numerosa”. E l’angelo dell’Eterno le disse ancora: “Ecco, tu sei incinta e partorirai un figlio, che chiamerai Ismaele, perché l’Eterno ti ha ascoltata nella tua afflizione; esso sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro di lui; e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli”. Allora Agar chiamò il nome dell’Eterno che le aveva parlato, Atta-El-Roï, perché disse: “Ho io, proprio qui, visto andarsene colui che mi ha vista?”. Perciò quel pozzo fu chiamato “il pozzo di Lacai-Roï”. Ecco, esso è fra Cades e Bered. Agar partorì un figlio ad Abramo e Abramo chiamò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito. Abramo aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele. Quando Abramo ebbe novantanove anni, l’Eterno gli apparve e gli disse: “Io sono l’Iddio onnipotente; cammina alla mia presenza e sii integro; e io fermerò il mio patto fra me e te, e ti moltiplicherò grandissimamente”. Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra, e Dio gli parlò, dicendo: “Quanto a me, ecco il patto che faccio con te; tu diventerai padre di una moltitudine di nazioni; e non sarai più chiamato Abramo, ma il tuo nome sarà Abraamo, poiché io ti costituisco padre di una moltitudine di nazioni. Ti farò moltiplicare grandissimamente, e ti farò divenire nazioni, e da te usciranno dei re. Fermerò il mio patto fra me e te e i tuoi discendenti dopo di te, di generazione in generazione; sarà un patto perenne, per il quale io sarò il tuo Dio e della tua progenie dopo di te. A te e alla tua progenie dopo di te darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, quale proprietà perenne; e sarò loro Dio”. Poi Dio disse ad Abraamo: “Quanto a te, tu osserverai il mio patto: tu e la tua progenie dopo di te, di generazione in generazione. Questo è il mio patto che voi osserverete, patto fra me e voi e la tua progenie dopo di te: ogni maschio fra voi sia circonciso. E sarete circoncisi; e questo sarà un segno del patto fra me e voi. All’età di otto giorni, ogni maschio sarà circonciso fra voi, di generazione in generazione: tanto quello nato in casa, quanto quello comprato con denaro da qualsivoglia straniero e che non sia della tua progenie. Quello nato in casa tua e quello comprato con denaro dovrà essere circonciso; e il mio patto nella vostra carne sarà un patto perpetuo. E il maschio incirconciso, che non sarà stato circonciso nella sua carne, sarà estromesso dal suo popolo: egli avrà violato il mio patto”. Dio disse ad Abraamo: “Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamare più Sarai; il suo nome sarà, invece, Sara. Io la benedirò, e ti darò anche un figlio da lei; io la benedirò, e lei diverrà nazioni; re di popoli usciranno da lei”. Allora Abraamo si prostrò con la faccia a terra e rise; e disse in cuor suo: “Nascerà un figlio a un uomo di cento anni? e Sara, che ha novant’anni, partorirà forse?”. Allora Abraamo disse a Dio: “Di grazia, viva Ismaele nel tuo cospetto!”. Ma Dio rispose: “No, ma Sara tua moglie ti partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Isacco; e io fermerò il mio patto con lui, un patto eterno per la sua progenie dopo di lui. Quanto a Ismaele, io ti ho esaudito. Ecco, io l’ho benedetto, e farò che si moltiplichi e si accresca grandissimamente. Egli genererà dodici principi, e io farò di lui una grande nazione. Ma fermerò il mio patto con Isacco che Sara ti partorirà in questo tempo, l’anno prossimo”. Quando ebbe finito di parlare con lui, Dio lasciò Abraamo, salendo in alto. E Abraamo prese Ismaele suo figlio e tutti quelli che gli erano nati in casa e tutti quelli che aveva comprato con il suo denaro, tutti i maschi fra la gente della casa di Abraamo, e li circoncise, in quello stesso giorno, come Dio gli aveva detto di fare. Ora Abraamo aveva novantanove anni quando fu circonciso. E Ismaele suo figlio aveva tredici anni quando fu circonciso. In quel medesimo giorno fu circonciso Abraamo, e Ismaele suo figlio. E tutti gli uomini della sua casa, tanto quelli nati in casa quanto quelli comprati con denaro dagli stranieri, furono circoncisi con lui. L’Eterno apparve ad Abraamo alle querce di Mamre, mentre questi sedeva all’ingresso della sua tenda durante il caldo del giorno. Abraamo alzò gli occhi, ed ecco che scorse tre uomini, i quali stavano davanti a lui; appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda, si prostrò fino a terra e disse: “Signor mio, se ho trovato grazia davanti a te, non passare senza fermarti dal tuo servo! Su, lasciate che si porti un po’ di acqua, lavatevi i piedi e riposatevi sotto quest’albero. Io andrò a prendere un pezzo di pane, e vi fortificherete il cuore; poi, continuerete il vostro cammino; poiché per questo siete passati dal vostro servo”. E quelli dissero: “Fa’ come hai detto”. Allora Abraamo andò in fretta nella tenda da Sara, e le disse: “Prendi subito tre misure di fior di farina, impastala, e fa’ delle schiacciate”. Poi Abraamo corse alla mandria, prese un vitello tenero e buono, e lo diede a un servo, il quale si affrettò a prepararlo. Prese del burro, del latte e il vitello che era stato preparato, e li pose davanti a loro; ed egli se ne stette in piedi presso di loro sotto l’albero. E quelli mangiarono. Poi essi gli dissero: “Dov’è Sara tua moglie?”, ed egli rispose: “È là nella tenda”. E l’altro: “Tornerò certamente da te fra un anno; ed ecco, Sara tua moglie avrà un figlio”. Sara ascoltava all’ingresso della tenda, che era dietro a lui. Ora Abraamo e Sara erano vecchi, molto avanti negli anni, e Sara non aveva più i corsi ordinari delle donne. E Sara rise dentro di sé, dicendo: “Vecchia come sono, avrei io tali piaceri? E anche il mio signore è vecchio!”. Ma l’Eterno disse ad Abraamo: “Perché mai ha riso Sara, dicendo: ‘Partorirei io per davvero, vecchia come sono?’. C’è qualcosa che sia troppo difficile per l’Eterno? Al tempo fissato, fra un anno, tornerò, e Sara avrà un figlio”. Allora Sara negò, dicendo: “Non ho riso”, perché ebbe paura. Ma egli disse: “Invece hai riso!”. Poi quegli uomini si alzarono e volsero gli sguardi verso Sodoma; e Abraamo andava con loro per congedarli. L’Eterno disse: “Nasconderò io ad Abraamo quello che sto per fare, dato che Abraamo deve diventare una nazione grande e potente e in lui saranno benedette tutte le nazioni della terra? Poiché io l’ho prescelto affinché ordini ai suoi figli, e dopo di sé alla sua casa, che si attengano alla via dell’Eterno per praticare la giustizia e l’equità, in modo che l’Eterno mandi a effetto, in favore di Abraamo, quello che gli ha promesso”. L’Eterno disse: “Siccome il grido che sale da Sodoma e Gomorra è grande e siccome il loro peccato è molto grave, io scenderò e vedrò se hanno interamente agito secondo il grido che è pervenuto a me; e, se così non è, lo saprò”. E quegli uomini, partiti di là, si avviarono verso Sodoma; ma Abraamo rimase ancora davanti all’Eterno. E Abraamo si accostò e disse: “Farai tu perire il giusto insieme con l’empio? Forse ci sono cinquanta giusti nella città; farai tu perire anche quelli? o non perdonerai tu a quel luogo per amore dei cinquanta giusti che vi sono? Lungi da te fare una cosa simile! Far morire il giusto con l’empio, in modo che il giusto sia trattato come l’empio! Lungi da te! Il giudice di tutta la terra non farà egli giustizia?”. L’Eterno disse: “Se trovo nella città di Sodoma cinquanta giusti, perdonerò a tutto il luogo per amor loro”. E Abraamo riprese e disse: “Ecco, prendo l’ardire di parlare al Signore, benché io non sia che polvere e cenere; forse, a quei cinquanta giusti ne mancheranno cinque; distruggerai tu tutta la città per cinque di meno?”. E l’Eterno: “Se ve ne trovo quarantacinque, non la distruggerò”. Abraamo continuò a parlargli e disse: “Forse, se ne troveranno quaranta”. E l’Eterno: “Non lo farò, per amor dei quaranta”. E Abraamo disse: “Non si adiri il Signore, e io parlerò. Forse, se ne troveranno trenta”. E l’Eterno: “Non lo farò, se ne trovo trenta”. E Abraamo disse: “Ecco, prendo l’ardire di parlare al Signore; forse, se ne troveranno venti”. E l’Eterno: “Non la distruggerò per amore dei venti”. E Abraamo disse: “Non si adiri il Signore, e io parlerò ancora questa volta soltanto. Forse, se ne troveranno dieci”. E l’Eterno: “Non la distruggerò per amore dei dieci”. E appena l’Eterno ebbe finito di parlare ad Abraamo, se ne andò. E Abraamo tornò alla sua dimora. Ora i due angeli giunsero a Sodoma verso sera; Lot stava sedendo alla porta di Sodoma; come li vide, si alzò per andar loro incontro e si prostrò con la faccia a terra, e disse: “Signori miei, vi prego, venite in casa del vostro servo, soggiornate questa notte, e lavatevi i piedi; poi domattina vi alzerete in tempo e continuerete il vostro cammino”. Ed essi risposero: “No; passeremo la notte sulla piazza”. Ma egli fece loro tanta premura, che andarono da lui ed entrarono in casa sua. Quindi preparò loro un convito, fece cuocere dei pani senza lievito, ed essi mangiarono. Ma prima che si fossero coricati, gli uomini della città, i Sodomiti, circondarono la casa: giovani e vecchi, la popolazione intera venuta da ogni lato; chiamarono Lot, e gli dissero: “Dove sono quegli uomini che sono venuti da te stanotte? Falli uscire, perché vogliamo abusare di loro”. Lot uscì verso di loro sull’ingresso di casa, si chiuse dietro la porta, e disse: “Su, fratelli miei, non fate questo male! Ecco, ho due figlie che non hanno conosciuto uomo; lasciate che io ve le conduca fuori, e voi fate di loro quello che vi piacerà; soltanto non fate nulla a questi uomini, poiché sono venuti all’ombra del mio tetto”. Ma essi gli dissero: “Fatti in là!”. E ancora: “Quest’individuo è venuto qua come straniero, e vuole fare da giudice! Ora faremo a te peggio che a quelli!” e, premendo Lot con violenza, si avvicinarono per sfondare la porta. Ma quegli uomini stesero la mano, trassero Lot in casa con loro, e chiusero la porta. E colpirono di cecità la gente che era alla porta della casa, dal più piccolo al più grande, in modo che si stancarono di cercare la porta. E quegli uomini dissero a Lot: “Chi hai tu ancora qui? fa’ uscire da questo luogo generi, figli, figlie e chiunque dei tuoi è in questa città; poiché noi distruggeremo questo luogo, perché il grido contro i suoi abitanti è grande nel cospetto dell’Eterno, e l’Eterno ci ha mandati a distruggerlo”. Allora Lot uscì, parlò ai suoi generi che avevano preso le sue figlie, e disse: “Alzatevi, uscite da questo luogo, perché l’Eterno sta per distruggere la città”. Ma ai generi parve che egli volesse scherzare. E come l’alba cominciò ad apparire, gli angeli sollecitarono Lot, dicendo: “Àlzati, prendi tua moglie e le tue due figlie che si trovano qui, affinché tu non perisca nel castigo di questa città”. Ma egli indugiava; e quegli uomini presero per la mano lui, sua moglie e le sue due figlie, perché l’Eterno lo voleva risparmiare; e lo portarono via, e lo misero fuori della città. E avvenne che quando li ebbero fatti uscire, uno di quegli uomini disse: “Sàlvati la vita! non guardare indietro, e non ti fermare in alcun luogo della pianura; sàlvati al monte, affinché tu non muoia!”. E Lot rispose loro: “No, mio signore! ecco, il tuo servo ha trovato grazia agli occhi tuoi, e tu hai mostrato la grandezza della tua bontà verso di me lasciandomi in vita; ma io non posso salvarmi al monte prima che il disastro mi raggiunga, e io perisca. Ecco, questa città è vicina per potermi rifugiare, ed è piccola. Lascia che io fugga lì - non è piccola? - e l’anima mia vivrà!”. Ed egli a lui: “Ecco, ti concedo anche questa grazia: di non distruggere la città, della quale hai parlato. Affréttati, rifugiati là, poiché io non posso fare nulla finché tu non vi sia giunto”. Perciò quella città fu chiamata Soar. Il sole sorgeva sulla terra quando Lot arrivò a Soar. Allora l’Eterno fece piovere dal cielo su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, da parte dell’Eterno; egli distrusse quelle città e tutta la pianura e tutti gli abitanti delle città e quanto cresceva sul suolo. Ma la moglie di Lot si voltò a guardare indietro, e diventò una statua di sale. Abraamo si alzò la mattina di buon’ora, e andò al luogo dove si era prima fermato davanti all’Eterno; guardò verso Sodoma e Gomorra e verso tutta la regione della pianura, ed ecco vide un fumo che si alzava dalla terra, come il fumo di una fornace. Così avvenne che, quando Dio distrusse le città della pianura, egli si ricordò di Abraamo, e fece sfuggire Lot dal disastro, mentre distruggeva le città dove Lot aveva abitato. Lot salì da Soar e abitò sul monte insieme alle sue due figlie, perché temeva di stare a Soar; e visse in una grotta, lui con le sue due figlie. E la maggiore disse alla minore: “Nostro padre è vecchio, e non c’è più nessuno sulla terra per unirsi a noi, come si usa in tutta la terra. Vieni, diamo a bere del vino a nostro padre, e corichiamoci con lui, affinché possiamo conservare la razza di nostro padre”. E quella stessa notte diedero a bere del vino al loro padre; e la maggiore entrò e si coricò con suo padre; ed egli non si accorse né quando lei si coricò né quando si alzò. All’indomani la maggiore disse alla minore: “Ecco, la notte passata io mi sono coricata con mio padre; diamogli a bere del vino anche questa notte; e tu entra, e coricati con lui, affinché possiamo conservare la razza di nostro padre”. E anche quella notte diedero a bere del vino al loro padre, e la minore andò a coricarsi con lui; ed egli non si accorse né quando lei si coricò né quando si alzo. Così le due figlie di Lot rimasero incinte del loro padre. E la maggiore partorì un figlio, che chiamò Moab. Questi è il padre dei Moabiti, che sussistono fino al giorno d’oggi. E la minore partorì anche lei un figlio, che chiamò Ben-Ammi. Questi è il padre degli Ammoniti, che sussistono fino al giorno d’oggi. Abraamo partì di là andando verso il paese del meridione, abitò fra Cades e Sur, e abitò come straniero in Gherar. E Abraamo diceva di Sara sua moglie: “È mia sorella”. E Abimelec, re di Gherar, mandò a prendere Sara. Ma Dio venne, di notte, in un sogno, ad Abimelec, e gli disse: “Ecco, tu sei morto, a causa della donna che ti sei presa, perché lei ha marito”. Ora Abimelec non si era accostato a lei e rispose: “Signore, faresti tu perire una nazione, anche se giusta? Egli non mi ha detto: ‘È mia sorella’? e anche lei stessa ha detto: ‘È mio fratello’. Io ho fatto questo nella integrità del mio cuore e con mani innocenti”. E Dio gli disse nel sogno: “Anche io so che tu hai fatto questo nella integrità del tuo cuore; e ti ho quindi preservato dal peccare contro di me; perciò non ti ho permesso di toccarla. Ora dunque, restituisci la moglie a quest’uomo, perché è profeta; ed egli pregherà per te, e tu vivrai. Ma, se non la restituisci, sappi, per certo, che morirai: tu e tutti i tuoi”. Allora Abimelec si alzò la mattina presto, chiamò tutti i suoi servi, e raccontò in loro presenza tutte queste cose. E quegli uomini furono presi da grande paura. Poi Abimelec chiamò Abraamo e gli disse: “Che ci hai fatto? E in cosa ti ho io offeso, che tu abbia fatto venire su me e sul mio regno un peccato così grande? Tu mi hai fatto cose che non si devono fare”. Poi Abimelec disse ancora ad Abraamo: “A che miravi, facendo questo?”. E Abraamo rispose: “L’ho fatto, perché dicevo fra me: ‘Certo, in questo luogo non c’è timore di Dio; e mi uccideranno a causa di mia moglie’. Inoltre, lei è proprio mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre; ed è diventata mia moglie. Ora quando Dio mi fece peregrinare lontano dalla casa di mio padre, io le dissi: ‘Questo è il favore che tu mi farai; dovunque giungeremo, dirai di me: È mio fratello’”. Allora Abimelec prese delle pecore, dei buoi, dei servi e delle serve e li diede ad Abraamo, e gli restituì Sara sua moglie. Poi Abimelec disse: “Ecco, il mio paese ti sta davanti; abita dovunque ti piacerà”. E a Sara disse: “Ecco, io ho dato a tuo fratello mille pezzi d’argento; questo sarà un velo sugli occhi di fronte a tutti quelli che sono con te, e sarai giustificata davanti a tutti”. Abraamo pregò Dio, e Dio guarì Abimelec, la moglie e le sue serve, ed esse poterono partorire. Poiché l’Eterno aveva reso del tutto sterile l’intera casa di Abimelec, a causa di Sara moglie di Abraamo. L’Eterno visitò Sara come aveva detto; e l’Eterno fece a Sara come aveva promesso. E Sara concepì e partorì un figlio ad Abraamo, quando egli era vecchio, al tempo che Dio gli aveva fissato. E Abraamo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. E Abraamo circoncise suo figlio Isacco all’età di otto giorni, come Dio gli aveva comandato. Abraamo aveva cento anni quando nacque suo figlio Isacco. E Sara disse: “Dio mi ha dato di che ridere; chiunque lo udrà riderà con me”. E aggiunse: “Chi avrebbe mai detto ad Abraamo che Sara avrebbe allattato figli? siccome io gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia”. Il bambino crebbe e fu svezzato; e nel giorno che Isacco fu svezzato, Abraamo fece un gran convito. Sara vide che il figlio partorito ad Abraamo da Agar, l’Egiziana, rideva; allora lei disse ad Abraamo: “Caccia via questa serva e suo figlio; perché il figlio di questa serva non deve essere erede con mio figlio, con Isacco”. E la cosa dispiacque fortemente ad Abraamo, a causa di suo figlio. Ma Dio disse ad Abraamo: “Non dispiacerti a causa del fanciullo e della tua serva; acconsenti a tutto quello che Sara ti dirà; poiché da Isacco uscirà la progenie che porterà il tuo nome. Ma anche del figlio di questa serva io farò una nazione, perché è tua progenie”. Abraamo dunque si alzò la mattina presto, prese del pane e un otre di acqua e lo diede ad Agar, mettendoglielo sulle spalle; le diede anche il fanciullo, e la mandò via. Lei partì e andò vagando per il deserto di Beer-Sceba. Quando l’acqua dell’otre venne a mancare, lei lasciò cadere il fanciullo sotto un arboscello. E andò a sedersi di fronte, a distanza di un tiro d’arco; perché diceva: “Che io non veda morire il fanciullo!”. Sedutasi così di fronte, alzò la voce e pianse. Dio udì la voce del ragazzo; e l’angelo di Dio chiamò Agar dal cielo, e le disse: “Che hai, Agar? non temere, poiché Dio ha udito la voce del fanciullo là dov’è. Àlzati, prendi il ragazzo e tienilo per la mano, perché io farò di lui una grande nazione”. Dio le aprì gli occhi, e lei vide un pozzo d’acqua: andò, riempì d’acqua l’otre, e diede da bere al ragazzo. E Dio fu con lui; egli crebbe, abitò nel deserto, e fu un tiratore d’arco; dimorò nel deserto di Paran, e sua madre gli prese per moglie una donna del paese d’Egitto. In quel tempo Abimelec, accompagnato da Picol, capo del suo esercito, parlò ad Abraamo, dicendo: “Dio è con te in tutto quello che fai. Ebbene giurami qui, nel nome di Dio, che tu non ingannerai né me, né i miei figli, né i miei nipoti, ma che userai verso di me e verso il paese dove hai abitato come straniero, la stessa benevolenza che io ho usato verso di te”. E Abraamo rispose: “Lo giuro”. Ma Abraamo rimproverò Abimelec a causa di un pozzo di acqua, di cui i servi di Abimelec si erano impadroniti con la forza. E Abimelec disse: “Io non so chi abbia fatto questo; tu stesso non me l’hai fatto sapere, e io non ne ho sentito parlare che oggi”. Allora Abraamo prese pecore e buoi e li diede ad Abimelec; e i due fecero alleanza. Poi Abraamo mise da parte sette agnelle del gregge. E Abimelec disse ad Abraamo: “Che vogliono dire queste sette agnelle che tu hai messe da parte?”. Abraamo rispose: “Tu accetterai dalla mia mano queste sette agnelle, perché questo mi serva di testimonianza che io ho scavato questo pozzo”. Perciò egli chiamò quel luogo Beer-Sceba, perché entrambi vi avevano fatto giuramento. Così fecero alleanza a Beer-Sceba. Poi Abimelec, con Picol, capo del suo esercito, si alzò, e se ne tornarono nel paese dei Filistei. E Abraamo piantò un tamarindo a Beer-Sceba, e lì invocò il nome dell’Eterno, l’Iddio dell’eternità. E Abraamo abitò come straniero molto tempo nel paese dei Filistei. Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abraamo, e gli disse: “Abraamo!”. Ed egli rispose: “Eccomi”. E Dio disse: “Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va’ nel paese di Moria, e là offrilo in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò”. Abraamo si alzò la mattina di buon’ora, mise la sella al suo asino, prese con sé due dei suoi servitori e Isacco suo figlio, spaccò della legna per l’olocausto, poi partì per andare al luogo che Dio gli aveva detto. Il terzo giorno, Abraamo alzò gli occhi e vide da lontano il luogo. Abraamo disse ai suoi servitori: “Rimanete qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin là e adoreremo; poi torneremo da voi”. E Abraamo prese la legna per l’olocausto e la mise addosso a Isacco suo figlio; poi prese in mano il fuoco e il coltello, ed entrambi s’incamminarono assieme. Isacco parlò ad Abraamo suo padre e disse: “Padre mio!”. Abraamo rispose: “Eccomi qui, figlio mio”. E Isacco: “Ecco il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”. Abraamo rispose: “Figlio mio, Dio se lo provvederà l’agnello per l’olocausto”. E camminarono entrambi assieme. Giunsero al luogo che Dio gli aveva detto e Abraamo costruì l’altare, sistemò la legna, legò Isacco suo figlio e lo mise sull’altare, sopra la legna. Poi Abraamo stese la mano e prese il coltello per sgozzare suo figlio. Ma l’angelo dell’Eterno gridò dal cielo e disse: “Abraamo, Abraamo”. Ed egli rispose: “Eccomi”. E l’angelo: “Non mettere la mano addosso al ragazzo, e non fargli alcun male; poiché ora so che tu temi Dio, perché non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo”. Allora Abraamo alzò gli occhi, guardò, ed ecco dietro di sé un montone, impigliato per le corna in un cespuglio. Abraamo andò, prese il montone, e l’offrì in olocausto al posto di suo figlio. E Abraamo chiamò quel luogo “Iavè-Irè”. Per questo si dice oggi: “Al monte dell’Eterno, sarà provveduto”. L’angelo dell’Eterno chiamò dal cielo Abraamo una seconda volta, e disse: “‘Io giuro per me stesso’, dice l’Eterno, ‘che, siccome tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo, io certo ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua progenie dominerà la porta dei suoi nemici. E tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua progenie, perché tu hai ubbidito alla mia voce’”. Poi Abraamo se ne tornò ai suoi servitori; e si alzarono e se ne andarono insieme a Beer-Sceba. E Abraamo abitò a Beer-Sceba. Dopo queste cose avvenne che fu riferito ad Abraamo questo: “Ecco, Milca ha partorito anche lei dei figli a Naor, tuo fratello: Uz, suo primogenito, Buz suo fratello, Chemuel padre di Aram, Chesed, Azo, Pildas, Idlaf e Betuel”. E Betuel generò Rebecca. Milca partorì questi otto a Naor, fratello di Abraamo. E la sua concubina, che si chiamava Reuma, partorì anche lei Teba, Gaam, Taas e Maaca. Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Chiriat-Arba, che è Ebron, nel paese di Canaan; e Abraamo venne a fare lutto per Sara e a piangerla. Poi Abraamo si staccò dalla salma, e parlò ai figli di Chet, dicendo: “Io sono straniero e di passaggio fra voi; datemi la proprietà di un sepolcro fra voi, in modo che io seppellisca il mio morto e lo tolga dalla mia vista”. E i figli di Chet risposero ad Abraamo dicendogli: “Ascoltaci, signore, tu sei fra noi un principe di Dio; seppellisci il tuo morto nel migliore dei nostri sepolcri, nessuno di noi ti rifiuterà il suo sepolcro perché tu seppellisca il tuo morto”. Abraamo si alzò, s’inchinò davanti al popolo del paese, davanti ai figli di Chet, e parlò loro dicendo: “Se piace a voi che io tolga il mio morto dalla mia vista e lo seppellisca, ascoltatemi, e intercedete per me presso Efron figlio di Zoar perché mi ceda la sua grotta di Macpela che è all’estremità del suo campo, e me la dia per il suo prezzo intero, come sepolcro di mia proprietà fra di voi”. Efron sedeva in mezzo ai figli di Chet; ed Efron, l’Ittita, rispose ad Abraamo in presenza dei figli di Chet, di tutti quelli che entravano per la porta della sua città, dicendo: “No, mio signore, ascoltami! Io ti dono il campo, e ti dono la grotta che si trova in esso; te ne faccio dono, alla presenza dei figli del mio popolo; seppellisci il tuo morto”. E Abraamo s’inchinò davanti al popolo del paese, e parlò a Efron in presenza del popolo del paese, dicendo: “Ascoltami! Io ti darò il prezzo del campo; accettalo da me, e io seppellirò lì la salma”. Ed Efron rispose ad Abraamo, dicendogli: “Signor mio, ascoltami! Un pezzo di terreno di quattrocento sicli d’argento, che cos’è fra me e te? Seppellisci dunque il tuo morto”. E Abraamo fece a modo di Efron; e Abraamo pesò a Efron il prezzo che egli aveva detto alla presenza dei figli di Chet, quattrocento sicli d’argento, di buona moneta commerciale. Così il campo di Efron che era a Macpela di fronte a Mamre, il campo con la grotta che c’era, e tutti gli alberi che erano nel campo e in tutti i confini intorno, furono assicurati come proprietà di Abraamo, alla presenza dei figli di Chet e di tutti quelli che entravano per la porta della città di Efron. Dopo questo, Abraamo seppellì Sara sua moglie nella grotta del campo di Macpela di fronte a Mamre, che è Ebron, nel paese di Canaan. E il campo e la grotta che c’era, furono assicurati ad Abraamo, dai figli di Chet, come sepolcro di sua proprietà. Ora Abraamo era vecchio e di età avanzata; e l’Eterno aveva benedetto Abraamo in ogni cosa. E Abraamo disse al più anziano servo di casa sua, che aveva il governo di tutti i suoi beni: “Metti la tua mano sotto la mia coscia; e io ti farò giurare per l’Eterno, l’Iddio dei cieli e l’Iddio della terra, che tu non prenderai come moglie per mio figlio nessuna delle figlie dei Cananei, fra i quali abito; ma andrai al mio paese e dai miei parenti, e prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco”. Il servo gli rispose: “Forse quella donna non vorrà seguirmi in questo paese; dovrò io allora riportare tuo figlio nel paese da dove tu sei uscito?”. Abraamo gli disse: “Guardati dal riportare là mio figlio! L’Eterno, l’Iddio dei cieli, che mi trasse dalla casa di mio padre e dal mio paese natio e mi parlò e mi giurò dicendo: - Io darò alla tua progenie questo paese, - egli stesso manderà il suo angelo davanti a te, e tu prenderai là una moglie per mio figlio. E se la donna non vorrà seguirti, allora sarai sciolto da questo giuramento che ti faccio fare; soltanto, non ricondurre là mio figlio”. E il servo pose la mano sotto la coscia di Abraamo suo signore, e gli giurò di fare come lui chiedeva. Poi il servo prese dieci cammelli, fra i cammelli del suo signore, e partì, avendo a sua disposizione tutti i beni del suo signore, si mise in viaggio e arrivò in Mesopotamia, alla città di Naor. Dopo aver fatto riposare sulle ginocchia i cammelli, fuori della città, presso un pozzo d’acqua, verso sera, nell’ora in cui le donne escono ad attingere acqua, disse: “O Eterno, Dio del mio signore Abraamo, fammi fare quest’oggi un felice incontro, e usa benignità verso Abraamo mio signore! Ecco, io sto qui presso questa sorgente e le figlie degli abitanti della città usciranno ad attingere acqua. Fa’ che la fanciulla alla quale dirò: - Su, abbassa la tua brocca affinché io beva - e che mi risponderà - Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli, - sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco. E da questo comprenderò che tu hai usato benignità verso il mio signore”. Non aveva ancora finito di parlare, quando ecco uscire con la sua brocca sulla spalla, Rebecca, figlia di Betuel figlio di Milca, moglie di Naor fratello di Abraamo. La fanciulla era molto bella d’aspetto, vergine, e nessun uomo l’aveva conosciuta. Lei scese alla sorgente, riempì la brocca, e risalì. Allora il servo le corse incontro e le disse: “Dammi da bere un po’ d’acqua della tua brocca”. E lei rispose: “Bevi, signor mio”; e si affrettò a calare la brocca sulla mano, e gli diede da bere. E quando ebbe finito di dargli da bere disse: “Io ne attingerò anche per i tuoi cammelli, finché abbiano bevuto a sufficienza”. E presto vuotò la sua brocca nell’abbeveratoio, corse di nuovo al pozzo ad attingere acqua, e ne attinse per tutti i suoi cammelli. E quell’uomo la contemplava in silenzio per sapere se l’Eterno avesse o no fatto prosperare il suo viaggio. E quando i cammelli ebbero finito di bere, l’uomo prese un anello d’oro del peso di mezzo siclo, e due braccialetti del peso di dieci sicli d’oro, per i polsi di lei, e disse: “Di chi sei figlia? dimmelo. C’è posto in casa di tuo padre per alloggiarvi?”. Lei rispose: “Sono figlia di Betuel figlio di Milca, che lei partorì a Naor”. E aggiunse: “C’è da noi molto fieno e foraggio, e anche posto per alloggiarvi”. E l’uomo si inchinò, adorò l’Eterno, e disse: “Benedetto l’Eterno, l’Iddio di Abraamo mio signore, che non ha smesso di essere benigno e fedele verso il mio signore! Quanto a me, l’Eterno mi ha messo sulla via della casa dei fratelli del mio signore”. E la fanciulla corse a raccontare queste cose a casa di sua madre. Rebecca aveva un fratello chiamato Labano. E Labano corse fuori verso quell’uomo alla sorgente. Appena vide l’anello e i braccialetti ai polsi di sua sorella e ascoltò le parole di Rebecca sua sorella che diceva: “Quell’uomo mi ha parlato così”, andò da quell’uomo che se ne stava presso i cammelli, vicino alla sorgente. E disse: “Entra, benedetto dall’Eterno! perché stai fuori? Io ho preparato la casa e un luogo per i cammelli”. L’uomo entrò in casa, e Labano scaricò i cammelli, diede fieno e foraggio ai cammelli, e portò acqua per lavare i piedi a lui e a quelli che erano con lui. Poi gli fu posto davanti da mangiare; ma egli disse: “Non mangerò finché non abbia fatto la mia ambasciata”. E l’altro disse: “Parla”. Ed egli: “Io sono servo di Abraamo. L’Eterno ha benedetto abbondantemente il mio signore, che è diventato grande; gli ha dato pecore e buoi, argento e oro, servi e serve, cammelli e asini. Ora Sara, moglie del mio signore, ha partorito nella sua vecchiaia un figlio al mio padrone, che gli ha dato tutto quello che possiede. E il mio signore mi ha fatto giurare, dicendo: ‘Non prenderai come moglie per mio figlio nessuna delle figlie dei Cananei, nel paese dei quali abito; ma andrai alla casa di mio padre e dai miei parenti e lì vi prenderai una moglie per mio figlio’. E io dissi al mio padrone: ‘Forse quella donna non mi vorrà seguire’. Ed egli rispose: ‘L’Eterno, davanti al quale ho camminato, manderà il suo angelo con te e farà prosperare il tuo viaggio, e tu prenderai a mio figlio una moglie tra i miei parenti e della casa di mio padre. Sarai sciolto dal giuramento che ti faccio fare, quando sarai andato dai miei parenti, e se non vorranno dartela, allora sarai sciolto dal giuramento che mi fai’. Oggi sono arrivato alla sorgente, e ho detto: ‘O Eterno, Dio del mio signore Abraamo, se hai piacere nel far prosperare il viaggio che ho intrapreso, ecco, io mi fermo presso questa sorgente; fa’ che la fanciulla che uscirà ad attingere acqua, alla quale dirò: - dammi da bere un po’ di acqua della tua brocca, - e che mi dirà: - Bevi pure, e ne attingerò anche per i tuoi cammelli, - sia la moglie che l’Eterno ha destinata al figlio del mio signore’. E prima che avessi finito di parlare in cuor mio, ecco uscire Rebecca con la sua brocca sulla spalla, scendere alla sorgente e attingere l’acqua. Allora io le ho detto: ‘Dammi da bere!’. E lei si è affrettata a calare la brocca dalla spalla, e mi ha risposto: ‘Bevi! e darò da bere anche ai tuoi cammelli’. Così ho bevuto io e lei ha abbeverato anche i cammelli. Poi l’ho interrogata, e le ho detto: ‘Di chi sei figlia?’. E lei ha risposto: ‘Sono figlia di Betuel figlio di Naor, che Milca gli partorì’. Allora io le ho messo l’anello al naso e i braccialetti ai polsi. E mi sono inchinato, ho adorato l’Eterno e ho benedetto l’Eterno, l’Iddio di Abraamo mio signore, che mi ha condotto per la giusta via a prendere per il figlio di Abraamo la figlia del fratello del mio signore. Ora, se volete usare benignità e fedeltà verso il mio signore, ditemelo; e se no, ditemelo lo stesso, e io mi volgerò a destra o a sinistra”. Allora Labano e Betuel risposero e dissero: “La cosa procede dall’Eterno; noi non possiamo dirti né male né bene. Ecco, Rebecca ti sta davanti, prendila, va’, e lei sia moglie del figlio del tuo signore, come l’Eterno ha detto”. Quando il servo di Abraamo udì le loro parole, si prostrò a terra davanti all’Eterno. Il servo tirò fuori poi oggetti d’argento e oggetti d’oro, e vesti, e li diede a Rebecca; e donò anche delle cose preziose a suo fratello e a sua madre. Poi mangiarono e bevvero, lui e gli uomini che erano con lui, e passarono lì la notte. La mattina, quando si furono alzàti, il servo disse: “Lasciatemi tornare al mio signore”. Ma il fratello e la madre di Rebecca dissero: “Rimanga la fanciulla ancora alcuni giorni con noi, almeno una decina; poi se ne andrà”. Ma egli rispose loro: “Non mi trattenete, siccome l’Eterno ha fatto prosperare il mio viaggio; lasciatemi partire, affinché io me ne torni al mio signore”. Allora dissero: “Chiamiamo la fanciulla e sentiamo lei stessa”. Chiamarono Rebecca, e le dissero: “Vuoi andare con quest’uomo?”, e lei rispose: “Sì, andrò”. Così lasciarono andare Rebecca loro sorella e la sua balia con il servo di Abraamo e la sua gente. Benedissero Rebecca e le dissero: “Sorella nostra, possa tu essere madre di migliaia di miriadi, e possa la tua progenie possedere la porta dei suoi nemici!”. Rebecca si alzò con le sue serve e montarono sui cammelli e seguirono quell’uomo. E il servo prese Rebecca e se ne andò. Ora Isacco era tornato dal pozzo di Lacai-Roï, e abitava nel paese del meridione. Isacco era uscito, sul far della sera, per meditare nella campagna; e, alzàti gli occhi, guardò, ed ecco venire dei cammelli. Rebecca, alzàti anche lei gli occhi, vide Isacco, saltò giù dal cammello, e disse al servo: “Chi è quell’uomo che viene nel campo incontro a noi?”. Il servo rispose: “È il mio signore”. E lei, preso il suo velo, si coprì. E il servo raccontò a Isacco tutto quello che aveva fatto. E Isacco portò Rebecca nella tenda di Sara sua madre, se la prese, e lei diventò sua moglie, ed egli l’amò. Così Isacco fu consolato dopo la morte di sua madre. Poi Abraamo prese un’altra moglie, per nome Chetura. E questa gli partorì Zimran, Iocsan, Medan, Madian, Isbac e Suac. Iocsan generò Seba e Dedan. I figli di Dedan furono gli Assurim, i Letusim e i Leummim. E i figli di Madian furono Efa, Efer, Enoc, Abida ed Eldaa. Tutti questi furono i figli di Chetura. E Abraamo diede tutto quello che possedeva a Isacco; ma ai figli delle sue concubine fece dei doni e, mentre era ancora in vita, li mandò lontano da suo figlio Isacco, verso levante, nel paese d’oriente. Ora tutto il tempo della vita di Abraamo fu di centosettantacinque anni. Poi Abraamo spirò in prospera vecchiaia, attempato e sazio di giorni, e fu riunito al suo popolo. E Isacco e Ismaele, suoi figli, lo seppellirono nella grotta di Macpela nel campo di Efron figlio di Soar l’Ittita, che è di fronte a Mamre: campo, che Abraamo aveva comprato dai figli di Chet. Qui furono sepolti Abraamo e Sara sua moglie. Dopo la morte di Abraamo, Dio benedisse Isacco suo figlio; e Isacco abitò presso il pozzo di Lacai-Roï. Ora questi sono i discendenti di Ismaele, figlio di Abraamo, che Agar, l’Egiziana, serva di Sara, aveva partorito ad Abraamo. Questi sono i nomi dei figli d’Ismaele, secondo le loro generazioni: Nebaiot, il primogenito di Ismaele; poi Chedar, Adbeel, Mibsam, Misma, Duma, Massa, Cadad, Tema, Ietur, Nafis e Chedma. Questi sono i figli di Ismaele, e questi i loro nomi, secondo i loro villaggi e i loro accampamenti. Furono i dodici capi dei loro popoli. Gli anni della vita di Ismaele furono centotrentasette; poi spirò, morì, e fu riunito al suo popolo. E i suoi figli abitarono da Avila fino a Sur, che è di fronte all’Egitto, andando verso l’Assiria. Egli si stabilì di fronte a tutti i suoi fratelli. Questi sono i discendenti di Isacco, figlio di Abraamo. Abraamo generò Isacco; e Isacco aveva quarant’anni quando prese per moglie Rebecca, figlia di Betuel, l’Arameo di Paddan-Aram, e sorella di Labano, l’Arameo. Isacco pregò con insistenza l’Eterno per sua moglie, perché lei era sterile. L’Eterno lo esaudì, e Rebecca, sua moglie, concepì. I bambini si urtavano nel suo seno; e lei disse: “Se così è, perché vivo?”. E andò a consultare l’Eterno. E l’Eterno le disse: “Due nazioni sono nel tuo seno, e due popoli separati usciranno dalle tue viscere. Uno dei due popoli sarà più forte dell’altro, e il maggiore servirà il minore”. Quando venne per lei il tempo di partorire, ecco che lei aveva due gemelli in seno. Il primo che uscì fuori era rosso, e tutto quanto come un mantello di pelo; e fu chiamato Esaù. Dopo uscì suo fratello, che con la mano teneva il tallone di Esaù; e fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando Rebecca li partorì. I due fanciulli crebbero, ed Esaù diventò un abile cacciatore, un uomo di campagna, e Giacobbe un uomo tranquillo, che se ne stava nelle tende. Ora Isacco amava Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto; e Rebecca amava Giacobbe. Appena Giacobbe si era fatto cuocere una minestra, Esaù giunse dai campi, tutto stanco. Ed Esaù disse a Giacobbe: “Dammi da mangiare un po’ di questa minestra rossa; perché sono stanco”. Per questo fu chiamato Edom. E Giacobbe gli rispose: “Vendimi prima di tutto la tua primogenitura”. Ed Esaù disse: “Ecco io sto per morire; a che mi giova la primogenitura?”. Allora Giacobbe disse: “Prima, giuramelo”. Ed Esaù glielo giurò, e vendette la sua primogenitura a Giacobbe. E Giacobbe diede a Esaù del pane e della minestra di lenticchie. Ed egli mangiò e bevve; poi si alzò, e se ne andò. Così Esaù disprezzò la primogenitura. Ci fu la carestia nel paese, oltre la prima carestia che c’era stata al tempo di Abraamo. E Isacco andò da Abimelec, re dei Filistei, a Gherar. L’Eterno gli apparve e gli disse: “Non scendere in Egitto; abita nel paese che io ti dirò. Soggiorna in questo paese, io sarò con te e ti benedirò, poiché io darò a te e alla tua discendenza tutti questi paesi, e manterrò il giuramento che feci ad Abraamo tuo padre, e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo, darò alla tua discendenza tutti questi paesi, e tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua progenie, perché Abraamo ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato, i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi”. Isacco abitò a Gherar. E quando la gente del luogo gli faceva delle domande intorno a sua moglie, egli rispondeva: “È mia sorella”; perché aveva paura di dire: “È mia moglie”. “Non vorrei”, egli pensava, “che la gente del luogo mi uccidesse, a motivo di Rebecca”. Poiché lei era di bell’aspetto. Ora, mentre il suo soggiorno si prolungava, avvenne che Abimelec, re dei Filistei, mentre guardava dalla finestra, vide Isacco che scherzava con Rebecca sua moglie. E Abimelec chiamò Isacco, e gli disse: “Certo, lei è tua moglie; come mai dunque, hai detto: ‘È mia sorella?’”. Isacco rispose: “Perché dicevo: ‘Non vorrei essere messo a morte a causa sua’”. E Abimelec: “Che cos’è questo che ci hai fatto? Poco è mancato che qualcuno del popolo si unisse a tua moglie, e tu ci avresti attirato addosso una grande colpa”. Abimelec diede quest’ordine a tutto il popolo: “Chiunque toccherà quest’uomo o sua moglie sia messo a morte”. Isacco seminò in quel paese, e in quell’anno raccolse il centuplo; e l’Eterno lo benedisse. Quest’uomo diventò grande, cresceva sempre più, finché diventò grande oltre misura. Fu padrone di greggi di pecore, di mandrie di buoi e di numerosa servitù. I Filistei lo invidiavano; e perciò otturarono e riempirono di terra tutti i pozzi che i servi di suo padre avevano scavati, al tempo di Abraamo suo padre. E Abimelec disse a Isacco: “Vattene da noi, poiché tu sei molto più potente di noi”. Isacco allora partì di là, si accampò nella valle di Gherar, e qui abitò. E Isacco scavò di nuovo i pozzi d’acqua che erano stati scavati al tempo di Abraamo suo padre, e che i Filistei avevano otturati dopo la morte di Abraamo; e li chiamò con gli stessi nomi con i quali li aveva chiamati suo padre. E i servi di Isacco scavarono nella valle, e trovarono un pozzo d’acqua viva. Ma i pastori di Gherar litigarono con i pastori di Isacco, dicendo: “L’acqua è nostra”. Ed egli chiamò il pozzo Esec, perché quelli avevano conteso con lui. Poi i servi scavarono un altro pozzo, e quelli litigarono anche per questo. E Isacco lo chiamò Sitna. Allora egli partì di là, scavò un altro pozzo per il quale quelli non litigarono. Ed egli lo chiamò Recobot “perché”, disse, “ora l’Eterno ci ha messi al largo, e noi prospereremo nel paese”. Poi di là Isacco salì a Beer-Sceba. L’Eterno gli apparve quella stessa notte, e gli disse: “Io sono l’Iddio di Abraamo tuo padre; non temere, poiché io sono con te e ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie per amore di Abraamo mio servo”. Egli costruì un altare in quel luogo, invocò il nome dell’Eterno e piantò la sua tenda. E i servi d’Isacco scavarono lì un pozzo. Abimelec andò da lui da Gherar con Auzat, suo amico, e con Picol, capo del suo esercito. E Isacco disse loro: “Perché venite da me, perché mi odiate e mi avete mandato via dal vostro paese?”. Quelli risposero: “Noi abbiamo chiaramente visto che l’Eterno è con te; e abbiamo detto: ‘Si faccia ora un giuramento fra noi, fra noi e te, e facciamo alleanza con te. Giura che non ci farai alcun male, così come noi non ti abbiamo toccato, e non ti abbiamo fatto altro che del bene, e ti abbiamo lasciato andare in pace. Tu sei ora benedetto dall’Eterno’”. Allora Isacco fece un convito per loro, ed essi mangiarono e bevvero. La mattina successiva si alzarono di buon’ora e si scambiarono un giuramento. Poi Isacco li accomiatò, e quelli partirono da lui in pace. In quello stesso giorno, i servi d’Isacco gli vennero a dare notizia del pozzo che avevano scavato, dicendogli: “Abbiamo trovato dell’acqua”. Ed egli lo chiamò Siba. Per questo la città porta il nome di Beer-Sceba, fino al giorno d’oggi. Ora Esaù, in età di quarant’anni, prese per moglie Giudit, figlia di Beeri, l’Ittita, e Basmat, figlia di Elon, l’Ittita. Esse furono causa di amarezza d’animo per Isacco e per Rebecca. Quando Isacco era diventato vecchio e i suoi occhi indeboliti non ci vedevano più, chiamò Esaù, suo figlio maggiore, e gli disse: “Figlio mio!”. Egli rispose: “Eccomi!”, e Isacco: “Ecco, io sono vecchio, e non conosco il giorno della mia morte. Prendi ora le tue armi, la tua faretra e il tuo arco, va’ fuori nei campi, prendimi un po’ di cacciagione, e preparami una pietanza saporita di quelle che mi piacciono; portamela perché io la mangi e l’anima mia ti benedica prima che io muoia”. Ora Rebecca stava ad ascoltare, mentre Isacco parlava a Esaù suo figlio. Così Esaù se ne andò nei campi per cacciare della selvaggina e portarla a suo padre. E Rebecca parlò a Giacobbe suo figlio, e gli disse: “Ecco, io ho udito tuo padre che parlava a Esaù tuo fratello, e gli diceva: Portami un po’ di cacciagione e fammi una pietanza saporita perché io la mangi e ti benedica davanti all’Eterno, prima che io muoia. Dunque, figlio mio, ubbidisci alla mia voce e fa’ quello che io ti comando. Va’ ora al gregge e prendimi due buoni capretti; e io ne farò una pietanza saporita per tuo padre, di quelle che gli piacciono. Tu la porterai a tuo padre, perché la mangi, e così ti benedica prima di morire”. Giacobbe disse a Rebecca sua madre: “Ecco, Esaù mio fratello è peloso, e io no. Può darsi che mio padre mi tasti; sarò allora da lui considerato un ingannatore, e mi attirerò addosso una maledizione, invece di una benedizione”. Allora sua madre gli rispose: “Questa maledizione ricada su di me, figlio mio! Ubbidisci pure alla mia voce, e va’ a prendermi i capretti”. Egli dunque andò a prenderli, e li portò a sua madre; e sua madre preparò una pietanza saporita, di quelle che piacevano a suo padre. Poi Rebecca prese i più bei vestiti di Esaù suo figlio maggiore, che aveva in casa presso di sé, e li fece indossare a Giacobbe suo figlio minore; e con le pelli dei capretti gli coprì le mani e il collo, che erano senza peli. Poi mise in mano a Giacobbe suo figlio la pietanza saporita e il pane che aveva preparato. Ed egli andò da suo padre e gli disse: “Padre mio!”. Isacco rispose: “Eccomi; chi sei tu, figlio mio?”. Giacobbe disse a suo padre: “Sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai detto. Su, àlzati, mettiti a sedere e mangia della mia cacciagione, affinché l’anima tua mi benedica”. E Isacco disse a suo figlio: “Come hai fatto a trovarne così presto, figlio mio?”, e quello rispose: “Perché l’Eterno, il tuo Dio, l’ha fatta venire sulla mia strada”. Isacco disse a Giacobbe: “Avvicinati, figlio mio, in modo che io ti tasti, per sapere se sei proprio mio figlio Esaù, o no”. Giacobbe dunque si avvicinò a Isacco suo padre e appena lo tastò, disse: “La voce è la voce di Giacobbe; ma le mani sono le mani di Esaù”. E non lo riconobbe, perché le sue mani erano pelose come le mani di Esaù, suo fratello: e lo benedisse. E disse: “Sei tu proprio mio figlio Esaù?”. Egli rispose: “Sì”. E Isacco gli disse: “Servimi, così che io mangi della cacciagione di mio figlio e l’anima mia ti benedica”. Così Giacobbe lo servì, e Isacco mangiò. Giacobbe gli portò anche del vino, ed egli bevve. Poi Isacco suo padre gli disse: “Su, avvicinati e baciami, figlio mio”. Ed egli si avvicinò e lo baciò. E Isacco sentì l’odore dei suoi vestiti, e lo benedisse dicendo: “Ecco, l’odore di mio figlio è come l’odore di un campo, che l’Eterno ha benedetto. Dio ti conceda della rugiada dei cieli e della fertilità della terra e abbondanza di frumento e di vino. Ti servano i popoli, e le nazioni si inchinino davanti a te. Sii padrone dei tuoi fratelli, e i figli di tua madre si inchinino davanti a te. Maledetto sia chiunque ti maledice, benedetto sia chiunque ti benedice!”. E avvenne che, appena Isacco ebbe finito di benedire Giacobbe e Giacobbe se n’era appena andato dalla presenza d’Isacco suo padre, Esaù suo fratello giunse dalla sua caccia. Anch’egli preparò una pietanza saporita, la portò a suo padre, e gli disse: “Si alzi mio padre, e mangi della caccia di suo figlio, affinché l’anima tua mi benedica”. E Isacco suo padre gli disse: “Chi sei tu?”, ed egli rispose: “Sono Esaù, il tuo figlio primogenito”. Isacco fu preso da un tremito fortissimo, e disse: “E allora, chi è che ha preso della caccia e me l’ha portata? Io ho mangiato di tutto prima che tu venissi, e l’ho benedetto; e benedetto egli sarà”. Quando Esaù udì le parole di suo padre, emise un grido forte e amarissimo. Poi disse a suo padre: “Benedici anche me, padre mio!”. Isacco rispose: “Tuo fratello è venuto con l’inganno e ha preso la tua benedizione”. Ed Esaù: “Non è forse a ragione che egli è stato chiamato Giacobbe? Mi ha già ingannato due volte: mi tolse la mia primogenitura, ed ecco che ora mi ha tolto la mia benedizione”. Poi aggiunse: “Non hai tu riservato qualche benedizione per me?”. Isacco rispose e disse a Esaù: “Ecco, io l’ho costituito tuo padrone, e gli ho dato tutti i suoi fratelli per servi, e l’ho provvisto di frumento e di vino; che potrei dunque fare per te, figlio mio?”. Allora Esaù disse a suo padre: “Non hai tu che questa benedizione, padre mio? Benedici anche me, o padre mio!”. Esaù alzò la voce e pianse. Isacco suo padre rispose e gli disse: “Ecco, la tua dimora sarà priva della fertilità della terra e della rugiada che scende dai cieli. Tu vivrai della tua spada, e sarai servo di tuo fratello; ma avverrà che, conducendo una vita errante, tu spezzerai il suo giogo dal tuo collo”. Ed Esaù iniziò a odiare Giacobbe a causa della benedizione data da suo padre; e disse in cuor suo: “I giorni del lutto di mio padre si avvicinano; allora ucciderò mio fratello Giacobbe”. Le parole di Esaù, suo figlio maggiore, furono riferite a Rebecca; e lei mandò a chiamare Giacobbe, suo figlio minore, e gli disse: “Ecco, Esaù, tuo fratello, vuole consolarsi a tuo riguardo, proponendosi di ucciderti. Ebbene, figlio mio, ubbidisci alla mia voce: àlzati, e fuggi a Caran da Labano mio fratello; e trattieniti lì qualche tempo, finché la furia di tuo fratello sia passata, finché l’ira di tuo fratello si sia stornata da te ed egli abbia dimenticato quello che tu gli hai fatto; e allora io ti farò ritornare di là. Perché dovrei essere io privata di voi due in uno stesso giorno?”. Poi Rebecca disse a Isacco: “Io sono disgustata della vita a causa di queste figlie di Chet. Se Giacobbe prende in moglie, tra le figlie di Chet, tra le figlie del paese, una donna come quelle, a che mi giova la vita?”. Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede quest’ordine: “Non prendere moglie tra le figlie di Canaan. Àlzati, vattene a Paddan-Aram, alla casa di Betuel, padre di tua madre, e prendi moglie là, tra le figlie di Labano, fratello di tua madre. E l’Iddio onnipotente ti benedica, ti renda fecondo e ti moltiplichi, in modo che tu diventi un’assemblea di popoli, e ti dia la benedizione di Abraamo: a te, e alla tua progenie con te; affinché tu possegga il paese dove sei andato peregrinando, e che Dio donò ad Abraamo”. Così Isacco fece partire Giacobbe, il quale se ne andò a Paddan-Aram da Labano, figlio di Betuel, l’Arameo, fratello di Rebecca, madre di Giacobbe e di Esaù. Esaù vide che Isacco aveva benedetto Giacobbe e l’aveva mandato a Paddan-Aram perché prendesse moglie e che, benedicendolo, gli aveva dato quest’ordine: “Non prendere moglie tra le figlie di Canaan”, e che Giacobbe aveva ubbidito a suo padre e a sua madre, e se n’era andato a Paddan-Aram. Esaù si accorse che le figlie di Canaan dispiacevano a Isacco suo padre; e andò da Ismaele, e prese per moglie, oltre quelle che aveva già, Maalat, figlia d’Ismaele, figlio di Abraamo, sorella di Nebaiot. Giacobbe partì da Beer-Sceba e se ne andò verso Caran. Capitò in un certo luogo dove passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, la pose come suo capezzale e si coricò lì. Fece un sogno: una scala appoggiata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; ed ecco gli angeli di Dio, che salivano e scendevano per la scala. L’Eterno stava al di sopra di essa, e gli disse: “Io sono l’Eterno, l’Iddio di Abraamo tuo padre e l’Iddio d’Isacco; la terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza; e la tua discendenza sarà come la polvere della terra, e tu ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione; e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. Ed ecco, io sono con te, e ti guarderò ovunque tu andrai, e ti riporterò in questo paese; poiché io non ti abbandonerò prima di aver fatto quello che ti ho detto”. Appena Giacobbe si svegliò dal suo sonno, disse: “Certo, l’Eterno è in questo luogo e io non lo sapevo!”; ebbe paura, e disse: “Com’è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!”. Allora Giacobbe si alzò la mattina di buon’ora, prese la pietra che aveva posta come suo capezzale, la eresse come pietra commemorativa e vi versò dell’olio sulla cima. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora, il nome della città era Luz. Poi Giacobbe fece un voto, dicendo: “Se Dio è con me, se mi guarda durante questo viaggio che faccio, se mi dà pane da mangiare e vesti per coprirmi, e se ritorno sano e salvo a casa di mio padre, l’Eterno sarà il mio Dio; e questa pietra che ho eretta come monumento, sarà la casa di Dio; e di tutto quello che tu darai a me, io, certamente, darò a te la decima”. Poi Giacobbe si mise in cammino e andò nel paese degli Orientali. Guardò, e vide un pozzo in un campo; ed ecco tre greggi di pecore, accovacciate lì vicino, perché a quel pozzo si abbeveravano le greggi; e la pietra sulla bocca del pozzo era grande. Lì si radunavano tutte le greggi; i pastori rotolavano la pietra dalla bocca del pozzo, abbeveravano le pecore, poi rimettevano al posto la pietra sulla bocca del pozzo. Giacobbe disse ai pastori: “Fratelli miei, di dove siete?”. Essi risposero: “Siamo di Caran”. Ed egli disse loro: “Conoscete Labano, figlio di Naor?”. Ed essi: “Lo conosciamo”. Egli disse: “Sta bene?”, e quelli: “Sta bene; ed ecco Rachele, sua figlia, che viene con le pecore”. Ed egli disse: “Ecco, è ancora pieno giorno e non è tempo di radunare il bestiame; abbeverate le pecore e portatele al pascolo”. Quelli risposero: “Non possiamo, finché tutte le greggi siano radunate; allora si rotola la pietra dalla bocca del pozzo, e abbeveriamo le pecore”. Mentre egli parlava ancora con loro, giunse Rachele con le pecore di suo padre; poiché era lei a pascolarle. Quando Giacobbe vide Rachele figlia di Labano, fratello di sua madre, e le pecore di Labano fratello di sua madre, si avvicinò, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo, e abbeverò il gregge di Labano fratello di sua madre. Allora Giacobbe baciò Rachele, alzò la voce, e pianse. Giacobbe fece sapere a Rachele che era parente di suo padre, e che era figlio di Rebecca. E lei corse a dirlo a suo padre. Appena Labano ebbe udito le notizie di Giacobbe figlio di sua sorella, gli corse incontro, l’abbracciò, lo baciò, e lo portò a casa sua. Giacobbe raccontò a Labano tutte queste cose; e Labano gli disse: “Tu sei proprio mie ossa e mia carne!”. Ed egli abitò con lui per un mese. Poi Labano disse a Giacobbe: “Dovrai servirmi per nulla perché sei mio parente? Dimmi quale deve essere il tuo salario”. Ora Labano aveva due figlie: la maggiore si chiamava Lea, e la minore Rachele. Lea aveva gli occhi delicati, ma Rachele era avvenente e di bell’aspetto. Giacobbe amava Rachele, e disse a Labano: “Io ti servirò sette anni, per Rachele tua figlia minore”. Labano rispose: “È meglio che io la dia a te piuttosto che a un altro uomo; resta con me”. Giacobbe servì sette anni per Rachele; e gli sembrarono pochi giorni, per l’amore che le portava. Poi Giacobbe disse a Labano: “Dammi mia moglie, poiché il mio tempo è compiuto, e io andrò da lei”. Allora Labano radunò tutta la gente del luogo, e fece un convito. Ma, la sera, prese Lea, sua figlia, e la condusse da Giacobbe, il quale si unì a lei. Labano diede la sua serva Zilpa come serva per Lea, sua figlia. L’indomani mattina, ecco che era Lea. Allora Giacobbe disse a Labano: “Che mi hai fatto? Non è per Rachele che io ti ho servito? Perché dunque mi hai ingannato?”. Labano rispose: “Non è usanza da noi dare la minore prima della maggiore. Finisci la settimana di questa; e ti daremo anche l’altra, per il servizio che presterai da me altri sette anni”. Giacobbe fece così, e finì la settimana di quel matrimonio; poi Labano gli diede in moglie Rachele sua figlia. E Labano diede la sua serva Bila come serva per Rachele, sua figlia. Giacobbe si unì pure a Rachele, e amò Rachele più di Lea, e servì Labano altri sette anni. L’Eterno, vedendo che Lea era odiata, la rese fertile; ma Rachele era sterile. Lea concepì e partorì un figlio, che chiamò Ruben; perché disse: “L’Eterno ha visto la mia afflizione; e ora mio marito mi amerà”. Poi concepì di nuovo e partorì un figlio, e disse: “L’Eterno ha udito che io ero odiata, e perciò mi ha dato anche questo figlio”. E lo chiamò Simeone. E concepì di nuovo e partorì un figlio, e disse: “Questa volta, mio marito sarà ben unito a me, poiché gli ho partorito tre figli”. Per questo fu chiamato Levi. E concepì di nuovo e partorì un figlio, e disse: “Questa volta celebrerò l’Eterno”. Perciò lo chiamò Giuda. E cessò di avere figli. Rachele, vedendo che non dava figli a Giacobbe, portò invidia a sua sorella, e disse a Giacobbe: “Dammi dei figli; altrimenti muoio”. Giacobbe si accese d’ira contro Rachele, e disse: “Sono io al posto di Dio che ti ha negato di essere fertile?”. E lei rispose: “Ecco la mia serva Bila; unisciti a lei, la quale partorirà sulle mie ginocchia, e, per mezzo di lei, avrò anche io dei figli”. E lei gli diede la sua serva Bila per moglie, e Giacobbe si unì a lei. Bila concepì e partorì un figlio a Giacobbe. Allora Rachele disse: “Dio mi ha reso giustizia, ha anche ascoltato la mia voce, e mi ha dato un figlio”. Perciò lo chiamò Dan. Bila, serva di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio. Rachele disse: “Ho sostenuto grandi lotte contro mia sorella, e ho vinto”. Perciò lo chiamò Neftali. Lea, vedendo che aveva cessato di avere figli, prese la sua serva Zilpa e la diede a Giacobbe per moglie. E Zilpa, serva di Lea, partorì un figlio a Giacobbe. Lea disse: “Che fortuna!”. E lo chiamò Gad. Poi Zilpa, serva di Lea, partorì a Giacobbe un secondo figlio. E Lea disse: “Sono felice! perché le fanciulle mi chiameranno beata”. Perciò lo chiamò Ascer. Ora Ruben uscì, al tempo della mietitura del grano, e trovò delle mandragole nei campi, e le portò a Lea sua madre. Allora Rachele disse a Lea: “Dammi delle mandragole di tuo figlio!”. E lei le rispose: “Ti sembra poco avermi tolto il marito, che mi vuoi togliere anche le mandragole di mio figlio?”. Rachele disse: “Ebbene, egli stia con te questa notte, in compenso delle mandragole di tuo figlio”. E come Giacobbe, sul far della sera, se ne tornava dai campi, Lea uscì a incontrarlo, e gli disse: “Devi entrare da me; poiché io ti ho ottenuto con le mandragole di mio figlio”. Ed egli stette con lei quella notte. Dio esaudì Lea, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio. E lei disse: “Dio mi ha dato la mia ricompensa, perché diedi la mia serva a mio marito”. E lo chiamò Issacar. Lea concepì ancora, e partorì a Giacobbe un sesto figlio. E Lea disse: “Dio mi ha dotata di buona dote; questa volta mio marito abiterà con me, poiché gli ho partorito sei figli”. E lo chiamò Zabulon. Poi partorì una figlia, e la chiamò Dina. Dio si ricordò anche di Rachele; Dio l’esaudì e la rese fertile; concepì e partorì un figlio, e disse: “Dio ha tolto la mia vergogna”. E lo chiamò Giuseppe, dicendo: “L’Eterno mi aggiunga un altro figlio”. Dopo che Rachele ebbe partorito Giuseppe, Giacobbe disse a Labano: “Dammi il permesso di andare a casa mia, nel mio paese. Dammi le mie mogli, per le quali ti ho servito, e i miei figli; e lasciami andare; poiché tu conosci bene il servizio che ti ho prestato”. E Labano gli disse: “Se ho trovato grazia davanti a te, rimani; perché so per esperienza che l’Eterno mi ha benedetto per causa tua”. Poi disse: “Fissa il tuo salario, e te lo darò”. Giacobbe gli rispose: “Tu sai in che modo io ti ho servito, e quello che è diventato il tuo bestiame nelle mie mani. Poiché quello che avevi prima che io venissi, era poco; ma ora è cresciuto oltremodo, e l’Eterno ti ha benedetto dovunque io ho messo il piede. Ora, quando lavorerò anche per la mia casa?”. Labano gli disse: “Che ti darò?”, e Giacobbe rispose: “Non mi dare nulla; se acconsenti a quello che sto per dirti, io pascerò di nuovo le tue greggi e ne avrò cura. Passerò quest’oggi in mezzo a tutte le tue greggi, mettendo da parte, fra le pecore, ogni agnello macchiato e vaiolato, e ogni agnello nero; e fra le capre, le vaiolate e le macchiate. E quello sarà il mio salario. Così, da ora in avanti, il mio diritto risponderà per me nel tuo cospetto, quando verrai ad accertare il mio salario: tutto ciò che non sarà macchiato o vaiolato fra le capre, e nero fra gli agnelli, sarà rubato, se si troverà presso di me”. Labano disse: “Ebbene, sia come dici tu!”. E quello stesso giorno mise da parte i capri striati e vaiolati e tutte le capre macchiate e vaiolate, tutto quello che aveva del bianco e tutto quel che era nero fra gli agnelli, e li affidò ai suoi figli. Labano frappose la distanza di tre giornate di cammino fra sé e Giacobbe; e Giacobbe pascolava il rimanente delle greggi di Labano. Giacobbe prese delle verghe verdi di pioppo, di mandorlo e di platano; fece delle scortecciature bianche, mettendo allo scoperto il bianco delle verghe. Poi collocò le verghe che aveva scortecciate, in vista delle pecore, nei rigagnoli, negli abbeveratoi dove le pecore venivano a bere; ed entravano in calore quando venivano a bere. Le pecore dunque entravano in calore avendo davanti quelle verghe, e partorivano agnelli striati, macchiati e vaiolati. Poi Giacobbe metteva da parte questi agnelli, e faceva rivolgere gli occhi delle pecore verso tutto quello che era striato e tutto quel che era nero nel gregge di Labano. Egli si formò così delle greggi a parte, che non unì alle greggi di Labano. Avveniva che, tutte le volte che le pecore vigorose del gregge entravano in calore, Giacobbe metteva le verghe nei rigagnoli, in vista delle pecore, perché le pecore entrassero in calore vicino alle verghe; ma quando le pecore erano deboli, non le metteva; così gli agnelli deboli erano di Labano, e i vigorosi di Giacobbe. E quest’uomo diventò ricco oltremisura, ed ebbe greggi numerosi, serve, servi, cammelli e asini. Giacobbe venne a sapere che i figli di Labano dicevano: “Giacobbe ha preso tutto quello che era di nostro padre; e con quello che era di nostro padre, si è fatto tutta questa ricchezza”. Giacobbe osservò pure il volto di Labano; ed ecco, non era più, verso di lui, quello di prima. Allora l’Eterno disse a Giacobbe: “Torna al paese dei tuoi padri e dai tuoi parenti; e io sarò con te”. Così Giacobbe mandò a chiamare Rachele e Lea perché venissero ai campi, presso il suo gregge, e disse loro: “Io vedo che il volto di vostro padre non è più, verso di me, quello di prima; ma l’Iddio di mio padre è stato con me. Ora voi sapete che io ho servito vostro padre con tutte le mie forze, mentre vostro padre mi ha ingannato, e ha cambiato il mio salario dieci volte; ma Dio non gli ha permesso di farmi del male. Quando diceva: ‘I macchiati saranno il tuo salario’, tutto il gregge partoriva agnelli macchiati; e quando diceva: ‘Gli striati saranno il tuo salario’, tutto il gregge partoriva agnelli striati. Così Dio ha tolto il bestiame a vostro padre, e me lo ha dato. E una volta avvenne, al tempo che le pecore entravano in calore, che io alzai gli occhi, e vidi, in sogno, che i maschi che montavano le femmine, erano striati, macchiati o chiazzati. E l’Angelo di Dio mi disse nel sogno: ‘Giacobbe!’. Io risposi: ‘Eccomi!’. Ed egli: ‘Alza ora gli occhi e guarda; tutti i maschi che montano le femmine, sono striati, macchiati o chiazzati; perché ho visto tutto quello che Labano ti fa. Io sono l’Iddio di Betel, dove tu hai unto una pietra commemorativa e mi facesti un voto. Ora àlzati, parti da questo paese, e torna al tuo paese natìo’”. Rachele e Lea risposero e gli dissero: “Noi abbiamo forse ancora qualche parte o eredità in casa di nostro padre? Lui non ci ha trattate da straniere, quando ci ha vendute e per di più ha mangiato il nostro denaro? Tutte le ricchezze che Dio ha tolto a nostro padre, sono nostre e dei nostri figli; ora fa’ pure tutto quello che Dio ti ha detto”. Allora Giacobbe si alzò, mise i suoi figli e le sue mogli sui cammelli, e portò via tutto il suo bestiame, tutti i beni che aveva acquistato, il bestiame che gli apparteneva e che aveva acquistato in Paddan-Aram, per andarsene da Isacco suo padre, nel paese di Canaan. Mentre Labano se n’era andato a tosare le sue pecore, Rachele rubò gli idoli di suo padre. Giacobbe partì segretamente da Labano, l’Arameo, senza dirgli che voleva fuggire. Così se ne fuggì, con tutto quello che aveva; e si alzò, passò il fiume, e si diresse verso il monte di Galaad. Il terzo giorno, fu annunciato a Labano che Giacobbe era fuggito. Allora egli prese con sé i suoi fratelli, lo inseguì per sette giornate di cammino, e lo raggiunse al monte di Galaad. Ma Dio venne da Labano l’Arameo, in un sogno della notte, e gli disse: “Guardati dal parlare a Giacobbe, né in bene né in male”. Labano dunque raggiunse Giacobbe. Ora Giacobbe aveva piantato la sua tenda sul monte; e anche Labano e i suoi fratelli avevano piantato le loro, sul monte di Galaad. Allora Labano disse a Giacobbe: “Che hai fatto? Mi hai ingannato e portato via le mie figlie come prigioniere di guerra. Perché te ne sei fuggito di nascosto, e mi hai ingannato, e non mi hai avvertito? Io ti avrei congedato con gioia e con canti, al suono di timpano e di cetra. E non mi hai neppure permesso di baciare i miei figli e le mie figlie! Tu hai agito da stolto. Sarebbe in mio potere farvi del male; ma l’Iddio di vostro padre mi ha parlato la notte scorsa, dicendo: ‘Guardati dal parlare a Giacobbe, né in bene né in male’. Ora dunque te ne sei di certo andato, perché desideravi la casa di tuo padre; ma perché hai rubato i miei dèi?”. Giacobbe rispose a Labano: “È che avevo paura, perché dicevo fra me che tu avresti potuto togliermi per forza le tue figlie. Ma chiunque sia colui presso il quale avrai trovato i tuoi dèi, egli deve morire! Alla presenza dei nostri fratelli, verifica ciò che è tuo fra le cose mie, e prenditelo!”. Ora Giacobbe ignorava che Rachele avesse rubato gli idoli. Labano dunque entrò nella tenda di Giacobbe, nella tenda di Lea e nella tenda delle due serve, ma non trovò nulla. E uscito dalla tenda di Lea, entrò nella tenda di Rachele. Rachele aveva preso gli idoli, li aveva messi nella sella del cammello, e si era posta sopra a sedere. Labano frugò tutta la tenda, e non trovò nulla. E lei disse a suo padre: “Non la prenda a male il mio signore se io non posso alzarmi davanti a te, perché ho le solite ricorrenze delle donne”. Ed egli cercò ma non trovò gli idoli. Allora Giacobbe si adirò e litigò con Labano e riprese a dirgli: “Qual è il mio delitto, qual è il mio peccato, perché tu mi abbia inseguito con tanto ardore? Tu hai frugato tutta la mia roba; che hai trovato di tutta la roba di casa tua? Mettilo qui davanti ai miei e i tuoi fratelli, e giudichino loro fra noi due! Ecco sono stato con te vent’anni; le tue pecore e le tue capre non hanno abortito, e io non ho mangiato i montoni del tuo gregge. Io non ti ho mai portato quello che le bestie feroci avevano sbranato; ne ho subìto il danno io; tu mi ridomandavi conto di quello che era stato rubato di giorno o rubato di notte. Di giorno, mi consumava il caldo; di notte, il gelo; e il sonno fuggiva dai miei occhi. Ecco sono in casa tua da vent’anni; ti ho servito quattordici anni per le tue due figlie, e sei anni per le tue pecore, e tu hai cambiato il mio salario dieci volte. Se l’Iddio di mio padre, l’Iddio di Abraamo e il Terrore d’Isacco non fosse stato con me, certo, tu mi avresti ora rimandato a vuoto. Dio ha visto la mia afflizione e la fatica delle mie mani, e la notte scorsa ha pronunciato la sua sentenza”. Labano rispose a Giacobbe, dicendo: “Queste figlie sono figlie mie, questi figli sono figli miei, queste pecore sono pecore mie, e tutto quello che vedi è mio. E cosa posso fare oggi a queste mie figlie o ai loro figli che esse hanno partorito? Ora dunque vieni, facciamo un patto fra me e te, e serva di testimonianza fra me e te”. Giacobbe prese una pietra, e la eresse come pietra commemorativa. E Giacobbe disse ai suoi fratelli: “Raccogliete delle pietre”. Ed essi presero delle pietre, ne fecero un mucchio, e presso il mucchio mangiarono. E Labano chiamò quel mucchio Iegar-Saaduta, e Giacobbe lo chiamò Galed. E Labano disse: “Questo mucchio è oggi testimone fra me e te”. Perciò fu chiamato Galed, e anche Mispa, perché Labano disse: “L’Eterno tenga l’occhio su di me e su di te quando non ci potremo vedere l’un l’altro. Se tu affliggi le mie figlie e se prendi altre mogli oltre le mie figlie, non ci sarà un uomo con noi; ma, bada, Dio sarà testimone fra me e te”. Labano disse ancora a Giacobbe: “Ecco questo mucchio di pietre, ed ecco la pietra commemorativa che io ho eretta fra me e te. Sia questo mucchio un testimone e sia questo monumento un testimone che io non passerò oltre questo mucchio per andare da te, e che tu non passerai oltre questo mucchio e questo monumento, per fare del male. L’Iddio di Abraamo e l’Iddio di Naor, l’Iddio di loro padre, sia giudice fra noi!”. Giacobbe giurò per il Terrore d’Isacco suo padre. Poi Giacobbe offrì un sacrificio sul monte, e invitò i suoi fratelli a mangiare del pane. Essi dunque mangiarono del pane, e passarono la notte sul monte. La mattina, Labano si alzò di buon’ora, baciò i suoi figli e le sue figlie, e li benedisse. Poi Labano se ne andò, e tornò a casa sua. Giacobbe continuò il suo cammino, e gli si fecero incontro degli angeli di Dio. Appena Giacobbe li vide, disse: “Questo è l’accampamento di Dio”; e chiamò quel luogo Maanaim. Giacobbe mandò davanti a sé dei messaggeri a Esaù suo fratello, nel paese di Seir, nella campagna di Edom. E diede loro quest’ordine: “Direte così a Esaù, mio signore: ‘Così dice il tuo servo Giacobbe: Io ho soggiornato presso Labano e sono rimasto lì fino ad ora; ho buoi, asini, pecore, servi e serve; e lo mando a dire al mio signore, per trovare grazia agli occhi tuoi’”. I messaggeri tornarono da Giacobbe, dicendo: “Siamo andati da tuo fratello Esaù, ed eccolo che ti viene incontro con quattrocento uomini”. Allora Giacobbe fu preso da grande paura e fu angosciato; divise in due schiere la gente che era con lui, le greggi, le mandrie, i cammelli, e disse: “Se Esaù viene contro una delle schiere e la batte, la schiera che rimane potrà salvarsi”. Poi Giacobbe disse: “O Dio di Abraamo mio padre, Dio di mio padre Isacco! O Eterno, che mi dicesti: ‘Torna al tuo paese e dai tuoi parenti e ti farò del bene’, io sono troppo piccolo per essere degno di tutta la benignità che hai usato e di tutta la fedeltà che hai dimostrato al tuo servo; poiché io passai questo Giordano con il mio bastone, e ora sono diventato due schiere. Liberami, ti prego, dalle mani di mio fratello, dalle mani di Esaù; perché io ho paura di lui e temo che venga e mi assalga, non risparmiando né madri né bambini. E tu dicesti: ‘Certo, io ti farò del bene, e farò diventare la tua progenie come la sabbia del mare, la quale non si può contare per quanta ce n’è’”. Egli passò qui quella notte; e di quello che aveva sotto mano prese qualcosa per fare un dono a suo fratello Esaù: duecento capre e venti capri, duecento pecore e venti montoni, trenta cammelle che allattavano con i loro piccoli, quaranta vacche e dieci tori, venti asine e dieci puledri. E li consegnò ai suoi servi, gregge per gregge separatamente, e disse ai suoi servi: “Passate davanti a me, e fate in modo che vi sia qualche intervallo fra gregge e gregge”. E diede quest’ordine al primo: “Quando mio fratello Esaù ti incontrerà e ti chiederà: ‘Di chi sei? Dove vai? A chi appartiene questo gregge che va davanti a te?’. Tu risponderai: ‘Al tuo servo Giacobbe, è un dono inviato al mio signore Esaù; ecco, egli stesso viene dietro a noi’”. Diede lo stesso ordine al secondo, al terzo, e a tutti quelli che seguivano le greggi, dicendo: “In questo modo parlerete a Esaù, quando lo troverete, e direte: ‘Ecco il tuo servo Giacobbe, che viene egli stesso dietro a noi’”. Perché diceva: “Io lo placherò con il dono che mi precede, e, dopo, vedrò la sua faccia; forse, mi farà una buona accoglienza”. Così il dono andò davanti a lui, ed egli passò la notte nell’accampamento. Si alzò, quella stessa notte, prese le sue due mogli, le sue due serve, i suoi undici figli, e passò il guado di Iabboc. Li prese, fece loro passare il torrente, e lo fece passare a tutto quello che possedeva. Giacobbe rimase solo, e un uomo lottò con lui fino all’apparire dell’alba. E quando quest’uomo vide che non lo poteva vincere, gli toccò la giuntura dell’anca; e la giuntura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui. L’uomo disse: “Lasciami andare, perché spunta l’alba”. E Giacobbe: “Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!”. E l’altro gli disse: “Qual è il tuo nome?”, egli rispose: “Giacobbe”. E quello disse: “Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con Dio e con gli uomini, e hai vinto”. Giacobbe allora gli disse: “Ti prego, palesami il tuo nome”. E quello rispose: “Perché chiedi il mio nome?”. E lo benedisse lì. E Giacobbe chiamò quel luogo Peniel, “perché”, disse, “ho visto Dio faccia a faccia, e la mia vita è stata risparmiata”. Il sole sorgeva appena egli ebbe passato Peniel; e Giacobbe zoppicava dall’anca. Per questo, fino a oggi, gli Israeliti non mangiano il nervo della coscia che passa per la giuntura dell’anca, perché quell’uomo aveva toccato la giuntura dell’anca di Giacobbe, al punto del nervo della coscia. Giacobbe alzò gli occhi, guardò, ed ecco Esaù che veniva, avendo con sé quattrocento uomini. Allora divise i figli fra Lea, Rachele e le due serve. Mise davanti le serve e i loro figli, poi Lea e i suoi figli, e in ultimo Rachele e Giuseppe. Ed egli stesso passò davanti a loro, si inchinò fino a terra sette volte, finché si fu avvicinato a suo fratello. Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, gli si gettò al collo, e lo baciò: e piansero. Poi Esaù, alzando gli occhi, vide le donne e i suoi fanciulli, e disse: “Chi sono questi qui che hai con te?”. Giacobbe rispose: “Sono i figli che Dio si è compiaciuto di dare al tuo servo”. Allora le serve si accostarono, esse e i loro figli, e si inchinarono. Si accostarono anche Lea e i suoi figli, e si inchinarono. Poi si accostarono Giuseppe e Rachele, e si inchinarono. Ed Esaù disse: “Che ne vuoi fare di tutta quella schiera che ho incontrata?”. Giacobbe rispose: “È per trovare grazia agli occhi del mio signore”. Ed Esaù: “Io ne ho tanta di roba, fratello mio; tieni per te ciò che è tuo”. Ma Giacobbe disse: “No, ti prego; se ho trovato grazia agli occhi tuoi, accetta il dono dalla mia mano, perché io ho visto il tuo volto, come uno vede il volto di Dio, e tu mi hai fatto una gradevole accoglienza. Accetta il mio dono che ti è stato recato; poiché Dio mi ha usato grande bontà, e io ho di tutto”. E insistette tanto, che Esaù l’accettò. Poi Esaù disse: “Partiamo, incamminiamoci, e io andrò davanti a te”. E Giacobbe rispose: “Il mio signore sa che i fanciulli sono di tenera età, e che ho con me delle pecore e delle vacche che allattano; se si forzassero per un giorno solo a camminare, le bestie morirebbero tutte. Passi il mio signore davanti al suo servo; e io verrò piano piano, al passo del bestiame che mi precederà, e al passo dei fanciulli, finché arrivi presso il mio signore, a Seir”. Ed Esaù disse: “Permetti almeno che io lasci con te un po’ della gente che ho con me”. Ma Giacobbe rispose: “E perché questo? Basta che io trovi grazia agli occhi del mio signore”. Così Esaù, in quel giorno stesso, rifece il cammino verso Seir. Giacobbe partì alla volta di Succot e costruì una casa per sé, e fece delle capanne per il suo bestiame; e per questo quel luogo fu chiamato Succot. Poi Giacobbe, tornando da Paddan-Aram, arrivò sano e salvo alla città di Sichem, nel paese di Canaan, e piantò le tende di fronte alla città. E comprò dai figli di Camor, padre di Sichem, per cento pezzi di denaro, la parte del campo dove aveva piantato le sue tende. Ed eresse lì un altare, e lo chiamò El-Eloè-Israel. Dina, la figlia che Lea aveva partorito a Giacobbe, uscì per vedere le figlie del paese. E Sichem, figlio di Camor l’Ivveo, principe del paese, avendola vista, la rapì, si unì a lei, e la violentò. E l’anima sua si appassionò per Dina, figlia di Giacobbe; egli amò la fanciulla, e parlò al cuore di lei. Poi disse a Camor suo padre: “Dammi questa fanciulla per moglie”. Ora Giacobbe udì che egli aveva disonorato sua figlia Dina; e quando i suoi figli erano ai campi con il suo bestiame, Giacobbe tacque finché non furono tornati. Allora Camor, padre di Sichem, si recò da Giacobbe per parlargli. E i figli di Giacobbe, appena ebbero udito il fatto, tornarono dai campi; questi uomini furono addolorati e fortemente adirati perché costui aveva commesso un’infamia in Israele, unendosi con la figlia di Giacobbe: cosa che non si doveva fare. E Camor parlò loro, dicendo: “L’anima di mio figlio Sichem si è unita strettamente a vostra figlia; dategliela per moglie e imparentatevi con noi; dateci le vostre figlie, e prendetevi le figlie nostre. Voi abiterete con noi, e il paese sarà a vostra disposizione; abitatelo, trafficate, e acquistate delle proprietà”. Allora Sichem disse al padre e ai fratelli di Dina: “Fate che io trovi grazia agli occhi vostri, e vi darò quello che mi direte. Imponetemi pure una grande dote e dei grandi doni; e io ve li darò come mi direte; ma datemi la fanciulla per moglie”. I figli di Giacobbe risposero a Sichem e a Camor suo padre, e parlarono loro con astuzia, perché Sichem aveva disonorato Dina loro sorella; e dissero loro: “Questa cosa non la possiamo fare; non possiamo dare nostra sorella a uno che non è circonciso; poiché questo, per noi, sarebbe una vergogna. Soltanto a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta: se vorrete essere come siamo noi, circoncidendo ogni maschio tra voi. Allora vi daremo le nostre figlie, e noi ci prenderemo le vostre; abiteremo con voi, e diventeremo un popolo solo. Ma se non ci volete ascoltare e non vi volete far circoncidere, noi prenderemo la nostra fanciulla e ce ne andremo”. Le loro parole piacquero a Camor e Sichem, figlio di Camor. Il giovane non indugiò a fare la cosa, perché era affezionato alla figlia di Giacobbe, ed era l’uomo più onorato in tutta la casa di suo padre. Camor e Sichem, suo figlio, vennero alla porta della loro città, e parlarono alla gente della loro città, dicendo: “Questa è gente pacifica, qui tra noi; rimanga dunque pure nel paese, e vi traffichi; poiché il paese è abbastanza ampio per loro. Noi prenderemo le loro figlie per mogli, e daremo le nostre a loro. Ma soltanto a questa condizione questa gente acconsentirà ad abitare con noi per formare un popolo solo: che ogni maschio fra noi sia circonciso, come sono circoncisi loro. Il loro bestiame, i loro beni, tutti i loro animali non saranno nostri? Acconsentiamo alla loro domanda ed essi abiteranno con noi”. E tutti quelli che uscivano dalla porta della città diedero ascolto a Camor e a Sichem suo figlio; e ogni maschio fu circonciso: ognuno di quelli che uscivano dalla porta della città. Ma il terzo giorno, mentre quelli erano sofferenti, due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva sicura, e uccisero tutti i maschi. Passarono anche a fil di spada Camor e Sichem suo figlio, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono. I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata; presero le loro greggi, le loro mandrie, i loro asini, quello che era in città, e quello che era per i campi, e portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro piccoli bambini, le loro mogli, e tutto quello che si trovava nelle case. Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: “Voi mi causate grande pena, mettendomi in cattiva luce presso gli abitanti del paese, presso i Cananei e i Ferezei. Io ho poca gente; essi si raduneranno contro di me e mi assaliranno, e sarò distrutto: io con la mia casa”. Ma essi risposero: “Doveva nostra sorella essere trattata come una prostituta?”. Dio disse a Giacobbe: “Àlzati, vattene a Betel, abita lì, e fa’ un altare all’Iddio che ti apparve, quando fuggivi davanti a tuo fratello Esaù”. Allora Giacobbe disse alla sua famiglia e a tutti quelli che erano con lui: “Togliete gli dèi stranieri che sono fra voi, purificatevi, e cambiatevi i vestiti; e alziamoci, andiamo a Betel, e io farò lì un altare all’Iddio che mi esaudì nel giorno della mia angoscia, e che è stato con me nel viaggio che ho fatto”. Ed essi diedero a Giacobbe tutti gli dèi stranieri che erano nelle loro mani e gli anelli che avevano agli orecchi; e Giacobbe li nascose sotto la quercia che è presso Sichem. Poi partirono, e un terrore mandato da Dio invase le città che erano intorno a loro; così non inseguirono i figli di Giacobbe. Giacobbe giunse a Luz, cioè Betel, che è nel paese di Canaan: egli con tutta la gente che aveva con sé; lì costruì un altare e chiamò quel luogo El-Betel, perché lì Dio gli era apparso, quando egli fuggiva davanti a suo fratello. Allora morì Debora, balia di Rebecca, e fu sepolta al di sotto di Betel, sotto la quercia, che fu chiamata Allon-Bacut. Dio apparve ancora a Giacobbe, quando questi veniva da Paddan-Aram; e lo benedisse. Dio gli disse: “Il tuo nome è Giacobbe; tu non sarai più chiamato Giacobbe, ma il tuo nome sarà Israele”. E lo chiamò Israele. Poi Dio gli disse: “Io sono l’Iddio Onnipotente; sii fertile e moltiplicati; una nazione, anzi una moltitudine di nazioni discenderà da te, e dei re usciranno dai tuoi lombi; e darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese che diedi ad Abraamo e a Isacco”. Dio andò via da lui risalendo dal luogo dove gli aveva parlato. Allora Giacobbe eresse un monumento di pietra nel luogo dove Dio gli aveva parlato; fece su di esso una libazione e sparse su dell’olio. E Giacobbe chiamò Betel il luogo dove Dio gli aveva parlato. Poi partirono da Betel. C’era ancora un certo tratto di strada prima di arrivare a Efrata, quando Rachele partorì: ebbe un parto difficile. Mentre penava a partorire, la levatrice le disse: “Non temere, perché ecco un altro figlio”. E mentre l’anima sua se ne andava, perché stava morendo, chiamò il bimbo Ben-Oni; ma il padre lo chiamò Beniamino. Rachele morì e fu sepolta sulla via di Efrata; cioè di Betlemme. Giacobbe eresse una pietra commemorativa sulla sua tomba. Questa pietra commemorativa della tomba di Rachele esiste tuttora. Poi Israele partì, e piantò la sua tenda al di là di Migdal-Eder. E avvenne che, mentre Israele abitava in quel paese, Ruben andò e si unì a Bila, concubina di suo padre. E Israele lo seppe. I figli di Giacobbe erano dodici. I figli di Lea: Ruben, primogenito di Giacobbe, Simeone, Levi, Giuda, Issacar, Zabulon. I figli di Rachele: Giuseppe e Beniamino. I figli di Bila, serva di Rachele: Dan e Neftali. I figli di Zilpa, serva di Lea: Gad e Ascer. Questi sono i figli di Giacobbe che gli nacquero a Paddan-Aram. Giacobbe venne da Isacco suo padre a Mamre, a Chiriat-Arba, cioè Ebron, dove Abraamo e Isacco avevano soggiornato. I giorni della vita di Isacco furono centottant’anni. E Isacco spirò, morì, e fu raccolto presso il suo popolo, vecchio e sazio di giorni; ed Esaù e Giacobbe, suoi figli, lo seppellirono. Questa è la discendenza di Esaù, cioè Edom. Esaù prese le sue mogli tra le figlie dei Cananei: Ada, figlia di Elon, l’Ittita; Oolibama, figlia di Ana, figlia di Sibeon, l’Ivveo; e Basmat, figlia di Ismaele, sorella di Nebaiot. Ada partorì a Esaù Elifaz; Basmat partorì Reuel; e Oolibama partorì Ieus, Ialam e Cora. Questi sono i figli di Esaù, che gli nacquero nel paese di Canaan. Esaù prese le sue mogli, i suoi figli, le sue figlie, tutte le persone della sua casa, le sue greggi, tutto il suo bestiame e tutti i beni che aveva messo assieme nel paese di Canaan, e se ne andò in un altro paese, lontano da Giacobbe suo fratello; siccome i loro beni erano troppo grandi perché essi potessero dimorare assieme; e il paese nel quale soggiornavano, non era sufficiente per loro a causa del loro bestiame. Così Esaù abitò sulla montagna di Seir. Esaù è Edom. Questa è la discendenza di Esaù, padre degli Edomiti, sulla montagna di Seir. Questi sono i nomi dei figli di Esaù: Elifaz, figlio di Ada, moglie di Esaù; Reuel figlio di Basmat, moglie di Esaù. I figli di Elifaz furono: Teman, Omar, Sefo, Gatam e Chenaz. Timna era la concubina di Elifaz, figlio di Esaù; ella partorì a Elifaz Amalec. Questi furono i figli di Ada, moglie di Esaù. E questi furono i figli di Reuel: Naat e Zerac, Samma e Mizza. Questi furono i figli di Basmat, moglie di Esaù. E questi furono i figli di Oolibama, figlia di Ana, figlia di Sibeon, moglie di Esaù; ella partorì a Esaù: Ieus, Ialam e Cora. Questi sono i capi dei figli di Esaù: Figli di Elifaz, primogenito di Esaù: il capo Teman, il capo Omar, il capo Sefo, il capo Chenaz, il capo Cora, il capo Gatam, il capo Amalec; questi sono i capi discesi da Elifaz, nel paese di Edom. E sono i figli di Ada. E questi sono i figli di Reuel, figlio di Esaù: il capo Naat, il capo Zerac, il capo Samma, il capo Mizza; questi sono i capi discesi da Reuel, nel paese di Edom. E sono i figli di Basmat, moglie di Esaù. E questi sono i figli di Oolibama, moglie di Esaù: il capo Ieus, il capo Ialam, il capo Cora; questi sono i capi discesi da Oolibama, figlia di Ana, moglie di Esaù. Questi sono i figli di Esaù, che è Edom, e questi sono i loro capi. Questi sono i figli di Seir il Coreo, che abitavano il paese: Lotan, Sobal, Sibeon, Ana, Dison, Eser e Disan. Questi sono i capi dei Corei, figli di Seir, nel paese di Edom. I figli di Lotan furono: Cori e Omam; e la sorella di Lotan fu Timna. E questi sono i figli di Sobal: Alvan, Manaat, Ebal, Sefo e Onam. E questi sono i figli di Sibeon: Aia e Ana. Questo è quell’Ana che trovò le acque calde nel deserto, mentre pasceva gli asini di Sibeon suo padre. E questi sono i figli di Ana: Dison e Oolibama, figlia di Ana. E questi sono i figli di Dison: Chemdan, Esban, Itran e Cheran. Questi sono i figli di Eser: Bilan, Zaavan e Acan. Questi sono i figli di Disan: Uz e Aran. Questi sono i capi dei Corei: il capo Lotan, il capo Sobal, il capo Sibeon, il capo Ana, il capo Dison, il capo Eser, il capo Disan. Questi sono i capi dei Corei, i capi che essi ebbero nel paese di Seir. Questi sono i re che regnarono nel paese di Edom, prima che alcun re regnasse sui figli di Israele: Bela, figlio di Beor, regnò in Edom, e il nome della sua città fu Dinaba. Bela morì, e Iobab, figlio di Zerac, di Bosra, regnò al posto suo. Iobab morì, e Cusam, nel paese dei Temaniti, regnò in luogo suo. Cusam morì, e Cadad, figlio di Bedad, che sconfisse i Madianiti nei campi di Moab, regnò al posto suo; e il nome della sua città fu Avit. Cadad morì, e Samla, di Masreca, regnò al posto suo. Samla morì, e Saul di Recobot sul Fiume, regnò al posto suo. Saul morì, e Baal-Anan, figlio di Acbor, regnò al posto suo. Baal-Anan, figlio di Acbor, morì, e Cadad regnò al posto suo. Il nome della sua città fu Pau, e il nome di sua moglie, Meetabeel, figlia di Matred, figlia di Mezaab. E questi sono i nomi dei capi di Esaù, secondo le loro famiglie, secondo i loro territori, con i loro nomi: il capo Timna, il capo Alva, il capo Ietet, il capo Oolibama, il capo Ela, il capo Pinon, il capo Chenaz, il capo Teman, il capo Mibsar, il capo Magdiel, il capo Iram. Questi sono i capi di Edom secondo le loro dimore, nel paese che possedevano. Questo è Esaù, il padre degli Edomiti. Giacobbe abitò nel paese dove suo padre aveva soggiornato, nel paese di Canaan. E questa è la discendenza di Giacobbe. Giuseppe, all’età di diciassette anni, pasceva il gregge con i suoi fratelli; e, giovane qual era, stava con i figli di Bila e con i figli di Zilpa, mogli di suo padre. E Giuseppe riferì a loro padre la cattiva fama che circolava sul loro conto. Ora Israele amava Giuseppe più di tutti gli altri suoi figli, perché era il figlio della sua vecchiaia; e gli fece una veste lunga con le maniche. E i suoi fratelli, vedendo che loro padre lo amava più di tutti gli altri fratelli, lo odiavano, e non potevano parlargli amichevolmente. Ora Giuseppe fece un sogno, e lo raccontò ai suoi fratelli; e questi lo odiarono ancora di più. Egli disse loro: “Ascoltate, vi prego, il sogno che ho fatto. Noi stavamo legando dei covoni in mezzo ai campi, quando ecco che il mio covone si alzò e si mantenne diritto; e i vostri covoni si radunarono intorno al mio covone, e gli si inchinarono davanti”. Allora i suoi fratelli gli dissero: “Dunque tu dovrai regnare su di noi? o dominarci?”. E lo odiarono più che mai a causa dei suoi sogni e delle sue parole. Egli fece ancora un altro sogno, e lo raccontò ai suoi fratelli, dicendo: “Ho fatto un altro sogno! Ed ecco che il sole, la luna e undici stelle s’inchinavano davanti a me”. Egli lo raccontò a suo padre e ai suoi fratelli; e suo padre lo sgridò, e gli disse: “Che significa questo sogno che hai fatto? Dunque io, tua madre e i tuoi fratelli dovremo venire a inchinarci davanti a te fino a terra?”. E i suoi fratelli lo invidiavano, ma suo padre serbava dentro di sé queste parole. I fratelli di Giuseppe erano andati a pascere il gregge del padre a Sichem. Israele disse a Giuseppe: “I tuoi fratelli non sono forse al pascolo a Sichem? Vieni, che ti manderò da loro”. Ed egli rispose: “Eccomi”. Israele gli disse: “Va’ a vedere se i tuoi fratelli stanno bene, e se tutto va bene con il gregge; e torna a dirmelo”. Così lo mandò dalla valle di Ebron, e Giuseppe arrivò a Sichem. E un uomo lo trovò mentre vagava per i campi e quest’uomo lo interrogò, dicendo: “Che cerchi?”. Egli rispose: “Cerco i miei fratelli; su, dimmi dove sono a pascere il gregge”. E quell’uomo gli disse: “Sono partiti di qui, perché li ho ascoltati che dicevano: ‘Andiamocene a Dotan’”. Giuseppe andò quindi in cerca dei suoi fratelli, e li trovò a Dotan. Essi lo scorsero da lontano; e prima che egli fosse vicino a loro, tramarono di ucciderlo. Allora dissero l’uno all’altro: “Ecco questo sognatore che viene! Ora dunque venite, uccidiamolo, e gettiamolo in una di queste cisterne; diremo poi che una bestia feroce lo ha divorato, e vedremo che ne sarà dei suoi sogni”. Ruben udì questo, e lo liberò dalle loro mani. Disse: “Non togliamogli la vita”. Poi Ruben aggiunse: “Non spargete sangue; gettatelo in quella cisterna che è nel deserto, ma non lo colpisca la vostra mano”. Diceva così, per liberarlo dalle loro mani e restituirlo a suo padre. Quando Giuseppe giunse presso i suoi fratelli, lo spogliarono della sua veste, della veste lunga con le maniche che aveva addosso; lo presero e lo gettarono nella cisterna. Ora la cisterna era vuota; non c’era acqua. Poi si misero a sedere per mangiare e, alzando gli occhi, videro una carovana di Ismaeliti, che veniva da Galaad, con i suoi cammelli carichi di aromi, di balsamo e di mirra, che portava in Egitto. Allora Giuda disse ai suoi fratelli: “Che ci guadagneremo a uccidere nostro fratello e a nascondere il suo sangue? Venite, vendiamolo agli Ismaeliti, e la nostra mano non lo colpisca, poiché è nostro fratello, nostra carne”. I suoi fratelli gli diedero ascolto. E come quei mercanti Madianiti passavano, essi tirarono fuori Giuseppe e lo fecero salire dalla cisterna, e lo vendettero per venti sicli d’argento a quegli Ismaeliti. E questi condussero Giuseppe in Egitto. Quando Ruben tornò alla cisterna, ecco che Giuseppe non era più nella cisterna. Allora egli si stracciò le vesti, tornò dai suoi fratelli, e disse: “Il fanciullo non c’è più; e io, dove andrò io?”. Essi presero la veste di Giuseppe, scannarono un capro, e intrisero la veste di sangue. Poi mandarono uno a portare a loro padre la veste lunga con le maniche, e gli fecero dire: “Abbiamo trovato questa veste; vedi tu se è quella di tuo figlio, o no”. Ed egli la riconobbe e disse: “È la veste di mio figlio; una bestia feroce lo ha divorato; certo, Giuseppe è stato sbranato”. Giacobbe si stracciò le vesti, si mise un cilicio sui fianchi, e fece cordoglio per suo figlio per molti giorni. Tutti i suoi figli e tutte le sue figlie vennero a consolarlo; ma egli rifiutò di essere consolato, e disse: “Io scenderò, facendo cordoglio, da mio figlio, nel soggiorno dei morti”. E suo padre lo pianse. Intanto quei Madianiti lo vendettero in Egitto a Potifar, ufficiale del Faraone, capitano delle guardie. In quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli e andò a stare da un uomo di Adullam, chiamato Chira. Lì Giuda vide la figlia di un Cananeo, chiamato Sua; se la prese e si unì a lei. Lei concepì e partorì un figlio, che chiamò Er. Poi concepì di nuovo, e partorì un figlio, che chiamò Onan. E partorì ancora un figlio, che chiamò Sela. Ora Giuda era a Chezib, quando lei lo partorì. Giuda prese per Er, suo primogenito, una moglie chiamata Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, era perverso agli occhi dell’Eterno e l’Eterno lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan: “Va’ dalla moglie di tuo fratello, prenditela in moglie in quanto cognato, e origina una discendenza a tuo fratello”. Onan, sapendo che quella discendenza non sarebbe stata sua, quando si accostava alla moglie di suo fratello, faceva in modo di impedire il concepimento, per non dare una discendenza al fratello. Ciò che egli faceva dispiacque all’Eterno, il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse a Tamar sua nuora: “Rimani vedova in casa di tuo padre, finché Sela, mio figlio, sia cresciuto”. Perché diceva: “Badiamo che anche egli non muoia come i suoi fratelli”. E Tamar se ne andò, e abitò in casa di suo padre. Passarono molti giorni, e morì la figlia di Sua, moglie di Giuda; e dopo che Giuda fu consolato, salì da quelli che tosavano le sue pecore a Timna; lui e il suo amico Chira, l’Adullamita. Di questo fu informata Tamar, e le fu detto: “Ecco, tuo suocero sale a Timna per tosare le sue pecore”. Allora lei si tolse le vesti da vedova, si coprì con un velo, se ne avvolse tutta, e si mise a sedere alla porta di Enaim, che è sulla via di Timna; poiché vedeva che nonostante Sela fosse cresciuto, lei non gli era stata data per moglie. Quando Giuda la vide, la scambiò per una prostituta, perché aveva il viso coperto. Accostandosi a lei sulla via, le disse: “Lasciami venire da te!”, poiché non sapeva che lei fosse sua nuora. E lei rispose: “Che mi darai per venire da me?”. Egli le disse: “Ti manderò un capretto del mio gregge”. E lei: “Mi darai un pegno finché tu non me lo abbia mandato?”. Ed egli: “Che pegno ti darò?”; l’altra rispose: “Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano”. Egli glieli diede, andò da lei, e lei rimase incinta di lui. Poi lei si alzò, e se ne andò; si tolse il velo, e si rimise le vesti da vedova. E Giuda mandò il capretto tramite il suo amico, l’Adullamita, al fine di ritirare il pegno dalle mani di quella donna; ma egli non la trovò. Interrogò la gente del luogo, dicendo: “Dov’è quella prostituta che stava a Enaim, sulla via?”. E quelli risposero: “Qui non c’è stata nessuna prostituta”. Egli allora se ne tornò a Giuda, e gli disse: “Non l’ho trovata; e, per di più, la gente del luogo mi ha detto: ‘Qui non c’è stata alcuna prostituta’”. E Giuda disse: “Si tenga pure il pegno, non incorriamo nel disprezzo. Ecco, io ho mandato questo capretto, e tu non l’hai trovata”. Ora circa tre mesi dopo, vennero a dire a Giuda: “Tamar, tua nuora, si è prostituita; e, per di più, eccola incinta in seguito alla sua prostituzione”. Giuda disse: “Portatela fuori, e sia bruciata!”. Come la portavano fuori, lei mandò a dire al suocero: “Sono incinta dell’uomo al quale appartengono queste cose”. E disse: “Riconosci, ti prego, di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone”. Giuda li riconobbe, e disse: “Lei è più giusta di me, perché io non l’ho data a Sela, mio figlio”. Ed egli non ebbe più relazioni con lei. Quando venne il tempo in cui doveva partorire, ecco che aveva in grembo due gemelli. E mentre partoriva, uno di loro mise fuori una mano; e la levatrice la prese, e legò a essa un filo scarlatto, dicendo: “Questo qui esce per primo”. Ma lui ritirò la mano, ed ecco uscire fuori suo fratello. Allora la levatrice disse: “Perché ti sei fatta questa breccia?”. Per questo motivo fu chiamato Perez. Poi uscì suo fratello, che aveva alla mano il filo scarlatto; e fu chiamato Zerac. Giuseppe fu condotto in Egitto; e Potifar, ufficiale del Faraone, capitano delle guardie, un Egiziano, lo comprò da quegli Ismaeliti, che lo avevano portato. L’Eterno fu con Giuseppe, il quale prosperava e stava in casa del suo signore, l’Egiziano. E il suo signore vide che l’Eterno era con lui, e che l’Eterno gli faceva prosperare nelle mani tutto quello che intraprendeva. Giuseppe entrò nelle sue grazie, e si occupava del servizio personale di Potifar, il quale lo fece maggiordomo della sua casa, e gli mise nelle mani tutto quello che possedeva. E da quando lo fece maggiordomo della sua casa, e gli affidò tutto quello che possedeva, l’Eterno benedisse la casa dell’Egiziano, per amore di Giuseppe; e la benedizione dell’Eterno riposò su tutto quello che lui possedeva, in casa e in campagna. Potifar lasciò tutto quello che aveva nelle mani di Giuseppe; e non si occupava più di nessuna cosa, tranne che del cibo che mangiava. Ora Giuseppe era di presenza avvenente e di bell’aspetto. Dopo queste cose avvenne che la moglie del signore di Giuseppe gli mise gli occhi addosso, e gli disse: “Unisciti a me”. Ma lui rifiutò e disse alla moglie del suo signore: “Ecco, il mio signore non mi chiede conto di nulla che è nella casa, e ha messo nelle mie mani tutto quello che ha; lui stesso non è più grande di me in questa casa; e non mi ha vietato nulla, tranne che te, perché sei sua moglie. Dunque, come potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?”. E, benché lei gliene parlasse ogni giorno, Giuseppe non acconsentì, né a unirsi né a stare con lei. Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro; e non c’era nessuno della gente di casa; lei lo afferrò per la veste, e gli disse: “Unisciti a me”. Ma lui le lasciò la veste in mano, e fuggì fuori. Quando lei vide che le aveva lasciato la veste in mano e che era fuggito fuori, chiamò la gente della sua casa, e parlò loro così: “Vedete, ci ha portato in casa un Ebreo per prendersi gioco di noi; egli è venuto da me per unirsi a me, ma io ho gridato a gran voce. E quando egli ha udito che io alzavo la voce e gridavo, mi ha lasciato qui la sua veste, ed è fuggito fuori”. E tenne accanto a sé la veste di lui, finché il suo signore non fu tornato a casa. Allora lei gli parlò in questa maniera: “Quel servo ebreo che tu ci hai portato, è venuto da me per prendersi gioco di me. Ma quando io ho alzato la voce e ho gridato, lui mi ha lasciato qui la sua veste ed è fuggito fuori”. Quando il signore di Giuseppe ascoltò le parole di sua moglie che gli diceva: “Il tuo servo mi ha fatto questo!”, s’infiammò d’ira. Allora il signore di Giuseppe lo prese e lo mise nella prigione, nel luogo dove si tenevano chiusi i carcerati del re. Egli fu dunque là in quella prigione. Ma l’Eterno fu con Giuseppe, e mostrò la sua benignità in suo favore, attirando su di lui le grazie del governatore della prigione. E il governatore della prigione affidò alla sorveglianza di Giuseppe tutti i detenuti che erano nel carcere; e non si faceva nulla senza di lui. Il governatore della prigione non rivedeva niente di quello che era affidato a lui, perché l’Eterno era con lui, e l’Eterno faceva prosperare tutto quello che egli intraprendeva. Dopo queste cose, avvenne che il coppiere e il panettiere del re d’Egitto offesero il loro signore, il re d’Egitto. Il Faraone si indignò contro i suoi due ufficiali, contro il capo dei coppieri e il capo dei panettieri, e li fece mettere in carcere, nella casa del capo delle guardie; nella prigione stessa dove era rinchiuso Giuseppe. Il capitano delle guardie li affidò alla sorveglianza di Giuseppe, il quale li serviva. Ed essi rimasero in prigione per un certo tempo. Durante una stessa notte, il coppiere e il panettiere del re d’Egitto, che erano rinchiusi nella prigione, fecero entrambi un sogno, un sogno per uno, e ogni sogno aveva il suo significato particolare. Giuseppe, venuto la mattina da loro, li guardò, e vide che erano turbati. Allora interrogò gli ufficiali del Faraone che erano con lui in prigione nella casa del suo signore, e disse: “Perché oggi avete il viso così triste?”. E quelli risposero: “Abbiamo fatto un sogno e non c’è nessuno che ce lo interpreti”. Allora Giuseppe disse loro: “Le interpretazioni non appartengono a Dio? Raccontatemi i sogni, vi prego”. Il capo dei coppieri raccontò il suo sogno a Giuseppe, e gli disse: “Nel mio sogno, ecco, mi stava davanti una vite; e in quella vite vi erano tre tralci; e mi sembrava che germogliasse, poi fiorisse, e desse infine dei grappoli d’uva matura. E io avevo in mano la coppa del Faraone; presi l’uva, la spremetti nella coppa del Faraone, e diedi la coppa in mano al Faraone”. Giuseppe gli disse: “Questa è l’interpretazione del sogno: i tre tralci sono tre giorni; ancora tre giorni, e Faraone ti farà rialzare il capo, ti ristabilirà nel tuo ufficio, e tu darai in mano al Faraone la sua coppa, nel modo che facevi prima, quando eri suo coppiere. Ma ricordati di me quando sarai felice, e sii benigno con me, ti prego; parla di me al Faraone e fammi uscire da questa casa, perché io fui portato via segretamente dal paese degli Ebrei, e anche qui non ho fatto nulla per essere messo in questo sotterraneo”. Il capo dei panettieri, vedendo che l’interpretazione di Giuseppe era favorevole, gli disse: “Anch’io, nel mio sogno, avevo tre canestri di pane bianco, sul capo; e nel canestro più alto c’era per Faraone ogni sorta di vivande cotte al forno; e gli uccelli le mangiavano dentro al canestro sul mio capo”. Giuseppe rispose e disse: “Questa è l’interpretazione del sogno: i tre canestri sono tre giorni; ancora tre giorni, e Faraone ti porterà via la testa dalle spalle, ti farà impiccare a un albero, e gli uccelli ti mangeranno la carne addosso”. E avvenne, il terzo giorno, che era il compleanno del Faraone, che questi diede un convito per tutti i suoi servitori, e fece alzare il capo al gran coppiere, e alzare il capo al gran panettiere in mezzo ai suoi servitori: ristabilì il gran coppiere nel suo ufficio di coppiere, perché mettesse la coppa in mano al Faraone, ma fece impiccare il gran panettiere, secondo l’interpretazione che Giuseppe aveva dato loro. Il gran coppiere però non si ricordò di Giuseppe, ma lo dimenticò. Dopo due anni interi, il Faraone fece un sogno. Stava presso il Fiume; e dal Fiume ecco salire sette vacche, di bell’aspetto e grasse, che si misero a pascere nella giuncaia. Dopo quelle, ecco salire dal Fiume altre sette vacche brutte di aspetto e scarne, che si fermarono vicino alle prime sulla riva del Fiume. Le vacche brutte di aspetto e scarne, divorarono le sette vacche di bell’aspetto e grasse. E il Faraone si svegliò. Poi si riaddormentò, e sognò di nuovo; ed ecco sette spighe, grasse e belle, venire su da un unico stelo. Poi ecco sette spighe, sottili e arse dal vento orientale, germogliare dopo quelle altre. Le spighe sottili inghiottirono le sette spighe grasse e piene. Allora il Faraone si svegliò: ed ecco, era un sogno. La mattina, lo spirito del Faraone era turbato; allora mandò a chiamare tutti i maghi e tutti i sapienti d’Egitto, e raccontò loro i suoi sogni, ma non ci fu nessuno che li potesse interpretare al Faraone. Allora il capo dei coppieri parlò al Faraone, dicendo: “Ricordo oggi i miei errori. Faraone si era offeso contro i suoi servitori, e mi aveva fatto mettere in prigione in casa del capo delle guardie: me, e il capo dei panettieri. L’uno e l’altro facemmo un sogno, nella stessa notte: facemmo ciascuno un sogno, che aveva il proprio significato. Ora c’era lì con noi un giovane ebreo, servo del capo delle guardie; a lui raccontammo i nostri sogni, ed egli ce li interpretò, dando a ciascuno l’interpretazione del suo sogno. E le cose avvennero secondo l’interpretazione che egli ci aveva data: Faraone ristabilì me nel mio ufficio, e l’altro lo fece impiccare”. Allora Faraone mandò a chiamare Giuseppe, il quale fu subito fatto uscire dalla prigione sotterranea. Egli si rasò, si cambiò il vestito, e andò dal Faraone. E il Faraone disse a Giuseppe: “Ho fatto un sogno, e non c’è chi lo possa interpretare; e ho udito dire di te che, quando ti hanno raccontato un sogno, tu lo puoi interpretare”. Giuseppe rispose al Faraone, dicendo: “Non sono io, ma sarà Dio che darà al Faraone una risposta favorevole”. Allora il Faraone disse a Giuseppe: “Nel mio sogno, io stavo sulla riva del Fiume; quando ecco salire dal Fiume sette vacche grasse e di bell’aspetto che si misero a pascere nella giuncaia. E, dopo quelle, ecco salire altre sette vacche magre, di aspetto bruttissimo e scarne: tali, che non ne vidi mai di così brutte in tutto il paese d’Egitto. E le vacche magre e brutte divorarono le prime sette vacche grasse; quelle entrarono nel loro corpo, ma non si riconobbe che vi fossero entrate: il loro aspetto era brutto come prima. E mi svegliai. Poi vidi ancora nel mio sogno sette spighe venire su da un unico stelo, piene e belle; ed ecco altre sette spighe vuote, sottili e arse dal vento orientale, germogliare dopo quelle altre. E le spighe sottili inghiottirono le sette spighe belle. Io ho raccontato questo ai maghi, ma non c’è stato nessuno che abbia saputo spiegarmelo”. Allora Giuseppe disse al Faraone: “Ciò che il Faraone ha sognato è una stessa cosa. Dio ha indicato al Faraone quello che sta per fare. Le sette vacche belle sono sette anni, e le sette spighe belle sono sette anni; è uno stesso sogno. E le sette vacche magre e brutte che salivano dopo quelle altre, sono sette anni; come pure le sette spighe vuote e arse dal vento orientale saranno sette anni di carestia. Questo è quello che ho detto al Faraone: Dio ha mostrato al Faraone quello che sta per fare. Ecco, stanno per venire sette anni di grande abbondanza in tutto il paese d’Egitto; e dopo, verranno sette anni di carestia; e tutta quell’abbondanza sarà dimenticata nel paese d’Egitto, e la carestia consumerà il paese. E uno non si accorgerà più di quell’abbondanza nel paese, a causa della carestia che seguirà; perché questa sarà molto dura. Quanto al fatto che il sogno si sia replicato due volte al Faraone vuol dire che la cosa è decretata da Dio, e che Dio l’eseguirà presto. Ora dunque Faraone si provveda un uomo intelligente e saggio e lo stabilisca sul paese d’Egitto. Il Faraone faccia così: Costituisca dei commissari sul paese per prelevare il quinto delle raccolte del paese d’Egitto, durante i sette anni dell’abbondanza. Ed essi raccolgano tutti i viveri di queste sette buone annate che stanno per venire, e ammassino il grano a disposizione del Faraone per l’approvvigionamento delle città, e lo conservino. Questi viveri saranno una riserva per il paese, in vista dei sette anni di carestia che verranno nel paese d’Egitto; e così il paese non sarà distrutto a causa della carestia”. La cosa piacque al Faraone e a tutti i suoi servitori. E il Faraone disse ai suoi servitori: “Potremmo trovare un uomo pari a questo, in cui sia lo Spirito di Dio?”. Così il Faraone disse a Giuseppe: “Siccome Dio ti ha fatto conoscere tutto questo, non c’è alcuno che sia intelligente e saggio quanto te. Tu sarai sopra la mia casa, e tutto il mio popolo ubbidirà ai tuoi ordini; per il trono soltanto, io sarò più grande di te”. Il Faraone disse a Giuseppe: “Vedi, io ti stabilisco su tutto il paese d’Egitto”. E il Faraone si tolse l’anello di mano e lo mise alla mano di Giuseppe; lo fece vestire di abiti di lino fino, e gli mise al collo una collana d’oro. Lo fece montare sul suo secondo carro, e davanti a lui si gridava: “In ginocchio!”. Così Faraone lo costituì su tutto il paese d’Egitto. Poi il Faraone disse a Giuseppe: “Io sono il Faraone! e senza te, nessuno alzerà la mano o il piede in tutto il paese d’Egitto”. E il Faraone chiamò Giuseppe Safnat-Paneac e gli diede per moglie Asenat figlia di Potifera, sacerdote di On. E Giuseppe partì per visitare il paese d’Egitto. Ora Giuseppe aveva trent’anni quando si presentò davanti al Faraone re d’Egitto. E Giuseppe uscì dal cospetto del Faraone, e percorse tutto il paese d’Egitto. Durante i sette anni di abbondanza, la terra produsse a piene mani; e Giuseppe raccolse tutti i viveri di quei sette anni che vennero nel paese d’Egitto, e ripose i viveri nelle città; ripose in ogni città i viveri del territorio circostante. Così Giuseppe ammassò grano come la sabbia del mare; in così gran quantità, che si smise di contarlo, perché era incalcolabile. Prima che arrivasse il primo anno della carestia, nacquero a Giuseppe due figli, che Asenat figlia di Potifera sacerdote di On gli partorì. Giuseppe chiamò il primogenito Manasse, perché, disse, “Dio mi ha fatto dimenticare ogni mio affanno e tutta la casa di mio padre”. E al secondo pose nome Efraim, perché, disse, “Dio mi ha reso fertile nel paese della mia afflizione”. I sette anni di abbondanza che erano stati nel paese d’Egitto, finirono; e cominciarono a venire i sette anni della carestia, come Giuseppe aveva detto. Ci fu carestia in tutti i paesi; ma in tutto il paese d’Egitto c’era del pane. Poi la carestia si estese a tutto il paese d’Egitto, e il popolo gridò al Faraone per avere del pane. E Faraone disse a tutti gli Egiziani: “Andate da Giuseppe, e fate quello che vi dirà”. La carestia era sparsa su tutta la superficie del paese, e Giuseppe aprì tutti i depositi e vendette grano agli Egiziani. E la carestia si aggravò nel paese d’Egitto. E da tutti i paesi si veniva in Egitto da Giuseppe per comprare del grano, perché la carestia era grave in tutta la terra. Giacobbe, vedendo che c’era del grano in Egitto, disse ai suoi figli: “Perché vi state a guardare l’uno con l’altro?”. Poi disse: “Ecco, ho sentito dire che c’è del grano in Egitto; scendete là per comprarne, così possiamo vivere e non dovremo morire”. Allora dieci dei fratelli di Giuseppe scesero in Egitto per comprare del grano. Ma Giacobbe non mandò Beniamino, fratello di Giuseppe, con i suoi fratelli, perché diceva: “Che non gli succeda qualche disgrazia!”. I figli d’Israele giunsero per comprare del grano in mezzo agli altri, che erano venuti; poiché nel paese di Canaan c’era la carestia. Giuseppe era colui che comandava nel paese; era lui che vendeva il grano a tutta la gente del paese; e i fratelli di Giuseppe arrivarono, e si prostrarono davanti a lui con la faccia a terra. Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma si finse straniero davanti a loro, e parlò loro aspramente, e gli disse: “Da dove venite?”, essi risposero: “Dal paese di Canaan per comprare dei viveri”. Così Giuseppe riconobbe i suoi fratelli, ma essi non riconobbero lui. Giuseppe si ricordò dei sogni che aveva avuto a loro riguardo, e disse: “Voi siete delle spie! Siete venuti per vedere i luoghi scoperti del paese!”. Ed essi a lui: “No, signor mio; i tuoi servitori sono venuti a comprare dei viveri. Siamo tutti figli di uno stesso uomo; siamo gente sincera; i tuoi servitori non sono delle spie”. Ed egli disse loro: “No, siete venuti per vedere i luoghi indifesi del paese!”; quelli risposero: “Noi, tuoi servitori, siamo dodici fratelli, figli di uno stesso uomo, del paese di Canaan. Ed ecco, il più giovane oggi è con nostro padre e uno non è più”. Allora Giuseppe disse loro: “La cosa è come vi ho detto; siete delle spie! Ecco come sarete messi alla prova: Per la vita del Faraone, non uscirete di qui prima che il vostro fratello più giovane sia venuto qua. Mandate uno di voi a prendere vostro fratello; e voi resterete qui in carcere, perché le vostre parole siano messe alla prova, e si veda se c’è del vero in voi; se no, per la vita del Faraone, siete delle spie!”. E li mise assieme in prigione per tre giorni. Il terzo giorno, Giuseppe disse loro: “Fate questo, e vivrete; io temo Dio! Se siete gente sincera, uno di voi fratelli resti qui incatenato nella nostra prigione, e voi andate, portate del grano per la necessità delle vostre famiglie; poi conducetemi vostro fratello più giovane; così le vostre parole saranno verificate, e voi non morirete”. Ed essi fecero così. E si dicevano l’uno all’altro: “Sì, noi fummo colpevoli verso nostro fratello, perché vedemmo l’angoscia dell’anima sua quando egli ci supplicava, e non gli demmo ascolto! Ecco perché ci viene addosso questa angoscia”. Ruben rispose loro, dicendo: “Non ve lo dicevo io: ‘Non commettete questo peccato contro il fanciullo’? Ma voi non mi voleste dare ascolto. Perciò, ecco, che il suo sangue ci è ridomandato”. Ora quelli non sapevano che Giuseppe li capiva, perché fra lui e loro c’era un interprete. Ed egli si allontanò da essi, e pianse. Poi tornò, parlò loro, e prese fra di loro Simeone, che fece incatenare sotto i loro occhi. Poi Giuseppe ordinò che si riempissero di grano i loro sacchi, che si rimettesse il denaro di ciascuno nel proprio sacco, e che si dessero loro delle provviste per il viaggio. E così fu fatto. Ed essi caricarono il grano sui loro asini, e se ne andarono. Ora uno di loro aprì il suo sacco per dare del foraggio al suo asino, nel luogo dove pernottavano, e vide che il suo denaro era alla bocca del sacco; e disse ai suoi fratelli: “Il mio denaro mi è stato restituito, ed eccolo qui nel mio sacco”. Allora il cuore gli venne meno, e, tremando, dicevano l’uno all’altro: “Che cos’è mai questo che Dio ci ha fatto?”. E arrivarono da Giacobbe, loro padre, nel paese di Canaan, e gli raccontarono tutto quello che era accaduto, dicendo: “L’uomo che è il signore del paese, ci ha parlato duramente e ci ha trattato come spie del paese. Allora noi gli abbiamo detto: ‘Siamo gente sincera; non siamo delle spie; siamo dodici fratelli, figli di nostro padre; uno non è più, e il più giovane oggi è con nostro padre nel paese di Canaan’. E quell’uomo, signore del paese, ci ha detto: ‘Da questo conoscerò se siete gente sincera; lasciate presso di me uno dei vostri fratelli, prendete quello che vi occorre per le vostre famiglie, partite, e portatemi il vostro fratello più giovane. Allora conoscerò che non siete delle spie ma gente sincera; io vi restituirò vostro fratello e voi potrete trafficare nel paese’”. Ora quando essi svuotarono i loro sacchi, ecco che il sacchetto del denaro di ciascuno era nel proprio sacco; essi e il padre loro videro i sacchetti del loro denaro, e si spaventarono. E Giacobbe, loro padre, disse: “Voi mi avete privato dei miei figli! Giuseppe non è più, Simeone non è più, e mi volete togliere anche Beniamino! Tutto questo cade addosso a me!”. Allora Ruben disse a suo padre: “Se non te lo riporto, fa’ morire i miei due figli! Affidalo a me, io te lo ricondurrò”. Ma Giacobbe rispose: “Mio figlio non scenderà con voi; poiché suo fratello è morto, ed è rimasto lui solo: se gli succedesse qualche disgrazia durante il vostro viaggio, fareste scendere con cordoglio la mia vecchiaia nel soggiorno dei morti”. La carestia era grave nel paese; e quando ebbero finito di mangiare il grano che avevano portato dall’Egitto, il padre disse loro: “Tornate a comprarci un po’ di viveri”. E Giuda gli rispose, dicendo: “Quell’uomo ce lo ha dichiarato severamente: ‘Non vedrete la mia faccia, se vostro fratello non sarà con voi’. Se tu mandi nostro fratello con noi, noi scenderemo e ti compreremo dei viveri; ma, se non lo mandi, non scenderemo; perché quell’uomo ci ha detto: ‘Non vedrete la mia faccia, se vostro fratello non sarà con voi’”. Allora Israele disse: “Perché mi avete fatto questo torto dicendo a quell’uomo che avevate ancora un fratello?”. Quelli risposero: “Quell’uomo c’interrogò minuziosamente intorno a noi e alla nostra famiglia, dicendo: ‘Vostro padre vive ancora? Avete qualche altro fratello?’. E noi rispondemmo a tono alle sue domande. Potevamo mai sapere che ci avrebbe detto: ‘Fate venire vostro fratello’?”. E Giuda disse a Israele suo padre: “Lascia venire il fanciullo con me, e ci alzeremo e andremo; e noi vivremo e non moriremo: né noi, né tu, né i nostri piccoli. Io mi rendo garante di lui, chiedine conto alla mia mano; se non te lo riconduco e non te lo rimetto davanti, io sarò per sempre colpevole verso di te. Se non avessimo indugiato, a quest’ora saremmo già tornati due volte”. Allora Israele, loro padre, disse loro: “Se è così, fate questo: Prendete nei vostri sacchi le cose più squisite di questo paese, e portate a quell’uomo un dono: un po’ di balsamo, un po’ di miele, degli aromi e della mirra, dei pistacchi e delle mandorle; e prendete con voi il doppio del denaro, e riportate il denaro che fu rimesso alla bocca dei vostri sacchi; forse fu un errore; prendete anche vostro fratello, e alzatevi, tornate da quell’uomo; e l’Iddio onnipotente vi faccia trovare grazia davanti a quell’uomo, in modo che egli vi rilasci l’altro vostro fratello e Beniamino. E se devo essere privato dei miei figli, che io lo sia!”. Quelli dunque presero il dono, presero con sé il doppio del denaro e Beniamino; e, partiti, scesero in Egitto, e si presentarono davanti a Giuseppe. Quando Giuseppe vide Beniamino con loro, disse al suo maggiordomo: “Conduci questi uomini in casa; macella, e prepara tutto; perché questi uomini mangeranno con me a mezzogiorno”. E l’uomo fece come Giuseppe aveva ordinato, e li portò in casa di Giuseppe. E quelli ebbero paura, perché erano condotti in casa di Giuseppe, e dissero: “Siamo portati qui a causa di quel denaro che ci fu rimesso nei sacchi la prima volta; egli vuole assalirci, precipitarsi su di noi e prenderci come schiavi, con i nostri asini”. E accostatisi al maggiordomo di Giuseppe, gli parlarono sulla porta della casa, e dissero: “Scusa, signor mio! noi scendemmo già una prima volta a comprare dei viveri; e avvenne che, quando fummo giunti al luogo dove pernottammo, aprimmo i sacchi, ed ecco il denaro di ciascuno di noi era alla bocca del proprio sacco: il nostro denaro del peso esatto; e noi l’abbiamo riportato con noi. E abbiamo portato con noi dell’altro denaro per comprare dei viveri; noi non sappiamo chi abbia messo il nostro denaro nei nostri sacchi”. Allora egli disse loro: “Datevi pace, non temete; il vostro Dio e l’Iddio di vostro padre ha messo un tesoro nei vostri sacchi. Io ho ricevuto il vostro denaro”. E, fatto uscire Simeone, lo condusse da loro. Quell’uomo li fece entrare in casa di Giuseppe; diede loro dell’acqua, ed essi si lavarono i piedi; ed egli diede del foraggio ai loro asini. Ed essi prepararono il regalo, aspettando che Giuseppe arrivasse a mezzogiorno; perché avevano capito che sarebbero rimasti lì a mangiare. E quando Giuseppe arrivò a casa, quelli gli porsero il dono che avevano portato con sé nella casa, e si inchinarono fino a terra davanti a lui. Egli domandò loro come stessero, e disse: “Vostro padre, il vecchio di cui mi parlaste, sta bene? Vive egli ancora?”. Quelli risposero: “Il padre nostro, tuo servo, sta bene; vive ancora”. E si inchinarono, e gli fecero riverenza. Poi Giuseppe alzò gli occhi, vide Beniamino suo fratello, figlio di sua madre, e disse: “Questo è il vostro fratello più giovane di cui mi parlaste?”. Poi disse a lui: “Dio ti sia propizio, figlio mio!”. E Giuseppe si affrettò a uscire, perché nel suo intimo si era commosso per suo fratello; e cercava un luogo dove piangere; entrò nella sua camera, e lì pianse. Poi si lavò la faccia, e uscì; si fece forza, e disse: “Portate il pranzo”. Fu dunque portato il cibo per lui a parte, e per loro a parte, e per gli Egiziani che mangiavano con loro, a parte; perché gli Egiziani non possono mangiare con gli Ebrei; per gli Egiziani è cosa abominevole. Ed essi si misero a sedere davanti a lui: il primogenito, secondo il suo diritto di primogenitura, e il più giovane secondo la sua età; e si guardavano l’un l’altro con meraviglia. E Giuseppe fece portare loro delle vivande che aveva davanti; ma la porzione di Beniamino era cinque volte maggiore di quella di ogni altro di loro. E bevvero, e stettero allegri con lui. Giuseppe diede quest’ordine al maggiordomo di casa sua: “Riempi i sacchi di questi uomini di tanti viveri quanti ne possono portare, e metti il denaro di ciascuno di essi alla bocca del suo sacco. E metti la mia coppa, la coppa d’argento, alla bocca del sacco del più giovane, assieme al denaro del suo grano”. Ed egli fece come Giuseppe aveva detto. La mattina, non appena fu giorno, quegli uomini furono fatti partire con i loro asini. E quando furono usciti dalla città e non erano ancora lontani, Giuseppe disse al maggiordomo di casa sua: “Àlzati, va’ dietro a quegli uomini; e quando li avrai raggiunti, di’ loro: ‘Perché avete reso male per bene? Non è quella la coppa nella quale il mio signore beve, e della quale si serve per indovinare? Avete fatto male a fare questo!’”. Egli li raggiunse, e disse loro quelle parole. Ed essi gli risposero: “Perché il mio signore ci rivolge parole come queste? Dio preservi i tuoi servitori dal fare una cosa simile! Ecco, noi ti abbiamo riportato dal paese di Canaan il denaro che avevamo trovato alla bocca dei nostri sacchi; dunque come avremmo rubato dell’argento e dell’oro dalla casa del tuo signore? Quello tra i tuoi servitori presso il quale si troverà la coppa, sia messo a morte; e noi pure saremo schiavi del tuo signore!”. Ed egli disse: “Ebbene, sia fatto come dite: colui presso il quale essa sarà trovata, sarà mio schiavo; e voi sarete innocenti”. In tutta fretta, ognuno di essi mise giù il suo sacco a terra, e ciascuno aprì il proprio. Il maggiordomo li frugò, cominciando da quello del maggiore, per finire con quello del più giovane; e la coppa fu trovata nel sacco di Beniamino. Allora quelli si stracciarono le vesti, ognuno ricaricò il suo asino, e tornarono alla città. Giuda e i suoi fratelli arrivarono alla casa di Giuseppe, il quale era ancora lì; e si gettarono a terra davanti a lui. E Giuseppe disse loro: “Che azione è questa che avete fatta? Non lo sapete che un uomo come me ha il potere di indovinare?”. Giuda rispose: “Che diremo al mio signore? quali parole useremo? o come ci giustificheremo? Dio ha ritrovato l’iniquità dei tuoi servitori. Ecco, siamo schiavi del mio signore: tanto noi, quanto colui in mano al quale è stata trovata la coppa”. Ma Giuseppe disse: “Mi guardi Iddio dal fare questo! L’uomo nella cui mano è stata trovata la coppa, sarà mio schiavo; quanto a voi, risalite in pace da vostro padre”. Allora Giuda si accostò a Giuseppe, e disse: “Di grazia, signore mio, permetti al tuo servitore di fare udire una parola al mio signore, e non si accenda la tua ira contro il tuo servitore! poiché tu sei come il Faraone. Il mio signore interrogò i suoi servitori, dicendo: ‘Avete voi padre o fratello?’ e noi rispondemmo al mio signore: ‘Abbiamo un padre che è vecchio, con un giovane figlio, che gli è nato nella vecchiaia; il fratello di questi è morto, così egli è rimasto solo dei figli di sua madre; e suo padre lo ama’. Allora tu dicesti ai tuoi servitori: ‘Conducetemelo, perché io lo veda con i miei occhi’. E noi dicemmo al mio signore: ‘Il fanciullo non può lasciare suo padre; perché, se lo lasciasse, suo padre morirebbe’. E tu dicesti ai tuoi servitori: ‘Se il vostro fratello più giovane non scende con voi, voi non vedrete più la mia faccia’. E come fummo risaliti da mio padre, tuo servitore, gli riferimmo le parole del mio signore. Poi nostro padre disse: ‘Tornate a comprarci un po’ di viveri’. E noi rispondemmo: ‘Non possiamo scendere laggiù; se nostro fratello più giovane verrà con noi, allora scenderemo; perché non possiamo vedere la faccia di quell’uomo, se il nostro fratello più giovane non è con noi’. E mio padre, tuo servitore, ci rispose: ‘Voi sapete che mia moglie mi partorì due figli; uno di loro partì da me, e io dissi: Certo egli è stato sbranato; e non l’ho più visto da allora; e se mi togliete anche questo, e se gli avviene qualche disgrazia, voi farete scendere con dolore la mia vecchiaia nel soggiorno dei morti’. Ora dunque, quando giungerò da mio padre, tuo servitore, se il fanciullo, all’anima del quale la sua è legata, non è con noi, avverrà che, quando avrà visto che il fanciullo non c’è, egli morirà; e i tuoi servitori avranno fatto scendere con cordoglio la vecchiaia del tuo servitore nostro padre nel soggiorno dei morti. Ora, siccome il tuo servitore si è reso garante del fanciullo presso mio padre, e gli ha detto: ‘Se non te lo riconduco sarò per sempre colpevole verso mio padre’, permetti ora che il tuo servitore rimanga schiavo del mio signore, al posto del fanciullo, e che il fanciullo se ne torni con i suoi fratelli. Perché, come farei a risalire da mio padre senza avere con me il fanciullo? Ah, che io non veda il dolore che causerebbe a mio padre!”. Allora Giuseppe non poté più contenersi davanti a tutti gli astanti, e gridò: “Fate uscire tutti dalla mia presenza!”. Nessuno rimase con Giuseppe quando egli si fece riconoscere dai suoi fratelli. Alzò la voce piangendo; gli Egiziani lo udirono, e lo udì la casa del Faraone. Allora Giuseppe disse ai suoi fratelli: “Io sono Giuseppe; mio padre vive egli tuttora?”. Ma i suoi fratelli non gli potevano rispondere, perché erano atterriti alla sua presenza. E Giuseppe disse ai suoi fratelli: “Su, avvicinatevi a me!”. Quelli si avvicinarono, ed egli disse: “Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse condotto in Egitto. Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qua; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Infatti, sono due anni che la carestia è nel paese; e ce ne saranno altri cinque, durante i quali non ci sarà né aratura né mèsse. Ma Dio mi ha mandato davanti a voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra, e per salvarvi la vita con una grande liberazione. Non siete dunque voi che mi avete mandato qua, ma è Dio; egli mi ha stabilito come padre del Faraone, signore di tutta la sua casa, e governatore di tutto il paese d’Egitto. Affrettatevi a risalire da mio padre, e ditegli: ‘Così dice tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l’Egitto; scendi da me, non tardare; tu abiterai nel paese di Goscen, e sarai vicino a me: tu e i tuoi figli, i figli dei tuoi figli, le tue greggi, i tuoi armenti, e tutto quello che possiedi. E qui io ti sostenterò (perché ci saranno ancora cinque anni di carestia), in modo che tu non sia ridotto alla miseria: tu, la tua famiglia, e tutto quello che possiedi’. Ed ecco, voi vedete con i vostri occhi, e mio fratello Beniamino vede con gli occhi suoi, che è proprio la bocca mia che vi parla. Raccontate dunque a mio padre tutta la mia gloria in Egitto, e tutto quello che avete visto; e fate in modo che mio padre scenda presto qua”. E gettandosi al collo di Beniamino, suo fratello, pianse; e Beniamino pianse sul suo collo. Baciò pure tutti i suoi fratelli, piangendo. E, dopo questo, i suoi fratelli si misero a parlare con lui. Il rumore della cosa si sparse nella casa del Faraone, e si disse: “Sono arrivati i fratelli di Giuseppe”. Il che piacque al Faraone e ai suoi servitori. Così Faraone disse a Giuseppe: “Di’ ai tuoi fratelli: ‘Fate questo: caricate le vostre bestie, e andate, tornate al paese di Canaan; prendete vostro padre e le vostre famiglie, e venite da me; io vi darò del meglio del paese d’Egitto, e voi mangerete il grasso del paese’. Tu hai l’ordine di dire loro: ‘Fate questo: Prendete nel paese di Egitto dei carri per i vostri piccoli e per le vostre mogli; conducete vostro padre, e venite. E non vi rincresca di lasciare le vostre cose; perché il meglio di tutto il paese d’Egitto sarà vostro’”. I figli d’Israele fecero così, e Giuseppe diede loro dei carri, secondo l’ordine del Faraone, e diede loro delle provviste per il viaggio. A tutti diede un abito di ricambio per ciascuno; ma a Beniamino diede trecento sicli d’argento e cinque cambi di vestiti; e a suo padre mandò questo: dieci asini carichi delle migliori cose d’Egitto, dieci asine cariche di grano, di pane e di viveri, per suo padre, durante il viaggio. Così congedò i suoi fratelli, e questi partirono; ed egli disse loro: “Non ci siano, lungo la strada, delle discussioni fra voi”. Ed essi risalirono dall’Egitto, e giunsero nel paese di Canaan da Giacobbe loro padre. E gli riferirono ogni cosa, dicendo: “Giuseppe vive tuttora, ed è il governatore di tutto il paese d’Egitto”. Ma il suo cuore rimase freddo, perché egli non credeva loro. Essi gli ripeterono tutte le parole che Giuseppe aveva detto loro; ed egli vide i carri che Giuseppe aveva mandato per portarlo via; allora lo spirito di Giacobbe loro padre si ravvivò, e Israele disse: “Basta; mio figlio Giuseppe vive tuttora; io andrò, e lo vedrò prima di morire”. Israele dunque partì con tutto quello che aveva e, giunto a Beer-Sceba, offrì sacrifici all’Iddio d’Isacco suo padre. Dio parlò a Israele in visioni notturne, e disse: “Giacobbe, Giacobbe!”. Ed egli rispose: “Eccomi!”. E Dio disse: “Io sono Dio, l’Iddio di tuo padre; non temere di scendere in Egitto, perché là ti farò diventare una grande nazione. Io scenderò con te in Egitto, e te ne farò anche sicuramente risalire; e Giuseppe ti chiuderà gli occhi”. Allora Giacobbe partì da Beer-Sceba; e i figli d’Israele fecero salire Giacobbe loro padre, i loro piccoli e le loro mogli sui carri che il Faraone aveva mandato per trasportarli. Ed essi presero il loro bestiame e i beni che avevano acquistato nel paese di Canaan, e giunsero in Egitto: Giacobbe, e tutta la sua famiglia con lui. Egli condusse con sé in Egitto i suoi figli, le sue figlie, le figlie dei suoi figli, e tutta la sua famiglia. Questi sono i nomi dei figli d’Israele che vennero in Egitto: Giacobbe e i suoi figli. Il primogenito di Giacobbe: Ruben. I figli di Ruben: Enoc, Pallu, Chesron e Carmi. I figli di Simeone: Iemuel, Iamin, Oad, Iachin, Soar e Saul, figlio di una Cananea. I figli di Levi: Gherson, Cheat e Merari. I figli di Giuda: Er, Onan, Sela, Perez e Zerac; ma Er e Onan morirono nel paese di Canaan; e i figli di Perez furono: Chesron e Camul. I figli di Issacar: Tola, Puva, Iob e Simron. I figli di Zabulon: Sered, Elon, e Ialeel. Questi sono i figli che Lea partorì a Giacobbe a Paddan-Aram, oltre Dina, sua figlia. I suoi figli e le sue figlie erano in tutto trentatré persone. I figli di Gad: Sifion, Agghi, Suni, Esbon, Eri, Arodi e Areli. I figli di Ascer: Imna, Tisva, Tisvi, Beria e Sera loro sorella. E i figli di Beria: Eber e Malchiel. Questi furono i figli di Zilpa che Labano aveva dato a Lea sua figlia; ed essa li partorì a Giacobbe: in tutto sedici persone. I figli di Rachele, moglie di Giacobbe: Giuseppe e Beniamino. E a Giuseppe, nel paese d’Egitto, nacquero Manasse ed Efraim, i quali Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di On, gli partorì. I figli di Beniamino: Bela, Becher, Asbel, Ghera, Naaman, Ei, Ros, Muppim, Cuppim e Ard. Questi sono i figli di Rachele che nacquero a Giacobbe: in tutto, quattordici persone. I figli di Dan: Cusim. I figli di Neftali: Iaseel, Guni, Ieser e Sillem. Questi sono i figli di Bila che Labano aveva dato a Rachele sua figlia, e lei li partorì a Giacobbe: in tutto, sette persone. Le persone che vennero con Giacobbe in Egitto, discendenti da lui, senza contare le mogli dei figli di Giacobbe, erano in tutto sessantasei. E i figli di Giuseppe, nati in Egitto, erano due. Il totale delle persone della famiglia di Giacobbe che vennero in Egitto, era di settanta. Ora Giacobbe mandò davanti a sé Giuda da Giuseppe, perché questi lo introducesse nel paese di Goscen. E giunsero nel paese di Goscen. Giuseppe fece attaccare il suo carro, e salì a Goscen per incontrare Israele, suo padre; gli si presentò, gli si gettò al collo, e pianse lungamente sul suo collo. E Israele disse a Giuseppe: “Ora, che io muoia pure, perché ho visto la tua faccia, e tu vivi ancora!”. E Giuseppe disse ai suoi fratelli e alla famiglia di suo padre: “Io salirò a informare Faraone, e gli dirò: ‘I miei fratelli e la famiglia di mio padre che erano nel paese di Canaan, sono venuti da me. Questi uomini sono pastori, poiché sono sempre stati allevatori di bestiame; e hanno condotto con sé le loro greggi, i loro armenti, e tutto quello che possiedono’. E quando Faraone vi farà chiamare e vi dirà: ‘Qual è la vostra occupazione?’, risponderete: ‘I tuoi servitori sono stati allevatori di bestiame dalla loro infanzia fino ad ora: così noi come i nostri padri’. Direte così, perché possiate abitare nel paese di Goscen. Poiché gli Egiziani hanno in abominio tutti i pastori”. Giuseppe andò quindi a informare Faraone, e gli disse: “Mio padre e i miei fratelli con i loro greggi, con i loro armenti e con tutto quello che hanno, sono venuti dal paese di Canaan; ed ecco, sono nel paese di Goscen”. E prese cinque uomini tra i suoi fratelli e li presentò al Faraone. E Faraone disse ai fratelli di Giuseppe: “Qual è la vostra occupazione?”. Ed essi risposero al Faraone: “I tuoi servitori sono pastori, come furono i nostri padri”. Poi dissero al Faraone: “Siamo venuti per abitare in questo paese, perché nel paese di Canaan non c’è pascolo per le greggi dei tuoi servitori; poiché la carestia è grave; permetti ora che i tuoi servi dimorino nel paese di Goscen”. E Faraone parlò a Giuseppe dicendo: “Tuo padre e i tuoi fratelli sono venuti da te; il paese d’Egitto ti sta davanti, fa’ abitare tuo padre e i tuoi fratelli nella parte migliore del paese; dimorino pure nel paese di Goscen; e se conosci fra loro degli uomini capaci, falli sovraintendenti del mio bestiame”. Poi Giuseppe portò Giacobbe suo padre dal Faraone, e glielo presentò. E Giacobbe benedisse Faraone. E Faraone disse a Giacobbe: “Quanti sono i giorni del tempo della tua vita?”. Giacobbe rispose al Faraone: “Gli anni della mia vita da pellegrino sono centotrenta; i giorni del tempo della mia vita sono stati pochi e cattivi, e non hanno raggiunto il numero dei giorni della vita dei miei padri, ai giorni dei loro pellegrinaggi”. Giacobbe benedisse ancora Faraone, e si ritirò dalla presenza di lui. Allora Giuseppe stabilì suo padre e i suoi fratelli, e diede loro una proprietà nel paese d’Egitto, nella parte migliore del paese, nella contrada di Ramses, come Faraone aveva ordinato. E Giuseppe sostentò suo padre, i suoi fratelli e tutta la famiglia di suo padre, provvedendoli di pane, secondo il numero dei figli. Ora in tutto il paese non c’era pane, perché la carestia era gravissima; il paese d’Egitto e il paese di Canaan penavano a causa della carestia. Giuseppe accumulò tutto il denaro che si trovava nel paese d’Egitto e nel paese di Canaan, come prezzo del grano che si comprava; e Giuseppe portò questo denaro nella casa del Faraone. E quando il denaro fu esaurito nel paese d’Egitto e nel paese di Canaan, tutti gli Egiziani vennero a Giuseppe e dissero: “Dacci del pane! Perché dovremmo morire in tua presenza? poiché il denaro è finito”. E Giuseppe disse: “Date il vostro bestiame; e io vi darò del pane in cambio del vostro bestiame, se non avete più denaro”. E quelli portarono a Giuseppe il loro bestiame; e Giuseppe diede loro del pane in cambio dei loro cavalli, dei loro greggi di pecore, delle loro mandrie di buoi e dei loro asini. Così fornì loro del pane per quell’anno, in cambio di tutto il loro bestiame. Passato quell’anno, tornarono da lui l’anno seguente, e gli dissero: “Noi non nasconderemo al mio signore che, essendo esaurito il denaro ed essendo passate al mio signore le mandrie del nostro bestiame, non resta più nulla che il mio signore possa prendere, tranne i nostri corpi e le nostre terre. E perché dovremmo morire sotto gli occhi tuoi, noi e le nostre terre? Compra noi e le nostre terre in cambio di pane; e noi con le nostre terre saremo schiavi del Faraone; dacci da seminare affinché possiamo vivere e non morire, e il suolo non diventi un deserto”. Così Giuseppe comprò per il Faraone tutte le terre d’Egitto; poiché gli Egiziani vendettero ognuno il proprio campo, perché la carestia li colpiva gravemente. Così il paese diventò proprietà del Faraone. Quanto al popolo, lo fece passare nelle città, da un capo all’altro dell’Egitto; soltanto le terre dei sacerdoti non le acquistò, perché i sacerdoti ricevevano una provvigione assegnata loro dal Faraone, e vivevano della provvigione che Faraone dava loro; per questo essi non vendettero le loro terre. Poi Giuseppe disse al popolo: “Ecco, oggi ho acquistato voi e le vostre terre per Faraone; ecco del seme; seminate la terra; e al tempo della raccolta, ne darete il quinto al Faraone, e quattro parti saranno vostre, per seminare i campi e per il vostro nutrimento, di quelli che sono in casa vostra, e per il nutrimento dei vostri bambini”. E quelli dissero: “Tu ci hai salvato la vita! ci sia dato di trovare grazia agli occhi del mio signore, e saremo schiavi del Faraone”. Giuseppe ne fece una legge, che dura fino al giorno d’oggi, secondo la quale un quinto del reddito delle terre d’Egitto era per Faraone; soltanto le terre dei sacerdoti non furono del Faraone. Così gli Israeliti abitarono nel paese d’Egitto, nel paese di Goscen; vi ebbero delle proprietà, crebbero, e si moltiplicarono oltremisura. Giacobbe visse nel paese d’Egitto diciassette anni; e i giorni di Giacobbe, gli anni della sua vita, furono centoquarantasette. E quando Israele si avvicinò al giorno della sua morte, chiamò suo figlio Giuseppe, e gli disse: “Se ho trovato grazia agli occhi tuoi, mettimi la mano sotto la coscia, e usami benignità e fedeltà; non mi seppellire in Egitto! ma, quando giacerò con i miei padri, portami fuori dall’Egitto e seppelliscimi nel loro sepolcro!”. Egli rispose: “Farò come tu dici”. E Giacobbe disse: “Giuramelo”. E Giuseppe glielo giurò. E Israele, rivolto al capo del letto, adorò. Dopo queste cose, avvenne che fu detto a Giuseppe: “Ecco, tuo padre è ammalato”. Ed egli prese con sé i suoi due figli, Manasse ed Efraim. Giacobbe ne fu informato, e gli fu detto: “Ecco, tuo figlio Giuseppe viene da te”. Allora Israele raccolse le sue forze, e si mise a sedere sul letto. Giacobbe disse a Giuseppe: “L’Iddio Onnipotente mi apparve a Luz nel paese di Canaan, mi benedisse, e mi disse: ‘Ecco, io ti farò fruttare, ti moltiplicherò, ti farò diventare una moltitudine di popoli, e darò questo paese alla tua progenie dopo di te, come una proprietà perenne. E ora, i tuoi due figli che ti sono nati nel paese d’Egitto prima che io venissi da te in Egitto, sono miei. Efraim e Manasse saranno miei, come Ruben e Simeone. Ma i figli che hai generato dopo di loro, saranno tuoi; essi saranno chiamati con il nome dei loro fratelli, quanto alla loro eredità. Quanto a me, quando tornavo da Paddan, Rachele morì, nel paese di Canaan, durante il viaggio, a qualche distanza da Efrata; e la seppellii lì, sulla via di Efrata, che è Betlemme. Israele guardò i figli di Giuseppe, e disse: “Questi, chi sono?”. E Giuseppe rispose a suo padre: “Sono miei figli, che Dio mi ha dato qui”. Ed egli disse: “Falli avvicinare a me, e io li benedirò”. Ora gli occhi d’Israele erano annebbiati a motivo dell’età, tanto che non ci vedeva più. E Giuseppe li fece avvicinare a lui, ed egli li baciò e li abbracciò. Poi Israele disse a Giuseppe: “Io non pensavo di rivedere più la tua faccia; ed ecco che Dio mi ha concesso di vedere anche la tua progenie”. Giuseppe li ritirò dalle ginocchia di suo padre, e si prostrò con la faccia a terra. Poi Giuseppe li prese entrambi: Efraim alla sua destra, alla sinistra d’Israele; e Manasse alla sua sinistra, alla destra d’Israele; e li fece avvicinare a lui. E Israele stese la sua mano destra, e la posò sul capo di Efraim che era il più giovane; e posò la sua mano sinistra sul capo di Manasse, incrociando le mani; poiché Manasse era il primogenito. E benedisse Giuseppe, e disse: “L’Iddio, nel cui cospetto camminarono i miei padri Abraamo e Isacco, l’Iddio che è stato il mio pastore da quando esisto fino a questo giorno, l’angelo che mi ha liberato da ogni male, benedica questi fanciulli! Siano chiamati con il mio nome e con il nome dei miei padri Abraamo e Isacco, e moltiplichino copiosamente sulla terra!”. Ora quando Giuseppe vide che suo padre posava la mano destra sul capo di Efraim, provò dispiacere, e prese la mano di suo padre per levarla dal capo di Efraim e metterla sul capo di Manasse. E Giuseppe disse a suo padre: “Non così, padre mio; perché questi è il primogenito; metti la tua mano destra sul suo capo”. Ma suo padre rifiutò e disse: “Lo so, figlio mio, lo so; anche egli diventerà un popolo, e anche egli sarà grande; tuttavia, suo fratello più giovane sarà più grande di lui, e la sua progenie diventerà una moltitudine di nazioni”. E in quel giorno li benedisse, dicendo: “Di voi si servirà Israele per benedire, dicendo: ‘Dio ti faccia simile a Efraim e a Manasse!’”. E mise Efraim prima di Manasse. Poi Israele disse a Giuseppe: “Ecco, io muoio; ma Dio sarà con voi, e vi ricondurrà nel paese dei vostri padri. E io ti do una parte di più rispetto ai tuoi fratelli: quella che conquistai dalle mani degli Amorei, con la mia spada e con il mio arco”. Poi Giacobbe chiamò i suoi figli, e disse: “Radunatevi, e vi annuncerò ciò che vi avverrà nei giorni a venire. Radunatevi e ascoltate, o figli di Giacobbe! Date ascolto a Israele, vostro padre! Ruben, tu sei il mio primogenito, la mia forza, la primizia del mio vigore, eminente in dignità ed eminente in forza. Impetuoso come l’acqua, tu non avrai la preeminenza, perché sei salito sul letto di tuo padre. Allora tu l’hai profanato. Egli è salito sul mio letto. Simeone e Levi sono fratelli: le loro spade sono strumenti di violenza. Non entri l’anima mia nel loro consiglio segreto, non si unisca la mia gloria alla loro adunanza! Poiché nella loro ira hanno ucciso degli uomini, e nella loro malvagità hanno tagliato i garretti ai tori. Maledetta l’ira loro, perché è stata violenta, e il loro furore perché è stato crudele! Io li dividerò in Giacobbe, e li disperderò in Israele. Giuda, i tuoi fratelli loderanno te; la tua mano sarà sulla nuca dei tuoi nemici; i figli di tuo padre si prostreranno davanti a te. Giuda è un giovane leone; tu risali dalla preda, figlio mio; egli si china, si accovaccia come un leone, come una leonessa: chi lo farà alzare? Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il bastone del comando dai suoi piedi, finché venga colui al quale esso appartiene, e al quale ubbidiranno i popoli. Egli lega il suo asinello alla vite, e il puledro della sua asina, alla vite migliore; lava la sua veste con il vino, e il suo manto con il sangue dell’uva. Egli ha gli occhi rossi dal vino, e i denti bianchi dal latte. Zabulon abiterà sulla costa dei mari; sarà sulla costa dove approdano le navi e il suo fianco si appoggerà a Sidone. Issacar è un asino robusto, sdraiato fra i tramezzi del chiuso. Egli ha visto che il riposo è buono, e che il paese è gradevole; ha curvato la spalla per portare il peso, ed è diventato un servo forzato al lavoro. Dan giudicherà il suo popolo, come una delle tribù di Israele. Dan sarà una serpe sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero, che morde i talloni del cavallo, in modo che il cavaliere cada all’indietro. Io ho aspettato la tua salvezza, o Eterno! Gad, l’assaliranno delle bande armate, ma egli a sua volta le assalirà e le inseguirà. Da Ascer verrà il pane saporito, ed egli fornirà delizie reali. Neftali è una cerva messa in libertà; egli dice delle belle parole. Giuseppe è un ramo d’albero fruttifero; un ramo d’albero fruttifero vicino a una sorgente; i suoi rami si stendono sopra il muro. Gli arcieri l’hanno provocato, gli hanno lanciato delle frecce, l’hanno perseguitato; ma il suo arco è rimasto saldo; le sue braccia e le sue mani sono state rinforzate dalle mani del Potente di Giacobbe, da colui che è il pastore e la roccia d’Israele, dall’Iddio di tuo padre che ti aiuterà, e dall’Altissimo che ti benedirà con benedizioni del cielo di sopra, con benedizioni dell’abisso che giace di sotto, con benedizioni delle mammelle e del grembo materno. Le benedizioni di tuo padre sorpassano le benedizioni dei miei progenitori, fino a raggiungere la cima delle colline eterne. Esse saranno sul capo di Giuseppe, sulla fronte del principe dei suoi fratelli. Beniamino è un lupo rapace; la mattina divora la preda, e la sera spartisce le spoglie”. Tutti costoro sono gli antenati delle dodici tribù d’Israele; e questo è quello che il loro padre disse loro, quando li benedisse. Li benedisse, dando a ciascuno la sua benedizione particolare. Poi impartì loro i suoi ordini, e disse: “Io sto per essere riunito al mio popolo; seppellitemi con i miei padri nella grotta che è nel campo di Efron l’Ittita, nella grotta che è nel campo di Macpela, di fronte a Mamre, nel paese di Canaan, la quale Abraamo comprò, con il campo, da Efron l’Ittita, come sepolcro di sua proprietà. Qui furono sepolti Abraamo e Sara sua moglie; qui furono sepolti Isacco e Rebecca sua moglie, e qui io vi seppellii Lea. Il campo e la grotta che vi si trova, furono comprati dai figli di Chet”. Quando Giacobbe ebbe finito di dare questi ordini ai suoi figli, ritirò i piedi nel letto, e spirò, e fu riunito al suo popolo. Allora Giuseppe si gettò sulla faccia di suo padre, pianse su lui, e lo baciò. Poi Giuseppe ordinò ai medici che erano al suo servizio, di imbalsamare suo padre; e i medici imbalsamarono Israele. Ci vollero quaranta giorni; perché tanto è il tempo che si impiega a imbalsamare; e gli Egiziani lo piansero settanta giorni. E quando i giorni del lutto fatto per lui furono passati, Giuseppe parlò alla casa del Faraone, dicendo: “Se ora ho trovato grazia agli occhi vostri, fate arrivare agli orecchi del Faraone queste parole: Mio padre mi ha fatto giurare e mi ha detto: ‘Ecco, io muoio; seppelliscimi nel mio sepolcro, che mi sono scavato nel paese di Canaan’. Ora dunque, permetti che io salga e seppellisca mio padre; poi tornerò”. E Faraone rispose: “Sali, e seppellisci tuo padre come ti ha fatto giurare”. Allora Giuseppe salì a seppellire suo padre; e con lui salirono tutti i servitori del Faraone, gli anziani della sua casa e tutti gli anziani del paese d’Egitto, e tutta la casa di Giuseppe e i suoi fratelli e la casa di suo padre. Non lasciarono nel paese di Goscen che i loro bambini, i loro greggi e i loro armenti. Con lui salirono pure carri e cavalieri; così che il corteo era numerosissimo. E come furono giunti all’aia di Atad, che è oltre il Giordano, fecero grandi e profondi lamenti; e Giuseppe fece a suo padre un lutto di sette giorni. Ora quando gli abitanti del paese, i Cananei, videro il lutto dell’aia di Atad, dissero: “Questo è un grave lutto per gli Egiziani!”. Perciò fu messo nome Abel-Misraim a quell’aia, che è oltre il Giordano. I figli di Giacobbe fecero per lui quello che egli aveva ordinato loro: lo trasportarono nel paese di Canaan, e lo seppellirono nella grotta del campo di Macpela, che Abraamo aveva comprato, con il campo, da Efron l’Ittita, come sepolcro di sua proprietà, di fronte a Mamre. Giuseppe, dopo aver sepolto suo padre, se ne tornò in Egitto con i suoi fratelli e con tutti quelli che erano saliti con lui a seppellire suo padre. I fratelli di Giuseppe, quando videro che loro padre era morto, dissero: “Chissà se Giuseppe non ci porti odio, e non ci renda tutto il male che gli abbiamo fatto!”. E mandarono a dire a Giuseppe: “Tuo padre, prima di morire, diede quest’ordine: Dite così a Giuseppe: “Perdona ora ai tuoi fratelli il loro misfatto e il loro peccato; perché ti hanno fatto del male. Perdona dunque ora il misfatto dei servi dell’Iddio di tuo padre!”. E Giuseppe, quando gli fu parlato così, pianse. E vennero anche i suoi fratelli, si prostrarono ai suoi piedi, e dissero: “Ecco, siamo tuoi servi”. E Giuseppe disse loro: “Non temete; poiché sono io forse al posto di Dio? Voi avevate pensato del male contro di me; ma Dio ha pensato di convertirlo in bene, per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso. Ora dunque non temete; io sostenterò voi e i vostri figli”. E li confortò, e parlò al loro cuore. Giuseppe abitò in Egitto: egli, con la casa di suo padre; e visse centodieci anni. Giuseppe vide i figli di Efraim, fino alla terza generazione; anche i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle sue ginocchia. E Giuseppe disse ai suoi fratelli: “Io sto per morire; ma Dio per certo vi visiterà, e vi farà salire da questo paese, nel paese che promise con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe”. Giuseppe fece giurare i figli d’Israele, dicendo: “Dio per certo vi visiterà; allora, trasportate di qui le mie ossa”. Poi Giuseppe morì, in età di centodieci anni; e fu imbalsamato, e posto in una bara in Egitto. Questi sono i nomi dei figli di Israele che vennero in Egitto. Essi ci vennero con Giacobbe, ciascuno con la sua famiglia: Ruben, Simeone, Levi e Giuda; Issacar, Zabulon e Beniamino; Dan e Neftali, Gad e Ascer. Tutte le persone discendenti da Giacobbe ammontavano a settanta. Giuseppe era già in Egitto. E Giuseppe morì, come morirono pure tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione. I figli di Israele furono fecondi, si moltiplicarono abbondantemente, diventarono numerosi e si fecero oltremodo potenti, e il paese ne fu ripieno. Sorse sopra l’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. Egli disse al suo popolo: “Ecco, il popolo dei figli di Israele è più numeroso e più potente di noi. Avanti, usiamo prudenza con essi; in modo che non si moltiplichino e, in caso di guerra, non si uniscano ai nostri nemici per combattere contro di noi e poi andarsene dal paese”. Stabilirono dunque sopra Israele dei sovrintendenti ai lavori, che l’opprimessero con le loro prepotenze. Israele costruì al Faraone le città di approvvigionamento, Pitom e Ramses. Ma più lo opprimevano, e più il popolo si moltiplicava e si estendeva; e gli Egiziani presero in avversione i figli di Israele, e fecero servire i figli di Israele con asprezza, e amareggiarono la loro vita con una dura servitù, adoperandoli nei lavori di argilla e di mattoni, e in ogni sorta di lavori nei campi. E imponevano loro tutti questi lavori, con asprezza. Il re d’Egitto parlò anche alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua. E disse: “Quando assisterete le donne ebree al tempo del parto, e le vedrete sulla sedia, se è un maschio, uccidetelo; ma se è una femmina, lasciatela vivere”. Ma le levatrici temettero Iddio, e non fecero quello che il re d’Egitto aveva ordinato loro; lasciarono vivere i maschi. Allora il re d’Egitto chiamò le levatrici, e disse loro: “Perché avete fatto questo, e avete lasciato vivere i maschi?”. E le levatrici risposero al Faraone: “È che le donne ebree non sono come le egiziane; sono vigorose, e, prima che la levatrice arrivi da loro, hanno partorito”. E Dio fece del bene a quelle levatrici; e il popolo si moltiplicò e divenne oltremodo potente. E siccome quelle levatrici temettero Iddio, egli fece prosperare le loro case. Allora Faraone ordinò al suo popolo: “Ogni maschio che nasce, gettatelo nel Fiume; ma lasciate vivere tutte le femmine”. Ora un uomo della casa di Levi andò e prese per moglie una figlia di Levi. Questa donna concepì, e partorì un figlio; e vedendo quanto era bello, lo tenne nascosto tre mesi. E quando non poté più tenerlo nascosto, prese un canestro fatto di giunchi, lo spalmò di bitume e di pece, vi pose dentro il bambino, e lo mise nel canneto sulla riva del Fiume. La sorella del bambino se ne stava a una certa distanza, per sapere quello che gli sarebbe accaduto. Ora, la figlia del Faraone scese a fare il bagno sulla riva del Fiume; e le sue ancelle passeggiavano lungo il Fiume. Lei vide il canestro nel canneto, e mandò la sua cameriera a prenderlo. Lo aprì, e vide il bimbo; ed ecco, il piccolo piangeva; e lei ne ebbe compassione, e disse: “Questo è uno dei figli degli Ebrei”. Allora la sorella del bambino disse alla figlia del Faraone: “Devo andare a chiamarti una balia tra le donne ebree che ti allatti questo bimbo?”. La figlia del Faraone le rispose: “Va’”. E la fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. E la figlia del Faraone le disse: “Porta via questo bambino, allattamelo, e io ti darò il tuo salario”. E quella donna prese il bambino e lo allattò. E quando il bambino fu cresciuto, lo condusse dalla figlia del Faraone: egli fu per lei come un figlio, e lo chiamò Mosè; “Perché”, disse, “io l’ho tratto dall’acqua”. In quei giorni, Mosè, già diventato grande, si recò a trovare i suoi fratelli, e notò i lavori di cui erano gravati, e vide un Egiziano, che percuoteva uno degli Ebrei suoi fratelli. Egli volse lo sguardo di qua e di là e, visto che non c’era nessuno, uccise l’Egiziano e lo nascose nella sabbia. Il giorno seguente uscì, ed ecco due Ebrei che litigavano; ed egli disse a quello che aveva torto: “Perché percuoti il tuo compagno?”. Ma quello rispose: “Chi ti ha costituito principe e giudice sopra di noi? Vuoi uccidere me come uccidesti l’Egiziano?”. Allora Mosè ebbe paura, e disse: “Certo, la cosa è nota”. E quando Faraone udì il fatto, cercò di uccidere Mosè; ma Mosè fuggì dalla presenza del Faraone, e si fermò nel paese di Madian; e si mise a sedere presso un pozzo. Ora, il sacerdote di Madian aveva sette figlie; ed esse vennero ad attingere l’acqua, e a riempire gli abbeveratoi per abbeverare il gregge di loro padre. Ma sopraggiunsero i pastori, che le scacciarono. Allora Mosè si alzò, prese la loro difesa, e abbeverò il loro gregge. E quando esse giunsero da Reuel loro padre, questi disse: “Come mai siete tornate così presto oggi?”. Ed esse risposero: “Un Egiziano ci ha liberate dalle mani dei pastori, e in più ci ha attinto l’acqua, ed ha abbeverato il gregge”. Allora egli disse alle sue figlie: “E dov’è? Chiamatelo, che prenda del cibo”. Mosè acconsentì a stare da quell’uomo; ed egli diede a Mosè Sefora, sua figlia. E lei partorì un figlio che egli chiamò Ghersom, “perché”, disse, “io soggiorno in terra straniera”. Ora, nel corso di quel tempo, che fu lungo, avvenne che il re d’Egitto morì; e i figli di Israele sospiravano a causa della schiavitù, e elevavano delle grida; e le grida che la schiavitù strappava loro salirono a Dio. Dio udì i loro gemiti; e Dio si ricordò del suo patto con Abraamo, con Isacco e con Giacobbe. E Dio vide i figli di Israele, e Dio ebbe riguardo alla loro condizione. Mosè pasceva il gregge di Ietro suo suocero, sacerdote di Madian; e guidando il gregge dietro al deserto, giunse alla montagna di Dio, a Oreb. E l’angelo dell’Eterno gli apparve in una fiamma di fuoco, in mezzo a un pruno. Mosè guardò, ed ecco il pruno era tutto in fiamme, ma non si consumava. Allora Mosè disse: “Ora voglio andare da quella parte a vedere questa grande visione e come mai il pruno non si consuma!”. E l’Eterno vide che egli si era scostato per andare a vedere. Dio lo chiamò di mezzo al pruno, e disse: “Mosè! Mosè!”. Ed egli rispose: “Eccomi”. E Dio disse: “Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai, è suolo sacro”. Poi aggiunse: “Io sono l’Iddio di tuo padre, l’Iddio di Abraamo, l’Iddio di Isacco e l’Iddio di Giacobbe”. Mosè si nascose la faccia, perché aveva paura di guardare Iddio. E l’Eterno disse: “Ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; perché conosco i suoi affanni; e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani, e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese dove scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. E ora, ecco, le grida dei figli di Israele sono giunte a me, e ho anche visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora dunque vieni e io ti manderò dal Faraone perché tu faccia uscire il mio popolo, i figli di Israele, dall’Egitto”. E Mosè disse a Dio: “Chi sono io per andare dal Faraone e per trarre i figli di Israele dall’Egitto?”. E Dio disse: “Va’, perché io sarò con te; e questo sarà per te il segno che sono io che ti ho mandato: quando avrai tratto il popolo dall’Egitto, voi servirete Iddio su questo monte”. E Mosè disse a Dio: “Ecco, quando sarò andato dai figli di Israele e avrò detto loro: ‘L’Iddio dei vostri padri mi ha mandato da voi’, se essi mi dicono: ‘Qual è il suo nome?’, che cosa risponderò loro?”. Iddio disse a Mosè: “Io sono colui che sono”. Poi disse: “Dirai così ai figli di Israele: ‘L’Io sono mi ha mandato da voi’”. Iddio disse ancora a Mosè: “Dirai così ai figli di Israele: ‘L’Eterno, l’Iddio dei vostri padri, l’Iddio di Abraamo, l’Iddio di Isacco e l’Iddio di Giacobbe mi ha mandato da voi’. Tale è il mio nome in perpetuo, tale la mia designazione per tutte le generazioni. Va’ e raduna gli anziani di Israele, e di’ loro: ‘L’Eterno, l’Iddio dei vostri padri, l’Iddio di Abraamo, di Isacco e di Giacobbe mi è apparso, dicendo: Certo, io vi ho visitati, e ho visto quello che si fa a voi in Egitto; e ho detto: Io vi trarrò fuori dall’afflizione d’Egitto, e vi farò salire nel paese dei Cananei, degli Ittiti, degli Amorei, dei Ferezei, degli Ivvei e dei Gebusei, in un paese dove scorre il latte e il miele’. Ed essi ubbidiranno alla tua voce; e tu, con gli anziani di Israele, andrai dal re d’Egitto, e gli direte: ‘L’Eterno, l’Iddio degli Ebrei, ci è venuto incontro; ora dunque, lasciaci andare tre giornate di cammino nel deserto per offrire sacrifici all’Eterno, al nostro Dio’. Ora io so che il re d’Egitto non vi permetterà di andare, se non forzato da una mano potente. Allora io stenderò la mia mano e colpirò l’Egitto con tutti i miracoli che farò in mezzo ad esso e, dopo questo, vi lascerà andare. Farò in modo che questo popolo trovi favore presso gli Egiziani; e avverrà che, quando ve ne andrete, non ve ne andrete a mani vuote; ma ogni donna domanderà alla sua vicina e alla sua inquilina degli oggetti d’argento, degli oggetti d’oro e dei vestiti; voi li metterete addosso ai vostri figli e alle vostre figlie, e così spoglierete gli Egiziani”. Mosè rispose e disse: “Ma ecco, essi non mi crederanno e non ubbidiranno alla mia voce, perché diranno: ‘L’Eterno non ti è apparso’”. L’Eterno allora gli disse: “Che cos’è quello che hai in mano?”. Egli rispose: “Un bastone”. E l’Eterno disse: “Gettalo a terra”. Egli lo gettò in terra, ed esso diventò un serpente; e Mosè fuggì davanti a quello. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Stendi la tua mano, e prendilo per la coda”. Egli stese la mano, e lo prese, ed esso ritornò un bastone nella sua mano. “Questo farai”, disse l’Eterno, “affinché credano che l’Eterno, l’Iddio dei loro padri, l’Iddio di Abraamo, l’Iddio di Isacco e l’Iddio di Giacobbe ti è apparso”. L’Eterno gli disse ancora: “Mettiti la mano nel petto”. Ed egli si mise la mano nel petto; poi la tirò fuori, ecco che la mano era lebbrosa, bianca come la neve. E l’Eterno gli disse: “Rimettiti la mano nel petto”. Egli si rimise la mano nel petto; poi, la tirò fuori dal petto, ecco che era ritornata come il resto della sua carne. “Ora avverrà”, disse l’Eterno, “che, se non ti crederanno e non daranno ascolto alla voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo segno; e se non crederanno neppure a questi due segni e non ubbidiranno alla tua voce, tu prenderai dell’acqua del Fiume, e la verserai sull’asciutto; e l’acqua che avrai preso dal Fiume, diventerà sangue sull’asciutto”. Mosè disse all’Eterno: “Ahimè, Signore, io non sono un oratore; non lo ero in passato, e non lo sono da quando tu hai parlato al tuo servo; poiché io sono lento di parola e di lingua”. E l’Eterno gli disse: “Chi ha fatto la bocca dell’uomo? o chi rende muto o sordo o veggente o cieco? non sono io, l’Eterno? Ora dunque va’, e io sarò con la tua bocca, e ti insegnerò quello che dovrai dire”. E Mosè disse: “O Signore, manda il tuo messaggio per mezzo di chi vorrai!”. Allora l’ira dell’Eterno si accese contro Mosè, ed egli disse: “Non c’è Aaronne tuo fratello, il Levita? Io so che parla bene. Ed ecco che sta uscendo per incontrarti e, quando ti vedrà, si rallegrerà in cuor suo. Tu gli parlerai, e gli metterai le parole in bocca; io sarò con la tua bocca e con la sua bocca, e vi insegnerò quello che dovrete fare. Egli parlerà per te al popolo; e così ti servirà da bocca, e tu sarai per lui come Dio. Ora prendi in mano questo bastone con il quale farai i prodigi”. Allora Mosè se ne andò, tornò da Ietro suo suocero, e gli disse: “Lascia che io me ne vada e torni dai miei fratelli che sono in Egitto, per vedere se sono ancora vivi”. E Ietro disse a Mosè: “Va’ in pace”. Ora, l’Eterno disse a Mosè in Madian: “Va’, tornatene in Egitto, perché tutti quelli che cercavano di toglierti la vita sono morti”. Mosè dunque prese sua moglie e i suoi figli, li mise su degli asini, e tornò nel paese d’Egitto; e Mosè prese nella sua mano il bastone di Dio. E l’Eterno disse a Mosè: “Quando sarai tornato in Egitto, avrai cura di fare davanti al Faraone tutti i prodigi che ti ho dato potere di compiere; ma io gli indurirò il cuore, ed egli non lascerà partire il popolo. E tu dirai al Faraone: ‘Così dice l’Eterno: Israele è mio figlio, il mio primogenito; e io ti dico: Lascia andare mio figlio, affinché mi serva; e se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io ucciderò tuo figlio, il tuo primogenito’”. E avvenne che, mentre Mosè era in viaggio, l’Eterno gli venne incontro nel luogo dove albergava, e cercò di farlo morire. Allora Sefora prese una selce tagliente, recise il prepuzio di suo figlio, e lo gettò ai piedi di Mosè, dicendo: “Sposo di sangue tu sei per me!”. E l’Eterno lo lasciò. Allora lei disse: “Sposo di sangue a causa della circoncisione”. L’Eterno disse ad Aaronne: “Va’ nel deserto incontro a Mosè”. Ed egli andò, lo incontrò al monte di Dio, e lo baciò. E Mosè riferì ad Aaronne tutte le parole che l’Eterno lo aveva incaricato di dire, e tutti i segni prodigiosi che gli aveva ordinato di fare. Mosè e Aaronne dunque andarono, e radunarono tutti gli anziani dei figli di Israele. E Aaronne riferì tutte le parole che l’Eterno aveva detto a Mosè, e fece i prodigi in presenza del popolo. E il popolo prestò loro fede. Essi compresero che l’Eterno aveva visitato i figli di Israele e aveva visto la loro afflizione, si inchinarono e adorarono. Dopo questo, Mosè e Aaronne si recarono dal Faraone, e gli dissero: “Così dice l’Eterno, l’Iddio di Israele: ‘Lascia andare il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto’”. Ma Faraone rispose: “Chi è l’Eterno che io debba ubbidire alla sua voce e lasciare andare Israele? Io non conosco l’Eterno, e non lascerò affatto andare Israele”. Ed essi dissero: “L’Iddio degli Ebrei si è presentato a noi; lasciaci andare tre giornate di cammino nel deserto per offrire sacrifici all’Eterno, che è il nostro Dio, affinché egli non ci colpisca con la peste o con la spada”. E il re d’Egitto disse loro: “Perché, Mosè e Aaronne, distraete il popolo dai suoi lavori? Andate a fare quello che vi è imposto!”. E Faraone disse: “Ecco, ora il popolo è numeroso nel paese, e voi gli fate interrompere i lavori che gli sono imposti”. E quello stesso giorno Faraone diede quest’ordine agli ispettori del popolo e ai suoi sorveglianti: “Voi non darete più, come prima, la paglia al popolo per fare i mattoni; vadano essi a raccogliere della paglia! E imponete loro la stessa quantità di mattoni di prima, senza alcuna diminuzione; perché sono dei pigri; e però gridano dicendo: ‘Andiamo a offrire sacrifici al nostro Dio!’. Questa gente sia caricata di lavoro; e si occupi di quello senza badare a parole false’. Allora gli ispettori del popolo e i sorveglianti uscirono e dissero al popolo: “Così dice Faraone: ‘Io non vi darò più paglia’. Andate voi a procurarvi della paglia dove ne potrete trovare, ma il vostro lavoro non diminuisca per nulla’. Così il popolo si sparse per tutto il paese d’Egitto, per raccogliere della stoppia da usare come paglia. E gli ispettori li sollecitavano dicendo: “Completate i vostri lavori giorno per giorno, come quando c’era la paglia!”. E i sorveglianti dei figli di Israele stabiliti sopra di loro dagli ispettori del Faraone, furono percossi; e fu loro detto: “Perché non avete fornito, ieri e oggi come prima, la quantità di mattoni che vi è imposta?”. Allora i sorveglianti dei figli di Israele andarono a lamentarsi dal Faraone, dicendo: “Perché tratti così i tuoi servitori? Non si dà più paglia ai tuoi servitori, e ci si dice: ‘Fate dei mattoni!’ ed ecco che i tuoi servitori sono percossi, e il tuo popolo è considerato come colpevole!”. Ed egli rispose: “Siete dei pigri! siete dei pigri! Per questo dite: ‘Andiamo a offrire sacrifici all’Eterno’. Ora dunque andate a lavorare! non vi si darà più paglia e fornirete la quantità di mattoni prescritta”. I sorveglianti dei figli di Israele si videro ridotti a mal partito, perché si diceva loro: “Non diminuite per nulla il numero dei mattoni imposto giorno per giorno”. Uscendo dal Faraone, incontrarono Mosè e Aaronne, che stavano ad aspettarli, e dissero loro: “L’Eterno volga il suo sguardo su voi, e giudichi! poiché ci avete messi in cattiva luce davanti al Faraone e davanti ai suoi servitori, e gli avete messo la spada in mano perché ci uccida”. Allora Mosè tornò dall’Eterno, e disse: “Signore, perché hai fatto del male a questo popolo? Perché dunque mi hai mandato? Poiché, da quando sono andato dal Faraone per parlargli in tuo nome, egli ha maltrattato questo popolo, e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo”. L’Eterno disse a Mosè: “Ora vedrai quello che farò al Faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare; anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese”. Allora Dio parlò a Mosè, e gli disse: “Io sono l’Eterno, e apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come l’Iddio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro sotto il mio nome di Eterno. Stabilii pure il mio patto con loro, promettendo di dare loro il paese di Canaan, il paese dei loro pellegrinaggi, nel quale soggiornavano. Ho anche udito i gemiti dei figli di Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù, e mi sono ricordato del mio patto. Perciò di’ ai figli di Israele: ‘Io sono l’Eterno, vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi emanciperò dalla loro schiavitù, e vi redimerò con braccio steso e con grandi giudizi. Vi prenderò per mio popolo, e sarò vostro Dio; e voi conoscerete che io sono l’Eterno, il vostro Dio, che vi sottrae ai duri lavori che vi impongono gli Egiziani. E vi introdurrò nel paese che giurai di dare ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe; e ve lo darò come possesso ereditario: io sono l’Eterno’”. Mosè parlò in quel modo ai figli di Israele; ma essi non diedero ascolto a Mosè, a causa dell’angoscia del loro spirito e della loro dura schiavitù. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Va’, parla al Faraone re d’Egitto, affinché egli lasci uscire i figli di Israele dal suo paese”. Ma Mosè parlò alla presenza dell’Eterno, dicendo: “Ecco, i figli di Israele non mi hanno ascoltato; come vorrà darmi ascolto il Faraone che sono impacciato con la parola?”. Allora l’Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne, e comandò loro di andare dai figli di Israele e dal Faraone re d’Egitto, per trarre fuori i figli di Israele dal paese d’Egitto. Questi sono i capi delle loro famiglie. Figli di Ruben, primogenito di Israele: Enoc e Pallu, Chesron e Carmi. Questi sono i rami dei Rubeniti. - Figli di Simeone: Iemuel, Iamin, Oad, Iachin, Socar e Saul, figlio della Cananea. Questi sono i rami dei Simeoniti. - Questi sono i nomi dei figli di Levi, secondo le loro generazioni: Gherson, Cheat e Merari. E gli anni della vita di Levi furono centotrentasette. - Figli di Gherson: Libni e Simei, con le loro diverse famiglie. - Figli di Cheat: Amram, Isar, Ebron e Uziel. E gli anni della vita di Cheat furono centotrentatré. - Figli di Merari: Mali e Musi. Questi sono i rami dei Leviti, secondo le loro generazioni. Ora Amram prese per moglie Iochebed, sua zia; e lei gli partorì Aaronne e Mosè. E gli anni della vita di Amram furono centotrentasette. - Figli di Isar: Core, Nefeg e Zicri. - Figli di Uziel: Misael, Elsafan e Sitri. - Aaronne prese per moglie Eliseba, figlia di Amminadab, sorella di Naason; e lei gli partorì Nadab, Abiu, Eleazar e Itamar. - Figli di Core: Assir, Elcana e Abiasaf. Questi sono i rami dei Coriti. - Eleazar, figlio di Aaronne, prese per moglie una delle figlie di Putiel; e lei gli partorì Fineas. Questi sono i capi delle famiglie dei Leviti nei loro diversi rami. E questi sono quell’Aaronne e quel Mosè ai quali l’Eterno disse: “Fate uscire i figli di Israele dal paese d’Egitto, distribuiti nelle loro schiere”. Essi sono quelli che parlarono al Faraone re d’Egitto, per trarre i figli di Israele fuori dall’Egitto: sono quel Mosè e quell’Aaronne. Ora avvenne, quando l’Eterno parlò a Mosè nel paese d’Egitto, che l’Eterno disse a Mosè: “Io sono l’Eterno: di’ al Faraone, re d’Egitto, tutto quello che dico a te”. E Mosè rispose, alla presenza dell’Eterno: “Ecco, io sono impacciato con la parola; come potrà quindi darmi ascolto il Faraone?”. L’Eterno disse a Mosè: “Vedi, io ti ho stabilito come Dio per Faraone, e Aaronne tuo fratello sarà il tuo profeta. Tu dirai tutto quello che ti ordinerò, e Aaronne tuo fratello parlerà al Faraone, perché lasci partire i figli di Israele dal suo paese. E io indurirò il cuore del Faraone, e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto. E Faraone non vi darà ascolto; e io metterò la mia mano sull’Egitto, e farò uscire dal paese d’Egitto le mie schiere, il mio popolo, i figli di Israele, mediante grandi giudizi. E gli Egiziani conosceranno che io sono l’Eterno, quando avrò steso la mia mano sull’Egitto e avrò fatto uscire di mezzo a loro i figli di Israele”. E Mosè e Aaronne fecero così; fecero come l’Eterno aveva loro ordinato. Ora Mosè aveva ottant’anni e Aaronne ottantatré, quando parlarono al Faraone. L’Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Quando Faraone vi parlerà e vi dirà: ‘Fate un prodigio!’ tu dirai ad Aaronne: ‘Prendi il tuo bastone, gettalo davanti al Faraone, e diventerà un serpente’”. Mosè e Aaronne andarono dunque dal Faraone, e fecero come l’Eterno aveva ordinato. Aaronne gettò il suo bastone davanti al Faraone e davanti ai suoi servitori, e quello diventò un serpente. Faraone a sua volta chiamò i sapienti e gli incantatori; e anche i maghi d’Egitto fecero lo stesso, con le loro arti occulte. Ognuno di essi gettò il suo bastone, e i bastoni diventarono serpenti; ma il bastone di Aaronne inghiottì i bastoni di quelli. E il cuore del Faraone si indurì, ed egli non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne, come aveva detto l’Eterno. L’Eterno disse a Mosè: “Il cuore del Faraone è ostinato; egli rifiuta di lasciar andare il popolo. Va’ dal Faraone domani mattina; ecco, egli uscirà per andare verso l’acqua; tu aspettalo sulla riva del Fiume, e prendi in mano il bastone che è stato mutato in serpente. E digli: ‘L’Eterno, l’Iddio degli Ebrei, mi ha mandato da te per dirti: Lascia andare il mio popolo, perché mi serva nel deserto; ed ecco, fino ad ora, tu non hai ubbidito. Così dice l’Eterno: Da questo conoscerai che io sono l’Eterno; ecco, io percuoterò con il bastone che ho nella mia mano le acque che sono nel Fiume, ed esse saranno mutate in sangue. E i pesci che sono nel Fiume moriranno, e il Fiume sarà inquinato, e gli Egiziani avranno disgusto a bere l’acqua del Fiume’”. E l’Eterno disse a Mosè: “Di’ ad Aaronne: ‘Prendi il tuo bastone, e stendi la tua mano sulle acque dell’Egitto, sui loro fiumi, sui loro rivi, sui loro stagni e sopra ogni raccolta d’acqua; essi diventeranno sangue, e vi sarà sangue per tutto il paese d’Egitto, perfino nei recipienti di legno e nei recipienti di pietra’”. Mosè e Aaronne fecero come l’Eterno aveva ordinato. Aaronne alzò il bastone, e alla presenza del Faraone e alla presenza dei suoi servitori percosse le acque che erano nel Fiume; e tutte le acque che erano nel Fiume furono cambiate in sangue. I pesci che erano nel Fiume morirono; e il Fiume fu inquinato, così che gli Egiziani non potevano bere l’acqua del Fiume; e vi fu sangue per tutto il paese d’Egitto. E i maghi d’Egitto fecero lo stesso con le loro arti occulte; e il cuore del Faraone si indurì ed egli non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne, come l’Eterno aveva detto. Allora il Faraone voltò loro le spalle, se ne andò a casa sua, e non fece caso neppure a questo. Tutti gli Egiziani fecero degli scavi nei pressi del Fiume per trovare dell’acqua da bere, perché non potevano bere l’acqua del Fiume. E passarono sette giorni interi, dopo che l’Eterno ebbe percosso il Fiume. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Va’ dal Faraone e digli: ‘Così dice l’Eterno: Lascia andare il mio popolo perché mi serva. Se rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io colpirò tutta l’estensione del tuo paese con il flagello delle rane. Il Fiume brulicherà di rane, che saliranno ed entreranno nella tua casa, nella camera dove dormi, sul tuo letto, nelle case dei tuoi servitori e fra il tuo popolo, nei tuoi forni e nelle tue madie. E le rane assaliranno te, il tuo popolo e tutti i tuoi servitori’”. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Di’ ad Aaronne: ‘Stendi la tua mano con il tuo bastone sui fiumi, sui rivi e sugli stagni e fa salire le rane sul paese d’Egitto’”. Aaronne stese la sua mano sulle acque d’Egitto, e le rane salirono e coprirono il paese d’Egitto. Ma i maghi fecero lo stesso con le loro arti occulte, e fecero salire le rane sul paese d’Egitto. Allora il Faraone chiamò Mosè e Aaronne e disse loro: “Pregate l’Eterno che allontani le rane da me e dal mio popolo, e io lascerò andare il popolo, perché offra sacrifici all’Eterno”. E Mosè disse al Faraone: “Fammi l’onore di dirmi per quando io devo chiedere, nelle mie suppliche per te, per i tuoi servitori e per il tuo popolo, che l’Eterno distrugga le rane intorno a te e nelle tue case, e non ne rimangano che nel Fiume”. Egli rispose: “Per domani”. E Mosè disse: “Sarà fatto come tu dici, affinché tu sappia che non c’è nessuno pari all’Eterno, che è il nostro Dio. E le rane si allontaneranno da te, dalle tue case, dai tuoi servitori e dal tuo popolo; non ne rimarranno che nel Fiume”. Allora Mosè e Aaronne uscirono dal Faraone, e Mosè implorò l’Eterno relativamente alle rane che aveva mandate contro il Faraone. E l’Eterno fece quello che Mosè aveva domandato, e le rane morirono nelle case, nei cortili e nei campi. Le radunarono a mucchi e il paese ne fu ammorbato. Ma quando il Faraone vide che c’era un po’ di respiro, si ostinò in cuor suo, e non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne, come l’Eterno aveva detto. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Di’ ad Aaronne: ‘Stendi il tuo bastone e percuoti la polvere della terra, ed essa diventerà zanzare per tutto il paese d’Egitto’”. Ed essi fecero così. Aaronne stese la mano con il suo bastone, percosse la polvere della terra, e ne vennero delle zanzare sugli uomini e sugli animali; tutta la polvere della terra diventò zanzare per tutto il paese d’Egitto. E i maghi cercarono di fare lo stesso con i loro incantesimi per produrre le zanzare, ma non poterono. Le zanzare furono dunque sugli uomini e sugli animali. Allora i maghi dissero al Faraone: “Questo è il dito di Dio”. Ma il cuore del Faraone si indurì ed egli non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne, come l’Eterno aveva detto. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Àlzati di buon mattino, e presentati al Faraone. Ecco, egli uscirà per andare verso l’acqua; e digli: ‘Così dice l’Eterno: Lascia andare il mio popolo, perché mi serva. Ma se non lasci andare il mio popolo, io manderò su di te, sui tuoi servitori, sul tuo popolo e nelle tue case, le mosche velenose; le case degli Egiziani saranno piene di mosche velenose e il suolo su cui stanno ne sarà coperto. Ma in quel giorno io farò eccezione nel paese di Goscen, dove abita il mio popolo; e lì non ci saranno mosche, affinché tu sappia che io, l’Eterno, sono in mezzo al paese. Io farò una distinzione fra il mio popolo e il tuo popolo. Domani avverrà questo miracolo’”. E l’Eterno fece così; e arrivarono grandi sciami di mosche velenose in casa del Faraone e nelle case dei suoi servitori; e in tutto il paese d’Egitto la terra fu danneggiata dalle mosche velenose. Il Faraone chiamò Mosè e Aaronne e disse: “Andate, offrite sacrifici al vostro Dio nel paese”. Ma Mosè rispose: “Non si può fare così; poiché offriremmo all’Eterno, che è il nostro Dio, dei sacrifici che sono un abominio per gli Egiziani. Ecco, se offrissimo sotto i loro occhi dei sacrifici che sono un abominio per gli Egiziani, essi non ci lapiderebbero? Andremo tre giornate di cammino nel deserto, e offriremo sacrifici all’Eterno, che è il nostro Dio, come egli ci ordinerà”. E Faraone disse: “Io vi lascerò andare, perché offriate sacrifici all’Eterno vostro Dio, nel deserto; soltanto, non andate troppo lontano; pregate per me”. E Mosè disse: “Ecco, io esco da te e pregherò l’Eterno, e domani le mosche si allontaneranno dal Faraone, dai suoi servitori e dal suo popolo; soltanto, il Faraone non si faccia più beffe di noi, impedendo al popolo di andare a offrire sacrifici all’Eterno”. E Mosè uscì dalla presenza del Faraone, e pregò l’Eterno. E l’Eterno fece quello che Mosè domandava, e allontanò le mosche velenose dal Faraone, dai suoi servitori e dal suo popolo; non ne restò neppure una. Ma anche questa volta il Faraone si ostinò in cuor suo, e non lasciò andare il popolo. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Va’ dal Faraone, e digli: ‘Così dice l’Eterno, l’Iddio degli Ebrei: Lascia andare il mio popolo, perché mi serva. Se rifiuti di lasciarlo andare e lo trattieni ancora, ecco, la mano dell’Eterno sarà sul tuo bestiame che è nei campi, sui cavalli, sugli asini, sui cammelli, sui buoi e sulle pecore; ci sarà una tremenda mortalità. E l’Eterno farà distinzione fra il bestiame di Israele e il bestiame d’Egitto; e nulla morirà di tutto quello che appartiene ai figli di Israele’”. L’Eterno fissò un termine, dicendo: “Domani, l’Eterno farà questo nel paese”. E l’indomani l’Eterno lo fece, e tutto il bestiame d’Egitto morì; ma del bestiame dei figli di Israele non morì neppure un capo. Il Faraone mandò a vedere, ed ecco che neppure un capo del bestiame degli Israeliti era morto. Ma il cuore del Faraone fu ostinato, ed egli non lasciò andare il popolo. L’Eterno disse a Mosè e ad Aaronne: “Prendete delle manciate di cenere di fornace, e Mosè la sparga verso il cielo, sotto gli occhi del Faraone. Essa diventerà una polvere sottile che coprirà tutto il paese d’Egitto, e produrrà delle ulceri che faranno crescere pustole sulle persone e sugli animali, per tutto il paese d’Egitto”. Ed essi presero della cenere di fornace, e si presentarono al Faraone; Mosè la sparse verso il cielo, ed essa produsse delle ulceri che fecero crescere pustole sulle persone e sugli animali. E i maghi non poterono stare davanti a Mosè, a causa delle ulceri, perché le ulceri erano addosso ai maghi come addosso a tutti gli Egiziani. E l’Eterno indurì il cuore del Faraone, ed egli non diede ascolto a Mosè e ad Aaronne come l’Eterno aveva detto a Mosè. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Àlzati di buon mattino, presentati al Faraone, e digli: ‘Così dice l’Eterno, l’Iddio degli Ebrei: Lascia andare il mio popolo, perché mi serva; poiché questa volta manderò tutte le mie piaghe su di te, sui tuoi servitori e sul tuo popolo, affinché tu conosca che non c’è nessuno simile a me su tutta la terra. Perché se io avessi steso la mia mano e avessi percosso di peste te e il tuo popolo, tu saresti stato sterminato dalla terra. Invece ti ho lasciato sussistere per questo: per mostrarti la mia potenza, e perché il mio nome sia divulgato per tutta la terra. E ti opponi ancora al mio popolo per non lasciarlo andare? Ecco, domani, verso quest’ora, io farò cadere una grandine così forte che non ce ne fu mai una simile in Egitto, da quando fu fondato, fino al giorno d’oggi. Ora dunque fa’ mettere al sicuro il tuo bestiame e tutto quello che hai per i campi. La grandine cadrà su tutta la gente e su tutti gli animali che si troveranno per i campi e che non saranno stati raccolti in casa, e moriranno’”. Fra i servitori del Faraone, quelli che temettero la parola dell’Eterno fecero rifugiare nelle case i loro servitori e il loro bestiame; ma quelli che non fecero conto della parola dell’Eterno, lasciarono i loro servitori e il loro bestiame per i campi. E l’Eterno disse a Mosè: “Stendi la tua mano verso il cielo, e cada grandine in tutto il paese d’Egitto, sulla gente, sugli animali e sopra ogni erba dei campi, nel paese d’Egitto”. Mosè stese il suo bastone verso il cielo e l’Eterno mandò tuoni e grandine, e del fuoco si avventò sulla terra; e l’Eterno fece piovere grandine sul paese d’Egitto. Così ci fu grandine e fuoco folgorante insieme alla grandine; e la grandine fu così forte, come non ce n’era stata di simile in tutto il paese d’Egitto, da quando era diventato nazione. E la grandine percosse, in tutto il paese d’Egitto, tutto quello che era per i campi: uomini e bestie; e la grandine percosse ogni erba dei campi e fece a pezzi ogni albero della campagna. Solamente nel paese di Goscen, dove erano i figli di Israele, non cadde grandine. Allora Faraone mandò a chiamare Mosè e Aaronne, e disse loro: “Questa volta io ho peccato; l’Eterno è giusto, mentre io e il mio popolo siamo colpevoli. Pregate l’Eterno perché cessino questi grandi tuoni e la grandine: e io vi lascerò andare, e non sarete più trattenuti”. E Mosè gli disse: “Appena sarò uscito dalla città, stenderò le mani verso l’Eterno; i tuoni cesseranno e non ci sarà più grandine, affinché tu sappia che la terra è dell’Eterno. Ma quanto a te e ai tuoi servitori, io so che non avrete ancora timore dell’Eterno Iddio”. Ora il lino e l’orzo erano stati colpiti, perché l’orzo era in spiga e il lino in fiore; ma il grano e il farro non furono colpiti, perché maturano in ritardo. Mosè dunque, lasciato Faraone, uscì dalla città, stese le mani verso l’Eterno, e i tuoni e la grandine cessarono, e non cadde più pioggia sulla terra. E quando Faraone vide che la pioggia, la grandine e i tuoni erano cessati, continuò a peccare, e si ostinò in cuor suo: lui e i suoi servitori. E il cuore del Faraone si indurì, ed egli non lasciò andare i figli di Israele, come l’Eterno aveva detto per bocca di Mosè. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Va’ dal Faraone; poiché io ho reso ostinato il suo cuore e il cuore dei suoi servitori, per fare in mezzo a loro i segni che vedrai, e perché tu narri ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli quello che ho operato in Egitto e i segni che ho fatto in mezzo a loro, affinché sappiate che io sono l’Eterno”. Mosè e Aaronne andarono dunque dal Faraone, e gli dissero: “Così dice l’Eterno, l’Iddio degli Ebrei: ‘Fino a quando rifiuterai di umiliarti davanti a me? Lascia andare il mio popolo, perché mi serva. Se tu rifiuti di lasciare andare il mio popolo, ecco, domani farò venire delle cavallette su tutto il tuo paese. Esse copriranno la faccia della terra, al punto che non si potrà vedere il suolo; ed esse divoreranno il resto che è stato risparmiato, ciò che è rimasto dalla grandine, e divoreranno ogni albero che cresce nei campi. E riempiranno le tue case, le case di tutti i tuoi servitori e le case di tutti gli Egiziani, come né i tuoi padri né i padri dei tuoi padri videro mai, dal giorno che furono sulla terra, fino a oggi’”. Detto questo, voltò le spalle, e uscì dalla presenza del Faraone. E i servitori del Faraone gli dissero: “Fino a quando quest’uomo sarà come un laccio per noi? Lascia andare questa gente, e che serva l’Eterno, il suo Dio! Non lo sai che l’Egitto è rovinato?”. Allora Mosè e Aaronne furono fatti ritornare dal Faraone; ed egli disse loro: “Andate, servite l’Eterno, il vostro Dio; ma chi sono quelli che andranno?”. E Mosè disse: “Noi andremo con i nostri fanciulli e con i nostri vecchi, con i nostri figli e con le nostre figlie; andremo con le nostre greggi e con i nostri armenti, perché dobbiamo celebrare una festa all’Eterno”. E Faraone disse loro: “Così sia l’Eterno con voi, come io lascerò andare voi e i vostri bambini! Badate bene, perché avete delle cattive intenzioni! No, no; andate voi uomini, e servite l’Eterno; poiché questo è quello che cercate”. E Faraone li cacciò dalla sua presenza. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Stendi la tua mano sul paese d’Egitto per far venire le cavallette; ed esse salgano sul paese d’Egitto e divorino tutta l’erba del paese, tutto quello che la grandine ha lasciato”. Mosè stese il suo bastone sul paese d’Egitto; e l’Eterno fece levare un vento orientale sul paese, tutto quel giorno e tutta la notte; quando fu mattino, il vento orientale aveva portato le cavallette. E le cavallette salirono su tutto il paese d’Egitto, e si posarono su tutta l’estensione dell’Egitto; erano in così grande quantità, che prima non ce ne erano mai state tante, né mai più tante ce ne saranno. Esse coprirono la faccia di tutto il paese, al punto che il paese ne rimase oscurato; e divorarono tutta l’erba del paese e tutti i frutti degli alberi, che la grandine aveva lasciato; e non restò nulla di verde negli alberi, e nell’erba della campagna, per tutto il paese d’Egitto. Allora il Faraone chiamò in fretta Mosè e Aaronne, e disse: “Io ho peccato contro l’Eterno, il vostro Dio, e contro voi. Ma ora perdona, ti prego, il mio peccato, questa volta soltanto; e supplicate l’Eterno, il vostro Dio, perché almeno allontani da me questo flagello mortale”. E Mosè uscì dal Faraone, e pregò l’Eterno. E l’Eterno fece levare un vento contrario, un fortissimo vento di ponente, che portò via le cavallette e le fece precipitare nel Mar Rosso. Non rimase neppure una cavalletta in tutta l’estensione dell’Egitto. Ma l’Eterno indurì il cuore del Faraone, ed egli non lasciò andare i figli di Israele. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Stendi la tua mano verso il cielo, e ci siano tenebre nel paese d’Egitto: tali che si possano palpare”. E Mosè stese la sua mano verso il cielo, e ci fu una fitta oscurità in tutto il paese d’Egitto per tre giorni. L’uno non vedeva l’altro, e nessuno si mosse da dove stava, per tre giorni; ma tutti i figli di Israele avevano luce nelle loro abitazioni. Allora il Faraone chiamò Mosè e disse: “Andate, servite l’Eterno; rimangano soltanto le vostre greggi e i vostri armenti; anche i vostri bambini potranno andare con voi”. Mosè disse: “Tu ci devi anche concedere di prendere dei sacrifici e degli olocausti, perché possiamo offrire sacrifici all’Eterno, che è il nostro Dio. Anche il nostro bestiame verrà con noi, senza che ne rimanga dietro neppure un’unghia; poiché da esso dobbiamo prenderne per servire l’Eterno Iddio nostro; e noi non sapremo con cosa dovremo servire l’Eterno, quando saremo giunti là”. Ma l’Eterno indurì il cuore del Faraone, ed egli non volle lasciarli andare. E il Faraone disse a Mosè: “Vattene via da me! Guardati bene dal comparire più in mia presenza! poiché il giorno che comparirai alla mia presenza, tu morirai!”. E Mosè rispose: “Hai detto bene; io non comparirò più in tua presenza”. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Io farò venire ancora una piaga sul Faraone e sull’Egitto; poi egli vi lascerà partire di qui. Quando vi lascerà partire, egli addirittura vi caccerà via di qui. Ora parla al popolo e digli che ciascuno domandi al suo vicino e ogni donna alla sua vicina degli oggetti d’argento e degli oggetti d’oro”. E l’Eterno fece entrare il popolo nelle buone grazie degli Egiziani; anche Mosè era personalmente in grande considerazione nel paese d’Egitto, agli occhi dei servitori del Faraone e agli occhi del popolo. Mosè disse: “Così dice l’Eterno: ‘Verso mezzanotte, io passerò in mezzo all’Egitto; e ogni primogenito nel paese d’Egitto morirà: dal primogenito del Faraone che siede sul suo trono, al primogenito della serva che sta dietro la macina, e a ogni primogenito del bestiame. E vi sarà per tutto il paese d’Egitto un grande grido, come non ci fu mai prima, né ci sarà poi. Ma fra tutti i figli d’Israele, tanto fra gli uomini quanto fra gli animali, neppure un cane muoverà la lingua, affinché conosciate la distinzione che l’Eterno fa tra gli Egiziani e Israele. E tutti questi tuoi servitori scenderanno da me, e si inchineranno davanti a me, dicendo: ‘Parti, tu e tutto il popolo che è al tuo seguito!’. E, dopo questo, io partirò”. E Mosè uscì dalla presenza del Faraone, acceso d’ira. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Faraone non vi darà ascolto, affinché i miei prodigi si moltiplichino nel paese d’Egitto”. E Mosè e Aaronne fecero tutti questi prodigi davanti al Faraone; ma l’Eterno indurì il cuore del Faraone, ed egli non lasciò uscire i figli di Israele dal suo paese. L’Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne nel paese d’Egitto, dicendo: “Questo mese sarà per voi il primo dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell’anno. Parlate a tutta la comunità di Israele, e dite: ‘Il decimo giorno di questo mese, ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa; e se la casa è troppo poco numerosa per un agnello, se ne prenda uno in comune con il vicino di casa più prossimo, tenendo conto del numero delle persone; voi conterete ogni persona secondo quello che può mangiare dell’agnello. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, dell’anno; potrete prendere un agnello o un capretto. Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la comunità di Israele, riunita, lo immolerà al tramonto. Poi si prenda del suo sangue, e si metta sui due stipiti e sull’architrave della porta delle case dove lo si mangerà. E se ne mangi la carne in quella notte; si mangi arrostita al fuoco, con pane senza lievito e con delle erbe amare. Non ne mangiate niente di poco cotto o di lessato nell’acqua, ma sia arrostito al fuoco, con la testa, le gambe e le interiora. E non ne lasciate nulla che avanzi fino al mattino; e quello che ne sarà rimasto fino al mattino, bruciatelo con il fuoco. Lo mangerete in questa maniera: con i vostri fianchi cinti, con i vostri calzari ai piedi e con il vostro bastone in mano; mangiatelo in fretta: è la Pasqua dell’Eterno. Quella notte io passerò per il paese d’Egitto, e percuoterò ogni primogenito nel paese d’Egitto, tanto degli uomini quanto degli animali, e farò giustizia di tutti gli dèi d’Egitto. Io sono l’Eterno. E quel sangue vi servirà di segno sulle case dove sarete; e quando io vedrò il sangue passerò oltre, e non ci sarà piaga su di voi per distruggervi, quando percuoterò il paese d’Egitto. Quel giorno sarà per voi un giorno da commemorare e lo celebrerete come una festa in onore dell’Eterno; lo celebrerete di età in età come una festa di istituzione perenne. Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case; poiché, chiunque mangerà pane lievitato, dal primo giorno fino al settimo sarà reciso da Israele. E il primo giorno avrete una santa convocazione, e una santa convocazione il settimo giorno. Non si faccia nessun lavoro in quei giorni; si prepari soltanto quello che è necessario a ciascuno per mangiare, e non altro. Osserverete dunque la festa degli azzimi; poiché in quello stesso giorno io avrò tratto le vostre schiere fuori dal paese d’Egitto; osserverete dunque quel giorno di età in età, come una istituzione perenne. Mangiate pani azzimi dalla sera del quattordicesimo giorno del mese, fino alla sera del ventunesimo giorno. Per sette giorni non si trovi lievito nelle vostre case; perché chiunque mangerà qualcosa di lievitato, sarà reciso dalla comunità di Israele: sia egli straniero o nativo del paese. Non mangiate nulla di lievitato; in tutte le vostre dimore mangiate pani azzimi’”. Mosè dunque chiamò tutti gli anziani di Israele, e disse loro: “Sceglietevi e prendetevi degli agnelli per le vostre famiglie, e immolate la Pasqua. E prendete un mazzetto di issopo, intingetelo nel sangue che sarà nel catino, e spruzzate quel sangue che sarà nel catino, l’architrave e i due stipiti delle porte; e nessuno di voi varchi la porta di casa sua, fino al mattino. Poiché l’Eterno passerà per colpire gli Egiziani; e quando vedrà il sangue sull’architrave e sugli stipiti, l’Eterno passerà oltre la porta, e non permetterà al distruttore di entrare nelle vostre case per colpirvi. Osservate dunque questa come una istituzione perenne per voi e per i vostri figli. E quando sarete entrati nel paese che l’Eterno vi darà, come ha promesso, osservate questo rito. Quando i vostri figli vi diranno: ‘Che significa per voi questo rito?’ risponderete: ‘Questo è il sacrificio della Pasqua in onore dell’Eterno, il quale passò oltre le case dei figli di Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case’”. E il popolo si inchinò e adorò. E i figli di Israele andarono, e fecero così; fecero come l’Eterno aveva ordinato a Mosè e ad Aaronne. A mezzanotte l’Eterno colpì tutti i primogeniti nel paese di Egitto, dal primogenito del Faraone che sedeva sul suo trono al primogenito del carcerato che era in prigione, e tutti i primogeniti del bestiame. Il Faraone si alzò di notte: lui con tutti i suoi servitori e tutti gli Egiziani; e ci fu un grande grido in Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto. Allora egli chiamò Mosè e Aaronne, di notte, e disse: “Alzatevi, partite di mezzo al mio popolo, voi e i figli di Israele; e andate, servite l’Eterno, come avete detto. Prendete le vostre greggi e i vostri armenti, come avete detto; andatevene, e benedite anche me!”. E gli Egiziani forzavano il popolo per affrettarne la partenza dal paese, perché dicevano: “Noi siamo tutti morti”. Il popolo portò via la sua pasta prima che fosse lievitata; avvolse le sue madie nei suoi vestiti e se le mise sulle spalle. I figli di Israele fecero come Mosè aveva detto: domandarono agli Egiziani degli oggetti d’argento, degli oggetti d’oro e dei vestiti; e l’Eterno fece entrare il popolo nelle buone grazie degli Egiziani, che gli diedero ciò che domandava. Così spogliarono gli Egiziani. I figli di Israele partirono da Ramses per Succot, in numero di circa seicentomila uomini, a piedi, senza contare i fanciulli. E anche una folla di gente di ogni specie salì con loro; e avevano pure greggi, armenti, bestiame in grandissima quantità. E fecero cuocere la pasta che avevano portato dall’Egitto, e ne fecero delle focacce azzime; poiché la pasta non era lievitata, essendo essi stati cacciati dall’Egitto senza poter indugiare e senza potersi prendere provviste. I figli di Israele dimorarono in Egitto quattrocentotrent’anni. E al termine di quattrocentotrent’anni, proprio il giorno che finivano, tutte le schiere dell’Eterno uscirono dal paese d’Egitto. Questa è una notte da celebrare in onore dell’Eterno, perché egli li trasse fuori dal paese d’Egitto; questa è una notte consacrata all’Eterno, per essere osservata da tutti i figli di Israele, di età in età. E l’Eterno disse a Mosè e ad Aaronne: “Questa è la norma della Pasqua: nessuno straniero ne mangi; ma qualunque servo, comprato a prezzo di denaro, dopo che lo avrai circonciso, potrà mangiarne. Lo straniero di passaggio e il mercenario non ne mangino. Si mangi ogni agnello in una stessa casa; non portate fuori nulla della sua carne, e non ne spezzate alcun osso. Tutta la comunità di Israele celebri la Pasqua. E quando uno straniero soggiornerà con te e vorrà fare la Pasqua in onore dell’Eterno, siano prima circoncisi tutti i maschi della sua famiglia; e poi si accosti pure per celebrarla, e sia come un nativo del paese; ma nessun incirconciso ne mangi. Ci sia un’unica legge per il nativo del paese e per lo straniero che soggiorna tra voi”. Tutti i figli di Israele fecero così; fecero come l’Eterno aveva ordinato a Mosè e ad Aaronne. E avvenne che in quello stesso giorno l’Eterno trasse i figli di Israele fuori dal paese d’Egitto, secondo le loro schiere. L’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Consacrami ogni primogenito, chi nasce per primo tra i figli di Israele, tanto degli uomini quanto degli animali: esso mi appartiene”. E Mosè disse al popolo: “Ricordatevi questo giorno, nel quale siete usciti dall’Egitto, dalla casa di servitù; poiché l’Eterno vi ha tratti fuori da questo luogo, con mano potente; non si mangi pane lievitato. Voi uscite oggi, nel mese di Abib. Quando dunque l’Eterno ti avrà fatto entrare nel paese dei Cananei, degli Ittiti, degli Amorei, degli Ivvei e dei Gebusei che giurò ai tuoi padri di darti, paese dove scorre il latte e il miele, osserva questo rito, in questo mese. Per sette giorni mangia pane senza lievito; e il settimo giorno si faccia una festa all’Eterno. Si mangi pane senza lievito per sette giorni; e non si veda pane lievitato presso di te, né si veda lievito presso di te, entro tutti i tuoi confini. E in quel giorno tu spiegherai la cosa a tuo figlio, dicendo: ‘Si fa così, a causa di quello che l’Eterno fece per me quando uscii dall’Egitto’. E ciò sarà per te come un segno sulla tua mano, come un ricordo fra i tuoi occhi, affinché la legge dell’Eterno sia nella tua bocca; poiché l’Eterno ti ha fatto uscire dall’Egitto con mano potente. Osserva dunque questa istituzione, al tempo fissato, di anno in anno. Quando l’Eterno ti avrà fatto entrare nel paese dei Cananei, come giurò a te e ai tuoi padri, e te lo avrà dato, consacra all’Eterno ogni fanciullo primogenito e ogni primo parto del bestiame che ti appartiene: i maschi saranno dell’Eterno. Ma riscatta ogni primo parto dell’asino con un agnello; e se non lo vuoi riscattare, spezzagli il collo; riscatta anche ogni primogenito dell’uomo fra i tuoi figli. E quando, in avvenire, tuo figlio ti interrogherà, dicendo: ‘Che significa questo?’, gli risponderai: ‘L’Eterno ci fece uscire dall’Egitto, dalla casa di servitù, con mano potente; e avvenne che, quando Faraone si ostinò a non lasciarci andare, l’Eterno uccise tutti i primogeniti nel paese d’Egitto, tanto i primogeniti degli uomini quanto i primogeniti degli animali; perciò io sacrifico all’Eterno tutti i primi parti maschi, ma riscatto ogni primogenito dei miei figli’. Ciò sarà come un segno sulla tua mano e come un frontale fra i tuoi occhi, poiché l’Eterno ci ha tratti fuori dall’Egitto con mano potente”. Quando il Faraone lasciò andare il popolo, Iddio non lo condusse per la via del paese dei Filistei, perché troppo vicina; poiché Iddio disse: “Bisogna evitare che il popolo, di fronte a una guerra, si penta e torni in Egitto’; ma Iddio fece fare al popolo un giro, per la via del deserto, verso il Mar Rosso. E i figli di Israele uscirono armati dal paese d’Egitto. Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe; perché questi aveva espressamente fatto giurare i figli di Israele, dicendo: “Iddio, certo, vi visiterà; allora, trasportate di qui le mie ossa con voi”. E gli Israeliti, partiti da Succot, si accamparono a Etam, all’estremità del deserto. L’Eterno andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli per il loro cammino; e di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero camminare giorno e notte. La colonna di nuvola non si ritirava mai dal cospetto del popolo di giorno, né la colonna di fuoco di notte. L’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Di’ ai figli di Israele che tornino indietro e si accampino di fronte a Pi-Achirot, fra Migdol e il mare, di fronte a Baal-Sefon; accampatevi davanti a quel luogo presso il mare. Il Faraone dirà dei figli di Israele: ‘Si sono smarriti nel paese; il deserto li tiene rinchiusi’. E io indurirò il cuore del Faraone, ed egli li inseguirà; ma io trarrò gloria dal Faraone e da tutto il suo esercito, e gli Egiziani sapranno che io sono l’Eterno”. Ed essi fecero così. Quando fu riferito al re d’Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del Faraone e dei suoi servitori cambiò sentimento verso il popolo e dissero: “Che cosa abbiamo fatto a lasciare andare Israele, così che non ci serviranno più?”. Allora il Faraone fece attaccare il suo carro, e prese il suo popolo con sé. Prese seicento carri scelti e tutti i carri d’Egitto; e su tutti vi erano dei guerrieri. L’Eterno indurì il cuore del Faraone, re d’Egitto, ed egli inseguì i figli di Israele, che uscivano pieni di sicurezza. Gli Egiziani dunque li inseguirono; e tutti i cavalli, i carri del Faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito li raggiunsero mentre essi erano accampati presso il mare, vicino a Pi-Achirot, di fronte a Baal-Sefon. E quando Faraone si fu avvicinato, i figli di Israele alzarono gli occhi: ed ecco, gli Egiziani marciavano alle loro spalle; allora ebbero grande paura, e gridarono all’Eterno. E dissero a Mosè: “Mancavano forse sepolture in Egitto, che ci hai condotti a morire nel deserto? Perché ci hai fatto questo, facendoci uscire dall’Egitto? Non è ciò che ti dicevamo in Egitto: ‘Lasciaci stare, che serviamo gli Egiziani’? Poiché per noi era meglio servire gli Egiziani che morire nel deserto”. E Mosè disse al popolo: “Non temete, state fermi, e vedrete la liberazione che l’Eterno compirà oggi per voi; poiché gli Egiziani che avete visti quest’oggi, non li vedrete mai più. L’Eterno combatterà per voi, e voi ve ne starete tranquilli”. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Perché gridi a me? Di’ ai figli di Israele che si mettano in marcia. E tu alza il tuo bastone, stendi la tua mano sul mare, e dividilo; e i figli di Israele entreranno in mezzo al mare a piedi asciutti. Quanto a me, ecco, io indurirò il cuore degli Egiziani, ed essi entreranno dietro di loro; e io trarrò gloria dal Faraone, da tutto il suo esercito, dai suoi carri e dai suoi cavalieri. E gli Egiziani sapranno che io sono l’Eterno, quando avrò tratto gloria dal Faraone, dai suoi carri e dai suoi cavalieri”. Allora l’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento di Israele, si mosse e andò a porsi alle loro spalle; anche la colonna di nuvola si mosse dal davanti e si fermò alle loro spalle; e andò a mettersi fra l’accampamento dell’Egitto e l’accampamento di Israele; e la nube era tenebrosa per gli uni, mentre rischiarava gli altri nella notte. E l’accampamento degli uni non si accostò all’altro per tutta la notte. Allora Mosè stese la sua mano sul mare; e l’Eterno fece ritirare il mare attraverso un vigoroso vento orientale durato tutta la notte, e ridusse il mare in terra asciutta; e le acque si divisero. E i figli di Israele entrarono in mezzo al mare, sull’asciutto, e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del Faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare. E avvenne verso la vigilia del mattino, che l’Eterno, dalla colonna di fuoco e dalla nuvola, guardò verso l’accampamento degli Egiziani, e lo mise in rotta. Tolse le ruote dei loro carri, e ne rese l’avanzata pesante; tanto che gli Egiziani dissero: “Fuggiamo davanti a Israele, perché l’Eterno combatte per loro contro gli Egiziani”. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Stendi la tua mano sul mare, e le acque ritorneranno sugli Egiziani, sui loro carri e sui loro cavalieri”. Allora Mosè stese la sua mano sul mare e, sul far della mattina, il mare riprese la sua forza; e gli Egiziani, fuggendo, gli andavano incontro; e l’Eterno precipitò gli Egiziani in mezzo al mare. Le acque tornarono e coprirono i carri, i cavalieri, tutto l’esercito del Faraone che erano entrati nel mare per inseguire gli Israeliti; e non ne scampò neppure uno. Ma i figli di Israele camminarono sull’asciutto in mezzo al mare, e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra. Così, in quel giorno, l’Eterno salvò Israele dalle mani degli Egiziani, e Israele vide sul lido del mare gli Egiziani morti. Israele vide la grande potenza che l’Eterno aveva dispiegata contro gli Egiziani; così il popolo temette l’Eterno e credette nell’Eterno e in Mosè suo servo. Allora Mosè e i figli di Israele cantarono questo cantico all’Eterno, e dissero così: “Io canterò all’Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere. L’Eterno è la mia forza e l’oggetto del mio cantico; egli è stato la mia salvezza. Questo è il mio Dio, io lo glorificherò; è l’Iddio di mio padre, io lo esalterò. L’Eterno è un guerriero, il suo nome è l’Eterno. Egli ha gettato in mare i carri del Faraone e il suo esercito, e i migliori suoi condottieri sono stati sommersi nel Mar Rosso. Gli abissi li coprono; sono andati a fondo come una pietra. La tua destra, o Eterno, è mirabile per la sua forza, la tua destra, o Eterno, schiaccia i nemici. Con la grandezza della tua maestà, tu rovesci i tuoi avversari; tu scateni la tua ira, essa li consuma come stoppia. Al soffio delle tue narici le acque si sono ammassate, le onde si sono sollevate come un muro, i flutti si sono fermati nel cuore del mare. Il nemico diceva: ‘Inseguirò, raggiungerò, dividerò le spoglie, la mia brama si sazierà su loro; sguainerò la mia spada, la mia mano li sterminerà’; ma tu hai mandato fuori il tuo soffio; e il mare li ha ricoperti; sono affondati come piombo nelle acque potenti. Chi è pari a te fra gli dèi, o Eterno? Chi è pari a te, meraviglioso nella tua santità, tremendo anche a chi ti loda, operatore di prodigi? Tu hai steso la destra, la terra li ha inghiottiti. Tu hai condotto con la tua benignità il popolo che hai riscattato; lo hai guidato con la tua forza verso la tua santa dimora. I popoli l’hanno udito, e tremano. L’angoscia ha colto gli abitanti della Filistia. Già sono smarriti i capi di Edom, il tremito prende i potenti di Moab, tutti gli abitanti di Canaan vengono meno. Spavento e terrore piomberà su di loro. Per la forza del tuo braccio diventeranno muti come una pietra, finché il tuo popolo, o Eterno, sia passato, finché sia passato il popolo che ti sei acquistato. Tu li introdurrai e li pianterai sul monte della tua eredità, nel luogo che hai preparato, o Eterno, per tua dimora, nel santuario che le tue mani, o Signore, hanno stabilito. L’Eterno regnerà per sempre, in perpetuo”. Questo cantarono gli Israeliti perché i cavalli del Faraone con i suoi carri e i suoi cavalieri erano entrati nel mare, e l’Eterno aveva fatto ritornare su loro le acque del mare, ma i figli di Israele avevano camminato in mezzo al mare, sull’asciutto. E Miriam, la profetessa, sorella di Aaronne, prese in mano il timpano, e tutte le donne uscirono dietro di lei con dei timpani, e danzando. E Miriam rispondeva ai figli di Israele: “Cantate all’Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere”. Poi Mosè fece partire gli Israeliti dal Mar Rosso, ed essi si diressero verso il deserto di Sur; camminarono tre giorni nel deserto, e non trovarono acqua. E quando giunsero a Mara, non poterono bere le acque di Mara, perché erano amare; perciò quel luogo fu chiamato Mara. Allora il popolo mormorò contro Mosè, dicendo: “Che berremo?”. Ed egli gridò all’Eterno; e l’Eterno gli mostrò un legno che egli gettò nelle acque, e le acque divennero dolci. Lì l’Eterno diede al popolo una legge e una prescrizione, e lo mise alla prova, e disse: “Se ascolti attentamente la voce dell’Eterno tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi e porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti manderò addosso nessuna delle malattie che ho mandate addosso agli Egiziani, perché io sono l’Eterno che ti guarisce”. Poi giunsero a Elim, dove vi erano dodici sorgenti d’acqua e settanta palme; e si accamparono lì presso le acque. Tutta la comunità dei figli di Israele partì da Elim e giunse al deserto di Sin, che è fra Elim e Sinai, il quindicesimo giorno del secondo mese dopo la loro partenza dal paese d’Egitto. E tutta la comunità dei figli di Israele mormorò contro Mosè e contro Aaronne nel deserto. I figli di Israele dissero loro: “Oh, fossimo pur morti per mano dell’Eterno nel paese d’Egitto, quando sedevamo presso le pentole della carne e mangiavamo del pane a sazietà! Poiché voi ci avete condotti in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Ecco, io vi farò piovere del pane dal cielo; e il popolo uscirà e ne raccoglierà giorno per giorno quanto gliene occorrerà per la giornata, perché io lo metta alla prova per vedere se camminerà o no secondo la mia legge. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che avranno portato a casa, sarà il doppio di quello che avranno raccolto ogni altro giorno”. Mosè e Aaronne dissero a tutti i figli di Israele: “Questa sera voi conoscerete che l’Eterno è colui che vi ha fatto uscire dal paese d’Egitto; e domattina vedrete la gloria dell’Eterno; poiché egli ha udito i vostri mormorii contro l’Eterno; quanto a noi, che cosa siamo perché mormoriate contro di noi?”. Mosè disse: “Vedrete la gloria dell’Eterno quando stasera egli vi darà della carne da mangiare e domattina del pane a sazietà; poiché l’Eterno ha udito i vostri mormorii che proferite contro di lui; quanto a noi, che cosa siamo? i vostri mormorii non sono contro di noi, ma contro l’Eterno”. Poi Mosè disse ad Aaronne: “Di’ a tutta la comunità dei figli di Israele: ‘Avvicinatevi alla presenza dell’Eterno, perché egli ha udito i vostri mormorii’”. Mentre Aaronne parlava a tutta la comunità dei figli di Israele, questi volsero gli occhi verso il deserto; ed ecco che la gloria dell’Eterno apparve nella nuvola. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Io ho udito i mormorii dei figli di Israele; parla loro, dicendo: ‘Al tramonto mangerete della carne, e domattina sarete saziati di pane; e conoscerete che io sono l’Eterno, il vostro Dio’”. Così, verso sera, salirono delle quaglie, che ricoprirono il campo e, la mattina, c’era uno strato di rugiada intorno al campo. Quando lo strato di rugiada fu sparito, ecco sulla superficie del deserto una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla terra. E i figli di Israele, quando la videro, dissero l’uno all’altro: “Che cos’è?”, perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: “Questo è il pane che l’Eterno vi dà a mangiare. Ecco quello che l’Eterno ha comandato: ‘Ne raccolga ognuno quanto gli basta per il suo nutrimento: un omer a testa, secondo il numero delle vostre persone; ognuno ne prenda per quelli che sono nella sua tenda’”. I figli di Israele fecero così, e ne raccolsero gli uni più e gli altri meno. Lo misurarono con l’omer, e chi ne aveva raccolto molto non ne ebbe in eccesso; e chi ne aveva raccolto poco non ne ebbe in difetto. Ognuno ne raccolse quanto ne aveva bisogno per il suo nutrimento. Poi Mosè disse loro: “Nessuno ne conservi fino a domattina”. Ma alcuni non ubbidirono a Mosè, e ne conservarono fino all’indomani; e quello generò vermi e imputridì; e Mosè si adirò contro costoro. Così lo raccoglievano tutte le mattine: ciascuno nella misura che bastava per il suo nutrimento; e quando il sole si faceva caldo, quello si scioglieva. Il sesto giorno raccolsero il doppio di quel pane: due omer per ciascuno. E tutti i capi della comunità lo vennero a dire a Mosè. Ed egli disse loro: “Questo è quello che ha detto l’Eterno: ‘Domani è un giorno solenne di riposo: un sabato sacro all’Eterno; fate cuocere oggi ciò che avete da cuocere e fate bollire ciò che avete da bollire; e tutto quello che vi avanza, riponetelo e conservatelo fino a domani’”. Essi dunque lo riposero fino all’indomani, come Mosè aveva ordinato: e quello non imputridì e non generò vermi. Mosè disse: “Mangiatelo oggi, perché oggi è il sabato sacro all’Eterno; oggi non ne troverete per i campi. Raccoglietene durante sei giorni; ma il settimo giorno è il sabato; in quel giorno non ve ne sarà”. Ora, nel settimo giorno avvenne che alcuni del popolo uscirono per raccoglierne, e non ne trovarono. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Fino a quando rifiuterete di osservare i miei comandamenti e le mie leggi? Considerate che l’Eterno vi ha dato il sabato. Per questo, nel sesto giorno egli vi dà del pane per due giorni; ognuno stia dov’è; nessuno esca dalla sua tenda il settimo giorno”. Così il popolo si riposò il settimo giorno. La casa di Israele chiamò quel pane Manna; esso era simile al seme di coriandolo; era bianco, e aveva il gusto di schiacciata fatta con il miele. E Mosè disse: “Questo è quello che l’Eterno ha ordinato: ‘Riempi un omer di manna, perché sia conservato per i vostri discendenti, perché vedano il pane con il quale vi ho nutriti nel deserto, quando vi ho tratti fuori dal paese d’Egitto’”. Mosè disse ad Aaronne: “Prendi un vaso, mettici dentro un intero omer di manna, e deponilo davanti all’Eterno, perché sia conservato per i vostri discendenti”. Secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato a Mosè, Aaronne lo depose davanti alla Testimonianza, perché fosse conservato. E i figli d’Israele mangiarono la manna per quarant’anni, finché arrivarono nel paese abitato; mangiarono la manna finché giunsero ai confini del paese di Canaan. L’omer è la decima parte dell’efa. Poi tutta la comunità dei figli d’Israele partì dal deserto di Sin, marciando a tappe secondo gli ordini dell’Eterno, e si accampò a Refidim; ma non c’era acqua da bere per il popolo. Allora il popolo contese con Mosè, e disse: “Dateci dell’acqua da bere”. E Mosè rispose loro: “Perché contendete con me? perché tentate l’Eterno?”. Lì, il popolo patì la sete, e mormorò contro Mosè, dicendo: “Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”. Allora Mosè gridò all’Eterno, dicendo: “Che farò io per questo popolo? Non manca molto che mi lapiderà”. E l’Eterno disse a Mosè: “Passa oltre davanti al popolo, e prendi con te degli anziani di Israele; prendi anche in mano il bastone con il quale hai percosso il Fiume, e va’. Ecco, io starò là davanti a te, sulla roccia che è in Oreb; tu percuoterai la roccia, e ne scaturirà dell’acqua, e il popolo berrà”. Mosè fece così alla presenza degli anziani di Israele. E chiamò quel luogo Massa e Meriba a causa della contesa dei figli di Israele e perché avevano tentato l’Eterno, dicendo: “L’Eterno è in mezzo a noi, sì o no?”. Allora venne Amalec per ingaggiare battaglia contro Israele a Refidim. E Mosè disse a Giosuè: “Scegli degli uomini ed esci a combattere contro Amalec; domani io starò sulla vetta del colle con il bastone di Dio in mano”. Giosuè fece come Mosè gli aveva detto e combatté contro Amalec; e Mosè, Aaronne e Cur salirono sulla cima del colle. E avvenne che, quando Mosè teneva la mano alzata, Israele vinceva, e quando la lasciava cadere, vinceva Amalec. Ora, siccome le mani di Mosè si erano stancate, essi presero una pietra, gliela posero sotto, ed egli si mise a sedere; e Aaronne e Cur gli sostenevano le mani: l’uno da una parte, l’altro dall’altra; così le sue mani rimasero immobili fino al tramonto del sole. E Giosuè sconfisse Amalec e la sua gente, passandoli a fil di spada. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Scrivi questo fatto in un libro, perché se ne conservi il ricordo, e fa’ sapere a Giosuè che io cancellerò interamente sotto al cielo la memoria di Amalec”. E Mosè costruì un altare che chiamò: “L’Eterno è la mia bandiera”; e disse: “La mano è stata alzata contro il trono dell’Eterno, e l’Eterno farà guerra ad Amalec di età in età”. Ietro, sacerdote di Madian, suocero di Mosè, udì tutto quello che Dio aveva fatto in favore di Mosè e di Israele suo popolo: come l’Eterno aveva tratto Israele fuori dall’Egitto. E Ietro, suocero di Mosè, prese Sefora, moglie di Mosè, che questi aveva rimandata, e i suoi due figli che si chiamavano: l’uno, Ghersom, perché Mosè aveva detto: “Ho soggiornato in terra straniera”; e l’altro Eliezer, perché aveva detto: “L’Iddio del padre mio è stato il mio aiuto, e mi ha liberato dalla spada del Faraone”. Ietro dunque, suocero di Mosè, andò da Mosè, con i figli e la moglie di lui, nel deserto dove egli era accampato, al monte di Dio; e mandò a dire a Mosè: “Io, Ietro, tuo suocero, vengo da te con tua moglie e i suoi due figli con lei”. Mosè uscì a incontrare suo suocero, si inchinò, e lo baciò; si informarono reciprocamente della loro salute, poi entrarono nella tenda. Allora Mosè raccontò a suo suocero tutto quello che l’Eterno aveva fatto al Faraone e agli Egiziani per amore di Israele, tutte le sofferenze patite durante il viaggio, e come l’Eterno li aveva liberati. E Ietro si rallegrò di tutto il bene che l’Eterno aveva fatto a Israele, liberandolo dalla mano degli Egiziani. Poi Ietro disse: “Benedetto sia l’Eterno, che vi ha liberati dalla mano degli Egiziani e dalla mano del Faraone, e ha liberato il popolo dal giogo degli Egiziani! Ora riconosco che l’Eterno è più grande di tutti gli dèi; tale si è mostrato, quando gli Egiziani hanno agito orgogliosamente contro Israele”. Così Ietro, suocero di Mosè, prese un olocausto e dei sacrifici per offrirli a Dio; e Aaronne e tutti gli anziani di Israele vennero a mangiare con il suocero di Mosè in presenza di Dio. Il giorno seguente, Mosè si sedette per rendere giustizia al popolo; e il popolo stette intorno a Mosè dal mattino fino alla sera. E quando il suocero di Mosè vide tutto quello che egli faceva per il popolo, disse: “Che cos’è quello che fai con il popolo? Perché siedi solo, e tutto il popolo ti sta attorno dal mattino fino alla sera?”. E Mosè rispose a suo suocero: “Perché il popolo viene da me per consultare Dio. Quando hanno qualche affare, vengono da me, e io giudico fra l’uno e l’altro, e faccio loro conoscere gli ordini di Dio e le sue leggi”. Ma il suocero di Mosè gli disse: “Quello che fai non va bene. Tu ti esaurirai certamente: tu e questo popolo che è con te; poiché questo compito è troppo pesante per te; non puoi farcela da solo. Ora ascoltami; ti darò un consiglio e Dio sia con te: Sii tu il rappresentante del popolo davanti a Dio, e porta a Dio le loro cause. Insegna loro gli ordini e le leggi, e mostragli la via per la quale devono camminare e quello che devono fare; ma scegli fra tutto il popolo degli uomini capaci che temano Dio: degli uomini fidati, che detestino il guadagno illecito; e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine; e rendano giustizia al popolo in ogni tempo; e riferiscano a te ogni affare di grande importanza, ma ogni piccolo affare lo decidano loro. Allevia così il peso che grava su te, e lo portino loro con te. Se tu fai questo, e se Dio te lo ordina, potrai durare; e anche tutto questo popolo arriverà felicemente al luogo che gli è destinato”. Mosè diede ascolto alla voce di suo suocero, e fece tutto quello che egli aveva detto. Così Mosè scelse fra tutto Israele degli uomini capaci, e li stabilì capi del popolo: capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. E questi rendevano giustizia al popolo in ogni tempo; le cause difficili le portavano a Mosè, ma ogni piccolo affare lo decidevano loro. Poi Mosè congedò suo suocero, il quale se ne tornò al suo paese. Nel primo giorno del terzo mese dopo che furono usciti dal paese d’Egitto, i figli di Israele giunsero al deserto di Sinai. Essendo partiti da Refidim, giunsero al deserto di Sinai e si accamparono nel deserto; qui si accampò Israele, di fronte al monte. Mosè salì verso Dio; e l’Eterno lo chiamò dal monte, dicendo: “Di’ così alla casa di Giacobbe, e annuncia questo ai figli d’Israele: ‘Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani, e come io vi ho portato sopra ali di aquila e vi ho condotto a me. Ora dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa’. Queste sono le parole che dirai ai figli di Israele”. Allora Mosè venne, chiamò gli anziani del popolo, ed espose loro tutte queste parole che l’Eterno gli aveva ordinato di dire. E tutto il popolo rispose concordemente e disse: “Noi faremo tutto quello che l’Eterno ha detto”. E Mosè riferì all’Eterno le parole del popolo. E l’Eterno disse a Mosè: “Ecco, io verrò a te in una fitta nuvola, affinché il popolo oda quando io parlerò con te, e ti presti fede per sempre”. E Mosè riferì all’Eterno le parole del popolo. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Va’ dal popolo, santificalo oggi e domani, e fa’ che si lavi le vesti. E siano pronti per il terzo giorno; perché il terzo giorno l’Eterno scenderà in presenza di tutto il popolo sul monte Sinai. E tu fisserai tutto attorno dei limiti al popolo, e dirai: Guardatevi dal salire sul monte o dal toccarne le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. Nessuna mano tocchi quel tale; ma sia lapidato o trafitto da frecce; che sia animale o uomo, non sia lasciato in vita! Quando il corno suonerà a distesa allora salgano pure sul monte”. E Mosè scese dal monte verso il popolo; santificò il popolo, e quelli si lavarono le vesti. Ed egli disse al popolo: “Siate pronti fra tre giorni; non accostatevi a donna”. Il terzo giorno, quando fu mattino, ci furono dei tuoni, dei lampi, apparve una fitta nuvola sul monte, e si udì un fortissimo suono di tromba; e tutto il popolo che era nell’accampamento, tremò. E Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento per condurlo incontro a Dio; e si fermarono ai piedi del monte. Il monte Sinai era tutto fumante, perché l’Eterno era disceso in mezzo al fuoco; e il fumo saliva come il fumo di una fornace, e tutto il monte tremava forte. Il suono della tromba si faceva sempre più forte; Mosè parlava, e Dio gli rispondeva con una voce. L’Eterno dunque scese sul monte Sinai, in vetta al monte; e l’Eterno chiamò Mosè in vetta al monte, e Mosè vi salì. E l’Eterno disse a Mosè: “Scendi, avverti solennemente il popolo affinché non faccia irruzione verso l’Eterno per guardare, e non ne debbano morire molti. E anche i sacerdoti che si avvicinano all’Eterno, si santifichino, affinché l’Eterno non si avventi contro a loro”. Mosè disse all’Eterno: “Il popolo non può salire sul monte Sinai, perché tu ce lo hai vietato dicendo: ‘Poni dei limiti attorno al monte, e santificalo’”. Ma l’Eterno gli disse: “Va’, scendi giù; poi salirai tu e Aaronne con te; ma i sacerdoti e il popolo non facciano irruzione per salire verso l’Eterno, affinché non si avventi contro di loro”. Mosè scese dal popolo e glielo disse. Allora Iddio pronunciò tutte queste parole, dicendo: “Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di servitù. Non avere altri dèi di fronte a me. Non farti scultura, né alcuna immagine delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra; non ti prostrare davanti a tali cose e non le servire, perché io, l’Eterno, il tuo Dio, sono un Dio geloso che punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non usare il nome dell’Eterno tuo Dio, invano; perché l’Eterno non riterrà innocente chi avrà usato il suo nome invano. Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ in essi ogni tua opera; ma il settimo è giorno di riposo, sacro all’Eterno, che è il tuo Dio; non fare in esso alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l’Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l’Eterno ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato. Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non attestare il falso contro il tuo prossimo. Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo”. Ora tutto il popolo udiva i tuoni, il suono della tromba e vedeva i lampi e il monte fumante. A tale visione, tremava e se ne stava lontano. E disse a Mosè: “Parla tu con noi, e noi ti ascolteremo; ma non ci parli Iddio, altrimenti moriremo”. Mosè disse al popolo: “Non temete, poiché Dio è venuto per mettervi alla prova, affinché ci sia in voi timore di Dio, e così non pecchiate”. Il popolo dunque se ne stava lontano; ma Mosè si avvicinò alla fitta nube dove era Dio. L’Eterno disse a Mosè: “Di’ così ai figli di Israele: ‘Voi stessi avete visto che io vi ho parlato dai cieli. Non fate altri dèi accanto a me; non fatevi dèi d’argento, né dèi d’oro. Fammi un altare di terra; e su questo offri i tuoi olocausti, i tuoi sacrifici di ringraziamento, le tue pecore e i tuoi buoi; in qualunque luogo dove farò ricordare il mio nome, io verrò a te e ti benedirò. E se mi fai un altare di pietre, non lo costruire di pietre tagliate; perché, se tu alzassi su di esse lo scalpello, le contamineresti. E non salire al mio altare per mezzo di gradini, affinché la tua nudità non si scopra sopra di esso’. Ora queste sono le leggi che tu esporrai davanti a loro: Se compri un servo ebreo, egli ti servirà per sei anni; ma il settimo se ne andrà libero, senza pagare nulla. Se è venuto solo, se ne andrà solo; se aveva moglie, la moglie se ne andrà con lui. Se il suo padrone gli dà moglie e questa gli partorisce figli e figlie, la moglie e i figli di lei saranno del padrone, ed egli se ne andrà solo. Ma se il servo fa questa dichiarazione: ‘Io amo il mio padrone, mia moglie e i miei figli; io non voglio andarmene libero’, allora il suo padrone lo farà comparire davanti a Dio, e lo farà accostare alla porta o allo stipite, e il suo padrone gli forerà l’orecchio con una lesina; ed egli lo servirà per sempre. Se uno vende la propria figlia come serva, lei non se ne andrà come se ne vanno i servi. Se lei dispiace al suo padrone, che l’aveva presa come moglie, egli la farà riscattare; ma non avrà il diritto di venderla a gente straniera, dopo esserle stato infedele. E se la dà in sposa a suo figlio, la tratterà secondo il diritto delle figlie. Se prende un’altra moglie, non toglierà alla prima né il vitto, né il vestire, né la coabitazione. Se non le fa queste tre cose, lei se ne andrà senza pagamento di prezzo. Chi colpisce un uomo causandone la morte, deve essere messo a morte. Se non gli ha teso un agguato, ma Dio glielo ha fatto cadere in mano, io stabilirò un luogo dove egli si possa rifugiare. Se qualcuno insidia e uccide con premeditazione il suo prossimo, tu lo strapperai anche dal mio altare, per farlo morire. Chi percuote suo padre o sua madre deve essere messo a morte. Chi ruba un uomo - sia che l’abbia venduto o che gli sia trovato nelle mani - deve essere messo a morte. Chi maledice suo padre o sua madre deve essere messo a morte. Se degli uomini litigano, e uno percuote l’altro con una pietra o con il pugno, e quello non muore, ma deve mettersi a letto, se si rialza e può camminare fuori appoggiato al suo bastone, colui che lo ha percosso sarà assolto; soltanto, lo indennizzerà del tempo che ha perso e lo farà curare fino a guarigione compiuta. Se uno percuote con il bastone il suo servo o la sua serva così che gli muoiano fra le mani, il padrone deve essere punito; ma se sopravvivono un giorno o due, non sarà punito, perché sono denaro suo. Se alcuni hanno una rissa e percuotono una donna incinta e lei partorisce, ma senza che ne segua altro danno, chi l’ha colpita sarà condannato all’ammenda che il marito della donna gli imporrà; e la pagherà come determineranno i giudici; ma se ne seguono danni, darai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione. Se uno colpisce l’occhio del suo servo o l’occhio della sua serva e glielo fa perdere, li lascerà andare liberi in compenso dell’occhio perduto. E se fa cadere un dente al suo servo o un dente alla sua serva, li lascerà andare liberi in compenso del dente perduto. Se un bue colpisce a morte un uomo o una donna, il bue dovrà essere lapidato e non se ne mangerà la carne; ma il padrone del bue sarà assolto. Però, se il bue era già da tempo solito caricare, e il padrone è stato avvertito, ma non lo ha tenuto rinchiuso, e il bue ha ucciso un uomo o una donna, il bue sarà lapidato, e il suo padrone pure sarà messo a morte. Se sarà imposto al padrone un prezzo di riscatto, egli pagherà per il riscatto della propria vita tutto quello che gli sarà imposto. Se il bue colpisce un figlio o una figlia, gli si applicherà questa medesima legge. Se il bue colpisce un servo o una serva, il padrone del bue pagherà al padrone del servo trenta sicli d’argento, e il bue sarà lapidato. Se uno apre una fossa, o se uno scava una fossa e non la copre, e un bue o un asino ci cade dentro, il padrone della fossa riparerà il danno: pagherà in denaro il valore della bestia al padrone, e la bestia morta sarà sua. Se il bue di un uomo ferisce il bue di un altro così che esso muoia, si venderà il bue vivo e se ne dividerà il prezzo; e anche il bue morto sarà diviso fra loro. Se poi è noto che quel bue era già da tempo solito colpire, e il suo padrone non lo ha tenuto rinchiuso, questi dovrà pagare bue per bue, e la bestia morta sarà sua. Se uno ruba un bue o una pecora e li ammazza o li vende, restituirà cinque buoi per il bue e quattro pecore per la pecora. Se il ladro, colto nell’atto di fare una violazione, è percosso e muore, non c’è delitto di omicidio. Se il sole era sorto quando è avvenuto il fatto, ci sarà delitto di omicidio. Il ladro dovrà risarcire il danno; se non ha di che risarcirlo, sarà venduto per ciò che ha rubato. Se il furto, bue o asino o pecora che sia, è trovato vivo nelle mani, restituirà il doppio. Se uno arrecherà dei danni a un campo o a una vigna, lasciando andare le sue bestie a pascolare nel campo altrui, risarcirà il danno con il meglio del suo campo e con il meglio della sua vigna. Se divampa un fuoco e si attacca alle spine così che ne sia distrutto il grano in covoni o il grano in piedi o il campo, chi avrà acceso il fuoco dovrà risarcire il danno. Se uno affida al suo vicino del denaro o degli oggetti da custodire, e questi sono rubati dalla casa di quest’ultimo, se il ladro si trova, restituirà il doppio. Se il ladro non si trova, il padrone della casa comparirà davanti a Dio per giurare che non si è appropriato della roba del suo vicino. In ogni caso di delitto, sia che si tratti di un bue o di un asino o di una pecora o di un vestito o di qualunque oggetto perduto del quale uno dica: ‘È questo qui!’, la causa di entrambe le parti verrà davanti a Dio; colui che Dio condannerà, restituirà il doppio al suo prossimo. Se uno dà in custodia al suo vicino un asino o un bue o una pecora o qualunque altra bestia, ed essa muore o resta storpiata o è portata via senza che ci siano testimoni, interverrà fra le due parti il giuramento dell’Eterno per sapere se colui che aveva la bestia in custodia non si è appropriato della roba del suo vicino. Il padrone della bestia si accontenterà del giuramento, e l’altro non sarà tenuto al risarcimento dei danni. Ma se la bestia gli è stata rubata, egli dovrà risarcire del danno il padrone. Se la bestia è stata sbranata, la porterà come prova, e non sarà tenuto a risarcimento per la bestia sbranata. Se uno prende in prestito dal suo vicino una bestia, e questa resta storpiata o muore quando è assente il padrone di essa, egli dovrà risarcire il danno. Ma se il padrone è presente, non è tenuto a risarcire i danni; se la bestia è stata presa a nolo, essa è compresa nel prezzo del nolo. Se uno seduce una fanciulla non ancora fidanzata e si unisce a lei, dovrà pagare la sua dote e prenderla per moglie. Ma se il padre di lei rifiuta assolutamente di dargliela, paghi la somma che si usa dare per le vergini. Non lascerai vivere la strega. Chi si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte. Chi offre sacrifici ad altri dèi, anziché soltanto all’Eterno, sarà sterminato come anatema. Non maltratterai lo straniero e non lo opprimerai; perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Non affliggerete nessuna vedova, né nessun orfano. Se in qualche modo li affliggi, ed essi gridano a me, io udrò senza dubbio il loro grido; la mia ira si accenderà, e io vi ucciderò con la spada; e le vostre mogli saranno vedove, e i vostri figli orfani. Se tu presti del denaro a qualcuno del mio popolo, al povero che è con te, non lo tratterai da usuraio; non gli imporrai interesse. Se prendi in pegno il vestito del tuo prossimo, glielo restituirai prima che tramonti il sole; perché è l’unica sua coperta, è la veste con cui si avvolge il corpo. Su che cosa dormirebbe? E se avverrà che egli gridi a me, io l’ascolterò; perché sono misericordioso. Non bestemmierai contro Dio, e non maledirai il principe del tuo popolo. Non indugerai a offrirmi il tributo dell’abbondanza delle tue raccolte e di ciò che cola dai tuoi frantoi. Mi darai il primogenito dei tuoi figli. Lo stesso farai del tuo bestiame grosso e minuto: il loro primo parto rimarrà sette giorni presso la madre; l’ottavo giorno, me lo darai. Voi sarete per me degli uomini santi; non mangerete carne di bestia trovata sbranata nei campi; gettatela ai cani. Non spargere nessuna voce calunniosa e non prestare la mano all’empio nell’attestare il falso. Non andare dietro alla folla per fare il male; e non deporre in giudizio schierandoti dalla parte della maggioranza per pervertire la giustizia. Così pure non favorire il povero nel suo processo. Se incontri il bue del tuo nemico o il suo asino smarrito, non mancare di riportarglielo. Se vedi l’asino di colui che ti odia steso a terra sotto il carico, guardati bene dall’abbandonarlo, ma aiuta il suo padrone a scaricarlo. Non violare il diritto del povero del tuo popolo nel suo processo. Tieniti lontano da ogni parola bugiarda; e non far morire l’innocente e il giusto; perché io non assolverò il malvagio. Non accettare regali; perché il regalo acceca quelli che ci vedono chiaro, e corrompe le parole dei giusti. Non opprimere lo straniero; voi lo conoscete l’animo dello straniero, perché siete stati stranieri nel paese d’Egitto. Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai i frutti, ma il settimo anno la lascerai riposare e rimanere incolta; i poveri del tuo popolo ne godranno, e le bestie della campagna mangeranno ciò che rimarrà. Lo stesso farai della tua vigna e dei tuoi ulivi. Per sei giorni farai il tuo lavoro; ma il settimo giorno ti riposerai, affinché il tuo bue e il tuo asino possano riposarsi, e il figlio della tua serva e lo straniero possano riprendere fiato. Farete attenzione a tutte le cose che io vi ho detto, e non pronuncerete il nome di dèi stranieri: non lo si oda uscire dalla vostra bocca. Tre volte l’anno mi celebrerai una festa. Osserverai la festa degli azzimi. Per sette giorni mangerai pane senza lievito, come ti ho ordinato, al tempo stabilito del mese di Abib, perché in quel mese tu uscisti dal paese d’Egitto; e nessuno comparirà davanti a me a mani vuote. Osserverai la festa della mietitura, delle primizie del tuo lavoro, di quello che avrai seminato nei campi; e la festa della raccolta, alla fine dell’anno, quando avrai raccolto dai campi i frutti del tuo lavoro. Tre volte l’anno tutti i maschi compariranno davanti al Signore, l’Eterno. Non offrirai il sangue della mia vittima insieme con pane lievitato; e il grasso dei sacrifici della mia festa non sarà serbato durante la notte fino al mattino. Porterai alla casa dell’Eterno tuo Dio, le primizie dei primi frutti della terra. Non farai cuocere il capretto nel latte di sua madre. Ecco, io mando un angelo davanti a te per proteggerti lungo la via, e per introdurti nel luogo che ho preparato. Sii attento in sua presenza, e ubbidisci alla sua voce; non ti ribellare a lui, perché egli non perdonerà le vostre trasgressioni; poiché il mio nome è in lui. Ma se ubbidisci fedelmente alla sua voce e fai tutto quello che ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici, l’avversario dei tuoi avversari; poiché il mio angelo andrà davanti a te e ti introdurrà nel paese degli Amorei, degli Ittiti, dei Ferezei, dei Cananei, degli Ivvei e dei Gebusei, e li sterminerò. Tu non ti prostrerai davanti ai loro dèi, e non li servirai. Non farai quello che essi fanno; ma distruggerai interamente quegli dèi e spezzerai le loro colonne. Servirete l’Eterno vostro Dio, ed egli benedirà il tuo pane e la tua acqua; e io allontanerò la malattia di mezzo a te. Nel tuo paese non ci sarà donna che abortisca, né donna sterile. Io ti farò giungere al numero completo dei tuoi giorni. Io manderò davanti a te il mio terrore, e metterò in rotta ogni popolo presso il quale arriverai, e farò voltare le spalle davanti a te a tutti i tuoi nemici. Manderò davanti a te i calabroni, che scacceranno gli Ivvei, i Cananei e gli Ittiti dal tuo cospetto. Non li scaccerò dal tuo cospetto in un anno, affinché il paese non diventi un deserto, e le bestie dei campi non si moltiplichino contro di te. Li scaccerò dal tuo cospetto a poco a poco, finché tu cresca di numero e possa prendere possesso del paese. E fisserò i tuoi confini dal Mar Rosso al mare dei Filistei, e dal deserto fino al fiume; poiché io vi darò nelle mani gli abitanti del paese; e tu li caccerai davanti a te. Non farai nessuna alleanza con loro, né con i loro dèi. Non dovranno abitare nel tuo paese, perché non ti inducano a peccare contro di me: tu serviresti i loro dèi, e questo sarebbe per te un laccio”. Poi Dio disse a Mosè: “Sali verso l’Eterno tu e Aaronne, Nadab e Abiu e settanta degli anziani di Israele, e adorate da lontano; poi Mosè solo si accosterà all’Eterno; ma gli altri non si accosteranno, né salirà il popolo con lui”. Allora Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole dell’Eterno e tutte le leggi. E tutto il popolo rispose a una voce e disse: “Noi faremo tutte le cose che l’Eterno ha detto”. Poi Mosè scrisse tutte le parole dell’Eterno; si alzò di buon mattino ed eresse, ai piedi del monte, un altare e dodici pietre per le dodici tribù di Israele. Poi mandò dei giovani israeliti a offrire olocausti e a immolare giovenchi come sacrifici di ringraziamento all’Eterno. E Mosè prese la metà del sangue e lo mise in bacini; e l’altra metà la sparse sull’altare. Poi prese il libro del patto e lo lesse alla presenza del popolo, il quale disse: “Noi faremo tutto quello che l’Eterno ha detto, e ubbidiremo”. Allora Mosè prese il sangue, ne asperse il popolo e disse: “Ecco il sangue del patto che l’Eterno ha fatto con voi sul fondamento di tutte queste parole”. Poi Mosè e Aaronne, Nadab e Abiu e settanta degli anziani di Israele salirono, e videro l’Iddio di Israele. Sotto i suoi piedi c’era come un pavimento lavorato in trasparente zaffiro, simile, per limpidezza, al cielo stesso. Ed egli non mise la mano addosso a quegli eletti tra i figli di Israele; ma essi videro Iddio, e mangiarono e bevvero. L’Eterno disse a Mosè: “Sali da me sul monte, e fermati qui; e io ti darò delle tavole di pietra, la legge e i comandamenti che ho scritto, perché siano insegnati ai figli di Israele”. Mosè dunque si alzò con Giosuè suo ministro; e Mosè salì sul monte di Dio. E disse agli anziani: “Aspettateci qui, finché ritorneremo da voi. Ecco, Aaronne e Cur sono con voi; chiunque abbia qualche affare si rivolga a loro”. Mosè dunque salì sul monte, e la nuvola ricoprì il monte. La gloria dell’Eterno rimase sul monte Sinai e la nuvola lo coprì per sei giorni; e il settimo giorno l’Eterno chiamò Mosè dalla nuvola. L’aspetto della gloria dell’Eterno era agli occhi dei figli di Israele come un fuoco divorante sulla cima del monte. E Mosè entrò in mezzo alla nuvola e salì sul monte; e Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti. L’Eterno parlò a Mosè dicendo: “Di’ ai figli di Israele che mi facciano un’offerta; accetterete l’offerta da ogni uomo che sarà disposto a farmela di cuore. E questa è l’offerta che accetterete da loro: oro, argento e bronzo; stoffe di colore violaceo, porporino, scarlatto; lino fino e pelo di capra; pelli di montone tinte di rosso, pelli di tasso e legno di acacia; olio per il candelabro, aromi per l’olio dell’unzione e per il profumo odoroso; pietre di onice e pietre da incastonare per l’efod e il pettorale. Mi facciano un santuario perché io abiti in mezzo a loro. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti. Faranno dunque un’arca di legno di acacia; la sua lunghezza sarà di due cubiti e mezzo, la sua larghezza di un cubito e mezzo, e la sua altezza di un cubito e mezzo. La rivestirai di oro puro; la rivestirai così dentro e fuori; e le farai sopra una ghirlanda d’oro, che giri intorno. Fonderai per essa quattro anelli d’oro, che metterai ai suoi quattro piedi: due anelli da un lato e due anelli dall’altro. Farai anche delle stanghe di legno di acacia, e le rivestirai d’oro. E farai passare le stanghe per gli anelli ai lati dell’arca, perché servano a portarla. Le stanghe rimarranno negli anelli dell’arca; non ne saranno tratte fuori. E nell’arca metterai la testimonianza che ti darò. Farai anche un propiziatorio d’oro puro; la sua lunghezza sarà di due cubiti e mezzo, e la sua larghezza di un cubito e mezzo. E farai due cherubini d’oro; li farai lavorati al martello, alle due estremità del propiziatorio; fa’ un cherubino a una delle estremità e un cherubino all’altra; farete in modo che questi cherubini escano dal propiziatorio alle due estremità. I cherubini avranno le ali spiegate in alto, in modo da coprire il propiziatorio con le loro ali; avranno la faccia rivolta l’uno verso l’altro; le facce dei cherubini saranno rivolte verso il propiziatorio. E metterai il propiziatorio in alto, sopra l’arca; e nell’arca metterai la testimonianza che ti darò. Lì io mi incontrerò con te; dal propiziatorio, tra i due cherubini che sono sull’arca della testimonianza, ti comunicherò tutti gli ordini che avrò da darti per i figli di Israele. Farai anche una tavola di legno di acacia; la sua lunghezza sarà di due cubiti; la sua larghezza di un cubito, e la sua altezza di un cubito e mezzo. La rivestirai di oro puro, e le farai una ghirlanda d’oro che le giri attorno. Le farai intorno una cornice alta quattro dita; e a questa cornice farai tutto intorno una ghirlanda d’oro. Le farai pure quattro anelli d’oro, e metterai gli anelli ai quattro angoli, ai quattro piedi della tavola. Gli anelli saranno vicinissimi alla cornice per farvi passare le stanghe destinate a portare la tavola. E le stanghe le farai di legno di acacia, le rivestirai d’oro, e serviranno a portare la tavola. Farai pure i suoi piatti, le sue coppe, i suoi calici e le sue tazze da servire per le libazioni; li farai d’oro puro. E metterai sulla tavola il pane della presentazione, che starà sempre alla mia presenza. Farai anche un candelabro d’oro puro; il candelabro, il suo piede e il suo tronco saranno lavorati al martello; i suoi calici, i suoi pomi e i suoi fiori saranno tutti di un pezzo con il candelabro. Gli usciranno sei bracci dai lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall’altro; su uno dei bracci saranno tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore; e sull’altro braccio, tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore. Lo stesso per i sei bracci che escono dal candelabro. Nel tronco del candelabro ci saranno poi quattro calici a forma di mandorla, con i loro pomi e i loro fiori. Ci sarà un pomo sotto i due primi bracci che partono dal candelabro; un pomo sotto i due seguenti bracci, e un pomo sotto i due ultimi bracci che partono dal candelabro: così per i sei bracci che escono dal candelabro. Questi pomi e questi bracci saranno tutti di un pezzo con il candelabro; il tutto sarà d’oro fino lavorato al martello. Farai pure le sue lampade, in numero di sette; e le sue lampade si accenderanno in modo che la luce rischiari lo spazio davanti al candelabro. E i suoi smoccolatoi e i suoi porta smoccolatoi saranno d’oro puro. Per fare il candelabro con tutti questi suoi utensili si impiegherà un talento d’oro puro. Vedi di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte. Farai poi il tabernacolo di dieci teli di lino fino ritorto, di filo colore violaceo, porporino e scarlatto, con dei cherubini artisticamente lavorati. La lunghezza di ogni telo sarà di ventotto cubiti, e la larghezza di ogni telo di quattro cubiti; tutti i teli saranno della stessa misura. Cinque teli saranno uniti assieme, e gli altri cinque teli saranno pure uniti assieme. Farai dei nastri di colore violaceo all’orlo del telo che è all’estremità della prima serie; e lo stesso farai all’orlo del telo che è all’estremità della seconda serie. Metterai cinquanta nastri al primo telo, e metterai cinquanta nastri all’orlo del telo che è all’estremità della seconda serie di teli: i nastri si corrisponderanno l’uno all’altro. Farai cinquanta fermagli d’oro, e unirai i teli l’uno all’altro mediante i fermagli, perché il tabernacolo formi un tutto unico. Farai pure dei teli, di pelo di capra, che serviranno da tenda per coprire il tabernacolo: di questi teli ne farai undici. La lunghezza di ogni telo sarà di trenta cubiti, e la larghezza di ogni telo, di quattro cubiti; gli undici teli avranno la stessa misura. Unirai assieme, da sé, cinque di questi teli, e unirai da sé gli altri sei, e ripiegherai il sesto sulla parte anteriore della tenda. E metterai cinquanta nastri all’orlo del telo che è all’estremità della prima serie, e cinquanta nastri all’orlo del telo che è all’estremità della seconda serie di teli. Farai cinquanta fermagli di bronzo, e farai entrare i fermagli nei nastri e unirai così la tenda, in modo che formi un tutto unico. Quanto alla parte dei teli della tenda in eccedenza, la metà del telo che avanza ricadrà sulla parte posteriore del tabernacolo. Il cubito da una parte e il cubito dall’altra parte in eccedenza nella lunghezza dei teli della tenda, ricadranno sui due lati del tabernacolo, di qua e di là, per coprirlo. Per la tenda farai pure una coperta di pelli di montone tinte di rosso, e sopra questa un’altra coperta di pelli di tasso. Per il tabernacolo farai delle assi di legno di acacia, messe diritte. La lunghezza di un’asse sarà di dieci cubiti, e la larghezza di un’asse, di un cubito e mezzo. Ogni asse avrà due incastri paralleli; farai così per tutte le assi del tabernacolo. Farai dunque le assi per il tabernacolo: venti assi dal lato meridionale, verso il sud. Metterai quaranta basi d’argento sotto le venti assi: due basi sotto ciascuna asse per i suoi due incastri. E farai venti assi per il secondo lato del tabernacolo, il lato nord, e le loro quaranta basi d’argento: due basi sotto ciascuna asse. Per la parte posteriore del tabernacolo, verso occidente, farai sei assi. Farai pure due assi per gli angoli del tabernacolo, dalla parte posteriore. Queste saranno doppie dal basso in su e, al tempo stesso, formeranno un tutto unico fino in cima, fino al primo anello. Così sarà per entrambe le assi, che saranno ai due angoli. Vi saranno dunque otto assi, con le loro basi d’argento: sedici basi, due basi sotto ogni asse. Farai anche delle traverse di legno di acacia: cinque, per le assi di un lato del tabernacolo; cinque traverse per le assi dell’altro lato del tabernacolo, e cinque traverse per le assi della parte posteriore del tabernacolo, a occidente. La traversa di mezzo, in mezzo alle assi, passerà da una parte all’altra. Rivestirai d’oro le assi, e farai d’oro i loro anelli per i quali passeranno le traverse, e rivestirai d’oro le traverse. Erigerai il tabernacolo secondo la forma esatta che ti è stata mostrata sul monte. Farai un velo di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto con dei cherubini artisticamente lavorati, e lo sospenderai a quattro colonne di acacia, rivestite d’oro, che avranno i chiodi d’oro e poseranno su basi d’argento. Metterai il velo sotto i fermagli; e lì, al di là del velo, introdurrai l’arca della testimonianza; quel velo sarà per voi la separazione del luogo santo dal santissimo. Metterai il propiziatorio sull’arca della testimonianza nel luogo santissimo. Metterai la tavola fuori del velo, e il candelabro di fronte alla tavola dal lato meridionale del tabernacolo; e metterai la tavola dal lato di settentrione. Farai pure per l’ingresso della tenda una portiera di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, un lavoro di ricamo. E farai cinque colonne di acacia per sospendervi la portiera; le rivestirai d’oro, e avranno i chiodi d’oro e tu fonderai per esse cinque basi di bronzo. Farai anche un altare di legno di acacia, lungo cinque cubiti e largo cinque cubiti; l’altare sarà quadrato, e avrà tre cubiti di altezza. Farai ai quattro angoli dei corni che spuntino dall’altare, che rivestirai di bronzo. Farai pure i suoi vasi per raccogliere le ceneri, le sue palette, i suoi bacini, i suoi forchettoni e i suoi bracieri; tutti i suoi utensili li farai di bronzo. E gli farai una graticola di bronzo a forma di rete; e sopra la rete, ai suoi quattro angoli, farai quattro anelli di bronzo; e la porrai sotto la cornice dell’altare, nella parte inferiore, in modo che la rete raggiunga la metà dell’altezza dell’altare. Farai anche delle stanghe per l’altare: delle stanghe di legno di acacia, e le rivestirai di bronzo. E si faranno passare le stanghe per gli anelli; e le stanghe saranno ai due lati dell’altare, quando lo si dovrà portare. Lo farai di tavole, vuoto; dovrà essere fatto, come ti è stato mostrato sul monte. Farai anche il cortile del tabernacolo; dal lato meridionale, ci saranno, per formare il cortile, delle cortine di lino fino ritorto, per una lunghezza di cento cubiti, per un lato. Questo lato avrà venti colonne con le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne saranno d’argento. Così pure per il lato di settentrione, per lungo, ci saranno delle cortine lunghe cento cubiti, con venti colonne e le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne saranno d’argento. E per largo, dal lato di occidente, il cortile avrà cinquanta cubiti di cortine, con dieci colonne e le loro dieci basi. E per largo, davanti, dal lato orientale il cortile avrà cinquanta cubiti. Da uno dei lati dell’ingresso ci saranno quindici cubiti di cortine, con tre colonne e le loro tre basi; e dall’altro lato pure ci saranno quindici cubiti di cortine, con tre colonne e le loro tre basi. Per l’ingresso del cortile ci sarà una portiera di venti cubiti, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, un lavoro di ricamo, con quattro colonne e le loro quattro basi. Tutte le colonne attorno al cortile saranno congiunte con delle aste d’argento; i loro chiodi saranno d’argento, e le loro basi di bronzo. La lunghezza del cortile sarà di cento cubiti; la larghezza, di cinquanta da ciascun lato; e l’altezza, di cinque cubiti; le cortine saranno di lino fino ritorto, e le basi delle colonne, di bronzo. Tutti gli utensili destinati al servizio del tabernacolo, tutti i suoi picchetti e tutti i picchetti del cortile saranno di bronzo. Ordinerai ai figli di Israele che ti portino dell’olio puro, di olive schiacciate, per il candelabro, per tenere le lampade continuamente accese. Nella tenda di convegno, fuori del velo che sta davanti alla testimonianza, Aaronne e i suoi figli lo prepareranno perché le lampade ardano dalla sera al mattino davanti all’Eterno. Questa sarà una regola perenne per i loro discendenti, da essere osservata dai figli di Israele. Tu fa’ accostare a te, tra i figli di Israele, Aaronne tuo fratello e i suoi figli con lui perché esercitino per me l’ufficio di sacerdoti: Aaronne, Nadab, Abiu, Eleazar e Itamar, figli di Aaronne. E farai ad Aaronne, tuo fratello, dei paramenti sacri, come segno della loro dignità e come ornamento. Parlerai a tutti gli uomini intelligenti, che io ho riempito di spirito di sapienza, ed essi faranno i paramenti di Aaronne per consacrarlo, perché eserciti per me l’ufficio di sacerdote. Questi sono i paramenti che faranno: un pettorale, un efod, un manto, una tunica lavorata a maglia, un turbante e una cintura. Faranno dunque dei paramenti sacri per Aaronne tuo fratello e per i suoi figli, affinché esercitino l’ufficio di sacerdoti; e si serviranno d’oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino. Faranno l’efod d’oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto e di lino fino ritorto, lavorato artisticamente. Esso avrà alle due estremità due spalline, che si uniranno, in modo che sia tenuto bene insieme. E la cintura artistica, che è sull’efod per fissarlo, sarà dello stesso lavoro dell’efod, tutto di un pezzo con esso; sarà d’oro, di filo color violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto. E prenderai due pietre di onice e vi inciderai sopra i nomi dei figli di Israele: sei dei loro nomi sopra una pietra, e gli altri sei nomi sopra la seconda pietra, secondo il loro ordine di nascita. Inciderai su queste due pietre i nomi dei figli di Israele come fa l’incisore, come si incide un sigillo; le incasserai in castoni d’oro. Metterai le due pietre sulle spalline dell’efod, come testimonianza per i figli di Israele; e Aaronne porterà i loro nomi davanti all’Eterno sulle sue due spalle, come memoriale. E farai dei castoni d’oro, e due catenelle d’oro puro che intreccerai come un cordone, e metterai nei castoni le catenelle così intrecciate. Farai pure il pettorale del giudizio, artisticamente lavorato; lo farai come il lavoro dell’efod: d’oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto. Sarà quadrato e doppio; avrà la lunghezza di una spanna, e una spanna di larghezza. E vi incastonerai una serie di pietre: quattro ordini di pietre; nel primo ordine sarà un sardonio, un topazio e uno smeraldo; nel secondo ordine, un rubino, uno zaffiro, un calcedonio; nel terzo ordine, un opale, un’agata, un’ametista; nel quarto ordine, un crisolito, un’onice e un diaspro. Queste pietre saranno incassate nei loro castoni d’oro. E le pietre corrisponderanno ai nomi dei figli di Israele, e saranno dodici, secondo i loro nomi; saranno incise come dei sigilli, ciascuna con il nome di una delle tribù di Israele. Farai pure sul pettorale delle catenelle d’oro puro, intrecciate come dei cordoni. Poi farai sul pettorale due anelli d’oro, e metterai i due anelli alle due estremità del pettorale. Fisserai i due cordoni d’oro ai due anelli alle estremità del pettorale; e attaccherai gli altri due capi dei due cordoni ai due castoni, e li metterai sulle due spalline dell’efod, davanti. E farai due anelli d’oro, e li metterai alle altre due estremità del pettorale, sull’orlo interiore rivolto verso l’efod. Farai due altri anelli d’oro, e li metterai alle due spalline dell’efod, in basso, davanti, vicino al punto dove avviene la giuntura, sopra la cintura artistica dell’efod. E si fisserà il pettorale mediante i suoi anelli agli anelli dell’efod con un cordone violaceo, affinché il pettorale sia al di sopra della cintura artistica dell’efod, e non si possa staccare dall’efod. Così Aaronne porterà i nomi dei figli di Israele incisi nel pettorale del giudizio, sul suo cuore, quando entrerà nel santuario, per conservarne sempre il ricordo davanti all’Eterno. Metterai sul pettorale del giudizio l’Urim e il Tummim; e staranno sul cuore di Aaronne quando egli si presenterà davanti all’Eterno. Così Aaronne porterà il giudizio dei figli di Israele sul suo cuore, davanti all’Eterno, per sempre. Farai anche il manto dell’efod, tutto di colore violaceo. Esso avrà, in mezzo, un’apertura per passarvi il capo; e l’apertura avrà un’orlatura tessuta intorno, come l’apertura di una corazza, perché non si strappi. All’orlo inferiore del manto, tutto intorno, farai delle melagrane di color violaceo, porporino e scarlatto; e, in mezzo ad esse, tutto intorno, porrai dei sonagli d’oro: un sonaglio d’oro e una melagrana, un sonaglio d’oro e una melagrana, sull’orlatura del manto, tutto intorno. Aaronne se lo metterà per fare il servizio; quando egli entrerà nel luogo santo davanti all’Eterno e quando ne uscirà, se ne udrà il suono, ed egli non morirà. Farai anche una lamina d’oro puro, e su di essa inciderai, come si incide sopra un sigillo: Santo All’Eterno. La fisserai a un nastro violaceo sul turbante, e starà sulla parte davanti del turbante. Starà sulla fronte di Aaronne, e Aaronne porterà le iniquità commesse dai figli di Israele nelle cose sante che consacreranno, in ogni genere di offerte sante; ed essa starà continuamente sulla sua fronte, per renderli graditi alla presenza dell’Eterno. Farai pure la tunica di lino fino, lavorata a maglia; farai un turbante di lino fino, e farai una cintura, un lavoro di ricamo. Per i figli di Aaronne farai delle tuniche, farai delle cinture, e farai dei copricapi, come segno della loro dignità e come ornamento. E ne vestirai Aaronne, tuo fratello, e i suoi figli con lui; e li ungerai, li consacrerai e li santificherai perché esercitino per me l’ufficio di sacerdoti. Farai anche loro dei calzoni di lino per coprire la loro nudità; esse andranno dai fianchi fino alle cosce. Aaronne e i suoi figli le porteranno quando entreranno nella tenda di convegno, o quando si accosteranno all’altare per fare il servizio nel luogo santo, affinché non si rendano colpevoli e non muoiano. Questa è una regola perenne per lui e per la sua discendenza dopo di lui. Questo è quello che farai per consacrarli perché esercitino per me l’ufficio di sacerdoti. Prendi un giovenco e due montoni senza difetto, dei pani senza lievito, delle focacce senza lievito impastate con olio, e delle gallette senza lievito unte d’olio; farai tutte queste cose di fior di farina di grano. Le metterai in un paniere, e le offrirai nel paniere al tempo stesso del giovenco e dei due montoni. Farai avvicinare Aaronne e i suoi figli all’ingresso della tenda di convegno, e li laverai con acqua. Poi prenderai i paramenti, e vestirai Aaronne della tunica, del manto dell’efod, dell’efod e del pettorale, e lo cingerai della cintura artistica dell’efod. Gli porrai in capo il turbante e metterai sul turbante il santo diadema. Poi prenderai l’olio dell’unzione, glielo verserai sul capo, e l’ungerai. Farai quindi accostare i suoi figli, e li vestirai delle tuniche. Cingerai Aaronne e i suoi figli con delle cinture, e assicurerai sul loro capo delle tiare; e il sacerdozio apparterrà loro per legge perenne. Così consacrerai Aaronne e i suoi figli. Poi farai accostare il giovenco davanti alla tenda di convegno; e Aaronne e i suoi figli poseranno le mani sul capo del giovenco. E scannerai il giovenco davanti all’Eterno, all’ingresso della tenda di convegno. Prenderai del sangue del giovenco, e ne metterai con il dito sui corni dell’altare, e spanderai tutto il sangue ai piedi dell’altare. Prenderai pure tutto il grasso che copre le interiora, la rete che è sopra il fegato, i due reni e il grasso che c’è sopra, e farai bruciare tutto sull’altare. Ma la carne del giovenco, la sua pelle e i suoi escrementi li brucerai con il fuoco fuori dall’accampamento: è un sacrificio per il peccato. Poi prenderai uno dei montoni; e Aaronne e i suoi figli poseranno le loro mani sul capo del montone. E sgozzerai il montone, ne prenderai il sangue, e lo spargerai sull’altare, tutto intorno. Poi farai a pezzi il montone, laverai le sue interiora e le sue gambe, e le metterai sui pezzi e sulla sua testa. E farai bruciare tutto il montone sull’altare: è un olocausto all’Eterno; è un sacrificio di odore soave fatto mediante il fuoco all’Eterno. Poi prenderai l’altro montone, e Aaronne e i suoi figli poseranno le loro mani sul capo del montone. Sgozzerai il montone, prenderai del suo sangue e lo metterai sull’estremità dell’orecchio destro di Aaronne e sull’estremità dell’orecchio destro dei suoi figli, e sul pollice della loro mano destra e sull’alluce del loro piede destro, e spargerai il sangue sull’altare, tutto intorno. Prenderai del sangue che è sull’altare, e dell’olio dell’unzione, e ne aspergerai Aaronne e i suoi paramenti, e i suoi figli e i paramenti dei suoi figli con lui. Così saranno consacrati lui, i suoi paramenti, i suoi figli e i loro paramenti con lui. Prenderai pure il grasso del montone, la coda, il grasso che copre le interiora, la rete del fegato, i due reni e il grasso che c’è sopra e la coscia destra, perché è un montone di consacrazione; prenderai anche un pane, una focaccia oliata e una galletta dal paniere degli azzimi che è davanti all’Eterno; e porrai tutte queste cose sulle palme delle mani di Aaronne e sulle palme delle mani dei suoi figli, e le agiterai come offerta agitata davanti all’Eterno. Poi le prenderai dalle loro mani e le farai bruciare sull’altare sopra l’olocausto, come un profumo soave davanti all’Eterno; è un sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. E prenderai il petto del montone che sarà servito alla consacrazione di Aaronne, e lo agiterai come offerta agitata davanti all’Eterno; e questa sarà la tua parte. E consacrerai, di ciò che spetta ad Aaronne e ai suoi figli, il petto dell’offerta agitata e la coscia dell’offerta elevata: vale a dire ciò che del montone della consacrazione sarà stato agitato ed elevato; esso apparterrà ad Aaronne e ai suoi figli, come legge perenne da osservare dai figli di Israele: poiché è un’offerta fatta per elevazione. Sarà un’offerta fatta per elevazione dai figli di Israele nei loro sacrifici di ringraziamento: la loro offerta per elevazione sarà per l’Eterno. E i paramenti sacri di Aaronne saranno, dopo di lui, per i suoi figli, che se li metteranno all’atto della loro unzione e della loro consacrazione. Quello dei suoi figli che gli succederà nel sacerdozio, li indosserà per sette giorni quando entrerà nella tenda di convegno per fare il servizio nel luogo santo. Poi prenderai il montone della consacrazione, e ne farai cuocere la carne in un luogo santo; e Aaronne, e i suoi figli mangeranno, all’ingresso della tenda di convegno, la carne del montone e il pane che sarà nel paniere. Mangeranno le cose che saranno servite a fare l’espiazione per consacrarli e santificarli; ma nessun estraneo ne mangerà, perché sono cose sante. E se rimarrà della carne della consacrazione o del pane fino al mattino dopo, brucerai quell’avanzo con il fuoco; non lo si mangerà, perché è cosa santa. Eseguirai dunque, riguardo ad Aaronne e ai suoi figli, tutto quello che ti ho ordinato: li consacrerai durante sette giorni. E ogni giorno offrirai un giovenco, come sacrificio per il peccato, per fare l’espiazione; purificherai l’altare mediante questa tua espiazione, e lo ungerai per consacrarlo. Per sette giorni farai l’espiazione dell’altare, e lo santificherai; e l’altare sarà santissimo: tutto ciò che toccherà l’altare sarà santo. Questo è ciò che offrirai sull’altare: due agnelli di un anno, ogni giorno, per sempre. Uno degli agnelli lo offrirai la mattina; e l’altro lo offrirai sull’imbrunire. Con il primo agnello offrirai la decima parte di un efa di fior di farina impastata con la quarta parte di un hin di olio vergine, e una libazione di un quarto di hin di vino. Il secondo agnello lo offrirai sull’imbrunire; lo accompagnerai con la stessa oblazione e con la stessa libazione del mattino; è un sacrificio di profumo soave, offerto mediante il fuoco all’Eterno. Sarà un olocausto perenne offerto dai vostri discendenti, all’ingresso della tenda di convegno, davanti all’Eterno, dove io vi incontrerò per parlare con te. E là io mi troverò con i figli di Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria. Santificherò la tenda di convegno e l’altare; santificherò anche Aaronne e i suoi figli, perché esercitino per me l’ufficio di sacerdoti. E dimorerò in mezzo ai figli di Israele e sarò il loro Dio. Ed essi conosceranno che io sono l’Eterno, il loro Dio, che li ho tratti fuori dal paese d’Egitto per dimorare tra loro. Io sono l’Eterno, il loro Dio. Farai pure un altare per bruciarvi su il profumo: lo farai di legno di acacia. La sua lunghezza sarà di un cubito; e la sua larghezza, di un cubito; sarà quadrato, e avrà un’altezza di due cubiti; i suoi corni saranno tutti di un pezzo con esso. Lo rivestirai d’oro puro: il disopra, i suoi lati tutto intorno, i suoi corni; e gli farai una ghirlanda d’oro che gli giri attorno. E gli farai due anelli d’oro, sotto la ghirlanda, ai suoi due lati; li metterai ai suoi due lati, per passarvi le stanghe che serviranno a portarlo. Farai le stanghe di legno di acacia, e le rivestirai d’oro. Collocherai l’altare davanti al velo che è davanti all’arca della testimonianza, di fronte al propiziatorio che sta sopra la testimonianza, dove io mi ritroverò con te. Aaronne brucerà su di esso del profumo fragrante; lo brucerà ogni mattina, quando riordinerà le lampade; e quando Aaronne accenderà le lampade al tramonto, lo farà bruciare come un profumo perenne davanti all’Eterno, di generazione in generazione. Non offrirete su di esso né profumo estraneo, né olocausto, né oblazione; e non vi farete libazione. Aaronne farà una volta all’anno l’espiazione sui corni di esso; con il sangue del sacrificio di espiazione per il peccato vi farà l’espiazione una volta l’anno, di generazione in generazione. Sarà cosa santissima, sacra all’Eterno”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Quando farai il conto dei figli di Israele, facendone il censimento, ognuno di essi darà all’Eterno il riscatto della propria persona, quando saranno contati; affinché non siano colpiti da qualche piaga, quando farai il loro censimento. Daranno questo: chiunque sarà compreso nel censimento darà un mezzo siclo, secondo il siclo del santuario, che è di venti ghere: un mezzo siclo sarà l’offerta da fare all’Eterno. Ognuno che sarà compreso nel censimento, dai vent’anni in su, darà questa offerta all’Eterno. Il ricco non darà di più, né il povero darà meno del mezzo siclo, quando si farà questa offerta all’Eterno per il riscatto delle vostre vite. Prenderai dunque dai figli di Israele questo denaro del riscatto e lo adopererai per il servizio della tenda di convegno: sarà per i figli di Israele un memoriale davanti all’Eterno per fare il riscatto delle vostre vite”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Farai pure una conca di bronzo, con la sua base di bronzo, per le abluzioni; la porrai fra la tenda di convegno e l’altare, e ci metterai dell’acqua. Aaronne e i suoi figli vi si laveranno le mani e i piedi. Quando entreranno nella tenda di convegno, si laveranno con acqua, perché non muoiano; così pure quando si accosteranno all’altare per fare il servizio, per far bruciare un’offerta fatta all’Eterno mediante il fuoco. Si laveranno le mani e i piedi, perché non muoiano. Questa sarà una norma perenne per loro, per Aaronne e per la sua progenie, di generazione in generazione”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Prenditi anche i migliori aromi: di mirra vergine, cinquecento sicli; di cinnamomo aromatico, la metà, cioè duecentocinquanta; di canna aromatica, pure duecentocinquanta: di cassia, cinquecento, secondo il siclo del santuario; e un hin di olio di oliva. E ne farai un olio per l’unzione sacra, un profumo composto con l’arte del profumiere: sarà l’olio per l’unzione sacra. E con esso ungerai la tenda di convegno e l’arca della testimonianza, la tavola e tutti i suoi utensili, il candelabro e i suoi utensili, l’altare dei profumi, l’altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base. Consacrerai così queste cose, e saranno santissime; tutto quello che le toccherà, sarà santo. E ungerai Aaronne e i suoi figli, e li consacrerai perché esercitino per me l’ufficio di sacerdoti. E parlerai ai figli di Israele, dicendo: ‘Quest’olio sarà per me un olio di sacra unzione, di generazione in generazione. Non lo si verserà su carne di uomo, e non ne farete altro simile, della stessa composizione; esso è cosa santa, e sarà per voi cosa santa. Chiunque ne comporrà uno simile, o chiunque ne metterà sopra un estraneo, sarà eliminato dal suo popolo’”. L’Eterno disse ancora a Mosè: “Prenditi degli aromi, della resina, della conchiglia profumata, del galbano, degli aromi con incenso puro, in dosi uguali; e ne farai un profumo composto secondo l’arte del profumiere, salato, puro, santo; ne ridurrai una parte in polvere minutissima, e ne porrai davanti alla testimonianza nella tenda di convegno, dove io mi incontrerò con te: esso sarà per voi cosa santissima. E del profumo che farai, non ne farete altro della stessa composizione per uso vostro; sarà per te cosa santa, consacrata all’Eterno. Chiunque ne farà di simile per odorarlo, sarà eliminato dal suo popolo”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Vedi, io ho chiamato per nome Besaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda; e l’ho riempito dello Spirito di Dio, di abilità, di intelligenza e di conoscenza per ogni sorta di lavori, per concepire opere d’arte, per lavorare l’oro, l’argento e il bronzo, per incidere pietre da incastonare, per scolpire il legno, per eseguire ogni sorta di lavori. Ed ecco, gli ho dato come compagno Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan; e ho messo sapienza nella mente di tutti gli uomini abili, perché possano fare tutto quello che ti ho ordinato: la tenda di convegno, l’arca per la testimonianza, il propiziatorio che dovrà esserci sopra, e tutti gli arredi della tenda; la tavola e i suoi utensili, il candelabro d’oro puro e tutti i suoi utensili, l’altare dei profumi, l’altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base, i paramenti per le cerimonie, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio, l’olio dell’unzione e il profumo fragrante per il luogo santo. Faranno tutto conformemente a quello che ho ordinato”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Quanto a te, parla ai figli di Israele e di’ loro: ‘Badate bene di osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l’Eterno che vi santifica. Osserverete dunque il sabato, perché per voi è un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà eliminato dal suo popolo. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all’Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà essere messo a morte. I figli di Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perenne. Esso è un segno perenne fra me e i figli di Israele; poiché in sei giorni l’Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò’”. Quando l’Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte con il dito di Dio. Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, si radunò intorno ad Aaronne e gli disse: “Facci un dio che vada davanti a noi; poiché, quanto a Mosè, a quest’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa gli sia accaduto”. E Aaronne rispose loro: “Togliete gli anelli d’oro che sono agli orecchi delle vostre mogli, dei vostri figli e delle vostre figlie, e portatemeli”. E tutto il popolo si tolse dagli orecchi gli anelli d’oro e li portò ad Aaronne, il quale li prese dalle loro mani, e, dopo averne cesellato il modello, ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: “O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!”. Quando Aaronne vide questo, costruì un altare davanti ad esso, e fece un annuncio che diceva: “Domani sarà festa in onore dell’Eterno!”. Il giorno dopo, quelli si alzarono di buon’ora, offrirono olocausti e portarono dei sacrifici di ringraziamento; e il popolo si adagiò per mangiare e bere, e poi si alzò per divertirsi. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Va’, scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è corrotto; si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si sono fatti un vitello di metallo fuso, lo hanno adorato, gli hanno offerto sacrifici, e hanno detto: ‘O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto’”. L’Eterno disse ancora a Mosè: “Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro. Ora dunque, lascia che la mia ira si infiammi contro di loro, e che io li consumi! ma di te io farò una grande nazione”. Allora Mosè supplicò l’Eterno, il suo Dio, e disse: “Perché, o Eterno, la tua ira si infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande potenza e con mano forte? Perché direbbero gli Egiziani: ‘Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per eliminarli dalla faccia della terra’? Calma l’ardore della tua ira e pèntiti del male di cui minacci il tuo popolo. Ricordati di Abraamo, di Isacco e di Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: ‘Io moltiplicherò la vostra progenie come le stelle dei cieli; darò alla vostra progenie tutto questo paese di cui vi ho parlato, ed essa lo possederà per sempre’”. E l’Eterno si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo. Allora Mosè si voltò e scese dal monte con le due tavole della testimonianza nelle mani: tavole scritte su entrambi i lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, e la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavole. Giosuè, udendo il clamore del popolo che gridava, disse a Mosè: “Si ode un fragore di battaglia nell’accampamento”. E Mosè rispose: “Questo non è né grido di vittoria, né grido di vinti; il clamore che odo è di gente che canta”. Come fu vicino al campo, vide il vitello e le danze e l’ira di Mosè si infiammò, ed egli gettò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi del monte. Poi prese il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò con il fuoco, lo ridusse in polvere, sparse la polvere sull’acqua, e la fece bere ai figli di Israele. E Mosè disse ad Aaronne: “Che ti ha fatto questo popolo, che gli hai attirato addosso un così grande peccato?”. Aaronne rispose: “L’ira del mio signore non si infiammi; tu conosci questo popolo, e sai che è incline al male. Essi mi hanno detto: ‘Facci un dio che vada davanti a noi; poiché, quanto a Mosè, a quest’uomo che ci ha tratti fuori dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa gli sia accaduto’. E io ho detto loro: ‘Chi ha dell’oro se lo tolga di dosso!’. Essi me lo hanno dato; io l’ho gettato nel fuoco, e n’è venuto fuori questo vitello”. Quando Mosè vide che il popolo era senza freno e che Aaronne lo aveva lasciato sfrenarsi esponendolo all’obbrobrio dei suoi nemici, si fermò all’ingresso del campo, e disse: “Chiunque è per l’Eterno, venga a me!”. E tutti i figli di Levi si radunarono presso di lui. Ed egli disse loro: “Così dice l’Eterno, l’Iddio di Israele: ‘Ognuno di voi si metta la spada al fianco; passate e ripassate nell’accampamento, da una porta all’altra di esso, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l’amico, ciascuno il vicino!’”. I figli di Levi eseguirono l’ordine di Mosè, e in quel giorno caddero circa tremila uomini. Mosè aveva detto: “Consacratevi oggi all’Eterno, anzi ciascuno si consacri a prezzo del proprio figlio e del proprio fratello, affinché l’Eterno vi conceda una benedizione”. Il giorno dopo Mosè disse al popolo: “Voi avete commesso un grande peccato; ma ora io salirò all’Eterno; forse otterrò che il vostro peccato vi sia perdonato”. Mosè dunque tornò all’Eterno e disse: “Ahimè, questo popolo ha commesso un grande peccato, e si è fatto un dio d’oro; tuttavia, perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!”. E l’Eterno rispose a Mosè: “Colui che ha peccato contro di me, quello cancellerò dal mio libro! Ora va’, conduci il popolo dove ti ho detto. Ecco, il mio angelo andrà davanti a te; ma nel giorno che verrò a punire, io li punirò del loro peccato”. E l’Eterno percosse il popolo, perché esso era l’autore del vitello che Aaronne aveva fatto. L’Eterno disse a Mosè: “Va’, sali di qui, tu con il popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto, verso il paese che promisi con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: ‘Io lo darò alla tua progenie’. Manderò un angelo davanti a te e scaccerò i Cananei, gli Amorei, gli Ittiti, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. Egli vi condurrà in un paese dove scorre il latte e il miele; poiché io non salirò in mezzo a te, così che non debba sterminarti lungo la via, perché sei un popolo dal collo duro”. Quando il popolo udì queste funeste parole, fece cordoglio, e nessuno indossò propri ornamenti. Infatti l’Eterno aveva detto a Mosè: “Di’ ai figli di Israele: ‘Voi siete un popolo dal collo duro; se io salissi per un solo momento in mezzo a te, ti consumerei! Perciò, ora togliti i tuoi ornamenti, e vedrò come ti debba trattare’”. E i figli di Israele si spogliarono dei loro ornamenti, dalla partenza dal monte Oreb in poi. E Mosè prese la tenda, e la piantò per sé fuori dall’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e la chiamò la tenda di convegno; e chiunque cercava l’Eterno, usciva verso la tenda di convegno, che era fuori dall’accampamento. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava, e ognuno se ne stava in piedi all’ingresso della propria tenda, e seguiva con lo sguardo Mosè, finché egli fosse entrato nella tenda. E quando Mosè era entrato nella tenda, la colonna di nuvola scendeva, si fermava all’ingresso della tenda, e l’Eterno parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nuvola ferma all’ingresso della tenda; e tutto il popolo si alzava, e ciascuno si prostrava all’ingresso della propria tenda. L’Eterno parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con il proprio amico; poi Mosè tornava al campo; ma Giosuè, figlio di Nun, suo giovane ministro, non si allontanava dalla tenda. Poi Mosè disse all’Eterno: “Vedi, tu mi dici: ‘Fa’ salire questo popolo!’, e non mi fai conoscere chi manderai con me. Eppure hai detto: ‘Io ti conosco personalmente e anche hai trovato grazia agli occhi miei’. Ora, dunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, ti prego, fammi conoscere le tue vie, affinché io ti conosca e possa trovare grazia agli occhi tuoi. E considera che questa nazione è popolo tuo”. E l’Eterno rispose: “La mia presenza andrà con te, e io ti darò riposo”. Mosè allora gli disse: “Se la tua presenza non viene con me, non farci partire di qui. Poiché, come si farà ora a conoscere che io e il tuo popolo abbiamo trovato grazia agli occhi tuoi? Non sarà dal fatto che tu vieni con noi? Questo distinguerà me e il tuo popolo da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra”. E l’Eterno disse a Mosè: “Farò anche questo che tu chiedi, perché hai trovato grazia agli occhi miei, e ti conosco personalmente”. Mosè disse: “Ti prego, fammi vedere la tua gloria!”. E l’Eterno gli rispose: “Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, e proclamerò il nome dell’Eterno davanti a te; e farò grazia a chi vorrò fare grazia, e avrò pietà di chi vorrò avere pietà”. Disse ancora: “Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non mi può vedere e vivere”. E l’Eterno disse: “Ecco qui un luogo vicino a me; tu starai su quel masso; e mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una buca del masso, e ti coprirò con la mia mano, finché io sia passato; poi ritirerò la mano, e mi vedrai da dietro; ma il mio volto non si può vedere”. L’Eterno disse a Mosè: “Taglia due tavole di pietra come le prime; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime tavole che hai spezzato. Sii pronto domattina, sali al mattino sul monte Sinai, e lì presentati a me sulla vetta del monte. Nessuno salga con te, e non si veda nessuno per tutto il monte; greggi e armenti non pascolino nei pressi di questo monte”. Mosè dunque tagliò due tavole di pietra, come le prime; si alzò la mattina di buon’ora, e salì sul monte Sinai come l’Eterno gli aveva comandato, e prese in mano le due tavole di pietra. Allora l’Eterno discese nella nuvola, si fermò lì con lui e proclamò il nome dell’Eterno. E l’Eterno passò davanti a lui, e gridò: “L’Eterno! l’Eterno! l’Iddio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che conserva la sua benignità fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente, e che punisce l’iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!”. E Mosè subito si inchinò fino a terra, e adorò. Poi disse: “Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro; perdona la nostra iniquità e il nostro peccato, e prendici come tua eredità”. E l’Eterno rispose: “Ecco, io faccio un patto: farò meraviglie davanti a tutto il tuo popolo, come non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; e tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera dell’Eterno, perché quello che io sto per fare per mezzo di te è tremendo. Osserva quello che oggi ti comando: Ecco, io scaccerò davanti a te gli Amorei, i Cananei, gli Ittiti, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. Guardati dal fare alleanza con gli abitanti del paese nel quale stai per andare, affinché non diventino, in mezzo a te, un laccio; ma demolite i loro altari, frantumate le loro colonne, abbattete i loro idoli; poiché tu non adorerai altro dio, perché l’Eterno, che si chiama: “il Geloso”, è un Dio geloso. Guardati dal fare alleanza con gli abitanti del paese, affinché, quando quelli si prostituiranno ai loro dèi, e offriranno sacrifici ai loro dèi, non avvenga che essi ti invitino, e tu mangi dei loro sacrifici, e prenda delle loro figlie per i tuoi figli, e le loro figlie si prostituiscano ai loro dèi, e inducano i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi. Non ti farai dèi di metallo fuso. Osserverai la festa degli azzimi. Sette giorni, al tempo fissato del mese di Abib, mangerai pane senza lievito, come ti ho ordinato; poiché nel mese di Abib tu sei uscito dall’Egitto. Ogni primogenito è mio; e mio è ogni primo parto maschio di tutto il tuo bestiame: del bestiame grosso e minuto. Ma riscatterai con un agnello il primo nato dell’asino; e, se non lo vorrai riscattare, gli spezzerai il collo. Riscatterai ogni primogenito dei tuoi figli. E nessuno comparirà davanti a me a mani vuote. Lavorerai sei giorni; ma il settimo giorno ti riposerai: ti riposerai anche al tempo dell’aratura e della mietitura. Celebrerai la festa delle settimane: cioè delle primizie della mietitura del frumento, e la festa della raccolta alla fine dell’anno. Tre volte all’anno comparirà ogni vostro maschio alla presenza del Signore, dell’Eterno, che è l’Iddio di Israele. Poiché io scaccerò davanti a te delle nazioni, e allargherò i tuoi confini; nessuno desidererà il tuo paese, quando salirai, tre volte all’anno, per comparire alla presenza dell’Eterno, che è il tuo Dio. Non offrirai con pane lievitato il sangue della vittima immolata a me; e il sacrificio della festa di Pasqua non sarà serbato fino al mattino. Porterai alla casa dell’Eterno Iddio tuo le primizie dei primi frutti della tua terra. Non cuocerai il capretto nel latte di sua madre”. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Scrivi queste parole; perché sul fondamento di queste parole io ho contratto alleanza con te e con Israele”. E Mosè rimase lì con l’Eterno quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua. E l’Eterno scrisse sulle tavole le parole del patto, i dieci comandamenti. Mosè, quando scese dal monte Sinai - scendendo dal monte Mosè aveva in mano le due tavole della testimonianza - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata tutta raggiante mentre parlava con l’Eterno; e quando Aaronne e tutti i figli di Israele videro Mosè, ecco che la pelle del suo viso era tutta raggiante, ed essi temettero di accostarsi a lui. Ma Mosè li chiamò, e Aaronne e tutti i capi della comunità tornarono a lui, e Mosè parlò loro. Dopo questo, tutti i figli di Israele si accostarono, ed egli ordinò loro tutto quello che l’Eterno gli aveva detto sul monte Sinai. E quando Mosè ebbe finito di parlare con loro, si mise un velo sulla faccia. Ma quando Mosè entrava alla presenza dell’Eterno per parlare con lui, si toglieva il velo, finché non tornava fuori; poi tornava fuori, e diceva ai figli di Israele quello che gli era stato comandato. I figli di Israele, guardando la faccia di Mosè, vedevano la pelle tutta raggiante; e Mosè si rimetteva il velo sulla faccia, finché non entrava a parlare con l’Eterno. Mosè convocò tutta la comunità dei figli di Israele, e disse loro: “Queste sono le cose che l’Eterno ha ordinato di fare. Sei giorni si dovrà lavorare, ma il settimo giorno sarà per voi un giorno santo, un sabato di solenne riposo, consacrato all’Eterno. Chiunque farà qualche lavoro in esso sarà messo a morte. Non accenderete fuoco in alcuna delle vostre abitazioni il giorno del sabato”. Poi Mosè parlò a tutta la comunità dei figli di Israele, e disse: “Questo è quello che l’Eterno ha ordinato: ‘Prelevate da quello che avete, un’offerta all’Eterno; chiunque è di cuore volenteroso porterà un’offerta all’Eterno: oro, argento, bronzo; stoffe di colore violaceo, porporino, scarlatto, lino fino, pelo di capra, pelli di montone tinte di rosso, pelli di tasso, legno di acacia, olio per il candelabro, aromi per l’olio dell’unzione e per il profumo fragrante, pietre di onice, pietre da incastonare per l’efod e per il pettorale. Chiunque tra voi ha delle abilità venga ed esegua tutto quello che l’Eterno ha ordinato: il tabernacolo, la sua tenda e la sua coperta, i suoi fermagli, le sue assi, le sue traverse, le sue colonne e le sue basi, l’arca, le sue stanghe, il propiziatorio e il velo da stendere davanti all’arca, la tavola e le sue stanghe, tutti i suoi utensili, e il pane della presentazione; il candelabro per la luce e i suoi utensili, le sue lampade e l’olio per il candelabro; l’altare dei profumi e le sue stanghe, l’olio dell’unzione e il profumo fragrante, la portiera dell’ingresso per l’entrata del tabernacolo, l’altare degli olocausti con la sua gratella di bronzo, le sue stanghe e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base, le cortine del cortile, le sue colonne e le loro basi e la portiera all’ingresso del cortile; i picchetti del tabernacolo e i picchetti del cortile e le loro funi; i paramenti per le cerimonie per fare il servizio nel luogo santo, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne, e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio’”. Allora tutta la comunità dei figli di Israele partì dalla presenza di Mosè. E tutti quelli che il loro cuore spingeva e tutti quelli che il loro spirito rendeva volenterosi, vennero a portare l’offerta all’Eterno per l’opera della tenda di convegno, per tutto il suo servizio e per i paramenti sacri. Vennero uomini e donne; quanti erano di cuore volenteroso portarono fermagli, orecchini, anelli da sigillare e braccialetti, ogni sorta di gioielli d’oro; ognuno portò qualche offerta d’oro all’Eterno. E chiunque aveva delle stoffe tinte di violaceo, porporino, scarlatto, o lino fino, o pelo di capra, o pelli di montone tinte in rosso, o pelli di tasso, portava ogni cosa. Chiunque poteva fare un’offerta d’argento e di bronzo, portò l’offerta consacrata all’Eterno; e chiunque aveva del legno di acacia per qualunque lavoro destinato al servizio, lo portò. E tutte le donne abili filarono con le proprie mani e portarono i loro filati in colore violaceo, porporino, scarlatto, e del lino fino. E tutte le donne che il cuore spinse a usare la loro abilità, filarono del pelo di capra. E i capi del popolo portarono pietre d’onice e pietre da incastonare per l’efod e per il pettorale, aromi e olio per il candelabro, per l’olio dell’unzione e per il profumo fragrante. Tutti i figli di Israele, uomini e donne, che il cuore mosse a portare volenterosamente il necessario per tutta l’opera che l’Eterno aveva ordinata per mezzo di Mosè, portarono all’Eterno delle offerte volontarie. Mosè disse ai figli di Israele: “Vedete, l’Eterno ha chiamato per nome Besaleel figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda; e lo ha riempito dello Spirito di Dio, di abilità, di intelligenza e di sapienza per ogni sorta di lavori, per concepire opere d’arte, per lavorare l’oro, l’argento e il bronzo, per incidere pietre da incastonare, per scolpire il legno, per eseguire ogni sorta di lavori d’arte. E gli ha comunicato il dono d’insegnare: a lui e a Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan. Li ha riempiti di intelligenza per eseguire ogni sorta di lavori di artigiano e di disegnatore, di ricamatore e di tessitore in colori svariati: violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino, per eseguire qualunque lavoro e per concepire lavori d’arte. Besaleel e Ooliab e tutti gli uomini abili, nei quali l’Eterno ha messo sapienza e intelligenza per saper eseguire tutti i lavori per il servizio del santuario, faranno ogni cosa secondo quanto l’Eterno ha ordinato”. Mosè chiamò dunque Besaleel e Ooliab e tutti gli uomini abili nei quali l’Eterno aveva messo intelligenza, tutti quelli che il cuore spingeva ad applicarsi al lavoro per eseguirlo; ed essi presero da Mosè tutte le offerte portate dai figli di Israele per i lavori destinati al servizio del santuario, per eseguirli. Ma ogni mattina i figli di Israele continuavano a portare a Mosè delle offerte volontarie. Allora tutti gli uomini abili che erano occupati in tutti i lavori del santuario, lasciato ognuno il lavoro che faceva, vennero a dire a Mosè: “Il popolo porta molto più di quello che occorre per eseguire i lavori che l’Eterno ha comandato di fare”. Allora Mosè diede quest’ordine, che fu bandito per il campo: “Né uomo né donna faccia più nessun lavoro come offerta per il santuario”. Così si impedì che il popolo portasse altro. Poiché la roba già pronta bastava a fare tutto il lavoro, e ve n’era di avanzo. Tutti gli uomini abili, fra quelli che eseguivano il lavoro, fecero dunque il tabernacolo di dieci teli, di lino fino ritorto, e di filo color violaceo, porporino e scarlatto, con dei cherubini artisticamente lavorati. La lunghezza di un telo era di ventotto cubiti; e la larghezza, di quattro cubiti; tutti i teli erano della stessa misura. Cinque teli furono uniti assieme, e gli altri cinque furono pure uniti assieme. Si fecero dei nastri di colore violaceo all’orlo del telo che era all’estremità della prima serie di teli; e lo stesso si fece all’orlo del telo che era all’estremità della seconda serie. Si misero cinquanta nastri al primo telo, e cinquanta nastri all’orlo del telo che era all’estremità della seconda serie: i nastri corrispondevano l’uno all’altro. Si fecero pure cinquanta fermagli d’oro, e si unirono i teli l’uno all’altro mediante i fermagli; e così il tabernacolo formò un tutto unico. Si fecero inoltre dei teli di pelo di capra, che servivano da tenda per coprire il tabernacolo: di questi teli se ne fecero undici. La lunghezza di ogni telo era di trenta cubiti; e la larghezza, di quattro cubiti; gli undici teli avevano la stessa misura. E si unirono insieme, da una parte, cinque teli, e si unirono insieme, dall’altra parte, gli altri sei. E si misero cinquanta nastri all’orlo del telo che era all’estremità della prima serie di teli, e cinquanta nastri all’orlo del telo che era all’estremità della seconda serie. E si fecero cinquanta fermagli di bronzo per unire assieme la tenda, in modo che formasse un tutto unico. Si fece pure per la tenda una coperta di pelli di montone tinte di rosso e, sopra questa, un’altra di pelli di tasso. Poi si fecero per il tabernacolo le assi di legno di acacia, messe per diritto. La lunghezza di un’asse era di dieci cubiti, e la larghezza di un’asse, di un cubito e mezzo. Ogni asse aveva due incastri paralleli; così fu fatto per tutte le assi del tabernacolo. Si fecero dunque le assi per il tabernacolo: venti assi dal lato meridionale, verso il sud; e si fecero quaranta basi d’argento sotto le venti assi: due basi sotto ogni asse per i suoi due incastri. E per il secondo lato del tabernacolo, il lato di nord, si fecero venti assi, con le loro quaranta basi d’argento: due basi sotto ogni asse. E per la parte posteriore del tabernacolo, verso occidente, si fecero sei assi. Si fecero pure due assi per gli angoli del tabernacolo, dalla parte posteriore. Queste erano appaiate dal basso in alto e, al tempo stesso, formavano un tutto unico fino in cima, fino al primo anello. Così fu fatto per entrambe le assi, che erano ai due angoli. Vi erano dunque otto assi, con le loro basi d’argento: sedici basi: due basi sotto ogni asse. E si fecero delle traverse di legno di acacia: cinque, per le assi di un lato del tabernacolo; cinque traverse per le assi dell’altro lato del tabernacolo, e cinque traverse per le assi della parte posteriore del tabernacolo, a occidente. E si fece la traversa di mezzo, in mezzo alle assi, per farla passare da una parte all’altra. E le assi furono rivestite d’oro, e furono fatti d’oro gli anelli per i quali dovevano passare le traverse, e le traverse furono rivestite d’oro. Fu fatto pure il velo, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto con dei cherubini artisticamente lavorati; e si fecero per esso quattro colonne di acacia e si rivestirono d’oro; i loro chiodi erano d’oro; e per le colonne si fusero quattro basi d’argento. Si fece anche per l’ingresso della tenda una portiera, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, un lavoro di ricamo. E si fecero le sue cinque colonne con i loro chiodi; si rivestirono d’oro i loro capitelli e le loro aste; e le loro cinque basi erano di bronzo. Poi Besaleel fece l’arca di legno di acacia; la sua lunghezza era di due cubiti e mezzo, la sua larghezza di un cubito e mezzo, e la sua altezza di un cubito e mezzo. E la rivestì d’oro puro di dentro e di fuori, e le fece una ghirlanda d’oro che le girava attorno. E fuse per essa quattro anelli d’oro, che mise ai suoi quattro piedi: due anelli da un lato e due anelli dall’altro lato. Fece anche delle stanghe di legno di acacia, e le rivestì d’oro. E fece passare le stanghe per gli anelli ai lati dell’arca per portare l’arca. Fece anche un propiziatorio di oro puro; la sua lunghezza era di due cubiti e mezzo, e la sua larghezza di un cubito e mezzo. E fece due cherubini d’oro; li fece lavorati al martello, alle due estremità del propiziatorio: un cherubino a una delle estremità, e un cherubino all’altra; fece in modo che questi cherubini uscissero dal propiziatorio alle due estremità. E i cherubini avevano le ali spiegate in alto, in modo da coprire il propiziatorio con le ali; avevano la faccia rivolta l’uno verso l’altro; le facce dei cherubini erano rivolte verso il propiziatorio. Fece anche la tavola di legno di acacia; la sua lunghezza era di due cubiti, la sua larghezza di un cubito, e la sua altezza di un cubito e mezzo. La rivestì d’oro puro e le fece una ghirlanda d’oro che le girava attorno. E le fece intorno una cornice alta quattro dita; e a questa cornice fece tutto intorno una ghirlanda d’oro. E fuse per essa quattro anelli d’oro; e mise gli anelli ai quattro angoli, ai quattro piedi della tavola. Gli anelli erano vicinissimi alla cornice per farci passare le stanghe destinate a portare la tavola. E fece le stanghe di legno di acacia, e le rivestì d’oro; esse dovevano servire a portare la tavola. Fece anche, d’oro puro, gli utensili da mettere sulla tavola: i suoi piatti, le sue coppe, le sue tazze e i suoi calici da servire per le libazioni. Fece anche il candelabro d’oro puro; fece il candelabro lavorato al martello, con il suo piede e il suo tronco; i suoi calici, i suoi pomi e i suoi fiori erano tutti di un pezzo con il candelabro. Gli uscivano sei bracci dai lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall’altro; su uno dei bracci vi erano tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore; e sull’altro braccio, tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore. Lo stesso per i sei bracci uscenti dal candelabro. E nel tronco del candelabro vi erano quattro calici in forma di mandorla, con i loro pomi e i loro fiori. E c’era un pomo sotto i due primi bracci che partivano dal candelabro; un pomo sotto i due seguenti bracci che partivano dal candelabro, e un pomo sotto i due ultimi bracci che partivano dal candelabro; così per i sei rami che uscivano dal candelabro. Questi pomi e questi bracci erano tutti di un pezzo con il candelabro; il tutto era di oro puro lavorato al martello. Fece pure le sue lampade, in numero di sette, i suoi smoccolatoi e i suoi porta smoccolatoi, d’oro puro. Per fare il candelabro con tutti i suoi utensili impiegò un talento d’oro puro. Poi fece l’altare dei profumi, di legno di acacia; la sua lunghezza era di un cubito; e la sua larghezza di un cubito; era quadrato, e aveva un’altezza di due cubiti; i suoi corni erano tutti di un pezzo con esso. E lo rivestì d’oro puro: la parte di sopra, i suoi lati tutto intorno, i suoi corni; e gli fece una ghirlanda d’oro che gli girava attorno. Gli fece pure due anelli d’oro, sotto la ghirlanda, ai suoi due lati; li mise ai suoi due lati per passarvi le stanghe che servivano a portarlo. E fece le stanghe di legno di acacia, e le rivestì d’oro. Poi fece l’olio santo per l’unzione e il profumo fragrante, puro, secondo l’arte del profumiere. Poi fece l’altare degli olocausti, di legno di acacia; la sua lunghezza era di cinque cubiti; e la sua larghezza di cinque cubiti; era quadrato, e aveva un’altezza di tre cubiti. E ai quattro angoli gli fece dei corni, che spuntavano da esso, e lo rivestì di bronzo. Fece pure tutti gli utensili dell’altare: i vasi per le ceneri, le palette, i bacini, i forchettoni, i bracieri; fece di bronzo tutti i suoi utensili. E fece per l’altare una gratella di bronzo in forma di rete, sotto la cornice nella parte inferiore; in modo che la rete raggiungesse la metà dell’altezza dell’altare. E fuse quattro anelli per i quattro angoli della gratella di bronzo, per farvi passare le stanghe. Poi fece le stanghe di legno di acacia, e lo rivestì di bronzo. E fece passare le stanghe per gli anelli, ai lati dell’altare, le quali dovevano servire a portarlo; e lo fece di tavole, vuoto. Poi fece la conca di bronzo, e la sua base di bronzo, servendosi degli specchi delle donne che venivano a gruppi a fare il servizio all’ingresso della tenda di convegno. Poi fece il cortile; dal lato meridionale, vi erano, per formare il cortile, cento cubiti di cortine di lino fino ritorto, con le loro venti colonne e le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d’argento. Dal lato di settentrione, vi erano cento cubiti di cortine con le loro venti colonne e le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d’argento. Dal lato d’occidente, vi erano cinquanta cubiti di cortine con le loro dieci colonne e le loro dieci basi; i chiodi e le aste delle colonne erano d’argento. E sulla parte davanti, dal lato orientale, vi erano cinquanta cubiti: da uno dei lati dell’ingresso vi erano quindici cubiti di cortine, con tre colonne e le loro tre basi; e dall’altro lato (tanto da una parte quanto dall’altra dell’ingresso del cortile) vi erano quindici cubiti di cortine, con le loro tre colonne e le loro tre basi. Tutte le cortine che formavano il recinto del cortile erano di lino fino ritorto; e le basi per le colonne erano di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d’argento, e i capitelli delle colonne erano rivestiti d’argento, e tutte le colonne del cortile erano congiunte con delle aste d’argento. La portiera per l’ingresso del cortile era un lavoro di ricamo, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto; aveva una lunghezza di venti cubiti, un’altezza di cinque cubiti, corrispondente alla larghezza delle cortine del cortile. Le colonne erano quattro, e quattro le loro basi, di bronzo; i loro chiodi erano d’argento, e i loro capitelli e le loro aste erano rivestiti d’argento. Tutti i picchetti del tabernacolo e del recinto del cortile erano di bronzo. Questi sono i conti del tabernacolo, del tabernacolo della testimonianza, che furono fatti per ordine di Mosè, a cura dei Leviti, sotto la direzione di Itamar, figlio del sacerdote Aaronne. Besaleel, figlio di Uri, figlio di Cur della tribù di Giuda, fece tutto quello che l’Eterno aveva ordinato a Mosè, avendo con sé Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan, scultore, disegnatore, e ricamatore di stoffe violacee, porporine, scarlatte e di lino fino. Tutto l’oro che fu impiegato nell’opera per tutti i lavori del santuario, oro delle offerte, fu ventinove talenti e settecentotrenta sicli, secondo il siclo del santuario. L’argento di quelli della comunità dei quali si fece il censimento, fu cento talenti e millesettecentosettantacinque sicli, secondo il siclo del santuario: un beca a testa, vale a dire un mezzo siclo, secondo il siclo del santuario, per ogni uomo compreso nel censimento, dall’età di vent’anni in su: cioè, per seicentotremilacinquecentocinquanta uomini. I cento talenti d’argento servirono a fondere le basi del santuario e le basi del velo: cento basi per i cento talenti, un talento per base. E con i millesettecentosettantacinque sicli si fecero dei chiodi per le colonne, si rivestirono i capitelli, e si fecero le aste delle colonne. Il bronzo delle offerte ammontava a settanta talenti e a duemilaquattrocento sicli. Con questi si fecero le basi dell’ingresso della tenda di convegno, l’altare di bronzo con la sua gratella di bronzo, e tutti gli utensili dell’altare, le basi del cortile tutto intorno, le basi dell’ingresso del cortile, tutti i picchetti del tabernacolo e tutti i picchetti del recinto del cortile. Poi, con le stoffe tinte di violaceo, porporino e scarlatto, fecero dei paramenti cerimoniali ben lavorati per le funzioni nel santuario, e fecero i paramenti sacri per Aaronne, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Si fece l’efod, d’oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto. Batterono l’oro in lamine e lo tagliarono in fili, per intesserlo nella stoffa violacea, porporina, scarlatta, e nel lino fino, e farne un lavoro artistico. Gli fecero delle spalline, unite assieme; in modo che l’efod fosse tenuto assieme mediante le sue due estremità. E la cintura artistica che era sull’efod per fissarlo, era tutta di un pezzo con l’efod, e del medesimo lavoro di esso: cioè, d’oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi lavorarono le pietre di onice, incassate in castoni d’oro, sulle quali incisero i nomi dei figli di Israele, come si incidono i sigilli. E le misero sulle spalline dell’efod, come pietre memoriali per i figli di Israele, nel modo che l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi si fece il pettorale, artisticamente lavorato come il lavoro dell’efod: d’oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto. Il pettorale era quadrato; e lo fecero doppio; aveva la lunghezza di una spanna e una spanna di larghezza; era doppio. E vi incastonarono quattro ordini di pietre; nel primo ordine c’era un sardonio, un topazio e uno smeraldo; nel secondo ordine, un rubino, uno zaffiro, un calcedonio; nel terzo ordine, un opale, un’agata, un’ametista; nel quarto ordine, un crisolito, un’onice e un diaspro. Queste pietre erano incassate nei loro castoni d’oro. E le pietre corrispondevano ai nomi dei figli di Israele, ed erano dodici, secondo i loro nomi; erano incise come dei sigilli, ciascuna con il nome di una delle dodici tribù. Fecero pure sul pettorale delle catenelle d’oro puro, intrecciate come dei cordoni. E fecero due castoni d’oro e due anelli d’oro, e misero i due anelli alle due estremità del pettorale. E fissarono i due cordoni d’oro ai due anelli alle estremità del pettorale; e attaccarono gli altri due capi dei due cordoni d’oro ai due castoni, e li misero sulle due spalline dell’efod, sul davanti. Fecero anche due anelli d’oro e li misero alle altre due estremità del pettorale, sull’orlo interiore rivolto verso l’efod. E fecero altri due anelli d’oro, e li misero alle due spalline dell’efod, in basso, sul davanti, vicino al punto dove avveniva la giuntura, al di sopra della cintura artistica dell’efod. E attaccarono il pettorale mediante i suoi anelli agli anelli dell’efod con un cordone violaceo, affinché il pettorale fosse al di sopra della banda artisticamente lavorata dell’efod, e non si potesse staccare dall’efod; come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Si fece pure il manto dell’efod, di lavoro di tessitura tutto di colore violaceo, e l’apertura, in mezzo al manto, per passarvi il capo: apertura, come quella di una corazza, con un’orlatura tessuta intorno, perché non si strappasse. E all’orlo inferiore del manto fecero delle melagrane di colore violaceo, porporino e scarlatto, di filo ritorto. E fecero dei sonagli d’oro puro; e posero i sonagli in mezzo alle melagrane all’orlo inferiore del manto, tutto intorno, fra le melagrane: un sonaglio e una melagrana, un sonaglio e una melagrana, sull’orlatura del manto, tutto intorno, per fare il servizio, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Si fecero pure le tuniche di lino fino, di lavoro di tessitura, per Aaronne e per i suoi figli, e il turbante di lino fino e le tiare di lino fino da servire come ornamento e i calzoni di lino fino ritorto, e la cintura di lino fino ritorto, di colore violaceo, porporino, scarlatto, un lavoro di ricamo, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Fecero d’oro puro la lamina del sacro diadema, e vi incisero, come si incide sopra un sigillo: Santo All’Eterno. E vi attaccarono un nastro violaceo per fermarla sul turbante, in alto, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Così fu finito tutto il lavoro del tabernacolo e della tenda di convegno. I figli di Israele fecero interamente come l’Eterno aveva ordinato a Mosè; fecero in quel modo. Poi portarono a Mosè il tabernacolo, la tenda e tutti i suoi utensili, i suoi fermagli, le sue tavole, le sue traverse, le sue colonne, le sue basi; la coperta di pelli di montone tinte in rosso, la coperta di pelli di tasso, e il velo di separazione; l’arca della testimonianza con le sue stanghe, e il propiziatorio; la tavola con tutti i suoi utensili e il pane della presentazione; il candelabro d’oro puro con le sue lampade, le lampade disposte in ordine, tutti i suoi utensili, e l’olio per il candelabro; l’altare d’oro, l’olio dell’unzione, il profumo fragrante, e la portiera per l’ingresso della tenda; l’altare di bronzo, la sua gratella di bronzo, le sue stanghe e tutti i suoi utensili, la conca con la sua base; le cortine del cortile, le sue colonne con le sue basi, la portiera per l’ingresso del cortile, i cordami del cortile, i suoi picchetti e tutti gli utensili per il servizio del tabernacolo, per la tenda di convegno; i paramenti cerimoniali per le funzioni nel santuario, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio. I figli di Israele eseguirono tutto il lavoro, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. E Mosè vide tutto il lavoro; ed ecco, essi lo avevano eseguito come l’Eterno aveva ordinato; l’avevano eseguito in quel modo. E Mosè li benedisse. L’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Il primo giorno del primo mese erigerai il tabernacolo, la tenda di convegno. Vi porrai l’arca della testimonianza, e stenderai il velo davanti all’arca. Vi porterai dentro la tavola, e disporrai in ordine le cose che ci sono sopra; vi porterai pure il candelabro e accenderai le sue lampade. Porrai l’altare d’oro per i profumi davanti all’arca della testimonianza e metterai la portiera all’ingresso del tabernacolo. Porrai l’altare degli olocausti davanti all’ingresso del tabernacolo, della tenda di convegno. Metterai la conca fra la tenda di convegno e l’altare, e vi metterai dentro dell’acqua. Stabilirai il cortile tutto intorno, e attaccherai la portiera all’ingresso del cortile. Poi prenderai l’olio dell’unzione e ungerai il tabernacolo e tutto ciò che c’è dentro, lo consacrerai con tutti i suoi utensili, e sarà santo. Ungerai pure l’altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, consacrerai l’altare, e l’altare sarà santissimo. Ungerai anche la conca con la sua base, e la consacrerai. Poi farai accostare Aaronne e i suoi figli all’ingresso della tenda di convegno, e li laverai con acqua. Rivestirai Aaronne dei paramenti sacri, e lo ungerai e lo consacrerai, perché eserciti per me l’ufficio di sacerdote. Farai accostare pure i suoi figli, li rivestirai di tuniche, e li ungerai come avrai unto il loro padre, perché esercitino per me l’ufficio di sacerdoti; e la loro unzione conferirà loro un sacerdozio perpetuo, di generazione in generazione”. Mosè fece così; fece interamente come l’Eterno gli aveva ordinato. E il primo giorno del primo mese del secondo anno, il tabernacolo fu eretto. Mosè eresse il tabernacolo, ne pose le basi, ne collocò le assi, ne mise le traverse e ne rizzò le colonne. Stese la tenda sul tabernacolo, e sopra la tenda pose la coperta di essa, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi prese la testimonianza e la pose dentro l’arca, mise le stanghe all’arca, e collocò il propiziatorio sull’arca; portò l’arca nel tabernacolo, sospese il velo di separazione e coprì con esso l’arca della testimonianza, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Pose pure la tavola nella tenda di convegno, dal lato settentrionale del tabernacolo, fuori del velo. Vi dispose sopra in ordine il pane, davanti all’Eterno, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi mise il candelabro nella tenda di convegno, di fronte alla tavola, dal lato meridionale del tabernacolo; e accese le lampade davanti all’Eterno, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi mise l’altare d’oro nella tenda di convegno, davanti al velo, e vi bruciò sopra il profumo fragrante, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Mise pure la portiera all’ingresso del tabernacolo. Poi collocò l’altare degli olocausti all’ingresso del tabernacolo della tenda di convegno, e vi offrì sopra l’olocausto e l’oblazione, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Pose la conca fra la tenda di convegno e l’altare, e vi pose dentro dell’acqua per le abluzioni. Mosè e Aaronne e i suoi figli si lavarono le mani e i piedi; quando entravano nella tenda di convegno e quando si accostavano all’altare, si lavavano, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Eresse pure il cortile attorno al tabernacolo e all’altare, e sospese la portiera all’ingresso del cortile. Così Mosè completò l’opera. Allora la nuvola coprì la tenda di convegno, e la gloria dell’Eterno riempì il tabernacolo. E Mosè non poté entrare nella tenda di convegno perché la nuvola vi si era posata sopra, e la gloria dell’Eterno riempiva il tabernacolo. Durante tutti i loro viaggi, quando la nuvola si alzava dal tabernacolo, i figli di Israele partivano; ma se la nuvola non si alzava, non partivano fino al giorno che si alzasse. Poiché la nuvola dell’Eterno stava sul tabernacolo durante il giorno; e di notte vi era un fuoco, a vista di tutta la casa di Israele durante tutti i loro viaggi. L’Eterno chiamò Mosè e gli parlò dalla tenda di convegno, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Quando qualcuno tra voi porterà un’offerta all’Eterno, l’offerta che porterete sarà di bestiame: di capi della mandria o di capi del gregge. Se la sua offerta è un olocausto di capi della mandria, offrirà un maschio senza difetto; lo offrirà all’ingresso della tenda di convegno, per ottenere il favore dell’Eterno. Poserà la mano sulla testa dell’olocausto, il quale sarà gradito all’Eterno, per fare l’espiazione per lui. Poi sgozzerà il vitello davanti all’Eterno; e i sacerdoti, figli di Aaronne, offriranno il sangue, e lo spargeranno tutto intorno sull’altare, che è all’ingresso della tenda di convegno. Si scuoierà quindi l’olocausto, e lo si taglierà a pezzi. E i figli del sacerdote Aaronne metteranno del fuoco sull’altare, e accomoderanno della legna sul fuoco. Poi i sacerdoti, figli di Aaronne, disporranno quei pezzi, la testa e il grasso, sulla legna messa sul fuoco sopra l’altare; ma le interiora e le zampe si laveranno con acqua, e il sacerdote farà bruciare ogni cosa sull’altare, come un olocausto, un sacrificio di odore soave, fatto mediante il fuoco all’Eterno. Se la sua offerta è un olocausto di capi di gregge, di pecore o di capre, offrirà un maschio senza difetto. Lo sgozzerà dal lato settentrionale dell’altare, davanti all’Eterno; e i sacerdoti, figli di Aaronne, ne spargeranno il sangue sull’altare, tutto intorno. Poi lo si taglierà a pezzi, che, insieme con la testa e con il grasso, il sacerdote disporrà sulla legna messa sul fuoco sopra l’altare; ma le interiora e le zampe si laveranno con acqua, e il sacerdote offrirà ogni cosa e la farà bruciare sull’altare. Questo è un olocausto, un sacrificio di odore soave, fatto mediante il fuoco all’Eterno. Se la sua offerta all’Eterno è un olocausto di uccelli, offrirà delle tortore o dei giovani piccioni. Il sacerdote offrirà in sacrificio l’uccello sull’altare, gli staccherà la testa, la farà bruciare sull’altare, e il suo sangue sarà fatto scorrere sopra uno dei lati dell’altare. Poi gli toglierà il gozzo con quello che contiene, e getterà tutto accanto all’altare, verso oriente, nel luogo delle ceneri. Spaccherà quindi l’uccello per le ali, senza però dividerlo in due, e il sacerdote lo farà bruciare sull’altare, sulla legna messa sopra il fuoco. Questo è un olocausto, un sacrificio di odore soave, fatto mediante il fuoco all’Eterno. Quando qualcuno presenterà all’Eterno come offerta una oblazione, la sua offerta sarà di fior di farina; vi verserà sopra dell’olio e vi aggiungerà dell’incenso. E la porterà ai sacerdoti figli di Aaronne; e il sacerdote prenderà una manciata piena di fior di farina bagnata di olio, con tutto l’incenso, e farà bruciare ogni cosa sull’altare, come ricordo. Questo è un sacrificio di odore soave, fatto mediante il fuoco all’Eterno. Ciò che rimarrà dell’oblazione sarà per Aaronne e per i suoi figli; è cosa santissima tra i sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno. Quando offrirai un’oblazione cotta nel forno, ti servirai di focacce non lievitate, di fior di farina impastata con olio, e di gallette senza lievito unte d’olio. E se la tua offerta è un’oblazione cotta sulla griglia, sarà di fior di farina, impastata con olio, senza lievito. La farai a pezzi, e vi verserai su dell’olio; è un’oblazione. E se la tua offerta è un’oblazione cotta in padella, sarà fatta di fior di farina con olio. Porterai all’Eterno l’oblazione fatta di queste cose; sarà presentata al sacerdote, che la porterà sull’altare. Il sacerdote preleverà dall’oblazione la parte che deve essere offerta come ricordo, e la farà bruciare sull’altare. È un sacrificio di odore soave, fatto mediante il fuoco all’Eterno. Ciò che rimarrà dell’oblazione sarà per Aaronne e per i suoi figli; è cosa santissima tra i sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno. Qualunque oblazione offrirete all’Eterno sarà senza lievito; poiché non farete bruciare nulla che contenga lievito o miele, come sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. Potrete offrirne all’Eterno come oblazione di primizie; ma queste offerte non saranno poste sull’altare come offerte di odore soave. Ogni oblazione che offrirai la condirai con sale, e non lascerai che la tua oblazione manchi di sale, segno del patto del tuo Dio. Su tutte le tue offerte offrirai del sale. E se offri all’Eterno un’oblazione di primizie, offrirai, come oblazione delle tue primizie, delle spighe tostate al fuoco, chicchi di grano nuovo, tritati. E vi porrai su dell’olio e vi aggiungerai dell’incenso: è un’oblazione. Il sacerdote farà bruciare come ricordo una parte del grano tritato e dell’olio, con tutto l’incenso. È un sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. Quando uno offrirà un sacrificio di ringraziamento, se offre capi della mandria, un maschio o una femmina, li offrirà senza difetto davanti all’Eterno. Poserà la mano sulla testa della sua offerta, e la sgozzerà all’ingresso della tenda di convegno; e i sacerdoti, figli di Aaronne, spargeranno il sangue sull’altare tutto intorno. E di questo sacrificio di ringraziamento offrirà, come sacrificio mediante il fuoco all’Eterno, il grasso che copre le interiora e tutto il grasso che aderisce alle interiora, i due rognoni e il grasso che vi è sopra e che copre i fianchi, e la rete del fegato, che staccherà vicino ai rognoni. E i figli di Aaronne faranno bruciare tutto questo sull’altare sopra l’olocausto, che è sulla legna messa sul fuoco. Questo è un sacrificio di odore soave, fatto mediante il fuoco all’Eterno. Se l’offerta che egli fa come sacrificio di ringraziamento all’Eterno è di capi di gregge, un maschio o una femmina, li offrirà senza difetto. Se presenta come offerta un agnello, lo offrirà davanti all’Eterno. Poserà la mano sulla testa della sua offerta, e la sgozzerà all’ingresso della tenda di convegno; e i figli di Aaronne ne spargeranno il sangue sull’altare tutto intorno. E di questo sacrificio di ringraziamento offrirà, come sacrificio mediante il fuoco all’Eterno, il grasso, tutta la coda che egli staccherà presso l’estremità della spina dorsale, il grasso che copre le interiora e tutto il grasso che aderisce alle interiora, i due rognoni e il grasso che vi è sopra e che copre i fianchi, e la rete del fegato, che staccherà vicino ai rognoni. E il sacerdote farà bruciare tutto questo sull’altare. È un cibo offerto mediante il fuoco all’Eterno. Se la sua offerta è una capra, la offrirà davanti all’Eterno. Poserà la mano sulla testa della vittima, e la sgozzerà all’ingresso della tenda di convegno; e i figli di Aaronne ne spargeranno il sangue sull’altare tutto intorno. E della vittima offrirà, come sacrificio mediante il fuoco all’Eterno, il grasso che copre le interiora e tutto il grasso che aderisce alle interiora, i due rognoni e il grasso che vi è sopra e che copre i fianchi, e la rete del fegato, che staccherà vicino ai rognoni. E il sacerdote farà bruciare tutto questo sull’altare. È un cibo di odore soave, offerto mediante il fuoco. Tutto il grasso appartiene all’Eterno. Questa è una legge perenne, per tutte le vostre generazioni, e in tutti i luoghi dove abiterete: non mangerete né grasso né sangue’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Quando qualcuno avrà peccato per errore e avrà fatto qualcuna delle cose che l’Eterno ha vietato di fare, se il sacerdote che ha ricevuto l’unzione è colui che ha peccato, rendendo in tal modo colpevole il popolo, offrirà all’Eterno, per il peccato commesso, un giovenco senza difetto, come sacrificio per il peccato. Condurrà il giovenco all’ingresso della tenda di convegno, davanti all’Eterno; poserà la mano sulla testa del giovenco, e sgozzerà il giovenco davanti all’Eterno. Poi il sacerdote che ha ricevuto l’unzione prenderà del sangue del giovenco e lo porterà nella tenda di convegno; e il sacerdote intingerà il suo dito nel sangue, e farà l’aspersione di quel sangue sette volte davanti all’Eterno, di fronte al velo del santuario. Il sacerdote quindi metterà di quel sangue sui corni dell’altare del profumo fragrante, altare che è davanti all’Eterno, nella tenda di convegno; e spanderà tutto il sangue del giovenco ai piedi dell’altare degli olocausti, che è all’ingresso della tenda di convegno. E toglierà dal giovenco del sacrificio per il peccato tutto il grasso: il grasso che copre le interiora e tutto il grasso che aderisce alle interiora, i due rognoni e il grasso che vi è sopra e che copre i fianchi, e la rete del fegato, che staccherà vicino ai rognoni, nello stesso modo che queste parti si tolgono dal giovenco del sacrificio di ringraziamento; e il sacerdote le farà bruciare sull’altare degli olocausti. Ma la pelle del giovenco e tutta la sua carne, con la sua testa, le sue gambe, le sue interiora e i suoi escrementi, cioè il giovenco intero, lo porterà fuori dall’accampamento, in un luogo puro, dove si gettano le ceneri; e lo brucerà con il fuoco, su della legna; sarà bruciato sul mucchio delle ceneri. Se tutta la comunità di Israele ha peccato per errore, senza accorgersene, e ha fatto qualcuna delle cose che l’Eterno ha vietato di fare, e si è così resa colpevole, quando il peccato che ha commesso sarà conosciuto, la comunità offrirà, come sacrificio per il peccato, un giovenco, e lo condurrà davanti alla tenda di convegno. Gli anziani della comunità poseranno le mani sulla testa del giovenco davanti all’Eterno; e il giovenco sarà sgozzato davanti all’Eterno. Poi il sacerdote che ha ricevuto l’unzione porterà del sangue del giovenco nella tenda di convegno; e il sacerdote intingerà il dito nel sangue e ne farà l’aspersione sette volte davanti all’Eterno, di fronte al velo. E metterà di quel sangue sui corni dell’altare che è davanti all’Eterno, nella tenda di convegno; e spanderà tutto il sangue ai piedi dell’altare dell’olocausto, che è all’ingresso della tenda di convegno. E toglierà dal giovenco tutto il grasso, e lo farà bruciare sull’altare. Farà di questo giovenco, come ha fatto del giovenco offerto per il peccato. Così il sacerdote farà l’espiazione per la comunità, e le sarà perdonato. Poi porterà il giovenco fuori dall’accampamento, e lo brucerà come ha bruciato il primo giovenco. Questo è il sacrificio per il peccato della comunità. Se uno dei capi ha peccato, e ha fatto per errore qualcuna di tutte le cose che l’Eterno Iddio suo ha vietato di fare, e si è così reso colpevole, quando gli sarà fatto conoscere, il peccato che ha commesso porterà, come sua offerta, un capro, un maschio fra le capre, senza difetto. Poserà la mano sulla testa del capro, e lo sgozzerà nel luogo dove si sgozzano gli olocausti, davanti all’Eterno. È un sacrificio per il peccato. Poi il sacerdote prenderà con il suo dito del sangue del sacrificio per il peccato, e lo metterà sui corni dell’altare degli olocausti, e spanderà il sangue del capro ai piedi dell’altare dell’olocausto; e farà bruciare tutto il grasso del capro sull’altare, come ha fatto del grasso del sacrificio di ringraziamento. Così il sacerdote farà l’espiazione del peccato di lui, e gli sarà perdonato. Se qualcuno del popolo del paese peccherà per errore e farà qualcuna delle cose che l’Eterno ha vietato di fare, rendendosi così colpevole, quando gli sarà fatto conoscere il peccato che ha commesso, condurrà come sua offerta una capra, una femmina senza difetto, per il peccato che ha commesso. Poserà la mano sulla testa del sacrificio per il peccato, e sgozzerà il sacrificio per il peccato nel luogo dove si sgozzano gli olocausti. Poi il sacerdote prenderà con il suo dito del sangue della capra e lo metterà sui corni dell’altare dell’olocausto, e spanderà tutto il sangue della capra ai piedi dell’altare. E toglierà tutto il grasso dalla capra, come ha tolto il grasso dal sacrificio di ringraziamento; e il sacerdote lo farà bruciare sull’altare come un odore soave all’Eterno. Così il sacerdote farà l’espiazione per quel tale, e gli sarà perdonato. E se questi porterà un agnello come suo sacrificio per il peccato, dovrà condurre una femmina senza difetto. Poserà la mano sulla testa del sacrificio per il peccato, e lo sgozzerà come sacrificio per il peccato nel luogo dove si sgozzano gli olocausti. Poi il sacerdote prenderà con il suo dito del sangue del sacrificio per il peccato, e lo metterà sui corni dell’altare dell’olocausto, e spanderà tutto il sangue della vittima ai piedi dell’altare; e toglierà dalla vittima tutto il grasso, come si toglie il grasso dall’agnello del sacrificio di ringraziamento; e il sacerdote lo farà bruciare sull’altare, sui sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno. Così il sacerdote farà per quel tale l’espiazione del peccato che ha commesso, e gli sarà perdonato. Quando una persona, dopo aver udito dal giudice la formula del giuramento, nella sua qualità di testimone pecca non dichiarando ciò che ha visto o conosciuto, porterà la pena della sua iniquità. O quando uno, senza saperlo, avrà toccato qualcosa di impuro, come il cadavere di una bestia selvatica impura, o il cadavere di un animale domestico impuro, o quello di un rettile impuro, rimarrà egli stesso impuro e colpevole. O quando, senza saperlo, toccherà una impurità umana - una qualunque delle cose per le quali l’uomo diviene impuro - quando viene a saperlo, è colpevole. O quando uno, senza badarvi, parlando con leggerezza, avrà giurato, con uno di quei giuramenti che gli uomini sono soliti pronunciare alla leggera, di fare qualcosa di male o di bene, quando se ne accorge, è colpevole. Quando uno dunque si sarà reso colpevole di una di queste cose, confesserà il peccato che ha commesso; porterà all’Eterno, come sacrificio della sua colpa, per il peccato che ha commesso, una femmina del gregge, una pecora o una capra, come sacrificio per il peccato; e il sacerdote farà per lui l’espiazione del suo peccato. Se non ha mezzi per procurarsi una pecora o una capra, porterà all’Eterno, come sacrificio della sua colpa, per il suo peccato, due tortore o due giovani piccioni: uno come sacrificio per il peccato, l’altro come olocausto. Li porterà al sacerdote, il quale offrirà prima quello per il peccato; gli taglierà la testa vicino alla nuca, ma senza staccarla del tutto; poi spargerà del sangue del sacrificio per il peccato sopra uno dei lati dell’altare, e il resto del sangue sarà fatto colare ai piedi dell’altare. Questo è un sacrificio per il peccato. Dell’altro uccello farà un olocausto, secondo le norme stabilite. Così il sacerdote farà per quel tale l’espiazione del peccato che ha commesso, e gli sarà perdonato. Ma se non ha mezzi per procurarsi due tortore o due giovani piccioni, porterà, come sua offerta per il peccato che ha commesso, la decima parte di un efa di fior di farina, come sacrificio per il peccato; non vi metterà su né olio né incenso, perché è un sacrificio per il peccato. Porterà la farina al sacerdote, e il sacerdote ne prenderà una manciata piena come ricordo, e la farà bruciare sull’altare sopra i sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno. È un sacrificio per il peccato. Così il sacerdote farà per quel tale l’espiazione del peccato che ha commesso in uno di quei casi, e gli sarà perdonato. Il resto della farina sarà per il sacerdote come si fa nell’oblazione’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Quando uno commetterà una infedeltà e peccherà per errore, relativamente a ciò che deve essere consacrato all’Eterno, porterà all’Eterno, come sacrificio per la colpa, un montone senza difetto, preso dal gregge, che stimerai in sicli d’argento secondo il siclo del santuario, come sacrificio per la colpa. Risarcirà il danno fatto al santuario, aggiungendovi un quinto in più e lo darà al sacerdote; e il sacerdote farà per lui l’espiazione con il montone offerto come sacrificio per la colpa, e gli sarà perdonato. E quando uno peccherà facendo, senza saperlo, qualcuna delle cose che l’Eterno ha vietato di fare, sarà colpevole e porterà la pena della sua iniquità. Presenterà al sacerdote, come sacrificio per la colpa, un montone senza difetto, preso dal gregge, secondo la tua stima; e il sacerdote farà per lui l’espiazione dell’errore commesso per ignoranza, e gli sarà perdonato. Questo è un sacrificio per la colpa; quel tale si è realmente reso colpevole verso l’Eterno”. L’Eterno parlò a Mosè dicendo: “Quando uno peccherà e commetterà una infedeltà verso l’Eterno, negando al suo prossimo un deposito da lui ricevuto, o un pegno messo nelle sue mani, o una cosa che ha rubato o estorto con frode al prossimo, o una cosa perduta che ha trovato, e mentendo a questo proposito e giurando il falso circa una delle cose nelle quali l’uomo può peccare, quando avrà così peccato e si sarà reso colpevole, restituirà la cosa rubata o estorta con frode, o il deposito che gli era stato affidato, o l’oggetto perduto che ha trovato, o qualunque cosa circa la quale abbia giurato il falso. Ne farà la restituzione per intero e vi aggiungerà un quinto in più, consegnandola al proprietario il giorno stesso che offrirà il suo sacrificio per la colpa. Porterà al sacerdote il suo sacrificio per la colpa all’Eterno: un montone senza difetto, preso dal gregge, secondo la tua stima, come sacrificio per la colpa. Il sacerdote farà l’espiazione per lui davanti all’Eterno, e gli sarà perdonato qualunque sia la cosa di cui si è reso colpevole”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Da’ quest’ordine ad Aaronne e ai suoi figli, e di’ loro: ‘Questa è la legge dell’olocausto. L’olocausto rimarrà sulla legna accesa sopra l’altare tutta la notte, fino al mattino; e il fuoco dell’altare sarà tenuto acceso. Il sacerdote si vestirà della sua tunica di lino e si metterà sul corpo i calzoni; toglierà la cenere fatta dal fuoco che avrà consumato l’olocausto sull’altare e la metterà accanto all’altare. Poi si spoglierà delle vesti e ne indosserà delle altre, e porterà la cenere fuori dall’accampamento, in un luogo puro. Il fuoco sarà mantenuto acceso sull’altare e non si lascerà spegnere; e il sacerdote vi brucerà della legna ogni mattina, vi disporrà sopra l’olocausto, e vi farà bruciare sopra il grasso dei sacrifici di ringraziamento. Il fuoco deve essere sempre mantenuto acceso sull’altare, e non si lascerà spegnere. Questa è la legge dell’oblazione. I figli di Aaronne l’offriranno davanti all’Eterno, di fronte all’altare. Si prenderà una manciata di fior di farina con il suo olio e tutto l’incenso che è sull’oblazione, e si farà bruciare ogni cosa sull’altare in sacrificio di odore soave, come un ricordo per l’Eterno. Aaronne e i suoi figli mangeranno ciò che rimarrà dell’oblazione; si mangerà senza lievito, in luogo santo; la mangeranno nel cortile della tenda di convegno. Non la si cuocerà con il lievito; è la parte che ho dato loro dei miei sacrifici fatti mediante il fuoco. È cosa santissima, come il sacrificio per il peccato e come il sacrificio per la colpa. Ogni maschio tra i figli di Aaronne ne potrà mangiare. È una parte perenne, assegnata di generazione in generazione, sui sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno. Chiunque toccherà quelle cose dovrà essere santo’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Questa è l’offerta che Aaronne e i suoi figli faranno all’Eterno il giorno che riceveranno l’unzione: un decimo di efa di fior di farina, come oblazione perenne, metà la mattina e metà la sera. Essa sarà preparata con olio, sulla griglia; la porterai quando sarà fritta; l’offrirai in pezzi, come offerta divisa di odore soave all’Eterno; e il sacerdote che, tra i figli di Aaronne, sarà unto per succedergli, farà anche egli questa offerta; è la parte assegnata per sempre all’Eterno; sarà fatta bruciare per intero. Ogni oblazione del sacerdote sarà fatta bruciare per intero; non sarà mangiata”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ad Aaronne e ai suoi figli, e di’ loro: ‘Questa è la legge del sacrificio per il peccato. Nel luogo dove si sgozza l’olocausto, sarà sgozzata, davanti all’Eterno, la vittima per il peccato. È cosa santissima. Il sacerdote che la offrirà per il peccato, la mangerà; dovrà essere mangiata in luogo santo, nel cortile della tenda di convegno. Chiunque ne toccherà la carne dovrà essere santo; e se schizza del sangue sopra una veste, il posto dove sarà schizzato il sangue lo laverai in luogo santo. Ma il vaso di terra che sarà servito a cuocerla, sarà spezzato; e se è stata cotta in un vaso di bronzo, questo si strofini bene e si sciacqui con acqua. Ogni maschio, fra i sacerdoti, ne potrà mangiare; è cosa santissima. Ma non si mangerà nessuna vittima per il peccato, quando si deve portare del sangue di essa nella tenda di convegno per fare l’espiazione nel santuario. Essa sarà bruciata con il fuoco. Questa è la legge del sacrificio per la colpa; è cosa santissima. Nel luogo dove si sgozza l’olocausto, si sgozzerà la vittima per la colpa; e se ne spanderà il sangue sull’altare tutto intorno; e se ne offrirà tutto il grasso, la coda, il grasso che copre le interiora, i due rognoni, il grasso che vi è sopra e che copre i fianchi, e la rete del fegato, che si staccherà vicino ai rognoni. Il sacerdote farà bruciare tutto questo sull’altare, come un sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. Questo è un sacrificio per la colpa. Ogni maschio tra i sacerdoti ne potrà mangiare; si mangerà in luogo santo; è cosa santissima. Il sacrificio per la colpa è come il sacrificio per il peccato; la stessa legge vale per entrambi; la vittima sarà del sacerdote che farà l’espiazione. E il sacerdote che offrirà l’olocausto per qualcuno terrà per sé la pelle dell’olocausto che avrà offerto. Così pure ogni oblazione cotta in forno, o preparata in padella, o sulla griglia, sarà del sacerdote che l’ha offerta. E ogni oblazione impastata con olio, o asciutta, sarà per tutti i figli di Aaronne: per l’uno come per l’altro. Questa è la legge del sacrificio di ringraziamento, che si offrirà all’Eterno. Se uno l’offre per riconoscenza, offrirà, con il sacrificio di ringraziamento, delle focacce senza lievito intrise di olio, delle gallette senza lievito unte con olio, e del fior di farina cotto, in forma di focacce intrise di olio. Presenterà anche, come sua offerta, oltre a quelle focacce, delle focacce di pane lievitato, insieme con il suo sacrificio di riconoscenza e di ringraziamento. Di ognuna di queste offerte si presenterà una parte come oblazione elevata all’Eterno; essa sarà del sacerdote che avrà fatto l’aspersione del sangue del sacrificio di ringraziamento. E la carne del sacrificio di riconoscenza e di ringraziamento sarà mangiata il giorno stesso che esso è offerto; non se ne lascerà nulla fino alla mattina. Ma se il sacrificio che uno offre è votivo o volontario, la vittima sarà mangiata il giorno che egli la offrirà, e quel che ne rimane dovrà essere mangiato l’indomani; ma ciò che sarà rimasto della carne del sacrificio fino al terzo giorno, si dovrà bruciare con il fuoco. Se uno mangia della carne del suo sacrificio di ringraziamento il terzo giorno, chi l’ha offerto non sarà gradito; e dell’offerta non gli sarà tenuto conto; sarà cosa abominevole; e chi ne avrà mangiato porterà la pena della sua iniquità. La carne che sarà stata in contatto con qualcosa di impuro non sarà mangiata, sarà bruciata con il fuoco. Quanto alla carne che si mangia, chiunque è puro ne potrà mangiare; ma la persona che, essendo impura, mangerà della carne del sacrificio di ringraziamento che appartiene all’Eterno, sarà eliminata dal suo popolo. E se uno toccherà qualcosa di impuro, una impurità umana, un animale impuro o qualsiasi cosa abominevole, immonda, e mangerà della carne del sacrificio di ringraziamento che appartiene all’Eterno, quel tale sarà eliminato dal suo popolo’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Non mangerete nessun grasso, né di bue, né di pecora, né di capra. Il grasso di una bestia morta da sé, o il grasso di una bestia sbranata potrà servire per qualunque altro uso; ma non ne mangerete affatto; perché chiunque mangerà del grasso degli animali che si offrono in sacrificio mediante il fuoco all’Eterno, quel tale sarà eliminato dal suo popolo. E non mangerete affatto nessun sangue, né di uccelli né di quadrupedi, in tutti i luoghi dove abiterete. Chiunque mangerà sangue di qualunque specie, sarà eliminato dal suo popolo’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Colui che offrirà all’Eterno il suo sacrificio di ringraziamento porterà la sua offerta all’Eterno, prelevandola dal suo sacrificio di ringraziamento. Porterà con le proprie mani ciò che deve essere offerto all’Eterno mediante il fuoco; porterà il grasso insieme con il petto, il petto per agitarlo come offerta agitata davanti all’Eterno. Il sacerdote farà bruciare il grasso sull’altare; e il petto sarà di Aaronne e dei suoi figli. Darete pure al sacerdote, come offerta elevata, la coscia destra dei vostri sacrifici di ringraziamento. Colui dei figli di Aaronne che offrirà il sangue e il grasso dei sacrifici di ringraziamento avrà, come sua parte, la coscia destra. Poiché, dai sacrifici di ringraziamento offerti dai figli d’Israele, io prendo il petto dell’offerta agitata e la coscia dell’offerta elevata, e li do al sacerdote Aaronne e ai suoi figli come legge perenne, da osservarsi dai figli d’Israele’”. Questa è la parte consacrata ad Aaronne e consacrata ai suoi figli, dei sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno, dal giorno in cui saranno presentati per esercitare il sacerdozio dell’Eterno. Questo l’Eterno ha ordinato ai figli d’Israele di dar loro dal giorno della loro unzione. È una parte che è dovuta a loro per sempre, di generazione in generazione. Questa è la legge dell’olocausto, dell’oblazione, del sacrificio per il peccato, del sacrificio per la colpa, della consacrazione e del sacrificio di ringraziamento: legge che l’Eterno diede a Mosè sul monte Sinai il giorno che ordinò ai figli d’Israele di presentare le loro offerte all’Eterno nel deserto di Sinai. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Prendi Aaronne e i suoi figli con lui, i paramenti, l’olio dell’unzione, il giovenco del sacrificio per il peccato, i due montoni e il paniere dei pani azzimi; e convoca tutta la comunità all’ingresso della tenda di convegno”. E Mosè fece come l’Eterno gli aveva ordinato, e la comunità fu convocata all’ingresso della tenda di convegno. Allora Mosè disse alla comunità: “Questo è quello che l’Eterno ha ordinato di fare”. E Mosè fece accostare Aaronne e i suoi figli, e li lavò con acqua. Poi rivestì Aaronne della tunica, lo cinse della cintura, gli pose addosso il manto, gli mise l’efod, e lo cinse della cintura artistica dell’efod, con la quale gli fissò l’efod addosso. Gli mise pure il pettorale, e sul pettorale pose l’Urim e il Tummim. Poi gli mise in capo il turbante, e davanti al turbante pose la lamina d’oro, il santo diadema, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi Mosè prese l’olio dell’unzione, unse il tabernacolo e tutte le cose che vi si trovavano, e le consacrò. Ne fece sette volte l’aspersione sull’altare, unse l’altare e tutti i suoi utensili, e la conca e la sua base, per consacrarli. E versò dell’olio dell’unzione sul capo di Aaronne, e unse Aaronne, per consacrarlo. Poi Mosè fece accostare i figli di Aaronne, li vestì di tuniche, li cinse di cinture, e assicurò sul loro capo dei copricapi, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Fece quindi accostare il giovenco del sacrificio per il peccato, e Aaronne e i suoi figli posarono le loro mani sulla testa del giovenco del sacrificio per il peccato. Mosè lo sgozzò, ne prese del sangue, lo mise con il dito sui corni dell’altare tutto intorno e purificò l’altare; poi sparse il resto del sangue ai piedi dell’altare, e lo consacrò per farvi sopra di esso l’espiazione. Poi prese tutto il grasso che era sulle interiora, la rete del fegato, i due rognoni con il loro grasso, e Mosè fece bruciare tutto sull’altare. Ma il giovenco, la sua pelle, la sua carne e i suoi escrementi, li bruciò con il fuoco fuori dall’accampamento, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Fece quindi accostare il montone dell’olocausto, e Aaronne e i suoi figli posarono le mani sulla testa del montone. E Mosè lo sgozzò, e ne sparse il sangue sull’altare tutto intorno. Poi fece a pezzi il montone, e Mosè fece bruciare la testa, i pezzi e il grasso. E quando ebbe lavato le interiora e le gambe con acqua, Mosè fece bruciare tutto il montone sull’altare. Fu un olocausto di odore soave, un sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi fece accostare il secondo montone, il montone della consacrazione; e Aaronne e i suoi figli posarono le mani sulla testa del montone. E Mosè lo sgozzò, e ne prese del sangue e lo mise sull’estremità dell’orecchio destro di Aaronne e sul pollice della sua mano destra e sull’alluce del suo piede destro. Poi Mosè fece accostare i figli di Aaronne, e pose di quel sangue sull’estremità del loro orecchio destro, sul pollice della loro mano destra e sull’alluce del loro piede destro; e sparse il resto del sangue sull’altare tutto intorno. Poi prese il grasso, la coda, tutto il grasso che copriva le interiora, la rete del fegato, i due rognoni, il loro grasso, e la coscia destra; e dal paniere dei pani azzimi, che era davanti all’Eterno, prese una focaccia senza lievito, una focaccia di pasta all’olio e una galletta, e le pose sui grassi e sulla coscia destra. Poi mise tutte queste cose sulle palme delle mani di Aaronne e sulle palme delle mani dei suoi figli, e le agitò come offerta agitata davanti all’Eterno. Mosè quindi le prese dalle loro mani, e le fece bruciare sull’altare sopra l’olocausto. Fu un sacrificio di consacrazione, di odore soave: un sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. Poi Mosè prese il petto del montone e lo agitò come offerta agitata davanti all’Eterno; questa fu la parte del montone della consacrazione che toccò a Mosè, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Mosè prese quindi dell’olio dell’unzione e del sangue che era sopra l’altare, e ne asperse Aaronne e i suoi paramenti, i suoi figli e i loro paramenti; e consacrò Aaronne e i suoi paramenti, i suoi figli e i loro paramenti con lui. Poi Mosè disse ad Aaronne e ai suoi figli: “Fate cuocere la carne all’ingresso della tenda di convegno; e lì la mangerete con il pane che è nel paniere della consacrazione, come ho ordinato, dicendo: ‘Aaronne e i suoi figli la mangeranno’. E ciò che rimane della carne e del pane lo brucerete con il fuoco. Per sette giorni non vi allontanerete dall’ingresso della tenda di convegno, finché non siano compiuti i giorni delle vostre consacrazioni; poiché la vostra consacrazione durerà sette giorni. Come si è fatto oggi, così l’Eterno ha ordinato che si faccia, per fare l’espiazione per voi. Rimarrete dunque sette giorni all’ingresso della tenda di convegno, giorno e notte, e osserverete il comandamento dell’Eterno, affinché non moriate; poiché così mi è stato ordinato”. E Aaronne e i suoi figli fecero tutte le cose che l’Eterno aveva ordinato per mezzo di Mosè. L’ottavo giorno, Mosè chiamò Aaronne, i suoi figli e gli anziani d’Israele, e disse ad Aaronne: “Prendi un vitello giovane per un sacrificio per il peccato, e un montone per un olocausto: entrambi senza difetto, e offrili all’Eterno. E dirai così ai figli d’Israele: ‘Prendete un capro per un sacrificio per il peccato, e un vitello e un agnello, entrambi di un anno, senza difetto, per un olocausto; e un bue e un montone per un sacrificio di ringraziamento, per sacrificarli davanti all’Eterno; e un’oblazione intrisa con olio; perché oggi l’Eterno vi apparirà’”. Essi dunque portarono davanti alla tenda di convegno le cose che Mosè aveva ordinato; e tutta la comunità si accostò, e rimase in piedi davanti all’Eterno. E Mosè disse: “Questo è quello che l’Eterno vi ha ordinato; fatelo, e la gloria dell’Eterno vi apparirà”. E Mosè disse ad Aaronne: “Accostati all’altare; offri il tuo sacrificio per il peccato e il tuo olocausto, e fa’ l’espiazione per te e per il popolo; presenta anche l’offerta del popolo e fa’ l’espiazione per esso, come l’Eterno ha ordinato”. Aaronne dunque si accostò all’altare e sgozzò il vitello del sacrificio per il peccato, che era per sé. I suoi figli gli porsero il sangue, ed egli intinse il dito nel sangue, ne mise sui corni dell’altare, e sparse il resto del sangue ai piedi dell’altare; ma il grasso, i rognoni e la rete del fegato della vittima per il peccato, li fece bruciare sull’altare, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. E la carne e la pelle, le bruciò con il fuoco fuori dall’accampamento. Poi sgozzò l’olocausto; e i figli di Aaronne gli porsero il sangue ed egli lo sparse sull’altare tutto intorno. Gli porsero pure l’olocausto fatto a pezzi, e la testa; ed egli li fece bruciare sull’altare. Lavò le interiora e le gambe, e le fece bruciare sull’olocausto, sopra l’altare. Poi presentò l’offerta del popolo. Prese il capro destinato al sacrificio per il peccato del popolo, lo sgozzò e l’offrì per il peccato, come la prima volta. Poi offrì l’olocausto, e lo fece secondo la regola stabilita. Presentò quindi l’oblazione; ne prese una manciata piena, e la fece bruciare sull’altare, oltre all’olocausto della mattina. E sgozzò il bue e il montone, come sacrificio di ringraziamento per il popolo. I figli di Aaronne gli porsero il sangue, ed egli lo sparse sull’altare, tutto intorno. Gli porsero il grasso del bue, del montone, la coda, il grasso che copre le interiora, i rognoni e la rete del fegato; misero il grasso sui petti, ed egli fece bruciare il grasso sull’altare; e Aaronne agitò i petti e la coscia destra davanti all’Eterno come offerta agitata, nel modo che Mosè aveva ordinato. Poi Aaronne alzò le mani verso il popolo, e lo benedisse; e, dopo aver fatto il sacrificio per il peccato, l’olocausto e i sacrifici di ringraziamento, scese giù dall’altare. E Mosè e Aaronne entrarono nella tenda di convegno; poi uscirono e benedissero il popolo; e la gloria dell’Eterno apparve a tutto il popolo. Un fuoco uscì dalla presenza dell’Eterno e consumò sull’altare l’olocausto e il grasso; e tutto il popolo lo vide, diè in grida di esultanza e si prostrò con la faccia a terra. Ora Nadab e Abiu, figli di Aaronne, presero ciascuno il suo turibolo, vi misero dentro del fuoco, vi posero sopra del profumo, e offrirono davanti all’Eterno del fuoco estraneo: che egli non aveva loro ordinato. E un fuoco uscì dalla presenza dell’Eterno, e li divorò; e morirono davanti all’Eterno. Allora Mosè disse ad Aaronne: “Questo è quello di cui l’Eterno ha parlato, quando ha detto: ‘Io sarò santificato per mezzo di quelli che mi stanno vicino, e sarò glorificato in presenza di tutto il popolo’”. E Aaronne tacque. Poi Mosè chiamò Misael ed Elsafan, figli di Uziel, zio di Aaronne, e disse loro: “Accostatevi, portate via i vostri fratelli da davanti al santuario, fuori dall’accampamento”. Ed essi si accostarono, e li portarono via nelle loro tuniche, fuori dall’accampamento, come Mosè aveva detto. Mosè disse ad Aaronne, a Eleazar e a Itamar, suoi figli: “Non andate a capo scoperto, e non vi stracciate le vesti, affinché non moriate, e l’Eterno non si adiri contro tutta la comunità; ma i vostri fratelli, tutta quanta la casa d’Israele, facciano cordoglio, a causa del fuoco che l’Eterno ha acceso. E non vi allontanate dall’ingresso della tenda di convegno, altrimenti morirete; perché l’olio dell’unzione dell’Eterno è su voi”. Ed essi fecero come Mosè aveva detto. L’Eterno parlò ad Aaronne, dicendo: “Non bevete vino né bevande alcoliche tu e i tuoi figli quando entrerete nella tenda di convegno, affinché non moriate; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; questo perché possiate discernere ciò che è santo da ciò che è profano e ciò che è impuro da ciò che è puro, e possiate insegnare ai figli d’Israele tutte le leggi che l’Eterno ha dato loro per mezzo di Mosè”. Poi Mosè disse ad Aaronne, a Eleazar e a Itamar, i due figli che restavano ad Aaronne: “Prendete quello che rimane dell’oblazione dei sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno, e mangiatelo senza lievito, presso l’altare; perché è cosa santissima. Lo mangerete in luogo santo, perché è la parte che spetta a te e ai tuoi figli, dei sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno; poiché così mi è stato ordinato. Il petto dell’offerta agitata e la coscia dell’offerta elevata li mangerete tu, i tuoi figli e le tue figlie con te, in luogo puro; perché vi sono stati dati come parte che spetta a te e ai tuoi figli, dei sacrifici di ringraziamento dei figli d’Israele. Oltre ai grassi da bruciare si porteranno la coscia dell’offerta elevata e il petto dell’offerta agitata, per essere agitati davanti all’Eterno come offerta agitata; anche questo apparterrà a te e ai tuoi figli con te, per diritto perenne, come l’Eterno ha ordinato”. Ora Mosè cercò e ricercò il capro del sacrificio per il peccato; ed ecco, era stato bruciato; così egli si adirò gravemente contro Eleazar e contro Itamar, i figli che erano rimasti ad Aaronne, dicendo: “Perché non avete mangiato il sacrificio per il peccato nel luogo santo? poiché è cosa santissima, e l’Eterno ve l’ha dato perché portiate l’iniquità della comunità, perché ne facciate l’espiazione davanti all’Eterno. Ecco, il sangue della vittima non è stato portato dentro il santuario; voi avreste dovuto mangiarla nel santuario, come io avevo ordinato”. E Aaronne disse a Mosè: “Ecco, oggi essi hanno offerto il loro sacrificio per il peccato e il loro olocausto davanti all’Eterno; e, dopo le cose che mi sono successe, se oggi avessi mangiato la vittima del sacrificio per il peccato, ciò sarebbe piaciuto all’Eterno?”. Quando Mosè udì questo, rimase soddisfatto. Poi l’Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne, dicendo loro: “Parlate così ai figli d’Israele: ‘Questi sono gli animali che potrete mangiare fra tutte le bestie che sono sulla terra. Mangerete di ogni animale che ha l’unghia spartita e ha il piede forcuto, e che rumina. Ma fra quelli che ruminano e fra quelli che hanno l’unghia spartita, non mangerete questi: il cammello, perché rumina, ma non ha l’unghia spartita; lo considererete come impuro; l’iràce, perché rumina, ma non ha l’unghia spartita; lo considererete come impuro; la lepre, perché rumina, ma non ha l’unghia spartita; la considererete come impura; il porco, perché ha l’unghia spartita e il piede forcuto, ma non rumina; lo considererete come impuro. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro corpi morti; li considererete come impuri. Questi sono gli animali che potrete mangiare fra tutti quelli che sono nell’acqua. Mangerete tutto ciò che ha pinne e squame nelle acque, tanto nei mari quanto nei fiumi. Ma tutto ciò che non ha né pinne né squame, tanto nei mari quanto nei fiumi, fra tutto ciò che si muove nelle acque e tutto ciò che vive nelle acque, sarà un abominio per voi. Sarà per voi un abominio; non mangerete la loro carne, e avrete in abominio i loro corpi morti. Tutto ciò che non ha né pinne né squame nelle acque sarà per voi un abominio. Fra gli uccelli avrete in abominio questi, non se ne mangi, sono un abominio: l’aquila, l’ossifraga e l’aquila di mare; il nibbio e ogni specie di falco; ogni specie di corvo; lo struzzo, il barbagianni, il gabbiano e ogni specie di sparviero; il gufo, lo smergo, l’ibis; il cigno, il pellicano, l’avvoltoio; la cicogna, ogni specie di airone, l’upupa e il pipistrello. Vi sarà in abominio anche ogni insetto alato che cammina su quattro piedi. Però, fra tutti gli insetti alati che camminano su quattro piedi, mangerete quelli che hanno zampe al di sopra dei piedi per saltare sulla terra. Di questi potrete mangiare: ogni specie di cavalletta, ogni specie di locusta, ogni specie di acridi e ogni specie di grilli. Ogni altro insetto alato che ha quattro piedi vi sarà in abominio. Questi animali vi renderanno impuri; chiunque toccherà il loro corpo morto sarà impuro fino alla sera. E chiunque porterà i loro corpi morti si laverà le vesti, e sarà impuro fino alla sera. Considererete come impuro ogni animale che ha l’unghia spartita, ma non ha il piede forcuto, e che non rumina; chiunque lo toccherà sarà impuro. Considererete come impuri tutti i quadrupedi che camminano sulla pianta dei piedi; chiunque toccherà il loro corpo morto sarà impuro fino alla sera. E chiunque porterà i loro corpi si laverà le vesti, e sarà immondo fino alla sera. Questi animali considererete come impuri. E fra i piccoli animali che strisciano sulla terra, considererete come impuri questi: la talpa, il topo e ogni specie di lucertola, il toporagno, la rana, la tartaruga, la lumaca, il camaleonte. Questi animali, fra tutto ciò che striscia, saranno impuri per voi; chiunque li toccherà morti, sarà impuro fino alla sera. Ogni oggetto sul quale cadrà qualcuno di essi quando è morto, sarà immondo: siano utensili di legno, o vestito, o pelle, o sacco, o qualunque altro oggetto di cui si faccia uso; sarà messo nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera; poi sarà puro. E se ne cade qualcuno in un vaso di terra, tutto quello che vi si troverà dentro sarà impuro, e spezzerete il vaso. Ogni cibo che serve di nutrimento, sul quale sarà caduta di quell’acqua, sarà impuro; e ogni bevanda di cui si fa uso, qualunque sia il vaso che la contiene, sarà impura. Ogni oggetto sul quale cadrà qualcosa del loro corpo morto, sarà impuro; il forno o il fornello sarà spezzato; sono impuri e li considererete come impuri. Però, una fonte o una cisterna, dove c’è una raccolta d’acqua, sarà pura; ma chi toccherà i loro corpi morti sarà impuro. E se qualcosa dei loro corpi morti cade su qualche seme che deve essere seminato, questo sarà puro; ma se è stata messa dell’acqua sul seme, e vi cade sopra qualcosa dei loro corpi morti, lo considererai come impuro. Se muore un animale di quelli che vi servono per nutrimento, colui che ne toccherà il corpo morto sarà impuro fino alla sera. Colui che mangerà di quel corpo morto si laverà le vesti, e sarà impuro fino alla sera; allo stesso modo colui che porterà quel corpo morto si laverà le vesti, e sarà impuro fino alla sera. Ogni cosa che striscia sulla terra è un abominio; non se ne mangerà. Di tutti gli animali che strisciano sulla terra non ne mangerete nessuno che strisci sul ventre o cammini con quattro piedi o con molti piedi, poiché sono un abominio. Non vi rendete abominevoli a causa di uno di questi animali che strisciano e non vi rendete impuri a causa loro e non lasciatevi contaminare da loro. Poiché io sono l’Eterno, il vostro Dio; santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo; e non contaminate le vostre persone mediante nessuno di questi animali che strisciano sulla terra. Poiché io sono l’Eterno che vi ho fatti salire dal paese d’Egitto, per essere il vostro Dio; siate dunque santi, perché io sono santo. Questa è la legge che concerne i quadrupedi, gli uccelli, ogni essere vivente che si muove nelle acque e ogni essere che striscia sulla terra, affinché sappiate discernere ciò che è impuro da ciò che è puro, l’animale che si può mangiare da quello che non si deve mangiare’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla così ai figli d’Israele: ‘Quando una donna sarà rimasta incinta e partorirà un maschio, sarà impura sette giorni; sarà impura come nel tempo del suo ciclo mestruale. L’ottavo giorno si circonciderà la carne del prepuzio del bambino. Poi, lei resterà ancora trentatré giorni a purificarsi del suo sangue; non toccherà nessuna cosa santa, e non entrerà nel santuario finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma, se partorisce una bambina, sarà impura due settimane come al tempo del suo ciclo mestruale; e resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue. Quando i giorni della sua purificazione, per un figlio o per una figlia, saranno compiuti, porterà al sacerdote, all’ingresso della tenda di convegno, un agnello di un anno come olocausto, e un giovane piccione o una tortora come sacrificio per il peccato; e il sacerdote li offrirà davanti all’Eterno e farà l’espiazione per lei; e lei sarà purificata del flusso del suo sangue. Questa è la legge relativa alla donna che partorisce un maschio o una femmina. E se non ha mezzi per offrire un agnello, prenderà due tortore o due giovani piccioni: uno per l’olocausto, e l’altro per il sacrificio per il peccato. Il sacerdote farà l’espiazione per lei, e lei sarà pura’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Quando uno avrà sulla pelle del suo corpo un tumore o una pustola o una macchia lucida che sia sintomo di piaga di lebbra sulla pelle del suo corpo, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aaronne o da uno dei suoi figli sacerdoti. Il sacerdote esaminerà la piaga sulla pelle del corpo; e se il pelo della piaga è diventato bianco, e la piaga appare più profonda della pelle del corpo, è piaga di lebbra; il sacerdote che l’avrà esaminata dichiarerà quell’uomo impuro. Ma se la macchia lucida sulla pelle del corpo è bianca, e non appare essere più profonda della pelle, e il suo pelo non è diventato bianco, il sacerdote isolerà per sette giorni colui che ha la piaga. Il sacerdote, il settimo giorno, la esaminerà; e se gli sembrerà che la piaga si sia fermata e non si sia allargata sulla pelle, il sacerdote lo isolerà altri sette giorni. Il sacerdote, il settimo giorno, la esaminerà di nuovo; e se vedrà che la piaga non è più lucida e non si è allargata sulla pelle, il sacerdote dichiarerà quell’uomo puro: è una pustola. Quel tale laverà le sue vesti, e sarà puro. Ma se la pustola si è allargata sulla pelle dopo che egli si è mostrato al sacerdote per essere dichiarato puro, si farà esaminare per la seconda volta dal sacerdote; il sacerdote la esaminerà; e se vedrà che la pustola si è allargata sulla pelle, il sacerdote lo dichiarerà impuro; è lebbra. Quando uno avrà addosso una piaga di lebbra, sarà condotto dal sacerdote. Il sacerdote lo esaminerà; e se vedrà che sulla pelle c’è un tumore bianco, che questo tumore ha fatto imbiancare il pelo e che vi è nel tumore della carne viva, è lebbra cronica nella pelle del suo corpo, e il sacerdote lo dichiarerà impuro; non lo isolerà, perché è impuro. E se la lebbra produce delle eruzioni sulla pelle in modo da coprire tutta la pelle di colui che ha la piaga, dal capo ai piedi, dovunque il sacerdote guardi, il sacerdote lo esaminerà; e quando avrà visto che la lebbra copre tutto il corpo, dichiarerà puro colui che ha la piaga. Egli è diventato tutto quanto bianco, quindi è puro. Ma dal momento che apparirà in lui della carne viva, sarà dichiarato impuro. Quando il sacerdote avrà visto la carne viva, dichiarerà quell’uomo impuro; la carne viva è impura; è lebbra. Ma se la carne viva ridiventa bianca, vada dal sacerdote, e il sacerdote lo esaminerà; e se vedrà che la piaga è ridiventata bianca, il sacerdote dichiarerà puro colui che ha la piaga: è puro. Quando uno avrà avuto sulla pelle un’ulcera che sia guarita, e poi, sul luogo dell’ulcera, apparirà un tumore bianco o una macchia lucida, bianca, tendente al rosso, quel tale si mostrerà al sacerdote. Il sacerdote lo esaminerà; e se vedrà che la macchia appare più profonda della pelle e che il pelo è diventato bianco, il sacerdote lo dichiarerà impuro; è piaga di lebbra che è scoppiata nell’ulcera. Ma se il sacerdote, esaminandola, vede che nella macchia non ci sono peli bianchi e che non è più profonda della pelle e non è più lucida, il sacerdote lo isolerà sette giorni. E se la macchia si allarga sulla pelle, il sacerdote lo dichiarerà impuro; è piaga di lebbra. Ma se la macchia è rimasta allo stesso punto e non si è allargata, è la cicatrice dell’ulcera, e il sacerdote lo dichiarerà puro. Quando uno avrà sulla pelle del suo corpo una bruciatura causata dal fuoco, e su questa bruciatura apparirà una macchia lucida, bianca, tendente al rosso o soltanto bianca, il sacerdote l’esaminerà; e se vedrà che il pelo della macchia è diventato bianco e la macchia appare più profonda della pelle, è lebbra scoppiata nella bruciatura. Il sacerdote dichiarerà quel tale impuro; è piaga di lebbra. Ma se il sacerdote, esaminandola, vede che non c’è pelo bianco nella macchia, e che essa non è più profonda della pelle e non è più lucida, il sacerdote lo isolerà sette giorni. Il sacerdote, il settimo giorno, lo esaminerà; e se la macchia si è allargata sulla pelle, il sacerdote dichiarerà quel tale impuro; è piaga di lebbra. E se la macchia è rimasta ferma nello stesso luogo, e non si è allargata sulla pelle, e non è più lucida, è il tumore della bruciatura; il sacerdote dichiarerà quel tale puro, perché è la cicatrice della bruciatura. Quando un uomo o una donna avrà una piaga sul capo o nella barba, il sacerdote esaminerà la piaga; e se vedrà che essa appare più profonda della pelle, e che vi è del pelo gialliccio e sottile, il sacerdote li dichiarerà impuri; è tigna, è lebbra del capo o della barba. E se il sacerdote, esaminando la piaga della tigna, vedrà che non appare più profonda della pelle e che non vi è pelo nero, il sacerdote isolerà sette giorni colui che ha la piaga della tigna. E se il sacerdote, esaminando il settimo giorno la piaga, vedrà che la tigna non si è allargata, e che non vi è pelo giallo, e che la tigna non appare più profonda della pelle, quel tale si raderà, ma non raderà il luogo dove è la tigna; e il sacerdote isolerà altri sette giorni colui che ha la tigna. Il sacerdote, il settimo giorno, esaminerà la tigna; e se vedrà che la tigna non si è allargata sulla pelle e non appare più profonda della pelle, il sacerdote dichiarerà quel tale puro; costui si laverà le vesti, e sarà puro. Ma se, dopo che egli è stato dichiarato puro, la tigna si è allargata sulla pelle, il sacerdote l’esaminerà; e se vedrà che la tigna si è allargata sulla pelle, il sacerdote non cercherà se vi è del pelo giallo; quel tale è impuro. Ma se vedrà che la tigna si è fermata e che vi è cresciuto del pelo nero, la tigna è guarita; quel tale è puro, e il sacerdote lo dichiarerà puro. Quando un uomo o una donna avrà sulla pelle del suo corpo delle macchie lucide, delle macchie bianche, il sacerdote l’esaminerà; e se vedrà che le macchie sulla pelle del loro corpo sono di un bianco pallido, è una eruzione cutanea; quel tale è puro. Colui al quale sono cascati i capelli del capo è calvo, ma è puro. Se i capelli gli sono cascati dalla parte della faccia, è calvo di fronte, ma è puro. Ma se sulla parte calva della nuca o della fronte appare una piaga bianca tendente al rosso, è lebbra, scoppiata nella parte calva della nuca o della fronte. Il sacerdote lo esaminerà; e se vedrà che il tumore della piaga nella parte calva della nuca o della fronte è bianco tendente al rosso, simile alla lebbra della pelle del corpo, quel tale è un lebbroso; è impuro, e il sacerdote lo dovrà dichiarare impuro; egli ha la sua piaga sul capo. Il lebbroso, affetto da questa piaga, porterà le vesti strappate e il capo scoperto; si coprirà la barba, e andrà gridando: ‘Impuro! impuro!’. Sarà impuro tutto il tempo che avrà la piaga; è impuro; se ne starà solo; abiterà fuori dall’accampamento. Quando apparirà una piaga di lebbra sopra una veste, sia veste di lana o veste di lino, un tessuto o un lavoro a maglia, di lino o di lana, un oggetto di pelle o qualunque altra cosa fatta di pelle, se la piaga sarà verdastra o rossastra sulla veste o sulla pelle, sul tessuto, o sulla maglia, o su qualunque cosa fatta di pelle, è piaga di lebbra, e sarà mostrata al sacerdote. Il sacerdote esaminerà la piaga, e isolerà sette giorni colui che ha la piaga. Il settimo giorno esaminerà la piaga; e se la piaga si sarà allargata sulla veste o sul tessuto o sulla maglia o sulla pelle o sull’oggetto fatto di pelle per un uso qualunque, è una piaga di lebbra maligna; è cosa impura. Egli brucerà quella veste o il tessuto o la maglia di lana o di lino o qualunque oggetto fatto di pelle, sul quale è la piaga; perché è lebbra maligna; saranno bruciati con il fuoco. E se il sacerdote, esaminandola, vedrà che la piaga non si è allargata sulla veste o sul tessuto o sulla maglia o sull’oggetto qualunque di pelle, il sacerdote ordinerà che si lavi l’oggetto su cui è la piaga, e lo isolerà altri sette giorni. Il sacerdote esaminerà la piaga, dopo che sarà stata lavata; e se vedrà che la piaga non ha mutato colore, benché non si sia allargata, è un oggetto immondo; lo brucerai con il fuoco; vi è corrosione, sia che la parte corrosa si trovi sul diritto o sul rovescio dell’oggetto. E se il sacerdote, esaminandola, vede che la piaga, dopo essere stata lavata, è diventata pallida, la strapperà dalla veste o dalla pelle o dal tessuto o dalla maglia. E se compare ancora sulla veste o sul tessuto o sulla maglia o sull’oggetto qualunque fatto di pelle, è una eruzione lebbrosa; brucerai con il fuoco l’oggetto su cui è la piaga. La veste o il tessuto o la maglia o qualunque oggetto fatto di pelle che avrai lavato e dal quale la piaga sarà scomparsa, si laverà una seconda volta, e sarà puro”. Questa è la legge relativa alla piaga di lebbra sopra una veste di lana o di lino, sul tessuto o sulla maglia o su qualunque oggetto fatto di pelle, per dichiararli puri o impuri. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Questa è la legge relativa al lebbroso per il giorno della sua purificazione. Egli sarà condotto dal sacerdote. Il sacerdote uscirà dal campo, e lo esaminerà; e se vedrà che la piaga della lebbra è guarita nel lebbroso, il sacerdote ordinerà che si prendano, per colui che deve essere purificato, due uccelli vivi, puri, del legno di cedro, dello scarlatto e dell’issopo. Il sacerdote ordinerà che si sgozzi uno degli uccelli in un vaso di terra su dell’acqua viva. Poi prenderà l’uccello vivo, il legno di cedro, lo scarlatto e l’issopo, e li immergerà, con l’uccello vivo, nel sangue dell’uccello sgozzato sopra l’acqua viva. Ne aspergerà sette volte colui che deve essere purificato dalla lebbra; lo dichiarerà puro, e lascerà andare libero per i campi l’uccello vivo. Colui che si purifica si laverà le vesti, si raderà tutti i peli, si laverà nell’acqua, e sarà puro. Dopo questo potrà entrare nell’accampamento, ma resterà sette giorni fuori della sua tenda. Il settimo giorno si raderà tutti i peli, il capo, la barba, le ciglia: si raderà insomma tutti i peli, si laverà le vesti e si laverà il corpo nell’acqua, e sarà puro. L’ottavo giorno prenderà due agnelli senza difetto, un’agnella di un anno senza difetto, tre decimi di efa di fior di farina, una oblazione, intrisa con olio, e un log d’olio; e il sacerdote che fa la purificazione, presenterà colui che si purifica e quelle cose davanti all’Eterno, all’ingresso della tenda di convegno. Poi il sacerdote prenderà uno degli agnelli e lo offrirà come sacrificio per la colpa, con il log d’olio, e li agiterà come offerta agitata davanti all’Eterno. Poi sgozzerà l’agnello nel luogo dove si sgozzano i sacrifici per il peccato e gli olocausti: vale a dire, nel luogo sacro; poiché il sacrificio per la colpa appartiene al sacerdote, come quello per il peccato: è cosa santissima. Il sacerdote prenderà del sangue del sacrificio per la colpa e lo metterà sull’estremità dell’orecchio destro di colui che si purifica, sul pollice della sua mano destra e sull’alluce del suo piede destro. Poi il sacerdote prenderà dell’olio del log, e lo verserà nella palma della sua mano sinistra; quindi il sacerdote intingerà il dito della sua destra nell’olio che avrà nella sinistra, e con il dito farà sette volte aspersione di quell’olio davanti all’Eterno. Del rimanente dell’olio che avrà in mano, il sacerdote ne metterà sull’estremità dell’orecchio destro di colui che si purifica, sul pollice della sua mano destra e sull’alluce del suo piede destro, oltre al sangue del sacrificio per la colpa. Il resto dell’olio che avrà in mano, il sacerdote lo metterà sul capo di colui che si purifica; e il sacerdote farà per lui l’espiazione davanti all’Eterno. Poi il sacerdote offrirà il sacrificio per il peccato, e farà l’espiazione per colui che si purifica della sua impurità; quindi, sgozzerà l’olocausto. Il sacerdote offrirà l’olocausto e l’oblazione sull’altare; farà per quel tale l’espiazione, ed egli sarà puro. Se quel tale è povero e non può procurarsi queste cose, prenderà un solo agnello da offrire in sacrificio per la colpa come offerta agitata, per fare l’espiazione per lui, e un solo decimo di efa di fior di farina intrisa con olio, come oblazione, e un log di olio. Prenderà pure due tortore o due giovani piccioni, secondo i suoi mezzi; uno sarà per il sacrificio per il peccato, e l’altro per l’olocausto. L’ottavo giorno porterà, per la sua purificazione, queste cose al sacerdote, all’ingresso della tenda di convegno, davanti all’Eterno. E il sacerdote prenderà l’agnello del sacrificio per la colpa e il log di olio, e li agiterà come offerta agitata davanti all’Eterno. Poi sgozzerà l’agnello del sacrificio per la colpa. Il sacerdote prenderà del sangue del sacrificio per la colpa, e lo metterà sull’estremità dell’orecchio destro di colui che si purifica, e sul pollice della sua mano destra e sull’alluce del suo piede destro. Il sacerdote verserà di quell’olio sulla palma della sua mano sinistra. E con il dito della sua mano destra il sacerdote farà aspersione dell’olio che avrà nella mano sinistra, sette volte davanti all’Eterno. Poi il sacerdote metterà dell’olio che avrà in mano, sull’estremità dell’orecchio destro di colui che si purifica, sul pollice della sua mano destra e sull’alluce del suo piede destro, nel luogo dove ha messo del sangue del sacrificio per la colpa. Il resto dell’olio che avrà in mano, il sacerdote lo metterà sul capo di colui che si purifica, per fare espiazione per lui davanti all’Eterno. Poi sacrificherà una delle tortore o uno dei due giovani piccioni, secondo le sue possibilità; delle vittime che ha potuto procurarsi, una la offrirà come sacrificio per il peccato, e l’altra come olocausto, insieme con l’oblazione; e il sacerdote farà l’espiazione davanti all’Eterno per colui che si purifica”. Questa è la legge relativa a colui che è affetto da piaga di lebbra, e non ha mezzi per procurarsi ciò che è richiesto per la sua purificazione. L’Eterno parlò ancora a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Quando sarete entrati nel paese di Canaan che io vi do come vostro possesso, se mando la piaga della lebbra in una casa del paese che sarà vostro possesso, il padrone della casa andrà a dichiararlo al sacerdote, dicendo: ‘Mi pare che in casa mia ci sia qualcosa di simile alla lebbra’. Allora il sacerdote ordinerà che si sgomberi la casa prima che egli vi entri per esaminare la piaga, affinché tutto quello che è nella casa non diventi impuro. Dopo questo, il sacerdote entrerà per esaminare la casa. Esaminerà la piaga; e se vedrà che la piaga che è sui muri della casa consiste in cavità verdastre o rossastre che appaiono più profonde della superficie della parete, il sacerdote uscirà dalla casa e, giunto alla porta, farà chiudere la casa per sette giorni. Il settimo giorno, il sacerdote vi tornerà e se, esaminandola, vedrà che la piaga si è allargata sulle pareti della casa, il sacerdote ordinerà che si rimuovano le pietre sulle quali è la piaga, e che si gettino in luogo immondo, fuori della città. Farà raschiare tutto l’interno della casa, e butteranno i calcinacci raschiati fuori della città, in luogo impuro. Poi si prenderanno delle altre pietre e si metteranno al posto delle prime, e si prenderà dell’altra calce per intonacare la casa. E se la piaga torna e fuoriesce nella casa dopo avere rimosso le pietre e dopo che la casa è stata raschiata e rintonacata, il sacerdote entrerà a esaminare la casa; e se vedrà che la piaga si è allargata, nella casa c’è della lebbra maligna; la casa è impura. Perciò si demolirà la casa; e se ne porteranno le pietre, il legname e i calcinacci fuori della città, in luogo impuro. Inoltre, chiunque sarà entrato in quella casa durante tutto il tempo che è stata chiusa, sarà impuro fino alla sera. Chi avrà dormito in quella casa, si laverà le vesti; e chi avrà mangiato in quella casa, si laverà le vesti. E se il sacerdote che è entrato nella casa e l’ha esaminata, vede che la piaga non si è allargata nella casa dopo che la casa è stata rintonacata, il sacerdote dichiarerà la casa pura, perché la piaga è guarita. Poi, per purificare la casa, prenderà due uccelli, del legno di cedro, dello scarlatto e dell’issopo; sgozzerà uno degli uccelli in un vaso di terra su dell’acqua viva; e prenderà il legno di cedro, l’issopo, lo scarlatto e l’uccello vivo, e li immergerà nel sangue dell’uccello sgozzato e nell’acqua viva, e ne aspergerà sette volte la casa. Purificherà la casa con il sangue dell’uccello, con dell’acqua viva, con l’uccello vivo, con il legno di cedro, con l’issopo e con lo scarlatto; ma lascerà andare libero l’uccello vivo, fuori dalla città, per i campi; e così farà l’espiazione per la casa ed essa sarà pura”. Questa è la legge relativa a ogni sorta di piaga di lebbra e alla tigna, alla lebbra delle vesti e della casa, ai tumori, alle pustole e alle macchie lucide, per insegnare quando una cosa è impura e quando è pura. Questa è la legge relativa alla lebbra. L’Eterno parlò ancora a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Parlate ai figli d’Israele e dite loro: ‘Chiunque ha una gonorrea, a causa della sua gonorrea è impuro. La sua impurità sta nella sua gonorrea; sia la sua gonorrea, continua o intermittente, l’impurità esiste. Ogni letto sul quale si coricherà colui che ha la gonorrea, sarà impuro; e ogni oggetto sul quale si sarà seduto sarà impuro. Chi toccherà il letto di quel tale si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. Chi si sederà sopra un oggetto qualunque sul quale si sia seduto colui che ha la gonorrea, si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. Chi toccherà il corpo di colui che ha la gonorrea, si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. Se colui che ha la gonorrea sputerà sopra uno che è puro, questi si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. Ogni sella su cui sarà salito chi ha la gonorrea, sarà impura. Chiunque toccherà qualsiasi cosa che sia stata sotto quel tale, sarà impuro fino alla sera. E chi porterà tali oggetti si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. Chiunque sarà toccato da colui che ha la gonorrea, se questi non si era lavato le mani, dovrà lavarsi le vesti, lavare sé stesso nell’acqua, e sarà immondo fino alla sera. Il vaso di terra toccato da colui che ha la gonorrea, sarà spezzato; e ogni vaso di legno sarà lavato nell’acqua. Quando colui che ha la gonorrea sarà purificato della sua gonorrea, conterà sette giorni per la sua purificazione; poi si laverà le vesti, laverà il suo corpo nell’acqua viva, e sarà puro. L’ottavo giorno prenderà due tortore o due giovani piccioni, andrà davanti all’Eterno all’ingresso della tenda di convegno, e li darà al sacerdote. E il sacerdote li offrirà: uno come sacrificio per il peccato, l’altro come olocausto; e il sacerdote farà l’espiazione per lui davanti all’Eterno, a causa della sua gonorrea. L’uomo da cui sarà uscito seme genitale si laverà tutto il corpo nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. Ogni veste e ogni pelle su cui sarà seme genitale, si laveranno nell’acqua e saranno impuri fino alla sera. La donna e l’uomo che giaceranno insieme carnalmente, si laveranno ambedue nell’acqua e saranno impuri fino alla sera. Quando una donna avrà i suoi corsi mestruali e il sangue le fluirà dal corpo, la sua impurità durerà sette giorni; e chiunque la toccherà sarà impuro fino alla sera. Ogni letto sul quale si sarà messa a dormire durante la sua impurità, sarà impuro; e ogni mobile sul quale si sarà messa a sedere, sarà impuro. Chiunque toccherà il suo letto si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. E chiunque toccherà qualsiasi mobile sul quale lei si sarà seduta, si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. E se l’uomo si trovava sul letto o sul mobile dove lei sedeva quando è avvenuto il contatto, egli sarà impuro fino alla sera. E se un uomo si unisce a lei, e avviene che l’impurità di lei lo tocchi, egli sarà impuro sette giorni; e ogni letto sul quale si coricherà, sarà impuro. La donna che avrà un flusso di sangue, per parecchi giorni, fuori del tempo dei suoi corsi mestruali, o che avrà questo flusso oltre il tempo dei suoi corsi mestruali, sarà impura per tutto il tempo del flusso, come è al tempo dei suoi corsi mestruali. Ogni letto sul quale si coricherà durante tutto il tempo del suo flusso, sarà per lei come il letto sul quale si corica quando ha i suoi corsi mestruali; e ogni mobile sul quale si sederà sarà impuro, come è impuro quando lei ha i suoi corsi mestruali. E chiunque toccherà quelle cose sarà immondo; si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. E quando lei sarà purificata del suo flusso, conterà sette giorni, e poi sarà pura. L’ottavo giorno prenderà due tortore o due giovani piccioni, e li porterà al sacerdote all’ingresso della tenda di convegno. E il sacerdote ne offrirà uno come sacrificio per il peccato e l’altro come olocausto; il sacerdote farà per lei l’espiazione, davanti all’Eterno, del flusso che la rendeva impura’. Così terrete lontani i figli d’Israele da ciò che potrebbe contaminarli, affinché non muoiano a motivo della loro impurità, contaminando il mio tabernacolo che è in mezzo a loro”. Questa è la legge relativa a colui che ha una gonorrea e a colui dal quale è uscito seme genitale che lo rende immondo, e la legge relativa a colei che è indisposta a motivo dei suoi corsi mestruali, all’uomo o alla donna che ha un flusso, e all’uomo che si unisce a donna impura. L’Eterno parlò a Mosè dopo la morte dei due figli di Aaronne, i quali morirono quando si presentarono davanti all’Eterno. L’Eterno disse a Mosè: “Parla ad Aaronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualsiasi tempo nel santuario, di là dal velo, davanti al propiziatorio che è sull’arca, affinché non muoia; poiché io apparirò nella nuvola sul propiziatorio. Aaronne entrerà nel santuario in questo modo: prenderà un giovenco per un sacrificio per il peccato, e un montone per un olocausto. Si metterà la tunica sacra di lino, e porterà sul suo corpo i calzoni di lino; si cingerà della cintura di lino, e avrà in capo il turbante di lino. Questi sono i paramenti sacri; egli li indosserà dopo essersi lavato il corpo nell’acqua. Dalla comunità dei figli d’Israele prenderà due capri per un sacrificio per il peccato, e un montone per un olocausto. Aaronne offrirà il giovenco del sacrificio per il peccato, che è per sé, e farà l’espiazione per sé e per la sua casa. Poi prenderà i due capri, e li presenterà davanti all’Eterno all’ingresso della tenda di convegno. E Aaronne tirerà a sorte per vedere quale dei due debba essere dell’Eterno e quale di Azazel. E Aaronne farà accostare il capro che è toccato in sorte all’Eterno, e lo offrirà come sacrificio per il peccato; ma il capro che è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti all’Eterno, perché serva a fare l’espiazione e per mandarlo poi ad Azazel nel deserto. Aaronne offrirà dunque il giovenco del sacrificio per il peccato per sé, e farà l’espiazione per sé e per la sua casa; e sgozzerà il giovenco del sacrificio per il peccato per sé. Poi prenderà un turibolo pieno di carboni accesi tolti dall’altare davanti all’Eterno, e due manciate piene di profumo fragrante polverizzato; e porterà ogni cosa di là dal velo. Metterà il profumo sul fuoco davanti all’Eterno, affinché la nuvola del profumo copra il propiziatorio che è sulla testimonianza, e non morirà. Poi prenderà del sangue del giovenco, e ne aspergerà con il dito il propiziatorio dal lato d’oriente, e farà sette volte l’aspersione del sangue con il dito, davanti al propiziatorio. Poi sgozzerà il capro del sacrificio per il peccato, che è per il popolo, e ne porterà il sangue di là dal velo; e farà di questo sangue quello che ha fatto del sangue del giovenco; ne farà l’aspersione sul propiziatorio e davanti al propiziatorio. Così farà l’espiazione per il santuario, a causa delle impurità dei figli d’Israele, delle loro trasgressioni e di tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda di convegno che si trova fra di loro, in mezzo alle loro impurità. Nella tenda di convegno, quando egli entrerà nel santuario per fare l’espiazione, non ci sarà nessuno, finché egli non sia uscito e non abbia fatto l’espiazione per sé, per la sua casa e per tutta la comunità d’Israele. Egli uscirà verso l’altare che è davanti all’Eterno, e farà l’espiazione per esso; prenderà del sangue del giovenco e del sangue del capro, e lo metterà sui corni dell’altare tutto intorno. Farà sette volte l’aspersione del sangue con il dito, sopra l’altare, e così lo purificherà e lo santificherà a motivo delle impurità dei figli d’Israele. E quando avrà finito di fare l’espiazione per il santuario, per la tenda di convegno e per l’altare, farà accostare il capro vivo. Aaronne poserà ambedue le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra esso tutte le iniquità dei figli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati, e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di questo, lo manderà via nel deserto. E quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in terra solitaria, e sarà lasciato andare nel deserto. Poi Aaronne entrerà nella tenda di convegno, si spoglierà delle vesti di lino che aveva indossate per entrare nel santuario, e le deporrà lì. Si laverà il corpo nell’acqua in un luogo santo, si metterà i suoi paramenti, e uscirà a offrire il suo olocausto e l’olocausto del popolo, e farà l’espiazione per sé e per il popolo. E farà bruciare sull’altare il grasso del sacrificio per il peccato. Colui che avrà lasciato andare il capro destinato ad Azazel si laverà le vesti, laverà il suo corpo nell’acqua, e dopo questo rientrerà nell’accampamento. E si porterà fuori dall’accampamento il giovenco del sacrificio per il peccato e il capro del sacrificio per il peccato, il cui sangue sarà stato portato nel santuario, per farvi l’espiazione; e se ne bruceranno nel fuoco le pelli, la carne e gli escrementi. Poi colui che li avrà bruciati si laverà le vesti e laverà il suo corpo nell’acqua; dopo questo, rientrerà nell’accampamento. Questa sarà per voi una legge perenne: nel settimo mese, il decimo giorno del mese, umilierete le anime vostre, non farete nessun lavoro, né colui che è nativo del paese, né lo straniero che soggiorna fra voi. Poiché in quel giorno si farà l’espiazione per voi, per purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti all’Eterno. È per voi un sabato di riposo solenne, e voi umilierete le anime vostre; è una legge perenne. E il sacerdote che ha ricevuto l’unzione ed è stato consacrato per esercitare il sacerdozio al posto di suo padre, farà l’espiazione; si vestirà delle vesti di lino, dei paramenti sacri. E farà l’espiazione per il santuario sacro; farà l’espiazione per la tenda di convegno e per l’altare; farà l’espiazione per i sacerdoti e per tutto il popolo della comunità. Questa sarà per voi una legge perenne, per fare una volta all’anno, per i figli d’Israele, l’espiazione di tutti i loro peccati”. E si fece come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. L’Eterno parlò ancora a Mosè dicendo: “Parla ad Aaronne, ai suoi figli e a tutti i figli d’Israele e di’ loro: ‘Questo è quello che l’Eterno ha ordinato: Se un uomo qualunque della casa d’Israele scanna un bue o un agnello o una capra dentro l’accampamento, o fuori dall’accampamento, e non lo conduce all’ingresso della tenda di convegno per presentarlo come offerta all’Eterno davanti al tabernacolo dell’Eterno, sarà considerato come colpevole di delitto di sangue; ha sparso del sangue, e tale uomo sarà eliminato dal suo popolo, affinché i figli d’Israele, invece di immolare, come fanno, i loro sacrifici nei campi, li portino all’Eterno presentandoli al sacerdote, all’ingresso della tenda di convegno, e li offrano all’Eterno come sacrifici di ringraziamento. Il sacerdote ne spanderà il sangue sull’altare dell’Eterno, all’ingresso della tenda di convegno, e farà bruciare il grasso come un profumo soave all’Eterno. Ed essi non offriranno più i loro sacrifici ai demòni, dietro i quali sono soliti prostituirsi. Questa sarà per loro una legge perenne, di generazione in generazione’. Di’ loro ancora: ‘Se un uomo qualunque della casa d’Israele o degli stranieri che soggiornano fra loro offrirà un olocausto o un sacrificio, e non lo porterà all’ingresso della tenda di convegno per immolarlo all’Eterno, tale uomo sarà eliminato dal suo popolo. Se un uomo qualunque della casa d’Israele o degli stranieri che soggiornano fra loro mangia qualsiasi specie di sangue, io volgerò la mia faccia contro la persona che avrà mangiato del sangue, e la eliminerò dal suo popolo. Poiché la vita della carne è nel sangue. Per questo vi ho ordinato di porlo sull’altare per fare l’espiazione per le vostre vite; perché il sangue è quello che fa l’espiazione, per mezzo della vita. Perciò ho detto ai figli d’Israele: Nessuno tra voi mangerà del sangue; neppure lo straniero che soggiorna fra voi mangerà del sangue. E se uno qualunque dei figli d’Israele o degli stranieri che soggiornano fra loro prende alla caccia un quadrupede o un uccello che si può mangiare, ne spargerà il sangue e lo coprirà di polvere; perché la vita di ogni carne è il sangue; nel suo sangue sta la vita; perciò ho detto ai figli d’Israele: Non mangerete sangue di nessuna specie di carne, poiché il sangue è la vita di ogni carne; chiunque ne mangerà sarà sterminato. E qualunque persona, sia essa nativa del paese o straniera, che mangerà carne di bestia morta da sé o sbranata, si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera; poi sarà puro. Ma se non si lava le vesti e se non lava il suo corpo, porterà la pena della sua iniquità’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non farete quello che si fa nel paese d’Egitto dove avete abitato, e non farete quello che si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, e non seguirete i loro costumi. Metterete in pratica le mie prescrizioni e osserverete le mie leggi, per conformarvi a esse. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni, mediante le quali chiunque le metterà in pratica, vivrà. Io sono l’Eterno. Nessuno si accosterà a nessuna sua parente carnale per scoprire la sua nudità. Io sono l’Eterno. Non scoprirai la nudità di tuo padre, né la nudità di tua madre: è tua madre; non scoprirai la sua nudità. Non scoprirai la nudità della moglie di tuo padre: è la nudità di tuo padre. Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, sia essa nata in casa o nata fuori. Non scoprirai la nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, poiché è la tua propria nudità. Non scoprirai la nudità della figlia della moglie di tuo padre, generata da tuo padre: è tua sorella. Non scoprirai la nudità della sorella di tuo padre; è parente stretta di tuo padre. Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre, perché è parente stretta di tua madre. Non scoprirai la nudità del fratello di tuo padre, e non ti accosterai a sua moglie: è tua zia. Non scoprirai la nudità di tua nuora: è la moglie di tuo figlio; non scoprire la sua nudità. Non scoprirai la nudità della moglie di tuo fratello: è la nudità di tuo fratello. Non scoprirai la nudità di una donna e di sua figlia; non prenderai la figlia del figlio di lei, né la figlia della figlia di lei per scoprirne la nudità: sono parenti stretti: è un delitto. Non prenderai la sorella di tua moglie per farne una rivale, scoprendo la sua nudità insieme con quella di tua moglie, mentre questa è in vita. Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità mentre è impura a motivo dei suoi corsi mestruali. Non avrai relazioni carnali con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei. Non darai i tuoi figli per essere sacrificati a Moloc; e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono l’Eterno. Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole. Non ti accoppierai con nessuna bestia per contaminarti con essa; e la donna non si prostituirà a una bestia: è una mostruosità. Non vi contaminate con alcuna di queste cose; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per cacciare davanti a voi. Il paese ne è stato contaminato; perciò io punirò la sua iniquità; il paese vomiterà i suoi abitanti. Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni, e non commetterete nessuna di queste cose abominevoli; né colui che è nativo del paese, né lo straniero che soggiorna fra voi. Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che c’era prima di voi, e il paese ne è stato contaminato. Badate che, se lo contaminate, il paese non vi vomiti come vomiterà la gente che vi stava prima di voi. Poiché tutti quelli che commetteranno qualcuna di queste cose abominevoli saranno eliminati dal loro popolo. Osserverete dunque i miei ordini, e non seguirete nessuno di quei costumi abominevoli che sono stati seguiti prima di voi, e non vi contaminerete con essi. Io sono l’Eterno, il vostro Dio’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla a tutta la comunità dei figli d’Israele, e di’ loro: ‘Siate santi, perché io, l’Eterno, il vostro Dio, sono santo. Ciascuno rispetti sua madre e suo padre, e osservate i miei sabati. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non rivolgetevi agli idoli, e non fatevi degli dèi di metallo fuso. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. E quando offrirete un sacrificio di ringraziamento all’Eterno, lo offrirete in modo da essere graditi. Lo si mangerà il giorno stesso che lo avrete sacrificato, e il giorno seguente; e se ne rimarrà qualcosa fino al terzo giorno, lo brucerete con il fuoco. Se si mangerà il terzo giorno, sarà cosa abominevole; il sacrificio non sarà gradito. E chiunque ne mangerà porterà la pena della sua iniquità, perché avrà profanato ciò che è sacro all’Eterno; e quel tale sarà eliminato dal suo popolo. Quando mieterete la raccolta della vostra terra, non mieterai fino all’ultimo angolo il tuo campo, e non raccoglierai ciò che resta da spigolare della tua raccolta; nella tua vigna non coglierai i grappoli rimasti, né raccoglierai i granelli caduti; li lascerai per il povero e per lo straniero. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non ruberete, e non userete inganno né menzogna gli uni a danno degli altri. Non giurerete il falso, usando il mio nome; perché profaneresti il nome del tuo Dio. Io sono l’Eterno. Non opprimerai il tuo prossimo, e non gli rapirai ciò che è suo; il salario dell’operaio al tuo servizio non ti resti in mano la notte fino al mattino. Non maledirai il sordo, e non porrai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono l’Eterno. Non commetterete iniquità nel giudicare; non avrai riguardo alla persona del povero, né conferirai speciale onore alla persona del potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia. Non andrai qua e là facendo il diffamatore fra il tuo popolo, né ti presenterai ad attestare il falso a danno della vita del tuo prossimo. Io sono l’Eterno. Non odierai tuo fratello in cuor tuo; riprendi pure il tuo prossimo, ma non ti caricare di un peccato a causa sua. Non ti vendicherai, e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono l’Eterno. Osserverete le mie leggi. Non accoppierai bestie di specie differenti; non seminerai il tuo campo con due specie di semi, né porterai veste tessuta con due materiali diversi. Se uno ha relazioni carnali con una donna che sia schiava promessa a un uomo, ma non riscattata o affrancata, saranno entrambi puniti; ma non saranno messi a morte, perché lei non era libera. L’uomo porterà all’Eterno, all’ingresso della tenda di convegno, come sacrificio per la colpa, un montone; e il sacerdote farà per lui l’espiazione davanti all’Eterno, con il montone del sacrificio per la colpa, per il peccato che egli ha commesso, e il peccato che ha commesso gli sarà perdonato. Quando sarete entrati nel paese e vi avrete piantato ogni sorta di alberi fruttiferi, considererete i frutti come incirconcisi; per tre anni saranno per voi come incirconcisi; non si dovranno mangiare. Ma il quarto anno tutti i loro frutti saranno consacrati all’Eterno, per dargli lode. E il quinto anno mangerete il frutto di quegli alberi, affinché il loro prodotto possa aumentare. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non mangerete nulla che contenga sangue. Non praticherete alcuna sorta di divinazione o di magia. Non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo, né taglierai i lati della tua barba. Non vi farete incisioni nella carne per un morto, né vi farete tatuaggi addosso. Io sono l’Eterno. Non profanare tua figlia, prostituendola, affinché il paese non si dia alla prostituzione e non si riempia di scelleratezze. Osserverete i miei sabati, e porterete rispetto al mio santuario. Io sono l’Eterno. Non vi rivolgete agli spiriti, né agli indovini; non li consultate, per non contaminarvi a causa loro. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Àlzati davanti al capo canuto, onora la persona del vecchio, e temi il tuo Dio. Io sono l’Eterno. Quando qualche straniero soggiornerà con voi nel vostro paese, non gli farete torto. Lo straniero che soggiorna fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non commettere ingiustizie nei giudizi, né con le misure di lunghezza, né con i pesi, né con le misure di capacità. Avrete bilance giuste, pesi giusti, efa giusto, hin giusto. Io sono l’Eterno, il vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d’Egitto. Osserverete dunque tutte le mie leggi e tutte le mie prescrizioni, e le metterete in pratica. Io sono l’Eterno’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Dirai ai figli d’Israele: ‘Chiunque dei figli d’Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele darà uno dei suoi figli a Moloc, dovrà essere messo a morte; il popolo del paese lo lapiderà. E anche io volgerò la mia faccia contro quell’uomo, e lo eliminerò dal suo popolo, perché avrà dato uno dei suoi figli a Moloc per contaminare il mio santuario e profanare il mio santo nome. Se il popolo del paese chiude gli occhi quando quell’uomo dà uno dei suoi figli a Moloc, e non lo mette a morte, io volgerò la mia faccia contro quell’uomo e contro la sua famiglia, ed eliminerò dal suo popolo lui con tutti quelli che si prostituiscono, come lui, a Moloc. E se qualche persona si volge agli spiriti e agli indovini per prostituirsi dietro di loro, io volgerò la mia faccia contro quella persona, e lo eliminerò dal suo popolo. Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono l’Eterno, il vostro Dio. E osservate le mie leggi, e mettetele in pratica. Io sono l’Eterno che vi santifica. Chiunque maledice suo padre o sua madre dovrà essere messo a morte; ha maledetto suo padre o sua madre; il suo sangue ricadrà su di lui. Se uno commette adulterio con la moglie di un altro, se commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte. Se uno si unisce alla moglie di suo padre, egli scopre la nudità di suo padre; entrambi dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su loro. Se uno si unisce a sua nuora, entrambi dovranno essere messi a morte; hanno commesso una cosa abominevole; il loro sangue ricadrà su di loro. Se uno ha relazioni carnali con un uomo come si hanno con una donna, entrambi hanno commesso una cosa abominevole; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro. Se uno prende in moglie la figlia e la madre, è un delitto; si bruceranno con il fuoco lui e loro, affinché non si trovi fra voi nessun delitto. L’uomo che si accoppia con una bestia, dovrà essere messo a morte; e ucciderete la bestia. E se una donna si accosta a una bestia per prostituirsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; entrambi dovranno essere messe a morte; il loro sangue ricadrà su di loro. Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei e lei vede la nudità di lui è una infamia; entrambi saranno sterminati in presenza dei figli del loro popolo; quel tale ha scoperto la nudità della propria sorella; porterà la pena della sua iniquità. Se uno si unisce a una donna che ha i suoi corsi mestruali, e scopre la nudità di lei, quel tale ha scoperto il flusso di quella donna, e lei ha scoperto il flusso del proprio sangue; perciò entrambi saranno eliminati dal loro popolo. Non scoprirai la nudità della sorella di tua madre o della sorella di tuo padre; chi lo fa scopre la sua stretta parente; entrambi porteranno la pena della loro iniquità. Se uno si unisce alla moglie di suo zio, scopre la nudità di suo zio; entrambi porteranno la pena del loro peccato; moriranno senza figli. Se uno prende la moglie di suo fratello, è una impurità, egli ha scoperto la nudità di suo fratello; non avranno figli. Osserverete dunque tutte le mie leggi e le mie prescrizioni, e le metterete in pratica, affinché il paese dove io vi conduco per abitarvi non vi vomiti fuori. E non adotterete i costumi delle nazioni che io sto per cacciare davanti a voi; esse hanno fatto tutte quelle cose, e perciò le ho avute in abominio; e vi ho detto: Sarete voi quelli che possederete il loro paese; ve lo darò come vostra proprietà; è un paese dove scorre il latte e il miele. Io sono l’Eterno, il vostro Dio, che vi ho separato dagli altri popoli. Farete dunque distinzione fra gli animali puri e quelli impuri, fra gli uccelli impuri e quelli puri, e non renderete le vostre persone abominevoli, mangiando animali, uccelli, o cosa alcuna che striscia sulla terra, e che io vi ho fatto distinguere come impuri. E mi sarete santi, perché io, l’Eterno, sono santo, e vi ho separati dagli altri popoli perché foste miei. Se un uomo o una donna sono negromanti o indovini, dovranno essere messi a morte; saranno lapidati; il loro sangue ricadrà su di loro’”. L’Eterno disse ancora a Mosè: “Parla ai sacerdoti, figli di Aaronne, e di’ loro: ‘Un sacerdote non si esporrà a divenire impuro in mezzo al suo popolo per il contatto con un morto, a meno che si tratti di uno dei suoi parenti più stretti: di sua madre, di suo padre, di suo figlio, di sua figlia, di suo fratello e di sua sorella ancora vergine che vive con lui, non essendo ancora maritata; per questa può esporsi alla impurità. Come capo in mezzo al suo popolo, non si contaminerà, profanando sé stesso. I sacerdoti non si faranno tonsure sul capo, non si raderanno i lati della barba, e non si faranno incisioni nella carne. Saranno santi al loro Dio e non profaneranno il nome del loro Dio, poiché offrono all’Eterno i sacrifici fatti mediante il fuoco, il pane del loro Dio; perciò saranno santi. Non prenderanno in moglie una prostituta, né una donna disonorata; non sposeranno una donna ripudiata da suo marito, perché sono santi al loro Dio. Tu considererai dunque il sacerdote come santo, perché egli offre il pane del tuo Dio: egli ti sarà santo, perché io, l’Eterno che vi santifico, sono santo. Se la figlia di un sacerdote si disonora prostituendosi, lei disonora suo padre; sarà bruciata con il fuoco. Il sommo sacerdote che sta al di sopra dei suoi fratelli, sul capo del quale è stato sparso l’olio dell’unzione e che è stato consacrato per rivestire i paramenti sacri, non si scoprirà il capo e non si straccerà le vesti. Non si avvicinerà a nessun cadavere; non si renderà impuro neppure per suo padre e per sua madre. Non uscirà dal santuario, e non profanerà il santuario del suo Dio, perché l’olio dell’unzione del suo Dio è su di lui come un diadema. Io sono l’Eterno. Sposerà una vergine. Non sposerà né una vedova, né una divorziata, né una disonorata, né una prostituta; prenderà per moglie una vergine del suo popolo. Non disonorerà la sua progenie in mezzo al suo popolo; poiché io sono l’Eterno che lo santifico’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ad Aaronne e digli: ‘Nelle generazioni future nessun uomo della tua stirpe che abbia qualche deformità si accosterà per offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né colui che ha una deformità per difetto o per eccesso, una frattura al piede o alla mano, né il gobbo, né il nano, né colui che ha una macchia nell’occhio, o ha la rogna o un erpete o i testicoli schiacciati. Nessun uomo della stirpe del sacerdote Aaronne, che abbia qualche deformità, si accosterà per offrire i sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno. Ha un difetto: non si accosti quindi per offrire il pane del suo Dio. Egli potrà mangiare del pane del suo Dio, delle cose santissime e delle cose sante; ma non si avvicinerà al velo, e non si accosterà all’altare, perché ha una deformità. Non profanerà i miei luoghi santi, perché io sono l’Eterno che li santifico’”. Così parlò Mosè ad Aaronne, ai suoi figli e a tutti i figli d’Israele. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Di’ ad Aaronne e ai suoi figli che si astengano dalle cose sante che mi sono consacrate dai figli d’Israele, e non profanino il mio santo nome. Io sono l’Eterno. Di’ loro: ‘Qualunque uomo della vostra stirpe che nelle vostre future generazioni, trovandosi in stato di impurità, si accosterà alle cose sante che i figli d’Israele consacrano all’Eterno, sarà sterminato dal mio cospetto. Io sono l’Eterno. Nessun uomo della stirpe di Aaronne che sia lebbroso o abbia la gonorrea, mangerà delle cose sante, finché non sia puro. Sarà lo stesso per chi avrà toccato una persona impura per contatto con un morto, o avrà avuto una perdita di seme genitale, o per chi avrà toccato un rettile che lo abbia reso impuro, o un uomo che gli abbia comunicato una impurità di qualsiasi specie. La persona che avrà avuto tali contatti sarà impura fino alla sera, e non mangerà delle cose sante prima di essersi lavato il corpo nell’acqua; dopo il tramonto del sole sarà pura, e potrà poi mangiare delle cose sante, perché sono il suo pane. Il sacerdote non mangerà carne di bestia morta da sé o sbranata, per non rendersi impuro. Io sono l’Eterno. Osserveranno dunque ciò che ho comandato, affinché non portino la pena del loro peccato, e muoiano per aver profanato le cose sante. Io sono l’Eterno che li santifico. Nessun estraneo al sacerdozio mangerà delle cose sante: chi sta da un sacerdote o lavora da lui per un salario non mangerà delle cose sante. Ma una persona che il sacerdote avrà comprato con il suo denaro, ne potrà mangiare; così pure colui che gli è nato in casa: questi potranno mangiare il suo pane. La figlia di un sacerdote sposata con un estraneo non mangerà le cose sante offerte per elevazione. Ma se la figlia del sacerdote è vedova, o ripudiata, senza figli, e torna a stare da suo padre come quando era giovane, potrà mangiare il pane del padre; ma nessun estraneo al sacerdozio ne mangerà. E se uno mangia per sbaglio una cosa santa, darà al sacerdote il valore della cosa santa, aggiungendovi un quinto. I sacerdoti non profaneranno dunque le cose sante dei figli d’Israele, che essi offrono per elevazione all’Eterno, e non faranno loro portare la pena del peccato di cui si renderebbero colpevoli, mangiando le loro cose sante; poiché io sono l’Eterno che li santifico’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ad Aaronne, ai suoi figli, a tutti i figli d’Israele, e di’ loro: ‘Chiunque, sia della casa d’Israele o sia straniero in Israele, presenti in olocausto all’Eterno un’offerta per qualche voto o per qualche dono volontario per essere gradito, dovrà offrire un maschio, senza difetto, fra i buoi, fra le pecore o fra le capre. Non offrirete nulla che abbia qualche difetto, perché non sarebbe gradito. Quando uno offrirà all’Eterno un sacrificio di ringraziamento, di buoi o di pecore, sia per sciogliere un voto, sia come offerta volontaria, la vittima, perché sia gradita, dovrà essere perfetta: non dovrà avere difetti. Non offrirete all’Eterno una vittima che sia cieca, o storpia, o mutilata, o che abbia delle ulcere, o la rogna, o la scabbia; e non ne farete sull’altare un sacrificio mediante il fuoco all’Eterno. Potrai presentare come offerta volontaria un bue o una pecora che abbia un arto troppo lungo o troppo corto; ma, come offerta per qualche voto, non sarebbe gradito. Non offrirete all’Eterno un animale che abbia i testicoli ammaccati o schiacciati o strappati o tagliati; e di queste operazioni non ne farete nel vostro paese. Non accetterete dallo straniero nessuna di queste vittime per offrirla come pane del vostro Dio; siccome sono mutilate, difettose, non sarebbero gradite per il vostro bene’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Quando sarà nato un vitello, o un agnello, o un capretto, starà sette giorni sotto la madre; dall’ottavo giorno in poi, sarà gradito come sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. Sia vacca, sia pecora, non la sgozzerete lo stesso giorno con il suo piccolo. Quando offrirete all’Eterno un sacrificio di ringraziamento, lo offrirete in modo da essere graditi. La vittima sarà mangiata il giorno stesso; non ne lascerete nulla fino al mattino. Io sono l’Eterno. Osserverete dunque i miei comandamenti, e li metterete in pratica. Io sono l’Eterno. Non profanerete il mio santo nome, affinché io sia santificato in mezzo ai figli d’Israele. Io sono l’Eterno che vi santifico, che vi ho fatti uscire dal paese d’Egitto per essere vostro Dio. Io sono l’Eterno”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Ecco le solennità dell’Eterno, che voi proclamerete come sante convocazioni. Le mie solennità sono queste. Durante sei giorni si svolgerà il lavoro; ma il settimo giorno è sabato, giorno di completo riposo e di santa convocazione. Non farete in esso nessun lavoro; è un riposo consacrato all’Eterno in tutti i luoghi dove abiterete. Queste sono le solennità dell’Eterno, le sante convocazioni che proclamerete ai tempi stabiliti. Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, al tramonto, sarà la Pasqua dell’Eterno; e il quindicesimo giorno dello stesso mese sarà la festa dei pani azzimi in onore dell’Eterno; per sette giorni mangerete pane senza lievito. Il primo giorno avrete una santa convocazione; non farete in esso nessun lavoro consueto; e per sette giorni offrirete all’Eterno dei sacrifici mediante il fuoco. Il settimo giorno si avrà una santa convocazione, non farete nessun lavoro consueto’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Quando sarete entrati nel paese che io vi do e ne mieterete la raccolta, porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta; e il sacerdote agiterà il fascio di spighe davanti all’Eterno, perché sia gradito per il vostro bene; il sacerdote lo agiterà il giorno dopo il sabato. Il giorno che agiterete il fascio di spighe, offrirete un agnello di un anno, che sia senza difetto, come olocausto all’Eterno. L’oblazione che l’accompagna sarà di due decimi di efa di fior di farina intrisa con olio, come sacrificio mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno; la libazione sarà di un quarto di hin di vino. Non mangerete pane, né grano arrostito, né spighe fresche, fino a quel giorno, fino a che abbiate portato l’offerta al vostro Dio. È una legge perenne, di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete. Dall’indomani del sabato, dal giorno che avrete portato il fascio di spighe dell’offerta agitata, conterete sette settimane intere. Conterete cinquanta giorni fino all’indomani del settimo sabato, e offrirete all’Eterno una nuova oblazione. Porterete dai luoghi dove abiterete due pani per un’offerta agitata, i quali saranno di due decimi di efa di fior di farina e cotti con del lievito; sono le primizie offerte all’Eterno. E con quei pani offrirete sette agnelli dell’anno, senza difetto, un giovenco e due montoni, che saranno un olocausto all’Eterno assieme alla loro oblazione e alle loro libazioni; sarà un sacrificio di odore soave fatto mediante il fuoco all’Eterno. Offrirete un capro come sacrificio per il peccato, e due agnelli dell’anno come sacrificio di ringraziamento. Il sacerdote agiterà gli agnelli con il pane delle primizie, come offerta agitata davanti all’Eterno; e tanto i pani quanto i due agnelli consacrati all’Eterno apparterranno al sacerdote. In quel medesimo giorno bandirete la festa, e avrete una santa convocazione. Non farete nessun lavoro consueto. È una legge perenne, di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete. Quando mieterete la raccolta della vostra terra, non mieterai fino all’ultimo angolo il tuo campo, e non raccoglierai ciò che resta da spigolare della tua raccolta; lo lascerai per il povero e per lo straniero. Io sono l’Eterno, il vostro Dio’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Il settimo mese, il primo giorno del mese avrete un riposo solenne, una commemorazione fatta al suono della tromba, una santa convocazione. Non farete nessuna opera servile, e offrirete all’Eterno dei sacrifici mediante il fuoco’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Il decimo giorno di questo settimo mese sarà il giorno delle espiazioni; avrete una santa convocazione, umilierete le anime vostre e offrirete all’Eterno dei sacrifici mediante il fuoco. In quel giorno non farete nessun lavoro; poiché è un giorno di espiazione, destinato a fare espiazione per voi davanti all’Eterno, che è il vostro Dio. Poiché, ogni persona che non si umilierà in quel giorno, sarà eliminata dal suo popolo. E ogni persona che farà qualsiasi lavoro in quel giorno, io la distruggerò di mezzo al suo popolo. Non farete nessun lavoro. È una legge perenne, di generazione in generazione, in tutti i luoghi dove abiterete. Sarà per voi un sabato di completo riposo, e umilierete le anime vostre; il nono giorno del mese, dalla sera alla sera seguente, celebrerete il vostro sabato”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Il quindicesimo giorno di questo settimo mese sarà la festa delle Capanne, durante sette giorni, in onore dell’Eterno. Il primo giorno ci sarà una santa convocazione; non farete nessun lavoro consueto. Per sette giorni offrirete all’Eterno dei sacrifici mediante il fuoco. L’ottavo giorno avrete una santa convocazione, e offrirete all’Eterno dei sacrifici mediante il fuoco. È giorno di assemblea solenne; non farete nessun lavoro consueto. Queste sono le solennità dell’Eterno che voi proclamerete come sante convocazioni, perché si offrano all’Eterno sacrifici mediante il fuoco, olocausti e oblazioni, vittime e libazioni, ogni cosa al giorno stabilito, oltre i sabati dell’Eterno, oltre i vostri doni, oltre tutti i vostri voti e tutte le offerte volontarie che presenterete all’Eterno. Il quindicesimo giorno del settimo mese, quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrerete una festa all’Eterno, durante sette giorni; il primo giorno sarà di completo riposo; e l’ottavo, di completo riposo. Il primo giorno coglierete dagli alberi i frutti migliori, rami di palma, rami dal fogliame folto e salici dei torrenti, e vi rallegrerete davanti all’Eterno vostro Dio per sette giorni. Celebrerete questa festa in onore dell’Eterno per sette giorni, ogni anno. È una legge perenne, di generazione in generazione. La celebrerete il settimo mese. Abiterete in capanne durante sette giorni; tutti quelli che saranno nativi d’Israele abiteranno in capanne, affinché i vostri discendenti sappiano che io feci abitare in capanne i figli d’Israele, quando li trassi fuori dal paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, il vostro Dio’”. Così Mosè diede ai figli d’Israele le istruzioni relative alle solennità dell’Eterno. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Ordina ai figli d’Israele che ti portino dell’olio di oliva puro, vergine, per il candelabro, per tenere le lampade sempre accese. Aaronne lo preparerà nella tenda di convegno, fuori del velo che sta davanti alla testimonianza, perché le lampade ardano sempre, dalla sera al mattino, davanti all’Eterno. È una legge perenne, di generazione in generazione. Egli le disporrà sul candelabro d’oro puro, perché ardano continuamente davanti all’Eterno. Prenderai pure del fior di farina, e farai cuocere dodici focacce; ogni focaccia sarà di due decimi di efa. Le metterai in due file, sei per fila, sulla tavola d’oro puro davanti all’Eterno. E metterai dell’incenso puro sopra ogni fila, e sarà sul pane come un ricordo, come un sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. Ogni giorno di sabato si disporranno i pani davanti all’Eterno, sempre; saranno forniti dai figli d’Israele; è un patto perenne. I pani apparterranno ad Aaronne e ai suoi figli, ed essi li mangeranno in luogo santo; poiché saranno per loro cosa santissima tra i sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno. È una legge perenne”. Il figlio di una donna israelita e di un Egiziano uscì tra i figli d’Israele: fra questo figlio della donna israelita e un Israelita nacque una lite. Il figlio della israelita bestemmiò il nome dell’Eterno, e lo maledisse; così fu condotto a Mosè. La madre di quel tale si chiamava Selomit, figlia di Dibri, della tribù di Dan. Lo misero in prigione, finché fosse deciso che cosa fare per ordine dell’Eterno. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Conduci quel bestemmiatore fuori dall’accampamento; e tutti quelli che lo hanno udito posino le mani sul suo capo, e tutta la comunità lo lapidi. E parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Chiunque maledirà il suo Dio porterà la pena del suo peccato. E chi bestemmia il nome dell’Eterno dovrà essere messo a morte; tutta la comunità lo dovrà lapidare. Sia straniero sia nativo del paese, quando bestemmia il nome dell’Eterno, sarà messo a morte. Chi percuote mortalmente un uomo, dovrà essere messo a morte. Chi percuote a morte un capo di bestiame, lo pagherà: vita per vita. Quando uno avrà fatto una lesione al suo prossimo, gli sarà fatto come egli ha fatto: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro. Chi uccide un capo di bestiame, lo pagherà; ma chi uccide un uomo sarà messo a morte. Avrete una stessa legge tanto per il forestiero quanto per il nativo del paese; poiché io sono l’Eterno, il vostro Dio’”. Poi Mosè parlò ai figli d’Israele, i quali trascinarono quel bestemmiatore fuori dall’accampamento, e lo lapidarono. Così i figli d’Israele fecero quello che l’Eterno aveva ordinato a Mosè. L’Eterno parlò ancora a Mosè sul monte Sinai, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Quando sarete entrati nel paese che io vi do, la terra dovrà avere il suo tempo di riposo consacrato all’Eterno. Per sei anni seminerai il tuo campo, per sei anni poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà un sabato, un riposo completo per la terra, un sabato in onore dell’Eterno; non seminerai il tuo campo, né poterai la tua vigna. Non mieterai quello che nascerà da sé dal seme caduto nella tua raccolta precedente, e non vendemmierai l’uva della vigna che non avrai potata; sarà un anno di completo riposo per la terra. Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo, servirà di nutrimento a te, al tuo servo, alla tua serva, al tuo operaio e al tuo ospite che stanno da te, al tuo bestiame e agli animali che sono nel tuo paese; tutto il suo prodotto servirà loro di nutrimento. Conterai pure sette settimane di anni: sette volte sette anni; e queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Poi, il decimo giorno del settimo mese farai squillare la tromba; il giorno delle espiazioni farete squillare la tromba per tutto il paese. Santificherete il cinquantesimo anno, e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà, e ognuno di voi tornerà nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non seminerete e non raccoglierete quello che i campi produrranno da sé, e non vendemmierete le vigne non potate. Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; mangerete il prodotto che vi daranno i campi. In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà in possesso del suo. Se vendete qualcosa al vostro prossimo o se comprate qualcosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al suo fratello. Regolerai l’acquisto che farai dal tuo prossimo, sul numero degli anni passati dall’ultimo giubileo, ed egli venderà a te in base agli anni di rendita. Quanti più anni resteranno, tanto più aumenterai il prezzo; e quanto minore sarà il tempo, tanto calerai il prezzo; poiché egli ti vende il numero delle raccolte. Nessun di voi danneggi suo fratello, ma temerai il tuo Dio; poiché io sono l’Eterno, il vostro Dio. Voi metterete in pratica le mie leggi, e osserverete le mie prescrizioni e le adempirete, e abiterete il paese al sicuro. La terra produrrà i suoi frutti, voi ne mangerete a sazietà e abiterete in essa al sicuro. E se dite: - Che mangeremo il settimo anno, siccome non semineremo e non faremo la nostra raccolta? - Io disporrò che la mia benedizione venga su voi il sesto anno, ed esso vi darà una raccolta per tre anni. E l’ottavo anno seminerete e mangerete della vecchia raccolta fino al nono anno; mangerete della raccolta vecchia finché sia venuta la nuova. Le terre non si venderanno per sempre; perché la terra è mia, e voi state da me come ospiti e stranieri. Perciò, in tutto il paese che sarà vostro possesso, concederete il diritto di riscatto del suolo. Se tuo fratello diventa povero e vende una parte della sua proprietà, colui che ha il diritto di riscatto, il suo parente più prossimo, verrà e riscatterà ciò che suo fratello ha venduto. E se uno non ha chi possa fare il riscatto, ma arriva a procurarsi da sé la somma necessaria al riscatto, conterà le annate trascorse dalla vendita, renderà l’eccedenza al compratore, e rientrerà così nel suo. Ma se non trova da sé la somma sufficiente a rimborsarlo, ciò che ha venduto rimarrà in mano al compratore fino all’anno del giubileo; al giubileo sarà cosa svincolata, ed egli rientrerà nel suo possesso. Se uno vende una casa da abitare in una città murata, avrà il diritto di riscattarla fino al compimento di un anno dalla vendita; il suo diritto di riscatto durerà un anno intero. Ma se quella casa posta in una città murata non è riscattata prima del compimento di un anno intero, rimarrà per sempre proprietà del compratore e dei suoi discendenti; non sarà svincolata al giubileo. Però, le case dei villaggi non attorniati da mura saranno considerate come parte dei fondi di terreno; potranno essere riscattate, e al giubileo saranno svincolate. Quanto alle città dei Leviti e alle case che essi vi possederanno, i Leviti avranno il diritto perenne di riscatto. E se anche uno dei Leviti ha fatto il riscatto, la casa venduta, con la città dove si trova, sarà svincolata al giubileo, perché le case delle città dei Leviti sono loro proprietà, in mezzo ai figli d’Israele. I campi situati nei dintorni delle città dei Leviti non si potranno vendere, perché sono loro proprietà perenne. Se tuo fratello che è presso di te si è impoverito e i suoi mezzi vengono meno, tu lo sosterrai, anche se ospite e straniero, affinché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interesse, né utile; ma temi il tuo Dio, e tuo fratello viva presso di te. Non gli darai il tuo denaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un utile. Io sono l’Eterno, il vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d’Egitto per darvi il paese di Canaan, per essere il vostro Dio. Se tuo fratello che è presso di te si è impoverito e si vende a te, non lo farai servire come uno schiavo; starà da te come un lavorante, come un ospite. Ti servirà fino all’anno del giubileo; allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia, e rientrerà nella proprietà dei suoi padri. Poiché essi sono miei servi, che io trassi fuori dal paese d’Egitto; non devono essere venduti come si vendono gli schiavi. Non lo dominerai con asprezza, ma temerai il tuo Dio. Quanto allo schiavo e alla schiava che potrete avere in proprio, li prenderete dalle nazioni che vi circondano; da queste comprerete lo schiavo e la schiava. Potrete anche comprarne tra i figli degli stranieri stabiliti fra voi e fra le loro famiglie che si troveranno fra voi, tra i figli che essi avranno generato nel vostro paese; e saranno vostra proprietà. E li potrete lasciare in eredità ai vostri figli dopo di voi, come loro proprietà; vi servirete di loro come di schiavi per sempre; ma quanto ai vostri fratelli, i figli d’Israele, nessuno di voi dominerà l’altro con asprezza. Se uno straniero stabilito presso di te si arricchisce, e tuo fratello diventa povero presso di lui e si vende allo straniero stabilito presso di te o a qualcuno della famiglia dello straniero, dopo che si sarà venduto, potrà essere riscattato; lo potrà riscattare uno dei suoi fratelli; lo potrà riscattare suo zio, o il figlio di suo zio; lo potrà riscattare uno dei parenti dello stesso suo sangue, o, se ha i mezzi per farlo, potrà riscattarsi da sé. Farà il conto, con il suo compratore, dall’anno che gli si è venduto all’anno del giubileo; e il prezzo da pagare si regolerà secondo il numero degli anni, valutando le sue giornate come quelle di un lavorante. Se vi sono ancora molti anni per arrivare al giubileo, pagherà il suo riscatto in base a questi anni, e in proporzione al prezzo per il quale fu comprato: se rimangono pochi anni per arrivare al giubileo, farà il conto con il suo compratore, e pagherà il prezzo del suo riscatto in base a quegli anni. Starà da lui come un lavorante preso a servizio annualmente; il padrone non lo dominerà con asprezza sotto i tuoi occhi. E se non è riscattato in nessuno di quei modi, se ne uscirà libero l’anno del giubileo: egli, con i suoi figli. Poiché i figli d’Israele sono miei servi; sono miei servi, che ho fatto uscire dal paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, il vostro Dio. Non vi farete idoli, non vi erigerete immagini scolpite né statue, e non collocherete nel vostro paese nessuna pietra ornata di figure per prostrarvi davanti a essa; poiché io sono l’Eterno, il vostro Dio. Osserverete i miei sabati, e porterete rispetto al mio santuario. Io sono l’Eterno. Se vi conducete secondo le mie leggi, se osservate i miei comandamenti e li mettete in pratica, io vi darò le piogge nella loro stagione, la terra darà i suoi prodotti, e gli alberi della campagna daranno i loro frutti. La trebbiatura vi durerà fino alla vendemmia, e la vendemmia vi durerà fino alla semina; mangerete a sazietà il vostro pane, e abiterete al sicuro il vostro paese. Io farò sì che la pace regni nel paese; voi vi coricherete, e non ci sarà chi vi spaventi; farò sparire dal paese le bestie pericolose, e la spada non passerà per il vostro paese. Voi inseguirete i vostri nemici, ed essi cadranno davanti a voi per la spada. Cinque di voi ne inseguiranno cento, cento di voi ne inseguiranno diecimila, e i vostri nemici cadranno davanti a voi per la spada. E io mi volgerò verso voi, vi renderò fecondi e vi moltiplicherò, e confermerò il mio patto con voi. E voi mangerete delle raccolte vecchie, conservate a lungo, e tirerete fuori la raccolta vecchia per far posto alla nuova. Io stabilirò la mia dimora in mezzo a voi, e non vi rigetterò. Camminerò tra voi, sarò vostro Dio, e voi sarete mio popolo. Io sono l’Eterno, il vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d’Egitto affinché non foste più schiavi; ho spezzato il vostro giogo, e vi ho fatto camminare a testa alta. Ma se non mi date ascolto e se non mettete in pratica tutti questi comandamenti, se disprezzate le mie leggi e l’anima vostra disprezza le mie prescrizioni non mettendo in pratica tutti i miei comandamenti, rompendo così il mio patto, ecco quello che vi farò a mia volta: manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che vi faranno venire meno gli occhi e languire l’anima, e seminerete invano la vostra semina: la mangeranno i vostri nemici. Volgerò la mia faccia contro di voi, e voi sarete sconfitti dai vostri nemici; quelli che vi odiano vi domineranno, e vi darete alla fuga senza che alcuno vi insegua. Se nemmeno dopo questo vorrete darmi ascolto, io vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Spezzerò la superbia della vostra forza, farò che il vostro cielo sia come di ferro, e la vostra terra come di bronzo. La vostra forza si consumerà invano, poiché la vostra terra non darà i suoi prodotti, e gli alberi della campagna non daranno i loro frutti. E se mi resistete con la vostra condotta e non volete darmi ascolto, io vi colpirò sette volte di più, secondo i vostri peccati. Manderò contro di voi le bestie feroci della campagna, che vi rapiranno i figli, stermineranno il vostro bestiame, vi ridurranno a un piccolo numero, e le vostre strade diverranno deserte. E se, nonostante questi castighi, non volete correggervi per tornare a me, ma con la vostra condotta mi resisterete, anche io vi resisterò, e vi colpirò sette volte di più per i vostri peccati. E farò venire contro di voi la spada, che farà vendetta del mio patto; voi vi raccoglierete nelle vostre città, ma io manderò in mezzo a voi la peste, e sarete dati in mano al nemico. Quando vi toglierò il sostentamento del pane, dieci donne cuoceranno il vostro pane in uno stesso forno, vi distribuiranno il vostro pane a peso, e mangerete, ma non vi sazierete. E se, nonostante tutto questo, non volete darmi ascolto ma con la vostra condotta mi resisterete, anche io vi resisterò con furore, e vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Mangerete la carne dei vostri figli, e mangerete la carne delle vostre figlie. Io devasterò i vostri alti luoghi, distruggerò le vostre statue consacrate al sole, metterò i vostri cadaveri sui cadaveri dei vostri idoli, e l’anima mia vi detesterà. E ridurrò le vostre città in deserti, desolerò i vostri santuari, e non aspirerò più il soave odore dei vostri profumi. Desolerò il paese; e i vostri nemici che vi abiteranno, ne saranno stupefatti. E, quanto a voi, io vi disperderò fra le nazioni, e vi inseguirò a spada tratta; il vostro paese sarà desolato, e le vostre città saranno deserte. Allora la terra si godrà i suoi sabati per tutto il tempo che rimarrà desolata e che voi sarete nel paese dei vostri nemici; allora la terra si riposerà e si godrà i suoi sabati. Per tutto il tempo che rimarrà desolata avrà il riposo che non ebbe nei vostri sabati, quando voi l’abitavate. Quanto ai superstiti fra voi, io toglierò il coraggio dal loro cuore nel paese dei loro nemici: il rumore di una foglia agitata li metterà in fuga; fuggiranno come si fugge davanti alla spada, e cadranno senza che nessuno li insegua. Precipiteranno l’uno sopra l’altro come davanti alla spada, senza che nessuno li insegua, e voi non potrete resistere davanti ai vostri nemici. E perirete fra le nazioni, e il paese dei vostri nemici vi divorerà. I superstiti fra voi si struggeranno nei paesi dei loro nemici, a motivo delle proprie iniquità; e saranno afflitti anche a causa delle iniquità dei loro padri. E confesseranno la loro iniquità e l’iniquità dei loro padri: l’iniquità delle trasgressioni commesse contro di me e della resistenza oppostami, peccati per i quali anch’io avrò dovuto resistere loro, e deportarli nel paese dei loro nemici. Se allora il loro cuore incirconciso si umilierà, e se accetteranno la punizione della loro iniquità, io mi ricorderò del mio patto con Giacobbe, mi ricorderò del mio patto con Isacco e del mio patto con Abraamo, e mi ricorderò del paese; poiché il paese sarà abbandonato da loro, e si godrà i suoi sabati mentre rimarrà desolato, senza di loro, ed essi accetteranno la punizione della loro iniquità per aver disprezzato le mie prescrizioni e aver avuto in avversione le mie leggi. E, nonostante tutto questo, quando saranno nel paese dei loro nemici, io non li disprezzerò e non li prenderò in avversione fino al punto di annientarli del tutto e di rompere il mio patto con loro; poiché io sono l’Eterno, il loro Dio; ma per amor di essi mi ricorderò del patto stretto con i loro antenati, che trassi fuori dal paese d’Egitto, davanti alle nazioni, per essere il loro Dio. Io sono l’Eterno’”. Tali sono gli statuti, le prescrizioni e le leggi che l’Eterno stabilì fra sé e i figli d’Israele, sul monte Sinai, per mezzo di Mosè. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Quando uno farà un voto per consacrare delle persone, queste persone apparterranno all’Eterno secondo la valutazione che ne farai. E la tua stima sarà, per un maschio dai venti ai sessant’anni, cinquanta sicli d’argento, secondo il siclo del santuario; se si tratta di una donna, la tua stima sarà di trenta sicli. Dai cinque ai vent’anni, la tua stima sarà di venti sicli per un maschio, e di dieci sicli per una femmina. Da un mese a cinque anni, la tua stima sarà di cinque sicli d’argento per un maschio, e di tre sicli d’argento per una femmina. Dai sessant’anni in su, la tua stima sarà di quindici sicli per un maschio e di dieci sicli per una femmina. E se colui che ha fatto il voto è troppo povero per pagare la somma fissata da te, lo si farà presentare al sacerdote, il quale lo tasserà. Il sacerdote farà una stima, in proporzione alle possibilità di colui che ha fatto il voto. Se si tratta di animali che possono essere presentati come offerta all’Eterno, ogni animale che si darà all’Eterno sarà cosa santa. Non lo si dovrà cambiare; non se ne metterà uno buono al posto di uno cattivo, o uno cattivo al posto di uno buono; e se pure uno sostituisce un animale all’altro, entrambi gli animali saranno cosa sacra. E se si tratta di animali impuri di cui non si può fare offerta all’Eterno, l’animale sarà presentato davanti al sacerdote; e il sacerdote ne farà la stima, secondo che l’animale sarà buono o cattivo; e ci si atterrà alla stima fatta dal sacerdote. Ma se uno lo vuole riscattare, aggiungerà un quinto alla tua stima. Se uno consacra la sua casa per essere cosa santa all’Eterno, il sacerdote ne farà la stima secondo che essa sarà buona o cattiva; e ci si atterrà alla stima fatta dal sacerdote. E se colui che ha consacrato la sua casa la vuole riscattare, aggiungerà un quinto al prezzo della stima, e sarà sua. Se uno consacra all’Eterno un pezzo di terra della sua proprietà, ne farai la stima in ragione della semina: cinquanta sicli d’argento per un omer di seme di orzo. Se consacra la sua terra dall’anno del giubileo, il prezzo resterà fissato secondo la tua stima; ma se la consacra dopo il giubileo, il sacerdote ne valuterà il prezzo in base al numero degli anni che rimangono fino al giubileo, e si farà una detrazione dalla tua stima. E se colui che ha consacrato il pezzo di terra lo vuole riscattare, aggiungerà un quinto al prezzo della tua stima, e resterà suo. Ma se non riscatta il pezzo di terra e lo vende a un altro, non lo si potrà più riscattare; ma quel pezzo di terra, quando rimarrà svincolato al giubileo, sarà consacrato all’Eterno come una terra interdetta, e diventerà proprietà del sacerdote. Se uno consacra all’Eterno un pezzo di terra che egli ha comprato e che non fa parte della sua proprietà, il sacerdote ne valuterà il prezzo secondo la stima fino all’anno del giubileo; e quel tale pagherà il giorno stesso il prezzo fissato, poiché è cosa consacrata all’Eterno. L’anno del giubileo la terra tornerà a colui da cui fu comprata, e del cui patrimonio faceva parte. Tutte le tue stime si faranno in sicli del santuario; il siclo è di venti ghere. Però, nessuno potrà consacrare i primogeniti del bestiame, i quali appartengono già all’Eterno, perché primogeniti: sia un bue, sia un agnello, appartiene all’Eterno. E se si tratta di un animale impuro, lo si riscatterà al prezzo della tua stima, aggiungendovi un quinto; se non è riscattato, sarà venduto al prezzo della tua stima. Tuttavia, tutto ciò che uno avrà consacrato all’Eterno per voto di interdetto, fra le cose che gli appartengono, sia che si tratti di una persona, di un animale o di un pezzo di terra del suo patrimonio, non potrà essere né venduto, né riscattato; ogni interdetto è cosa interamente consacrata all’Eterno. Nessuna persona consacrata per voto di interdetto potrà essere riscattata; dovrà essere messa a morte. Ogni decima della terra, sia delle raccolte del suolo sia dei frutti degli alberi, appartiene all’Eterno; è cosa consacrata all’Eterno. Se uno vuole riscattare una parte della sua decima, vi aggiungerà il quinto. E ogni decima della mandria o del gregge, il decimo capo di tutto ciò che passa sotto la verga del pastore, sarà consacrata all’Eterno. Non si farà distinzione fra animale buono e cattivo, e non si faranno sostituzioni; e se si sostituisce un animale all’altro, entrambi saranno cosa sacra; non si potranno riscattare’”. Questi sono i comandamenti che l’Eterno diede a Mosè per i figli d’Israele, sul monte Sinai. L’Eterno parlò ancora a Mosè, nel deserto del Sinai, nella tenda di convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno dall’uscita dei figli d’Israele dal paese d’Egitto, e disse: “Fate la somma di tutta la comunità dei figli d’Israele secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi di tutti i maschi, uno per uno, dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che in Israele possono andare alla guerra; tu e Aaronne ne farete il censimento, secondo le loro schiere. E con voi ci sarà un uomo per tribù, il capo della casa dei suoi padri. Questi sono i nomi degli uomini che staranno con voi. Di Ruben: Elisur, figlio di Sedeur; di Simeone: Selumiel, figlio di Surisaddai; di Giuda: Nason, figlio di Amminadab; di Issacar: Netaneel, figlio di Suar; di Zabulon: Eliab, figlio di Chelon; dei figli di Giuseppe: di Efraim: Elisama, figlio di Ammiud; di Manasse: Gamaliel, figlio di Pedasur; di Beniamino: Abidan, figlio di Ghideoni; di Dan: Aiezer, figlio di Ammisaddai; di Ascer: Paghiel, figlio di Ocran; di Gad: Eliasaf, figlio di Deuel; di Neftali: Aira, figlio di Enan”. Questi sono i membri della comunità che furono chiamati, i principi delle tribù dei loro padri, i capi delle migliaia d’Israele. Mosè e Aaronne presero dunque questi uomini che erano stati designati per nome, e convocarono tutta la comunità, il primo giorno del secondo mese; e il popolo fu censito secondo le famiglie, secondo le case dei padri, contando il numero delle persone dai vent’anni in su, uno per uno. Come l’Eterno gli aveva ordinato, Mosè ne fece il censimento nel deserto del Sinai. Figli di Ruben, primogenito d’Israele, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi di tutti i maschi, uno per uno, dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Ruben diede la cifra di quarantaseimilacinquecento. Figli di Simeone, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, censiti contando i nomi di tutti i maschi, uno per uno, dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Simeone diede la cifra di cinquantanovemilatrecento. Figli di Gad, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Gad diede la cifra di quarantacinquemilaseicentocinquanta. Figli di Giuda, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Giuda diede la cifra di settantaquattromilaseicento. Figli di Issacar, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Issacar diede la cifra di cinquantaquattromilaquattrocento. Figli di Zabulon, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Zabulon diede la cifra di cinquantasettemilaquattrocento. Figli di Giuseppe: Figli di Efraim, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Efraim diede la cifra di quarantamilacinquecento. Figli di Manasse, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Manasse diede la cifra di trentaduemiladuecento. Figli di Beniamino, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Beniamino diede la cifra di trentacinquemilaquattrocento. Figli di Dan, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Dan diede la cifra di sessantaduemilasettecento. Figli di Ascer, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Ascer diede la cifra di quarantunomilacinquecento. Figli di Neftali, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, contando i nomi dall’età di vent’anni in su, tutti quelli che potevano andare alla guerra: il censimento della tribù di Neftali diede la cifra di cinquantatremilaquattrocento. Questi sono quelli di cui Mosè e Aaronne fecero il censimento, con i dodici uomini, principi d’Israele: ce n’era uno per ognuna delle case dei loro padri. Così tutti i figli d’Israele dei quali fu fatto il censimento secondo le case dei loro padri, dall’età di vent’anni in su, cioè tutti gli uomini che in Israele potevano andare alla guerra, tutti quelli dei quali fu fatto il censimento, furono seicentotremilacinquecentocinquanta. Ma i Leviti, come tribù dei loro padri, non furono compresi nel censimento con gli altri; poiché l’Eterno aveva parlato a Mosè, dicendo: “Soltanto della tribù di Levi non farai il censimento, e non ne unirai l’ammontare a quello dei figli d’Israele; ma affida ai Leviti la cura del tabernacolo della testimonianza, di tutti i suoi utensili e di tutto ciò che gli appartiene. Essi porteranno il tabernacolo e tutti i suoi utensili, ne faranno il servizio, e staranno accampati attorno al tabernacolo. Quando il tabernacolo dovrà partire, i Leviti lo smonteranno; quando il tabernacolo dovrà accamparsi in qualche luogo, i Leviti lo erigeranno; e l’estraneo che gli si avvicinerà sarà messo a morte. I figli d’Israele pianteranno le loro tende ognuno nel suo campo, ognuno vicino alla sua bandiera, secondo le loro schiere. Ma i Leviti pianteranno le loro attorno al tabernacolo della testimonianza, affinché non si accenda l’ira mia contro la comunità dei figli d’Israele; e i Leviti avranno la cura del tabernacolo della testimonianza”. I figli d’Israele si conformarono in tutto agli ordini che l’Eterno aveva dato a Mosè; fecero così. L’Eterno parlò ancora a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “I figli d’Israele si accamperanno ciascuno vicino alla sua bandiera sotto le insegne delle case dei loro padri; si accamperanno di fronte e tutto intorno alla tenda di convegno. Davanti, verso oriente, si accamperà la bandiera del campo di Giuda con le sue schiere: il principe dei figli di Giuda è Nason, figlio di Amminadab, e il suo contingente, secondo il censimento, è di settantaquattromilaseicento uomini. Accanto a lui si accamperà la tribù di Issacar; il principe dei figli di Issacar è Netaneel, figlio di Suar, e il suo contingente, secondo il censimento, è di cinquantaquattromilaquattrocento uomini. Poi la tribù di Zabulon; il principe dei figli di Zabulon è Eliab, figlio di Chelon, e il suo contingente, secondo il censimento, è di cinquantasettemilaquattrocento uomini. Il totale del censimento del campo di Giuda è dunque centottantaseimilaquattrocento uomini, secondo le loro schiere. Si metteranno in marcia i primi. A sud starà la bandiera del campo di Ruben con le sue schiere; il principe dei figli di Ruben è Elisur, figlio di Sedeur, e il suo contingente, secondo il censimento, è di quarantaseimilacinquecento uomini. Accanto a lui si accamperà la tribù di Simeone; il principe dei figli di Simeone è Selumiel, figlio di Surisaddai, e il suo contingente, secondo il censimento, è di cinquantanovemilatrecento uomini. Poi la tribù di Gad; il principe dei figli di Gad è Eliasaf, figlio di Reuel, e il suo contingente, secondo il censimento, è di quarantacinquemilaseicentocinquanta uomini. Il totale del censimento del campo di Ruben è dunque centocinquantunomilaquattrocentocinquanta uomini, secondo le loro schiere. Si metteranno in marcia in seconda linea. Poi si metterà in marcia la tenda di convegno con il campo dei Leviti in mezzo agli altri campi. Seguiranno nella marcia l’ordine nel quale erano accampati, ciascuno al suo posto, con la sua bandiera. A occidente starà la bandiera del campo di Efraim con le sue schiere; il principe dei figli di Efraim è Elisama, figlio di Ammiud, e il suo contingente, secondo il censimento, è di quarantamilacinquecento uomini. Accanto a lui si accamperà la tribù di Manasse; il principe dei figli di Manasse è Gamaliel, figlio di Pedasur, e il suo contingente, secondo il censimento, è di trentaduemiladuecento uomini. Poi la tribù di Beniamino; il principe dei figli di Beniamino è Abidan, figlio di Ghideoni, e il suo contingente, secondo il censimento, è di trentacinquemilaquattrocento uomini. Il totale del censimento del campo d’Efraim è dunque centottantamilacento uomini, secondo le loro schiere. Si metteranno in marcia in terza linea. A settentrione starà il campo di Dan con le sue schiere; il principe dei figli di Dan è Aiezer, figlio di Ammisaddai, e il suo contingente, secondo il censimento, è di sessantaduemilasettecento uomini. Accanto a lui si accamperà la tribù di Ascer; il principe dei figli di Ascer è Paghiel, figlio di Ocran, e il suo contingente, secondo il censimento, è di quarantunomilacinquecento uomini. Poi la tribù di Neftali; il principe dei figli di Neftali è Aira, figlio di Enan, e il suo contingente, secondo il censimento, è di cinquantatremilaquattrocento uomini. Il totale del censimento del campo di Dan è dunque centocinquantasettemilaseicento. Si metteranno in marcia gli ultimi, secondo le loro bandiere”. Questi furono i figli d’Israele dei quali si fece il censimento secondo le case dei loro padri. Tutti gli uomini dei quali si fece il censimento, e che formarono i campi, secondo i loro contingenti, furono seicentotremilacinquecentocinquanta. Ma i Leviti, secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato a Mosè, non furono compresi nel censimento con i figli d’Israele. E i figli d’Israele si conformarono in tutto agli ordini che l’Eterno aveva dato a Mosè: così si accampavano secondo le loro bandiere, e così si mettevano in marcia, ciascuno secondo la sua famiglia, secondo la casa dei suoi padri. Questi sono i discendenti di Aaronne e di Mosè nel tempo in cui l’Eterno parlò a Mosè sul monte Sinai. Questi sono i nomi dei figli di Aaronne: Nadab, il primogenito, Abiu, Eleazar e Itamar. Tali i nomi dei figli di Aaronne, che ricevettero l’unzione come sacerdoti e furono consacrati per esercitare il sacerdozio. Nadab e Abiu morirono davanti all’Eterno quando offrirono fuoco estraneo davanti all’Eterno, nel deserto del Sinai. Essi non avevano figli, ed Eleazar e Itamar esercitarono il sacerdozio alla presenza di Aaronne, loro padre. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Fa’ avvicinare la tribù dei Leviti e ponila davanti al sacerdote Aaronne, affinché sia al suo servizio. Essi avranno la cura di tutto ciò che è affidato a lui e a tutta la comunità davanti alla tenda di convegno e faranno così il servizio del tabernacolo. Avranno cura di tutti gli utensili della tenda di convegno e di quanto è affidato ai figli d’Israele, e faranno così il servizio del tabernacolo. Tu darai i Leviti ad Aaronne e ai suoi figli; essi gli sono interamente dati di tra i figli d’Israele. Tu stabilirai Aaronne e i suoi figli, perché esercitino le funzioni del loro sacerdozio; lo straniero che si accosterà all’altare sarà messo a morte”. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Ecco, io ho preso i Leviti di tra i figli d’Israele al posto di ogni primogenito che apre il grembo materno fra i figli d’Israele; e i Leviti saranno miei; poiché ogni primogenito è mio; il giorno che io colpii tutti i primogeniti nel paese d’Egitto, io mi consacrai tutti i primi parti in Israele, tanto degli uomini quanto degli animali; saranno miei: io sono l’Eterno”. E l’Eterno parlò a Mosè nel deserto del Sinai, dicendo: “Fa’ il censimento dei figli di Levi secondo le case dei loro padri, secondo le loro famiglie; farai il censimento di tutti i maschi dall’età di un mese in su”. E Mosè ne fece il censimento secondo l’ordine dell’Eterno, come gli era stato comandato di fare. Questi sono i figli di Levi, secondo i loro nomi: Gherson, Cheat e Merari. Questi i nomi dei figli di Gherson, secondo le loro famiglie: Libni e Simei. E i figli di Cheat, secondo le loro famiglie: Amram, Isar, Ebron e Uzziel. E i figli di Merari secondo le loro famiglie: Mali e Musi. Queste sono le famiglie dei Leviti, secondo le case dei loro padri. Da Gherson discendono la famiglia dei Libniti e la famiglia degli Simeiti, che formano le famiglie dei Ghersoniti. Quelli dei quali fu fatto il censimento, contando tutti i maschi dall’età di un mese in su, furono settemilacinquecento. Le famiglie dei Ghersoniti avevano il campo dietro il tabernacolo, a occidente. Il principe della casa dei padri dei Ghersoniti era Eliasaf, figlio di Lael. Per quello che concerne la tenda di convegno, i figli di Gherson dovevano avere cura del tabernacolo e della tenda, della sua coperta, della portiera all’ingresso della tenda di convegno, delle tele del cortile e della portiera dell’ingresso del cortile, tutto intorno al tabernacolo e all’altare, e dei suoi cordami per tutto il servizio del tabernacolo. Da Cheat discendono la famiglia degli Amramiti, la famiglia degli Iseariti, la famiglia degli Ebroniti e la famiglia degli Uzzieliti, che formano le famiglie dei Cheatiti. Contando tutti i maschi dall’età di un mese in su, furono ottomilaseicento, incaricati della cura del santuario. Le famiglie dei figli di Cheat avevano il campo al lato meridionale del tabernacolo. Il principe della casa dei padri dei Cheatiti era Elisafan, figlio di Uzziel. Alle loro cure erano affidati l’arca, la tavola, il candelabro, gli altari e gli utensili del santuario con i quali si fa il servizio, il velo e tutto ciò che si riferisce al servizio del santuario. Il principe dei principi dei Leviti era Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne; egli aveva la sorveglianza di quelli che erano incaricati della cura del santuario. Da Merari discendono la famiglia dei Maliti e la famiglia dei Musiti, che formano le famiglie di Merari. Quelli di cui si fece il censimento, contando tutti i maschi dall’età di un mese in su, furono seimiladuecento. Il principe della casa dei padri delle famiglie di Merari era Suriel, figlio di Abiail. Essi avevano il campo dal lato settentrionale del tabernacolo. Alle cure dei figli di Merari furono affidati le tavole del tabernacolo, le sue traverse, le sue colonne e le loro basi, tutti i suoi utensili e tutto ciò che si riferisce al servizio del tabernacolo, le colonne del cortile tutto intorno, le loro basi, i loro picchetti e il loro cordame. Davanti al tabernacolo, a oriente, di fronte alla tenda di convegno, verso il sol levante, avevano il campo Mosè, Aaronne e i suoi figli; essi avevano la cura del santuario per i figli d’Israele; lo straniero che vi si fosse accostato sarebbe stato messo a morte. Tutti i Leviti di cui Mosè e Aaronne fecero il censimento secondo le loro famiglie per ordine dell’Eterno, tutti i maschi dall’età di un mese in su, furono ventiduemila. E l’Eterno disse a Mosè: “Fa’ il censimento di tutti i primogeniti maschi tra i figli d’Israele dall’età di un mese in su e fa’ il conto dei loro nomi. Prenderai i Leviti per me - io sono l’Eterno - invece di tutti i primogeniti dei figli d’Israele, e il bestiame dei Leviti al posto dei primi parti del bestiame dei figli d’Israele”. E Mosè fece il censimento di tutti i primogeniti tra i figli d’Israele, secondo l’ordine che l’Eterno gli aveva dato. Tutti i primogeniti maschi di cui si fece il censimento, contando i nomi dall’età di un mese in su, furono ventiduemiladuecentosettantatré. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Prendi i Leviti al posto di tutti i primogeniti dei figli d’Israele, e il bestiame dei Leviti al posto del loro bestiame; e i Leviti saranno miei. Io sono l’Eterno. Per il riscatto dei duecentosettantatré primogeniti dei figli d’Israele che oltrepassano il numero dei Leviti, prenderai cinque sicli a testa, li prenderai secondo il siclo del santuario, che è di venti ghere. Darai il denaro ad Aaronne e ai suoi figli per il riscatto di quelli che oltrepassano il numero dei Leviti”. E Mosè prese il denaro per il riscatto di quelli che oltrepassavano il numero dei primogeniti riscattati dai Leviti; prese il denaro dai primogeniti dei figli d’Israele: milletrecentosessantacinque sicli, secondo il siclo del santuario. E Mosè diede il denaro del riscatto ad Aaronne e ai suoi figli, secondo l’ordine dell’Eterno, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. L’Eterno parlò ancora a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Fate il conto dei figli di Cheat, tra i figli di Levi, secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, dall’età di trent’anni in su fino all’età di cinquant’anni, di tutti quelli che possono assumere un incarico per servire nella tenda di convegno. Questo è il servizio che i figli di Cheat dovranno fare nella tenda di convegno, e che concerne le cose santissime. Quando il campo si muoverà, Aaronne e i suoi figli verranno a smontare il velo di separazione, e copriranno con esso l’arca della testimonianza; poi porranno sull’arca una coperta di pelli di tasso, vi stenderanno sopra un panno tutto di stoffa violacea e metteranno al posto le stanghe. Poi stenderanno un panno violaceo sulla tavola dei pani della presentazione, e vi metteranno sopra i piatti, le coppe, i bacini, i calici per le libazioni; e ci sarà su anche il pane perpetuo; e su queste cose stenderanno un panno scarlatto, e sopra questo una coperta di pelli di tasso, e metteranno le stanghe alla tavola. Poi prenderanno un panno violaceo, con il quale copriranno il candelabro, le sue lampade, le sue forbici, i suoi smoccolatoi e tutti i suoi vasi dell’olio destinati al servizio del candelabro; metteranno il candelabro con tutti i suoi utensili in una coperta di pelli di tasso, e lo porranno sopra un paio di stanghe. Poi stenderanno sull’altare d’oro un panno violaceo, e sopra questo una coperta di pelli di tasso; e metteranno le stanghe all’altare. E prenderanno tutti gli utensili di cui si fa uso per il servizio nel santuario, li metteranno in un panno violaceo, li avvolgeranno in una coperta di pelli di tasso e li porranno sopra un paio di stanghe. Poi toglieranno le ceneri dall’altare, e stenderanno sull’altare un panno scarlatto; vi metteranno su tutti gli utensili destinati al suo servizio, i bracieri, i forchettoni, le palette, i bacini, tutti gli utensili dell’altare, e vi stenderanno sopra una coperta di pelli di tasso; poi porranno le stanghe all’altare. E dopo che Aaronne e i suoi figli avranno finito di coprire il santuario e tutti gli arredi del santuario, quando il campo si muoverà, i figli di Cheat verranno per portare quelle cose; ma non toccheranno le cose sante, affinché non muoiano. Queste sono le incombenze dei figli di Cheat nella tenda di convegno. Ed Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, avrà l’incarico dell’olio per il candelabro, del profumo fragrante, dell’offerta perenne e dell’olio dell’unzione, e l’incarico di tutto il tabernacolo e di tutto ciò che contiene, del santuario e dei suoi arredi”. Poi l’Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne dicendo: “Badate che la tribù delle famiglie dei Cheatiti non debba essere sterminata tra i Leviti; ma fate questo per loro, affinché vivano e non muoiano quando si accosteranno al luogo santissimo: Aaronne e i suoi figli vengano e assegnino a ciascuno di essi il proprio servizio e il proprio incarico. Ed essi non entrino a guardare anche per un istante le cose sante, affinché non muoiano”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Fa’ il conto anche dei figli di Gherson, secondo le case dei loro padri, secondo le loro famiglie. Farai il censimento, dall’età di trent’anni in su fino all’età di cinquant’anni, di tutti quelli che possono assumere un incarico per servire nella tenda di convegno. Questo è il servizio delle famiglie dei Ghersoniti: quello che devono fare e quello che devono portare: porteranno i teli del tabernacolo e la tenda di convegno, la sua coperta, la coperta di pelli di tasso che c’è sopra, e la portiera all’ingresso della tenda di convegno; le cortine del cortile con la portiera dell’ingresso del cortile, cortine che stanno tutto intorno al tabernacolo e all’altare, i loro cordami e tutti gli utensili destinati al loro servizio; faranno tutto il servizio che si riferisce a queste cose. Tutto il servizio dei figli dei Ghersoniti sarà sotto gli ordini di Aaronne e dei suoi figli per tutto quello che dovranno portare e per tutto quello che dovranno fare; voi affiderete alla loro cura tutto quello che devono portare. Tale è il servizio delle famiglie dei figli dei Ghersoniti nella tenda di convegno; e il loro incarico sarà eseguito agli ordini di Itamar figlio del sacerdote Aaronne. Farai il censimento dei figli di Merari secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri; farai il censimento, dall’età di trent’anni in su fino all’età di cinquant’anni, di tutti quelli che possono assumere un incarico per servire nella tenda di convegno. Questo è quanto è affidato alle loro cure e quello che devono portare, in conformità a tutto il loro servizio nella tenda di convegno: le assi del tabernacolo, le sue traverse, le sue colonne, le sue basi; le colonne che sono intorno al cortile, le loro basi, i loro picchetti, i loro cordami, tutti i loro utensili e tutto quello che riguarda il servizio. Farete l’inventario nominativo degli oggetti affidati alle loro cure e che essi dovranno portare. Tale è il servizio delle famiglie dei figli di Merari, tutto il loro servizio nella tenda di convegno, sotto gli ordini di Itamar, figlio del sacerdote Aaronne”. Mosè, Aaronne e i capi della comunità fecero dunque il censimento dei figli dei Cheatiti secondo le loro famiglie e secondo le case dei loro padri, di tutti quelli che dall’età di trent’anni in su fino all’età di cinquant’anni potevano assumere un incarico per servire nella tenda di convegno. E quelli di cui si fece il censimento secondo le loro famiglie, furono duemilasettecentocinquanta. Questi sono quelli delle famiglie dei Cheatiti dei quali si fece il censimento: tutti quelli che esercitavano qualche incarico nella tenda di convegno; Mosè e Aaronne ne fecero il censimento secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato per mezzo di Mosè. I figli di Gherson, di cui si fece il censimento secondo le loro famiglie e secondo le case dei loro padri, dall’età di trent’anni in su fino all’età di cinquant’anni, tutti quelli che potevano assumere un incarico per servire nella tenda di convegno, quelli di cui si fece il censimento secondo le loro famiglie, secondo le case dei loro padri, furono duemilaseicentotrenta. Questi sono quelli delle famiglie dei figli di Gherson, di cui si fece il censimento: tutti quelli che esercitavano qualche incarico nella tenda di convegno; Mosè e Aaronne ne fecero il censimento secondo l’ordine dell’Eterno. Quelli delle famiglie dei figli di Merari dei quali si fece il censimento secondo le loro famiglie, secondo le famiglie dei loro padri, dall’età di trent’anni in su fino all’età di cinquant’anni, tutti quelli che potevano assumere un incarico per servire nella tenda di convegno quelli di cui si fece il censimento secondo le loro famiglie, furono tremiladuecento. Questi sono quelli delle famiglie dei figli di Merari, di cui si fece il censimento; Mosè e Aaronne ne fecero il censimento secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato per mezzo di Mosè. Tutti i Leviti dei quali Mosè, Aaronne e i principi d’Israele fecero il censimento secondo le loro famiglie e secondo le case dei loro padri, dall’età di trent’anni in su fino all’età di cinquant’anni, tutti quelli che potevano assumere l’incarico di servitori e l’incarico di portatori nella tenda di convegno, tutti quelli di cui si fece il censimento, furono ottomilacinquecentottanta. Ne fu fatto il censimento secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato per mezzo di Mosè, assegnando a ciascuno il servizio che doveva fare e quello che doveva portare. Così ne fu fatto il censimento come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Ordina ai figli d’Israele che mandino fuori dall’accampamento ogni lebbroso, chiunque ha la gonorrea o è impuro per il contatto con un morto. Che siano maschi o femmine, li manderete fuori; li manderete fuori dall’accampamento perché non contaminino il loro campo in mezzo al quale io abito”. I figli d’Israele fecero così, e li mandarono fuori dall’accampamento. Come l’Eterno aveva detto a Mosè, così fecero i figli d’Israele. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Di’ ai figli d’Israele: ‘Quando un uomo o una donna avrà fatto un torto a qualcuno commettendo una infedeltà rispetto all’Eterno, e questa persona si sarà così resa colpevole, confesserà il peccato commesso, rifonderà per intero il danno compiuto, aggiungendovi in più un quinto, e lo darà a colui verso il quale si è reso colpevole. Ma se costui non ha parente prossimo a cui si possa rifondere il danno compiuto, questo risarcimento spetterà all’Eterno, cioè al sacerdote, oltre al montone espiatorio, mediante il quale si farà l’espiazione per il colpevole. Ogni offerta elevata di tutte le cose consacrate che i figli d’Israele presenteranno al sacerdote, sarà del sacerdote; le cose che uno consacrerà saranno del sacerdote; ciò che uno darà al sacerdote, apparterrà a lui’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Se una donna si svia dal marito e commette una infedeltà contro di lui; se uno ha relazioni carnali con lei e la cosa è nascosta agli occhi del marito, se si è contaminata in segreto senza che vi siano testimoni contro di lei o che sia stata colta sul fatto, qualora lo spirito di gelosia si impossessi del marito e questi diventi geloso della moglie che si è contaminata, oppure lo spirito di gelosia si impossessi di lui e questi diventi geloso della moglie che non si è contaminata, quell’uomo condurrà la moglie al sacerdote, e porterà un’offerta per lei: un decimo di efa di farina d’orzo; non vi verserà sopra olio né vi metterà sopra incenso, perché è un’oblazione di gelosia, un’oblazione commemorativa, destinata a ricordare una iniquità. Il sacerdote farà avvicinare la donna, e la farà stare in piedi davanti all’Eterno. Poi il sacerdote prenderà dell’acqua santa in un vaso di terra; prenderà pure della polvere che è sul suolo del tabernacolo, e la metterà nell’acqua. Il sacerdote farà quindi stare la donna in piedi davanti all’Eterno, le scoprirà il capo e porrà in mano a lei l’oblazione commemorativa, che è l’oblazione di gelosia; e il sacerdote avrà in mano l’acqua amara che provoca maledizione. Il sacerdote farà giurare quella donna, e le dirà: Se nessun uomo ha dormito con te, e se non ti sei sviata per contaminarti con un altro invece di tuo marito, quest’acqua amara che provoca maledizione, non ti faccia danno! Ma se tu ti sei sviata ricevendo un altro invece di tuo marito e ti sei contaminata, e un altro che non è tuo marito ha avuto rapporti con te… allora il sacerdote farà giurare la donna con un giuramento di imprecazione e le dirà: L’Eterno faccia di te un oggetto di maledizione e di disprezzo fra il tuo popolo, facendoti dimagrire i fianchi e gonfiare il ventre; e quest’acqua che provoca maledizione, ti entri nelle viscere per farti gonfiare il ventre e dimagrire i fianchi! E la donna dirà: Amen! amen! Poi il sacerdote scriverà queste imprecazioni in un rotolo, e le cancellerà con l’acqua amara. Farà bere alla donna quell’acqua amara che provoca maledizione, e l’acqua che provoca maledizione entrerà in lei per produrre amarezza; e il sacerdote prenderà dalle mani della donna l’oblazione di gelosia, agiterà l’oblazione davanti all’Eterno, e la offrirà sull’altare; e il sacerdote prenderà una manciata di quell’oblazione come ricordo, e la farà bruciare sull’altare; poi farà bere l’acqua alla donna. E quando le avrà fatto bere l’acqua, avverrà che, se lei si è contaminata e ha commesso una infedeltà contro il marito, l’acqua che provoca maledizione entrerà in lei per produrre amarezza; il ventre le si gonfierà, i suoi fianchi dimagriranno, e quella donna diventerà un oggetto di maledizione in mezzo al suo popolo. Ma se la donna non si è contaminata ed è pura, sarà riconosciuta innocente e avrà dei figli. Questa è la legge relativa alla gelosia, nel caso in cui la moglie di uno si svii ricevendo un altro invece del proprio marito, e si contamini, e nel caso in cui lo spirito di gelosia si impossessi del marito, e questi diventi geloso della moglie; egli farà comparire sua moglie davanti all’Eterno, e il sacerdote le applicherà questa legge integralmente. Il marito sarà immune da colpa, ma la donna porterà la pena della sua iniquità’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Quando un uomo o una donna avrà fatto un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi all’Eterno, si asterrà dal vino e dalle bevande alcoliche; non berrà aceto fatto di vino, né aceto fatto di bevanda alcolica; non berrà liquori tratti dall’uva, e non mangerà uva, né fresca né secca. Tutto il tempo del suo nazireato non mangerà alcun prodotto della vigna, dagli acini alla buccia. Tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; fino a che siano compiuti i giorni per i quali egli si è consacrato all’Eterno, sarà santo; si lascerà crescere liberamente i capelli sul capo. Tutto il tempo che egli si è consacrato all’Eterno, non si accosterà a corpo morto; si trattasse anche di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si contaminerà per loro alla loro morte, perché porta sul capo il segno della sua consacrazione a Dio. Tutto il tempo del suo nazireato egli è consacrato all’Eterno. E se uno gli muore accanto improvvisamente, e il suo capo consacrato rimane così contaminato, si raderà il capo il giorno della sua purificazione; se lo raderà il settimo giorno; l’ottavo giorno porterà due tortore o due giovani piccioni al sacerdote, all’ingresso della tenda di convegno. E il sacerdote ne offrirà uno come sacrificio per il peccato e l’altro come olocausto, e farà per lui l’espiazione del peccato che ha commesso a causa di quel morto e, in quel giorno stesso, il nazireo consacrerà così il suo capo. Consacrerà di nuovo all’Eterno i giorni del suo nazireato, e offrirà un agnello dell’anno come sacrificio per la colpa; i giorni precedenti non saranno contati, perché il suo nazireato è stato contaminato. Questa è la legge del nazireato: quando i giorni del suo nazireato saranno compiuti, lo si farà venire all’ingresso della tenda di convegno; ed egli presenterà la sua offerta all’Eterno: un agnello dell’anno, senza difetto, per l’olocausto; una pecora dell’anno, senza difetto, per il sacrificio per il peccato, e un montone senza difetto, per il sacrificio di ringraziamento; un paniere di pani azzimi fatti con fior di farina, di focacce intrise con olio, di gallette senza lievito unte d’olio, insieme con l’oblazione e le relative libazioni. Il sacerdote presenterà quelle cose davanti all’Eterno, e offrirà il suo sacrificio per il peccato e il suo olocausto; offrirà il montone come sacrificio di ringraziamento all’Eterno, con il paniere dei pani azzimi; il sacerdote offrirà pure l’oblazione e la libazione. Il nazireo raderà, all’ingresso della tenda di convegno, il suo capo consacrato; prenderà i capelli del suo capo consacrato e li metterà sul fuoco che è sotto il sacrificio di ringraziamento. Il sacerdote prenderà la spalla del montone, quando sarà cotta, una focaccia non lievitata del paniere, una galletta senza lievito, e le porrà nelle mani del nazireo, dopo che questi avrà raso il suo capo consacrato. Il sacerdote le agiterà, come offerta agitata, davanti all’Eterno; è cosa santa che appartiene al sacerdote, assieme al petto dell’offerta agitata e alla spalla dell’offerta elevata. Dopo questo, il nazireo potrà bere del vino. Tale è la legge relativa a colui che ha fatto voto di nazireato, tale è la sua offerta all’Eterno per il suo nazireato, oltre quello che i suoi mezzi gli permetteranno di fare. Egli agirà secondo il voto che avrà fatto, conformemente alla legge del suo nazireato’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ad Aaronne e ai suoi figli, e di’ loro: ‘Voi benedirete così i figli d’Israele; direte loro: L’Eterno ti benedica e ti protegga! L’Eterno faccia risplendere il suo volto su te e ti sia propizio! L’Eterno volga verso te il suo volto, e ti dia la pace!’. Così metteranno il mio nome sui figli d’Israele, e io li benedirò”. Il giorno che Mosè terminò di rizzare il tabernacolo, lo unse e lo consacrò con tutti i suoi utensili, quando ebbe rizzato l’altare con tutti i suoi utensili, e li unse e li consacrò, i principi d’Israele, capi delle case dei loro padri, che erano i principi delle tribù e avevano presieduto al censimento, presentarono un’offerta e la portarono davanti all’Eterno: sei carri coperti e dodici buoi; vale a dire un carro per due principi e un bue per ogni principe; e li offrirono davanti al tabernacolo. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Prendili da loro per impiegarli al servizio della tenda di convegno, e dalli ai Leviti; a ciascuno secondo le sue funzioni”. Mosè prese dunque i carri e i buoi, e li diede ai Leviti. Diede due carri e quattro buoi ai figli di Gherson, secondo le loro funzioni, diede quattro carri e otto buoi ai figli di Merari, secondo le loro funzioni, sotto la sorveglianza di Itamar, figlio del sacerdote Aaronne; ma ai figli di Cheatiti non diede niente, perché avevano il servizio degli oggetti sacri e dovevano portarli sulle spalle. I principi presentarono la loro offerta per la dedicazione dell’altare, il giorno che esso fu unto; i principi presentarono la loro offerta davanti all’altare. E l’Eterno disse a Mosè: “I principi presenteranno la loro offerta uno per giorno, per la dedicazione dell’altare”. Colui che presentò la sua offerta il primo giorno fu Nason, figlio di Amminadab della tribù di Giuda; e la sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per il sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Nason, figlio di Amminadab. Il secondo giorno, Netaneel, figlio di Suar, principe di Issacar, presentò la sua offerta. Offrì un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per il sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Netaneel, figlio di Suar. Il terzo giorno ci fu Eliab, figlio di Chelon, principe dei figli di Zabulon. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per sacrificio di riconoscenza, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Eliab, figlio di Chelon. Il quarto giorno ci fu Elisur, figlio di Sedeur, principe dei figli di Ruben. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Elisur, figlio di Sedeur. Il quinto giorno ci fu Selumiel, figlio di Surisaddai, principe dei figli di Simeone. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Selumiel, figlio di Surisaddai. Il sesto giorno ci fu Eliasaf, figlio di Deuel, principe dei figli di Gad. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Tale fu l’offerta di Eliasaf, figlio di Deuel. Il settimo giorno ci fu Elisama, figlio di Ammiud, principe dei figli d’Efraim. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per il sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Tale fu l’offerta di Elisama, figlio di Ammiud. L’ottavo giorno fu Gamaliel, figlio di Pedasur, principe dei figli di Manasse. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per il sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Gamaliel, figlio di Pedasur. Il nono giorno ci fu Abidan, figlio di Ghideoni, principe dei figli di Beniamino. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per il sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Abidan, figlio di Ghideoni. Il decimo giorno ci fu Aiezer, figlio di Ammisaddai, principe dei figli di Dan. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per il sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Aiezer, figlio di Ammisaddai. L’undicesimo giorno ci fu Paghiel, figlio di Ocran, principe dei figli di Ascer. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per il sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Paghiel, figlio di Ocran. Il dodicesimo giorno ci fu Aira, figlio di Enan, principe dei figli di Neftali. La sua offerta fu un piatto d’argento del peso di centotrenta sicli, un bacino d’argento di settanta sicli, secondo il siclo del santuario, entrambi pieni di fior di farina intrisa con olio, per l’oblazione; una coppa d’oro di dieci sicli piena di profumo, un giovenco, un montone, un agnello dell’anno per l’olocausto, un capro per il sacrificio per il peccato, e, per il sacrificio di ringraziamento, due buoi, cinque montoni, cinque capri, cinque agnelli dell’anno. Questa fu l’offerta di Aira, figlio di Enan. Questi furono i doni per la dedicazione dell’altare, da parte dei principi d’Israele, il giorno in cui esso fu unto: dodici piatti d’argento, dodici bacini d’argento, dodici coppe d’oro; ogni piatto d’argento pesava centotrenta sicli e ogni bacino d’argento, settanta; il totale dell’argento dei vasi fu duemilaquattrocento sicli, secondo il siclo del santuario; dodici coppe d’oro piene di profumo, le quali, a dieci sicli per coppa, secondo il siclo del santuario, diedero, per l’oro delle coppe, un totale di centoventi sicli. Totale del bestiame per l’olocausto: dodici giovenchi, dodici montoni, dodici agnelli dell’anno con le oblazioni ordinarie, e dodici capri per il sacrificio per il peccato. Totale del bestiame per il sacrificio di ringraziamento: ventiquattro giovenchi, sessanta montoni, sessanta capri, sessanta agnelli dell’anno. Questi furono i doni per la dedicazione dell’altare, dopo che esso fu unto. E quando Mosè entrava nella tenda di convegno per parlare con l’Eterno, udiva la voce che gli parlava dall’alto del propiziatorio che è sull’arca della testimonianza fra i due cherubini; e l’Eterno gli parlava. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ad Aaronne, e digli: ‘Quando collocherai le lampade, le sette lampade dovranno proiettare la luce sul davanti del candelabro’”. E Aaronne fece così; collocò le lampade in modo che facessero luce sul davanti del candelabro, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Ora il candelabro era fatto così: era d’oro battuto; tanto la sua base quanto i suoi fiori erano lavorati a martello. Mosè aveva fatto il candelabro secondo il modello che l’Eterno gli aveva mostrato. L’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Prendi i Leviti tra i figli d’Israele, e purificali. E, per purificarli, farai così: li aspergerai con l’acqua dell’espiazione, essi faranno passare il rasoio su tutto il loro corpo, laveranno le loro vesti e si purificheranno. Poi prenderanno un giovenco con l’oblazione ordinaria di fior di farina intrisa con olio, e tu prenderai un altro giovenco per il sacrificio per il peccato. Farai avvicinare i Leviti davanti alla tenda di convegno, e convocherai tutta la comunità dei figli d’Israele. Farai avvicinare i Leviti davanti all’Eterno e i figli d’Israele poseranno le loro mani sui Leviti; e Aaronne presenterà i Leviti come offerta agitata davanti all’Eterno da parte dei figli d’Israele, ed essi faranno il servizio dell’Eterno. Poi i Leviti poseranno le loro mani sulla testa dei giovenchi, e tu ne offrirai uno come sacrificio per il peccato e l’altro come olocausto all’Eterno, per fare l’espiazione per i Leviti. E farai stare i Leviti in piedi davanti ad Aaronne e davanti ai suoi figli, e li presenterai come un’offerta agitata all’Eterno. Così separerai i Leviti tra i figli d’Israele, e i Leviti saranno miei. Dopo questo, i Leviti verranno a fare il servizio nella tenda di convegno; e tu li purificherai, e li presenterai come un’offerta agitata; poiché mi sono interamente dati tra i figli d’Israele; io li ho presi per me, invece di tutti quelli che aprono il grembo materno, dei primogeniti di tutti i figli d’Israele. Poiché tutti i primogeniti dei figli d’Israele, tanto degli uomini quanto del bestiame, sono miei; io me li sono consacrati il giorno che percossi tutti i primogeniti nel paese d’Egitto. E ho preso i Leviti invece di tutti i primogeniti dei figli d’Israele. E ad Aaronne e ai suoi figli ho dato in dono i Leviti tra i figli d’Israele, perché facciano il servizio dei figli d’Israele nella tenda di convegno, e perché facciano l’espiazione per i figli d’Israele, affinché nessuna piaga scoppi tra i figli d’Israele per il loro accostarsi al santuario”. Così fecero Mosè, Aaronne e tutta la comunità dei figli d’Israele rispetto ai Leviti; i figli d’Israele fecero a loro riguardo tutto quello che l’Eterno aveva ordinato a Mosè relativamente a loro. E i Leviti si purificarono e lavarono le loro vesti; e Aaronne li presentò come un’offerta agitata davanti all’Eterno, e fece l’espiazione per loro, per purificarli. Dopo questo, i Leviti vennero a fare il loro servizio nella tenda di convegno in presenza di Aaronne e dei suoi figli. Si fece ai Leviti secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato a Mosè a loro riguardo. Poi l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Questo è quello che concerne i Leviti: da venticinque anni in su il Levita entrerà in servizio per esercitare un incarico nella tenda di convegno; e dall’età di cinquant’anni si ritirerà dall’esercizio dell’incarico, e non servirà più. Potrà assistere i suoi fratelli nella tenda di convegno, sorvegliando ciò che è affidato alle loro cure; ma non farà più servizio. Così farai per i Leviti, riguardo ai loro incarichi”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, nel deserto del Sinai, il primo mese del secondo anno da quando furono usciti dal paese d’Egitto, dicendo: “I figli d’Israele celebreranno la pasqua nel tempo stabilito. La celebrerete nel tempo stabilito, il quattordicesimo giorno di questo mese, sull’imbrunire; la celebrerete secondo tutte le leggi e secondo tutte le prescrizioni che vi si riferiscono”. E Mosè parlò ai figli d’Israele perché celebrassero la pasqua. Ed essi celebrarono la pasqua il quattordicesimo giorno del primo mese, sull’imbrunire, nel deserto del Sinai; i figli d’Israele si conformarono a tutti gli ordini che l’Eterno aveva dato a Mosè. Ora vi erano degli uomini che, essendo impuri per aver toccato un morto, non potevano celebrare la pasqua in quel giorno. Si presentarono in quello stesso giorno davanti a Mosè e davanti ad Aaronne; e quegli uomini dissero a Mosè: “Noi siamo impuri per aver toccato un morto; perché ci sarebbe impedito di poter presentare l’offerta dell’Eterno, al tempo stabilito, in mezzo ai figli d’Israele?”. E Mosè rispose loro: “Aspettate, e sentirò ciò che l’Eterno ordinerà a vostro riguardo”. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Se uno di voi o dei vostri discendenti sarà impuro per il contatto con un morto o sarà lontano in viaggio, celebrerà lo stesso la pasqua in onore dell’Eterno. La celebreranno il quattordicesimo giorno del secondo mese, al tramonto; la mangeranno con del pane senza lievito e con delle erbe amare; non ne lasceranno nulla di avanzo fino al mattino e non ne spezzeranno nessun osso. La celebreranno secondo tutte le leggi della pasqua. Ma colui che è puro e che non è in viaggio, se si astiene dal celebrare la pasqua, quel tale sarà eliminato dal suo popolo; siccome non ha presentato l’offerta all’Eterno nel tempo stabilito, quel tale porterà la pena del suo peccato. E se uno straniero che soggiorna tra voi celebra la pasqua dell’Eterno, si conformerà alle leggi e alle prescrizioni della pasqua. Avrete un’unica legge, per lo straniero e per il nativo del paese’”. Ora il giorno in cui il tabernacolo fu eretto, la nuvola coprì il tabernacolo, la tenda della testimonianza e, dalla sera fino alla mattina, appariva sul tabernacolo come un fuoco. Così avveniva sempre: la nuvola copriva il tabernacolo, e di notte appariva come un fuoco. E tutte le volte che la nuvola si alzava dalla tenda, i figli d’Israele si mettevano in cammino; e dove la nuvola si fermava, lì i figli d’Israele si accampavano. I figli d’Israele si mettevano in cammino all’ordine dell’Eterno, e all’ordine dell’Eterno si accampavano; rimanevano accampati tutto il tempo che la nuvola restava sul tabernacolo. E quando la nuvola rimaneva per molti giorni sul tabernacolo, i figli d’Israele osservavano la prescrizione dell’Eterno e non si muovevano. E se avveniva che la nuvola rimanesse pochi giorni sul tabernacolo, all’ordine dell’Eterno rimanevano accampati, e all’ordine dell’Eterno si mettevano in cammino. E se la nuvola si fermava dalla sera alla mattina, e si alzava la mattina, si mettevano in cammino; o se dopo un giorno e una notte la nuvola si alzava, si mettevano in cammino. Se la nuvola rimaneva ferma sul tabernacolo due giorni o un mese o un anno, i figli d’Israele rimanevano accampati e non si muovevano; ma, quando si alzava, si mettevano in cammino. All’ordine dell’Eterno si accampavano, e all’ordine dell’Eterno si mettevano in cammino; osservavano le prescrizioni dell’Eterno, secondo l’ordine trasmesso dall’Eterno per mezzo di Mosè. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Fatti due trombe d’argento; le farai d’argento battuto; ti serviranno per convocare la comunità e per far muovere gli accampamenti. Al loro suono tutta la comunità si raccoglierà presso di te, all’ingresso della tenda di convegno. Al suono di una tromba sola, i principi, i capi delle migliaia d’Israele, si raduneranno presso di te. Quando suonerete con squilli lunghi e forti, i campi che sono a levante si metteranno in cammino. Quando suonerete una seconda volta con squilli lunghi e forti, i campi che si trovano a mezzogiorno si metteranno in cammino; si suonerà con squilli lunghi e forti quando dovranno mettersi in cammino. Quando deve essere convocata la comunità, suonerete, ma non con squilli lunghi e forti. E i sacerdoti figli di Aaronne suoneranno le trombe; sarà una legge perenne per voi e per i vostri discendenti. Quando nel vostro paese andrete alla guerra contro il nemico che vi attaccherà, suonerete con squilli lunghi e forti con le trombe, e sarete ricordati davanti all’Eterno, al vostro Dio, e sarete liberati dai vostri nemici. Così pure nei vostri giorni di gioia, nelle vostre solennità e al principio dei vostri mesi, suonerete con le trombe quando offrirete i vostri olocausti e i vostri sacrifici di ringraziamento; ed esse vi faranno ricordare davanti al vostro Dio. Io sono l’Eterno, il vostro Dio”. Avvenne che, il secondo anno, il secondo mese, il ventesimo giorno del mese, la nuvola si alzò dal tabernacolo della testimonianza. E i figli d’Israele partirono dal deserto del Sinai, secondo l’ordine fissato per le loro marce; e la nuvola si fermò nel deserto di Paran. Così si misero in cammino la prima volta, secondo l’ordine dell’Eterno trasmesso per mezzo di Mosè. La bandiera del campo dei figli di Giuda, diviso secondo le loro schiere, si mosse per prima. Nason, figlio di Amminadab comandava l’esercito di Giuda. Netaneel, figlio di Suar, comandava l’esercito della tribù dei figli d’Issacar, ed Eliab, figlio di Chelon, comandava l’esercito della tribù dei figli di Zabulon. Il tabernacolo fu smontato, e i figli di Gherson e i figli di Merari si misero in cammino, portando il tabernacolo. Poi si mosse la bandiera del campo di Ruben, diviso secondo le sue schiere. Elisur, figlio di Sedeur, comandava l’esercito di Ruben. Selumiel, figlio di Surisaddai, comandava l’esercito della tribù dei figli di Simeone, ed Eliasaf, figlio di Deuel, comandava l’esercito della tribù dei figli di Gad. Poi si mossero i Cheatiti, portando gli oggetti sacri; quelli che avrebbero eretto il tabernacolo prima dell’arrivo degli altri. Poi si mosse la bandiera del campo dei figli di Efraim, diviso secondo le sue schiere. Elisama, figlio di Ammiud, comandava l’esercito di Efraim. Gamaliel, figlio di Pedasur, comandava l’esercito della tribù dei figli di Manasse, e Abidan, figlio di Ghideoni, comandava l’esercito della tribù dei figli di Beniamino. Poi si mosse la bandiera del campo dei figli di Dan, diviso secondo le sue schiere, formando la retroguardia di tutti i campi. Aiezer, figlio di Ammisaddai, comandava l’esercito di Dan. Paghiel, figlio di Ocran, comandava l’esercito della tribù dei figli di Ascer, e Aira, figlio di Enan, comandava l’esercito della tribù dei figli di Neftali. Questo era l’ordine in cui i figli d’Israele si misero in cammino, secondo le loro schiere. E così partirono. Mosè disse a Obab, figlio di Reuel, Madianita, suocero di Mosè: “Noi ci incamminiamo verso il luogo del quale l’Eterno ha detto: ‘Io ve lo darò’. Vieni con noi e ti faremo del bene, perché l’Eterno ha promesso di fare del bene a Israele”. Obab gli rispose: “Io non verrò, ma andrò al mio paese e dai miei parenti”. E Mosè disse: “Ti prego, non ci lasciare; poiché tu conosci i luoghi dove dovremo accamparci nel deserto, e sarai la nostra guida. E, se vieni con noi, qualunque bene l’Eterno farà a noi, noi lo faremo a te”. Così partirono dal monte dell’Eterno, e fecero tre giornate di cammino; e l’arca del patto dell’Eterno andava davanti a loro durante le tre giornate di cammino, per cercare loro un luogo di riposo. E la nuvola dell’Eterno era su loro, durante il giorno, quando partivano dal campo. Quando l’arca partiva, Mosè diceva: “Sorgi, o Eterno, e siano dispersi i tuoi nemici, e fuggano davanti alla tua presenza quelli che ti odiano!”. E quando si posava, diceva: “Torna, o Eterno, alle miriadi delle schiere d’Israele!”. Ora il popolo cominciò a mormorare e questo dispiacque all’Eterno; e come l’Eterno li udì, la sua ira si accese, il fuoco dell’Eterno divampò fra loro e divorò l’estremità del campo. E il popolo gridò a Mosè; Mosè pregò l’Eterno, e il fuoco si spense. E a quel luogo fu posto nome Tabera, perché il fuoco dell’Eterno era divampato fra loro. E l’accozzaglia di gente raccogliticcia che era tra il popolo, fu presa da concupiscenza; e anche i figli d’Israele ricominciarono a piagnucolare e a dire: “Chi ci darà da mangiare della carne? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto per nulla, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ma ora l’anima nostra è inaridita; non c’è più nulla! gli occhi nostri non vedono altro che questa manna”. Ora la manna era simile al seme di coriandolo e aveva l’aspetto della resina gommosa. Il popolo andava attorno a raccoglierla; poi la riduceva in farina con le macine o la pestava nel mortaio, la faceva cuocere in pentole o ne faceva delle focacce, e aveva il sapore di una focaccia con l’olio. Quando la rugiada cadeva sul campo, la notte, vi cadeva anche la manna. E Mosè udì il popolo che piagnucolava, in tutte le famiglie, ognuno all’ingresso della propria tenda; l’ira dell’Eterno si accese gravemente e la cosa dispiacque anche a Mosè. Allora Mosè disse all’Eterno: “Perché hai trattato così male il tuo servo? perché non ho trovato grazia agli occhi tuoi, che tu mi abbia messo addosso il carico di tutto questo popolo? L’ho forse concepito io tutto questo popolo? l’ho forse dato alla luce io, che tu mi dica: ‘Portalo sul tuo seno’, come la balia porta il bimbo lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? Dove prenderei io della carne da dare a tutto questo popolo? Poiché piagnucola dietro di me dicendo: ‘Dacci da mangiare della carne!’. Io non posso, da solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me. E se mi vuoi trattare così, uccidimi, ti prego; uccidimi, se ho trovato grazia agli occhi tuoi; e che io non veda la mia sventura!”. E l’Eterno disse a Mosè: “Radunami settanta uomini degli anziani d’Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come aventi autorità su di esso; conducili alla tenda di convegno e si presentino con te. Io scenderò e parlerò lì con te; prenderò dello spirito che è su te e lo metterò su loro, perché portino con te il carico del popolo, e tu non lo porti più da solo. Quindi dirai al popolo: ‘Santificatevi per domani, e mangerete della carne, poiché avete pianto agli orecchi dell’Eterno, dicendo: Chi ci farà mangiare della carne? Stavamo bene in Egitto! Ebbene, l’Eterno vi darà della carne, e voi ne mangerete. E ne mangerete, non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, ma per un mese intero, finché vi esca per le narici e vi provochi nausea, poiché avete respinto l’Eterno che è in mezzo a voi, e avete pianto davanti a lui, dicendo: Perché mai siamo usciti dall’Egitto?’”. E Mosè disse: “Questo popolo, in mezzo al quale mi trovo, conta seicentomila adulti, e tu hai detto: ‘Io darò loro della carne, e ne mangeranno per un mese intero!’. Si sgozzeranno per loro greggi e mandrie in modo che ne abbiano abbastanza? o si radunerà per loro tutto il pesce del mare in modo che ne abbiano abbastanza?”. E l’Eterno rispose a Mosè: “La mano dell’Eterno è forse accorciata? Ora vedrai se la parola che ti ho detto si adempirà o no”. Mosè dunque uscì e riferì al popolo le parole dell’Eterno; e radunò settanta uomini degli anziani del popolo, e li dispose intorno alla tenda. E l’Eterno scese nella nuvola e gli parlò; prese dello spirito che era su lui, e lo mise sui settanta anziani; e avvenne che, quando lo spirito si fu posato su loro, quelli profetizzarono, ma non continuarono. Intanto, due uomini, l’uno chiamato Eldad e l’altro Medad, erano rimasti nell’accampamento, e lo spirito si posò su loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda; e profetizzarono nell’accampamento. Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè, e disse: “Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento”. Allora Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè fin dalla sua giovinezza, prese a dire: “Mosè, signor mio, non glielo permettere!”. Ma Mosè gli rispose: “Sei tu geloso per me? Oh! fossero pur tutti profeti nel popolo dell’Eterno, e volesse l’Eterno mettere su di loro il suo Spirito!”. E Mosè si ritirò nell’accampamento, insieme con gli anziani d’Israele. E un vento si alzò, per ordine dell’Eterno, e portò delle quaglie dalla parte del mare, e le fece cadere presso l’accampamento, sulla distesa di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall’altro intorno al campo, e a un’altezza di circa due cubiti sulla superficie del suolo. E il popolo si alzò, e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno seguente raccolse le quaglie. Chi ne raccolse meno ne ebbe dieci omer; e se le distesero tutto intorno al campo. Ne avevano ancora la carne fra i denti e non l’avevano neppure masticata, quando l’ira dell’Eterno si accese contro il popolo, e l’Eterno percosse il popolo con una gravissima piaga. E a quel luogo fu dato il nome di Chibrot-Attaava, perché vi si seppellì la gente che era stata presa dalla concupiscenza. Da Chibrot-Attaava il popolo partì per Aserot, e ad Aserot si fermò. Miriam e Aaronne parlarono contro Mosè a causa della moglie Cusita che aveva preso; poiché aveva sposato una Cusita. E dissero: “L’Eterno ha parlato soltanto per mezzo di Mosè? non ha parlato anche per mezzo nostro?”. E l’Eterno l’udì. Ora Mosè era un uomo molto mansueto, più di ogni altro uomo sulla faccia della terra. L’Eterno disse a un tratto a Mosè, ad Aaronne e a Miriam: “Uscite voi tre, e andate alla tenda di convegno”. E uscirono tutti e tre. E l’Eterno scese in una colonna di nuvola, si fermò all’ingresso della tenda, e chiamò Aaronne e Miriam; entrambi si fecero avanti. E l’Eterno disse: “Ascoltate ora le mie parole; se c’è tra voi qualche profeta, io, l’Eterno, mi faccio conoscere a lui in visione, parlo con lui in sogno. Non così con il mio servitore Mosè, che è fedele in tutta la mia casa. Con lui io parlo a tu per tu, facendomi vedere, e non per via di enigmi; egli contempla la sembianza dell’Eterno. Perché dunque non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?”. E l’ira dell’Eterno si accese contro loro, ed egli se ne andò, e la nuvola si ritirò dalla tenda; ed ecco che Miriam era lebbrosa, bianca come neve; Aaronne guardò Miriam, ed ecco era lebbrosa. E Aaronne disse a Mosè: “Ti prego, signor mio, non farci portare la pena di un peccato che abbiamo stoltamente commesso, e di cui siamo colpevoli. Ti prego, che lei non sia come il bimbo nato morto, la cui carne è già mezzo consumata quando esce dal grembo materno!”. E Mosè gridò all’Eterno, dicendo: “Guariscila, o Dio, te ne prego!”. E l’Eterno rispose a Mosè: “Se suo padre le avesse sputato in viso, non ne porterebbe lei la vergogna per sette giorni? Stia dunque rinchiusa fuori dall’accampamento sette giorni; poi, vi sarà di nuovo ammessa”. Miriam dunque fu rinchiusa fuori dall’accampamento sette giorni; e il popolo non si mise in cammino finché Miriam non fu riammessa al campo. Poi il popolo partì da Aserot, e si accampò nel deserto di Paran. L’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Manda degli uomini a esplorare il paese di Canaan che io do ai figli d’Israele. Mandate un uomo per ogni tribù dei loro padri; siano tutti dei loro principi”. E Mosè li mandò dal deserto di Paran, secondo l’ordine dell’Eterno; quegli uomini erano tutti capi dei figli d’Israele. E questi erano i loro nomi: Per la tribù di Ruben: Sammua, figlio di Zaccur; per la tribù di Simeone: Safat, figlio di Cori; per la tribù di Giuda: Caleb, figlio di Gefunne; per la tribù di Issacar: Igal, figlio di Giuseppe; per la tribù di Efraim: Osea, figlio di Nun; per la tribù di Beniamino: Palti, figlio di Rafu; per la tribù di Zabulon: Gaddiel, figlio di Sodi; per la tribù di Giuseppe, cioè, per la tribù di Manasse: Gaddi figlio di Susi; per la tribù di Dan: Ammiel, figlio di Ghemalli; per la tribù di Ascer: Setur, figlio di Micael; per la tribù di Neftali: Nabi, figlio di Vofsi; per la tribù di Gad: Gheual, figlio di Machi. Tali i nomi degli uomini che Mosè mandò a esplorare il paese. E Mosè diede a Osea, figlio di Nun, il nome di Giosuè. Mosè dunque li mandò a esplorare il paese di Canaan, e disse loro: “Andate su di qua per il mezzogiorno; poi salirete sui monti, e vedrete che paese è, che popolo lo abita, se forte o debole, se poco o molto numeroso; come è il paese che abita, se buono o cattivo, e come sono le città dove abita, se sono degli accampamenti o dei luoghi fortificati; e come è il terreno, se grasso o magro, se ci sono alberi o no. Abbiate coraggio, e portate dei frutti del paese”. Era il tempo che cominciava a maturare l’uva. Quelli dunque salirono ed esplorarono il paese dal deserto di Sin fino a Reob, sulla via di Amat. Salirono per il mezzogiorno e andarono fino a Ebron, dove erano Aiman, Sesai e Talmai, figli di Anac. Ebron era stata costruita sette anni prima di Soan in Egitto. E giunsero fino alla valle d’Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche delle melagrane e dei fichi. Quel luogo fu chiamato valle d’Escol a motivo del grappolo d’uva che i figli d’Israele vi tagliarono. E alla fine di quaranta giorni tornarono dall’esplorazione del paese, e andarono a trovare Mosè e Aaronne e tutta la comunità dei figli d’Israele nel deserto di Paran, a Cades; riferirono ogni cosa a loro e a tutta la comunità, e mostrarono loro i frutti del paese. E fecero il loro racconto, dicendo: “Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ed ecco dei suoi frutti. Soltanto, il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e grandissime, e abbiamo anche visto dei figli di Anac. Gli Amalechiti abitano la parte meridionale del paese; gli Ittiti, i Gebusei e gli Amorei, la regione montuosa; e i Cananei abitano presso il mare e lungo il Giordano”. E Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè, e disse: “Saliamo pure e conquistiamo il paese; poiché possiamo riuscirci benissimo”. Ma gli uomini che erano andati con lui, dissero: “Noi non siamo capaci di salire contro questo popolo; perché è più forte di noi”. E screditarono presso i figli d’Israele il paese che avevano esplorato, dicendo: “Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo, è un paese che divora i suoi abitanti; e tutta la gente che abbiamo visto, è gente di alta statura; e abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere delle cavallette; e tali sembravamo a loro”. Allora tutta la comunità alzò la voce e diede in alte grida; e il popolo pianse tutta quella notte. E tutti i figli d’Israele mormorarono contro Mosè e contro Aaronne, e tutta la comunità disse loro: “Fossimo pur morti nel paese d’Egitto! o fossimo pur morti in questo deserto! Perché l’Eterno ci conduce in quel paese dove cadremo per la spada? Le nostre mogli e i nostri bambini saranno preda del nemico. Non sarebbe meglio per noi tornare in Egitto?”. E si dissero l’un l’altro: “Nominiamoci un capo, e torniamo in Egitto!”. Allora Mosè e Aaronne si prostrarono a terra davanti a tutta l’assemblea riunita dei figli d’Israele. E Giosuè, figlio di Nun, e Caleb, figlio di Gefunne, che erano tra quelli che avevano esplorato il paese, si stracciarono le vesti, e parlarono così a tutta la comunità dei figli d’Israele: “Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo, è un paese buono, buonissimo. Se l’Eterno ci è favorevole, ci introdurrà in quel paese, e ce lo darà: è un paese dove scorre il latte e il miele. Soltanto, non vi ribellate all’Eterno, e non abbiate paura del popolo di quel paese; poiché ne faremo nostro pascolo; l’ombra che li proteggeva si è ritirata, e l’Eterno è con noi; non abbiate paura di loro”. Allora tutta la comunità parlò di lapidarli; ma la gloria dell’Eterno apparve sulla tenda di convegno a tutti i figli d’Israele. E l’Eterno disse a Mosè: “Fino a quando questo popolo mi disprezzerà? e fino a quando non avranno fede in me dopo tutti i miracoli che ho fatto in mezzo a loro? Io lo colpirò con la peste, e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più potente di lui”. Allora Mosè disse all’Eterno: “Ma lo udranno gli Egiziani, di mezzo ai quali tu hai fatto salire questo popolo per la tua potenza, e la cosa sarà risaputa dagli abitanti di questo paese. Essi hanno udito che tu, o Eterno, sei in mezzo a questo popolo, che gli appari faccia a faccia, che la tua nuvola si ferma sopra loro, e che cammini davanti a loro il giorno in una colonna di nuvola, e la notte in una colonna di fuoco; ora, se fai perire questo popolo come un sol uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno: ‘Siccome l’Eterno non è stato capace di far entrare questo popolo nel paese che aveva giurato di dargli, li ha uccisi nel deserto’. E ora si mostri, ti prego, la potenza del Signore nella sua grandezza, come tu hai promesso dicendo: ‘L’Eterno è lento all’ira e grande in benignità; egli perdona l’iniquità e il peccato, ma non lascia impunito il colpevole, e punisce l’iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e alla quarta generazione’. Ti prego, perdona l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua benignità, nel modo che hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui”. E l’Eterno disse: “Io perdono, come tu hai chiesto; ma, come è vero che io vivo, tutta la terra sarà ripiena della gloria dell’Eterno, e tutti quegli uomini che hanno visto la mia gloria e i miracoli che ho fatto in Egitto e nel deserto, e nonostante ciò mi hanno tentato già dieci volte e non hanno ubbidito alla mia voce, certo non vedranno il paese che promisi con giuramento ai loro padri. Nessuno di quelli che mi hanno disprezzato lo vedrà; ma il mio servo Caleb, siccome è stato animato da un altro spirito e mi ha seguito pienamente, io lo introdurrò nel paese nel quale è andato; e la sua progenie lo possederà. Ora gli Amalechiti e i Cananei abitano nella valle; domani tornate indietro, incamminatevi verso il deserto, in direzione del Mar Rosso”. L’Eterno parlò ancora a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Fino a quando sopporterò questa comunità malvagia che mormora contro di me? Io ho udito i mormorii che i figli d’Israele fanno contro di me. Di’ loro: ‘Com’è vero che io vivo, dice l’Eterno, io vi farò quello che ho sentito dire da voi. I vostri cadaveri cadranno in questo deserto; e voi tutti, quanti siete, di cui si è fatto il censimento, dall’età di vent’anni in su, e che avete mormorato contro di me, non entrerete di certo nel paese nel quale giurai di farvi abitare; salvo Caleb, figlio di Gefunne, e Giosuè, figlio di Nun. I vostri bambini, che avete detto sarebbero preda dei nemici, quelli farò entrare; ed essi conosceranno il paese che voi avete disprezzato. Ma quanto a voi, i vostri cadaveri cadranno in questo deserto. E i vostri figli andranno a pascolare le greggi nel deserto per quarant’anni e porteranno la pena delle vostre infedeltà, finché i vostri cadaveri non siano consunti nel deserto. Come avete impiegato quaranta giorni a esplorare il paese, porterete la pena delle vostre iniquità quarant’anni; un anno per ogni giorno; e saprete che cosa sia incorrere nella mia disgrazia’. Io, l’Eterno, ho parlato; certo, così farò a tutta questa comunità malvagia, la quale si è messa assieme contro di me; in questo deserto saranno consunti; lì morranno”. E gli uomini che Mosè aveva mandato a esplorare il paese e che, tornati, avevano fatto mormorare tutta la comunità contro di lui screditando il paese, quegli uomini, dico, che avevano screditato il paese, morirono colpiti da una piaga, davanti all’Eterno. Ma Giosuè, figlio di Nun, e Caleb, figlio di Gefunne, rimasero vivi fra quelli che erano andati a esplorare il paese. Ora Mosè riferì quelle parole a tutti i figli d’Israele; e il popolo fece gran cordoglio. E la mattina si alzarono di buon’ora e salirono sulla cima del monte, dicendo: “Eccoci qua; noi saliremo al luogo di cui ha parlato l’Eterno, poiché abbiamo peccato”. Ma Mosè disse: “Perché trasgredite l’ordine dell’Eterno? La cosa non andrà bene. Non salite, perché l’Eterno non è in mezzo a voi; affinché non siate sconfitti dai vostri nemici! Poiché là, di fronte a voi, stanno gli Amalechiti e i Cananei, e voi cadrete per la spada; perché vi siete sviati dall’Eterno, l’Eterno non sarà con voi”. Tuttavia, si ostinarono a salire sulla cima del monte; ma l’arca del patto dell’Eterno e Mosè non si mossero di mezzo al campo. Allora gli Amalechiti e i Cananei che abitavano su quel monte scesero giù, li batterono, e li fecero a pezzi fino a Corma. Poi l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Quando sarete entrati nel paese che dovrete abitare e che io vi do, e offrirete all’Eterno un sacrificio fatto mediante il fuoco, olocausto o sacrificio, per adempimento di un voto o come offerta volontaria, o nelle vostre feste solenni, per fare un profumo soave all’Eterno con il vostro grosso o piccolo bestiame, colui che presenterà la sua offerta all’Eterno, offrirà come oblazione un decimo di efa di fior di farina intrisa con un quarto di hin d’olio, e farai una libazione di un quarto di hin di vino con l’olocausto o il sacrificio, per ogni agnello. Se è per un montone, offrirai come oblazione due decimi di efa di fior di farina intrisa con un terzo di hin d’olio, e farai una libazione di un terzo di hin di vino come offerta di odore soave all’Eterno. Se offri un giovenco come olocausto o come sacrificio, per adempimento di un voto o come sacrificio di ringraziamento all’Eterno, si offrirà, con il giovenco, come oblazione, tre decimi di efa di fior di farina intrisa con la metà di un hin d’olio, e farai una libazione di un mezzo hin di vino: è un sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno. Così si farà per ogni bue, per ogni montone, per ogni agnello o capretto. Qualunque sia il numero degli animali che immolerete, farete così per ciascuna vittima. Tutti quelli che sono nativi del paese faranno le cose così, quando offriranno un sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno. E se uno straniero che soggiorna da voi, o chiunque dimori fra voi nel futuro, offre un sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno, farà come fate voi. Vi sarà una sola legge per tutta l’assemblea, per voi e per lo straniero che soggiorna fra voi; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; come siete voi, così sarà lo straniero davanti all’Eterno. Ci sarà una stessa legge e uno stesso diritto per voi e per lo straniero che soggiorna da voi’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Quando sarete arrivati nel paese dove io vi conduco, e mangerete del pane di quel paese, ne preleverete un’offerta da presentare all’Eterno. Delle primizie della vostra pasta metterete da parte una focaccia come offerta; la metterete da parte, come si mette da parte l’offerta dell’aia. Delle primizie della vostra pasta darete all’Eterno una parte come offerta, di generazione in generazione. Quando inavvertitamente non avrete osservato tutti questi comandamenti che l’Eterno ha dati a Mosè, tutto quello che l’Eterno vi ha comandato per mezzo di Mosè, dal giorno che l’Eterno vi ha dato dei comandamenti e in seguito, nelle vostre successive generazioni, se il peccato è stato commesso per errore, senza che la comunità se ne sia accorta, tutta la comunità offrirà un giovenco come olocausto di odore soave all’Eterno, con la sua oblazione e la sua libazione secondo le norme stabilite, e un capro come sacrificio per il peccato. Il sacerdote farà l’espiazione per tutta la comunità dei figli d’Israele, e sarà loro perdonato, perché è stato un peccato commesso per errore, ed essi hanno portato la loro offerta, un sacrificio fatto all’Eterno mediante il fuoco, e il loro sacrificio per il peccato davanti all’Eterno, a causa del loro errore. Sarà perdonato a tutta la comunità dei figli d’Israele e allo straniero che soggiorna in mezzo a loro, perché tutto il popolo ha peccato per errore. Se è una persona sola che pecca per errore, offra una capra di un anno come sacrificio per il peccato. E il sacerdote farà l’espiazione davanti all’Eterno per la persona che avrà mancato commettendo un peccato per errore; e quando avrà fatta l’espiazione per essa, le sarà perdonato. Sia che si tratti di un nativo del paese tra i figli d’Israele sia di uno straniero che soggiorna fra voi, avrete un’unica legge per colui che pecca per errore. Ma la persona che agisce con proposito deliberato, sia nativo del paese o straniero, oltraggia l’Eterno; quella persona sarà eliminata dal suo popolo. Siccome ha sprezzato la parola dell’Eterno e ha violato il suo comandamento, quella persona dovrà essere sterminata; porterà il peso della sua iniquità’”. Mentre i figli d’Israele erano nel deserto, trovarono un uomo che raccoglieva della legna in giorno di sabato. Quelli che l’avevano trovato a raccogliere le legna lo portarono da Mosè, ad Aaronne e a tutta la comunità. E lo misero in prigione, perché non era ancora stato stabilito che cosa gli si dovesse fare. E l’Eterno disse a Mosè: “Quell’uomo deve essere messo a morte; tutta la comunità lo lapiderà fuori dall’accampamento”. Tutta la comunità lo condusse fuori dall’accampamento e lo lapidò; e quello morì, secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato a Mosè. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro che si facciano, di generazione in generazione, delle nappe agli angoli delle loro vesti, e che mettano alla nappa di ogni angolo un cordone violetto. Sarà questa una nappa di ornamento, e quando la guarderete, vi ricorderete di tutti i comandamenti dell’Eterno per metterli in pratica; e non andrete vagando dietro ai desideri del vostro cuore e dei vostri occhi che vi trascinano alla infedeltà. Così vi ricorderete di tutti i miei comandamenti, li metterete in pratica, e sarete santi al vostro Dio. Io sono l’Eterno, il vostro Dio, che vi ho tratti fuori dal paese d’Egitto per essere vostro Dio. Io sono l’Eterno, il vostro Dio”. Core, figlio di Isar, figlio di Cheat, figlio di Levi, insieme con Datan e Abiram figlio di Eliab, e On, figlio di Pelet, tutti e tre figli di Ruben, presero altra gente e si alzarono in presenza di Mosè, con duecentocinquanta uomini dei figli d’Israele, capi della comunità, membri del consiglio, uomini stimati; si radunarono contro Mosè e contro Aaronne, dicendo loro: “Basta! Tutta la comunità, tutti, dal primo all’ultimo, sono santi, e l’Eterno è in mezzo a loro; perché dunque vi innalzate voi sopra l’assemblea dell’Eterno?”. Quando Mosè ebbe udito questo, si prostrò con la faccia a terra; poi parlò a Core e a tutta la gente che era con lui, dicendo: “Domattina l’Eterno farà conoscere chi è suo e chi è santo, e se lo farà avvicinare: farà avvicinare a sé colui che egli avrà scelto. Fate questo: prendete dei turiboli, tu, Core, e tutta la gente che è con te; e domani riempiteli con il fuoco, e copriteli con l’incenso davanti all’Eterno; e colui che l’Eterno avrà scelto sarà santo. Basta, figli di Levi!”. Mosè disse inoltre a Core: “Ora ascoltate, o figli di Levi! È poco per voi che l’Iddio d’Israele vi abbia appartati dalla comunità d’Israele e vi abbia fatto accostare a sé per fare il servizio del tabernacolo dell’Eterno e per tenervi davanti alla comunità per esercitare il vostro ministerio per lei? Egli vi fa accostare a sé, te e tutti i tuoi fratelli figli di Levi con te, e cercate anche il sacerdozio? E per questo tu e tutta la gente che è con te vi siete radunati contro l’Eterno! poiché chi è Aaronne che vi mettiate a mormorare contro di lui?”. E Mosè mandò a chiamare Datan e Abiram, figli di Eliab; ma essi dissero: “Noi non saliremo. È poco per te averci fatto uscire da un paese dove scorre il latte e il miele, per farci morire nel deserto, che tu voglia anche fare da principe, sì, da principe su di noi? E poi, non ci hai davvero condotti in un paese dove scorre il latte e il miele, e non ci hai dato proprietà di campi e di vigne! Credi tu di potere rendere cieca questa gente? Noi non saliremo”. Allora Mosè si adirò molto e disse all’Eterno: “Non gradire la loro oblazione; io non ho preso da costoro neppure un asino, e non ho fatto torto a nessuno di loro”. Poi Mosè disse a Core: “Tu e tutta la tua gente trovatevi domani davanti all’Eterno: tu e loro, con Aaronne; e ciascuno di voi prenda il suo turibolo, vi metta dell’incenso, e porti ciascuno il suo turibolo davanti all’Eterno: saranno duecentocinquanta turiboli. Anche tu e Aaronne prenderete ciascuno il vostro turibolo”. Essi dunque presero ciascuno il proprio turibolo, vi misero del fuoco, e vi posero su dell’incenso, e si fermarono all’ingresso della tenda di convegno; lo stesso fecero Mosè e Aaronne. Allora Core convocò tutta la comunità contro Mosè e Aaronne all’ingresso della tenda di convegno; e la gloria dell’Eterno apparve a tutta la comunità. E l’Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Separatevi da questa gente, e io li consumerò in un attimo”. Ma essi, si prostrarono con la faccia a terra e dissero: “O Dio, Dio degli spiriti di ogni carne! Un uomo solo ha peccato, e tu ti adireresti contro tutta la comunità?”. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Parla alla comunità e dille: ‘Allontanatevi dalla dimora di Core, di Datan e di Abiram’”. Mosè si alzò e andò da Datan e da Abiram; e gli anziani d’Israele lo seguirono. Ed egli parlò alla comunità, dicendo: “Allontanatevi dalle tende di questi uomini malvagi, e non toccate nulla di ciò che appartiene a loro, affinché non moriate a causa di tutti i loro peccati”. Così quelli si allontanarono dalla dimora di Core, di Datan e di Abiram. Datan e Abiram uscirono, e si fermarono all’ingresso delle loro tende con le loro mogli, i loro figli e i loro bambini. E Mosè disse: “Da questo conoscerete che l’Eterno mi ha mandato per fare tutte queste cose, e che io non le ho fatte di testa mia. Se questa gente muore come muoiono tutti gli uomini, se la loro sorte è la sorte comune a tutti gli uomini, l’Eterno non mi ha mandato; ma se l’Eterno fa una cosa nuova, se la terra apre la sua bocca e li ingoia con tutto quello che appartiene loro e se essi scendono vivi nel soggiorno dei morti, allora riconoscerete che questi uomini hanno disprezzato l’Eterno”. E avvenne, appena ebbe finito di proferire tutte queste parole, che il suolo si spaccò sotto i piedi di quelli, la terra spalancò la sua bocca e li ingoiò: essi e le loro famiglie, con tutta la gente che apparteneva a Core, e tutta la loro roba. E scesero vivi nel soggiorno dei morti; la terra si richiuse su loro, ed essi scomparvero di mezzo all’assemblea. Tutto Israele che era attorno ad essi fuggì alle loro grida; perché dicevano: “Che la terra non ingoi pure noi!”. E un fuoco uscì dalla presenza dell’Eterno e divorò i duecentocinquanta uomini che offrivano il profumo. Poi l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Di’ a Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, di trarre fuori dall’incendio i turiboli e di disperdere qua e là il fuoco, perché quelli sono sacri; e dei turiboli di quegli uomini che hanno peccato al prezzo della loro vita si facciano tante lamine battute per rivestirne l’altare, poiché sono stati presentati davanti all’Eterno e quindi sono sacri; e serviranno di segno ai figli d’Israele”. E il sacerdote Eleazar prese i turiboli di bronzo presentati dagli uomini che erano stati arsi; e furono ridotti in lamine per rivestirne l’altare, affinché servissero di ricordo ai figli d’Israele, e nessun estraneo che non sia della progenie di Aaronne si accosti per ardere il profumo davanti all’Eterno e abbia la sorte di Core e di quelli che erano con lui. Eleazar fece come l’Eterno gli aveva detto per mezzo di Mosè. Il giorno seguente, tutta la comunità dei figli d’Israele mormorò contro Mosè e Aaronne dicendo: “Voi avete fatto morire il popolo dell’Eterno”. E avvenne che, mentre la comunità si faceva numerosa contro Mosè e contro Aaronne, i figli d’Israele si volsero verso la tenda di convegno; ed ecco che la nuvola la ricoprì, e apparve la gloria dell’Eterno. Mosè e Aaronne vennero davanti alla tenda di convegno. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Allontanatevi da questa comunità, e io li consumerò in un attimo”. Ed essi si prostrarono con la faccia a terra. E Mosè disse ad Aaronne: “Prendi il turibolo, riempilo di fuoco presso l’altare, mettici su dell’incenso, e portalo presto in mezzo alla comunità e fa’ espiazione per essi; poiché l’ira dell’Eterno è scoppiata, la piaga è già cominciata”. E Aaronne prese il turibolo, come Mosè aveva detto; corse in mezzo all’assemblea, ed ecco che la piaga era già cominciata fra il popolo; mise l’incenso nel turibolo e fece l’espiazione per il popolo. E si fermò tra i morti e i vivi, e la piaga fu arrestata. Quelli che morirono di quella piaga furono quattordicimilasettecento, oltre a quelli che morirono per il fatto di Core. Aaronne tornò a Mosè all’ingresso della tenda di convegno e la piaga fu arrestata. Poi l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e fatti dare da loro delle verghe: una per ogni casa dei loro padri: cioè, dodici verghe da parte di tutti i loro principi secondo le case dei loro padri; scriverai il nome di ognuno sulla sua verga; e scriverai il nome di Aaronne sulla verga di Levi; poiché ci sarà una verga per ogni capo delle case dei loro padri. E riporrai quelle verghe nella tenda di convegno, davanti alla testimonianza, dove io mi ritrovo con voi. Avverrà che l’uomo che io avrò scelto sarà quello la cui verga fiorirà; e farò cessare davanti a me i mormorii che i figli d’Israele fanno contro di voi”. E Mosè parlò ai figli d’Israele, e tutti i loro principi gli diedero una verga per uno, secondo le case dei loro padri: cioè, dodici verghe; e la verga di Aaronne era in mezzo alle loro verghe. E Mosè ripose quelle verghe davanti all’Eterno nella tenda della testimonianza. E avvenne, l’indomani, che Mosè entrò nella tenda della testimonianza; ed ecco che la verga di Aaronne per la casa di Levi era fiorita, aveva prodotto dei germogli, fatto sbocciare dei fiori e maturato delle mandorle. Allora Mosè tolse tutte le verghe dalla presenza dell’Eterno e le portò a tutti i figli d’Israele; ed essi le videro e presero ciascuno la propria verga. Allora l’Eterno disse a Mosè: “Riporta la verga di Aaronne davanti alla testimonianza, perché sia conservata come un segno ai ribelli; affinché sia messo fine ai loro mormorii contro di me, ed essi non muoiano”. Mosè fece così; fece come l’Eterno gli aveva comandato. E i figli d’Israele dissero a Mosè: “Ecco, periamo! siamo perduti! siamo tutti perduti! Chiunque si accosta, chiunque si accosta al tabernacolo dell’Eterno, muore; dovremo perire tutti quanti?”. L’Eterno disse ad Aaronne: “Tu, i tuoi figli e la casa di tuo padre con te porterete il peso delle iniquità commesse nel santuario; e tu e i tuoi figli porterete il peso delle iniquità commesse nell’esercizio del vostro sacerdozio. Farai accostare a te anche i tuoi fratelli, la tribù di Levi, la tribù di tuo padre, affinché ti siano aggiunti e ti servano quando tu e i tuoi figli con te sarete davanti alla tenda della testimonianza. Essi faranno il servizio sotto i tuoi ordini in tutto quello che concerne la tenda; soltanto non si accosteranno agli utensili del santuario né all’altare affinché non moriate voi e loro. Essi ti saranno dunque aggiunti, e faranno il servizio della tenda di convegno in tutto ciò che la concerne, e nessun estraneo si accosterà a voi. Voi farete il servizio del santuario e dell’altare affinché non vi sia più ira contro i figli d’Israele. Quanto a me, ecco, io ho preso i vostri fratelli, i Leviti, di mezzo ai figli d’Israele; dati all’Eterno, essi sono dati in dono a voi per fare il servizio della tenda di convegno. E tu e i tuoi figli con te eserciterete il vostro sacerdozio in tutto ciò che concerne l’altare e ciò che è di là dal velo; e farete il vostro servizio. Io vi do l’esercizio del sacerdozio come un dono; l’estraneo che si accosterà sarà messo a morte”. L’Eterno disse ancora ad Aaronne: “Ecco, di tutte le cose consacrate dai figli d’Israele io ti do quelle che mi sono offerte per elevazione: io te le do, a te e ai tuoi figli, come diritto di unzione, per legge perenne. Questo ti apparterrà fra le cose santissime non consumate dal fuoco: tutte le loro offerte, vale a dire ogni oblazione, ogni sacrificio per il peccato e ogni sacrificio per la colpa che mi presenteranno; sono tutte cose santissime che apparterranno a te e ai tuoi figli. Le mangerai in luogo santissimo; ne mangerà ogni maschio; saranno cose sante per te. Questo ancora ti apparterrà: i doni che i figli d’Israele presenteranno per elevazione, e tutte le loro offerte agitate; io le do a te, ai tuoi figli e alle tue figlie con te, per legge perenne. Chiunque sarà puro in casa tua ne potrà mangiare. Ti do pure tutte le primizie che essi offriranno all’Eterno: il meglio dell’olio e il meglio del mosto e del grano. Le primizie di tutto ciò che produrrà la loro terra e che essi presenteranno all’Eterno saranno tue. Chiunque sarà puro in casa tua ne potrà mangiare. Tutto ciò che sarà consacrato per voto di interdetto in Israele sarà tuo. Ogni primogenito di ogni carne che essi offriranno all’Eterno, così degli uomini come degli animali, sarà tuo; però, farai riscattare il primogenito dell’uomo, e farai anche riscattare il primogenito di un animale impuro. E quanto al riscatto, li farai riscattare dall’età di un mese, secondo la tua stima, per cinque sicli d’argento, a siclo di santuario, che è di venti ghere. Ma non farai riscattare il primogenito della vacca né il primogenito della pecora né il primogenito della capra; sono cosa sacra; spanderai il loro sangue sull’altare, e farai bruciare il loro grasso come sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno. La loro carne sarà tua; sarà tua come il petto dell’offerta agitata e come la coscia destra. Io do a te, ai tuoi figli e alle tue figlie con te, per legge perenne, tutte le offerte di cose sante che i figli d’Israele presenteranno all’Eterno per elevazione. È un patto inalterabile, perenne, davanti all’Eterno, per te e per la tua progenie con te”. L’Eterno disse ancora ad Aaronne: “Tu non avrai nessun possesso nel loro paese, e non ci sarà parte per te in mezzo a loro; io sono la tua parte e la tua eredità in mezzo ai figli d’Israele. E ai figli di Levi io do come eredità tutte le decime in Israele in cambio del servizio che fanno, il servizio della tenda di convegno. E i figli d’Israele non si accosteranno più alla tenda di convegno, per non caricarsi di un peccato che li trascinerebbe alla morte. Ma il servizio della tenda di convegno lo faranno soltanto i Leviti; ed essi porteranno il peso delle proprie iniquità; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; e non possederanno nulla tra i figli d’Israele; poiché io do come possesso ai Leviti le decime che i figli d’Israele presenteranno all’Eterno come offerta elevata; per questo dico di loro: ‘Non possederanno nulla tra i figli d’Israele’”. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Parlerai inoltre ai Leviti e dirai loro: ‘Quando riceverete dai figli d’Israele le decime che io vi do per conto loro come vostro possesso, ne metterete da parte un’offerta da fare all’Eterno: una decima della decima; e l’offerta che avrete prelevata vi sarà contata come il grano che viene dall’aia e come il mosto che esce dallo strettoio. Così anche voi metterete da parte un’offerta per l’Eterno da tutte le decime che riceverete dai figli d’Israele, e darete al sacerdote Aaronne l’offerta che avrete messo da parte per l’Eterno. Da tutte le cose che vi saranno donate metterete da parte tutte le offerte per l’Eterno; di tutto ciò che vi sarà di meglio metterete da parte quel tanto che è da consacrare’. E dirai loro: ‘Quando ne avrete messo da parte il meglio, quello che rimane sarà contato ai Leviti come il prodotto dell’aia e come il prodotto dello strettoio. E lo potrete mangiare in qualunque luogo, voi e le vostre famiglie, perché è il vostro salario, in cambio del vostro servizio nella tenda di convegno. E così non vi caricherete di nessun peccato, poiché ne avrete messo da parte il meglio; e non profanerete le cose sante dei figli d’Israele, e non morirete’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè e ad Aaronne, dicendo: “Questo è l’ordine della legge che l’Eterno ha prescritto dicendo: ‘Di’ ai figli d’Israele che ti portino una giovenca rossa, senza macchia, senza difetti, e che non abbia mai portato il giogo. E la darete al sacerdote Eleazar, che la condurrà fuori dall’accampamento e la farà sgozzare in sua presenza. Il sacerdote Eleazar prenderà con il dito del sangue della giovenca e ne farà sette volte l’aspersione dal lato dell’ingresso della tenda di convegno; poi si brucerà la giovenca sotto i suoi occhi; se ne brucerà la pelle, la carne e il sangue con i suoi escrementi. Il sacerdote prenderà quindi del legno di cedro, dell’issopo, della stoffa scarlatta, e getterà tutto in mezzo al fuoco che consuma la giovenca. Poi il sacerdote si laverà le vesti e il corpo nell’acqua; dopo di che rientrerà nell’accampamento, e il sacerdote sarà impuro fino alla sera. E colui che avrà bruciato la giovenca si laverà le vesti nell’acqua, farà un lavaggio del corpo nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera. Un uomo puro raccoglierà le ceneri della giovenca e le depositerà fuori dall’accampamento in luogo puro, dove saranno conservate per la comunità dei figli d’Israele come acqua di purificazione: è un sacrificio per il peccato. E colui che avrà raccolto le ceneri della giovenca si laverà le vesti e sarà impuro fino alla sera. E questa sarà una legge perenne per i figli d’Israele e per lo straniero che soggiornerà da loro: chi avrà toccato il cadavere di una persona umana sarà impuro sette giorni. Quando uno si sarà purificato con quell’acqua il terzo e il settimo giorno, sarà puro; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà puro. Chiunque avrà toccato un morto, il corpo di una persona umana che sia morta e non si sarà purificato, avrà contaminato la dimora dell’Eterno; e quel tale sarà tolto di mezzo da Israele. Siccome l’acqua di purificazione non è stata spruzzata su lui, egli è impuro; ha ancora addosso la sua impurità. Questa è la legge: Quando un uomo sarà morto in una tenda, chiunque entrerà nella tenda e chiunque sarà nella tenda sarà impuro sette giorni. E ogni vaso scoperto sul quale non sia attaccato un coperchio, sarà impuro. E chiunque, per i campi, avrà toccato un uomo ucciso per la spada o morto da sé, o un osso d’uomo, o un sepolcro, sarà impuro sette giorni. E per colui che sarà divenuto impuro si prenderà della cenere della vittima arsa per il peccato, e vi si verserà su dell’acqua viva, in un vaso: poi un uomo puro prenderà dell’issopo, lo intingerà nell’acqua, e ne spruzzerà la tenda, tutti gli utensili e tutte le persone che sono lì, e colui che ha toccato l’osso o l’ucciso o il morto da sé o il sepolcro. L’uomo puro spruzzerà l’impuro il terzo giorno e il settimo giorno, e lo purificherà il settimo giorno; poi colui che è stato immondo si laverà le vesti, laverà sé stesso nell’acqua, e sarà puro la sera. Ma colui che, divenuto impuro, non si purificherà, sarà tolto di mezzo dalla comunità, perché ha contaminato il santuario dell’Eterno; l’acqua della purificazione non è stata spruzzata su di lui; è impuro. Sarà per loro una legge perenne: Colui che avrà spruzzato l’acqua di purificazione si laverà le vesti; e chi avrà toccato l’acqua di purificazione sarà impuro fino alla sera. E tutto quello che l’impuro avrà toccato sarà impuro; e la persona che avrà toccato lui sarà impura fino alla sera’”. Ora tutta la comunità dei figli d’Israele arrivò al deserto di Sin il primo mese, e il popolo si fermò a Cades. Là morì e fu sepolta Miriam. E mancava l’acqua per la comunità; così ci fu un assembramento contro Mosè e contro Aaronne. E il popolo contese con Mosè, dicendo: “Fossimo pur morti quando morirono i nostri fratelli davanti all’Eterno! E perché avete condotto l’assemblea dell’Eterno in questo deserto per morire qui noi e il nostro bestiame? E perché ci avete fatti salire dall’Egitto per condurci in questo luogo inospitale? Non è un luogo dove si possa seminare; non ci sono fichi, né vigne, né melagrane, e non c’è acqua da bere”. Allora Mosè e Aaronne si allontanarono dall’assemblea per recarsi all’ingresso della tenda di convegno; si prostrarono con la faccia a terra, e la gloria dell’Eterno apparve loro. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Prendi il bastone; e tu e tuo fratello Aaronne convocate la comunità e parlate a quella roccia, in loro presenza, ed essa darà la sua acqua; e tu farai sgorgare per loro l’acqua dalla roccia, e darai da bere alla comunità e al suo bestiame”. Mosè dunque prese il bastone che era davanti all’Eterno, come l’Eterno gli aveva ordinato. E Mosè e Aaronne convocarono la comunità davanti alla roccia, e Mosè disse loro: “Ora ascoltate, o ribelli; vi faremo uscire dell’acqua da questa roccia?”. E Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il suo bastone due volte, e ne uscì dell’acqua in abbondanza; e l’assemblea e il suo bestiame bevvero. Poi l’Eterno disse a Mosè e ad Aaronne: “Siccome non avete avuto fiducia in me per dare gloria al mio santo nome agli occhi dei figli d’Israele, voi non introdurrete questa comunità nel paese che io le do”. Queste sono le acque di Meriba dove i figli d’Israele contesero con l’Eterno che si fece riconoscere come il Santo in mezzo a loro. Poi Mosè mandò da Cades degli ambasciatori al re di Edom per dirgli: “Così dice Israele tuo fratello: ‘Tu conosci tutte le tribolazioni che ci sono avvenute: come i nostri padri scesero in Egitto e noi in Egitto abitammo per lungo tempo e gli Egiziani maltrattarono noi e i nostri padri. E noi gridammo all’Eterno ed egli udì la nostra voce e mandò un angelo e ci fece uscire dall’Egitto; ed eccoci ora a Cades, che è città ai tuoi estremi confini. Ti prego, lasciaci passare per il tuo paese; noi non passeremo né per i campi né per le vigne, e non berremo l’acqua dei pozzi; seguiremo la strada pubblica senza deviare né a destra né a sinistra finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini’”. Ma Edom gli rispose: “Tu non passerai sul mio territorio; altrimenti, ti verrò contro con la spada”. I figli d’Israele gli dissero: “Noi saliremo per la strada maestra; e se noi e il nostro bestiame berremo dell’acqua tua, te la pagheremo; lasciami semplicemente transitare a piedi”. Ma quello rispose: “Non passerai!”. Ed Edom uscì contro Israele con molta gente e con mano potente. Così Edom rifiutò a Israele il transito per i suoi confini; perciò Israele si allontanò da lui. Tutta la comunità dei figli d’Israele partì da Cades e arrivò al monte Or. E l’Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne al monte Or ai confini del paese di Edom, dicendo: “Aaronne sta per essere riunito ai suoi antenati e non entrerà nel paese che ho dato ai figli d’Israele, perché siete stati ribelli al mio comandamento alle acque di Meriba. Prendi Aaronne ed Eleazar suo figlio e falli salire sul monte Or. Spoglia Aaronne dei suoi paramenti, e falli indossare a Eleazar suo figlio; là Aaronne sarà riunito ai suoi antenati, e morirà”. Mosè fece come aveva ordinato l’Eterno; ed essi salirono sul monte Or, davanti agli occhi di tutta la comunità. Mosè spogliò Aaronne dei suoi paramenti, e li fece indossare a Eleazar, suo figlio; e Aaronne morì là sulla cima del monte. Poi Mosè ed Eleazar scesero dal monte. E quando tutta la comunità vide che Aaronne era morto, tutta la casa d’Israele lo pianse per trenta giorni. Il re cananeo di Arad, che abitava nella regione meridionale, avendo udito che Israele veniva per la via di Atarim, combatté contro Israele, e fece alcuni prigionieri. Allora Israele fece un voto all’Eterno, e disse: “Se tu dai nelle mie mani questo popolo, le loro città saranno votate da me allo sterminio”. L’Eterno ascoltò la voce d’Israele e gli diede nelle mani i Cananei; e Israele votò allo sterminio i Cananei e le loro città, e quel luogo fu chiamato Corma. Poi gli Israeliti partirono dal monte Or, dirigendosi verso il Mar Rosso per fare il giro del paese di Edom; e il popolo si fece impaziente durante il viaggio. E il popolo parlò contro Dio e contro Mosè, dicendo: “Perché ci avete fatti salire fuori dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c’è né pane né acqua, e l’anima nostra è nauseata di questo cibo tanto leggero”. Allora l’Eterno mandò fra il popolo dei serpenti velenosi i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morirono. Allora il popolo venne a Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro l’Eterno e contro te; prega l’Eterno che allontani da noi questi serpenti”. E Mosè pregò per il popolo. E l’Eterno disse a Mosè: “Fatti un serpente ardente, e mettilo sopra un’asta; e avverrà che chiunque sarà morso e lo guarderà, scamperà”. Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra un’asta; e avveniva che, quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita. Poi i figli d’Israele partirono e si accamparono a Obot; e partiti da Obot, si accamparono a Iie-Abarim nel deserto che è di fronte a Moab dal lato dove sorge il sole. Di là partirono e si accamparono nella valle di Zered. Poi partirono di là e si accamparono dall’altro lato dell’Arnon, che scorre nel deserto e nasce sui confini degli Amorei; poiché l’Arnon è il confine di Moab, fra Moab e gli Amorei. Per questo è detto nel Libro delle Guerre dell’Eterno: “…Vaeb in Sufa, le valli dell’Arnon e i pendii delle valli che si estendono verso le dimore di Ar, e si appoggiano alla frontiera di Moab”. Di là andarono a Beer, che è il pozzo a proposito del quale l’Eterno disse a Mosè: “Raduna il popolo e io gli darò dell’acqua”. Fu in quell’occasione che Israele cantò questo cantico: “Scaturisci, o pozzo! Salutatelo con canti! Pozzo che i principi hanno scavato, che i nobili del popolo hanno aperto con lo scettro, con i loro bastoni!”. Poi dal deserto andarono a Mattana; da Mattana a Naaliel; da Naaliel a Bamot, e da Bamot nella valle che è nella campagna di Moab, verso l’altura del Pisga che domina il deserto. Israele mandò ambasciatori a Sicon, re degli Amorei, per dirgli: “Lasciami passare per il tuo paese; noi non ci svieremo per i campi né per le vigne, non berremo l’acqua dei pozzi; seguiremo la strada pubblica finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini”. Ma Sicon non permise a Israele di passare per i suoi confini; anzi radunò tutta la sua gente e uscì fuori contro Israele nel deserto; giunse a Iaas, e diede battaglia a Israele. Israele lo sconfisse passandolo a fil di spada, e conquistò il suo paese dall’Arnon fino allo Iabboc, fino ai confini dei figli di Ammon, poiché la frontiera dei figli di Ammon era forte. E Israele prese tutte quelle città, e abitò in tutte le città degli Amorei: in Chesbon e in tutte le città del suo territorio; poiché Chesbon era la città di Sicon, re degli Amorei, il quale aveva mosso guerra al precedente re di Moab, e gli aveva tolto tutto il suo paese fino all’Arnon. Per questo dicono i poeti: “Venite a Chesbon! La città di Sicon sia ricostruita e fortificata! Poiché un fuoco è uscito da Chesbon, una fiamma dalla città di Sicon; essa ha divorato Ar di Moab, i padroni delle alture dell’Arnon. Guai a te, o Moab! Sei perduto, o popolo di Chemos! Chemos ha fatto dei suoi figli tanti fuggiaschi, e ha dato le sue figlie come schiave a Sicon, re degli Amorei. Noi abbiamo scagliato su di loro le nostre frecce; Chesbon è distrutta fino a Dibon. Abbiamo devastato tutto fino a Nofa, il fuoco è giunto fino a Medeba”. Così Israele si stabilì nel paese degli Amorei. Poi Mosè mandò a esplorare Iaezer, e gli Israeliti presero le città del suo territorio e cacciarono gli Amorei che vi si trovavano. E, cambiata direzione, risalirono il paese in direzione di Basan; e Og, re di Basan, uscì contro di loro con tutta la sua gente per dar loro battaglia a Edrei. Ma l’Eterno disse a Mosè: “Non lo temere; poiché io lo do nelle tue mani: lui, tutta la sua gente e il suo paese; trattalo come hai trattato Sicon, re degli Amorei che abitava a Chesbon”. E gli Israeliti sconfissero lui, con i suoi figli e con tutto il suo popolo, finché non ne rimase in vita neppure uno; e si impadronirono del suo paese. Poi i figli d’Israele partirono e si accamparono nelle pianure di Moab, oltre il Giordano di Gerico. Ora Balac, figlio di Sippor, vide tutto quello che Israele aveva fatto agli Amorei; e Moab ebbe grande paura di questo popolo, che era così numeroso; Moab fu preso dall’angoscia a causa dei figli d’Israele. Così Moab disse agli anziani di Madian: “Ora questa moltitudine divorerà tutto ciò che è intorno a noi, come il bue divora l’erba dei campi”. Ora Balac, figlio di Sippor era, in quel tempo, re di Moab. Egli mandò ambasciatori a Balaam, figlio di Beor, a Petor che sta sul fiume, nel paese dei figli del suo popolo per chiamarlo e dirgli: “Ecco, un popolo è uscito dall’Egitto; esso ricopre la faccia della terra, e si è stabilito di fronte a me; vieni, dunque, te ne prego, e maledici per me questo popolo; poiché è troppo potente per me; forse così riusciremo a sconfiggerlo, e potrò cacciarlo dal paese; poiché so che chi tu benedici è benedetto, e chi tu maledici è maledetto”. Gli anziani di Moab e gli anziani di Madian partirono portando in mano il salario dell’indovino e, arrivati da Balaam, gli riferirono le parole di Balac. Allora Balaam disse loro: “Alloggiate qui stanotte; e vi darò la risposta secondo quello che mi dirà l’Eterno”. E i principi di Moab stettero da Balaam. Ora Dio venne a Balaam e gli disse: “Chi sono questi uomini che stanno da te?”. E Balaam rispose a Dio: “Balac, figlio di Sippor, re di Moab, mi ha mandato a dire: ‘Ecco, il popolo che è uscito dall’Egitto ricopre la faccia della terra; ora vieni a maledirlo per me; forse riuscirò così a batterlo e potrò cacciarlo’”. E Dio disse a Balaam: “Tu non andrai con loro, non maledirai quel popolo, perché è benedetto”. Balaam si alzò, la mattina, e disse ai principi di Balac: “Andatevene al vostro paese, perché l’Eterno mi ha negato il permesso di venire con voi”. E i principi di Moab si alzarono, tornarono da Balac e dissero: “Balaam ha rifiutato di venire con noi”. Allora Balac mandò di nuovo dei principi, in maggior numero e più importanti di quelli di prima. Costoro andarono da Balaam e gli dissero: “Così dice Balac, figlio di Sippor: ‘Ti prego, nulla ti trattenga dal venire da me; poiché io ti colmerò di onori e farò tutto ciò che mi dirai; vieni dunque, ti prego, e maledici per me questo popolo’”. Ma Balaam rispose ai servi di Balac e disse: “Anche se Balac mi desse la sua casa piena d’argento e d’oro, non potrei trasgredire l’ordine dell’Eterno, del mio Dio, per fare qualcosa piccola o grande che sia. Tuttavia, trattenetevi qui, anche voi, stanotte, affinché io sappia ciò che l’Eterno mi dirà ancora”. E Dio venne la notte a Balaam e gli disse: “Se quegli uomini sono venuti a chiamarti, àlzati e va’ con loro; soltanto, farai ciò che io ti dirò”. Balaam quindi si alzò la mattina, sellò la sua asina e se ne andò con i principi di Moab. Ma l’ira di Dio si accese perché egli se ne era andato; e l’angelo dell’Eterno si pose sulla strada per fargli da ostacolo. Ora egli cavalcava la sua asina e aveva con sé due servitori. L’asina, vedendo l’angelo dell’Eterno che stava sulla strada con la sua spada sguainata in mano, uscì dalla strada e cominciò ad andare per i campi. Balaam percosse l’asina per rimetterla sulla strada. Allora l’angelo dell’Eterno si fermò in un sentiero infossato che passava tra le vigne e aveva un muro di qua e un muro di là. L’asina vide l’angelo dell’Eterno; si strinse al muro e schiacciò il piede di Balaam contro il muro; e Balaam la percosse di nuovo. L’angelo dell’Eterno passò di nuovo oltre, e si fermò in un luogo stretto dove non c’era modo di volgersi né a destra né a sinistra. L’asina vide l’angelo dell’Eterno e si sdraiò sotto Balaam; l’ira di Balaam si accese, ed egli percosse l’asina con un bastone. Allora l’Eterno aprì la bocca all’asina, che disse a Balaam: “Che ti ho fatto che tu mi percuoti già per la terza volta?”. E Balaam rispose all’asina: “Perché ti sei beffata di me. Ah se avessi una spada in mano! Ti ammazzerei all’istante”. L’asina disse a Balaam: “Non sono io la tua asina che hai sempre cavalcato fino a quest’oggi? Sono io solita farti così?”. Ed egli rispose: “No”. Allora l’Eterno aprì gli occhi a Balaam, ed egli vide l’angelo dell’Eterno che stava sulla strada, con la sua spada sguainata. Balaam si inchinò e si prostrò con la faccia a terra. L’angelo dell’Eterno gli disse: “Perché hai percosso la tua asina già tre volte? Ecco, io sono uscito per farti da ostacolo, perché la via che percorri è contraria al mio volere; e l’asina mi ha visto ed è uscita di strada davanti a me queste tre volte; se non fosse uscita di strada davanti a me, certo io avrei già ucciso te e lasciato in vita lei”. Allora Balaam disse all’angelo dell’Eterno: “Io ho peccato, perché non sapevo che tu ti fossi messo contro di me sulla strada; e ora, se questo ti dispiace, io me ne ritornerò”. E l’angelo dell’Eterno disse a Balaam: “Va’ pure con quegli uomini; ma dirai soltanto quello che io ti dirò”. E Balaam se ne andò con i principi di Balac. Quando Balac udì che Balaam arrivava, gli andò incontro a Ir-Moab che è sul confine segnato dall’Arnon, alla frontiera estrema. E Balac disse a Balaam: “Non ti ho mandato a chiamare con insistenza? perché non sei venuto da me? non sono proprio in grado di farti onore?”. E Balaam rispose a Balac: “Ecco, sono venuto da te, ma posso adesso dire qualsiasi cosa? la parola che Dio mi metterà in bocca, quella dirò”. Balaam andò con Balac, e giunsero a Chiriat-Usot. E Balac sacrificò buoi e pecore e mandò parte delle carni a Balaam e ai principi che erano con lui. La mattina Balac prese Balaam e lo fece salire a Bamot-Baal, da dove Balaam vide l’estremità del campo d’Israele. Balaam disse a Balac: “Costruiscimi qui sette altari e preparami qui sette giovenchi e sette montoni”. Balac fece come Balaam aveva detto, e Balac e Balaam offrirono un giovenco e un montone su ciascun altare. E Balaam disse a Balac: “Stattene vicino al tuo olocausto, e io andrò: forse l’Eterno mi verrà incontro; e quello che mi avrà fatto vedere, te lo riferirò”. E se ne andò sopra una nuda altura. E Dio venne incontro a Balaam, e Balaam gli disse: “Io ho preparato i sette altari, ed ho offerto un giovenco e un montone su ciascun altare”. Allora l’Eterno mise delle parole in bocca a Balaam e gli disse: “Torna da Balac, e parla così”. Balaam tornò da Balac, ed ecco che questi stava vicino al suo olocausto: egli con tutti i principi di Moab. Allora Balaam pronunciò il suo oracolo e disse: “Balac mi ha fatto venire da Aram, il re di Moab, dalle montagne d’Oriente. ‘Vieni’, disse, ‘maledici Giacobbe per me! Vieni, impreca contro Israele!’. Come farò a maledire? Iddio non l’ha maledetto. Come farò a imprecare? L’Eterno non ha imprecato. Io lo guardo dalla sommità delle rupi e lo contemplo dall’alto dei colli; ecco, è un popolo che dimora solo, e non è contato nel numero delle nazioni. Chi può contare la polvere di Giacobbe o calcolare il quarto d’Israele? Possa io morire della morte dei giusti, e possa la mia fine essere simile alla loro!”. Allora Balac disse a Balaam: “Che mi hai fatto? Ti ho preso per maledire i miei nemici, ed ecco, non hai fatto che benedirli”. L’altro gli rispose e disse: “Non devo io stare attento a dire soltanto ciò che l’Eterno mi mette in bocca?”. Allora Balac gli disse: “Ti prego, vieni con me in un altro luogo, da dove lo potrai vedere; tu, di qui, non ne puoi vedere che una estremità; non lo puoi vedere tutto quanto; e di là lo maledirai per me”. E lo condusse al campo di Sofim, sulla cima del Pisga; costruì sette altari, e offrì un giovenco e un montone su ciascun altare. E Balaam disse a Balac: “Stattene qui vicino al tuo olocausto, e io andrò a incontrare l’Eterno”. E l’Eterno venne incontro a Balaam, gli mise delle parole in bocca e gli disse: “Torna da Balac, e parla così”. Balaam tornò da Balac, ed ecco che questi stava vicino al suo olocausto, con i principi di Moab. E Balac gli disse: “Che ha detto l’Eterno?”. Allora Balaam pronunciò il suo oracolo e disse: “Àlzati, Balac, e ascolta! Porgimi orecchio, figlio di Sippor! Iddio non è un uomo, da poter mentire, né un figlio d’uomo, che debba pentirsi. Quando ha detto una cosa non la farà? o quando ha parlato non manterrà la parola? Ecco, ho ricevuto l’ordine di benedire; egli ha benedetto; io non revocherò la benedizione. Egli non scorge iniquità in Giacobbe, non vede perversità in Israele. L’Eterno, il suo Dio, è con lui, e Israele lo acclama come suo re. Iddio lo ha fatto uscire dall’Egitto, e gli dà il vigore del bufalo. In Giacobbe non c’è magia, in Israele non c’è divinazione; a suo tempo viene detto a Giacobbe e a Israele qual è l’opera che Iddio compie. Ecco un popolo che si alza come una leonessa, e si alza come un leone; egli non si sdraia prima di aver divorato la preda e bevuto il sangue di quelli che ha ucciso”. Allora Balac disse a Balaam: “Non lo maledire, ma almeno non lo benedire”. Ma Balaam rispose e disse a Balac: “Non ti ho detto espressamente: ‘Io farò tutto quello che l’Eterno dirà?’”. E Balac disse a Balaam: “Ti prego, vieni, io ti condurrò in un altro luogo; forse piacerà a Dio che tu lo maledica per me di là”. Balac dunque condusse Balaam in cima al Peor che domina il deserto. E Balaam disse a Balac: “Costruiscimi qui sette altari, e preparami qui sette giovenchi e sette montoni”. Balac fece come Balaam aveva detto, e offrì un giovenco e un montone su ciascun altare. E Balaam, vedendo che piaceva all’Eterno di benedire Israele, non ricorse come le altre volte alla magia, ma voltò la faccia verso il deserto. E, alzàti gli occhi, Balaam vide Israele accampato tribù per tribù; e lo Spirito di Dio fu sopra lui. E Balaam pronunciò il suo oracolo e disse: “Così dice Balaam, figlio di Beor, così dice l’uomo che ha l’occhio aperto, così dice colui che ode le parole di Dio, colui che contempla la visione dell’Onnipotente, colui che si prostra e a cui si aprono gli occhi: ‘Come sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, o Israele! Esse si estendono come valli, come giardini in riva a un fiume, come aloe piantati dall’Eterno, come cedri vicini alle acque. L’acqua trabocca dalle sue secchie, la sua semenza è bene irrigata, il suo re sarà più in alto di Agag, e il suo regno sarà esaltato. Iddio che lo ha fatto uscire dall’Egitto, gli dà il vigore del bufalo. Egli divorerà i popoli che gli sono avversari, frantumerà loro le ossa, li trafiggerà con le sue frecce. Egli si china, si accovaccia come un leone, come una leonessa: chi lo farà alzare? Benedetto chiunque ti benedice, maledetto chiunque ti maledice!’”. Allora l’ira di Balac si accese contro Balaam; e Balac, battendo le mani, disse a Balaam: “Io ti ho chiamato per maledire i miei nemici, ed ecco che li hai benedetti già per la terza volta. Ora dunque fuggi a casa tua! Io avevo detto che ti avrei colmato di onori; ma, ecco, l’Eterno ti rifiuta gli onori”. E Balaam rispose a Balac: “E non dissi io, fin da principio, agli ambasciatori che mi mandasti: ‘Anche se Balac mi desse la sua casa piena d’argento e d’oro, non potrei trasgredire l’ordine dell’Eterno per fare di mia iniziativa alcun che di bene o di male; ciò che l’Eterno dirà, quello dirò’? E ora, ecco, io me ne vado al mio popolo; vieni, io ti annuncerò ciò che questo popolo farà al popolo tuo nei giorni a venire”. Allora Balaam pronunciò il suo oracolo e disse: “Così dice Balaam, figlio di Beor; così dice l’uomo che ha l’occhio aperto, così dice colui che ode le parole di Dio, che conosce la scienza dell’Altissimo, che contempla la visione dell’Onnipotente, colui che si prostra e a cui si aprono gli occhi: ‘Lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma non vicino: un astro sorge da Giacobbe, e uno scettro si eleva da Israele, colpirà Moab da un capo all’altro e abbatterà tutta quella razza turbolenta. Si impadronirà di Edom, si impadronirà di Seir, suo nemico; Israele farà prodezze. Da Giacobbe verrà un dominatore che sterminerà i superstiti delle città’”. Balaam vide anche Amalec, e pronunciò il suo oracolo, dicendo: “Amalec è la prima delle nazioni ma il suo avvenire fa capo alla rovina”. Vide anche i Chenei, e pronunciò il suo oracolo, dicendo: “La tua dimora è solida e il tuo nido è posto nella roccia; tuttavia, il Cheneo dovrà essere devastato, finché l’Assiro ti conduca in prigionia”. Poi pronunciò di nuovo il suo oracolo e disse: “Ahimè! Chi sussisterà quando Iddio lo avrà stabilito? Ma delle navi verranno dalle parti di Chittim e umilieranno Assur, umilieranno Eber, ed egli pure finirà per essere distrutto”. Poi Balaam si alzò, partì e se ne tornò a casa; e Balac pure se ne andò per la sua strada. Ora Israele era stanziato a Sittim, e il popolo cominciò a darsi alla fornicazione con le figlie di Moab. Esse invitarono il popolo ai sacrifici offerti ai loro dèi, e il popolo mangiò e si prostrò davanti ai loro dèi. Israele si unì a Baal-Peor, e l’ira dell’Eterno si accese contro Israele. E l’Eterno disse a Mosè: “Prendi tutti i capi del popolo e falli impiccare davanti all’Eterno, alla luce del sole, affinché l’ardente ira dell’Eterno sia rimossa da Israele”. E Mosè disse ai giudici d’Israele: “Ciascuno di voi uccida quelli dei suoi uomini che si sono uniti a Baal-Peor”. Ed ecco che uno dei figli d’Israele venne e condusse ai suoi fratelli una donna Madianita, sotto gli occhi di Mosè e di tutta la comunità dei figli d’Israele, mentre essi stavano piangendo all’ingresso della tenda di convegno. Fineas, figlio di Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, avendo visto questo, si alzò in mezzo alla comunità e prese una lancia; andò dietro a quell’uomo d’Israele nella sua tenda, e li trafisse entrambi nel basso ventre, l’uomo d’Israele e la donna. E il flagello cessò tra i figli d’Israele. Di quel flagello morirono ventiquattromila persone. L’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Fineas, figlio di Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, ha rimosso la mia ira dai figli d’Israele, perché egli è stato animato del mio zelo in mezzo a loro; e io, nella mia indignazione, non ho sterminato i figli d’Israele. Perciò digli che io stabilisco con lui un patto di pace, che sarà per lui e per la sua progenie dopo di lui l’alleanza di un sacerdozio perenne, perché egli ha avuto zelo per il suo Dio, e ha fatto l’espiazione per i figli d’Israele”. Ora l’uomo d’Israele che fu ucciso con la donna Madianita, si chiamava Zimri, figlio di Salu, capo di una casa patriarcale dei Simeoniti. E la donna che fu uccisa, la Madianita, si chiamava Cozbi, figlia di Sur, capo della gente di una casa patriarcale in Madian. Poi l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Trattate i Madianiti come nemici e uccideteli, poiché essi vi hanno trattati da nemici con gli inganni mediante i quali vi hanno sedotti nell’affare di Peor e nell’affare di Cozbi, figlia di un principe di Madian, loro sorella, che fu uccisa il giorno della piaga causata dalla faccenda di Peor”. Dopo quella piaga l’Eterno disse a Mosè e a Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne: “Fate il censimento di tutta la comunità dei figli d’Israele, dall’età di vent’anni in su, secondo le case dei loro padri, di tutti quelli che in Israele possono andare alla guerra”. E Mosè e il sacerdote Eleazar parlarono loro nelle pianure di Moab presso il Giordano di fronte a Gerico, dicendo: “Si faccia il censimento dall’età di vent’anni in su, come l’Eterno ha ordinato a Mosè e ai figli d’Israele, quando uscirono dal paese d’Egitto”. Ruben, primogenito d’Israele. Figli di Ruben: Enoc, da cui discende la famiglia degli Enochiti; Pallu, da cui discende la famiglia dei Palluiti; Chesron, da cui discende la famiglia dei Chesroniti; Carmi da cui discende la famiglia dei Carmiti. Tali sono le famiglie dei Rubeniti: e quelli dei quali si fece il censimento furono quarantatremilasettecentotrenta. Figli di Pallu: Eliab. Figli di Eliab: Nemuel, Datan e Abiram. Questi sono quel Datan e quell’Abiram, membri del consiglio, che si sollevarono contro Mosè e contro Aaronne con la gente di Core, quando si sollevarono contro l’Eterno; e la terra aprì la sua bocca e li inghiottì insieme a Core, quando quella gente perì, e il fuoco divorò duecentocinquanta uomini, che servirono di esempio. Ma i figli di Core non perirono. Figli di Simeone secondo le loro famiglie. Da Nemuel discende la famiglia dei Nemueliti; da Iamin, la famiglia degli Iaminiti; da Iachin, la famiglia degli Iachiniti; da Zerac, la famiglia dei Zerachiti; da Saul, la famiglia dei Sauliti. Tali sono le famiglie dei Simeoniti: ventiduemiladuecento. Figli di Gad secondo le loro famiglie. Da Sefon discende la famiglia dei Sefoniti; da Agghi, la famiglia degli Agghiti; da Suni, la famiglia degli Suniti; da Ozni, la famiglia degli Ozniti; da Eri, la famiglia degli Eriti; da Arod, la famiglia degli Aroditi; da Areli, la famiglia degli Areliti. Tali sono le famiglie dei figli di Gad secondo il loro censimento: quarantamilacinquecento. Figli di Giuda: Er e Onan; ma Er e Onan morirono nel paese di Canaan. Ecco i figli di Giuda secondo le loro famiglie: da Sela discende la famiglia degli Selaniti; da Perez, la famiglia dei Pereziti; da Zerac, la famiglia dei Zerachiti. I figli di Perez furono: Chesron da cui discende la famiglia dei Chesroniti; Camul da cui discende la famiglia degli Camuliti. Tali sono le famiglie di Giuda secondo il loro censimento: settantaseimilacinquecento. Figli di Issacar secondo le loro famiglie: da Tola discende la famiglia dei Tolaiti: da Puva, la famiglia dei Puviti; da Iasub, la famiglia degli Iasubiti; da Simron, la famiglia dei Simroniti. Tali sono le famiglie di Issacar secondo il loro censimento: sessantaquattromilatrecento. Figli di Zabulon secondo le loro famiglie: da Sered discende la famiglia dei Sarditi; da Elon, la famiglia degli Eloniti; da Ialeel, la famiglia dei Ialeeliti. Tali sono le famiglie degli Zabuloniti secondo il loro censimento: sessantamilacinquecento. Figli di Giuseppe secondo le loro famiglie: Manasse ed Efraim. Figli di Manasse: da Machir discende la famiglia dei Machiriti. Machir generò Galaad. Da Galaad discende la famiglia dei Galaaditi. Questi sono i figli di Galaad: Iezer, da cui discende la famiglia degli Iezeriti; Chelec, da cui discende la famiglia degli Chelechiti; Asriel, da cui discende la famiglia degli Asrieliti; Sichem, da cui discende la famiglia dei Sichemiti; Semida, da cui discende la famiglia dei Semidaiti; Chefer, da cui discende la famiglia degli Cheferiti. Ora Selofead, figlio di Chefer, non ebbe maschi ma soltanto delle figlie; e i nomi delle figlie di Selofead furono: Mala, Noa, Cogla, Milca e Tirsa. Tali sono le famiglie di Manasse; le persone censite furono cinquantaduemilasettecento. Ecco i figli di Efraim secondo le loro famiglie: da Sutela discende la famiglia dei Sutelaiti; da Becher, la famiglia dei Bacriti; da Taan, la famiglia dei Taaniti. Ed ecco i figli di Sutela: da Eran è discesa la famiglia degli Eraniti. Tali sono le famiglie dei figli di Efraim secondo il loro censimento: trentaduemilacinquecento. Questi sono i figli di Giuseppe secondo le loro famiglie. Figli di Beniamino secondo le loro famiglie: da Bela discende la famiglia dei Belaiti; da Asbel, la famiglia degli Asbeliti; da Airam, la famiglia degli Airamiti; da Sufam, la famiglia degli Sufamiti; da Cufam, la famiglia degli Cufamiti. I figli di Bela furono: Ard e Naaman; da Ard discende la famiglia degli Arditi; da Naaman, la famiglia dei Naamiti. Tali sono i figli di Beniamino secondo le loro famiglie. Le persone censite furono quarantacinquemilaseicento. Ecco i figli di Dan secondo le loro famiglie: da Suam discende la famiglia degli Suamiti. Sono queste le famiglie di Dan secondo le loro famiglie. Totale per le famiglie degli Suamiti secondo il loro censimento: sessantaquattromilaquattrocento. Figli di Ascer secondo le loro famiglie: da Imna discende la famiglia degli Imniti; da Isvi, la famiglia degli Isviti; da Beria, la famiglia dei Beriiti. Dai figli di Beria discendono: da Eber, la famiglia degli Ebriti; da Malchiel, la famiglia dei Malchieliti. Il nome della figlia di Ascer era Sera. Tali sono le famiglie dei figli di Ascer secondo il loro censimento: cinquantatremilaquattrocento. Figli di Neftali secondo le loro famiglie: da Iaseel discende la famiglia degli Iaseeliti; da Guni, la famiglia dei Guniti; da Ieser, la famiglia degli Ieseriti; da Sillem la famiglia degli Sillemiti. Tali sono le famiglie di Neftali secondo le loro famiglie. Le persone censite furono quarantacinquemilaquattrocento. Tali sono i figli d’Israele di cui si fece il censimento: seicentounomilasettecentotrenta. L’Eterno parlò a Mosè dicendo: “Il paese sarà diviso tra essi, per essere loro proprietà secondo il numero dei nomi. A quelli che sono in maggior numero darai in possesso una porzione maggiore; a quelli che sono in minor numero darai una porzione minore; si darà a ciascuno la sua porzione secondo il censimento. Ma la spartizione del paese sarà fatta a sorte; essi riceveranno la rispettiva proprietà secondo i nomi delle loro tribù paterne. La spartizione delle proprietà sarà fatta a sorte fra quelli che sono in maggior numero e quelli che sono in numero minore”. Ecco i Leviti dei quali si fece il censimento secondo le loro famiglie; da Gherson discende la famiglia dei Ghersoniti; da Cheat, la famiglia dei Cheatiti; da Merari, la famiglia dei Merariti. Ecco le famiglie di Levi: la famiglia dei Libniti, la famiglia degli Ebroniti, la famiglia dei Maliti, la famiglia dei Musiti, la famiglia dei Coraiti. E Cheat generò Amram. Il nome della moglie di Amram era Iochebed, figlia di Levi che nacque a Levi in Egitto; ed essa partorì ad Amram Aaronne, Mosè e Miriam loro sorella. E ad Aaronne nacquero Nadab e Abiu, Eleazar e Itamar. Ora Nadab e Abiu morirono quando presentarono all’Eterno fuoco estraneo. Quelli dei quali si fece il censimento furono ventitremila: tutti maschi, dell’età di un mese in su. Non furono compresi nel censimento dei figli d’Israele perché non fu data loro alcuna proprietà tra i figli d’Israele. Tali sono quelli dei figli d’Israele dei quali Mosè e il sacerdote Eleazar fecero il censimento nelle pianure di Moab presso al Giordano di Gerico. Fra questi non c’era nessuno di quei figli d’Israele dei quali Mosè e il sacerdote Aaronne avevano fatto il censimento nel deserto del Sinai. Poiché l’Eterno aveva detto di loro: “Certo, moriranno nel deserto!”. E non ne rimase neppure uno, salvo Caleb, figlio di Gefunne, e Giosuè, figlio di Nun. Ora le figlie di Selofead figlio di Chefer, figlio di Galaad, figlio di Machir, figlio di Manasse, delle famiglie di Manasse, figlio di Giuseppe, che si chiamavano Mala, Noa, Cogla, Milca e Tirsa, si accostarono e si presentarono davanti a Mosè, davanti al sacerdote Eleazar, davanti ai capi e a tutta la comunità all’ingresso della tenda di convegno, e dissero: “Nostro padre morì nel deserto, e non fu nel gruppo di quelli che si radunarono contro l’Eterno, non fu della gente di Core, ma morì a causa del suo peccato, e non ebbe figli. Perché il nome di nostro padre dovrebbe scomparire dalla sua famiglia se egli non ebbe figli? Dacci una proprietà in mezzo ai fratelli di nostro padre”. E Mosè portò la loro causa davanti all’Eterno. E l’Eterno disse a Mosè: “Le figlie di Selofead dicono bene. Sì, tu darai loro in eredità una proprietà tra i fratelli del loro padre, e farai passare a esse l’eredità del loro padre. Parlerai pure ai figli d’Israele, e dirai: “Quando uno sarà morto senza lasciare figlio maschio, farete passare la sua eredità a sua figlia. E, se non ha una figlia, darete la sua eredità ai suoi fratelli. E, se non ha fratelli, darete la sua eredità ai fratelli di suo padre. E, se non ci sono fratelli del padre, darete la sua eredità al parente più stretto nella sua famiglia; ed egli la possiederà. Questo sarà per i figli d’Israele una norma di diritto, come l’Eterno ha ordinato a Mosè’”. Poi l’Eterno disse a Mosè: “Sali su questo monte di Abarim e contempla il paese che io do ai figli d’Israele. E quando lo avrai visto, anche tu sarai riunito ai tuoi antenati, come fu riunito Aaronne tuo fratello, perché vi ribellaste all’ordine che vi diedi nel deserto di Sin quando la comunità si mise a contendere, e voi non mi santificaste ai loro occhi, a proposito di quelle acque. Sono le acque della contesa di Cades, nel deserto di Sin”. E Mosè parlò all’Eterno, dicendo: “L’Eterno, l’Iddio degli spiriti di ogni carne, costituisca su questa comunità un uomo che esca davanti a loro ed entri davanti a loro, e li faccia uscire e li faccia entrare, affinché l’assemblea dell’Eterno non sia come un gregge senza pastore”. E l’Eterno disse a Mosè: “Prenditi Giosuè, figlio di Nun, uomo in cui è lo Spirito; poserai la tua mano su lui, lo farai comparire davanti al sacerdote Eleazar e davanti a tutta la comunità, gli darai i tuoi ordini in loro presenza, e lo farai partecipe della tua autorità, affinché tutta la comunità dei figli d’Israele gli ubbidisca. Egli si presenterà davanti al sacerdote Eleazar, che consulterà per lui il giudizio dell’Urim davanti all’Eterno; egli e tutti i figli d’Israele con lui e tutta l’assemblea usciranno all’ordine di Eleazar ed entreranno al suo ordine”. E Mosè fece come l’Eterno gli aveva ordinato; prese Giosuè e lo fece comparire davanti al sacerdote Eleazar e davanti a tutta la comunità; posò su lui le sue mani e gli diede i suoi ordini, come l’Eterno aveva comandato per mezzo di Mosè. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Da’ quest’ordine ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Al tempo stabilito avrete cura di offrirmi la mia offerta, il cibo dei miei sacrifici fatti mediante il fuoco, e che mi sono di odore soave’. E dirai loro: ‘Questo è il sacrificio mediante il fuoco, che offrirete all’Eterno: degli agnelli dell’anno, senza difetti, due al giorno, come olocausto perenne. Uno degli agnelli lo offrirai la mattina, e l’altro agnello lo offrirai al tramonto e, come oblazione, un decimo di efa di fior di farina, intrisa con un quarto di hin di olio vergine. Questo è l’olocausto perenne, offerto sul monte Sinai: sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno. La libazione sarà di un quarto di hin per ogni agnello; la libazione di vino puro all’Eterno la farai nel luogo santo. E l’altro agnello lo offrirai sul tramonto, con una oblazione e una libazione simili a quelle della mattina: è un sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno. Nel giorno di sabato offrirete due agnelli dell’anno, senza difetti, e, come oblazione, due decimi di fior di farina intrisa con olio, con la sua libazione. È l’olocausto del sabato, per ogni sabato, oltre l’olocausto perenne e la sua libazione. Al principio dei vostri mesi offrirete come olocausto all’Eterno due giovenchi, un montone, sette agnelli dell’anno, senza difetti, e tre decimi di fior di farina intrisa con olio, come oblazione per ciascun giovenco; due decimi di fior di farina intrisa con olio, come oblazione per il montone, e un decimo di fior di farina intrisa con olio, come oblazione per ogni agnello. È un olocausto di odore soave, un sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. Le libazioni saranno di mezzo hin di vino per giovenco, di un terzo di hin per il montone e di un quarto di hin per agnello. Questo è l’olocausto del mese, per tutti i mesi dell’anno. E si offrirà all’Eterno un capro come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne e la sua libazione. Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sarà la Pasqua in onore dell’Eterno. E il quindicesimo giorno di quel mese sarà giorno di festa. Per sette giorni si mangerà pane senza lievito. Il primo giorno ci sarà una santa convocazione; non farete nessun lavoro ordinario, ma offrirete, come sacrificio mediante il fuoco, un olocausto all’Eterno: due giovenchi, un montone e sette agnelli dell’anno che siano senza difetti; e, come oblazione, del fior di farina intrisa con olio; e ne offrirete tre decimi per ciascun giovenco e due per il montone; ne offrirai un decimo per ciascuno dei sette agnelli, e offrirai un capro come sacrificio per il peccato, per fare l’espiazione per voi. Offrirete questi sacrifici oltre l’olocausto della mattina, che è un olocausto perenne. Li offrirete ogni giorno, per sette giorni; è un cibo di sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno. Lo si offrirà oltre l’olocausto perenne con la sua libazione. E il settimo giorno avrete una santa convocazione, non farete nessun lavoro ordinario. Il giorno delle primizie, quando presenterete all’Eterno una oblazione nuova, alla vostra festa delle settimane, avrete una santa convocazione; non farete nessun lavoro ordinario. E offrirete, come olocausto di odore soave all’Eterno, due giovenchi, un montone e sette agnelli dell’anno; e, come oblazione, del fior di farina intrisa con olio: tre decimi per ciascun giovenco, due decimi per ogni montone, e un decimo per ciascuno dei sette agnelli; e offrirete un capro per fare l’espiazione per voi. Offrirete questi sacrifici, oltre l’olocausto perenne e la sua oblazione. Sceglierete degli animali senza difetti e aggiungerete le relative libazioni. Il settimo mese, il primo giorno del mese avrete una santa convocazione; non farete nessun lavoro ordinario; sarà per voi il giorno del suono delle trombe. Offrirete come olocausto di odore soave all’Eterno un giovenco, un montone, sette agnelli dell’anno senza difetti, e, come oblazione, del fior di farina intrisa con olio: tre decimi per il giovenco, due decimi per il montone, un decimo per ciascuno dei sette agnelli; e un capro, come sacrificio per il peccato, per fare l’espiazione per voi, oltre l’olocausto del mese con la sua oblazione, e l’olocausto perenne con la sua oblazione, e le loro libazioni, secondo le regole stabilite. Sarà un sacrificio, fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno. Il decimo giorno di questo settimo mese avrete una santa convocazione e umilierete le anime vostre; non farete alcun lavoro, e offrirete, come olocausto di odore soave all’Eterno, un giovenco, un montone, sette agnelli dell’anno che siano senza difetti, e, come oblazione, del fior di farina intrisa con olio: tre decimi per il giovenco, due decimi per il montone, un decimo per ciascuno dei sette agnelli; e un capro come sacrificio per il peccato, oltre il sacrificio di espiazione, l’olocausto perenne con la sua oblazione e le loro libazioni. Il quindicesimo giorno del settimo mese avrete una santa convocazione; non farete nessun lavoro ordinario, e celebrerete una festa in onore dell’Eterno per sette giorni. E offrirete come olocausto, come sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno, tredici giovenchi, due montoni, quattordici agnelli dell’anno, che siano senza difetti, e, come oblazione, del fior di farina intrisa con olio: tre decimi per ciascuno dei tredici giovenchi, due decimi per ciascuno dei due montoni, un decimo per ciascuno dei quattordici agnelli, e un capro come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne, con la sua oblazione e la sua libazione. Il secondo giorno offrirete dodici giovenchi, due montoni, quattordici agnelli dell’anno, senza difetti, con le loro oblazioni e le loro libazioni per i giovenchi, i montoni e gli agnelli secondo il loro numero, seguendo le regole stabilite; e un capro come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne, la sua oblazione e la sua libazione. Il terzo giorno offrirete undici giovenchi, due montoni, quattordici agnelli dell’anno, senza difetti, con le loro oblazioni e le loro libazioni per i giovenchi, i montoni e gli agnelli, secondo il loro numero, seguendo le regole stabilite; e un capro come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne, la sua oblazione e la sua libazione. Il quarto giorno offrirete dieci giovenchi, due montoni e quattordici agnelli dell’anno, senza difetti, con le loro offerte e le loro libazioni per i giovenchi, i montoni e gli agnelli, secondo il loro numero e seguendo le regole stabilite; e un capro, come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne, la sua oblazione e la sua libazione. Il quinto giorno offrirete nove giovenchi, due montoni, quattordici agnelli dell’anno, senza difetti, con le loro oblazioni e le loro libazioni per i giovenchi, i montoni e gli agnelli, secondo il loro numero e seguendo le regole stabilite; e un capro, come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne, la sua oblazione e la sua libazione. Il sesto giorno offrirete otto giovenchi, due montoni, quattordici agnelli dell’anno, senza difetti, con le loro oblazioni e le loro libazioni per i giovenchi, i montoni e gli agnelli, secondo il loro numero e seguendo le regole stabilite; e un capro, come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne, la sua oblazione e la sua libazione. Il settimo giorno offrirete sette giovenchi, due montoni, quattordici agnelli dell’anno, senza difetti, con le loro oblazioni e le loro libazioni per i giovenchi, i montoni e gli agnelli, secondo il loro numero e seguendo le regole stabilite; e un capro, come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne, la sua oblazione e la sua libazione. L’ottavo giorno avrete una solenne assemblea; non farete nessun lavoro ordinario, e offrirete come olocausto, come sacrificio fatto mediante il fuoco, di odore soave all’Eterno, un giovenco, un montone, sette agnelli dell’anno, senza difetti, con le loro oblazioni e le loro libazioni per il giovenco, il montone e gli agnelli, secondo il loro numero, seguendo le regole stabilite; e un capro, come sacrificio per il peccato, oltre l’olocausto perenne, la sua oblazione e la sua libazione. Questi sono i sacrifici che offrirete all’Eterno nelle vostre solennità, oltre i vostri voti e le vostre offerte volontarie, sia che si tratti dei vostri olocausti o delle vostre oblazioni o delle vostre libazioni o dei vostri sacrifici di ringraziamento’”. E Mosè riferì ai figli d’Israele tutto quello che l’Eterno gli aveva ordinato. Mosè parlò ai capi delle tribù dei figli d’Israele, dicendo: “Questo è quello che l’Eterno ha ordinato: Quando uno avrà fatto un voto all’Eterno o avrà contratto con giuramento un solenne obbligo, non violerà la sua parola, ma metterà in pratica tutto quello che gli è uscito di bocca. Così pure quando una donna avrà fatto un voto all’Eterno e si sarà legata con un impegno, essendo ancora in casa del padre durante la sua giovinezza, se il padre, avendo conoscenza del voto di lei e dell’impegno per il quale si è legata, non dice nulla a questo proposito, tutti i voti di lei saranno validi, e saranno validi tutti gli impegni per i quali lei si sarà legata. Ma se il padre, il giorno che ne viene a conoscenza, le fa opposizione, tutti i voti di lei e tutti gli impegni per i quali si sarà legata, non saranno validi; e l’Eterno la perdonerà, perché il padre le ha fatto opposizione. E se si sposa mentre è legata da voti o da una promessa fatta alla leggera con le labbra, per la quale si sia impegnata, se il marito ne viene a conoscenza e il giorno che ne viene a conoscenza non dice nulla a proposito, i voti di lei saranno validi, e saranno validi gli impegni per i quali lei si è legata. Ma se il marito, il giorno che ne viene a conoscenza, le fa opposizione, egli annullerà il voto che lei ha fatto e la promessa che ha proferito alla leggera per la quale si è impegnata; e l’Eterno la perdonerà. Ma il voto di una vedova o di una donna ripudiata, qualunque sia l’impegno per il quale si sarà legata, rimarrà valido. Quando una donna, nella casa di suo marito, farà dei voti o si legherà con un giuramento, e il marito ne viene a conoscenza, se il marito non dice nulla a questo proposito e non le fa opposizione, tutti i voti di lei saranno validi, e saranno validi tutti gli impegni per i quali lei si sarà legata. Ma se il marito, il giorno che ne viene a conoscenza li annulla, tutto ciò che le sarà uscito dalle labbra, siano voti o impegni per cui si è legata, non sarà valido; il marito lo ha annullato; e l’Eterno la perdonerà. Il marito può ratificare e il marito può annullare qualunque voto e qualunque giuramento, per il quale lei si sia impegnata a mortificare la sua persona. Ma se il marito, giorno dopo giorno, non dice nulla in proposito, egli ratifica così tutti i voti di lei e tutti gli impegni per i quali lei si è legata; li ratifica, perché non ha detto nulla a questo proposito il giorno che ne è venuto a conoscenza. Ma se li annulla qualche tempo dopo esserne venuto a conoscenza, sarà responsabile del peccato della moglie”. Queste sono le leggi che l’Eterno prescrisse a Mosè, riguardo al marito e alla moglie, al padre e alla figlia, quando questa è ancora fanciulla, in casa di suo padre. Poi l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Vendica i figli d’Israele contro i Madianiti; poi sarai riunito ai tuoi padri”. E Mosè parlò al popolo, dicendo: “Mobilitate fra voi degli uomini per la guerra, e marcino contro Madian per eseguire la vendetta dell’Eterno su Madian. Manderete alla guerra mille uomini per tribù, di tutte le tribù d’Israele”. Così furono forniti, fra le migliaia d’Israele, mille uomini per tribù: cioè dodicimila uomini, armati per la guerra. E Mosè mandò alla guerra quei mille uomini per tribù, e con loro Fineas figlio del sacerdote Eleazar, il quale portava gli strumenti sacri e aveva in mano le trombe squillanti. Essi marciarono dunque contro Madian, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè, e uccisero tutti i maschi. Uccisero pure, con tutti gli altri, i re di Madian: Evi, Rechem, Sur, Cur e Reba, cinque re di Madian; uccisero pure con la spada Balaam, figlio di Beor. E i figli d’Israele presero prigioniere le donne di Madian e i loro bambini, e predarono tutto il loro bestiame, tutti i loro greggi e ogni loro bene; e incendiarono tutte le città che quelli abitavano, e tutti i loro accampamenti, e presero tutte le spoglie e tutta la preda: gente e bestiame. Poi condussero i prigionieri, la preda e le spoglie a Mosè, al sacerdote Eleazar e alla comunità dei figli d’Israele, accampati nelle pianure di Moab, presso il Giordano, di fronte a Gerico. Mosè, il sacerdote Eleazar e tutti i capi della comunità gli uscirono incontro fuori dall’accampamento. Mosè si adirò contro i comandanti dell’esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, che tornavano da quella spedizione di guerra. Mosè disse loro: “Avete lasciato la vita a tutte le donne? Ecco, sono esse che, per suggerimento di Balaam, trascinarono i figli d’Israele all’infedeltà verso l’Eterno, nella vicenda di Peor, così la piaga scoppiò nella comunità dell’Eterno. Ora dunque uccidete ogni maschio tra i fanciulli, e uccidete ogni donna che ha avuto relazioni carnali con un uomo; ma tutte le fanciulle che non hanno avuto relazioni carnali con uomini, serbatele in vita per voi. E voi accampatevi per sette giorni fuori dall’accampamento; chiunque ha ucciso qualcuno e chiunque ha toccato una persona uccisa, si purifichi il terzo e il settimo giorno: e questo, tanto per voi quanto per i vostri prigionieri. Purificherete anche ogni veste, ogni oggetto di pelle, ogni lavoro di pelo di capra e ogni utensile di legno”. E il sacerdote Eleazar disse ai soldati che erano andati alla guerra: “Questo è l’ordine della legge che l’Eterno ha prescritto a Mosè: L’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, lo stagno e il piombo, tutto ciò, insomma, che può reggere al fuoco, lo farete passare per il fuoco e sarà reso puro; tuttavia, sarà purificato anche con l’acqua di purificazione; e tutto ciò che non può reggere al fuoco lo farete passare per l’acqua. E vi laverete le vesti il settimo giorno, e sarete puri; poi potrete entrare nell’accampamento”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Tu, con il sacerdote Eleazar e con i capi delle case della comunità, fa’ il conto di tutta la preda che è stata catturata: della gente e del bestiame; e dividi la preda fra i combattenti che sono andati alla guerra e tutta la comunità. Dalla parte che spetta ai soldati che sono andati alla guerra preleverai un tributo per l’Eterno: cioè uno su cinquecento, tanto delle persone quanto dei buoi, degli asini e delle pecore. Lo prenderete sulla loro metà e lo darai al sacerdote Eleazar come un’offerta all’Eterno. Dalla metà che spetta ai figli d’Israele prenderai uno su cinquanta, tanto delle persone quanto dei buoi, degli asini, delle pecore, di tutto il bestiame; e lo darai ai Leviti, che hanno l’incarico del tabernacolo dell’Eterno”. E Mosè e il sacerdote Eleazar fecero come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. Ora la preda, cioè quello che rimaneva del bottino fatto da quelli che erano stati alla guerra, consisteva in seicentosettantacinquemila pecore, settantaduemila buoi, sessantamila asini, e trentaduemila persone, ossia donne che non avevano avuto relazioni carnali con uomini. La metà, cioè la parte di quelli che erano andati alla guerra, fu di trecentotrentasettemilacinquecento pecore, delle quali seicentosettantacinque per il tributo all’Eterno; trentaseimila buoi, dei quali settantadue per il tributo all’Eterno; trentamilacinquecento asini, dei quali sessantuno per il tributo all’Eterno; e sedicimila persone, delle quali trentadue per il tributo all’Eterno. E Mosè diede al sacerdote Eleazar il tributo prelevato per l’offerta all’Eterno, come l’Eterno gli aveva ordinato. La metà che spettava ai figli d’Israele, dopo che Mosè ebbe fatto la spartizione con gli uomini andati alla guerra, la metà spettante alla comunità, fu di trecentotrentasettemilacinquecento pecore, trentaseimila buoi, trentamilacinquecento asini e sedicimila persone. Da questa metà, che spettava ai figli d’Israele, Mosè prese uno su cinquanta, tanto degli uomini quanto degli animali, e li diede ai Leviti che hanno l’incarico del tabernacolo dell’Eterno, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè. I comandanti delle migliaia dell’esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, si avvicinarono a Mosè e gli dissero: “I tuoi servi hanno fatto il conto dei soldati che erano sotto i nostri ordini, e non ne manca neppure uno. E noi portiamo, come offerta all’Eterno, ciascuno quello che ha trovato di oggetti d’oro: catenelle, braccialetti, anelli, pendenti, collane, per fare l’espiazione per le nostre persone davanti all’Eterno”. E Mosè e il sacerdote Eleazar presero dalle loro mani tutto quell’oro in gioielli lavorati. Tutto l’oro dell’offerta che essi presentarono all’Eterno da parte dei capi di migliaia e dei capi di centinaia, pesava sedicimilasettecentocinquanta sicli. Ora gli uomini dell’esercito si tennero il bottino che ognuno aveva fatto per conto suo. E Mosè e il sacerdote Eleazar presero l’oro dei capi di migliaia e di centinaia e lo portarono nella tenda di convegno come ricordo per i figli d’Israele davanti all’Eterno. Ora i figli di Ruben e i figli di Gad avevano del bestiame in grandissimo numero; e quando videro che il paese di Iazer e il paese di Galaad erano luoghi da bestiame, i figli di Gad e i figli di Ruben vennero a parlare a Mosè, al sacerdote Eleazar e ai capi della comunità, e dissero: “Atarot, Dibon, Iazer, Nimra, Chesbon, Eleale, Sebam, Nebo e Beon, terre che l’Eterno ha colpito davanti alla comunità d’Israele, sono terre da bestiame, e i tuoi servi hanno del bestiame”. E dissero ancora: “Se abbiamo trovato grazia agli occhi tuoi, sia concesso ai tuoi servi la proprietà di questo paese, e non farci passare il Giordano”. Ma Mosè rispose ai figli di Gad e ai figli di Ruben: “I vostri fratelli andrebbero alla guerra e voi ve ne stareste qui? E perché volete scoraggiare i figli d’Israele dal passare nel paese che l’Eterno ha dato a loro? Così fecero i vostri padri, quando li mandai da Cades-Barnea per esplorare il paese. Salirono fino alla valle di Escol; e dopo aver esplorato il paese, scoraggiarono i figli d’Israele dall’entrare nel paese che l’Eterno aveva dato a loro. E l’ira dell’Eterno si accese in quel giorno, ed egli giurò dicendo: ‘Gli uomini che sono saliti dall’Egitto, dall’età di vent’anni in su non vedranno mai il paese che promisi con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, perché non mi hanno seguito fedelmente, salvo Caleb, figlio di Gefunne, il Chenizeo, e Giosuè, figlio di Nun, che hanno seguito l’Eterno fedelmente’. E l’ira dell’Eterno si accese contro Israele; ed egli lo fece vagare per il deserto durante quarant’anni, finché tutta la generazione che aveva fatto quel male agli occhi dell’Eterno, fosse consumata. Ed ecco che voi sorgete al posto dei vostri padri, razza di uomini peccatori, per rendere l’ira dell’Eterno anche più ardente contro Israele. Perché, se voi vi sviate da lui, egli continuerà a lasciare Israele nel deserto, e voi farete perire tutto questo popolo”. Ma quelli si accostarono a Mosè e gli dissero: “Noi costruiremo qui dei recinti per il nostro bestiame, e delle città per i nostri figli; ma, quanto a noi, ci terremo pronti, in armi, per marciare alla testa dei figli d’Israele, finché li abbiamo condotti al luogo destinato loro; intanto, i nostri figli abiteranno nelle città forti a causa degli abitanti del paese. Non torneremo alle nostre case finché ciascuno dei figli d’Israele non abbia preso possesso della sua eredità; e non possederemo nulla con loro al di là del Giordano e più oltre, poiché la nostra eredità ci è toccata da questa parte del Giordano, a oriente”. E Mosè disse loro: “Se fate questo, se vi armate per andare a combattere davanti all’Eterno, se tutti quelli di voi che si armeranno passeranno il Giordano davanti all’Eterno finché egli abbia cacciato i suoi nemici dal suo cospetto, e se tornate soltanto quando il paese vi sarà sottomesso davanti all’Eterno, voi non sarete colpevoli di fronte all’Eterno e di fronte a Israele, e questo paese sarà vostra proprietà davanti all’Eterno. Ma, se non fate così, voi avrete peccato contro l’Eterno; e sappiate che il vostro peccato vi ritroverà. Costruite delle città per i vostri figli e dei recinti per le vostre greggi, e fate quello che la vostra bocca ha proferito”. Allora i figli di Gad e i figli di Ruben parlarono a Mosè, dicendo: “I tuoi servi faranno quello che il mio signore comanda. I nostri fanciulli, le nostre mogli, le nostre greggi e tutto il nostro bestiame rimarranno qui nelle città di Galaad; ma i tuoi servi, tutti quanti armati per la guerra, andranno a combattere davanti all’Eterno, come dice il mio signore”. Allora Mosè diede per loro degli ordini al sacerdote Eleazar, a Giosuè figlio di Nun e ai capifamiglia delle tribù dei figli d’Israele. Mosè disse loro: “Se i figli di Gad e i figli di Ruben passano con voi il Giordano tutti armati per combattere davanti all’Eterno, e se il paese sarà sottomesso davanti a voi, darete loro come proprietà il paese di Galaad. Ma se non passano armati con voi, avranno la loro proprietà tra voi nel paese di Canaan”. E i figli di Gad e i figli di Ruben risposero dicendo: “Faremo come l’Eterno ha detto ai tuoi servi. Passeremo in armi, davanti all’Eterno, nel paese di Canaan; ma il possesso della nostra eredità resti per noi di qua dal Giordano”. Mosè dunque diede ai figli di Gad, ai figli di Ruben e alla metà della tribù di Manasse, figlio di Giuseppe, il regno di Sicon, re degli Amorei, e il regno di Og, re di Basan: il paese, le sue città e i territori delle città del paese intorno. I figli di Gad costruirono Dibon, Atarot, Aroer, Atrot-Sofan, Iazer, Iogbea, Bet-Nimra e Bet-Aran, città fortificate, e fecero dei recinti per le greggi. I figli di Ruben costruirono Chesbon, Eleale, Chiriataim, Nebo e Baal-Meon, i cui nomi furono mutati, e Sibma, e diedero dei nomi alle città che costruirono. I figli di Machir, figlio di Manasse, andarono nel paese di Galaad, lo presero, e ne cacciarono gli Amorei che vi stavano. Mosè dunque diede Galaad a Machir, figlio di Manasse, che vi si stabilì. Iair, figlio di Manasse, andò anche lui e prese i loro borghi, e li chiamò Borghi di Iair. E Noba andò e prese Chenat con i suoi villaggi, e le diede il suo nome di Noba. Queste sono le tappe dei figli d’Israele che uscirono dal paese d’Egitto, secondo le loro schiere, sotto la guida di Mosè e di Aaronne. Ora Mosè mise per iscritto le loro marce, tappa per tappa, per ordine dell’Eterno; e queste sono le loro tappe nell’ordine delle loro marce. Partirono da Ramses il primo mese, il quindicesimo giorno del primo mese. Il giorno dopo la Pasqua i figli d’Israele partirono a testa alta, sotto gli occhi di tutti gli Egiziani, mentre gli Egiziani seppellivano quelli che l’Eterno aveva colpito fra loro, cioè tutti i primogeniti, quando anche i loro dèi erano stati colpiti dal giudizio dell’Eterno. I figli d’Israele partirono dunque da Ramses e si accamparono a Succot. Partirono da Succot e si accamparono a Etam che è all’estremità del deserto. Partirono da Etam e piegarono verso Pi-Achirot che è di fronte a Baal-Sefon, e si accamparono davanti a Migdol. Partirono da davanti ad Achirot, attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto di Etam e si accamparono a Mara. Partirono da Mara e giunsero a Elim; a Elim vi erano dodici sorgenti di acqua e settanta palme; e là si accamparono. Partirono da Elim e si accamparono presso il Mar Rosso. Partirono dal Mar Rosso e si accamparono nel deserto di Sin. Partirono dal deserto di Sin e si accamparono a Dofca. Partirono da Dofca e si accamparono ad Alus. Partirono da Alus e si accamparono a Refidim dove non c’era acqua da bere per il popolo. Partirono da Refidim e si accamparono nel deserto del Sinai. Partirono dal deserto del Sinai e si accamparono a Chibrot-Attaava. Partirono da Chibrot-Attaava e si accamparono ad Aserot. Partirono da Aserot e si accamparono a Ritma. Partirono da Ritma e si accamparono a Rimmon-Perez. Partirono da Rimmon-Perez e si accamparono a Libna. Partirono da Libna e si accamparono a Rissa. Partirono da Rissa e si accamparono a Cheelata. Partirono da Cheelata e si accamparono al monte di Sefer. Partirono dal monte di Sefer e si accamparono a Carada. Partirono da Carada e si accamparono a Machelot. Partirono da Machelot e si accamparono a Tacat. Partirono da Tacat e si accamparono a Tarac. Partirono da Tarac e si accamparono a Mitca. Partirono da Mitca e si accamparono a Casmona. Partirono da Casmona e si accamparono a Moserot. Partirono da Moserot e si accamparono a Bene-Iaacan. Partirono da Bene-Iaacan e si accamparono a Or-Ghidgad. Partirono da Or-Ghidgad e si accamparono a Iotbata. Partirono da Iotbata e si accamparono ad Abrona. Partirono da Abrona e si accamparono a Esion-Gheber. Partirono da Esion-Gheber e si accamparono nel deserto di Sin, cioè a Cades. Poi partirono da Cades e si accamparono al monte Or all’estremità del paese di Edom. E il sacerdote Aaronne salì sul monte Or per ordine dell’Eterno, e là morì il quarantesimo anno dopo l’uscita dei figli d’Israele dal paese di Egitto, il quinto mese, il primo giorno del mese. Aaronne era in età di centoventitré anni quando morì sul monte Or. E il Cananeo re di Arad, che abitava il mezzogiorno del paese di Canaan, udì che i figli d’Israele arrivavano. E quelli partirono dal monte Or e si accamparono a Salmona. Partirono da Salmona e si accamparono a Punon. Partirono da Punon e si accamparono a Obot. Partirono da Obot e si accamparono a Iie-Abarim sui confini di Moab. Partirono da Iim e si accamparono a Dibon-Gad. Partirono da Dibon-Gad e si accamparono ad Almon-Diblataim. Partirono da Almon-Diblataim e si accamparono ai monti di Abarim di fronte a Nebo. Partirono dai monti di Abarim e si accamparono nelle pianure di Moab, presso il Giordano di faccia a Gerico. E si accamparono presso il Giordano, da Bet-Iesimot fino ad Abel-Sittim, nelle pianure di Moab. E l’Eterno parlò a Mosè, nelle pianure di Moab, presso il Giordano di fronte a Gerico, dicendo: “Parla ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Canaan, caccerete davanti a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e demolirete tutti i loro alti luoghi. Prenderete possesso del paese, e vi stabilirete in esso, perché io vi ho dato il paese affinché lo possediate. Dividerete il paese a sorte, secondo le vostre famiglie. A quelle che sono più numerose darete una porzione maggiore, e a quelle che sono meno numerose darete una porzione minore. Ognuno possederà quello che gli sarà toccato in sorte; vi spartirete il possesso secondo le tribù dei vostri padri. Ma se non cacciate davanti a voi gli abitanti del paese, quelli di loro che vi avrete lasciato saranno per voi come spine negli occhi e pungoli nei fianchi, e vi faranno tribolare nel paese che abiterete. E avverrà che io tratterò voi come mi ero proposto di trattare loro’”. L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Da’ quest’ordine ai figli d’Israele, e di’ loro: ‘Quando entrerete nel paese di Canaan, questo sarà il paese che vi toccherà come eredità: il paese di Canaan, di cui ecco i confini: la vostra regione meridionale comincerà al deserto di Sin, vicino a Edom; così la vostra frontiera meridionale partirà dalla estremità del Mar Salato, verso oriente; e questa frontiera volgerà a sud della salita di Acrabbim, passerà per Sin, e si estenderà a mezzogiorno di Cades-Barnea; poi continuerà verso Casar-Addar, e passerà per Asmon. Da Asmon la frontiera girerà fino al torrente d’Egitto, e finirà al mare. La vostra frontiera a occidente sarà il Mar Grande: quella sarà la vostra frontiera occidentale. E questa sarà la vostra frontiera settentrionale: partendo dal Mar Grande, la traccerete fino al monte Or; dal monte Or la traccerete fin là dove si entra in Camat, e l’estremità della frontiera sarà a Sedad; la frontiera continuerà fino a Zifron, per finire a Casar-Enan: questa sarà la vostra frontiera settentrionale. Traccerete la vostra frontiera orientale da Casar-Enan a Sefam; la frontiera scenderà da Sefam verso Ribla, a oriente di Ain; poi la frontiera scenderà, e si estenderà lungo il mare di Chinneret, a oriente; poi la frontiera scenderà verso il Giordano, e finirà al Mar Salato. Tale sarà il vostro paese con le sue frontiere tutto intorno’”. E Mosè trasmise quest’ordine ai figli d’Israele, e disse loro: “Questo è il paese che vi distribuirete a sorte, e che l’Eterno ha ordinato si dia a nove tribù e mezzo; poiché la tribù dei figli di Ruben, secondo le case dei loro padri, e la tribù dei figli di Gad, secondo le case dei loro padri, e la mezza tribù di Manasse hanno ricevuto la loro porzione. Queste due tribù e mezzo hanno ricevuto la loro porzione di qua dal Giordano di Gerico, dal lato d’oriente”. E l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Questi sono i nomi degli uomini che spartiranno il paese fra voi: il sacerdote Eleazar, e Giosuè, figlio di Nun. Prenderete anche un principe di ogni tribù per fare la spartizione del paese. Ecco i nomi di questi uomini. Per la tribù di Giuda: Caleb, figlio di Gefunne. Per la tribù dei figli di Simeone: Samuele, figlio di Ammiud. Per la tribù di Beniamino: Elidad, figlio di Chislon. Per la tribù dei figli di Dan: il principe Buchi, figlio di Iogli. Per i figli di Giuseppe: per la tribù dei figli di Manasse, il principe Canniel, figlio di Efod; e per la tribù dei figli di Efraim, il principe Chemuel, figlio di Siftan. Per la tribù dei figli di Zabulon: il principe Elisafan, figlio di Parnac. Per la tribù dei figli di Issacar: il principe Paltiel, figlio di Azzan. Per la tribù dei figli di Ascer: il principe Aiud, figlio di Selomi. E per la tribù dei figli di Neftali: il principe Pedael, figlio di Ammiud’. Queste sono le persone alle quali l’Eterno ordinò di spartire il possesso del paese di Canaan tra i figli d’Israele”. L’Eterno parlò ancora a Mosè nelle pianure di Moab presso il Giordano, di fronte a Gerico, dicendo: “Ordina ai figli d’Israele che, della eredità che possederanno diano ai Leviti delle città da abitare; darete pure ai Leviti la campagna che è intorno alle città. Ed essi avranno le città per abitarvi; e la campagna servirà per i loro bestiami, per i loro beni e per tutti i loro animali. La campagna delle città che darete ai Leviti si estenderà fuori per lo spazio di mille cubiti dalle mura della città, tutto intorno. Misurerete dunque, fuori della città, duemila cubiti dal lato orientale, duemila cubiti dal lato meridionale, duemila cubiti dal lato occidentale e duemila cubiti dal lato settentrionale; la città sarà in mezzo. Questa sarà la campagna di ciascuna delle loro città. Tra le città che darete ai Leviti ci saranno le sei città di rifugio, che voi designerete perché vi si rifugi l’omicida; e a queste aggiungerete altre quarantadue città. Tutte le città che darete ai Leviti saranno dunque quarantotto, con la relativa campagna. E di queste città che darete ai Leviti, prendendole dalla proprietà dei figli d’Israele, ne prenderete di più da quelli che ne hanno di più, e di meno da quelli che ne hanno di meno; ognuno darà, delle sue città, ai Leviti, in proporzione della eredità che gli sarà toccata”. Poi l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Canaan, designerete delle città che siano per voi delle città di rifugio, dove possa rifugiarsi l’omicida che avrà ucciso qualcuno involontariamente. Queste città vi serviranno di rifugio contro il vendicatore del sangue, affinché l’omicida non sia messo a morte prima di essere comparso in giudizio davanti alla comunità. Delle città che darete, sei saranno dunque per voi città di rifugio. Darete tre città di qua dal Giordano, e darete tre altre città nel paese di Canaan; e saranno città di rifugio. Queste sei città serviranno di rifugio ai figli d’Israele, allo straniero e a colui che soggiornerà fra voi, affinché vi scampi chiunque abbia ucciso qualcuno involontariamente. Ma se uno colpisce un altro con uno strumento di ferro, così che quello muoia, quel tale è un omicida; l’omicida dovrà essere punito con la morte. E se lo colpisce con una pietra che aveva in mano, adatta a causare la morte, e il colpito muore, quel tale è un omicida; l’omicida dovrà essere punito con la morte. O se lo colpisce con uno strumento di legno che aveva in mano, atto a causarne la morte, e il colpito muore, quel tale è un omicida; l’omicida dovrà essere punito con la morte. Sarà il vendicatore del sangue che metterà a morte l’omicida; quando lo incontrerà, lo ucciderà. Se uno dà a un altro una spinta per odio, o gli getta contro qualcosa con premeditazione, così che quello muoia, o lo colpisce per inimicizia con la mano, così che quello muoia, colui che ha colpito dovrà essere punito con la morte; è un omicida; il vendicatore del sangue ucciderà l’omicida quando lo incontrerà. Ma se gli dà una spinta per caso e non per inimicizia, o gli getta contro qualcosa senza premeditazione, o se, senza vederlo, gli fa cadere addosso una pietra che possa causarne la morte, e quello muore, senza che l’altro gli fosse nemico o gli volesse fare del male, allora ecco le norme secondo le quali la comunità giudicherà fra colui che ha colpito e il vendicatore del sangue. L’assemblea libererà l’omicida dalle mani del vendicatore del sangue e lo farà tornare alla città di rifugio dove si era rifugiato. Là dimorerà, fino alla morte del sommo sacerdote che fu unto con l’olio santo. Ma se l’omicida esce dai confini della città di rifugio dove si era rifugiato, e se il vendicatore del sangue trova l’omicida fuori dei confini della sua città di rifugio e lo uccide, il vendicatore del sangue non sarà responsabile del sangue versato. Poiché l’omicida deve stare nella sua città di rifugio fino alla morte del sommo sacerdote; ma, dopo la morte del sommo sacerdote, l’omicida potrà tornare nella terra di sua proprietà. Queste vi servano come norme di diritto, di generazione in generazione, dovunque abiterete. Se uno uccide un altro, l’omicida sarà messo a morte in seguito a deposizione di testimoni; ma un unico testimone non basterà per far condannare una persona a morte. Non accetterete prezzo di riscatto per la vita di un omicida colpevole e degno di morte, perché dovrà essere punito con la morte. Non accetterete prezzo di riscatto che permetta a un omicida di rifugiarsi nella sua città di rifugio e di tornare ad abitare nel paese prima della morte del sacerdote. Non contaminerete il paese dove sarete, perché il sangue contamina il paese; e non si potrà fare per il paese alcuna espiazione del sangue che sarà stato sparso, se non mediante il sangue di colui che lo avrà sparso. Non contaminerete dunque il paese che andate ad abitare, e in mezzo al quale io dimorerò; poiché io sono l’Eterno che dimoro in mezzo ai figli d’Israele’”. Ora i capifamiglia dei figli di Galaad, figlio di Machir, figlio di Manasse, tra le famiglie dei figli di Giuseppe, si fecero avanti per parlare in presenza di Mosè e dei principi capifamiglia dei figli d’Israele, e dissero: “L’Eterno ha ordinato al mio signore di dare il paese in eredità ai figli d’Israele, a sorte; e il mio signore ha pure ricevuto l’ordine dall’Eterno di dare l’eredità di Selofead, nostro fratello, alle sue figlie. Se queste si sposano con qualcuno dei figli delle altre tribù dei figli d’Israele, la loro eredità sarà detratta dall’eredità dei nostri padri, e aggiunta all’eredità della tribù nella quale esse saranno entrate; così sarà detratta dall’eredità che ci è toccata in sorte. E quando verrà il giubileo per i figli d’Israele, la loro eredità sarà aggiunta a quella della tribù nella quale saranno entrate, e l’eredità loro sarà detratta dall’eredità della tribù dei nostri padri”. E Mosè trasmise ai figli d’Israele questi ordini dell’Eterno, dicendo: “La tribù dei figli di Giuseppe dice bene. Questo è quello che l’Eterno ha ordinato riguardo alle figlie di Selofead: si sposeranno con chi vorranno, purché si sposino in una famiglia della tribù dei loro padri. Così nessuna eredità, tra i figli d’Israele, passerà da una tribù all’altra, poiché ciascuno dei figli d’Israele si terrà stretto all’eredità della tribù dei suoi padri. E ogni fanciulla che possiede un’eredità in una delle tribù dei figli d’Israele, si sposerà con qualcuno di una famiglia della tribù di suo padre, affinché ognuno dei figli d’Israele possegga l’eredità dei suoi padri. Così nessuna eredità passerà da una tribù all’altra, ma ognuna delle tribù dei figli d’Israele si terrà stretta alla propria eredità”. Le figlie di Selofead si conformarono all’ordine che l’Eterno aveva dato a Mosè. Mala, Tirsa, Cogla, Milca e Noa, figlie di Selofead, si sposarono con i figli dei loro zii; si maritarono nelle famiglie dei figli di Manasse, figlio di Giuseppe, e la loro eredità rimase nella tribù della famiglia del loro padre. Questi sono i comandamenti e le leggi che l’Eterno diede ai figli d’Israele per mezzo di Mosè, nelle pianure di Moab, presso il Giordano, di fronte a Gerico. Queste sono le parole che Mosè rivolse a Israele di là dal Giordano, nel deserto, nella pianura di fronte a Suf, fra Paran, Tofel, Laban, Aserot e Di-Zaab. (Ci sono undici giornate dall’Oreb, per la strada del monte Seir, fino a Cades-Barnea). Il quarantesimo anno, l’undicesimo mese, il primo giorno del mese, Mosè parlò ai figli d’Israele, secondo tutto ciò che l’Eterno gli aveva ordinato di dire loro. Questo avvenne dopo che egli ebbe sconfitto Sicon, re degli Amorei che abitava in Chesbon, e Og, re di Basan che abitava in Astarot e in Edrei. Di là dal Giordano, nel paese di Moab, Mosè cominciò a spiegare questa legge, dicendo: “L’Eterno, il nostro Dio, ci parlò in Oreb e ci disse: ‘Voi avete dimorato abbastanza in queste montagne; voltatevi, partite, e andate nella regione montuosa degli Amorei e in tutte le vicinanze, nella pianura, sui monti, nella regione bassa, nel mezzogiorno, sulla costa del mare, nel paese dei Cananei e al Libano, fino al gran fiume, il fiume Eufrate. Ecco, io ho posto il paese davanti a voi; entrate, prendete possesso del paese che l’Eterno giurò di dare ai vostri padri, Abraamo, Isacco e Giacobbe, e alla loro progenie dopo di loro’. In quel tempo io vi parlai e vi dissi: ‘Io non posso sostenere da solo il carico del popolo. L’Eterno, il vostro Dio, vi ha moltiplicati, ed ecco che oggi siete numerosi come le stelle del cielo. - L’Eterno, l’Iddio dei vostri padri, vi aumenti anche mille volte di più, e vi benedica come vi ha promesso di fare! - Ma come posso io, da solo, portare il vostro carico, il vostro peso e le vostre liti? Prendete nelle vostre tribù degli uomini saggi, intelligenti e conosciuti, e io li stabilirò per voi come capì’. E voi mi rispondeste, dicendo: ‘È bene che facciamo ciò che tu proponi’. Allora presi i capi delle vostre tribù, uomini saggi e conosciuti, e li stabilii su di voi come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine, capi di decine, e come ufficiali nelle vostre tribù. E in quel tempo diedi quest’ordine ai vostri giudici: ‘Ascoltate le cause dei vostri fratelli, e giudicate con giustizia le questioni che uno può avere con il fratello o con lo straniero che sta da lui. Nei vostri giudizi non avrete riguardi personali; darete ascolto al piccolo come al grande; non temerete nessun uomo, poiché il giudizio appartiene a Dio; e le cause troppo difficili per voi le porterete a me, e io le ascolterò’. Così, in quel tempo, io vi ordinai tutte le cose che dovevate fare. Poi partimmo da Oreb e attraversammo tutto quel grande e spaventoso deserto che avete visto, dirigendoci verso la regione montuosa degli Amorei, come l’Eterno, il nostro Dio, ci aveva ordinato di fare, e giungemmo a Cades-Barnea. Allora vi dissi: ‘Siete arrivati alla regione montuosa degli Amorei, che l’Eterno, il nostro Dio, ci dà. Ecco, l’Eterno, il tuo Dio, ha posto il paese davanti a te; sali, prendine possesso, come l’Eterno, l’Iddio dei tuoi padri, ti ha detto; non temere, e non ti spaventare’. E voi vi avvicinaste a me tutti quanti, e diceste: ‘Mandiamo degli uomini davanti a noi, che esplorino il paese per noi, e ci riferiscano qualcosa della strada per la quale noi dovremo salire, e delle città alle quali dovremo arrivare’. La cosa mi piacque, e presi dodici uomini tra voi, uno per tribù. Quelli si incamminarono, salirono verso i monti, giunsero alla valle di Escol, ed esplorarono il paese. Presero con le loro mani dei frutti del paese, ce li portarono, e ci fecero la loro relazione dicendo: ‘Quello che l’Eterno, il nostro Dio, ci dà, è un buon paese’. Ma voi non voleste andare, e vi ribellaste all’ordine dell’Eterno, del vostro Dio; mormoraste nelle vostre tende, e diceste: ‘L’Eterno ci odia, per questo ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto per darci in mano agli Amorei e per distruggerci. Dove andiamo noi? I nostri fratelli ci hanno fatto affliggere il cuore, dicendo: Quella gente è più grande e più alta di noi; le città sono grandi e fortificate fino al cielo; e abbiamo perfino visto là dei figli degli Anachim’. E io vi dissi: ‘Non vi spaventate, e non abbiate paura di loro. L’Eterno, il vostro Dio, che va davanti a voi, combatterà egli stesso per voi, come ha fatto tante volte sotto gli occhi vostri, in Egitto e nel deserto, dove hai visto come l’Eterno, il tuo Dio, ti ha portato come un uomo porta suo figlio, per tutto il cammino che avete fatto, finché siete arrivati in questo luogo’. Nonostante questo non aveste fiducia nell’Eterno, nel vostro Dio, che andava davanti a voi nel cammino per cercarvi un luogo dove piantare le tende: di notte, nel fuoco, per mostrarvi la via per la quale dovevate andare, e, di giorno, nella nuvola. E l’Eterno udì le vostre parole, si adirò gravemente, e giurò dicendo: ‘Certo, nessuno degli uomini di questa malvagia generazione vedrà il buon paese che ho giurato di dare ai vostri padri, salvo Caleb, figlio di Gefunne. Egli lo vedrà; e a lui e ai suoi figli darò la terra che egli ha calcato, perché ha pienamente seguito l’Eterno’. L’Eterno si adirò anche contro di me, a causa vostra, e disse: ‘Neanche tu vi entrerai; Giosuè, figlio di Nun, che ti serve, vi entrerà; fortificalo, perché egli metterà Israele in possesso di questo paese. E i vostri fanciulli, dei quali avete detto: Diventeranno tanta preda! e i vostri figli, che oggi non conoscono né il bene né il male, sono quelli che vi entreranno; a loro lo darò, e saranno loro che lo possederanno. Ma voi, tornate indietro e avviatevi verso il deserto, in direzione del Mar Rosso’. Allora voi rispondeste, dicendomi: ‘Abbiamo peccato contro l’Eterno; noi saliremo e combatteremo, interamente come l’Eterno, il nostro Dio, ci ha ordinato’. E ognuno di voi prese le armi, e vi metteste temerariamente a salire verso i monti. E l’Eterno mi disse: ‘Di’ loro: Non salite, e non combattete, perché io non sono in mezzo a voi; voi sareste sconfitti davanti ai vostri nemici’. Io ve lo dissi, ma voi non mi deste ascolto; anzi foste ribelli all’ordine dell’Eterno, foste presuntuosi, e vi metteste a salire verso i monti. Allora gli Amorei, che abitano quella contrada montuosa, uscirono contro di voi, vi inseguirono come fanno le api, e vi batterono in Seir fino a Corma. E voi tornaste e piangeste davanti all’Eterno; ma l’Eterno non diede ascolto alla vostra voce e non vi porse orecchio. Così rimaneste in Cades molti giorni; sapete bene quanti giorni vi siete rimasti. Poi tornammo indietro e partimmo per il deserto in direzione del Mar Rosso, come l’Eterno mi aveva detto, e girammo intorno al monte Seir per lungo tempo. E l’Eterno mi parlò dicendo: ‘Avete girato abbastanza intorno a questo monte; volgetevi verso settentrione. E da’ quest’ordine al popolo: Voi state per passare i confini dei figli di Esaù, vostri fratelli, che abitano in Seir; ed essi avranno paura di voi; state quindi bene in guardia; non muovete loro guerra, poiché del loro paese io non vi darò neppure quanto un piede ne può calcare; poiché ho dato il monte di Seir a Esaù, come sua proprietà. Comprerete da loro con denaro contante le provviste che mangerete, e comprerete pure da loro con tanto denaro l’acqua che berrete. Poiché l’Eterno, il tuo Dio, ti ha benedetto in tutta l’opera delle tue mani, ti ha seguito nel tuo viaggio attraverso questo grande deserto; l’Eterno, il tuo Dio, è stato con te durante questi quarant’anni, e non ti è mancato nulla’. Così passammo, lasciando a distanza i figli di Esaù, nostri fratelli, che abitano in Seir, ed evitando la via della pianura, come pure Elat ed Esion-Gheber. Poi ci voltammo, e ci incamminammo verso il deserto di Moab. E l’Eterno mi disse: ‘Non attaccare Moab e non gli muovere guerra, poiché io non ti darò nulla da possedere nel suo paese, poiché ho dato Ar ai figli di Lot, come loro proprietà. Prima vi abitavano gli Emim: popolo grande, numeroso, alto di statura come gli Anachim. Erano anche loro considerati Refaim, come gli Anachim; ma i Moabiti li chiamavano Emim. Anche Seir era prima abitata dai Corei; ma i figli di Esaù li cacciarono, li distrussero e si stabilirono al posto loro, come ha fatto Israele nel paese che possiede e che l’Eterno gli ha dato. Ora alzatevi, e passate il torrente di Zered’. E noi passammo il torrente di Zered. Ora il tempo che durarono le nostre marce, da Cades-Barnea al passaggio del torrente di Zered, fu di trentotto anni, finché tutta quella generazione degli uomini di guerra scomparve interamente dal campo, come l’Eterno aveva loro giurato. Infatti la mano dell’Eterno fu contro di loro per sterminarli dal campo, finché fossero del tutto scomparsi. E quando la morte ebbe finito di consumare tutti quegli uomini di guerra, l’Eterno mi parlò dicendo: ‘Oggi tu stai per passare i confini di Moab, ad Ar, e ti avvicinerai ai figli di Ammon. Non li attaccare e non muovere loro guerra, perché io non ti darò nulla da possedere nel paese dei figli di Ammon, poiché l’ho dato ai figli di Lot, come loro proprietà. Anche questo paese era reputato paese di Refaim: prima vi abitavano dei Refaim, e gli Ammoniti li chiamavano Zamzummin: popolo grande, numeroso, alto di statura come gli Anachim; ma l’Eterno li distrusse davanti agli Ammoniti, che li cacciarono e si stabilirono al posto loro. Così l’Eterno aveva fatto per i figli di Esaù che abitano in Seir, quando distrusse i Corei davanti a loro; essi li cacciarono e si stabilirono nel luogo loro, e ci sono rimasti fino al giorno d’oggi. E anche gli Avvei, che dimoravano in villaggi fino a Gaza, furono distrutti dai Caftorei, usciti da Caftor, i quali si stabilirono al posto loro. Alzatevi, partite, e passate la valle dell’Arnon; ecco, io do in tuo potere Sicon, l’Amoreo, re di Chesbon, e il suo paese; comincia a prenderne possesso, e muovigli guerra. Oggi comincerò a infondere paura e terrore di te ai popoli che sono sotto il cielo intero, così che, all’udire la tua fama, tremeranno e saranno presi dall’angoscia davanti a te’. Allora mandai ambasciatori dal deserto di Chedemot a Sicon, re di Chesbon, con parole di pace, e gli feci dire: ‘Lasciami passare per il tuo paese; io camminerò per la strada maestra, senza volgermi né a destra né a sinistra. Tu mi venderai per denaro contante le provviste che mangerò, e mi darai per denaro contante l’acqua che berrò; permettimi semplicemente il transito, come hanno fatto i figli di Esaù che abitano in Seir e i Moabiti che abitano in Ar, finché io abbia passato il Giordano per entrare nel paese che l’Eterno, il nostro Dio, ci dà’. Ma Sicon, re di Chesbon, non ci volle lasciar passare per il suo paese, perché l’Eterno, il tuo Dio, gli aveva indurito lo spirito e reso ostinato il cuore, per dartelo nelle mani, come infatti oggi si vede. E l’Eterno mi disse: ‘Vedi, ho iniziato a dare in tuo potere Sicon e il suo paese; comincia la conquista, impadronendoti del suo paese’. Allora Sicon uscì contro di noi con tutta la sua gente, per darci battaglia a Iaas. E l’Eterno, il nostro Dio, ce lo diede nelle mani, e noi mettemmo in rotta lui, i suoi figli e tutta la sua gente. E in quel tempo prendemmo tutte le sue città e votammo allo sterminio uomini, donne, bambini di ogni città; non vi lasciammo anima viva. Ma riservammo come nostra preda il bestiame e le spoglie delle città che avevamo preso. Da Aroer, che è sulle sponde della valle dell’Arnon e dalla città che è nella valle, fino a Galaad, non ci fu città che fosse troppo forte per noi: l’Eterno, il nostro Dio, le diede tutte in nostro potere. Ma non ti avvicinasti al paese dei figli di Ammon, a nessun posto toccato dal torrente di Iabboc, alle città del paese montuoso, a tutti i luoghi che l’Eterno il nostro Dio, ci aveva proibito di attaccare. Poi ci voltammo, e salimmo per la via di Basan; e Og, re di Basan, con tutta la sua gente, uscì contro di noi per darci battaglia a Edrei. E l’Eterno mi disse: ‘Non lo temere, poiché io do nelle tue mani lui, tutta la sua gente e il suo paese; e tu farai a lui quello che facesti a Sicon, re degli Amorei, che abitava a Chesbon’. Così l’Eterno, il nostro Dio, diede in nostro potere anche Og, re di Basan, con tutta la sua gente; e noi lo battemmo in maniera tale che nessuno rimase in vita. Gli prendemmo in quel tempo tutte le sue città; non ci fu città che noi non prendessimo loro: sessanta città, tutta la regione di Argob, il regno di Og in Basan. Tutte queste città erano fortificate, con alte mura, porte e sbarre, senza contare le città aperte, che erano in grandissimo numero. Noi le votammo allo sterminio, come avevamo fatto di Sicon, re di Chesbon: votammo allo sterminio ogni città, uomini, donne, bambini. Ma riservammo come nostra preda tutto il bestiame e le spoglie delle città. In quel tempo dunque prendemmo ai due re degli Amorei il paese che è al di là del Giordano, dalla valle dell’Arnon al monte Ermon, il quale Ermon i Sidoni chiamano Sirion, e gli Amorei Senir, tutte le città della pianura, tutto Galaad, tutto Basan fino a Salca e a Edrei, città del regno di Og, in Basan. Poiché Og, re di Basan, era rimasto il solo della stirpe dei Refaim. Ecco, il suo letto, un letto di ferro, non è a Rabba degli Ammoniti? Ha nove cubiti di lunghezza e quattro cubiti di larghezza, secondo il cubito di un uomo. Fu allora che ci impossessammo di questo paese; io diedi ai Rubeniti e ai Gaditi il territorio che parte da Aroer, presso la valle dell’Arnon, e la metà della regione montuosa di Galaad con le sue città; e diedi alla mezza tribù di Manasse il resto di Galaad e tutto il regno di Og in Basan: tutta la regione di Argob con tutto Basan, che si chiamava il paese dei Refaim. Iair, figlio di Manasse, prese tutta la regione di Argob, sino ai confini dei Ghesuriti, e dei Maacatiti; e chiamò con il suo nome le borgate di Basan, che si chiamano anche oggi Borghi di Iair. E diedi Galaad a Machir. Ai Rubeniti e ai Gaditi diedi una parte di Galaad e il paese fino alla valle dell’Arnon, fino alla metà della valle che serve di confine, e fino al torrente Iabboc, frontiera dei figli di Ammon, e la pianura con il Giordano che ne segna il confine, da Chinneret fino al mare della pianura, il Mar Salato, ai piedi delle pendici del Pisga verso oriente. In quel tempo, io vi diedi quest’ordine, dicendo: ‘L’Eterno, il vostro Dio, vi ha dato questo paese perché lo possediate. Voi tutti, uomini di valore, marcerete armati alla testa dei figli d’Israele, vostri fratelli. Ma le vostre mogli, i vostri fanciulli e il vostro bestiame, e so che del bestiame ne avete molto, rimarranno nelle città che vi ho dato, finché l’Eterno abbia dato riposo ai vostri fratelli come ha fatto a voi, e prendano anche loro possesso del paese che l’Eterno Iddio vostro dà loro al di là del Giordano. Poi ciascuno tornerà nella proprietà che io vi ho dato’. In quel tempo, diedi anche a Giosuè quest’ordine, dicendo: ‘I tuoi occhi hanno visto tutto quello che il vostro Dio, l’Eterno, ha fatto a questi due re; lo stesso farà l’Eterno a tutti i regni nei quali tu stai per entrare. Non li temete, poiché l’Eterno, il vostro Dio, è colui che combatte per voi’. In quello stesso tempo, io supplicai l’Eterno, dicendo: ‘O Signore, o Eterno, tu hai cominciato a mostrare al tuo servo la tua grandezza e la tua mano potente; poiché qual è l’Iddio, in cielo o sulla terra, che possa fare delle opere e dei prodigi pari a quelli che fai tu? Ti prego, lascia che io passi e veda il bel paese che è oltre il Giordano e la bella regione montuosa e il Libano!’. Ma l’Eterno si adirò contro di me, a causa vostra; e non mi esaudì. E l’Eterno mi disse: ‘Basta così; non parlarmi più di questa cosa. Sali in vetta al Pisga, volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente, e contempla il paese con gli occhi tuoi; poiché tu non passerai questo Giordano. Ma da’ i tuoi ordini a Giosuè, fortificalo e incoraggialo, perché sarà lui che lo passerà alla testa di questo popolo, e metterà Israele in possesso del paese che vedrai’. Così ci fermammo nella valle di fronte a Bet-Peor. Ora, dunque, Israele, da’ ascolto alle leggi e alle prescrizioni che io vi insegno perché le mettiate in pratica, affinché viviate ed entriate in possesso del paese che l’Eterno, l’Iddio dei vostri padri, vi dà. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando, e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandamenti dell’Eterno Iddio vostro che io vi prescrivo. Gli occhi vostri videro ciò che l’Eterno fece nel caso di Baal-Peor: come l’Eterno, il tuo Dio, distrusse in mezzo a te tutti quelli che erano andati dietro a Baal-Peor: ma voi, che vi teneste stretti all’Eterno, al vostro Dio, siete oggi tutti in vita. Ecco, io vi ho insegnato leggi e prescrizioni, come l’Eterno, il mio Dio, mi ha ordinato, affinché le mettiate in pratica nel paese nel quale state per entrare per prenderne possesso. Le osserverete dunque e le metterete in pratica; poiché quella sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: ‘Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente!’. Qual è, infatti, la grande nazione alla quale la divinità sia così vicina come l’Eterno, il nostro Dio, è vicino a noi, ogni volta che lo invochiamo? E qual è la grande nazione che abbia delle leggi e delle prescrizioni giuste come è tutta questa legge che io vi espongo quest’oggi? Soltanto, bada bene a te stesso e veglia diligentemente sull’anima tua, affinché non avvenga che tu dimentichi le cose che i tuoi occhi hanno visto, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. Ricordati del giorno che comparisti davanti all’Eterno, al tuo Dio, in Oreb, quando l’Eterno mi disse: ‘Radunami il popolo, e io farò udire loro le mie parole, affinché essi imparino a temermi tutto il tempo che vivranno sulla terra, e le insegnino ai loro figli’. E voi vi avvicinaste, e vi fermaste ai piedi del monte; e il monte era tutto in fiamme che si innalzavano fino al cielo; e vi erano tenebre, nuvole e oscurità. E l’Eterno vi parlò dal fuoco; voi udiste il suono delle parole, ma non vedeste alcuna figura; non udiste che una voce. Egli vi comunicò il suo patto, che vi comandò di osservare, cioè i dieci comandamenti; e li scrisse su due tavole di pietra. E a me, in quel tempo, l’Eterno ordinò di insegnarvi leggi e prescrizioni, perché voi le mettiate in pratica nel paese dove state per passare per prenderne possesso. Poiché, dunque, non vedeste nessuna figura il giorno che l’Eterno vi parlò in Oreb in mezzo al fuoco, vegliate diligentemente sulle anime vostre, affinché non vi corrompiate e vi facciate qualche immagine scolpita, la rappresentazione di qualche idolo, la figura di un uomo o di una donna, la figura di un animale tra quelli che sono sulla terra, la figura di un uccello che vola nei cieli, la figura di una bestia che striscia sul suolo, la figura di un pesce che vive nelle acque sotto la terra; e anche affinché, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito celeste, tu non sia attratto a prostrarti davanti a quelle cose e a offrire loro un culto. Quelle sono cose che l’Eterno, il tuo Dio, ha assegnato a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli. Quanto a voi l’Eterno vi ha presi, vi ha tratti fuori dalla fornace di ferro, dall’Egitto, per essere il suo popolo, la sua eredità, come oggi infatti siete. Ora l’Eterno si adirò contro di me a causa vostra, e giurò che io non avrei passato il Giordano e non sarei entrato nel buon paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà in eredità. Così io dovrò morire in questo paese, senza passare il Giordano, ma voi lo passerete e possederete quel buon paese. Guardatevi dal dimenticare il patto che l’Eterno, il vostro Dio, ha stabilito con voi, e dal farvi alcuna immagine scolpita, o rappresentazione di qualsiasi cosa che l’Eterno, il tuo Dio, ti abbia proibito. Poiché l’Eterno, il tuo Dio, è un fuoco consumante, un Dio geloso. Quando avrai dei figli e dei figli dei tuoi figli e sarete stati molto tempo nel paese, se vi corrompete, se vi fate delle immagini scolpite, delle rappresentazioni di qualsiasi cosa, se fate ciò che è male agli occhi dell’Eterno vostro Dio, per irritarlo, io chiamo oggi come testimoni contro di voi il cielo e la terra, che voi ben presto perirete, scomparendo dal paese di cui andate a prendere possesso di là dal Giordano. Voi non prolungherete i vostri giorni, ma sarete interamente distrutti. L’Eterno vi disperderà fra i popoli e non rimarrà di voi che un piccolo numero fra le nazioni dove l’Eterno vi condurrà. E là servirete dèi fatti da mano d’uomo, dèi di legno e di pietra, i quali non vedono, non odono, non mangiano, non fiutano. Ma di là cercherai l’Eterno, il tuo Dio; e lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua. Nell’angoscia tua, quando tutte queste cose ti saranno avvenute, negli ultimi tempi, tornerai all’Eterno, al tuo Dio, e darai ascolto alla sua voce; poiché l’Eterno, il tuo Dio, è un Dio pietoso; egli non ti abbandonerà e non ti distruggerà; non dimenticherà il patto che giurò ai tuoi padri. Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te, dal giorno che Dio creò l’uomo sulla terra, e da un’estremità dei cieli all’altra: ‘Ci fu mai cosa così grande come questa, e si udì mai cosa simile a questa? ci fu mai popolo che udisse la voce di Dio che parla in mezzo al fuoco come l’hai udita tu, e che sia rimasto vivo? ci fu mai un dio che abbia provato a venire a prendersi una nazione di mezzo a un’altra nazione attraverso prove, segni, miracoli e battaglie, con mano potente e con braccio steso e con gesta terribili, come fece per voi l’Eterno, il vostro Dio, in Egitto, sotto i vostri occhi?’. Tu sei stato fatto testimone di queste cose affinché tu riconosca che l’Eterno è Dio, e che non ce n’è altro fuori di lui. Dal cielo ti ha fatto udire la sua voce per ammaestrarti; e sulla terra ti ha fatto vedere il suo gran fuoco, e tu hai udito le sue parole di mezzo al fuoco. E perché egli ha amato i tuoi padri, ha scelto la loro progenie dopo loro, ed egli stesso, di persona, ti ha fatto uscire dall’Egitto con la sua grande potenza, per cacciare davanti a te nazioni più grandi e più potenti di te, per farti entrare nel loro paese e per dartene il possesso, come oggi si vede. Sappi dunque oggi, e tienilo bene in cuore, che l’Eterno è Dio: lassù nei cieli, e quaggiù sulla terra; e che non ce n’è alcun altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandamenti che oggi ti do, affinché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te, e affinché tu prolunghi per sempre i tuoi giorni nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà”. Allora Mosè scelse tre città di là dal Giordano, verso oriente, perché servissero di rifugio all’omicida che avesse ucciso il suo prossimo involontariamente, senza averlo odiato in precedenza, e perché egli potesse avere salva la vita, rifugiandosi in una di quelle città. Esse furono Beser, nel deserto, nella regione piana, per i Rubeniti; Ramot, in Galaad, per i Gaditi, e Golan, in Basan, per i Manassiti. Questa è la legge che Mosè espose ai figli d’Israele. Queste sono le istruzioni, le leggi e le prescrizioni che Mosè diede ai figli d’Israele quando furono usciti dall’Egitto, di là dal Giordano, nella valle, di fronte a Bet-Peor, nel paese di Sicon, re degli Amorei che dimorava a Chesbon, e che Mosè e i figli d’Israele sconfissero quando furono usciti dall’Egitto. Essi si impossessarono del suo paese e del paese di Og re di Basan, due re degli Amorei, che stavano di là dal Giordano, verso oriente, da Aroer, che è sulle sponde della valle dell’Arnon, fino al monte Sion, che è l’Ermon, con tutta la pianura oltre il Giordano, verso oriente, fino al mare della pianura ai piedi delle pendici del Pisga. Mosè convocò tutto Israele, e disse loro: “Ascolta, Israele, le leggi e le prescrizioni che oggi io proclamo davanti a voi; imparatele, e mettetele diligentemente in pratica. L’Eterno, il nostro Dio, stabilì un patto con noi in Oreb. L’Eterno non stabilì questo patto con i nostri padri, ma con noi, che siamo oggi qui tutti quanti in vita. L’Eterno vi parlò faccia a faccia sul monte, di mezzo al fuoco. Io stavo allora fra l’Eterno e voi per riferirvi la parola dell’Eterno; poiché voi avevate paura di quel fuoco, e non saliste sul monte. Egli disse: ‘Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi di fronte a me. Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a quelle cose e non servire loro, perché io, l’Eterno, il tuo Dio, sono un Dio geloso che punisco l’iniquità dei padri sopra i figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà fino a mille generazioni verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non usare il nome dell’Eterno, del tuo Dio, invano, poiché l’Eterno non terrà per innocente chi avrà usato il suo nome invano. Osserva il giorno del riposo per santificarlo, come l’Eterno, il tuo Dio, ti ha comandato. Lavora sei giorni, e fa’ in essi tutta l’opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo consacrato all’Eterno, al tuo Dio: non fare in esso nessun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il tuo straniero che sta dentro le tue porte, affinché il tuo servo e la tua serva si riposino come te. E ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto, e che l’Eterno, il tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e con braccio steso; perciò l’Eterno, il tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del riposo. Onora tuo padre e tua madre, come l’Eterno, il tuo Dio, ti ha comandato, affinché i tuoi giorni siano prolungati, e tu sia felice sulla terra che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non attestare il falso contro il tuo prossimo. Non concupire la moglie del tuo prossimo, e non bramare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né nessuna cosa che sia del tuo prossimo’. Queste sono le parole che l’Eterno pronunciò parlando a tutta la vostra comunità, sul monte, di mezzo al fuoco, dalla nuvola, dall’oscurità, con voce forte, senza aggiungere altro. Le scrisse su due tavole di pietra, e me le diede. Quando udiste la voce che usciva dalle tenebre, mentre il monte era tutto in fiamme, i vostri capi tribù e i vostri anziani si accostarono tutti a me, e diceste: ‘Ecco, l’Eterno, il nostro Dio, ci ha fatto vedere la sua gloria e la sua grandezza, e noi abbiamo udito la sua voce di mezzo al fuoco; oggi abbiamo visto che Dio ha parlato con l’uomo e l’uomo è rimasto vivo. Ora dunque, perché dovremmo morire? questo grande fuoco ci consumerà; noi moriremo se continuiamo a udire ancora la voce dell’Eterno, del nostro Dio. Poiché qual è il mortale, chiunque egli sia, che abbia udito come noi la voce dell’Iddio vivente parlare di mezzo al fuoco e sia rimasto vivo? Avvicinati tu e ascolta tutto ciò che l’Eterno, il nostro Dio, ti dirà; e ci riferirai tutto ciò che l’Eterno, il nostro Dio, ti avrà detto, e noi lo ascolteremo e lo faremo’. L’Eterno udì le vostre parole, mentre mi parlavate; e l’Eterno mi disse: ‘Io ho udito le parole che questo popolo ti ha rivolto; tutto quello che hanno detto, sta bene. Oh, se avessero sempre un cuore tale da temermi e da osservare tutti i miei comandamenti, per essere felici loro e i loro figli per sempre! Va’ e di’ loro: Tornate alle vostre tende; ma tu resta qui con me, e io ti dirò tutti i comandamenti, tutte le leggi e le prescrizioni che insegnerai loro, perché le mettano in pratica nel paese di cui do loro il possesso’. Abbiate dunque cura di fare ciò che l’Eterno, il vostro Dio, vi ha comandato; non ve ne sviate né a destra né a sinistra; camminate in tutto e per tutto per la via che l’Eterno, il vostro Dio, vi ha prescritto, affinché viviate e siate felici e prolunghiate i vostri giorni nel paese di cui avrete il possesso. Questi sono i comandamenti, le leggi e le prescrizioni che l’Eterno, il vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nel paese nel quale state per passare per prenderne possesso; affinché tu tema il tuo Dio, l’Eterno, osservando, tutti i giorni della tua vita, tu, tuo figlio e il figlio di tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandamenti che io ti do, e affinché i tuoi giorni siano prolungati. Ascolta dunque, Israele, e abbi cura di metterli in pratica, affinché tu sia felice e vi moltiplichiate grandemente nel paese dove scorre il latte e il miele, come l’Eterno, l’Iddio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: l’Eterno, il nostro Dio, è l’unico Eterno. Tu amerai dunque l’Eterno, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze. E questi comandamenti che oggi ti do staranno nel tuo cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando starai seduto in casa tua, quando sarai per strada, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segnale, ti saranno come frontali tra gli occhi, e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte. E quando l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà fatto entrare nel paese che giurò ai tuoi padri, Abraamo, Isacco e Giacobbe, di darti; quando ti avrà condotto alle grandi e buone città che tu non hai costruito, alle case piene di ogni bene che tu non hai riempito, alle cisterne scavate che tu non hai scavato, alle vigne e agli uliveti che tu non hai piantato, e quando mangerai e sarai sazio, guardati dal dimenticare l’Eterno che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Temerai l’Eterno, il tuo Dio, lo servirai e giurerai per il suo nome. Non andrete dietro ad altri dèi, fra gli dèi dei popoli che staranno attorno a voi, perché il tuo Dio, l’Eterno, che sta in mezzo a te, è un Dio geloso; l’ira dell’Eterno, del tuo Dio, si accenderebbe contro di te e ti sterminerebbe dalla terra. Non tenterete l’Eterno vostro Dio, come lo tentaste a Massa. Osserverete diligentemente i comandamenti dell’Eterno vostro Dio, le sue istruzioni e le sue leggi che vi ha dato. E farai ciò che è giusto e buono agli occhi dell’Eterno, affinché tu sia felice ed entri in possesso del buon paese che l’Eterno giurò ai tuoi padri di darti, dopo che egli avrà cacciato tutti i tuoi nemici davanti a te, come l’Eterno ha promesso. Quando, in futuro, tuo figlio ti domanderà: ‘Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste prescrizioni che l’Eterno, il nostro Dio, vi ha dato?’, tu risponderai a tuo figlio: ‘Eravamo schiavi del Faraone in Egitto, e l’Eterno ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. E l’Eterno operò sotto i nostri occhi miracoli e prodigi grandi e disastrosi contro l’Egitto, contro Faraone e contro tutta la sua casa. E ci fece uscire di là per condurci nel paese che aveva giurato ai nostri padri di darci. E l’Eterno ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo l’Eterno, il nostro Dio, affinché fossimo sempre felici, ed egli ci conservasse in vita, come ha fatto finora. E questa sarà la nostra giustizia: l’avere cura di mettere in pratica tutti questi comandamenti davanti all’Eterno, del nostro Dio, come egli ci ha ordinato’. Quando il tuo Dio, l’Eterno, ti avrà fatto entrare nel paese dove vai per prenderne possesso, e avrà scacciato davanti a te molte nazioni: gli Ittiti, i Ghirgasei, gli Amorei, i Cananei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e più potenti di te, e quando l’Eterno, il tuo Dio, le avrà date in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio: non farai con esse alleanza, né farai loro grazia. Non ti imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché distoglierebbero i tuoi figli dal seguire me per farli servire a dèi stranieri, e l’ira dell’Eterno si accenderebbe contro di voi, ed egli ben presto vi distruggerebbe. Ma farete loro così: demolirete i loro altari, spezzerete le loro statue, abbatterete i loro idoli e darete alle fiamme le loro immagini scolpite. Poiché tu sei un popolo consacrato all’Eterno, che è il tuo Dio; l’Eterno, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. L’Eterno ha riposto in voi il suo affetto e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, perché anzi siete meno numerosi di ogni altro popolo; ma perché l’Eterno vi ama, perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, l’Eterno vi ha tratti fuori con mano potente e vi ha redenti dalla casa di schiavitù, dalla mano del Faraone, re d’Egitto. Riconosci dunque che l’Eterno, il tuo Dio, è Dio: l’Iddio fedele, che mantiene il suo patto e la sua benignità fino alla millesima generazione verso quelli che lo amano e osservano i suoi comandamenti ma, a quelli che lo odiano, rende immediatamente ciò che si meritano, distruggendoli; non rimanda, ma rende immediatamente a chi lo odia ciò che si merita. Osserva dunque i comandamenti, le leggi e le prescrizioni che oggi ti do, mettendoli in pratica. E avverrà che, per avere dato ascolto a queste prescrizioni e per averle osservate e messe in pratica, il vostro Dio, l’Eterno, manterrà il patto e la benignità che promise con giuramento ai vostri padri. Egli ti amerà, ti benedirà, ti moltiplicherà, benedirà il frutto del tuo seno e il frutto del tuo suolo: il tuo frumento, il tuo mosto e il tuo olio, i parti delle tue vacche e delle tue pecore, nel paese che giurò ai tuoi padri di darti. Tu sarai benedetto più di tutti i popoli, e non ci sarà in mezzo a te né uomo né donna sterile, né animale sterile fra il tuo bestiame. L’Eterno allontanerà da te ogni malattia, e non manderà su di te nessuna di quelle malattie funeste d’Egitto che ben conoscesti, ma le manderà addosso a quelli che ti odiano. Sterminerai dunque tutti i popoli che l’Eterno, il tuo Dio, sta per dare in tuo potere; il tuo occhio non ne abbia pietà; e non servire ai loro dèi, perché ciò sarebbe per te un laccio. Forse dirai in cuor tuo: ‘Queste nazioni sono più numerose di me; come potrò io cacciarle?’. Non le temere; ricordati di quello che l’Eterno, il tuo Dio, fece al Faraone e a tutti gli Egiziani; ricordati delle grandi prove che vedesti con i tuoi occhi, dei miracoli e dei prodigi, della mano potente e del braccio steso con i quali l’Eterno, il tuo Dio, ti fece uscire dall’Egitto; così farà l’Eterno, il tuo Dio, a tutti i popoli, dei quali hai timore. L’Eterno, il tuo Dio, manderà pure contro di loro i calabroni finché, quelli che saranno rimasti e quelli che si saranno nascosti per paura di te, siano periti. Non ti sgomentare a causa loro, poiché il tuo Dio, l’Eterno, è in mezzo a te, Dio grande e terribile. E l’Eterno, il tuo Dio, scaccerà a poco a poco queste nazioni davanti a te; tu non le potrai distruggere subito perché, altrimenti, le bestie della campagna si moltiplicherebbero a tuo danno; ma il tuo Dio, l’Eterno, le darà in tuo potere, e le metterà interamente in fuga finché siano distrutte. Ti darà nelle mani i loro re, e tu farai scomparire i loro nomi sotto il cielo; nessuno potrà resisterti, finché tu le abbia distrutte. Darai alle fiamme le immagini scolpite dei loro dèi; non desidererai né prenderai per te l’argento che è su di esse, affinché tu non ne sia preso come da un laccio; perché sono un’abominazione per l’Eterno, che è il tuo Dio; e non introdurrai cosa abominevole in casa tua, perché saresti maledetto come lo è quella cosa; dovrai detestarla e aborrirla assolutamente, perché è un interdetto. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, vi moltiplichiate, ed entriate in possesso del paese che l’Eterno giurò di dare ai vostri padri. Ricordati di tutto il cammino che l’Eterno, il tuo Dio, ti ha fatto fare questi quarant’anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma vive di tutto quello che la bocca dell’Eterno avrà ordinato. Il tuo vestito non ti si è logorato addosso, e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni. Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge suo figlio, così il tuo Dio, l’Eterno, corregge te. E osserva i comandamenti dell’Eterno, del tuo Dio, camminando nelle sue vie e temendolo; perché il tuo Dio, l’Eterno, sta per farti entrare in un buon paese: paese di corsi d’acqua, di laghi e di sorgenti che nascono nelle valli e nei monti; paese di frumento, di orzo, di vigne, di fichi e di melograni; paese di ulivi da olio e di miele; paese dove mangerai del pane a volontà, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro, e dai cui monti scaverai il rame. Mangerai dunque e ti sazierai, e benedirai l’Eterno, il tuo Dio, a motivo del buon paese che ti avrà dato. Guardati bene dal dimenticare il tuo Dio, l’Eterno, al punto da non osservare i suoi comandamenti, le sue prescrizioni e le sue leggi che oggi ti do; affinché non avvenga, dopo che avrai mangiato a sazietà e avrai costruito e abitato delle belle case, dopo che avrai visto il tuo bestiame grosso e il tuo minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro, e abbondare ogni cosa tua, che il tuo cuore si innalzi, e tu dimentichi il tuo Dio, l’Eterno, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù; che ti ha condotto attraverso questo grande e terribile deserto, pieno di serpenti velenosi e di scorpioni, terra arida, senza acqua; che ha fatto sgorgare per te dell’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene. Guardati dunque dal dire in cuor tuo: ‘La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze’; ma ricordati dell’Eterno, il tuo Dio, poiché egli ti dà la forza per acquistare ricchezze, e per confermare, come fa oggi, il patto che giurò ai tuoi padri. Ma se tu dimenticherai il tuo Dio, l’Eterno, e andrai dietro ad altri dèi e li servirai e ti prostrerai davanti a loro, io oggi vi dichiaro solennemente che per certo perirete. Perirete come le nazioni che l’Eterno fa perire davanti a voi, perché non avrete dato ascolto alla voce dell’Eterno, del vostro Dio. Ascolta, Israele! Oggi tu stai per passare il Giordano per andare a impadronirti di nazioni più grandi e più potenti di te, di città grandi e fortificate fino al cielo, di un popolo grande e alto di statura, dei figli degli Anachim che tu conosci, e dei quali hai sentito dire: ‘Chi mai può resistere ai figli di Anac?’. Sappi dunque oggi che l’Eterno, il tuo Dio, è colui che marcerà alla tua testa, come un fuoco divorante; egli li distruggerà e li abbatterà davanti a te; tu li scaccerai e li farai perire in un attimo, come l’Eterno ti ha detto. Quando l’Eterno, il tuo Dio, li avrà scacciati davanti a te, non dire nel tuo cuore: ‘È per la mia giustizia che l’Eterno mi ha fatto entrare in possesso di questo paese’; poiché l’Eterno scaccia, davanti a te, queste nazioni per la loro malvagità. No, tu non entri in possesso del loro paese a motivo della tua giustizia, né a motivo della rettitudine del tuo cuore; ma l’Eterno, il tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni davanti a te per la loro malvagità e per mantenere la parola giurata ai tuoi padri, ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe. Sappi, dunque, che l’Eterno, il tuo Dio, non ti dà il possesso di questo buon paese a motivo della tua giustizia, poiché tu sei un popolo di collo duro. Ricordati, non dimenticare come hai provocato ad ira l’Eterno, il tuo Dio, nel deserto. Dal giorno che uscisti dal paese d’Egitto, fino al vostro arrivo in questo luogo, siete stati ribelli all’Eterno. Anche a Oreb provocaste ad ira l’Eterno; e l’Eterno si adirò contro di voi, al punto di volervi distruggere. Quando io salii sul monte a prendere le tavole di pietra, le tavole del patto che l’Eterno aveva stabilito con voi, io rimasi sul monte quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane né bere acqua; e l’Eterno mi diede le due tavole di pietra, scritte con il dito di Dio, sulle quali stavano tutte le parole che l’Eterno vi aveva detto sul monte, di mezzo al fuoco, il giorno dell’adunanza. E fu alla fine dei quaranta giorni e delle quaranta notti che l’Eterno mi diede le due tavole di pietra, le tavole del patto. Poi l’Eterno mi disse: ‘Àlzati, scendi immediatamente di qui, perché il tuo popolo che hai fatto uscire dall’Egitto si è corrotto; hanno ben presto lasciato la via che io avevo loro ordinato di seguire; si sono fatti una immagine di metallo fuso’. L’Eterno mi parlò ancora, dicendo: ‘Io l’ho visto questo popolo; ecco, è un popolo di collo duro; lasciami fare, io li distruggerò e cancellerò il loro nome sotto il cielo, e farò di te una nazione più potente e più grande di loro’. Così io mi voltai e scesi dal monte, dal monte tutto in fiamme, tenendo nelle mie due mani le due tavole del patto. Guardai, ed ecco che avevate peccato contro l’Eterno, il vostro Dio; vi eravate fatti un vitello di metallo fuso; avevate ben presto lasciato la via che l’Eterno vi aveva ordinato di seguire. Allora afferrai le due tavole, le gettai dalle mie mani, e le spezzai sotto i vostri occhi. Poi mi prostrai davanti all’Eterno, come avevo fatto la prima volta, per quaranta giorni e per quaranta notti; non mangiai pane né bevvi acqua, a causa del gran peccato che avevate commesso, facendo ciò che è male agli occhi dell’Eterno, per irritarlo. Poiché io avevo paura nel vedere l’ira e il furore con cui l’Eterno si era acceso contro di voi, al punto di volervi distruggere. Ma l’Eterno mi esaudì anche questa volta. L’Eterno si adirò anche fortemente contro Aaronne, al punto di volerlo far perire, e io pregai in quell’occasione anche per Aaronne. Poi presi l’oggetto del vostro peccato, il vitello che avevate fatto, lo diedi alle fiamme, lo feci a pezzi, frantumandolo finché fosse ridotto in polvere, e buttai quella polvere nel torrente che scende dal monte. Anche a Tabera, a Massa e a Chibrot-Attaava voi irritaste l’Eterno. E quando l’Eterno vi volle far partire da Cades-Barnea, dicendo: ‘Salite, e impossessatevi del paese che io vi do’, voi vi ribellaste all’ordine dell’Eterno, del vostro Dio, non aveste fede in lui, e non ubbidiste alla sua voce. Siete stati ribelli all’Eterno, dal giorno che vi conobbi. Io stetti dunque così prostrato davanti all’Eterno quei quaranta giorni e quelle quaranta notti, perché l’Eterno aveva detto di volervi distruggere. E pregai l’Eterno e dissi: ‘O Signore, o Eterno, non distruggere il tuo popolo, la tua eredità, che hai redento nella tua grandezza, che hai fatto uscire dall’Egitto con mano potente. Ricordati dei tuoi servi, Abraamo, Isacco e Giacobbe; non guardare alla caparbietà di questo popolo, alla sua malvagità, e al suo peccato, affinché il paese da dove ci hai tratti fuori non dica: Siccome l’Eterno non era capace di introdurli nella terra che aveva loro promesso, e siccome li odiava, li ha fatti uscire di qui per farli morire nel deserto. Tuttavia, essi sono il tuo popolo, la tua eredità, che tu traesti fuori dall’Egitto con la tua grande potenza e con il tuo braccio steso’. In quel tempo, l’Eterno mi disse: ‘Taglia due tavole di pietra simili alle prime, e sali da me sul monte; fatti anche un’arca di legno; e io scriverò su quelle tavole le parole che erano sulle prime che tu spezzasti, e tu le metterai nell’arca’. Io feci allora un’arca di legno di acacia, e tagliai due tavole di pietra simili alle prime; poi salii sul monte, tenendo le due tavole in mano. L’Eterno scrisse su quelle due tavole ciò che era stato scritto la prima volta, cioè i dieci comandamenti che l’Eterno aveva pronunciato per voi sul monte in mezzo al fuoco, il giorno dell’assemblea. E l’Eterno me le diede. Allora mi voltai e scesi dal monte; misi le tavole nell’arca che avevo fatto, e là rimangono, come l’Eterno mi aveva ordinato. Ora i figli d’Israele partirono da Beerot-Benè-Iaacan per Mosera. Là Aaronne morì e fu sepolto; ed Eleazar, suo figlio, divenne sacerdote al posto suo. Di là partirono alla volta di Gudgoda; e da Gudgoda alla volta di Iotbata, paese di corsi d’acqua. In quel tempo l’Eterno separò la tribù di Levi per portare l’arca del patto dell’Eterno, per stare davanti all’Eterno ed essere suoi ministri, e per dare la benedizione nel suo nome, come ha fatto fino al giorno d’oggi. Perciò Levi non ha parte né eredità con i suoi fratelli; l’Eterno è la sua eredità, come gli ha detto l’Eterno, il tuo Dio. Ora io rimasi sul monte, come la prima volta, quaranta giorni e quaranta notti; e l’Eterno mi esaudì anche questa volta: l’Eterno non ti volle distruggere. E l’Eterno mi disse: ‘Àlzati, mettiti in cammino alla testa del tuo popolo, ed essi entrino nel paese che giurai ai loro padri di dare loro, e ne prendano possesso’. E ora, Israele, che cosa chiede da te l’Eterno, il tuo Dio, se non che tu tema l’Eterno, il tuo Dio, che tu cammini in tutte le sue vie, che tu lo ami e serva all’Eterno tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua, che tu osservi per il tuo bene i comandamenti dell’Eterno e le sue leggi che oggi ti do? Ecco, all’Eterno, al tuo Dio, appartengono i cieli, i cieli dei cieli, la terra e tutto quanto essa contiene; ma l’Eterno ripose affetto soltanto nei tuoi padri, e li amò; e, dopo di loro, fra tutti i popoli, scelse la loro progenie, cioè voi, come oggi si vede. Circoncidete dunque il vostro cuore e non indurite più il vostro collo; poiché l’Eterno, il vostro Dio, è l’Iddio degli dèi, il Signore dei signori, l’Iddio grande, forte e tremendo, che non ha riguardi personali e non accetta regali, che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito. Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Temi l’Eterno, il tuo Dio, servilo, tieniti stretto a lui, e giura nel suo nome. Egli è l’oggetto delle tue lodi, egli è il tuo Dio, che ha fatto per te queste cose grandi e tremende che gli occhi tuoi hanno visto. I tuoi padri scesero in Egitto in numero di settanta persone; e ora l’Eterno, il tuo Dio, ha fatto di te una moltitudine pari alle stelle dei cieli. Ama dunque l’Eterno, il tuo Dio, e osserva sempre quello che ti dice di osservare, le sue leggi, le sue prescrizioni e i suoi comandamenti. E riconoscete oggi, poiché non parlo ai vostri figli che non hanno conosciuto né hanno visto le lezioni dell’Eterno, del vostro Dio, riconoscete la sua grandezza, la sua mano potente, il suo braccio steso, i suoi miracoli, le opere che fece in mezzo all’Egitto contro Faraone, re d’Egitto, e contro il suo paese; e quello che fece all’esercito d’Egitto, ai suoi cavalli e ai suoi carri, come fece riversare su di loro le acque del Mar Rosso quando essi vi inseguivano, e come li distrusse per sempre; e quello che ha fatto per voi nel deserto, fino al vostro arrivo in questo luogo; e quello che fece a Datan e ad Abiram, figli di Eliab, figlio di Ruben; come la terra spalancò la sua bocca e li inghiottì con le loro famiglie, le loro tende e tutti quelli che erano al loro seguito, in mezzo a tutto Israele. Poiché gli occhi vostri hanno visto le grandi cose che l’Eterno ha fatte. Osservate dunque tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché siate forti e possiate entrare in possesso del paese nel quale state per entrare per impadronirvene, e affinché prolunghiate i vostri giorni sul suolo che l’Eterno giurò di dare ai vostri padri e alla loro progenie: terra dove scorre il latte e il miele. Poiché il paese del quale state per entrare in possesso non è come il paese d’Egitto da dove siete usciti, e nel quale gettavi il tuo seme e poi lo irrigavi con i piedi, come si fa con un orto; ma il paese di cui andate a prendere possesso è un paese di monti e di valli, che beve l’acqua della pioggia che viene dal cielo: paese del quale l’Eterno, il tuo Dio, ha cura, e sul quale stanno sempre gli occhi dell’Eterno, del tuo Dio, dal principio dell’anno fino alla fine. E se ubbidirete diligentemente ai miei comandamenti che oggi vi do, amando il vostro Dio, l’Eterno, e servendolo con tutto il vostro cuore e con tutta l’anima vostra, avverrà che io darò al vostro paese la pioggia a suo tempo: la pioggia d’autunno e di primavera, perché tu possa raccogliere il tuo grano, il tuo vino e il tuo olio; e farò pure crescere dell’erba nei tuoi campi per il tuo bestiame, e tu mangerai e sarai saziato. Vegliate su voi stessi, affinché il vostro cuore non sia sedotto e non lasciate la retta via per servire dèi stranieri prostrandovi davanti a loro, e si accenda contro di voi l’ira dell’Eterno, ed egli chiuda i cieli in modo che non vi sia più pioggia, e la terra non dia più i suoi prodotti, e voi periate ben presto, scomparendo dal buon paese che l’Eterno vi dà. Vi metterete dunque nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segnale e saranno per voi come frontali tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai in viaggio, quando ti coricherai e quando ti alzerai; e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, affinché i vostri giorni e i giorni dei vostri figli, nel paese che l’Eterno giurò ai vostri padri di dare loro, siano numerosi come i giorni dei cieli sopra la terra. Poiché, se osservate diligentemente tutti questi comandamenti che vi do, e li mettete in pratica, amando l’Eterno, il vostro Dio, camminando in tutte le sue vie e tenendovi stretti a lui, l’Eterno scaccerà davanti a voi tutte quelle nazioni, e voi vi impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro; i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al mare occidentale. Nessuno vi potrà resistere; l’Eterno, il vostro Dio, come vi ha detto, incuterà paura e terrore di voi per tutto il paese dove camminerete. Guardate, io metto oggi davanti a voi la benedizione e la maledizione: la benedizione, se ubbidite ai comandamenti dell’Eterno, del vostro Dio, i quali oggi vi do; la maledizione, se non ubbidite ai comandamenti dell’Eterno, del vostro Dio, e se vi allontanate dalla via che oggi vi prescrivo, per andare dietro a dèi stranieri che voi non avete mai conosciuto. E quando l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà introdotto nel paese nel quale vai per prenderne possesso, tu pronuncerai la benedizione sul monte Gherizim, e la maledizione sul monte Ebal. Questi monti non sono di là dal Giordano, dietro la via di ponente, nel paese dei Cananei che abitano nella pianura di fronte a Ghilgal presso le querce di More? Poiché voi state per passare il Giordano per andare a prendere possesso del paese, che l’Eterno, il vostro Dio, vi dà; voi lo possederete e vi abiterete. Abbiate dunque cura di mettere in pratica tutte le leggi e le prescrizioni, che oggi io pongo davanti a voi. Queste sono le leggi e le prescrizioni che avrete cura di osservare nel paese che l’Eterno, l’Iddio dei tuoi padri, ti dà perché tu lo possegga, tutto il tempo che vivrete sulla terra. Distruggerete interamente tutti i luoghi dove le nazioni che state per cacciare servono i loro dèi: sugli alti monti, sui colli, e sotto qualunque albero verdeggiante. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro statue, darete alle fiamme i loro idoli di Astarte, abbatterete le immagini scolpite dei loro dèi, e farete sparire il loro nome da quei luoghi. Non farete così riguardo all’Eterno, al vostro Dio; ma lo cercherete nella sua dimora, nel luogo che l’Eterno, il vostro Dio, avrà scelto fra tutte le vostre tribù, per mettervi il suo nome; e là andrete; là porterete i vostri olocausti e i vostri sacrifici, le vostre decime, quello che le vostre mani avranno prelevato, le vostre offerte votive e le vostre offerte volontarie, e i primogeniti delle vostre mandrie e delle vostre greggi; e là mangerete davanti all’Eterno vostro Dio, e vi rallegrerete, voi e le vostre famiglie, godendo di tutto ciò a cui avrete messo mano, e in cui l’Eterno, il vostro Dio, vi avrà benedetti. Non farete come facciamo oggi qui, dove ognuno fa tutto quello che gli pare bene, perché finora non siete giunti al riposo e all’eredità che l’Eterno, il vostro Dio, vi dà. Ma passerete il Giordano e abiterete il paese che l’Eterno, il vostro Dio, vi dà in eredità, e avrete riposo da tutti i vostri nemici che vi circondano e starete al sicuro; e allora, porterete al luogo che l’Eterno, il vostro Dio, avrà scelto come dimora del suo nome, tutto quello che vi comando: i vostri olocausti e i vostri sacrifici, le vostre decime, quello che le vostre mani avranno prelevato, e tutte le offerte scelte che avrete consacrato in voto all’Eterno. E vi rallegrerete davanti all’Eterno, al vostro Dio, voi, i vostri figli, le vostre figlie, i vostri servi, le vostre serve e il Levita che abiterà nelle vostre città; poiché egli non ha né parte né possesso tra voi. Allora ti guarderai bene dall’offrire i tuoi olocausti in qualunque luogo vedrai; ma offrirai i tuoi olocausti nel luogo che l’Eterno avrà scelto in una delle tue tribù; e là farai tutto quello che ti comando. Però, potrai sgozzare animali a tuo piacimento e mangiarne la carne in tutte le tue città, secondo la benedizione che l’Eterno ti avrà elargito; tanto colui che sarà impuro quanto colui che sarà puro ne potranno mangiare, come si fa della carne di gazzella e di cervo; ma non ne mangerete il sangue; lo spargerai per terra come acqua. Non potrai mangiare nelle tue città le decime del tuo frumento, del tuo mosto, del tuo olio, né i primogeniti dei tuoi armenti e delle tue greggi, né ciò che avrai consacrato per voto, né le tue offerte volontarie, né quel che le tue mani avranno prelevato; mangerai queste cose davanti all’Eterno tuo Dio, nel luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto, tu, tuo figlio, tua figlia, il tuo servo, la tua serva, e il Levita che sarà nelle tue città; e ti rallegrerai davanti all’Eterno tuo Dio, di ogni cosa a cui avrai messo mano. Guardati bene, tutto il tempo che vivrai nel tuo paese, dall’abbandonare il Levita. Quando l’Eterno, il tuo Dio, avrà ampliato i tuoi confini, come ti ha promesso, e tu, desiderando di mangiare della carne dirai: ‘Vorrei mangiare della carne’, potrai mangiare della carne a tuo piacimento. Se il luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto per porvi il suo nome sarà lontano da te, potrai ammazzare bestiame grosso e minuto che l’Eterno ti avrà dato, come ti ho prescritto; e potrai mangiarne nelle tue città a tuo piacimento. Soltanto, ne mangerai come si mangia la carne di gazzella e di cervo; ne potrà mangiare tanto chi sarà impuro quanto chi sarà puro; ma guardati assolutamente dal mangiarne il sangue, perché il sangue è la vita; e tu non mangerai la vita insieme con la carne. Non lo mangerai; lo spargerai per terra come acqua. Non lo mangerai affinché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te, quando avrai fatto ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno. Ma quanto alle cose che avrai consacrato o promesso per voto, le prenderai e andrai al luogo che l’Eterno avrà scelto, e offrirai i tuoi olocausti, la carne e il sangue, sull’altare dell’Eterno, che è il tuo Dio; e il sangue delle altre tue vittime dovrà essere sparso sull’altare dell’Eterno, del tuo Dio, e tu ne mangerai la carne. Osserva e ascolta tutte queste cose che ti comando, affinché sia sempre felice tu e i tuoi figli dopo di te, quando avrai fatto ciò che è bene e giusto agli occhi dell’Eterno, che è il tuo Dio. Quando l’Eterno, il tuo Dio, avrà sterminato davanti a te le nazioni là dove tu stai per andare a spodestarle, e quando le avrai spodestate e ti sarai stabilito nel loro paese, guardati bene dal cadere nel laccio, seguendo il loro esempio, dopo che saranno state distrutte davanti a te, e dall’informarti dei loro dèi, dicendo: ‘Come servivano i loro dèi queste nazioni? Anch’io voglio fare lo stesso’. Non farai così riguardo all’Eterno, al tuo Dio; poiché esse praticavano verso i loro dèi tutto ciò che è abominevole per l’Eterno e che egli detesta; davano perfino alle fiamme i loro figli e le loro figlie, in onore dei loro dèi. Avrete cura di mettere in pratica tutte le cose che vi comando; non vi aggiungerai nulla, e nulla ne toglierai. Quando sorgerà in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti mostri un segno o un prodigio, e il segno o il prodigio di cui ti avrà parlato si compie, ed egli ti dice: ‘Andiamo dietro a dèi stranieri, che tu non hai mai conosciuto, e serviamoli’, tu non darai retta alle parole di quel profeta o di quel sognatore; perché l’Eterno, il vostro Dio, vi mette alla prova per sapere se amate l’Eterno, il vostro Dio, con tutto il vostro cuore e con tutta l’anima vostra. Seguirete l’Eterno, il vostro Dio, temerete lui, osserverete i suoi comandamenti, ubbidirete alla sua voce, lo servirete e vi terrete stretti a lui. E quel profeta o quel sognatore sarà messo a morte, perché avrà predicato l’apostasia dall’Eterno, dal vostro Dio, che vi ha tratti fuori dal paese d’Egitto e vi ha redenti dalla casa di schiavitù, per spingerti fuori della via per la quale l’Eterno, il tuo Dio, ti ha ordinato di camminare. Così toglierai il male di mezzo a te. Se tuo fratello, figlio di tua madre, o tuo figlio o tua figlia o la moglie che riposa sul tuo seno o l’amico che è per te come un altro te stesso, ti inciterà in segreto, dicendo: ‘Andiamo, serviamo altri dèi’: dèi che né tu né i tuoi padri avete mai conosciuto, dèi dei popoli che vi circondano, vicini a te o lontani da te, da una estremità all’altra della terra, tu non acconsentire, non dargli retta; il tuo occhio non abbia pietà di lui; non lo risparmiare, non lo nascondere; anzi uccidilo senz’altro; la tua mano sia la prima ad alzarsi su di lui, per metterlo a morte, poi venga la mano di tutto il popolo; lapidalo, e muoia, perché ha cercato di spingerti lontano dall’Eterno, dal tuo Dio, che ti fece uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. E tutto Israele lo udrà e temerà e non commetterà più in mezzo a te una simile azione malvagia. Se sentirai dire di una delle tue città che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà per abitarle: ‘Degli uomini perversi sono usciti di mezzo a te e hanno sedotto gli abitanti della loro città dicendo: Andiamo, serviamo ad altri dèi’, che voi non avete mai conosciuto, tu farai delle ricerche, investigherai, interrogherai con cura e, se troverai che sia vero, che il fatto sussiste e che una tale abominazione è stata realmente commessa in mezzo a te, allora metterai senz’altro a fil di spada gli abitanti di quella città, la voterai allo sterminio, con tutto quello che contiene, e passerai a fil di spada anche il suo bestiame. E radunerai tutto il bottino in mezzo alla piazza, e darai interamente alle fiamme la città con tutto il suo bottino, come sacrificio arso interamente all’Eterno, che è il vostro Dio; essa sarà per sempre un mucchio di rovine, e non sarà mai più ricostruita. Nulla di ciò che sarà così votato allo sterminio si attaccherà alle tue mani, affinché l’Eterno si trattenga dall’ardore della sua ira, ti faccia misericordia, abbia pietà di te e ti moltiplichi, come giurò di fare ai tuoi padri, se tu ubbidirai alla voce dell’Eterno, del tuo Dio, osservando tutti i suoi comandamenti che oggi ti do, e facendo ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, che è il tuo Dio. Voi siete i figli dell’Eterno, che è il vostro Dio; non fatevi incisioni addosso, e non vi radete i peli tra gli occhi per un morto; poiché tu sei il popolo consacrato all’Eterno, al tuo Dio, e l’Eterno ti ha scelto perché tu fossi, fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra, il suo popolo particolare. Non mangerai nessuna cosa abominevole. Questi sono gli animali che potrete mangiare: il bue, la pecora e la capra; il cervo, la gazzella, il daino, lo stambecco, l’antilope, il capriolo e il camoscio. Potrete mangiare ogni animale che ha l’unghia spartita, il piede forcuto, e che rumina. Ma non mangerete quelli che ruminano soltanto, o che hanno soltanto l’unghia spartita o il piede forcuto; e sono: il cammello, la lepre, l’iràce, che ruminano ma non hanno l’unghia spartita; considerateli come impuri; e anche il maiale, che ha l’unghia spartita ma non rumina; lo considererete come impuro. Non mangerete la loro carne, e non toccherete il loro corpo morto. Fra tutti gli animali che vivono nelle acque, potrete mangiare tutti quelli che hanno pinne e squame; ma non mangerete nessuno di quelli che non hanno pinne e squame; considerateli come impuri. Potrete mangiare qualunque uccello puro; ma ecco quelli che non dovete mangiare: l’aquila, l’ossifraga e l’aquila di mare; il nibbio, il falco e ogni specie di avvoltoio; ogni specie di corvo; lo struzzo, il barbagianni, il gabbiano e ogni specie di sparviere; il gufo, l’ibis, il cigno; il pellicano, lo svasso piccolo, lo smergo; la cicogna, ogni specie di airone, l’upupa e il pipistrello. E considererete come impuro ogni insetto alato; non se ne mangerà. Potrete mangiare ogni volatile puro. Non mangerete nessuna bestia morta da sé; la darai allo straniero che sarà nella tua città perché la mangi, o la venderai a qualche estraneo; poiché tu sei un popolo consacrato all’Eterno, che è il tuo Dio. Non farai cuocere il capretto nel latte di sua madre. Avrete cura di prelevare la decima da tutto quello che produrrà la tua semina, da quello che ti frutterà il campo ogni anno. Mangerai, alla presenza dell’Eterno, del tuo Dio, nel luogo che egli avrà scelto come dimora del suo nome, la decima del tuo frumento, del tuo mosto, del tuo olio, e i primi parti dei tuoi armenti e delle tue greggi, affinché tu impari a temere sempre l’Eterno, il tuo Dio. Ma se il cammino è troppo lungo per te, e tu non puoi portare quelle decime fin là, essendo troppo lontano da te il luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto per stabilirvi il suo nome, perché l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà benedetto, allora le convertirai in denaro, terrai stretto in mano questo denaro, andrai al luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto, e impiegherai quel denaro a comprarti tutto quello che il tuo cuore desidererà: buoi, pecore, vino, bevande alcoliche, o qualunque cosa possa piacerti di più; e là mangerai alla presenza dell’Eterno, del tuo Dio, e ti rallegrerai: tu con la tua famiglia. E il Levita che abita nella tua città, non lo abbandonerai poiché non ha parte né eredità con te. Alla fine di ogni triennio, metterai da parte tutte le decime delle tue entrate del terzo anno, e le depositerai nelle tue città; e il Levita, che non ha parte né eredità con te, e lo straniero e l’orfano e la vedova che saranno nelle tue città verranno, mangeranno e si sazieranno, affinché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica in ogni opera a cui porrai mano. Alla fine di ogni sette anni celebrerete l’anno di remissione. Ecco la norma di questa remissione: ogni creditore sospenderà il suo diritto relativo al prestito fatto al suo prossimo; non esigerà il pagamento dal suo prossimo o dal fratello, quando sarà proclamato l’anno di remissione in onore dell’Eterno. Potrai esigerlo dallo straniero; ma sospenderai il tuo diritto su ciò che tuo fratello ha di tuo. Tuttavia, non ci sarà nessun bisognoso tra voi; poiché l’Eterno senza dubbio ti benedirà nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà in eredità, perché tu lo possegga, purché, però, tu ubbidisca diligentemente alla voce dell’Eterno tuo Dio, avendo cura di mettere in pratica tutti questi comandamenti, che oggi ti do. Il tuo Dio, l’Eterno, ti benedirà come ti ha promesso, e tu farai dei prestiti a molte nazioni, e non prenderai nulla in prestito; dominerai su molte nazioni, ed esse non domineranno su di te. Quando ci sarà in mezzo a te, in una delle tue città nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà, qualcuno dei tuoi fratelli che sarà bisognoso, non indurerai il tuo cuore, e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli aprirai generosamente la mano e gli presterai quanto occorre per la necessità nella quale si trova. Guardati dall’accogliere nel tuo cuore un cattivo pensiero, che ti faccia dire: ‘Il settimo anno, l’anno di remissione, è vicino!’, e ti spinga ad essere spietato verso il tuo fratello bisognoso, così da non dargli nulla; poiché egli griderebbe contro di te all’Eterno, e ci sarebbe del peccato in te. Dagli generosamente; e quando gli darai, il tuo cuore non si rattristi; perché, a motivo di questo, l’Eterno, il tuo Dio, ti benedirà in ogni opera tua e in ogni cosa a cui porrai mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comandamento, e ti dico: ‘Apri generosamente la tua mano al fratello povero e bisognoso nel tuo paese’. Se un tuo fratello ebreo o una sorella ebrea si vende a te, ti servirà sei anni; ma il settimo, lo manderai via da te libero. E quando lo manderai via da te libero, non lo rimanderai a vuoto; lo fornirai generosamente di doni presi dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo strettoio; lo farai partecipe delle benedizioni che l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà elargito; e ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto, e che l’Eterno, il tuo Dio, ti ha redento; perciò io ti do oggi questo comandamento. Ma se avverrà che egli ti dica: ‘Non voglio andarmene da te’, perché ama te e la tua casa e sta bene da te, allora prenderai una lesina, gli forerai l’orecchio contro la porta, ed egli sarà tuo schiavo per sempre. Lo stesso farai per la tua schiava. Non ti dispiaccia rimandarlo libero da te, poiché ti ha servito sei anni, e un mercenario ti sarebbe costato il doppio; e l’Eterno, il tuo Dio, ti benedirà in tutto ciò che farai. Consacrerai all’Eterno, il tuo Dio, ogni primogenito maschio che ti nascerà nelle tue mandrie e nelle tue greggi. Non metterai al lavoro il primogenito della tua vacca, e non toserai il primogenito della tua pecora. Li mangerai ogni anno con la tua famiglia, alla presenza dell’Eterno, del tuo Dio, nel luogo che l’Eterno avrà scelto. E se l’animale ha qualche difetto, se è zoppo o cieco o ha qualche altro grave difetto, non lo sacrificherai all’Eterno, al tuo Dio; lo mangerai nelle tue città; colui che sarà impuro e colui che sarà puro ne mangeranno senza distinzione, come si mangia la gazzella e il cervo. Però, non ne mangerai il sangue; lo spargerai per terra come acqua. Osserva il mese di Abib e celebra la Pasqua in onore dell’Eterno, del tuo Dio; poiché, nel mese di Abib, l’Eterno, il tuo Dio, ti fece uscire dall’Egitto, durante la notte. Immolerai la Pasqua all’Eterno, al tuo Dio, con vittime delle tue greggi e delle tue mandrie, nel luogo che l’Eterno avrà scelto come dimora del suo nome. Non mangerai pane lievitato con queste offerte; per sette giorni mangerai con esse pane azzimo, pane di afflizione, poiché uscisti in fretta dal paese d’Egitto; affinché tu ti ricordi del giorno che uscisti dal paese d’Egitto, tutto il tempo della tua vita. Non si veda lievito presso di te, dentro tutti i tuoi confini, per sette giorni; e della carne che avrai sacrificato la sera del primo giorno, non si conservi nulla durante la notte fino al mattino. Non potrai immolare la Pasqua in una qualunque delle città che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà; anzi, immolerai la Pasqua soltanto nel luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto come dimora del suo nome; la immolerai la sera, al tramonto del sole, nell’ora in cui sei uscito dall’Egitto. Farai cuocere la vittima, e la mangerai nel luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto; e la mattina te ne potrai tornare e andartene alle tue tende. Per sei giorni mangerai pane senza lievito; e il settimo giorno ci sarà una solenne assemblea, in onore dell’Eterno, che è il tuo Dio; non farai nessun lavoro. Conterai sette settimane; da quando si metterà la falce nella messe, comincerai a contare sette settimane; poi celebrerai la festa delle settimane in onore dell’Eterno, del tuo Dio, mediante offerte volontarie, che presenterai nella misura delle benedizioni che avrai ricevuto dall’Eterno, che è il tuo Dio. E ti rallegrerai alla presenza dell’Eterno, del tuo Dio, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, il Levita che sarà nelle tue città, e lo straniero, l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te, nel luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto come dimora del suo nome. Ti ricorderai che fosti schiavo in Egitto, e osserverai e metterai in pratica queste leggi. Celebrerai la festa delle Capanne per sette giorni, quando avrai raccolto il prodotto della tua aia e del tuo strettoio; ti rallegrerai in questa tua festa, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, e il Levita, lo straniero, l’orfano e la vedova che saranno nella tua città. Celebrerai la festa per sette giorni in onore dell’Eterno, del tuo Dio, nel luogo che l’Eterno avrà scelto; poiché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedirà in tutta la tua raccolta e in tutta l’opera delle tue mani, e tu ti darai interamente alla gioia. Tre volte all’anno ogni tuo maschio si presenterà davanti all’Eterno, al tuo Dio, nel luogo che egli avrà scelto: nella festa dei pani azzimi, nella festa delle settimane e nella festa delle capanne; e nessuno si presenterà davanti all’Eterno a mani vuote. Ognuno darà ciò che potrà, secondo le benedizioni che l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà dato. Costituisci dei giudici e dei magistrati in tutte le città che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà, tribù per tribù; ed essi giudicheranno il popolo con giuste sentenze. Non pervertirai il diritto, non avrai riguardi personali, e non accetterai regali, perché il regalo acceca gli occhi dei saggi e corrompe le parole dei giusti. La giustizia, seguirai soltanto la giustizia, affinché tu viva e possegga il paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà. Non pianterai nessun idolo di Astarte, di qualsiasi specie di legno, accanto all’altare che costruirai all’Eterno, che è il tuo Dio; e non erigerai nessuna statua: cosa, che l’Eterno, il tuo Dio, odia. Non immolerai all’Eterno, al tuo Dio, bue o pecora che abbia qualche difetto o qualche deformità, perché sarebbe cosa abominevole per l’Eterno, che è il tuo Dio. Se si troverà in mezzo a te, in una delle città che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà, un uomo o una donna che faccia ciò che è male agli occhi dell’Eterno, del tuo Dio, trasgredendo il suo patto e che vada a servire altri dèi e si prostri davanti a loro, davanti al sole o alla luna o a tutto l’esercito celeste, cosa che io non ho comandato, quando ciò ti sarà riferito e tu lo avrai saputo, informati diligentemente; e se è vero, se il fatto sussiste, se una tale abominazione è stata realmente commessa in Israele, farai condurre alle porte della tua città quell’uomo o quella donna che avrà commesso quell’atto malvagio, e lapiderai quell’uomo o quella donna, così che muoia. Colui che è degno di morte sarà messo a morte sulla deposizione di due o tre testimoni; non sarà messo a morte sulla deposizione di un solo testimone. La mano dei testimoni sarà la prima ad alzarsi contro di lui per farlo morire; poi, la mano di tutto il popolo; così toglierai il male in mezzo a te. Quando il giudizio di una causa sarà troppo difficile per te, che si tratti di un omicidio o di una contestazione o di un ferimento, materie di controversia nelle tue città, ti alzerai e salirai al luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto; andrai dai sacerdoti levitici e dal giudice in carica a quel tempo; li consulterai, ed essi ti faranno conoscere ciò che dice il diritto; e tu ti conformerai a quello che essi ti dichiareranno nel luogo che l’Eterno avrà scelto, e avrai cura di fare tutto quello che ti avranno insegnato. Ti conformerai alla legge che essi ti avranno insegnato e al diritto come te lo avranno dichiarato; non devierai da quello che ti avranno insegnato, né a destra né a sinistra. E l’uomo che avrà la presunzione di non dare ascolto al sacerdote che sta là per servire l’Eterno, il tuo Dio, o al giudice, quell’uomo morirà; così toglierai via il male da Israele; e tutto il popolo udrà la cosa, temerà, e non agirà più con presunzione. Quando sarai entrato nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà e ne avrai preso possesso e lo abiterai, se dici: ‘Voglio costituire un re su di me come tutte le nazioni che mi circondano’, dovrai costituire su di te come re colui che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto. Costituirai su di te come re uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello. Però, non deve avere un gran numero di cavalli, e non deve ricondurre il popolo in Egitto per procurarsi un gran numero di cavalli, poiché l’Eterno vi ha detto: ‘Non rifarete mai più quella via’. E non deve avere neppure un gran numero di mogli; affinché il suo cuore non si svii; e non deve avere neppure una gran quantità d’argento e d’oro. Quando si insedierà sul suo trono reale, scriverà per suo uso in un libro, una copia di questa legge secondo l’esemplare dei sacerdoti levitici. E terrà il libro presso di sé, e lo leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere l’Eterno, il suo Dio, e a mettere diligentemente in pratica tutte le parole di questa legge e tutte queste prescrizioni, affinché il suo cuore non si elevi al di sopra dei suoi fratelli, ed egli non devii da questi comandamenti né a destra né a sinistra, e prolunghi così i suoi giorni nel suo regno, egli con i suoi figli, in mezzo a Israele. I sacerdoti levitici, tutta quanta la tribù di Levi, non avranno parte né eredità con Israele; vivranno dei sacrifici fatti mediante il fuoco all’Eterno, e della eredità di lui. Non avranno, dico, alcuna eredità tra i loro fratelli; l’Eterno è la loro eredità, come egli ha detto loro. Questo sarà il diritto dei sacerdoti sul popolo, su quelli che offriranno come sacrificio sia un bue sia una pecora: essi daranno al sacerdote la spalla, le mascelle e lo stomaco. Gli darai le primizie del tuo frumento, del tuo mosto e del tuo olio, e le primizie della tosatura delle tue pecore; poiché l’Eterno, il tuo Dio, lo ha scelto fra tutte le tue tribù, perché si presenti a fare il servizio nel nome dell’Eterno, lui e i suoi figli per sempre. Quando un Levita, partendo da una qualunque delle città dove soggiorna in Israele, verrà, seguendo il pieno desiderio del suo cuore, al luogo che l’Eterno avrà scelto, e farà il servizio nel nome dell’Eterno, del tuo Dio, come tutti i suoi fratelli Leviti che stanno lì davanti all’Eterno, egli riceverà, per il suo sostentamento, una parte uguale a quella degli altri, oltre quello che può ricavare dalla vendita del suo patrimonio. Quando sarai entrato nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà, non imparerai a imitare le abominazioni di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi faccia passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi eserciti la divinazione, né indovino, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli spiriti, né chi dice la buona fortuna, né negromante; perché chiunque fa queste cose è in abominio all’Eterno; e, a motivo di queste abominazioni, l’Eterno, il tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni davanti a te. Tu sarai integro verso l’Eterno, il tuo Dio; poiché quelle nazioni, il cui paese voi andate a prendere possesso, danno ascolto agli astrologi e agli indovini; ma, quanto a te, l’Eterno, il tuo Dio, ha disposto diversamente. L’Eterno, il tuo Dio, susciterà in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta come me; a lui darete ascolto! Avrai così quello che chiedesti all’Eterno, al tuo Dio, in Oreb, il giorno dell’adunanza, quando dicesti: ‘Che io non oda più la voce dell’Eterno, del mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, affinché io non muoia’. E l’Eterno mi disse: ‘Quello che hanno detto, sta bene; io susciterò loro un profeta come te, in mezzo ai loro fratelli, e metterò le mie parole nella sua bocca, ed egli dirà loro tutto quello che io gli comanderò. E avverrà che se qualcuno non darà ascolto alle mie parole che egli dirà in mio nome, io gliene chiederò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome qualcosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta sarà punito con la morte’. E se tu dici in cuor tuo: ‘Come riconosceremo la parola che l’Eterno non ha detto?’. Quando il profeta parlerà in nome dell’Eterno, e la cosa non succede e non si avvera, quella sarà una parola che l’Eterno non ha detto; il profeta l’ha detta per presunzione; tu non lo temere. Quando l’Eterno, il tuo Dio, avrà sterminato le nazioni delle quali l’Eterno, il tuo Dio, ti dà il paese, e tu succederai a loro e abiterai nelle loro città e nelle loro case, metterai da parte tre città, in mezzo al paese, del quale l’Eterno, il tuo Dio, ti dà il possesso. Preparerai delle strade, e dividerai in tre parti il territorio del paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà come eredità, affinché qualunque omicida si possa rifugiare in quelle città. Ed ecco in quale caso l’omicida che vi si rifugerà avrà salva la vita: chiunque avrà ucciso il suo prossimo involontariamente, senza averlo odiato prima, come se uno, ad esempio, va al bosco con il suo compagno per tagliare della legna e, mentre la mano afferra la scure per abbattere l’albero, il ferro gli sfugge dal manico e colpisce il compagno che poi muore, quel tale si rifugerà in una di queste città e avrà salva la vita; altrimenti, il vendicatore del sangue, mentre l’ira gli arde in cuore, potrebbe inseguire l’omicida e, visto il lungo cammino da fare, raggiungerlo e colpirlo a morte, mentre non era degno di morte, perché non aveva prima odiato il compagno. Perciò ti do quest’ordine: ‘Metti da parte tre città’. E se l’Eterno, il tuo Dio, allarga i tuoi confini, come giurò ai tuoi padri di fare, e ti dà tutto il paese che promise di dare ai tuoi padri, qualora tu abbia cura di osservare tutti questi comandamenti che oggi ti do, amando l’Eterno, il tuo Dio, e camminando sempre nelle sue vie, aggiungerai altre tre città a quelle prime tre, affinché non si sparga sangue innocente in mezzo al paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà in eredità, e tu non ti renda colpevole di omicidio. Ma se un uomo odia il suo prossimo, gli tende insidie, lo assale, lo percuote in modo da causargli la morte, e poi si rifugia in una di quelle città, gli anziani della sua città lo manderanno a trarre fuori di là, e lo daranno nelle mani del vendicatore del sangue, affinché sia messo a morte. Il tuo occhio non ne avrà pietà; toglierai via da Israele il sangue innocente, e così sarai felice. Non sposterai i confini del tuo prossimo, posti dai tuoi antenati, nell’eredità che avrai nel paese di cui l’Eterno, il tuo Dio, ti dà il possesso. Un solo testimone non sarà sufficiente contro qualcuno, qualunque sia il delitto o il peccato che questi abbia commesso; il fatto sarà stabilito sulla deposizione di due o di tre testimoni. Quando un falso testimone si alzerà contro qualcuno per accusarlo di un delitto, i due uomini fra i quali ha luogo la contestazione compariranno davanti all’Eterno, davanti ai sacerdoti e ai giudici in carica in quei giorni. I giudici faranno una diligente inchiesta; e se quel testimone risulta un testimone falso, che ha deposto il falso contro suo fratello, farete a lui quello che egli aveva intenzione di fare a suo fratello. Così toglierai via il male di mezzo a te. Gli altri lo udranno e temeranno, e da allora in poi non si commetterà più in mezzo a te una simile malvagità. Il tuo occhio non avrà pietà: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede. Quando andrai alla guerra contro i tuoi nemici e vedrai cavalli e carri e gente più numerosa di te, non li temere, perché l’Eterno, il tuo Dio, che ti fece salire dal paese d’Egitto, è con te. E quando sarete sul punto di dare battaglia, il sacerdote si farà avanti, parlerà al popolo e gli dirà: ‘Ascolta, Israele! Voi oggi state per ingaggiare battaglia contro i vostri nemici; il vostro cuore non venga meno; non temete, non vi smarrite e non vi spaventate davanti a loro, perché l’Eterno, il vostro Dio, è colui che marcia con voi per combattere per voi contro i vostri nemici, e per salvarvi’. Poi gli ufficiali parleranno al popolo, dicendo: ‘C’è qualcuno che ha costruito una casa nuova e non l’ha ancora dedicata? Vada, torni a casa sua, perché non muoia in battaglia e un altro dedichi la casa. C’è qualcuno che ha piantato una vigna e non ne ha ancora goduto il frutto? Vada, torni a casa sua, perché non muoia in battaglia e un altro ne goda il frutto. C’è qualcuno che si è fidanzato con una donna e non l’ha ancora presa con sé? Vada, torni a casa sua, perché non muoia in battaglia, e un altro se la prenda’. E gli ufficiali parleranno ancora al popolo, dicendo: ‘C’è qualcuno che ha paura e sente il cuore che gli viene meno? Vada, torni a casa sua, perché il cuore dei suoi fratelli non si avvilisca come il suo’. E appena gli ufficiali avranno finito di parlare al popolo, costituiranno i capi delle schiere alla testa del popolo. Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace. Se acconsente alla pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e soggetto, ma se essa non vuole fare pace con te e ti vuole fare guerra, allora la assedierai; e quando l’Eterno, il tuo Dio, te l’avrà data nelle mani, passerai a fil di spada tutti i maschi; ma le donne, i bambini, il bestiame e tutto ciò che sarà nella città, tutto quanto il suo bottino, li prenderai come tua preda; e mangerai il bottino dei tuoi nemici, che l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà dato. Così farai per tutte le città che sono molto lontane da te, e che non sono città di queste nazioni. Ma nelle città di questi popoli che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà come eredità, non conserverai in vita nulla che respiri; ma voterai a completo sterminio gli Ittiti, gli Amorei, i Cananei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei, come l’Eterno, il tuo Dio, ti ha comandato di fare; affinché essi non vi insegnino a imitare tutte le abominazioni che fanno per i loro dèi, e voi non pecchiate contro l’Eterno, che è il vostro Dio. Quando assedierai una città per lungo tempo, attaccandola per prenderla, non ne distruggerai gli alberi a colpi di scure; ne mangerai il frutto, ma non li abbatterai; poiché l’albero della campagna è forse un uomo che tu lo debba includere nell’assedio? Però potrai distruggere e abbattere gli alberi che saprai non essere alberi da frutto, e ne costruirai delle opere d’assedio contro la città che fa guerra con te, finché non sia caduta. Quando nella terra di cui l’Eterno, il tuo Dio, ti dà il possesso si troverà un uomo ucciso, disteso in un campo, senza che si sappia chi l’abbia ucciso, i tuoi anziani e i tuoi giudici usciranno e misureranno la distanza fra l’ucciso e le città dei dintorni. Poi gli anziani della città più vicina all’ucciso prenderanno una giovenca, che non abbia ancora lavorato né portato il giogo; e gli anziani di quella città faranno scendere la giovenca presso un corso d’acqua corrente in un luogo dove non si lavora e non si semina, e là spezzeranno il collo alla giovenca nel torrente. E i sacerdoti figli di Levi, si avvicineranno; poiché l’Eterno, il tuo Dio, li ha scelti per servirlo e per dare la benedizione nel nome dell’Eterno, e la loro parola deve decidere ogni controversia e ogni caso di lesione. Allora tutti gli anziani di quella città che sono più vicini all’ucciso, si laveranno le mani sulla giovenca a cui si sarà spezzato il collo nel torrente; e, prendendo la parola, diranno: ‘Le nostre mani non hanno sparso questo sangue, e i nostri occhi non lo hanno visto spargere. O Eterno, perdona al tuo popolo Israele che tu hai riscattato, e non ritenere responsabile il tuo popolo Israele del sangue innocente’. E quel sangue sparso sarà loro perdonato. Così tu toglierai via di mezzo a te il sangue innocente, perché avrai fatto ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno. Quando andrai alla guerra contro i tuoi nemici e l’Eterno, il tuo Dio, te li avrà dati nelle mani e tu avrai fatto dei prigionieri, se vedrai tra i prigionieri una donna bella di aspetto, e ti affezionerai e vorrai prenderla per moglie, la condurrai in casa tua; lei si raderà il capo, si taglierà le unghie, si toglierà il vestito che portava quando fu presa, abiterà in casa tua, e piangerà suo padre e sua madre per un mese intero; poi entrerai da lei, e tu sarai suo marito, e lei tua moglie. E se avverrà che non ti piace più, la lascerai andare dove vorrà; ma non la potrai in nessun modo vendere per denaro né trattare da schiava, poiché l’hai umiliata. Quando un uomo avrà due mogli, l’una amata e l’altra odiata, e tanto l’amata quanto l’odiata gli danno dei figli, se il primogenito è figlio dell’odiata, nel giorno che egli dividerà tra i suoi figli i beni che possiede, non potrà fare primogenito il figlio dell’amata, anteponendolo al figlio dell’odiata, che è il primogenito; ma riconoscerà come primogenito il figlio dell’odiata, dandogli una parte doppia di tutto quello che possiede; poiché egli è la primizia del suo vigore, e a lui appartiene il diritto di primogenitura. Quando un uomo avrà un figlio caparbio e ribelle che non ubbidisce alla voce né di suo padre né di sua madre, e benché lo abbiano castigato non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della sua città, alla porta del luogo dove abita, e diranno agli anziani della sua città: ‘Questo nostro figlio è caparbio e ribelle; non vuole ubbidire alla nostra voce, è un ghiottone e un ubriacone’; e tutti gli uomini della sua città lo lapideranno, così che muoia; così toglierai via di mezzo a te il male, e tutto Israele lo saprà e temerà. E quando uno avrà commesso un delitto degno di morte, e tu lo avrai fatto morire impiccandolo a un albero, il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai senza indugio lo stesso giorno; perché colui che è appeso è maledetto da Dio, e tu non contaminerai la terra che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà come eredità. Se vedi il bue o la pecora di tuo fratello che si sono smarriti, tu non farai finta di non vederli, ma avrai cura di ricondurli a tuo fratello. E se tuo fratello non abita vicino a te e non lo conosci, raccoglierai l’animale in casa tua, e rimarrà da te finché tuo fratello non ne faccia ricerca; e allora glielo renderai. Lo stesso farai del suo asino, lo stesso della sua veste, lo stesso di qualunque altro oggetto che tuo fratello abbia perso e che tu trovi; tu non farai finta di non averli visti. Se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto nella strada, tu non farai finta di non averli visti, ma dovrai aiutare tuo fratello a rialzarli. La donna non si vestirà da uomo, né l’uomo si vestirà da donna; poiché chiunque fa tali cose è in abominio all’Eterno, il tuo Dio. Quando, strada facendo, ti capiterà di trovare sopra un albero o per terra un nido di uccello con dei pulcini o delle uova e la madre che cova i pulcini o le uova, non prenderai la madre con i piccini; avrai cura di lasciar andare la madre, prendendo per te i piccini; e questo affinché tu sia felice e prolunghi i tuoi giorni. Quando costruirai una casa nuova, farai un parapetto intorno al tuo tetto, per non attirare sangue sulla tua casa, nel caso che qualcuno dovesse cascare di lassù. Non seminerai nella tua vigna semi di specie diverse; perché altrimenti il prodotto di ciò che avrai seminato e la rendita della vigna saranno cosa consacrata. Non lavorerai con un bue e un asino aggiogati assieme. Non porterai un vestito di tessuto misto, fatto di lana e di lino. Metterai delle frange ai quattro angoli del mantello con cui ti copri. Se un uomo sposa una donna, convive con lei e poi la prende in odio, l’accusa di cose indecenti e la diffama, dicendo: ‘Ho preso questa donna, e quando mi sono accostato a lei non l’ho trovata vergine’, il padre e la madre della giovane prenderanno le prove della verginità della giovane e le presenteranno davanti agli anziani della città, alla porta; e il padre della giovane dirà agli anziani: ‘Io ho dato la mia figlia per moglie a quest’uomo; egli l’ha presa in odio, ed ecco che la accusa di cose infami, dicendo: Non ho trovato vergine tua figlia; ora ecco qua le prove della verginità di mia figlia’. E spiegheranno il lenzuolo davanti agli anziani della città. Allora gli anziani di quella città prenderanno il marito e lo castigheranno; e siccome ha diffamato una vergine d’Israele, lo condanneranno a un’ammenda di cento sicli d’argento, che daranno al padre della giovane. Lei rimarrà sua moglie ed egli non potrà mandarla via per tutto il tempo della sua vita. Ma se la cosa è vera, se la giovane non è stata trovata vergine, allora si farà uscire quella giovane all’ingresso della casa di suo padre, e la gente della sua città la lapiderà, così che lei muoia, perché ha commesso un atto infame in Israele, prostituendosi in casa di suo padre. Così toglierai via il male di mezzo a te. Quando si troverà un uomo coricato con una donna sposata, entrambi moriranno: l’uomo che si è coricato con la donna, e la donna. Così toglierai via il male di mezzo a Israele. Quando una fanciulla vergine è fidanzata, e un uomo, trovandola in città, si corica con lei, condurrete entrambi alla porta di quella città, e li lapiderete così che muoiano: la fanciulla, perché essendo in città, non ha gridato; e l’uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così toglierai via il male di mezzo a te. Ma se l’uomo trova per i campi la fanciulla fidanzata e facendole violenza, si corica con lei, allora morirà soltanto l’uomo che si è coricato con lei; ma non farai niente alla fanciulla; nella fanciulla non c’è colpa degna di morte; si tratta di un caso come quello di un uomo che assale il suo prossimo, e lo uccide; poiché egli l’ha trovata per i campi, la fanciulla fidanzata ha gridato, ma non c’era nessuno per salvarla. Se un uomo trova una fanciulla vergine che non è fidanzata, l’afferra, e si corica con lei, e sono sorpresi, l’uomo che si è coricato con lei darà al padre della fanciulla cinquanta sicli d’argento, e lei sarà sua moglie, perché l’ha disonorata; e non potrà mandarla via per tutto il tempo della sua vita. Nessuno prenderà la moglie di suo padre né solleverà il lembo della coperta di suo padre. L’eunuco a cui sono state infranti o mutilati i genitali, non entrerà nell’assemblea dell’Eterno. Il bastardo non entrerà nell’assemblea dell’Eterno; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione, entrerà nell’assemblea dell’Eterno. L’Ammonita e il Moabita non entreranno nell’assemblea dell’Eterno; nessuno dei loro discendenti, neppure alla decima generazione, entrerà nell’assemblea dell’Eterno; non entreranno mai, perché non vi vennero incontro con il pane e con l’acqua nel vostro viaggio, quando usciste dall’Egitto, e perché assoldarono contro di te Balaam, figlio di Beor, da Petor in Mesopotamia, per maledirti. Ma l’Eterno, il tuo Dio, non volle ascoltare Balaam; ma l’Eterno, il tuo Dio, mutò per te la maledizione in benedizione perché l’Eterno, il tuo Dio, ti ama. Non cercherai mai né la loro pace né la loro prosperità, finché tu viva. Non detesterai l’Idumeo, poiché è tuo fratello; non detesterai l’Egiziano, perché fosti straniero nel suo paese; i figli che nasceranno loro potranno, alla terza generazione, entrare nell’assemblea dell’Eterno. Quando uscirai e ti accamperai contro i tuoi nemici, guardati da ogni cosa malvagia. Se c’è qualcuno in mezzo a te che è impuro a causa di un accidente notturno, uscirà dal campo, e non vi rientrerà; sulla sera si laverà con acqua, e dopo il tramonto del sole potrà rientrare nell’accampamento. Avrai pure un luogo fuori dall’accampamento e là fuori andrai per i tuoi bisogni; e fra i tuoi utensili avrai una pala, con la quale, quando vorrai andare fuori per i tuoi bisogni, scaverai la terra, e coprirai i tuoi escrementi. Poiché l’Eterno, il tuo Dio, cammina in mezzo al tuo campo per liberarti e per darti nelle mani i tuoi nemici; perciò il tuo campo dovrà essere santo; affinché l’Eterno non veda in mezzo a te nessuna indecenza e debba ritirarsi da te. Non consegnerai al suo padrone lo schiavo che, dopo averlo lasciato, si sarà rifugiato presso di te. Rimarrà da te, nel tuo paese, nel luogo che avrà scelto, in quella delle tue città che gli sembrerà meglio; e non lo molesterai. Non ci sarà nessuna prostituta tra le figlie d’Israele, né vi sarà nessun uomo che si prostituisca tra i figli d’Israele. Non porterai nella casa dell’Eterno, del tuo Dio, il salario di una prostituta né il prezzo della vendita di un cane, per sciogliere qualsiasi voto; poiché entrambe sono cose abominevoli per l’Eterno, che è il tuo Dio. Non farai a tuo fratello prestiti a interesse, né di denaro, né di viveri, né di qualsiasi cosa che si presta a interesse. Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non a tuo fratello; affinché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica in tutto ciò a cui porrai mano, nel paese dove stai per entrare per prenderne possesso. Quando avrai fatto un voto all’Eterno, al tuo Dio, non tarderai ad adempierlo; poiché l’Eterno, il tuo Dio, te ne chiederebbe certamente conto, e tu saresti colpevole; ma se ti astieni dal fare voti, non commetti peccato. Mantieni e adempi la parola uscita dalle tue labbra; fa’ secondo il voto che avrai fatto volontariamente all’Eterno, al tuo Dio, e che la tua bocca avrà pronunciato. Quando entrerai nella vigna del tuo prossimo, potrai a tuo piacere mangiare dell’uva a sazietà, ma non ne metterai nel tuo paniere. Quando entrerai nei campi di grano del tuo prossimo, potrai cogliere delle spighe con la mano; ma non metterai la falce nel grano del tuo prossimo. Quando un uomo prende una donna e la sposa, se poi avviene che lei non gli è più gradita perché ha trovato in lei qualcosa di vergognoso, scriva per lei un atto di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via di casa sua. Se lei, uscita dalla casa di quell’uomo, va e diventa moglie di un altro marito, e quest’altro marito la prende in odio, scrive per lei una lettera di ripudio, gliela consegna in mano e la manda via da casa sua, o se quest’altro marito che l’aveva presa per moglie, muore, il primo marito che l’aveva mandata via non potrà riprenderla per moglie dopo che lei è stata contaminata; poiché sarebbe un’abominazione agli occhi dell’Eterno; e tu non macchierai di peccato il paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà come eredità. Quando un uomo si sarà sposato da poco, non andrà alla guerra, e non gli sarà imposto nessun incarico; sarà libero per un anno di starsene a casa e farà lieta la moglie che ha sposato. Nessuno prenderà in pegno le due macine, né la macina superiore, perché sarebbe come prendere in pegno la vita. Quando si troverà un uomo che ha rapito qualcuno dei suoi fratelli tra i figli d’Israele, ne abbia fatto un suo schiavo e l’abbia venduto, quel ladro sarà messo a morte; così toglierai via il male di mezzo a te. State in guardia contro la piaga della lebbra, per osservare diligentemente e fare tutto quello che i sacerdoti levitici vi insegneranno; avrete cura di fare come io ho loro ordinato. Ricordati di quello che l’Eterno, il tuo Dio, fece a Miriam, durante il viaggio, dopo che foste usciti dall’Egitto. Quando presterai qualsiasi cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno; te ne starai di fuori, e l’uomo a cui avrai fatto il prestito, ti porterà il pegno fuori. E se quell’uomo è povero, non ti coricherai avendo ancora il suo pegno. Non mancherai di restituirgli il pegno, al tramonto del sole, affinché egli possa dormire nel suo mantello, e benedirti; e questo ti sarà contato come un atto di giustizia agli occhi dell’Eterno, che è il tuo Dio. Non froderai l’operaio povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno degli stranieri che stanno nel tuo paese, dentro le tue porte; gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole; poiché è povero, e lo aspetta con impazienza; così egli non griderà contro di te all’Eterno, e tu non commetterai un peccato. Non si metteranno a morte i padri per i figli, né si metteranno a morte i figli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato. Non lederai il diritto dello straniero o dell’orfano, e non prenderai in pegno la veste della vedova; ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto, e che di là, l’Eterno, il tuo Dio ti ha redento; perciò io ti comando che tu faccia così. Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, avrai dimenticato qualche covone, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per l’orfano e per la vedova, affinché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica in tutta l’opera delle tue mani. Quando scuoterai i tuoi ulivi, non tornerai a ripassare le olive rimaste sui rami; saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non ripasserai a cogliere i grappoli rimasti; saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. E ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti comando che tu faccia così. Quando sorgerà una lite fra alcuni uomini e verranno in giudizio, i giudici che li giudicheranno assolveranno l’innocente e condanneranno il colpevole. E se il colpevole avrà meritato di essere battuto, il giudice lo farà distendere per terra e battere in sua presenza, con un numero di colpi proporzionato alla gravità della sua colpa. Gli farà dare non più di quaranta colpi, per timore che tuo fratello resti disonorato agli occhi tuoi, qualora si oltrepassasse di molto questo numero di colpi. Non metterai la museruola al bue che trebbia il grano. Quando dei fratelli staranno insieme, e uno di essi morrà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà fuori, con uno straniero; suo cognato verrà da lei e la prenderà per moglie, compiendo così verso di lei il suo dovere di cognato; e il primogenito che lei partorirà, succederà al fratello defunto e ne porterà il nome, affinché questo nome non sia estinto in Israele. E se quell’uomo non vuole prendere sua cognata, la cognata salirà alla porta dagli anziani e dirà: ‘Mio cognato rifiuta di far rivivere in Israele il nome di suo fratello; egli non vuole compiere verso di me il suo dovere di cognato’. Allora gli anziani della sua città lo chiameranno e gli parleranno; e se egli persiste e dice: ‘Non voglio prenderla’, allora sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani, gli leverà il calzare dal piede, gli sputerà in faccia, e dirà: ‘Così sarà fatto all’uomo che non vuole costruire la casa di suo fratello’. E la sua casa sarà chiamata in Israele ‘La casa dello scalzo’. Quando alcuni litigheranno fra loro, e la moglie di uno si avvicinerà per liberare suo marito dalle mani di colui che lo percuote, e stendendo la mano afferrerà quest’ultimo per i genitali, tu le mozzerai la mano; il tuo occhio non ne abbia pietà. Non avrai nel tuo sacco due pesi, uno grande e uno piccolo. Non avrai in casa due misure, una grande e una piccola. Terrai pesi esatti e giusti, terrai misure esatte e giuste, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà. Poiché chiunque fa altrimenti, chiunque commette ingiustizia, è in abominio all’Eterno, al tuo Dio. Ricordati di ciò che ti fece Amalec, durante il viaggio, quando usciste dall’Egitto: come egli ti attaccò per la strada, piombando da dietro su tutti i deboli che ti seguivano, quando eri già stanco e sfinito, e come non ebbe alcun timore di Dio. Quando dunque l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà dato riposo, liberandoti da tutti i tuoi nemici che ti circondano nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà come eredità perché tu lo possegga, cancellerai la memoria di Amalec sotto al cielo: non te ne dimenticare! Quando sarai entrato nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà come eredità, e lo possederai e ti sarai stabilito, prenderai delle primizie di tutti i frutti del suolo da te raccolti nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà, le metterai in un paniere, e andrai al luogo che l’Eterno, il tuo Dio, avrà scelto come dimora del suo nome. Ti presenterai al sacerdote in carica in quei giorni, e gli dirai: ‘Io dichiaro oggi all’Eterno, al tuo Dio, che sono entrato nel paese che l’Eterno giurò ai nostri padri di darci’. Il sacerdote prenderà il paniere dalle tue mani, e lo deporrà davanti all’altare dell’Eterno, del tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti all’Eterno, che è il tuo Dio: ‘Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come straniero con poca gente, e diventò una nazione grande, potente e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo all’Eterno, all’Iddio dei nostri padri, e l’Eterno udì la nostra voce, vide la nostra umiliazione, il nostro travaglio e la nostra oppressione, e l’Eterno ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio steso, con grandi terrori, con miracoli e con prodigi, e ci ha condotti in questo luogo e ci ha dato questo paese, paese dove scorre il latte e il miele. E ora, ecco, io porto le primizie dei frutti del suolo che tu, o Eterno, mi hai dato!’. E le deporrai davanti all’Eterno, al tuo Dio, e ti prostrerai davanti all’Eterno, al tuo Dio; e ti rallegrerai, tu con il Levita e con lo straniero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che l’Eterno, il tuo Dio, avrà dato a te e alla tua casa. Quando avrai finito di prelevare tutte le decime delle tue entrate, il terzo anno, l’anno delle decime, e le avrai date al Levita, allo straniero, all’orfano e alla vedova perché ne mangino nelle tue città e siano saziati, dirai, davanti all’Eterno, al tuo Dio: ‘Io ho tolto dalla mia casa ciò che era consacrato, e l’ho dato al Levita, allo straniero, all’orfano e alla vedova, interamente secondo gli ordini che mi hai dato; non ho trasgredito né dimenticato nessuno dei tuoi comandamenti. Non ho mangiato cose consacrate, durante il mio lutto; non ne ho tolto nulla quando ero impuro, e non ne ho dato nulla in occasione di qualche morto; ho ubbidito alla voce dell’Eterno, del mio Dio, e ho fatto interamente come tu mi hai comandato. Volgi a noi lo sguardo dalla dimora della tua santità, dal cielo, e benedici il tuo popolo Israele e la terra che ci hai dato, come giurasti ai nostri padri, terra dove scorre il latte e il miele’. Oggi, l’Eterno, il tuo Dio, ti comanda di mettere in pratica queste leggi e queste prescrizioni; osservale dunque, mettile in pratica con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua. Tu hai fatto dichiarare oggi all’Eterno che egli sarà il tuo Dio, purché tu cammini nelle sue vie e osservi le sue leggi, i suoi comandamenti, le sue prescrizioni, e tu ubbidisca alla sua voce. E l’Eterno ti ha fatto dichiarare oggi che sarai il suo popolo particolare, come egli ti ha detto, e che osserverai tutti i suoi comandamenti, affinché egli ti renda eccelso per gloria, rinomanza e splendore, su tutte le nazioni che ha fatte, e tu sia un popolo consacrato all’Eterno, al tuo Dio, come egli ti ha detto”. Allora Mosè e gli anziani d’Israele diedero quest’ordine al popolo: “Osservate tutti i comandamenti che oggi vi do. E quando avrete passato il Giordano per entrare nel paese che l’Eterno, il vostro Dio, vi dà, erigerai delle grandi pietre, e le intonacherai di calce. Poi vi scriverai sopra tutte le parole di questa legge, quando avrai passato il Giordano per entrare nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà: paese dove scorre il latte e il miele, come l’Eterno, l’Iddio dei tuoi padri, ti ha detto. Quando dunque avrete passato il Giordano, erigerete sul monte Ebal queste pietre, come oggi vi comando, e le intonacherete di calce. Lì costruirai pure un altare all’Eterno, il tuo Dio: un altare di pietre, sulle quali non passerai ferro. Costruirai l’altare dell’Eterno, del tuo Dio, di pietre intatte, e su di esso offrirai degli olocausti all’Eterno, al tuo Dio. Offrirai dei sacrifici di ringraziamento, e lì mangerai e ti rallegrerai davanti all’Eterno, al tuo Dio. E scriverai su quelle pietre tutte le parole di questa legge, in modo che siano nitidamente scolpite”. E Mosè e i sacerdoti levitici parlarono a tutto Israele, dicendo: “Fa’ silenzio e ascolta, o Israele! Oggi sei diventato il popolo dell’Eterno, del tuo Dio. Ubbidirai quindi alla voce dell’Eterno, del tuo Dio, e metterai in pratica i suoi comandamenti e le sue leggi che oggi ti do”. In quello stesso giorno Mosè diede pure quest’ordine al popolo: “Quando avrete passato il Giordano, ecco quelli che staranno sul monte Gherizim per benedire il popolo: Simeone, Levi, Giuda, Issacar, Giuseppe e Beniamino; ed ecco quelli che staranno sul monte Ebal, per pronunciare la maledizione: Ruben, Gad, Ascer, Zabulon, Dan e Neftali. I Leviti parleranno e diranno ad alta voce a tutti gli uomini d’Israele: ‘Maledetto l’uomo che fa un’immagine scolpita o di metallo fuso, cosa abominevole per l’Eterno, opera di mano di artefice, e la pone in luogo occulto!’. E tutto il popolo risponderà e dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi disprezza suo padre o sua madre!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi sposta i confini del suo prossimo!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi fa smarrire al cieco il suo cammino!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi lede il diritto dello straniero, dell’orfano e della vedova!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi si corica con la moglie di suo padre, perché ha sollevato il lembo della coperta di suo padre!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi si corica con qualsiasi bestia!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi si corica con la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi si corica con sua suocera!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi uccide il suo prossimo di nascosto!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi accetta un regalo per condannare a morte un innocente!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. ‘Maledetto chi non si attiene alle parole di questa legge, per metterle in pratica!’. E tutto il popolo dirà: ‘Amen’. Ora, se tu ubbidisci diligentemente alla voce dell’Eterno, del tuo Dio, avendo cura di mettere in pratica tutti i suoi comandamenti che oggi ti do, avverrà che l’Eterno, il tuo Dio, ti innalzerà sopra tutte le nazioni della terra; e tutte queste benedizioni verranno su te e si compiranno per te, se darai ascolto alla voce dell’Eterno, del tuo Dio: Sarai benedetto nelle città e sarai benedetto nella campagna. Benedetto sarà il frutto del tuo seno, il frutto del tuo suolo e il frutto del tuo bestiame; benedetti i parti delle tue vacche e delle tue pecore. Benedetti saranno il tuo paniere e la tua madia. Sarai benedetto al tuo entrare e benedetto al tuo uscire. L’Eterno farà sì che i tuoi nemici, quando si alzeranno contro di te, siano sconfitti davanti a te; usciranno contro di te per una strada, e per sette strade fuggiranno davanti a te. L’Eterno ordinerà alla benedizione di essere con te nei tuoi granai e in tutto ciò a cui metterai mano; e ti benedirà nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà. L’Eterno ti stabilirà perché tu sia il suo popolo santo, come ti ha giurato, se osserverai i comandamenti dell’Eterno tuo Dio, e se camminerai nelle sue vie; e tutti i popoli della terra vedranno che tu porti il nome dell’Eterno, e ti temeranno. L’Eterno, il tuo Dio, ti colmerà di beni, moltiplicando il frutto del tuo seno, il frutto del tuo bestiame e il frutto del tuo suolo, nel paese che l’Eterno giurò ai tuoi padri di darti. L’Eterno aprirà per te il suo buon tesoro, il cielo, per dare alla tua terra la pioggia a suo tempo, e per benedire tutta l’opera delle tue mani, e tu presterai a molte nazioni e non prenderai nulla in prestito. L’Eterno ti metterà alla testa e non alla coda, e sarai sempre in alto e mai in basso, se ubbidirai ai comandamenti dell’Eterno, del tuo Dio, i quali oggi ti do perché tu li osservi e li metta in pratica, e se non devierai né a destra né a sinistra da nessuna delle cose che oggi vi comando, per andare dietro ad altri dèi e per servirli. Ma se non ubbidisci alla voce dell’Eterno, del tuo Dio, se non hai cura di mettere in pratica tutti i suoi comandamenti e tutte le sue leggi che oggi ti do, avverrà che tutte queste maledizioni verranno su di te e si compiranno per te: Sarai maledetto nella città e sarai maledetto nella campagna. Maledetti saranno il tuo paniere e la tua madia. Maledetto sarà il frutto delle tue viscere, il frutto del tuo suolo; maledetti i parti delle tue vacche e delle tue pecore. Sarai maledetto al tuo entrare e maledetto al tuo uscire. L’Eterno manderà contro di te la maledizione, lo spavento e la minaccia in ogni cosa a cui metterai mano e che farai, finché tu sia distrutto e tu perisca rapidamente, a causa della malvagità delle tue azioni per la quale mi avrai abbandonato. L’Eterno farà in modo che la peste si attaccherà a te, finché ti abbia consumato nel paese nel quale stai per entrare per prenderne possesso. L’Eterno ti colpirà di consunzione, di febbre, d’infiammazione, di arsura, di aridità, di carbonchio e di ruggine, che ti perseguiteranno finché tu sia perito. Il tuo cielo sarà di bronzo sopra il tuo capo, e la terra sotto di te sarà di ferro. L’Eterno manderà sul tuo paese, invece di pioggia, sabbia e polvere, che cadranno su di te dal cielo, finché tu sia distrutto. L’Eterno farà in modo che sarai messo in rotta davanti ai tuoi nemici; uscirai contro a loro per una strada e per sette strade fuggirai davanti a loro, e nessuno dei regni della terra ti darà riposo. I tuoi cadaveri saranno pasto di tutti gli uccelli del cielo e delle bestie della terra, che nessuno scaccerà. L’Eterno ti colpirà con l’ulcera d’Egitto, con emorroidi, con la rogna e con la tigna, da cui non potrai guarire. L’Eterno ti colpirà di follia, di cecità e di smarrimento di cuore; e andrai brancolando in pieno giorno, come il cieco brancola nel buio; non prospererai nelle tue vie, sarai sempre oppresso e spogliato, e non ci sarà nessuno che ti soccorra. Ti fidanzerai con una donna, e un altro si giacerà con lei; costruirai una casa, ma non la abiterai; pianterai una vigna, e non ne godrai il frutto. Il tuo bue sarà ammazzato sotto i tuoi occhi, e tu non ne mangerai; il tuo asino sarà portato via in tua presenza, e non ti sarà reso; le tue pecore saranno date ai tuoi nemici, e non ci sarà chi ti soccorra. I tuoi figli e le tue figlie saranno dati in balìa di un altro popolo: i tuoi occhi lo vedranno e si consumeranno del continuo rimpianto per loro, e la tua mano sarà senza forza. Un popolo, che tu non avrai conosciuto, mangerà il frutto della tua terra e di tutta la tua fatica, e sarai sempre oppresso e schiacciato. E sarai fuori di te per le cose che vedrai con i tuoi occhi. L’Eterno ti colpirà sulle ginocchia e sulle cosce con un’ulcera maligna, dalla quale non potrai guarire; ti colpirà dalle piante dei piedi alla sommità del capo. L’Eterno farà andare te e il tuo re che avrai costituito sopra di te, verso una nazione che né tu né i padri tuoi avrete conosciuto; e lì servirai dèi stranieri, il legno e la pietra; e diventerai oggetto di stupore, di proverbio e la favola di tutti i popoli fra i quali l’Eterno ti avrà condotto. Porterai molta semenza al campo e raccoglierai poco, perché la locusta la divorerà. Pianterai vigne, le coltiverai, ma non berrai vino né coglierai uva, perché il verme le roderà. Avrai degli ulivi in tutto il tuo territorio ma non ti ungerai di olio, perché i tuoi ulivi perderanno il loro frutto. Genererai figli e figlie, ma non saranno tuoi, perché andranno in schiavitù. Tutti i tuoi alberi e il frutto del tuo suolo saranno preda alla locusta. Lo straniero che sarà in mezzo a te salirà sempre più in alto sopra di te, e tu scenderai sempre più in basso. Egli presterà a te, e tu non presterai a lui; egli sarà alla testa, e tu in coda. Tutte queste maledizioni verranno su te, ti perseguiteranno e ti raggiungeranno, finché tu sia distrutto, perché non avrai ubbidito alla voce dell’Eterno, del tuo Dio, osservando i comandamenti e le leggi che egli ti ha dato. Esse saranno per te e per la tua progenie come un segno e come un prodigio, per sempre. E perché non avrai servito l’Eterno, il tuo Dio, con gioia e di buon cuore in mezzo all’abbondanza di ogni cosa, servirai i tuoi nemici che l’Eterno manderà contro di te, in mezzo alla fame, alla sete, alla nudità e alla mancanza di ogni cosa; ed essi ti metteranno un giogo di ferro sul collo, finché ti abbiano distrutto. L’Eterno farà muovere contro di te, da lontano, dalle estremità della terra, una nazione, pari all’aquila che vola: una nazione della quale non comprenderai la lingua, una nazione dall’aspetto minaccioso, che non avrà riguardo al vecchio e non avrà pietà del fanciullo; che mangerà il frutto del tuo bestiame e il frutto del tuo suolo, finché tu sia distrutto, e non ti lascerà residuo né di frumento, né di mosto, né di olio, né parti delle tue vacche e delle tue pecore, finché ti abbia fatto perire. E ti assedierà in tutte le tue città, finché in tutto il tuo paese cadano le alte e forti mura nelle quali avrai riposto la tua fiducia. Ti assedierà in tutte le tue città, in tutto il paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà dato. E durante l’assedio e nell’angoscia alla quale ti ridurrà il tuo nemico, mangerai il frutto delle tue viscere, le carni dei tuoi figli e delle tue figlie, che l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà dato. L’uomo più delicato e più tenero tra voi guarderà con occhio malvagio suo fratello, la donna che riposa sul suo seno, i figli che ancora gli rimangono, non volendo dare a nessuno di essi della carne dei suoi figli della quale si ciberà, perché non gli sarà rimasto nulla in mezzo all’assedio e all’angoscia alla quale i nemici ti avranno ridotto in tutte le tue città. La donna più delicata e più tenera tra voi, che per tenerezza e delicatezza non si sarebbe azzardata a posare la pianta del piede a terra, guarderà con occhio malvagio il marito che riposa sul suo seno, suo figlio e sua figlia, per non dare loro nulla della placenta uscita dal suo seno e dei figli che metterà al mondo, perché, mancando di tutto, se ne ciberà di nascosto, in mezzo all’assedio e alla povertà alla quale i nemici ti avranno ridotto in tutte le tue città. Se non hai cura di mettere in pratica tutte le parole di questa legge, scritte in questo libro, se non temi questo nome glorioso e tremendo dell’Eterno, del tuo Dio, l’Eterno renderà straordinarie le piaghe con le quali colpirà te e la tua progenie: piaghe grandi e persistenti e malattie maligne e persistenti, e farà tornare su te tutte le malattie d’Egitto, davanti alle quali tu tremavi, e si attaccheranno a te. E anche le molte malattie e le molte piaghe non menzionate nel libro di questa legge, l’Eterno le farà venire su di te, finché tu sia distrutto. Voi rimarrete soltanto in pochi, dopo essere stati numerosi come le stelle del cielo, perché non avrete ubbidito alla voce dell’Eterno, che è il vostro Dio. E avverrà che come l’Eterno prendeva piacere a farvi del bene e moltiplicarvi, così l’Eterno prenderà piacere a farvi perire e a distruggervi; e sarete strappati dal paese del quale andate a prendere possesso. L’Eterno ti disperderà fra tutti i popoli, da un’estremità della terra sino all’altra; e là servirai ad altri dèi, che né tu né i tuoi padri avete mai conosciuto: al legno e alla pietra. E fra quelle nazioni non avrai riposo, e non ci sarà luogo di riposo per la pianta dei tuoi piedi; ma l’Eterno là ti darà un cuore tremante, degli occhi che si spegneranno e un’anima languente. La tua vita ti starà davanti come sospesa; tremerai notte e giorno, e non sarai sicuro della tua esistenza. La mattina dirai: ‘Fosse sera!’, e la sera dirai: ‘Fosse mattina!’, a causa dello spavento di cui avrai pieno il cuore, e a causa delle cose che vedrai con i tuoi occhi. E l’Eterno ti farà tornare in Egitto su delle navi, per la via della quale ti avevo detto: ‘Non la rivedrai mai più!’. E là sarete offerti in vendita ai vostri nemici come schiavi e come schiave, e mancherà il compratore!”. Queste sono le parole del patto che l’Eterno comandò a Mosè di stabilire con i figli d’Israele nel paese di Moab, oltre il patto che aveva stabilito con essi a Oreb. Mosè convocò dunque tutto Israele, e disse loro: “Voi avete visto tutto quello che l’Eterno ha fatto sotto i vostri occhi, nel paese d’Egitto, al Faraone, a tutti i suoi servitori e a tutto il suo paese; i tuoi occhi hanno visto le calamità grandi con le quali furono provati, quei miracoli, quei grandi prodigi; ma, fino a questo giorno, l’Eterno non vi ha dato un cuore per comprendere, né occhi per vedere, né orecchi per udire. Io vi ho condotti quarant’anni nel deserto; le vostre vesti non vi si sono logorate addosso, né i vostri calzari vi si sono logorati ai piedi. Non avete mangiato pane, non avete bevuto vino né bevanda alcolica, affinché conosceste che io sono l’Eterno, il vostro Dio. E quando siete arrivati in questo luogo, e Sicon re di Chesbon, e Og re di Basan sono usciti contro noi per combattere, noi li abbiamo sconfitti, abbiamo preso il loro paese, e lo abbiamo dato come proprietà ai Rubeniti, ai Gaditi e alla mezza tribù di Manasse. Osservate dunque le parole di questo patto e mettetele in pratica, affinché prosperiate in tutto ciò che farete. Oggi voi comparite tutti davanti all’Eterno, al vostro Dio, i vostri capi, le vostre tribù, i vostri anziani, i vostri ufficiali, tutti gli uomini d’Israele, i vostri bambini, le vostre mogli, lo straniero che è in mezzo al tuo campo, da colui che ti spacca la legna a colui che ti attinge l’acqua, per entrare nel patto dell’Eterno, che è il tuo Dio: patto stabilito con giuramento, e che l’Eterno, il tuo Dio, fa oggi con te, per costituirti oggi come suo popolo, e per essere tuo Dio, come ti disse e come giurò ai tuoi padri, ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe. E io faccio questo patto e questo giuramento non soltanto con voi, ma con quelli che stanno qui oggi con noi davanti all’Eterno, che è il nostro Dio, e con quelli che non sono qui oggi con noi. Poiché voi sapete come abbiamo abitato nel paese d’Egitto, e come siamo passati in mezzo alle nazioni, che avete attraversato; e avete visto le loro abominazioni e gli idoli di legno, di pietra, d’argento e d’oro, che sono fra di esse. Non ci sia tra voi uomo o donna o famiglia o tribù che oggi volga il cuore lontano dall’Eterno, che è il nostro Dio, per andare a servire gli dèi di quelle nazioni; non ci sia tra voi nessuna radice che produca veleno e assenzio; e che nessuno, dopo avere udito le parole di questo giuramento, si illuda in cuor suo dicendo: ‘Avrò pace, anche se camminerò secondo la caparbietà del mio cuore’; in modo che chi ha bevuto largamente trascini a perdizione chi ha sete. L’Eterno non vorrà perdonargli; ma in tal caso l’ira dell’Eterno e la sua gelosia si infiammeranno contro quell’uomo, tutte le maledizioni scritte in questo libro si poseranno su di lui, e l’Eterno cancellerà il suo nome sotto al cielo; l’Eterno lo separerà, per sua sventura, da tutte le tribù d’Israele, secondo tutte le maledizioni del patto scritto in questo libro della legge. La generazione futura, i vostri figli che sorgeranno dopo di voi, e lo straniero che verrà da un paese lontano, anzi tutte le nazioni, quando vedranno le piaghe di questo paese e le malattie con le quali l’Eterno l’avrà afflitto, e che tutto il suo suolo sarà zolfo, sale, arsura, e non vi sarà più semina, né prodotto, né erba di sorta che vi cresca, come dopo la rovina di Sodoma, di Gomorra, di Adma e di Seboim che l’Eterno distrusse nella sua ira e nel suo furore, diranno: ‘Perché l’Eterno ha trattato così questo paese? perché l’ardore di questa grande ira?’. E si risponderà: ‘Perché hanno abbandonato il patto dell’Eterno, dell’Iddio dei loro padri: il patto che egli stabilì con loro quando li fece uscire dal paese d’Egitto; perché sono andati a servire altri dèi e si sono prostrati davanti a loro: dèi, che essi non avevano conosciuto, e che l’Eterno non aveva assegnato loro. Per questo si è accesa l’ira dell’Eterno contro questo paese per far venire su di esso tutte le maledizioni scritte in questo libro; e l’Eterno li ha strappati dal loro suolo con ira, con furore, con grande indignazione, e li ha gettati in un altro paese, come oggi si vede’. Le cose occulte appartengono all’Eterno, al nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli per sempre, perché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge. Quando tutte queste cose che io ti ho posto davanti, la benedizione e la maledizione, si saranno compiute per te, e tu te le richiamerai alla mente fra tutte le nazioni dove l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà sospinto, e ti convertirai all’Eterno, al tuo Dio, e ubbidirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua, secondo tutto ciò che oggi io ti comando, l’Eterno, il tuo Dio, farà ritornare i tuoi dalla schiavitù, avrà pietà di te, e ti raccoglierà di nuovo fra tutti i popoli, fra i quali l’Eterno, il tuo Dio, ti aveva disperso. Anche se i tuoi esuli fossero all’estremità dei cieli, l’Eterno, il tuo Dio, ti raccoglierà di là, e di là ti prenderà. L’Eterno, il tuo Dio, ti ricondurrà nel paese che i tuoi padri avevano posseduto, e tu lo possederai; ed egli ti farà del bene e ti moltiplicherà più dei tuoi padri. L’Eterno, il tuo Dio, circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua progenie affinché tu ami l’Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua, e così tu viva. E l’Eterno, il tuo Dio, farà cadere tutte queste maledizioni sui tuoi nemici e su tutti quelli che ti avranno odiato e perseguitato. E tu ti convertirai, ubbidirai alla voce dell’Eterno, e metterai in pratica tutti questi comandamenti che oggi ti do. L’Eterno, il tuo Dio, ti colmerà di beni, facendo prosperare tutta l’opera delle tue mani, il frutto delle tue viscere, il frutto del tuo bestiame e il frutto del tuo suolo; poiché l’Eterno si compiacerà di nuovo nel farti del bene, come si compiacque nel farlo ai tuoi padri, perché ubbidirai alla voce dell’Eterno tuo Dio, osservando i suoi comandamenti e i suoi precetti scritti in questo libro della legge, perché ti sarai convertito all’Eterno, al tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua. Questo comandamento che oggi ti do, non è troppo difficile per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: ‘Chi salirà per noi nel cielo e ce lo porterà e ce lo farà udire perché lo mettiamo in pratica?’. Non è di là dal mare, perché tu dica: ‘Chi passerà per noi di là dal mare e ce lo porterà e ce lo farà udire perché lo mettiamo in pratica?’. Invece questa parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. Vedi, io metto oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io ti comando oggi di amare l’Eterno, il tuo Dio, di camminare nelle sue vie, di osservare i suoi comandamenti; le sue leggi e i suoi precetti affinché tu viva e ti moltiplichi, e l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica nel paese dove stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volta indietro, e se tu non ubbidisci, e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, io vi dichiaro oggi che certamente perirete, che non prolungherete i vostri giorni nel paese, per entrare in possesso del quale voi state passando il Giordano. Io prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra, che io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, affinché tu viva, tu e la tua progenie, amando l’Eterno, il tuo Dio, ubbidendo alla sua voce e tenendoti stretto a lui (poiché egli è la tua vita e colui che prolunga i tuoi giorni), affinché tu possa abitare sul suolo che l’Eterno giurò di dare ai tuoi padri Abraamo, Isacco e Giacobbe”. Mosè andò e rivolse ancora queste parole a tutto Israele. Disse loro: “Io ho centovent’anni; non posso più andare e venire, e l’Eterno mi ha detto: ‘Tu non passerai questo Giordano’. L’Eterno, il tuo Dio, sarà colui che passerà davanti a te, che distruggerà davanti a te quelle nazioni, e tu possederai il loro paese; e Giosuè passerà davanti a te, come l’Eterno ha detto. E l’Eterno tratterà quelle nazioni come trattò Sicon e Og, re degli Amorei, che egli distrusse con il loro paese. L’Eterno le darà in vostro potere, e voi le tratterete secondo tutti gli ordini che vi ho dato. Siate forti e coraggiosi, non temeteli e non spaventatevi di loro, perché l’Eterno, il tuo Dio, è colui che cammina con te; egli non ti lascerà e non ti abbandonerà”. Poi Mosè chiamò Giosuè, e gli disse in presenza di tutto Israele: “Sii forte e coraggioso, perché tu entrerai con questo popolo nel paese che l’Eterno giurò ai loro padri di dare loro, e tu sarai colui che gliene darà il possesso. L’Eterno cammina egli stesso davanti a te; egli sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non perderti d’animo”. Mosè scrisse questa legge e la diede ai sacerdoti figli di Levi che portano l’arca del patto dell’Eterno, e a tutti gli anziani d’Israele. Mosè diede loro quest’ordine: “Alla fine di ogni sette anni, al tempo dell’anno della remissione, alla festa delle Capanne, quando tutto Israele verrà a presentarsi davanti all’Eterno, al tuo Dio, nel luogo che egli avrà scelto, leggerai questa legge davanti a tutto Israele, in modo che egli la oda. Radunerai il popolo, uomini, donne, bambini, con lo straniero che sarà nella tua città, affinché odano, imparino a temere l’Eterno, il vostro Dio, e abbiano cura di mettere in pratica tutte le parole di questa legge. E i loro figli, che non ne avranno ancora avuto conoscenza, lo udranno e impareranno a temere l’Eterno, il vostro Dio, tutto il tempo che vivrete nel paese del quale voi andate a prendere possesso, passando il Giordano”. L’Eterno disse a Mosè: “Ecco, il giorno della tua morte si avvicina; chiama Giosuè, e presentatevi nella tenda di convegno perché io gli dia i miei ordini”. Mosè e Giosuè dunque andarono e si presentarono nella tenda di convegno. L’Eterno apparve, nella tenda, in una colonna di nuvola; e la colonna di nuvola si fermò all’ingresso della tenda. E l’Eterno disse a Mosè: “Ecco, tu stai per addormentarti con i tuoi padri; e questo popolo si alzerà e si prostituirà, andando dietro agli dèi stranieri del paese nel quale va a stare; e mi abbandonerà, e violerà il mio patto che io ho stabilito con lui. In quel giorno, l’ira mia si infiammerà contro di lui; e io li abbandonerò, nasconderò loro la mia faccia, e saranno divorati, e cadranno loro addosso molti mali e molte angosce; perciò in quel giorno diranno: ‘Questi mali non ci sono forse caduti addosso perché il nostro Dio non è in mezzo a noi?’. E io, in quel giorno, nasconderò del tutto la mia faccia a causa di tutto il male che avranno fatto, rivolgendosi ad altri dèi. Scrivetevi dunque questo cantico, e insegnatelo ai figli d’Israele; mettetelo loro in bocca, affinché questo cantico mi serva di testimonianza contro i figli d’Israele. Quando li avrò introdotti nel paese che promisi ai loro padri con giuramento, paese dove scorre il latte e il miele, ed essi avranno mangiato, si saranno saziati e ingrassati, e si saranno rivolti ad altri dèi per servirli, e avranno disprezzato me e violato il mio patto, e quando molti mali e molte angosce gli saranno piombati addosso, allora questo cantico alzerà la sua voce contro di loro, come una testimonianza; poiché esso non sarà dimenticato, e rimarrà sulle labbra dei loro posteri; poiché io conosco quali siano i pensieri che essi concepiscono, anche ora, prima che io li abbia introdotti nel paese che giurai di dare loro”. Così Mosè scrisse quel giorno questo cantico, e lo insegnò ai figli d’Israele. Poi l’Eterno diede i suoi ordini a Giosuè, figlio di Nun, e gli disse: “Sii forte e coraggioso, poiché tu sei colui che introdurrà i figli d’Israele nel paese che giurai di dare loro; e io sarò con te”. E quando Mosè ebbe finito di scrivere in un libro tutte quante le parole di questa legge, diede quest’ordine ai Leviti che portavano l’arca del patto dell’Eterno: “Prendete questo libro della legge e mettetelo accanto all’arca del patto dell’Eterno, che è il vostro Dio; e là rimanga come testimonianza contro di te; perché io conosco il tuo spirito ribelle e la durezza del tuo collo. Ecco, oggi, mentre sono ancora vivente tra voi, siete stati ribelli contro l’Eterno; quanto più lo sarete dopo la mia morte! Radunate presso di me tutti gli anziani delle vostre tribù e i vostri ufficiali; io farò udire loro queste parole, e prenderò come testimoni contro di loro il cielo e la terra. Poiché io so che, dopo la mia morte, voi certamente vi corromperete e lascerete la via che vi ho prescritto; e nei giorni che verranno la sventura vi colpirà, perché avrete fatto ciò che è male agli occhi dell’Eterno, provocandolo a indignazione con l’opera delle vostre mani”. Mosè dunque pronunciò dal principio alla fine le parole di questo cantico, in presenza di tutta la comunità d’Israele. “Porgete orecchio, o cieli, e io parlerò, e ascolti la terra le parole della mia bocca. Si spanda il mio insegnamento come la pioggia, stilli la mia parola come la rugiada, come la pioggerella sopra la verdura, e come un acquazzone sopra l’erba, poiché io proclamerò il nome dell’Eterno. Magnificate il nostro Iddio! Quanto alla Ròcca, l’opera sua è perfetta, poiché tutte le sue vie sono giustizia. È un Dio fedele e senza ingiustizia; egli è giusto e retto. Ma essi si sono comportati male verso di lui; non sono suoi figli, loro è l’infamia, razza contorta e perversa. È questa la ricompensa che date all’Eterno, o popolo insensato e privo di saggezza? Non è il padre tuo che ti ha acquistato? non è egli colui che ti ha fatto e ti ha stabilito? Ricordati dei giorni antichi, considera gli anni delle età passate, interroga tuo padre, ed egli te lo farà conoscere, i tuoi vecchi, ed essi te lo diranno. Quando l’Altissimo diede alle nazioni la loro eredità, quando separò i figli degli uomini, egli fissò i confini dei popoli, tenendo conto del numero dei figli d’Israele. Poiché la parte dell’Eterno è il suo popolo, Giacobbe è la porzione della sua eredità. Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine piena di urla e di desolazione. Egli lo circondò, ne prese cura, lo custodì come la pupilla dell’occhio suo. Simile all’aquila che desta la sua nidiata, si libra in volo sopra i suoi piccini, spiega le sue ali, li prende e li porta sulle penne, l’Eterno solo lo ha condotto, e nessun dio straniero era con lui. Egli l’ha fatto passare a cavallo sulle alture della terra, e Israele ha mangiato il prodotto dei campi; gli ha fatto succhiare il miele che esce dalla rupe, l’olio che esce dalle rocce più dure, la crema delle vacche e il latte delle pecore. Gli ha dato il grasso degli agnelli, dei montoni di Basan e dei capri, con il fior di farina del frumento; e tu hai bevuto il vino generoso, il sangue dell’uva. Ma Iesurun si è fatto grasso e ha ricalcitrato, si è fatto grasso, grosso e pingue! ha abbandonato l’Iddio che lo ha fatto, e ha disprezzato la Ròcca della sua salvezza. Essi lo hanno fatto ingelosire con divinità straniere, lo hanno irritato con abominazioni. Hanno sacrificato a dèmoni che non sono Dio, a dèi che non avevano conosciuto, dèi nuovi, apparsi di recente, davanti ai quali i vostri padri non avevano tremato. Hai abbandonato la Ròcca che ti diede la vita, e hai dimenticato l’Iddio che ti mise al mondo. E l’Eterno l’ha visto, e ha ripudiato i suoi figli e le sue figlie che lo avevano irritato; e ha detto: ‘Io nasconderò loro la mia faccia, e starò a vedere quale sarà la loro fine; poiché sono una razza quanto mai perversa, figli in cui non c’è fedeltà. Essi mi hanno fatto ingelosire con ciò che non è Dio, mi hanno irritato con i loro idoli vani; e io li farò ingelosire con gente che non è un popolo, li irriterò con una nazione stolta. Poiché un fuoco si è acceso, nella mia ira, e divamperà fino in fondo al soggiorno dei morti; divorerà la terra e i suoi prodotti, e infiammerà le fondamenta delle montagne. Io accumulerò su loro dei mali, esaurirò contro di loro tutte le mie frecce. Essi saranno consumati dalla fame, divorati dalla febbre, dalla pestilenza mortale; manderò contro di loro le zanne delle belve, e il veleno delle bestie che strisciano nella polvere. Di fuori la spada e di dentro il terrore spargeranno il lutto, mietendo giovani e fanciulle, lattanti e uomini canuti. Io direi: Li spazzerò via di un soffio, farò sparire la loro memoria fra gli uomini, se non temessi gli insulti del nemico, e che i loro avversari, illudendosi, fossero indotti a dire: ‘È stata la nostra potente mano e non l’Eterno, che ha fatto tutto questo!’. Poiché è una nazione che ha perso il senno, e non c’è in essi nessuna intelligenza. Se fossero saggi, lo capirebbero, considererebbero la fine che li aspetta. Come potrebbe uno solo inseguirne mille, e due metterne in fuga diecimila, se la loro Ròcca non li avesse venduti, se l’Eterno non li avesse dati in mano al nemico? Poiché la loro ròcca non è come la nostra Ròcca; i nostri stessi nemici ne sono giudici; ma la loro vigna viene dalla vigna di Sodoma e dalle campagne di Gomorra; la loro uva è avvelenata, i loro grappoli, amari; il loro vino è tossico di serpenti, un crudele veleno di aspidi. ‘Tutto questo non è tenuto in serbo presso di me, sigillato nei miei tesori? A me la vendetta e la retribuzione, quando il loro piede vacillerà!’. Poiché il giorno della loro calamità è vicino, e ciò che per loro è preparato, si affretta a venire. Sì, l’Eterno giudicherà il suo popolo, ma avrà pietà dei suoi servi quando vedrà che la forza è sparita, e che non rimane più tra loro né schiavo né libero. Allora egli dirà: ‘Dove sono i loro dèi, la ròcca nella quale confidavano, gli dèi che mangiavano il grasso dei loro sacrifici e bevevano il vino delle loro libazioni? Si alzino essi a soccorrervi, a coprirvi della loro protezione! Ora vedete che io solo sono Dio, e che non c’è altro dio accanto a me. Io faccio morire e faccio vivere, ferisco e risano, e non c’è chi possa liberare dalla mia mano. Sì, io alzo la mia mano al cielo, e dico: Com’è vero che io vivo in eterno, quando affilerò la mia folgorante spada e metterò mano a giudicare, farò vendetta dei miei nemici e darò ciò che si meritano a quelli che mi odiano. Inebrierò di sangue le mie frecce, del sangue degli uccisi e dei prigionieri, la mia spada divorerà la carne, le teste dei condottieri nemici’. Nazioni, cantate le lodi del suo popolo! poiché l’Eterno vendica il sangue dei suoi servi, fa ricadere la sua vendetta sopra i suoi avversari, ma si mostra propizio alla sua terra, al suo popolo”. E Mosè venne con Giosuè, figlio di Nun, e pronunciò in presenza del popolo tutte le parole di questo cantico. E quando Mosè ebbe finito di pronunciare tutte queste parole davanti a tutto Israele, disse loro: “Prendete a cuore tutte le parole con le quali testimonio oggi contro di voi. Le prescriverete ai vostri figli, affinché abbiano cura di mettere in pratica tutte le parole di questa legge. Poiché questa non è una parola senza valore per voi: anzi, è la vostra vita; e per questa parola prolungherete i vostri giorni nel paese del quale andate a prendere possesso, passando il Giordano”. E, in quello stesso giorno, l’Eterno parlò a Mosè, dicendo: “Sali su questo monte di Abarim, sul monte Nebo, che è nel paese di Moab, di fronte a Gerico, e guarda il paese di Canaan, che io do in possesso ai figli d’Israele. Tu morirai sul monte sul quale stai per salire, e sarai riunito al tuo popolo, come tuo fratello Aaronne è morto sul monte Or ed è stato riunito al suo popolo, perché commetteste un’infedeltà contro di me in mezzo ai figli d’Israele, alle acque di Meriba a Cades, nel deserto di Sin, e perché non mi santificaste in mezzo ai figli d’Israele. Tu vedrai il paese davanti a te, ma là, nel paese che io do ai figli d’Israele, non entrerai”. Questa è la benedizione con la quale Mosè, uomo di Dio, benedisse i figli d’Israele, prima di morire. Disse dunque: “L’Eterno è venuto dal Sinai, è spuntato su loro da Seir; ha fatto splendere la sua luce dal monte di Paran, è giunto dal mezzo delle sante miriadi; dalla sua destra usciva per essi il fuoco della legge. Certo, l’Eterno ama i popoli; tutti i suoi santi sono nella tua mano. Essi si sono seduti ai tuoi piedi e riceveranno le tue parole. Mosè ci ha dato una legge, eredità dell’assemblea di Giacobbe; ed egli è stato re in Iesurun, quando si radunavano i capi del popolo e le tribù d’Israele tutte assieme. Viva Ruben! che egli non muoia; ma siano i suoi uomini ridotti a pochi!”. E questo è per Giuda. Egli disse: “Ascolta, o Eterno, la voce di Giuda, e riconducilo al suo popolo. Egli lotta per la sua causa con tutte le sue forze; tu gli sarai di aiuto contro i suoi nemici!”. Poi disse di Levi: “I tuoi Tummim e i tuoi Urim appartengono all’uomo pio che ti sei scelto, che tu provasti a Massa, e con il quale contendesti alle acque di Meriba. Egli dice di suo padre, e di sua madre: ‘Io non li ho visti!’, non riconosce i suoi fratelli, e non sa nulla dei propri figli; perché i Leviti osservano la tua parola e sono i custodi del tuo patto. Essi insegnano i tuoi statuti a Giacobbe e la tua legge a Israele; mettono l’incenso sotto le tue narici, e l’olocausto sopra il tuo altare. O Eterno, benedici la sua forza, e gradisci l’opera delle sue mani. Trafiggi le reni a quelli che insorgono contro di lui, che gli sono nemici, così che non possano rialzarsi”. Di Beniamino disse: “L’amato dell’Eterno abiterà sicuro presso di lui. L’Eterno gli farà riparo sempre, e abiterà fra le sue colline”. Poi disse di Giuseppe: “Il suo paese sarà benedetto dall’Eterno con i doni più preziosi del cielo, con la rugiada, con le acque dell’abisso che giace in basso, con i frutti più preziosi che il sole matura, con le cose più squisite che germoglia ogni luna, con i migliori prodotti dei monti antichi, con i doni più preziosi dei colli eterni, con i doni più preziosi della terra e di quanto essa racchiude. Il favore di colui che stava nel pruno venga sul capo di Giuseppe, sulla fronte di colui che è principe tra i suoi fratelli! Del suo toro primogenito egli ha la maestà; le sue corna sono corna di bufalo. Con esse cozzerà contro i popoli tutti quanti assieme, fino alle estremità della terra. Tali sono le miriadi di Efraim, tali sono le migliaia di Manasse”. Poi disse di Zabulon: “Rallegrati, o Zabulon, nel tuo uscire, e tu, Issacar, nelle tue tende! Essi chiameranno i popoli al monte, e là offriranno sacrifici di giustizia; poiché succhieranno l’abbondanza del mare e i tesori nascosti nella sabbia”. Poi disse di Gad: “Benedetto colui che mette Gad al largo! Egli sta nella sua dimora come una leonessa, e sbrana braccio e cranio. Egli si è scelto le primizie del paese, poiché questa è la parte riservata al condottiero, ed egli vi è giunto alla testa del popolo, ha compiuto la giustizia dell’Eterno e i suoi decreti, insieme a Israele”. Poi disse di Dan: “Dan è un leoncello che balza da Basan”. Poi disse di Neftali: “O Neftali, sazio di favori e ricolmo di benedizioni dell’Eterno, prendi possesso dell’occidente e del meridione!”. Poi disse di Ascer: “Benedetto sia Ascer tra i figli d’Israele! Sia il favorito dei suoi fratelli, e tuffi il suo piede nell’olio! Siano le sue sbarre di ferro e di bronzo, e duri quanto i tuoi giorni la tua forza! O Iesurun, nessuno è pari a Dio che, sul carro dei cieli, corre in tuo aiuto, che, nella sua maestà, avanza sulle nubi: l’Iddio eterno è il tuo rifugio; e sotto di te stanno le braccia eterne. Egli scaccia davanti a te il nemico, e ti dice: ‘Distruggi!’. Israele starà sicuro nella sua dimora; la sorgente di Giacobbe sgorgherà solitaria in un paese di frumento e di mosto, e dove il cielo stilla la rugiada. Te beato, o Israele! Chi è pari a te, un popolo salvato dall’Eterno, che è lo scudo che ti protegge, e la spada che ti fa trionfare? I tuoi nemici verranno ad adularti, e tu calpesterai le loro alture”. Poi Mosè salì dalle pianure di Moab sul Monte Nebo, in vetta al Pisga, che è di fronte a Gerico. E l’Eterno gli fece vedere tutto il paese: Galaad fino a Dan, tutto Neftali, il paese di Efraim e di Manasse, tutto il paese di Giuda fino al mare occidentale, la regione meridionale, il bacino del Giordano e la valle di Gerico, città delle palme, fino a Soar. L’Eterno gli disse: “Questo è il paese riguardo al quale io feci ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, questo giuramento: ‘Io lo darò alla tua progenie’. Io te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai”. Mosè, servo dell’Eterno, morì là, nel paese di Moab, come l’Eterno aveva comandato. E l’Eterno lo seppellì nella valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor; e nessuno fino a questo giorno ha mai saputo dove fosse la sua tomba. Così Mosè aveva centovent’anni quando morì; la vista non gli si era indebolita e il vigore non gli era venuto meno. E i figli d’Israele lo piansero nelle pianure di Moab per trenta giorni, e si compirono così i giorni del pianto per il lutto per Mosè. E Giosuè, figlio di Nun, fu ripieno dello spirito di sapienza, perché Mosè gli aveva imposto le mani; e i figli d’Israele gli ubbidirono e fecero quello che l’Eterno aveva comandato a Mosè. Non è mai più sorto in Israele un profeta simile a Mosè, con il quale l’Eterno abbia trattato faccia a faccia. Nessuno è stato simile a lui in tutti quei segni e miracoli che Dio lo mandò a fare nel paese d’Egitto contro Faraone, contro tutti i suoi servi e contro tutto il suo paese; né simile a lui in quegli atti potenti e in tutte quelle gran cose tremende, che Mosè fece davanti agli occhi di tutto Israele. Dopo la morte di Mosè, servo dell’Eterno, l’Eterno parlò a Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè, e gli disse: “Mosè, mio servo è morto; ora dunque àlzati, passa questo Giordano, tu con tutto questo popolo, per entrare nel paese che io do ai figli d’Israele. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, io ve lo do, come ho detto a Mosè, dal deserto e dal Libano che vedi là, fino al gran fiume, il fiume Eufrate, tutto il paese degli Ittiti fino al Mar Grande, verso occidente: quello sarà il vostro territorio. Nessuno ti potrà resistere tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te; io non ti lascerò e non ti abbandonerò. Sii forte e coraggioso, perché tu metterai questo popolo in possesso del paese che giurai ai loro padri di dare loro. Solo sii forte e molto coraggioso, avendo cura di mettere in pratica tutta la legge che Mosè, mio servo, ti ha dato; non te ne sviare né a destra né a sinistra, affinché tu prosperi dovunque andrai. Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo giorno e notte, avendo cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai. Non te l’ho io comandato? Sii forte e coraggioso; non ti spaventare e non ti sgomentare, perché l’Eterno, il tuo Dio, sarà con te dovunque andrai”. Allora Giosuè diede quest’ordine agli ufficiali del popolo: “Passate in mezzo all’accampamento e date quest’ordine al popolo: ‘Preparatevi dei viveri, perché fra tre giorni passerete questo Giordano per andare a conquistare il paese che l’Eterno, il vostro Dio, vi dà perché lo possediate’”. Giosuè parlò pure ai Rubeniti, ai Gaditi e alla mezza tribù di Manasse, e disse loro: “Ricordatevi dell’ordine che Mosè, servo dell’Eterno, vi diede quando vi disse: ‘L’Eterno, il vostro Dio, vi ha concesso riposo, e vi ha dato questo paese’. Le vostre mogli, i vostri bambini e il vostro bestiame rimarranno nel paese che Mosè vi ha dato di qua dal Giordano; ma voi tutti che siete forti e valorosi passerete in armi alla testa dei vostri fratelli e li aiuterete, finché l’Eterno abbia concesso riposo ai vostri fratelli come a voi, e siano anche loro in possesso del paese che l’Eterno, il vostro Dio, dà loro. Poi tornerete al paese che vi appartiene, che Mosè, servo dell’Eterno, vi ha dato di qua dal Giordano verso il levante, e ne prenderete possesso”. E quelli risposero a Giosuè, dicendo: “Noi faremo tutto quello che ci hai comandato, e andremo dovunque ci manderai; ti ubbidiremo interamente, come abbiamo ubbidito a Mosè. Solamente, l’Eterno, il tuo Dio, sia con te come è stato con Mosè! Chiunque sarà ribelle ai tuoi ordini e non ubbidirà alle tue parole, qualunque sia la cosa che gli comanderai, sarà messo a morte. Solo sii forte e coraggioso!”. Ora Giosuè, figlio di Nun, mandò segretamente da Sittim due spie, dicendo: “Andate, esaminate il paese e Gerico”. E quelle andarono ed entrarono in casa di una prostituta di nome Raab, e là alloggiarono. La cosa fu riferita al re di Gerico, e gli fu detto: “Ecco, alcuni uomini dei figli d’Israele sono venuti qui stanotte per esplorare il paese”. Allora il re di Gerico mandò a dire a Raab: “Fa’ uscire quegli uomini che sono venuti da te e sono entrati in casa tua; perché sono venuti per esplorare tutto il paese”. Ma la donna prese quei due uomini, li nascose, e disse: “È vero, quegli uomini sono venuti in casa mia, ma io non sapevo di dove fossero; e quando si stava per chiudere la porta sul far della notte, quegli uomini sono usciti; non so dove siano andati; rincorreteli senza perdere tempo, e li raggiungerete”. Lei, invece, li aveva fatti salire sul tetto, e li aveva nascosti sotto del lino non ancora lavorato, che aveva disteso sul tetto. E la gente li rincorse per la via che conduce ai guadi del Giordano; e non appena quelli che li rincorrevano furono usciti, la porta fu chiusa. Prima che le spie si addormentassero, Raab salì da loro sul tetto, e disse a quegli uomini: “Io so che l’Eterno vi ha dato il paese, che il terrore del vostro nome ci ha invasi, e che tutti gli abitanti del paese hanno perso coraggio davanti a voi. Poiché noi abbiamo udito come l’Eterno asciugò le acque del Mar Rosso davanti a voi quando usciste dall’Egitto, e quello che faceste ai due re degli Amorei, di là dal Giordano, Sicon e Og, che votaste allo sterminio. Non appena l’abbiamo udito, il nostro cuore si è sciolto e non è più rimasto coraggio in nessuno, a causa vostra; poiché l’Eterno, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra. Dunque, vi prego, giuratemi per l’Eterno che, poiché vi ho trattati con bontà, anche voi tratterete con bontà la casa di mio padre; e datemi un pegno sicuro che salverete la vita a mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle e a tutti i loro, e che ci preserverete dalla morte”. E quegli uomini risposero: “Siamo pronti a dare la nostra vita per voi, se non divulgate questo nostro affare; e quando l’Eterno ci avrà dato il paese, noi ti tratteremo con bontà e lealtà”. Allora lei li calò giù dalla finestra con una fune; poiché la sua abitazione era appoggiata alle mura della città, e lei abitava sulle mura. E disse loro: “Andate verso il monte, affinché quelli che vi rincorrono non vi incontrino; e nascondetevi là per tre giorni, fino al ritorno di coloro che vi inseguono; poi ve ne andrete per la vostra strada”. E quegli uomini le dissero: “Noi saremo sciolti dal giuramento che ci hai fatto fare, se tu non osservi quello che stiamo per dirti: Ecco, quando entreremo nel paese, attaccherai alla finestra per la quale ci fai scendere, questa cordicella di filo scarlatto; e radunerai presso di te, in casa, tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli e tutta la famiglia di tuo padre. Se qualcuno di loro uscirà in strada dalla porta di casa tua, il suo sangue ricadrà sul suo capo, e noi non ne avremo colpa; ma il sangue di chiunque sarà con te in casa ricadrà sul nostro capo, se uno gli metterà le mani addosso. Se tu divulghi questo nostro affare, saremo sciolti dal giuramento che ci hai fatto fare”. E lei disse: “Sia come dite!”. Poi li congedò, e quelli se ne andarono. E lei attaccò la cordicella scarlatta alla finestra. Quelli dunque partirono e se ne andarono sul monte, dove rimasero tre giorni, fino al ritorno di quelli che li rincorrevano; i quali li cercarono per tutta la strada, ma non li trovarono. Allora quei due uomini ritornarono, scesero dal monte, passarono il Giordano, andarono da Giosuè, figlio di Nun, e gli raccontarono tutto quello che gli era successo. E dissero a Giosuè: “Certo, l’Eterno ha dato nella nostra mano tutto il paese; e già tutti gli abitanti del paese hanno perso coraggio davanti a noi”. Giosuè si alzò la mattina di buon’ora e con tutti i figli d’Israele partì da Sittim. Essi arrivarono al Giordano, e là si fermarono, prima di passarlo. Trascorsi tre giorni, gli ufficiali percorsero l’accampamento, e diedero quest’ordine al popolo: “Quando vedrete l’arca del patto dell’Eterno vostro Dio, portata dai sacerdoti levitici, partirete dal luogo dove siete accampati, e la seguirete. Però, tra voi e l’arca vi sarà la distanza di circa duemila cubiti; non vi avvicinate a essa, affinché possiate vedere bene la via per la quale dovete andare; poiché non siete ancora mai passati per questa via”. Giosuè disse al popolo: “Santificatevi, poiché domani l’Eterno farà delle meraviglie in mezzo a voi”. Poi Giosuè parlò ai sacerdoti, dicendo: “Prendete in spalla l’arca del patto e passate davanti al popolo”. Ed essi presero in spalla l’arca del patto e camminarono davanti al popolo. L’Eterno disse a Giosuè: “Oggi comincerò a renderti grande agli occhi di tutto Israele, affinché riconoscano che, come fui con Mosè, così sarò con te. Perciò da’ quest’ordine ai sacerdoti che portano l’arca del patto: ‘Quando sarete giunti alla riva delle acque del Giordano, vi fermerete nel Giordano’”. Allora Giosuè disse ai figli d’Israele: “Avvicinatevi e ascoltate le parole dell’Eterno, il vostro Dio”. Poi Giosuè disse: “Da questo riconoscerete che l’Iddio vivente è in mezzo a voi, e che egli scaccerà certamente davanti a voi i Cananei, gli Ittiti, gli Ivvei, i Ferezei, i Ghirgasei, gli Amorei e i Gebusei: ecco, l’arca del patto del Signore di tutta la terra sta per passare davanti a voi per entrare nel Giordano. Prendete dunque dodici uomini fra le tribù d’Israele, uno per tribù. E avverrà che, appena i sacerdoti che portano l’arca dell’Eterno, del Signore di tutta la terra, avranno posato le piante dei piedi nelle acque del Giordano, le acque del Giordano, che scendono dalla parte superiore, saranno tagliate, e si fermeranno in un mucchio”. E avvenne che quando il popolo levò le tende per passare il Giordano, avevano davanti i sacerdoti che portavano l’arca del patto; appena quelli che portavano l’arca giunsero al Giordano e i sacerdoti che portavano l’arca immersero i piedi nell’acqua della riva, il Giordano straripa dappertutto durante tutto il tempo della messe, le acque che scendevano dalla parte superiore si fermarono e si elevarono in un mucchio, a una grandissima distanza, fino alla città di Adam che è vicino a Sartan; e quelle che scendevano verso il mare della pianura, il Mar Salato, furono interamente separate da esse; e il popolo passò di fronte a Gerico. I sacerdoti che portavano l’arca del patto dell’Eterno stettero con i piedi fermi sull’asciutto, in mezzo al Giordano, mentre tutto Israele passava per l’asciutto, finché tutta la nazione ebbe finito di passare il Giordano. Quando tutta la nazione ebbe finito di passare il Giordano, l’Eterno disse a Giosuè: “Prendete tra il popolo dodici uomini, uno per tribù, e date loro quest’ordine: ‘Prendete dodici pietre da qui, in mezzo al Giordano, dal luogo dove i sacerdoti si sono fermati, portatele con voi di là dal fiume, e collocatele nel luogo dove vi accamperete stanotte’”. Giosuè chiamò i dodici uomini che aveva designato tra i figli d’Israele, un uomo per tribù, e disse loro: “Passate davanti all’arca dell’Eterno, del vostro Dio, in mezzo al Giordano, e ognuno di voi porti in spalla una pietra, secondo il numero delle tribù dei figli d’Israele, affinché questo sia un segno in mezzo a voi. Quando, in avvenire, i vostri figli vi domanderanno: ‘Che significano per voi queste pietre?’. Voi risponderete loro: ‘Le acque del Giordano furono tagliate davanti all’arca del patto dell’Eterno; quando essa passò il Giordano, le acque del Giordano furono tagliate, e queste pietre sono, per i figli di Israele, un ricordo per sempre’”. I figli di Israele fecero dunque come Giosuè aveva ordinato; presero dodici pietre in mezzo al Giordano, come l’Eterno aveva detto a Giosuè, secondo il numero delle tribù dei figli d’Israele, e le portarono con loro di là dal fiume nel luogo dove dovevano passare la notte, e le collocarono lì. Giosuè eresse anche dodici pietre in mezzo al Giordano, nel luogo dove si erano fermati i piedi dei sacerdoti che portavano l’arca del patto, e sono rimaste là fino al giorno d’oggi. I sacerdoti che portavano l’arca rimasero fermi in mezzo al Giordano finché tutto quello che l’Eterno aveva comandato a Giosuè di dire al popolo fosse eseguito, conformemente agli ordini che Mosè aveva dato a Giosuè. E il popolo si affrettò a passare. Quando tutto il popolo ebbe finito di passare, passò anche l’arca dell’Eterno, con i sacerdoti, alla presenza del popolo. E i figli di Ruben, i figli di Gad e mezza tribù di Manasse passarono armati davanti ai figli d’Israele, come Mosè aveva detto loro. Circa quarantamila uomini, pronti di tutto punto per la guerra, passarono davanti all’Eterno nelle pianure di Gerico, per andare a combattere. In quel giorno, l’Eterno rese grande Giosuè agli occhi di tutto Israele; ed essi lo temettero, come avevano temuto Mosè tutti i giorni della sua vita. L’Eterno parlò a Giosuè, e gli disse: “Ordina ai sacerdoti che portano l’arca della Testimonianza, di uscire dal Giordano”. Giosuè, diede quest’ordine ai sacerdoti: “Uscite dal Giordano”. E appena i sacerdoti che portavano l’arca del patto dell’Eterno furono usciti di mezzo al Giordano e le piante dei loro piedi si alzarono e si posarono sull’asciutto, le acque del Giordano tornarono al loro posto, e strariparono dappertutto, come prima. Il popolo salì dal Giordano il decimo giorno del primo mese, e si accampò a Ghilgal, all’estremità orientale di Gerico. E Giosuè eresse a Ghilgal le dodici pietre che essi avevano preso dal Giordano. Poi parlò ai figli d’Israele e disse loro: “Quando, in avvenire, i vostri figli domanderanno ai loro padri: ‘Che significano queste pietre?’, voi lo farete sapere ai vostri figli dicendo: ‘Israele passò questo Giordano all’asciutto’. Poiché l’Eterno, il vostro Dio, ha asciugato le acque del Giordano davanti a voi finché voi foste passati, come l’Eterno, il vostro Dio, fece al Mar Rosso che egli asciugò finché fossimo passati, affinché tutti i popoli della terra riconoscano che la mano dell’Eterno è potente, e voi temiate in ogni tempo l’Eterno, il vostro Dio”. Quando tutti i re degli Amorei che erano di là dal Giordano verso occidente e tutti i re dei Cananei che erano presso il mare udirono che l’Eterno aveva asciugato le acque del Giordano davanti ai figli d’Israele finché fossero passati, il loro cuore venne meno e non rimase più in loro alcun coraggio di fronte ai figli d’Israele. In quel tempo, l’Eterno disse a Giosuè: “Fatti dei coltelli di pietra, e torna di nuovo a circoncidere i figli d’Israele”. Allora Giosuè si fece dei coltelli di pietra e circoncise i figli d’Israele sul colle di Aralot. Questo fu il motivo per cui li circoncise: tutti i maschi del popolo uscito dall’Egitto, cioè tutti gli uomini di guerra, erano morti nel deserto durante il viaggio, dopo essere usciti dall’Egitto. Ora tutto questo popolo uscito dall’Egitto era circonciso; ma tutto il popolo nato nel deserto durante il viaggio, dopo l’uscita dall’Egitto, non era stato circonciso. Poiché i figli d’Israele avevano camminato per quarant’anni nel deserto finché tutta la nazione, cioè tutti gli uomini di guerra che erano usciti dall’Egitto, furono distrutti, perché non avevano ubbidito alla voce dell’Eterno. L’Eterno aveva giurato loro che non gli avrebbe fatto vedere il paese che aveva promesso con giuramento ai loro padri di darci: paese dove scorre il latte e il miele; e sostituì a loro i loro figli. Giosuè circoncise costoro, perché erano incirconcisi, non essendo stati circoncisi durante il viaggio. E quando ebbe finito di circoncidere tutta la nazione, quelli rimasero al loro posto nell’accampamento, finché fossero guariti. Allora l’Eterno disse a Giosuè: “Oggi ho rimosso da voi la vergogna dell’Egitto”. E quel luogo fu chiamato Ghilgal, nome che dura fino al giorno d’oggi. I figli d’Israele si accamparono a Ghilgal e celebrarono la Pasqua il quattordicesimo giorno del mese, sulla sera, nelle pianure di Gerico. E il giorno dopo la Pasqua, in quel preciso giorno, mangiarono dei prodotti del paese: pani azzimi e grano arrostito. E la manna cessò il giorno dopo che mangiarono dei prodotti del paese; e i figli d’Israele non ebbero più manna, ma mangiarono, quell’anno stesso, del frutto del paese di Canaan. Mentre Giosuè era presso Gerico, alzò gli occhi, guardò, ed ecco un uomo che gli stava in piedi, davanti, con una spada sguainata in mano. Giosuè andò verso di lui e gli disse: “Sei dei nostri, o dei nostri nemici?”. Ed egli rispose: “No, io sono il capo dell’esercito dell’Eterno; arrivo adesso”. Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò, e gli disse: “Che cosa vuol dire il mio signore al suo servo?”. Il capo dell’esercito dell’Eterno disse a Giosuè: “Togliti i calzari dai piedi; perché il luogo dove stai è santo”. E Giosuè fece così. Gerico era chiusa bene e barricata per paura dei figli d’Israele; nessuno ne usciva e nessuno vi entrava. E l’Eterno disse a Giosuè: “Vedi, io do in tua mano Gerico, il suo re, i suoi prodi guerrieri. Voi tutti dunque, uomini di guerra, marciate intorno alla città, facendone il giro una volta. Così farai per sei giorni; e sette sacerdoti porteranno davanti all’arca sette trombe squillanti; il settimo giorno farete il giro della città, sette volte, e i sacerdoti suoneranno le trombe. E avverrà che, quando essi suoneranno a distesa il corno squillante e voi udrete il suono delle trombe, tutto il popolo darà in un gran grido, e le mura della città crolleranno, e il popolo salirà, ciascuno diritto davanti a sé”. Allora Giosuè, figlio di Nun, chiamò i sacerdoti e disse loro: “Prendete l’arca del patto, e sette sacerdoti portino sette trombe squillanti davanti all’arca dell’Eterno”. Poi disse al popolo: “Andate, fate il giro della città, e l’avanguardia preceda l’arca dell’Eterno”. Quando Giosuè ebbe parlato al popolo, i sette sacerdoti che portavano le sette trombe squillanti davanti all’Eterno, si misero in marcia suonando le trombe; e l’arca del patto dell’Eterno li seguiva. L’avanguardia marciava davanti ai sacerdoti che suonavano le trombe, e la retroguardia seguiva l’arca; durante la marcia, i sacerdoti suonavano le trombe. Ora Giosuè aveva dato al popolo quest’ordine: “Non gridate, non fate udire la vostra voce e non vi esca parola di bocca, fino al giorno che io vi dirò: ‘Gridate!’. Allora griderete”. Così fece fare all’arca dell’Eterno il giro della città una volta; poi rientrarono nell’accampamento, e là passarono la notte. Giosuè si alzò la mattina di buon’ora, e i sacerdoti presero l’arca dell’Eterno. I sette sacerdoti che portavano le sette trombe squillanti davanti all’arca dell’Eterno avanzavano, suonando le trombe durante la marcia. L’avanguardia li precedeva; la retroguardia seguiva l’arca dell’Eterno; e durante la marcia, i sacerdoti suonavano le trombe. Il secondo giorno girarono intorno alla città una volta, e poi tornarono all’accampamento. Così fecero per sei giorni. E il settimo giorno, si alzarono la mattina allo spuntare dell’alba, fecero sette volte il giro della città in quella stessa maniera; soltanto quel giorno fecero il giro della città sette volte. La settima volta, quando i sacerdoti suonavano le trombe, Giosuè disse al popolo: “Gridate! perché l’Eterno vi ha dato la città. E la città con tutto quello che contiene sarà consacrata all’Eterno per essere sterminata come un interdetto; soltanto Raab, la prostituta, avrà salva la vita: lei e tutti quelli che saranno in casa con lei, perché nascose i messaggeri che noi avevamo inviato. E voi guardatevi bene da ciò che è votato all’interdetto, affinché non siate voi stessi votati allo sterminio, prendendo qualcosa di interdetto, e non rendiate maledetto l’accampamento d’Israele, gettandovi lo scompiglio. Ma tutto l’argento, l’oro e gli oggetti di bronzo e di ferro saranno consacrati all’Eterno; entreranno nel tesoro dell’Eterno”. Il popolo dunque gridò e i sacerdoti suonarono le trombe; e avvenne che quando il popolo ebbe udito il suono delle trombe lanciò un grande grido, e le mura crollarono. Il popolo salì nella città, ciascuno diritto davanti a sé, e si impadronirono della città. E votarono allo sterminio tutto ciò che era nella città, passando a fil di spada, uomini, donne, fanciulli e vecchi, e buoi e pecore e asini. E Giosuè disse ai due uomini che avevano esplorato il paese: “Andate in casa di quella prostituta, fatela uscire con tutto ciò che le appartiene, come le avete giurato”. E quei giovani che avevano esplorato il paese entrarono nella casa, e fecero uscire Raab, suo padre, sua madre, i suoi fratelli e tutto quello che le apparteneva; fecero uscire anche tutte le famiglie dei suoi, e li misero fuori dall’accampamento d’Israele. Poi i figli d’Israele bruciarono la città e tutto quello che conteneva; presero soltanto l’argento, l’oro e gli oggetti di bronzo e di ferro, che misero nel tesoro della casa dell’Eterno. Ma a Raab, la prostituta, alla famiglia di suo padre e a tutti i suoi Giosuè lasciò la vita; e lei ha dimorato in mezzo a Israele fino al giorno d’oggi, perché aveva nascosto i messaggeri che Giosuè aveva mandati a esplorare Gerico. Allora Giosuè fece questo giuramento: “Sia maledetto, davanti all’Eterno, l’uomo che si alzerà a ricostruire questa città di Gerico! Egli getterà le fondamenta sul suo primogenito, ed erigerà le porte sul più giovane dei suoi figli”. L’Eterno fu con Giosuè, e la sua fama si sparse per tutto il paese. Ma i figli d’Israele commisero un’infedeltà circa l’interdetto; poiché Acan, figlio di Carmi, figlio di Zabdi, figlio di Zerac, della tribù di Giuda prese dell’interdetto, e l’ira dell’Eterno si accese contro i figli d’Israele. Giosuè mandò degli uomini da Gerico ad Ai, che è vicina a Bet-Aven a oriente di Betel, e disse loro: “Salite ed esplorate il paese”. E quelli salirono ed esplorarono Ai. Poi tornarono da Giosuè e gli dissero: “Non occorre che salga tutto il popolo; ma salgano due o tremila uomini, e sconfiggeranno Ai; non stancare tutto il popolo, mandandolo là, perché quelli sono in pochi”. Così salirono circa tremila uomini tra il popolo, i quali si diedero alla fuga davanti alla gente di Ai. E la gente di Ai ne uccise circa trentasei, li inseguì dalla porta fino a Sebarim, e li mise in rotta nella discesa. E il cuore del popolo venne meno e divenne come acqua. Giosuè si stracciò le vesti e si gettò con il viso a terra davanti all’arca dell’Eterno; stette così fino alla sera, lui e gli anziani d’Israele, e si gettarono della polvere sul capo. Poi Giosuè disse: “Ahi, Signore, Eterno, perché hai fatto passare il Giordano a questo popolo per darci in mano agli Amorei e farci perire? Oh, ci fossimo pur accontentati di rimanere di là dal Giordano! Ahimè, Signore, che dirò io, ora che Israele ha voltato le spalle ai suoi nemici? I Cananei e tutti gli abitanti del paese lo verranno a sapere, ci accerchieranno, e faranno sparire il nostro nome dalla terra; e tu che farai per il tuo gran nome?”. Allora l’Eterno disse a Giosuè: “Àlzati! Perché ti sei prostrato così con la faccia a terra? Israele ha peccato; essi hanno trasgredito il patto che io avevo loro comandato di osservare; hanno perfino preso dell’interdetto, lo hanno perfino rubato, hanno perfino mentito, e lo hanno messo fra i loro bagagli. Perciò i figli d’Israele non potranno resistere ai loro nemici e volteranno le spalle davanti a loro, perché sono diventati essi stessi interdetto. Io non sarò più con voi, se non distruggete l’interdetto in mezzo a voi. Àlzati, santifica il popolo e digli: ‘Santificatevi per domani, perché così ha detto l’Eterno, l’Iddio d’Israele: O Israele, c’è dell’interdetto in mezzo a te! Tu non potrai resistere ai tuoi nemici, finché non abbiate tolto l’interdetto di mezzo a voi. Domattina dunque vi accosterete tribù per tribù; e la tribù che l’Eterno designerà, si accosterà famiglia per famiglia; e la famiglia che l’Eterno designerà, si accosterà casa per casa; e la casa che l’Eterno avrà designato, si accosterà persona per persona. E colui che sarà designato per aver preso dell’interdetto sarà dato alle fiamme con tutto quello che gli appartiene, perché ha trasgredito il patto dell’Eterno e ha commesso un’infamia in Israele’”. Giosuè dunque si alzò la mattina di buon’ora, e fece accostare Israele tribù per tribù; e la tribù di Giuda fu designata. Poi fece accostare le famiglie di Giuda, e la famiglia degli Zerachiti fu designata. Poi fece accostare la famiglia degli Zerachiti persona per persona, e Zabdi fu designato. Poi fece accostare la casa di Zabdi persona per persona; e fu designato Acan, figlio di Carmi, figlio di Zabdi, figlio di Zerac, della tribù di Giuda. Allora Giosuè disse ad Acan: “Figlio mio, da’ gloria all’Eterno, all’Iddio d’Israele, rendigli omaggio, e dimmi quello che hai fatto; non me lo nascondere”. Acan rispose a Giosuè e disse: “È vero; ho peccato contro l’Eterno, l’Iddio d’Israele, ed ecco precisamente quello che ho fatto. Ho visto fra le spoglie un bel mantello di Scinear, duecento sicli d’argento e una verga d’oro del peso di cinquanta sicli; ho desiderato quelle cose, le ho prese; ecco, sono nascoste in terra in mezzo alla mia tenda; e l’argento è sotto”. Allora Giosuè mandò dei messaggeri, i quali corsero alla tenda; ed ecco che il mantello era nascosto, e l’argento stava sotto. Essi presero quelle cose di mezzo alla tenda, le portarono a Giosuè e a tutti i figli d’Israele, e le deposero davanti all’Eterno. E Giosuè e tutto Israele con lui presero Acan, figlio di Zerac, l’argento, il mantello, la verga d’oro, i suoi figli e le sue figlie, i suoi buoi, i suoi asini, le sue pecore, la sua tenda e tutto quello che gli apparteneva, e li fecero salire nella valle di Acor. E Giosuè disse: “Perché ci hai causato una sventura? L’Eterno causerà a te una sventura in questo giorno!”. E tutto Israele lo lapidò; e dopo aver lapidato gli altri, diedero tutti alle fiamme. Poi ammassarono su Acan un gran mucchio di pietre, che dura fino al giorno d’oggi. E l’Eterno cessò dalla sua ira ardente. Perciò quel luogo è stato chiamato fino al giorno d’oggi ‘Valle di Acor’. Poi l’Eterno disse a Giosuè: “Non temere, e non ti sgomentare! Prendi con te tutta la gente di guerra, àlzati e sali contro Ai. Guarda, io do in tua mano il re di Ai, il suo popolo, la sua città e il suo paese. E tu tratterai Ai e il suo re come hai trattato Gerico e il suo re; prenderete per voi soltanto il bottino e il bestiame. Tendi un’imboscata dietro la città”. Giosuè dunque con tutta la gente di guerra si alzò per salire contro Ai. Egli scelse trentamila uomini valenti e prodi, li fece partire di notte, e diede loro quest’ordine: “Ecco, tenderete un’imboscata dietro la città; non vi allontanate troppo dalla città, e siate tutti pronti. Io e tutto il popolo che è con me ci accosteremo alla città; e quando essi usciranno contro di noi come la prima volta, ci metteremo in fuga davanti a loro. Essi ci inseguiranno finché noi li avremo attirati lontano dalla città, perché diranno: ‘Essi fuggono davanti a noi come la prima volta’. E fuggiremo davanti a loro. Voi allora uscirete dall’imboscata e vi impadronirete della città: l’Eterno, il vostro Dio, la darà nelle vostre mani. E quando avrete preso la città, la incendierete; farete come ha detto l’Eterno. Badate bene, questo è l’ordine che io vi do”. Così Giosuè li mandò, e quelli andarono al luogo dell’imboscata, e si fermarono fra Betel e Ai, a occidente di Ai; ma Giosuè rimase quella notte in mezzo al popolo. La mattina, si alzò di buon’ora, passò in rivista il popolo, e salì contro Ai con gli anziani d’Israele, alla testa del popolo. E tutta la gente di guerra che era con lui, salì, si avvicinò, giunse di fronte alla città, e si accampò a nord di Ai. Tra lui e Ai c’era una valle. Giosuè prese circa cinquemila uomini, con i quali tese un’imboscata fra Betel e Ai, a occidente della città. E dopo che tutto il popolo ebbe preso l’accampamento a nord della città, e teso l’imboscata a occidente della città, Giosuè, durante quella notte, si spinse avanti in mezzo alla valle. Quando il re di Ai vide questo, la gente della città si alzò in fretta di buon mattino; e il re e tutto il suo popolo uscirono contro Israele, per dargli battaglia al punto convenuto, al principio della pianura; perché il re non sapeva che c’era un’imboscata contro di lui dietro la città. Allora Giosuè e tutto Israele, fingendo di essere battuti da quelli, si misero in fuga verso il deserto. E tutto il popolo che era nella città fu chiamato a raccolta per inseguirli; e inseguirono Giosuè e furono attirati lontano dalla città. Non ci fu uomo, ad Ai e a Betel, che non uscisse dietro a Israele. Lasciarono la città aperta e inseguirono Israele. Allora l’Eterno disse a Giosuè: “Stendi verso Ai la lancia che hai in mano, perché io sto per dare Ai in tuo potere”. E Giosuè stese la lancia che aveva in mano verso la città. E subito, appena ebbe steso la mano, gli uomini dell’imboscata uscirono dal luogo dove erano, entrarono di corsa nella città, la presero, e si affrettarono ad appiccarvi il fuoco. E la gente di Ai, volgendosi indietro, guardò, ed ecco che il fumo della città saliva al cielo; e non ci fu per loro nessuna possibilità di fuggire né da una parte né dall’altra, perché il popolo che fuggiva verso il deserto si era voltato contro quelli che lo inseguivano. Giosuè e tutto Israele, vedendo che quelli dell’imboscata avevano preso la città e che il fumo saliva dalla città, tornarono indietro, e batterono la gente di Ai. Anche gli altri uscirono dalla città contro di loro; così furono presi in mezzo da Israele, avendo gli uni da un lato e gli altri dall’altro; e Israele li batté in modo che non rimase né superstite né fuggiasco. Il re di Ai lo presero vivo, e lo portarono da Giosuè. Quando Israele ebbe finito di uccidere tutti gli abitanti di Ai nella campagna, nel deserto dove quelli l’avevano inseguito, e tutti furono caduti sotto i colpi della spada finché non ne rimasero più, tutto Israele tornò verso Ai e la mise a fil di spada. Tutti quelli che caddero in quel giorno, fra uomini e donne, furono dodicimila: vale a dire tutta la gente di Ai. Giosuè non ritirò la mano che aveva steso con la lancia, finché non ebbe sterminato tutti gli abitanti di Ai. Israele prese per sé soltanto il bestiame e il bottino di quella città, secondo l’ordine che l’Eterno aveva dato a Giosuè. Giosuè bruciò dunque Ai e la ridusse per sempre in un mucchio di rovine, come è anche oggi. Quanto al re di Ai, lo impiccò a un albero, e lo lasciò lì fino a sera; ma al tramonto del sole Giosuè ordinò che il cadavere fosse calato dall’albero; lo gettarono all’ingresso della porta della città, e gli ammassarono sopra un gran mucchio di pietre, che rimane anche al giorno d’oggi. Allora Giosuè costruì un altare all’Eterno, all’Iddio d’Israele, sul monte Ebal, come Mosè, servo dell’Eterno, aveva ordinato ai figli d’Israele, e come sta scritto nel libro della legge di Mosè: un altare di pietre intatte sulle quali nessuno aveva passato ferro; e i figli d’Israele offrirono su di esso degli olocausti all’Eterno, e fecero dei sacrifici di ringraziamento. E là, su delle pietre, Giosuè scrisse una copia della legge che Mosè aveva scritto in presenza dei figli d’Israele. Tutto Israele, i suoi anziani, i suoi ufficiali e i suoi giudici stavano in piedi ai due lati dell’arca, di fronte ai sacerdoti levitici che portavano l’arca del patto dell’Eterno: gli stranieri come gli Israeliti di nascita, metà dal lato del monte Garizim, metà dal lato del monte Ebal, come Mosè, servo dell’Eterno, aveva precedentemente ordinato che si benedicesse il popolo d’Israele. Dopo questo, Giosuè lesse tutte le parole della legge, le benedizioni e le maledizioni, secondo tutto ciò che è scritto nel libro della legge. Non ci fu parola di tutto ciò che Mosè aveva comandato, che Giosuè non leggesse alla presenza di tutta la comunità d’Israele, delle donne, dei bambini e degli stranieri che camminavano in mezzo a loro. Appena ebbero udito queste cose, tutti i re che erano di qua dal Giordano, nella regione montuosa e nella pianura e lungo tutta la costa del Mar Grande di fronte al Libano, l’Ittita, l’Amoreo, il Cananeo, il Ferezeo, l’Ivveo e il Gebuseo, si radunarono tutti insieme, di comune accordo, per muovere guerra a Giosuè e a Israele. Gli abitanti di Gabaon, dal canto loro, quando ebbero udito ciò che Giosuè aveva fatto a Gerico e ad Ai, procedettero con astuzia: partirono, provvisti di viveri, caricarono sui loro asini dei sacchi vecchi e dei vecchi otri da vino, rotti e ricuciti; si misero ai piedi dei calzari vecchi rattoppati, e dei vecchi abiti addosso; e tutto il pane di cui si erano provvisti, era duro e sbriciolato. Andarono da Giosuè, all’accampamento di Ghilgal, e dissero a lui e alla gente d’Israele: “Noi veniamo da un paese lontano; fate dunque alleanza con noi”. La gente d’Israele rispose a questi Ivvei: “Voi abitate forse in mezzo a noi; come faremmo dunque alleanza con voi?”. Ma quelli dissero a Giosuè: “Noi siamo tuoi servi!”. E Giosuè a loro: “Chi siete? e da dove venite?”. Quelli gli risposero: “I tuoi servi vengono da un paese molto lontano, attratti dalla fama dell’Eterno, del tuo Dio; poiché abbiamo sentito parlare di lui, di tutto quello che ha fatto in Egitto e di tutto quello che ha fatto ai due re degli Amorei di là dal Giordano, a Sicon re di Chesbon e a Og re di Basan, che abitava ad Astarot. I nostri anziani e tutti gli abitanti del nostro paese ci hanno detto: ‘Prendete con voi delle provviste per il viaggio, andate incontro a loro e dite: Noi siamo vostri servi; fate dunque alleanza con noi’. Ecco il nostro pane; lo prendemmo caldo dalle nostre case, come provvista, il giorno che partimmo per venire da voi, e ora eccolo duro e sbriciolato; e questi sono gli otri da vino che riempimmo tutti nuovi, ed eccoli rotti; e questi i nostri abiti e i nostri calzari, che si sono logorati per la grande lunghezza del viaggio”. Allora la gente d’Israele prese delle loro provviste, e non consultò l’Eterno. E Giosuè fece pace con loro e stabilì con loro un patto, per il quale avrebbe loro lasciato la vita; e i capi della comunità lo giurarono loro. Ma tre giorni dopo aver stabilito questo patto, seppero che quelli erano loro vicini e abitavano in mezzo a loro; poiché i figli d’Israele partirono, e giunsero alle loro città il terzo giorno: le loro città erano Gabaon, Chefira, Beerot e Chiriat-Iearim. Ma i figli d’Israele non li uccisero, a causa del giuramento che i capi della comunità avevano fatto loro nel nome dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele. Però, tutta la comunità mormorò contro i capi. E tutti i capi dissero all’intera comunità: “Noi abbiamo giurato loro nel nome dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele; perciò non li possiamo toccare. Ecco quello che faremo loro: li lasceremo in vita, per non attirarci addosso l’ira dell’Eterno, a causa del giuramento che gli abbiamo fatto”. I capi dissero dunque: “Essi vivranno!”. Ma quelli furono semplici spaccalegna e portatori d’acqua per tutta la comunità, come i capi avevano detto loro. Giosuè dunque li chiamò e parlò loro così: “Perché ci avete ingannati dicendo: ‘Stiamo molto lontano da voi’, mentre abitate in mezzo a noi? Ora dunque siete maledetti, e non cesserete mai di essere schiavi, spaccalegna e portatori d’acqua per la casa del mio Dio”. E quelli risposero a Giosuè e dissero: “Era stato espressamente riferito ai tuoi servi che il tuo Dio, l’Eterno, aveva ordinato al suo servo Mosè di darvi tutto il paese e di sterminare davanti a voi tutti gli abitanti. E noi, al vostro avvicinarvi, siamo stati in grande timore per le nostre vite, e abbiamo fatto questo. E ora eccoci qui nelle tue mani; trattaci come ti sembra che sia bene e giusto di fare”. Giosuè li trattò dunque così: li liberò dalle mani dei figli d’Israele, perché questi non li uccidessero; ma in quel giorno li destinò a essere spaccalegna e portatori d’acqua per la comunità e per l’altare dell’Eterno, nel luogo che l’Eterno si sarebbe scelto: ed è ciò che fanno anche al giorno d’oggi. Quando Adoni-Sedec, re di Gerusalemme, udì che Giosuè aveva preso Ai e l’aveva votata allo sterminio, che aveva trattato Ai e il suo re nel modo in cui aveva trattato Gerico e il suo re, che gli abitanti di Gabaon avevano fatto la pace con gli Israeliti ed erano in mezzo a loro, fu tutto spaventato; perché Gabaon era una città grande come una delle città reali, anche più grandi di Ai, e tutti i suoi uomini erano valorosi. Perciò Adoni-Sedec, re di Gerusalemme, mandò a dire a Oam re di Ebron, a Piram re di Iarmut, a Iafia re di Lachis e a Debir re di Eglon: “Salite da me, soccorretemi, e noi batteremo Gabaon, perché ha fatto la pace con Giosuè e con i figli d’Israele”. E cinque re degli Amorei, il re di Gerusalemme, il re di Ebron, il re di Iarmut, il re di Lachis e il re di Eglon si radunarono, salirono con tutti i loro eserciti, si accamparono di fronte a Gabaon, e l’attaccarono. Allora i Gabaoniti mandarono a dire a Giosuè, all’accampamento di Ghilgal: “Non negare ai tuoi servi il tuo aiuto, affrettati a salire da noi, liberaci, soccorrici, perché tutti i re degli Amorei che abitano la regione montuosa si sono radunati contro di noi”. Così Giosuè salì da Ghilgal, con tutta la gente di guerra e con tutti gli uomini segnalati per valore. E l’Eterno disse a Giosuè: “Non li temere, perché io li ho dati in tuo potere; nessuno di loro potrà resisterti”. Giosuè piombò loro addosso all’improvviso: aveva marciato tutta la notte da Ghilgal. E l’Eterno li mise in rotta davanti a Israele, che fece subire loro una grande sconfitta presso Gabaon, li inseguì per la via che sale a Bet-Oron, e li batté fino ad Azeca e a Maccheda. Mentre fuggivano davanti a Israele ed erano alla discesa di Bet-Oron, l’Eterno fece cadere su di loro dal cielo delle grosse pietre fino ad Azeca, ed essi perirono; quelli che morirono per le pietre della grandinata furono più numerosi di quelli che i figli d’Israele uccisero con la spada. Allora Giosuè parlò all’Eterno, il giorno che l’Eterno diede gli Amorei in potere dei figli d’Israele, e disse in presenza d’Israele: “Sole, fermati su Gabaon, e tu, luna, sulla valle di Aialon!”. E il sole si fermò, e la luna rimase al suo posto, finché la nazione si fu vendicata dei suoi nemici. Questo non sta scritto nel libro del Giusto? E il sole si fermò in mezzo al cielo e non si affrettò a tramontare per quasi un giorno intero. E mai, né prima né dopo, c’è stato un giorno simile a quello, nel quale l’Eterno abbia esaudito la voce di un uomo; poiché l’Eterno combatteva per Israele. Poi Giosuè, con tutto Israele, tornò all’accampamento di Ghilgal. Ora i cinque re erano fuggiti, e si erano nascosti nella caverna di Maccheda. La cosa fu riferita a Giosuè e gli fu detto: “I cinque re sono stati trovati nascosti nella caverna di Maccheda”. Allora Giosuè disse: “Rotolate delle grosse pietre all’entrata della caverna, e mettete degli uomini per far loro la guardia; ma voi non vi fermate; inseguite i vostri nemici, e colpite le retroguardie; non li lasciate entrare nelle loro città, perché l’Eterno, il vostro Dio, li ha dati in vostro potere”. E quando Giosuè e i figli d’Israele ebbero terminato di infliggere loro una grande, completa disfatta, e i superstiti si furono rifugiati nelle città fortificate, tutto il popolo tornò tranquillamente da Giosuè all’accampamento di Maccheda, senza che nessuno osasse fiatare contro i figli d’Israele. Allora Giosuè disse: “Aprite l’entrata della caverna, fate uscire quei cinque re, e conduceteli da me”. Quelli fecero così, fecero uscire dalla caverna quei cinque re, il re di Gerusalemme, il re di Ebron, il re di Iarmut, il re di Lachis, il re di Eglon, e glieli condussero. E quando ebbero fatti uscire dalla caverna e condotti da Giosuè quei re, Giosuè chiamò tutti gli uomini d’Israele, e disse ai capi della gente di guerra che era andata con lui: “Avvicinatevi, mettete il piede sul collo di questi re”. Quelli si avvicinarono e misero loro il piede sul collo. E Giosuè disse loro: “Non temete, non vi sgomentate, siate forti e coraggiosi, perché così farà l’Eterno a tutti i vostri nemici contro ai quali dovete combattere”. Dopo ciò Giosuè li percosse e li fece morire, quindi li impiccò a cinque alberi; e quelli rimasero impiccati agli alberi fino alla sera. E sul tramontare del sole, Giosuè ordinò che fossero calati dagli alberi e gettati nella caverna dove si erano nascosti; e che all’entrata della caverna fossero messe delle grosse pietre, che sono rimaste fino al giorno d’oggi. In quello stesso giorno Giosuè prese Maccheda e fece passare a fil di spada la città e il suo re; li votò allo sterminio con tutte le persone che vi si trovavano; non lasciò un superstite, e trattò il re di Maccheda come aveva trattato il re di Gerico. Poi Giosuè con tutto Israele passò da Maccheda a Libna, e l’attaccò. E l’Eterno diede anche quella con il suo re nelle mani d’Israele, e Giosuè la mise a fil di spada con tutte le persone che vi si trovavano; non lasciò un superstite, e trattò il suo re, come aveva trattato il re di Gerico. Poi Giosuè con tutto Israele passò da Libna a Lachis; si accampò di fronte a questa, e l’attaccò. E l’Eterno diede Lachis nelle mani d’Israele, che la prese il secondo giorno, e la mise a fil di spada, con tutte le persone che vi si trovavano, esattamente come aveva fatto a Libna. Allora Oram, re di Ghezer, salì in soccorso di Lachis; ma Giosuè batté lui e il suo popolo così da non lasciarne nessun superstite. Poi Giosuè con tutto Israele passò da Lachis a Eglon; si accamparono di fronte a questa, e l’attaccarono. La presero quello stesso giorno e la misero a fil di spada. In quel giorno Giosuè votò allo sterminio tutte le persone che vi si trovavano, esattamente come aveva fatto a Lachis. Poi Giosuè con tutto Israele salì da Eglon a Ebron, e l’attaccarono. La presero, la misero a fil di spada insieme con il suo re, con tutte le sue città e con tutte le persone che vi si trovavano; non ne lasciò sfuggire una, esattamente come aveva fatto a Eglon; la votò allo sterminio con tutte le persone che vi si trovavano. Poi Giosuè con tutto Israele tornò verso Debir, e l’attaccò. La prese con il suo re e con tutte le sue città; la misero a fil di spada e votarono allo sterminio tutte le persone che vi si trovavano, senza lasciare nessun superstite. Egli trattò Debir e il suo re come aveva trattato Ebron, come aveva trattato Libna e il suo re. Giosuè dunque batté tutto il paese, la regione montuosa, il mezzogiorno, la regione bassa, le pendici, e tutti i loro re; non lasciò nessun superstite, ma votò allo sterminio tutto ciò che aveva vita, come l’Eterno, l’Iddio d’Israele, aveva comandato. Così Giosuè li batté da Cades-Barnea fino a Gaza, e batté tutto il paese di Goscen fino a Gabaon. E Giosuè prese in una volta sola tutti quei re e i loro paesi, perché l’Eterno, l’Iddio d’Israele, combatteva per Israele. Poi Giosuè, con tutto Israele, fece ritorno all’accampamento di Ghilgal. Quando Iabin, re di Asor, ebbe udito queste cose, mandò dei messaggeri a Iobab re di Madon, al re di Simron, al re di Acsaf, ai re che erano al nord nella regione montuosa, nella pianura al sud di Chinneret, nella regione bassa, e sulle alture di Dor a occidente, ai Cananei d’oriente e di occidente, agli Amorei, agli Ittiti, ai Ferezei, ai Gebusei nella regione montuosa, agli Ivvei ai piedi dell’Ermon nel paese di Mispa. E quelli uscirono, con tutti i loro eserciti, formando un popolo innumerevole come la sabbia che è sulla riva del mare, e con cavalli e carri in grandissima quantità. Tutti questi re si riunirono e andarono ad accamparsi assieme presso le acque di Merom per combattere contro Israele. E l’Eterno disse a Giosuè: “Non li temere, perché domani, a quest’ora, io farò in modo che saranno tutti uccisi davanti a Israele; tu taglierai i garretti ai loro cavalli e darai fuoco ai loro carri”. Giosuè dunque, con tutta la sua gente di guerra, marciò all’improvviso contro di essi alle acque di Merom, e piombò loro addosso; e l’Eterno li diede nelle mani degli Israeliti, i quali li batterono e li inseguirono fino a Sidone la grande, fino a Misrefot-Maim e fino alla valle di Mispa, verso oriente; li batterono così da non lasciare nessun superstite. E Giosuè li trattò come gli aveva detto l’Eterno: tagliò i garretti ai loro cavalli e diede fuoco ai loro carri. Al suo ritorno, e in quello stesso tempo, Giosuè prese Asor e uccise con la spada il suo re; poiché Asor era stata nel passato la capitale di tutti quei regni. Mise anche a fil di spada tutte le persone che vi si trovavano, votandole allo sterminio; non restò anima viva, e diede Asor alle fiamme. Giosuè prese pure tutte le città di quei re e tutti i loro re, e li mise a fil di spada e li votò allo sterminio, come aveva ordinato Mosè, servo dell’Eterno. Ma Israele non bruciò nessuna delle città poste in collina, salvo Asor, la sola che Giosuè incendiò. E i figli d’Israele si tennero per sé tutto il bottino di quelle città e il bestiame, ma misero a fil di spada tutti gli uomini fino al loro completo sterminio, senza lasciare anima viva. Come l’Eterno aveva comandato a Mosè suo servo, così Mosè ordinò a Giosuè, e così fece Giosuè, il quale non trascurò nessuno degli ordini che l’Eterno aveva dato a Mosè. Giosuè dunque prese tutto quel paese, la regione montuosa, tutto il mezzogiorno, tutto il paese di Goscen, la regione bassa, la pianura, la contrada montuosa d’Israele e le sue regioni basse, dal monte Olac che si eleva verso Seir, fino a Baal-Gad nella valle del Libano ai piedi del monte Ermon; prese tutti i loro re, li colpì e li mise a morte. Giosuè fece per lungo tempo guerra a tutti quei re. Non ci fu città che facesse pace con i figli d’Israele, eccetto gli Ivvei che abitavano Gabaon; le presero tutte, combattendo; perché l’Eterno faceva in modo che il loro cuore si ostinasse a dare battaglia a Israele, affinché Israele li votasse allo sterminio senza che ci fosse pietà per loro, e li distruggesse come l’Eterno aveva comandato a Mosè. In quello stesso tempo, Giosuè si mise in marcia e sterminò gli Anachiti della regione montuosa, di Ebron, di Debir, di Anab, di tutta la regione montuosa di Giuda e di tutta la regione montuosa d’Israele; Giosuè li votò allo sterminio con le loro città. Non rimasero più Anachiti nel paese dei figli d’Israele; non ne restarono che alcuni in Gaza, in Gat e in Asdod. Giosuè dunque prese tutto il paese, esattamente come l’Eterno aveva detto a Mosè; e Giosuè lo diede in eredità a Israele, tribù per tribù, secondo la parte che toccava a ciascuna. E il paese ebbe riposo dalla guerra. Ora questi sono i re del paese battuti dai figli d’Israele, i quali presero possesso del loro territorio di là dal Giordano, verso oriente, dalla valle dell’Arnon fino al monte Ermon, con tutta la pianura orientale: Sicon, re degli Amorei, che abitava a Chesbon e dominava da Aroer, che è sulle sponde della valle dell’Arnon, e dalla metà della valle e dalla metà di Galaad, fino al torrente di Iabboc, confine dei figli di Ammon; sulla pianura fino al mare di Chinneret, verso oriente, e fino al mare della pianura che è il Mar Salato, a oriente verso Bet-Iesimot; e dal lato di mezzogiorno fino ai piedi delle pendici del Pisga. Poi il territorio di Og re di Basan, uno dei superstiti dei Refaim, che abitava ad Astarot e a Edrei, e dominava sul monte Ermon, su Salca, su tutto Basan fino ai confini dei Ghesuriti e dei Maacatiti, e sulla metà di Galaad, confine di Sicon re di Chesbon. Mosè, servo dell’Eterno, e i figli d’Israele li batterono; e Mosè, servo dell’Eterno, diede il loro paese come possesso ai Rubeniti, ai Gaditi e a mezza tribù di Manasse. Ed ecco i re del paese che Giosuè e i figli d’Israele batterono di qua dal Giordano, a occidente, da Baal-Gad nella valle del Libano fino al monte Olac che si eleva verso Seir, paese che Giosuè diede in possesso alle tribù d’Israele, secondo la parte che toccava a ciascuna, nella contrada montuosa, nella regione bassa, nella pianura, sulle pendici, nel deserto e nel mezzogiorno; il paese degli Ittiti, degli Amorei, dei Cananei, dei Ferezei, degli Ivvei e dei Gebusei. Il re di Gerico, il re di Ai, vicino a Betel, il re di Gerusalemme, il re di Ebron, il re di Iarmut, il re di Lachis, il re di Eglon, il re di Ghezer, il re di Debir, il re di Gheder, il re di Corma, il re di Arad, il re di Libna, il re di Adullam, il re di Maccheda, il re di Betel, il re di Tappua, il re di Chefer, il re di Afec, il re di Saron, il re di Madon, il re di Asor, il re di Simron-Meron, il re di Acsaf, il re di Taanac, il re di Meghiddo, il re di Chedes, il re di Iocneam al Carmelo, il re di Dor, sulle alture di Dor, il re di Goim nel Ghilgal, il re di Tirsa. In tutto trentuno re. Giosuè era vecchio, molto avanti negli anni; e l’Eterno gli disse: “Tu sei vecchio, molto avanti negli anni, e rimane ancora una grandissima parte del paese da conquistare. Ecco quello che rimane: tutti i distretti dei Filistei e tutto il territorio dei Ghesuriti, dallo Sicor che scorre a oriente dell’Egitto, fino al confine di Ecron a settentrione: regione, che va ritenuta come cananea e che appartiene ai cinque principi dei Filistei: a quello di Gaza, a quello di Asdod, a quello di Ascalon, a quello di Gat, a quello di Ecron, e anche agli Avvei, a mezzogiorno; tutto il paese dei Cananei, e Meara che è dei Sidoni, fino ad Afec, fino al confine degli Amorei; il paese dei Ghibliti e tutto il Libano verso oriente, da Baal-Gad, ai piedi del monte Ermon, fino all’ingresso di Camat; tutti gli abitanti della regione montuosa dal Libano fino a Misrefot-Maim, tutti i Sidoni. Io li scaccerò davanti ai figli d’Israele; e tu distribuisci pure a sorte l’eredità di questo paese fra gli Israeliti, nel modo che ti ho comandato. Ora dunque ripartisci l’eredità di questo paese fra nove tribù e la mezza tribù di Manasse”. I Rubeniti e i Gaditi, con l’altra metà della tribù di Manasse, hanno ricevuto la loro eredità, che Mosè, servo dell’Eterno, diede loro di là dal Giordano, a oriente: da Aroer sull’orlo della valle di Arnon, e dalla città che è in mezzo alla valle, tutto l’altopiano di Medeba fino a Dibon; tutte le città di Sicon re degli Amorei, che regnava a Chesbon, fino al confine dei figli di Ammon; Galaad, il territorio dei Ghesuriti e dei Maacatiti, tutto il monte Ermon e tutto Basan fino a Salca; tutto il regno di Og, in Basan, che regnava ad Astarot e a Edrei, ultimo superstite dei Refaim. Mosè sconfisse questi re e li cacciò. Ma i figli d’Israele non cacciarono i Ghesuriti e i Maacatiti; e Ghesur e Maacat abitano in mezzo a Israele fino al giorno d’oggi. Soltanto alla tribù di Levi Mosè non diede nessuna eredità; i sacrifici offerti mediante il fuoco all’Eterno, all’Iddio d’Israele, sono la sua eredità, come egli disse. Mosè dunque diede alla tribù dei figli di Ruben la loro parte, secondo le loro famiglie; essi ebbero per territorio, partendo da Aroer sulle sponde della valle dell’Arnon, e dalla città che è in mezzo alla valle, tutto l’altopiano presso Medeba, Chesbon e tutte le sue città che sono sull’altopiano: Dibon, Bamot-Baal, Bet-Baal-Meon, Iaas, Chedemot, Mefaat, Chiriataim, Sibma, Seret-Asaar sul monte della valle, Bet-Peor, le pendici del Pisga e Bet-Iesimot; tutte le città dell’altopiano, tutto il regno di Sicon, re degli Amorei che regnava a Chesbon, quello che Mosè sconfisse con i principi di Madian, Evi, Rechem, Sur, Cur e Reba, principi vassalli di Sicon, che abitavano il paese. I figli d’Israele fecero morire di spada anche Balaam, figlio di Beor, l’indovino, insieme agli altri che uccisero. Al territorio dei figli di Ruben faceva da confine il Giordano. Questa fu l’eredità dei figli di Ruben secondo le loro famiglie: con le città e i villaggi annessi. Mosè diede anche alla tribù di Gad, ai figli di Gad, la loro parte, secondo le loro famiglie. Essi ebbero per territorio Iaezer, tutte le città di Galaad, la metà del paese dei figli di Ammon fino ad Aroer che è di fronte a Rabba, da Chesbon fino a Ramat-Mispè e Betonim, da Maanaim fino al confine di Debir, e, nella valle, Bet-Aram, Bet-Nimra, Succot e Safon, residuo del regno di Sicon re di Chesbon, avendo il Giordano come confine fino all’estremità del mare di Chinneret, di là dal Giordano, a oriente. Questa fu l’eredità dei figli di Gad, secondo le loro famiglie, con le città e i villaggi annessi. Mosè diede anche alla mezza tribù di Manasse, ai figli di Manasse, la loro parte, secondo le loro famiglie. Il loro territorio comprendeva, da Maanaim, tutto Basan, tutto il regno di Og re di Basan, tutti i borghi di Iair in Basan, in tutto sessanta terre. La metà di Galaad, Astarot e Edrei, città del regno di Og in Basan, toccarono ai figli di Machir, figlio di Manasse, alla metà dei figli di Machir, secondo le loro famiglie. Queste sono le parti che Mosè fece quando era nelle pianure di Moab, di là dal Giordano, di fronte a Gerico, a oriente. Ma alla tribù di Levi Mosè non diede nessuna eredità: l’Eterno, l’Iddio d’Israele, è la sua eredità, come egli disse loro. Ora queste sono le terre che i figli d’Israele ebbero come eredità nel paese di Canaan, e che il sacerdote Eleazar, Giosuè figlio di Nun e i capifamiglia delle tribù dei figli d’Israele distribuirono loro. L’eredità fu distribuita a sorte, come l’Eterno aveva comandato per mezzo di Mosè, alle nove tribù e alla mezza tribù, perché alle altre due tribù e alla mezza tribù Mosè aveva dato la loro eredità di là dal Giordano; mentre, tra i figli d’Israele, ai Leviti non aveva dato alcuna eredità, perché i figli di Giuseppe formavano due tribù: Manasse ed Efraim; e ai Leviti non fu data alcuna parte nel paese, tranne delle città per abitarvi, con i loro dintorni per il loro bestiame e i loro averi. I figli d’Israele fecero come l’Eterno aveva comandato a Mosè e spartirono il paese. Ora i figli di Giuda si accostarono a Giosuè a Ghilgal; e Caleb, figlio di Gefunne, il Chenizeo, gli disse: “Tu sai ciò che l’Eterno disse a Mosè, uomo di Dio, riguardo a me e a te a Cades-Barnea. Io avevo quarant’anni quando Mosè, servo dell’Eterno, mi mandò da Cades-Barnea a esplorare il paese, e io gli feci la mia relazione con sincerità di cuore. Ma i miei fratelli che erano saliti con me, scoraggiarono il popolo, mentre io seguii pienamente l’Eterno, il mio Dio. E in quel giorno Mosè fece questo giuramento: ‘La terra che il tuo piede ha calcato sarà eredità tua e dei tuoi figli per sempre, perché hai pienamente seguito l’Eterno, il mio Dio’. E ora ecco, l’Eterno mi ha conservato in vita, come aveva detto, durante i quarantacinque anni ormai trascorsi da quando l’Eterno disse quella parola a Mosè, quando Israele viaggiava nel deserto, ed ecco che ora ho ottantacinque anni; oggi sono ancora robusto come ero il giorno che Mosè mi mandò; le mie forze sono le stesse di allora, tanto per combattere quanto per andare e venire. Dunque, dammi questo monte del quale l’Eterno parlò quel giorno; poiché tu udisti allora che ci sono degli Anachim e che ci sono delle città grandi e fortificate. Forse l’Eterno sarà con me, e io li scaccerò, come disse l’Eterno”. Allora Giosuè lo benedisse, e diede Ebron come eredità a Caleb, figlio di Gefunne. Per questo Caleb, figlio di Gefunne, il Chenizeo, ha avuto Ebron come eredità, fino al giorno d’oggi: perché aveva pienamente seguito l’Eterno, l’Iddio d’Israele. Ora Ebron si chiamava in precedenza Chiriat-Arba; Arba era stato l’uomo più grande fra gli Anachim. E il paese ebbe riposo dalla guerra. La parte toccata in sorte alla tribù dei figli di Giuda secondo le loro famiglie, si estendeva fino al confine di Edom, al deserto di Sin verso sud, all’estremità meridionale di Canaan. Il loro confine meridionale partiva dall’estremità del Mar Salato, dalla punta che volge a sud, e si prolungava al sud della salita di Acrabbim, passava per Sin, poi saliva al sud di Cades-Barnea, passava da Chesron, saliva verso Addar e si volgeva verso Carcaa; passava quindi da Asmon e continuava fino al torrente d’Egitto, per terminare al mare. “Questo sarà”, disse Giosuè, “il vostro confine meridionale”. Il confine orientale era il Mar Salato, fino alla foce del Giordano. Il confine settentrionale partiva dal braccio di mare dov’è la foce del Giordano; di là saliva verso Bet-Ogla, passava al nord di Bet-Araba, saliva fino al sasso di Boan figlio di Ruben; poi, partendo dalla valle di Acor, saliva a Debir e si dirigeva verso il nord dal lato di Ghilgal, che è di fronte alla salita di Adummim, a sud del torrente; poi passava presso le acque di En-Semes, e faceva capo a En-Roghel. Di là il confine saliva per la valle di Ben-Innom fino al versante meridionale del monte dei Gebusei che è Gerusalemme, poi si elevava fino alla vetta del monte che è di fronte alla valle di Innom a occidente, e all’estremità della valle dei Refaim, al nord. Dalla vetta del monte, il confine si estendeva fino alla sorgente delle acque di Neftoa, continuava verso le città del monte Efron, e si prolungava fino a Baala, che è Chiriat-Iearim. Da Baala volgeva poi a occidente verso la montagna di Seir, passava per il versante settentrionale del monte Iearim, che è Chesalon, scendeva a Bet-Semes e passava per Timna. Di là il confine continuava verso il lato settentrionale di Escron, si estendeva verso Sicron, passava per il monte Baala, si prolungava fino a Iabneel, e terminava al mare. Il confine occidentale era il Mar Grande. Questi furono da tutti i lati i confini dei figli di Giuda secondo le loro famiglie. A Caleb, figlio di Gefunne, Giosuè diede una parte in mezzo ai figli di Giuda, come l’Eterno gli aveva comandato, cioè: la città di Arba, padre di Anac, che è Ebron. E Caleb cacciò i tre figli di Anac, Sesai, Aiman e Talmai, discendenti di Anac. Di là salì contro gli abitanti di Debir, che prima si chiamava Chiriat-Sefer. E Caleb disse: “A chi batterà Chiriat-Sefer e la prenderà io darò in moglie Acsa mia figlia”. Allora Otniel, figlio di Chenaz, fratello di Caleb la prese, e Caleb gli diede in moglie Acsa sua figlia. E quando lei venne a stare con lui, persuase Otniel a chiedere un campo a Caleb, suo padre. Lei smontò dall’asino, e Caleb le disse: “Che vuoi?”. E quella rispose: “Fammi un dono; poiché tu mi hai stabilita in una terra arida, dammi anche delle sorgenti d’acqua”. Ed egli le donò le sorgenti superiori e le sorgenti sottostanti. Questa è l’eredità della tribù dei figli di Giuda, secondo le loro famiglie: Le città poste all’estremità della tribù dei figli di Giuda, verso il confine di Edom, dal lato di mezzogiorno, erano: Cabseel, Eder, Iagur, China, Dimona, Adeada, Cades, Asor, Itnan, Zif, Telem, Bealot, Asor-Adatta, Cheriot-Chesron, che è Asor, Amam, Sema, Molada, Asar-Gadda, Chesmon, Bet-Palet, Asar-Sual, Beer-Sceba, Biziotia, Baala, Tim, Asen, Eltolad, Chesil, Corma, Siclag, Madmanna, Sansanna, Lebaot, Silim, Ain, Rimmon; in tutto ventinove città e i loro villaggi. Nella regione bassa: Estaol, Sorea, Asna, Zanoà, En-Gannim, Tappua, Enam, Iarmut, Adullam, Soco, Azeca, Saaraim, Aditaim, Ghedera e Ghederotaim: quattordici città e i loro villaggi; Senan, Adasa, Migdal-Gad, Dilean, Mispa, Iocteel, Lachis, Boscat, Eglon Cabbon, Lamas, Chitlis, Ghederot, Bet-Dagon, Naama e Maccheda: sedici città e i loro villaggi; Libna, Eter, Asan, Ifta, Asna, Nesib, Cheila, Aczib e Maresa: nove città e i loro villaggi; Ecron, le città del suo territorio e i suoi villaggi; da Ecron e a occidente, tutte le città vicine ad Asdod e i loro villaggi; Asdod, le città del suo territorio e i suoi villaggi; Gaza, le città del suo territorio e i suoi villaggi fino al torrente d’Egitto e al Mar Grande, che serve di confine. Nella contrada montuosa: Sanoir, Iattir, Soco, Danna, Chiriat-Sanna, che è Debir, Anab, Estemo, Anim, Goscen, Colon e Ghilo: undici città e i loro villaggi; Arab, Duma, Escean, Ianum, Bet-Tappua, Afeca, Cumta, Chiriat-Arba, che è Ebron, e Sior: nove città e i loro villaggi; Maon, Carmel, Zif, Iuta, Izreel, Iocdeam, Zanoà, Cain, Ghibea e Timna: dieci città e i loro villaggi; Calul, Bet-Sur, Ghedor, Maarat, Bet-Anot e Eltecon: sei città e i loro villaggi; Chiriat-Baal, che è Chiriat-Iearim, e Rabba: due città e i loro villaggi. Nel deserto: Bet-Araba, Middin, Secacà, Nibsan, Ir-Ammelà ed Enghedi: sei città e i loro villaggi. Quanto ai Gebusei che abitavano a Gerusalemme, i figli di Giuda non li poterono cacciare; e i Gebusei hanno abitato con i figli di Giuda a Gerusalemme fino al giorno d’oggi. La parte toccata in sorte ai figli di Giuseppe si estendeva dal Giordano presso Gerico, verso le acque di Gerico a oriente, seguendo il deserto che sale da Gerico a Betel per la regione montuosa. Il confine continuava poi da Betel a Luz, e passava per la frontiera degli Archei ad Atarot, scendeva a occidente verso il confine dei Giafletei fino al confine di Bet-Oron inferiore e fino a Ghezer, e terminava al mare. I figli di Giuseppe, Manasse ed Efraim, ebbero ciascuno la loro eredità. Questi furono i confini dei figli di Efraim, secondo le loro famiglie. Il confine della loro eredità era, a oriente, Aterot-Addar, fino a Bet-Oron disopra; continuava, dal lato occidentale, verso Micmetat al nord, girava a oriente verso Taanat-Silo e le passava davanti, a oriente di Ianoa. Poi da Ianoa scendeva ad Atarot e a Naara, toccava Gerico, e terminava al Giordano. Da Tappua il confine andava verso occidente fino al torrente di Cana, per terminare al mare. Questa fu l’eredità della tribù dei figli di Efraim, secondo le loro famiglie, con l’aggiunta delle città, tutte città con i loro villaggi, messe da parte per i figli di Efraim in mezzo all’eredità dei figli di Manasse. Ora essi non cacciarono i Cananei che abitavano a Ghezer; e i Cananei hanno dimorato in mezzo a Efraim fino al giorno d’oggi, ma sono stati soggetti a servitù. Questa fu la parte toccata in sorte alla tribù di Manasse, perché egli era il primogenito di Giuseppe. A Machir, primogenito di Manasse e padre di Galaad, siccome era uomo di guerra, aveva avuto Galaad e Basan. Fu dunque data a sorte una parte agli altri figli di Manasse, secondo le loro famiglie: ai figli di Abiezer, ai figli di Chelec, ai figli d’Asriel, ai figli di Sichem, ai figli di Chefer, ai figli di Semida. Questi sono i figli maschi di Manasse, figlio di Giuseppe, secondo le loro famiglie. Ma Selofead, figlio di Chefer, figlio di Galaad, figlio di Machir, figlio di Manasse, non ebbe figli; ma ebbe delle figlie, delle quali ecco i nomi: Mala, Noa, Cogla, Milca e Tirsa. Queste si presentarono davanti al sacerdote Eleazar, davanti a Giosuè figlio di Nun e davanti ai principi, dicendo: “L’Eterno comandò a Mosè di darci una eredità in mezzo ai nostri fratelli”. E Giosuè diede loro un’eredità in mezzo ai fratelli del loro padre, conformemente all’ordine dell’Eterno. Toccarono così dieci parti a Manasse, oltre il paese di Galaad e di Basan che è di là dal Giordano; poiché le figlie di Manasse ebbero un’eredità in mezzo ai figli di lui, e il paese di Galaad fu per gli altri figli di Manasse. Il confine di Manasse si estendeva da Ascer a Micmetat che è di fronte a Sichem, e girava a destra verso gli abitanti di En-Tappua. Il paese di Tappua appartenne a Manasse; ma Tappua sul confine di Manasse appartenne ai figli di Efraim. Poi il confine scendeva al torrente di Cana, a sud del torrente, presso città che appartenevano a Efraim in mezzo alle città di Manasse; ma il confine di Manasse era dal lato nord del torrente, e terminava al mare. Ciò che era a sud apparteneva a Efraim; ciò che era a nord apparteneva a Manasse, e il mare era il loro confine; a nord confinavano con Ascer, e a est con Issacar. In più Manasse ebbe, in Issacar e in Ascer, Bet-Sean con i suoi villaggi, Ibleam con i suoi villaggi, gli abitanti di Dor con i suoi villaggi, gli abitanti di En-Dor con i suoi villaggi, gli abitanti di Taanac con i suoi villaggi, gli abitanti di Meghiddo con i suoi villaggi: vale a dire tre regioni collinose. Ora i figli di Manasse non poterono impadronirsi di quelle città; i Cananei erano decisi a restare in quel paese. Però, quando i figli d’Israele si furono rinforzati, assoggettarono i Cananei a servitù, ma non li cacciarono del tutto. Ora i figli di Giuseppe parlarono a Giosuè e gli dissero: “Perché ci hai dato come eredità un solo lotto, una parte sola, mentre siamo un grande popolo che l’Eterno ha così tanto benedetto?”. E Giosuè disse loro: “Se siete un popolo numeroso, salite alla foresta, e dissodatela per farvi posto nel paese dei Ferezei e dei Refaim, poiché la regione montuosa d’Efraim è troppo stretta per voi”. Ma i figli di Giuseppe risposero: “Quella regione montuosa non ci basta; e quanto al territorio in pianura, tutti i Cananei che lo abitano hanno dei carri di ferro: tanto quelli che stanno a Bet-Sean e nei suoi villaggi, quanto quelli che stanno nella valle d’Izreel”. Allora Giosuè parlò alla casa di Giuseppe, a Efraim e a Manasse, e disse loro: “Voi siete un popolo numeroso e avete una gran forza; non avrete una parte sola, ma la regione montuosa sarà vostra; e siccome è una foresta, la dissoderete, e sarà vostra in tutta la sua distesa; poiché voi caccerete i Cananei, benché abbiano dei carri di ferro e siano potenti”. Poi tutta la comunità dei figli d’Israele si radunò a Silo, dove eressero la tenda di convegno. Il paese era loro sottomesso. Ma rimanevano, tra i figli d’Israele, sette tribù che non avevano ricevuto la loro eredità. E Giosuè disse ai figli d’Israele: “Fino a quando vi mostrerete lenti ad andare a prendere possesso del paese che l’Eterno, l’Iddio dei vostri padri, vi ha dato? Sceglietevi tre uomini per tribù e io li manderò. Essi si alzeranno, percorreranno il paese, ne faranno la descrizione in vista della spartizione, poi torneranno da me. Lo divideranno in sette parti: Giuda rimarrà nei suoi confini a meridione, e la casa di Giuseppe rimarrà nei suoi confini a settentrione. Voi farete dunque la descrizione del paese, dividendolo in sette parti; me la porterete qui, e io tirerò a sorte qui, davanti all’Eterno, al nostro Dio. I Leviti non devono avere nessuna parte in mezzo a voi, poiché il sacerdozio dell’Eterno è la loro parte; e Gad, Ruben e la mezza tribù di Manasse hanno già ricevuto, al di là del Giordano, a oriente, l’eredità che Mosè, servo dell’Eterno, ha dato loro”. Quegli uomini dunque si alzarono e partirono; e a loro, che andavano a fare la descrizione del paese, Giosuè diede quest’ordine: “Andate, percorrete il paese, e fatene la descrizione; poi tornate da me, e io tirerò a sorte le parti qui, davanti all’Eterno, a Silo”. E quegli uomini andarono, percorsero il paese, ne fecero la descrizione per città in un libro, dividendolo in sette parti; poi tornarono da Giosuè, all’accampamento di Silo. Allora Giosuè trasse a sorte le parti a Silo davanti all’Eterno, e là spartì il paese tra i figli d’Israele, assegnando a ciascuno la sua parte. Fu tirata a sorte la parte della tribù dei figli di Beniamino, secondo le loro famiglie; e la parte che toccò loro aveva i suoi confini tra i figli di Giuda e i figli di Giuseppe. Dal lato di settentrione, il loro confine partiva dal Giordano, risaliva il versante di Gerico al nord, saliva per la contrada montuosa verso occidente, e terminava al deserto di Bet-Aven. Di là passava per Luz, sul versante meridionale di Luz (che è Betel), e scendeva ad Atarot-Addar, presso il monte che è a sud di Bet-Oron inferiore. Poi il confine si prolungava e, dal lato occidentale, girava a meridione del monte posto di fronte a Bet-Oron, e terminava a Chiriat-Baal, che è Chiriat-Iearim, città dei figli di Giuda. Questo era il lato occidentale. Il lato meridionale cominciava all’estremità di Chiriat-Iearim. Il confine si prolungava verso occidente fino alla sorgente delle acque di Neftoa; poi scendeva all’estremità del monte posto di fronte alla valle di Ben-Innom, che è nella vallata dei Refaim, al nord, e scendeva per la valle di Innom, sul versante meridionale dei Gebusei, fino a En-Roghel. Si estendeva quindi verso il nord, e giungeva a En-Semes; di là si dirigeva verso Ghelilot, che è di fronte alla salita di Adummim, e scendeva al sasso di Boan, figlio di Ruben; poi passava per il versante settentrionale, di fronte ad Araba, e scendeva ad Araba. Il confine passava quindi per il versante settentrionale di Bet-Ogla e terminava al golfo nord del Mar Salato, all’estremità meridionale del Giordano. Questo era il confine meridionale. Il Giordano faceva da confine dal lato orientale. Questa fu l’eredità dei figli di Beniamino, secondo le loro famiglie, con i suoi confini da tutti i lati. Le città della tribù dei figli di Beniamino, secondo le loro famiglie, furono: Gerico, Bet-Ogla, Emec-Chesis, Bet-Araba, Semaraim, Betel, Avvim, Para, Ofra, Chefar-Ammonai, Ofni e Gheba: dodici città e i loro villaggi; Gabaon, Rama, Beerot, Mispa, Chefira, Mosa, Recem, Irpeel, Tareala, Sela, Elef, Gebus, che è Gerusalemme, Ghibeat e Chiriat: quattordici città e i loro villaggi. Questa fu l’eredità dei figli di Beniamino, secondo le loro famiglie. La seconda parte tirata a sorte toccò a Simeone, alla tribù dei figli di Simeone secondo le loro famiglie. La loro eredità era in mezzo all’eredità dei figli di Giuda. Ebbero nella loro eredità: Beer-Sceba, Seba, Molada, Asar-Sual, Bala, Asem, Eltolad, Betul, Corma, Siclag, Bet-Marcabot, Asar-Susa, Bet-Lebaot e Saruchen: tredici città e i loro villaggi; Ain, Rimmon, Eter e Asan: quattro città e i loro villaggi; e tutti i villaggi che stavano attorno a queste città, fino a Baalat-Beer, che è la Rama del sud. Questa fu l’eredità della tribù dei figli di Simeone, secondo le loro famiglie. L’eredità dei figli di Simeone fu tolta dalla parte dei figli di Giuda, perché la parte dei figli di Giuda era troppo grande per loro; così i figli di Simeone ebbero la loro eredità in mezzo all’eredità di quelli. La terza parte tirata a sorte toccò ai figli di Zabulon, secondo le loro famiglie. Il confine della loro eredità si estendeva fino a Sarid. Questo confine saliva a occidente verso Mareala e giungeva a Dabbeset, e poi al torrente che scorre di fronte a Iocneam. Da Sarid girava a oriente, verso il sol levante, fino al confine di Chislot-Tabor; poi continuava verso Dabrat, e saliva a Iafia. Di là passava a oriente per Gat-Chefer, per Et-Casin, continuava verso Rimmon, prolungandosi fino a Nea. Poi il confine girava dal lato di settentrione verso Cannaton, e terminava alla valle d’Ifta-El. Esso includeva inoltre: Cattat, Naalal, Simron, Ideala e Betlemme: dodici città e i loro villaggi. Questa fu l’eredità dei figli di Zabulon, secondo le loro famiglie: quelle città e i loro villaggi. La quarta parte tirata a sorte toccò a Issacar, ai figli di Issacar, secondo le loro famiglie. Il loro territorio comprendeva: Izreel, Chesullot, Sunem, Cafaraim, Scion, Anaarat, Rabbit, Chision, Abes, Remet, En-Gannim, En-Cadda e Bet-Pases. Poi il confine giungeva a Tabor, Saasim e Bet-Semes, e terminava al Giordano: sedici città e i loro villaggi. Questa fu l’eredità della tribù dei figli d’Issacar, secondo le loro famiglie: quelle città e i loro villaggi. La quinta parte tirata a sorte toccò ai figli di Ascer, secondo le loro famiglie. Il loro territorio comprendeva: Chelcat, Cali, Beten, Acsaf, Allammelec, Amad, Misal. Il loro confine giungeva, verso occidente, al Carmelo e a Sior-Libnat. Poi girava dal lato del sol levante verso Bet-Dagon, giungeva a Zabulon e alla valle di Ifta-El al nord di Bet-Emec e di Neiel, e si prolungava verso Cabul a sinistra, e verso Ebron, Reob, Cammon e Cana, fino a Sidone la grande. Poi il confine girava verso Rama, fino alla città forte di Tiro, girava verso Cosa, e terminava al mare dal lato del territorio di Acrib. Esso includeva inoltre: Umma, Afec e Reob: ventidue città e i loro villaggi. Questa fu l’eredità della tribù dei figli di Ascer, secondo le loro famiglie: queste città e i loro villaggi. La sesta parte tirata a sorte toccò ai figli di Neftali, secondo le loro famiglie. Il loro confine si estendeva da Chelef, da Elon-Bezaanannim, Adami-Necheb e Iabneel fino a Laccun e terminava al Giordano. Poi il confine girava a occidente verso Aznot-Tabor, e di là continuava verso Cucoc; giungeva a Zabulon dal lato meridionale, ad Ascer dal lato occidentale, e a Giuda del Giordano dal lato orientale. Le città forti erano: Siddim, Ser, Cammat, Raccat, Chinneret, Adama, Rama, Asor, Chedes, Edrei, En-Asor, Ireon, Migdal-El, Corem, Bet-Anat e Bet-Semes: diciannove città e i loro villaggi. Questa fu l’eredità della tribù dei figli di Neftali, secondo le loro famiglie: queste città e i loro villaggi. La settima parte tirata a sorte toccò alla tribù dei figli di Dan, secondo le loro famiglie. Il confine della loro eredità comprendeva: Sorea, Estaol, Ir-Semes, Saalabbin, Aialon, Itla, Elon, Timnata, Ecron, Elteche, Ghibbeton, Baalat, Ieud, Bene-Berac, Gat-Rimmon, Me-Iarcon e Raccon con il territorio di fronte a Iafo. Il territorio dei figli di Dan si estese più lontano, poiché i figli di Dan salirono a combattere contro Lesem; la presero e la misero a fil di spada; ne presero possesso, vi si stabilirono, e la chiamarono Lesem Dan, dal nome di Dan loro padre. Questa fu l’eredità della tribù dei figli di Dan, secondo le loro famiglie: queste città, e i loro villaggi. Quando i figli d’Israele ebbero finito di distribuirsi l’eredità del paese secondo i suoi confini, diedero a Giosuè, figlio di Nun, una eredità in mezzo a loro. Secondo l’ordine dell’Eterno, gli diedero la città che egli chiese: Timnat-Sera, nella regione montuosa di Efraim. Egli costruì la città e vi stabilì la sua dimora. Queste sono le eredità che il sacerdote Eleazar, Giosuè figlio di Nun e i capifamiglia delle tribù dei figli d’Israele distribuirono a sorte a Silo, davanti all’Eterno, all’ingresso della tenda di convegno. Così compirono la spartizione del paese. Poi l’Eterno parlò a Giosuè, dicendo: “Parla ai figli d’Israele e di’ loro: Stabilitevi le città di rifugio, delle quali vi parlai per mezzo di Mosè, affinché l’omicida che avrà ucciso qualcuno senza averne l’intenzione, vi si possa rifugiare; esse vi serviranno di rifugio contro il vendicatore del sangue. L’omicida si rifugerà in una di quelle città e, fermatosi all’ingresso della porta della città, esporrà il suo caso agli anziani di quella città; questi lo accoglieranno presso di loro dentro la città, gli daranno una dimora, ed egli si stabilirà fra loro. E se il vendicatore del sangue lo inseguirà, essi non gli daranno nelle mani l’omicida, poiché ha ucciso il prossimo senza averne l’intenzione, senza averlo odiato prima. L’omicida rimarrà in quella città finché, alla morte del sommo sacerdote che sarà in funzione in quei giorni, comparirà in giudizio davanti alla comunità. Allora l’omicida potrà tornarsene, e rientrare nella sua città e nella sua casa, nella città da dove era fuggito”. Essi dunque consacrarono Chedes in Galilea nella regione montuosa di Neftali, Sichem nella regione montuosa di Efraim e Chiriat-Arba, che è Ebron, nella regione montuosa di Giuda. E di là dal Giordano, a oriente di Gerico, stabilirono, nella tribù di Ruben, Beser, nel deserto, nell’altopiano; Ramot, in Galaad, nella tribù di Gad, e Golan in Basan, nella tribù di Manasse. Queste furono le città assegnate a tutti i figli d’Israele e allo straniero residente fra loro, affinché chiunque avesse ucciso qualcuno involontariamente potesse rifugiarvisi e non morisse per mano del vendicatore del sangue, prima di essere comparso davanti alla comunità. I capifamiglia dei Leviti si avvicinarono al sacerdote Eleazar, a Giosuè figlio di Nun e ai capifamiglia delle tribù dei figli d’Israele, e parlarono loro a Silo, nel paese di Canaan, dicendo: “L’Eterno comandò, per mezzo di Mosè, che ci fossero date delle città da abitare, con le loro campagne per il nostro bestiame”. E i figli d’Israele diedero ai Leviti, dalla loro eredità, le seguenti città con le loro campagne, secondo il comandamento dell’Eterno. Si tirò a sorte per le famiglie dei Cheatiti; e i figli del sacerdote Aaronne, che erano Leviti, ebbero in sorte tredici città della tribù di Giuda, della tribù di Simeone e della tribù di Beniamino. Al resto dei figli di Cheat toccarono in sorte dieci città delle famiglie della tribù di Efraim, della tribù di Dan e della mezza tribù di Manasse. Ai figli di Gherson toccarono in sorte tredici città delle famiglie della tribù d’Issacar, della tribù di Ascer, della tribù di Neftali e della mezza tribù di Manasse in Basan. Ai figli di Merari, secondo le loro famiglie, toccarono dodici città della tribù di Ruben, della tribù di Gad e della tribù di Zabulon. I figli d’Israele diedero dunque in sorte, queste città con le loro campagne ai Leviti, come l’Eterno aveva comandato per mezzo di Mosè. Diedero cioè, della tribù dei figli di Giuda e della tribù dei figli di Simeone, le città qui menzionate per nome, le quali toccarono ai figli d’Aaronne tra le famiglie dei Cheatiti, figli di Levi, perché il primo lotto fu per loro. Furono dunque date loro Chiriat-Arba, cioè Ebron, (Arba fu padre di Anac), nella regione montuosa di Giuda, con la sua campagna circostante; ma diedero il territorio della città e i suoi villaggi come possesso a Caleb, figlio di Gefunne. E diedero ai figli del sacerdote Aaronne la città di rifugio per l’omicida, Ebron e la sua campagna; poi Libna e la sua campagna, Iattir e la sua campagna, Estemoa e la sua campagna, Colon e la sua campagna, Debir e la sua campagna, Ain e la sua campagna, Iutta e la sua campagna, e Bet-Semes e la sua campagna: nove città di queste due tribù. E della tribù di Beniamino, Gabaon e la sua campagna, Gheba e la sua campagna, Anatot e la sua campagna, e Almon e la sua campagna: quattro città. Totale delle città dei sacerdoti figli d’Aaronne: tredici città e le loro campagne. Alle famiglie dei figli di Cheat, cioè al rimanente dei Leviti, figli di Cheat, toccarono delle città della tribù di Efraim. Fu loro data la città di rifugio per l’omicida, Sichem con la sua campagna nella regione montuosa di Efraim; poi Ghezer e la sua campagna, Chibesaim e la sua campagna, e Bet-Oron e la sua campagna: quattro città. Della tribù di Dan: Elteche e la sua campagna, Ghibbeton e la sua campagna, Aialon e la sua campagna, Gat-Rimmon e la sua campagna: quattro città. Della mezza tribù di Manasse: Taanac e la sua campagna, Gat-Rimmon e la sua campagna: due città. Totale: dieci città con le loro campagne, che toccarono alle famiglie degli altri figli di Cheat. Ai figli di Gherson, che erano delle famiglie dei Leviti, furono date: della mezza tribù di Manasse, la città di rifugio per l’omicida, Golan in Basan e la sua campagna, e Beestra con la sua campagna: due città; della tribù d’Issacar, Chision e la sua campagna, Dabrat e la sua campagna, Iarmut e la sua campagna, En-Gannim e la sua campagna: quattro città; della tribù di Ascer, Misceal e la sua campagna, Abdon e la sua campagna, Chelcat e la sua campagna, Reob e la sua campagna: quattro città; e della tribù di Neftali, la città di rifugio per l’omicida, Chedes in Galilea e la sua campagna, Cammot-Dor e la sua campagna, e Cartan con la sua campagna: tre città. Totale delle città dei Ghersoniti, secondo le loro famiglie: tredici città e le loro campagne. E alle famiglie dei figli di Merari, cioè al rimanente dei Leviti, furono date: della tribù di Zabulon, Iocneam e la sua campagna, Carta e la sua campagna, Dimna e la sua campagna, e Naalal con la sua campagna: quattro città; della tribù di Ruben, Beser e la sua campagna, Iasa e la sua campagna, Chedemot e la sua campagna e Mefaat e la sua campagna: quattro città; e della tribù di Gad, la città di rifugio per l’omicida, Ramot in Galaad e la sua campagna, Maanaim e la sua campagna, Chesbon e la sua campagna, e Iaezer con la sua campagna: in tutto quattro città. Totale delle città date in sorte ai figli di Merari, secondo le loro famiglie formanti il resto delle famiglie dei Leviti: dodici città. Totale delle città dei Leviti in mezzo alle proprietà dei figli d’Israele: quarantotto città e le loro campagne. Ciascuna di queste città aveva la sua campagna circostante; così era di tutte queste città. L’Eterno diede dunque a Israele tutto il paese che aveva giurato ai padri di dar loro, e i figli d’Israele ne presero possesso, e vi si stabilirono. E l’Eterno diede loro pace da ogni parte, come aveva giurato ai loro padri; nessuno di tutti i loro nemici poté resistere davanti a loro; l’Eterno diede loro nelle mani tutti quei nemici. Di tutte le buone parole che l’Eterno aveva detto alla casa d’Israele non una cadde a terra: tutte si compirono. Allora Giosuè chiamò i Rubeniti, i Gaditi e la mezza tribù di Manasse, e disse loro: “Voi avete osservato tutto ciò che Mosè, servo dell’Eterno, vi aveva ordinato, e avete ubbidito alla mia voce in tutto quello che io vi ho comandato. Voi non avete abbandonato i vostri fratelli durante questo lungo tempo, fino a oggi, e avete osservato come dovevate il comandamento dell’Eterno, che è il vostro Dio. E ora che l’Eterno, il vostro Dio, ha dato riposo ai vostri fratelli, come aveva detto loro, ritornatevene e andatevene alle vostre tende nel paese che vi appartiene, e che Mosè, servo dell’Eterno, vi ha dato di là dal Giordano. Soltanto abbiate grande cura di mettere in pratica i comandamenti e la legge che Mosè, servo dell’Eterno, vi ha dato, amando l’Eterno, il vostro Dio, camminando in tutte le sue vie, osservando i suoi comandamenti, tenendovi stretti a lui, e servendolo con tutto il vostro cuore e con tutta l’anima vostra”. Poi Giosuè li benedisse e li congedò; e quelli se ne tornarono alle loro tende. Mosè aveva dato a una metà della tribù di Manasse un’eredità in Basan, e Giosuè diede all’altra metà un’eredità tra i loro fratelli, di qua dal Giordano, a occidente. Quando Giosuè li rimandò alle loro tende e li benedisse, disse loro ancora: “Voi tornate alle vostre tende con grandi ricchezze, con moltissimo bestiame, con argento, oro, bronzo, ferro e con grandissima quantità di vesti; dividete con i vostri fratelli il bottino dei vostri nemici”. I figli di Ruben, i figli di Gad e la mezza tribù di Manasse dunque se ne tornarono, dopo aver lasciato i figli d’Israele a Silo, nel paese di Canaan, per andare nel paese di Galaad, il paese di loro proprietà, del quale avevano ricevuto il possesso, dietro il comandamento dato dall’Eterno per mezzo di Mosè. E come giunsero alla regione del Giordano che appartiene al paese di Canaan, i figli di Ruben, i figli di Gad e la mezza tribù di Manasse vi costruirono un altare, presso il Giordano: un grande altare, che colpiva la vista. I figli d’Israele udirono che si diceva: “Ecco, i figli di Ruben, i figli di Gad e la mezza tribù di Manasse hanno costruito un altare di fronte al paese di Canaan, nella regione del Giordano, dal lato dei figli d’Israele”. Quando i figli d’Israele udirono questo, tutta la comunità dei figli d’Israele si riunì a Silo per salire a muovere loro guerra. E i figli d’Israele mandarono ai figli di Ruben, ai figli di Gad e alla mezza tribù di Manasse, nel paese di Galaad, Fineas, figlio del sacerdote Eleazar, e con lui dieci principi, un principe per ciascuna casa paterna di tutte le tribù d’Israele: tutti erano capi di una casa paterna fra le migliaia d’Israele. Essi andarono dai figli di Ruben, dai figli di Gad e dalla mezza tribù di Manasse nel paese di Galaad, e parlarono con loro dicendo: “Così ha detto tutta l’assemblea dell’Eterno: ‘Che cos’è questa infedeltà che avete commesso contro l’Iddio d’Israele, ritraendovi oggi dal seguire l’Eterno costruendovi un altare per ribellarvi oggi all’Eterno? È forse poca cosa per noi l’iniquità di Peor della quale non ci siamo fino al giorno d’oggi purificati e che attirò quella piaga sull’assemblea dell’Eterno? E voi oggi vi distogliete dal seguire l’Eterno! Avverrà così che, ribellandovi voi oggi all’Eterno, domani egli si adirerà contro tutta la comunità d’Israele. Se reputate impuro il paese che possedete, ebbene, passate nel paese che è possesso dell’Eterno, dov’è stabilito il tabernacolo dell’Eterno, e stanziatevi in mezzo a noi; ma non vi ribellate all’Eterno, e non fate di noi dei ribelli, costruendovi un altare oltre l’altare dell’Eterno, del nostro Dio. Acan, figlio di Zera, non commise forse un’infedeltà, relativamente all’interdetto, attirando l’ira dell’Eterno su tutta la comunità d’Israele, così che quell’uomo non fu il solo a perire per la sua iniquità?’”. Allora i figli di Ruben, i figli di Gad e la mezza tribù di Manasse risposero ai capi delle migliaia d’Israele e dissero: “Dio, Dio, l’Eterno, Dio, Dio, l’Eterno lo sa, e anche Israele lo saprà. Se abbiamo agito per ribellione, e per infedeltà verso l’Eterno, o Dio, non ci salvare in questo giorno! Se abbiamo costruito un altare per distoglierci dal seguire l’Eterno; se è per offrirvi su degli olocausti o delle oblazioni o per farvi su dei sacrifici di ringraziamento, l’Eterno stesso ce ne chieda conto! Egli sa se non l’abbiamo fatto, invece, per timore di questo: che, cioè, in avvenire, i vostri figli potessero dire ai figli nostri: ‘Che avete a fare voi con l’Eterno, con l’Iddio d’Israele?’. L’Eterno ha posto il Giordano come confine tra noi e voi, o figli di Ruben, o figli di Gad; voi non avete parte alcuna nell’Eterno! E così i vostri figli farebbero cessare i figli nostri dal temere l’Eterno. Perciò abbiamo detto: ‘Mettiamo ora mano a costruirci un altare, non per olocausti, né per sacrifici, ma perché serva da testimonianza fra noi e voi e fra i nostri discendenti dopo noi, che vogliamo servire l’Eterno, nel suo cospetto, con i nostri olocausti, con i nostri sacrifici e con le nostre offerte di ringraziamento, affinché i vostri figli non abbiano un giorno a dire ai figli nostri: Voi non avete parte alcuna nell’Eterno!’. E abbiamo detto: ‘Se in avvenire essi diranno questo a noi o ai nostri discendenti, noi risponderemo: Guardate la forma dell’altare dell’Eterno che i nostri padri fecero, non per olocausti né per sacrifici, ma perché servisse da testimonianza fra noi e voi’. Lungi da noi l’idea di ribellarci all’Eterno e di distoglierci dal seguire l’Eterno, costruendo un altare per olocausti, per oblazioni o per sacrifici, oltre l’altare dell’Eterno, del nostro Dio, che è davanti al suo tabernacolo!”. Quando il sacerdote Fineas, e i capi della comunità, i capi delle migliaia d’Israele che erano con lui, ebbero udito le parole dette dai figli di Ruben, dai figli di Gad e dai figli di Manasse, rimasero soddisfatti. E Fineas, figlio del sacerdote Eleazar, disse ai figli di Ruben, ai figli di Gad e ai figli di Manasse: “Oggi riconosciamo che l’Eterno è in mezzo a noi poiché non avete commesso questa infedeltà verso l’Eterno; così avete preservato i figli d’Israele dalla mano dell’Eterno”. E Fineas, figlio del sacerdote Eleazar, e i principi partirono dai figli di Ruben e dai figli di Gad e tornarono dal paese di Galaad al paese di Canaan presso i figli d’Israele, ai quali riferirono l’accaduto. La cosa piacque ai figli d’Israele, i quali benedissero Dio, e non parlarono più di salire a muovere guerra ai figli di Ruben e di Gad per devastare il paese che essi abitavano. E i figli di Ruben e i figli di Gad diedero a quell’altare il nome di Ed perché dissero: “Esso è una testimonianza fra noi che l’Eterno è Dio”. Molto tempo dopo che l’Eterno ebbe dato riposo a Israele liberandolo da tutti i nemici che lo circondavano, Giosuè, ormai vecchio e molto avanti negli anni, convocò tutto Israele, gli anziani, i capi, i giudici e gli ufficiali del popolo, e disse loro: “Io sono vecchio e molto avanti negli anni. Voi avete visto tutto ciò che l’Eterno, il vostro Dio, ha fatto a tutte queste nazioni, cacciandole davanti a voi; poiché l’Eterno, il vostro Dio, è colui che ha combattuto per voi. Ecco io ho diviso tra voi a sorte, come eredità, secondo le vostre tribù, il paese delle nazioni che restano, e di tutte quelle che ho sterminato, dal Giordano fino al Mar Grande, a occidente. E l’Eterno, il vostro Dio, le disperderà egli stesso davanti a voi e le scaccerà davanti a voi e voi prenderete possesso del loro paese, come l’Eterno, il vostro Dio, vi ha detto. Applicatevi dunque risolutamente a osservare e a mettere in pratica tutto ciò che è scritto nel libro della legge di Mosè, senza sviarvene né a destra né a sinistra, senza mischiarvi con queste nazioni che rimangono fra voi; non pronunciate neppure il nome dei loro dèi, non ne fate uso nei giuramenti; non li servite, e non vi prostrate davanti a loro; ma tenetevi stretti all’Eterno vostro Dio, come avete fatto fino a oggi. L’Eterno ha cacciato davanti a voi nazioni grandi e potenti; e nessuno ha potuto resistervi, fino a oggi. Uno solo di voi ne inseguiva mille, perché l’Eterno, il vostro Dio, era colui che combatteva per voi, come egli vi aveva detto. Vegliate dunque attentamente su voi stessi, per amare l’Eterno, il vostro Dio. Perché, se voltate le spalle a lui e vi unite a quello che resta di queste nazioni che sono rimaste fra voi e vi imparentate con loro e vi mescolate con esse ed esse con voi, siate ben certi che l’Eterno, il vostro Dio, non continuerà a scacciare questa gente davanti a voi, ma essi diventeranno per voi una rete, un’insidia, un flagello ai vostri fianchi, tante spine negli occhi vostri, finché non siate periti e scomparsi da questo buon paese che l’Eterno, il vostro Dio, vi ha dato. Ora ecco, io me ne vado oggi per la via di ogni abitante della terra; riconoscete dunque con tutto il vostro cuore e con tutta l’anima vostra che neppure una di tutte le buone parole che l’Eterno, il vostro Dio, ha pronunciato su voi è caduta a terra; tutte si sono compiute per voi; neppure una è caduta a terra. E avverrà che, come ogni buona parola che l’Eterno, il vostro Dio, vi aveva detta si è compiuta per voi, così l’Eterno adempirà a vostro danno tutte le sue parole di minaccia, finché vi abbia sterminati da questo buon paese, che il vostro Dio, l’Eterno, vi ha dato. Se trasgredite il patto che l’Eterno, il vostro Dio, vi ha imposto, e andate a servire altri dèi e vi prostrate davanti a loro, l’ira dell’Eterno si accenderà contro di voi, e voi perirete presto, scomparendo dal buon paese che egli vi ha dato”. Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem, e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli ufficiali del popolo, i quali si presentarono davanti a Dio. E Giosuè disse a tutto il popolo: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘I vostri padri, come Tera padre di Abraamo e padre di Naor, abitarono anticamente di là dal fiume, e servirono altri dèi. E io presi vostro padre Abraamo di là dal fiume, e gli feci percorrere tutto il paese di Canaan; moltiplicai la sua progenie, e gli diedi Isacco. E a Isacco diedi Giacobbe ed Esaù, e assegnai a Esaù il possesso della montagna di Seir, e Giacobbe e i suoi figli scesero in Egitto. Poi mandai Mosè e Aaronne, e colpii l’Egitto con i prodigi che feci in mezzo a esso; e dopo ciò, vi feci uscire. Feci uscire dunque fuori dall’Egitto i vostri padri, e voi arrivaste al mare. Gli Egiziani inseguirono i vostri padri con carri e cavalieri fino al Mar Rosso. Quelli gridarono all’Eterno, ed egli pose delle fitte tenebre fra voi e gli Egiziani; poi fece venire sopra di loro il mare, che li sommerse; e gli occhi vostri videro quello che io feci agli Egiziani. Poi abitaste lungo tempo nel deserto. Io vi condussi quindi nel paese degli Amorei, che abitavano di là dal Giordano; essi combatterono contro di voi, e io li diedi nelle vostre mani; voi prendeste possesso del loro paese, e io li distrussi davanti a voi. Poi Balac, figlio di Sippor, re di Moab, sorse per muovere guerra a Israele; e mandò a chiamare Balaam, figlio di Beor, perché vi maledicesse; ma io non volli dare ascolto a Balaam; egli dovette benedirvi, e vi liberai dalle mani di Balac. E passaste il Giordano, e arrivaste a Gerico; gli abitanti di Gerico, gli Amorei, i Ferezei, i Cananei, gli Ittiti, i Ghirgasei, gli Ivvei e i Gebusei combatterono contro di voi, e io li diedi nelle vostre mani. E mandai davanti a voi i calabroni, che li scacciarono davanti a voi, com’era avvenuto dei due re Amorei: non fu per la tua spada né per il tuo arco. E vi diedi una terra che voi non avevate lavorato, delle città che non avevate costruito; voi abitate in esse e mangiate del frutto delle vigne e degli uliveti che non avete piantato’. Ora dunque temete l’Eterno, e servitelo con integrità e fedeltà; togliete via gli dèi che i vostri padri servirono di là dal fiume, e in Egitto, e servite l’Eterno. E se vi sembra sbagliato servire l’Eterno, scegliete oggi chi volete servire: o gli dèi che i vostri padri servirono di là dal fiume, o gli dèi degli Amorei, nel paese dei quali abitate; quanto a me e alla casa mia, serviremo l’Eterno”. Allora il popolo rispose e disse: “Lungi da noi l’abbandonare l’Eterno per servire altri dèi! Poiché l’Eterno, il nostro Dio, è colui che ha fatto salire noi e i nostri padri fuori dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù, che ha fatto quei grandi miracoli davanti ai nostri occhi, e ci ha protetti per tutto il viaggio che abbiamo fatto, e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati; e l’Eterno ha cacciato davanti a noi tutti questi popoli, e gli Amorei che abitavano il paese, anche noi serviremo l’Eterno, perché egli è il nostro Dio”. E Giosuè disse al popolo: “Voi non potrete servire l’Eterno, perché egli è un Dio santo, è un Dio geloso; egli non perdonerà le vostre trasgressioni e i vostri peccati. Quando abbandonerete l’Eterno e servirete dèi stranieri, egli si volterà contro di voi, vi farà del male e vi consumerà, dopo avervi fatto tanto bene”. E il popolo disse a Giosuè: “No! No! Noi serviremo l’Eterno”. E Giosuè disse al popolo: “Voi siete testimoni contro voi stessi, che vi siete scelto l’Eterno per servirlo!”. Quelli risposero: “Siamo testimoni!”. Giosuè disse: “Togliete dunque via gli dèi stranieri che sono in mezzo a voi, e inclinate il vostro cuore all’Eterno, che è l’Iddio d’Israele!”. Il popolo rispose a Giosuè: “L’Eterno, il nostro Dio, è colui che serviremo, e alla sua voce ubbidiremo!”. Così Giosuè stabilì in quel giorno un patto con il popolo, e gli diede delle leggi e delle prescrizioni a Sichem. Poi Giosuè scrisse queste cose nel libro della legge di Dio; e prese una gran pietra e la eresse là sotto la quercia che era presso il luogo consacrato all’Eterno. Giosuè disse a tutto il popolo: “Ecco, questa pietra sarà una testimonianza contro di noi; perché essa ha udito tutte le parole che l’Eterno ci ha detto; essa servirà quindi da testimonianza contro di voi, affinché non rinneghiate il vostro Dio”. Poi Giosuè rimandò il popolo, ognuno alla sua eredità. E, dopo queste cose, avvenne che Giosuè, figlio di Nun, servo dell’Eterno, morì all’età di centodieci anni, e lo seppellirono nel territorio di sua proprietà a Timnat-Sera, che è nella regione montuosa di Efraim, a nord della montagna di Gaas. E Israele servì l’Eterno durante tutta la vita di Giosuè e durante tutta la vita degli anziani che sopravvissero a Giosuè, e che avevano conoscenza di tutte le opere che l’Eterno aveva fatto per Israele. E le ossa di Giuseppe, che i figli d’Israele avevano portato dall’Egitto, le seppellirono a Sichem, nella parte di campo che Giacobbe aveva comprato dai figli di Camor, padre di Sichem, per cento pezzi di denaro; e i figli di Giuseppe le avevano ricevute nella loro eredità. Poi morì anche Eleazar, figlio di Aaronne, e lo seppellirono a Ghibea di Fineas, che era stata data a suo figlio Fineas, nella regione montuosa di Efraim. Dopo la morte di Giosuè, i figli di Israele consultarono l’Eterno, dicendo: “Chi di noi salirà per primo contro i Cananei a muovere loro guerra?”. E l’Eterno rispose: “Salirà Giuda; ecco, io ho dato il paese nelle sue mani”. Allora Giuda disse a Simeone suo fratello: “Sali con me nel paese che mi è toccato in sorte, e combatteremo contro i Cananei; poi anch’io andrò con te in quello che è toccato a te”. E Simeone andò con lui. Giuda dunque salì, e l’Eterno diede nelle loro mani i Cananei e i Ferezei; e sconfissero a Bezec diecimila uomini. E, trovato Adoni-Bezec a Bezec, l’attaccarono, e sconfissero i Cananei e i Ferezei. Adoni-Bezec si diede alla fuga; ma essi lo inseguirono, lo presero, e gli tagliarono i pollici delle mani e gli alluci dei piedi. E Adoni-Bezec disse: “Settanta re, a cui erano stati tagliati i pollici delle mani e gli alluci dei piedi raccoglievano gli avanzi del cibo sotto la mia mensa. Quello che ho fatto io, Dio me lo rende”. E lo condussero a Gerusalemme, dove morì. I figli di Giuda attaccarono Gerusalemme, e la presero; passarono gli abitanti a fil di spada e incendiarono la città. Poi i figli di Giuda scesero a combattere contro i Cananei che abitavano la regione montuosa, il meridione e la regione bassa. Giuda marciò contro i Cananei che abitavano a Ebron, (il cui nome era prima Chiriat-Arba) e sconfisse Sesai, Aiman e Talmai. Di là marciò contro gli abitanti di Debir, che prima si chiamava Chiriat-Sefer. E Caleb disse: “A chi batterà Chiriat-Sefer e la prenderà io darò in moglie Acsa, mia figlia”. La prese Otniel, figlio di Chenaz, fratello minore di Caleb, e questi gli diede in moglie Acsa sua figlia. Quando lei venne a stare con lui, lo persuase a chiedere un campo a suo padre. Lei scese dall’asino, e Caleb le disse: “Che vuoi?”. Lei rispose: “Fammi un dono; perché tu mi hai dato una terra arida, dammi anche delle sorgenti d’acqua”. Ed egli le donò le sorgenti superiori e le sorgenti sottostanti. I figli del Cheneo, suocero di Mosè, salirono dalla città delle palme, con i figli di Giuda, nel deserto di Giuda, che è a sud di Arad; andarono, e si stabilirono fra il popolo. Poi Giuda partì con Simeone suo fratello, e sconfissero i Cananei che abitavano in Sefat; distrussero interamente la città, che fu chiamata Corma. Giuda prese anche Gaza con il suo territorio, Ascalon con il suo territorio ed Ecron con il suo territorio. L’Eterno fu con Giuda, che cacciò gli abitanti della regione montuosa, ma non poté cacciare gli abitanti della valle, perché avevano dei carri di ferro. E, come Mosè aveva detto, Ebron fu data a Caleb, che scacciò i tre figli di Anac. I figli di Beniamino non cacciarono i Gebusei che abitavano Gerusalemme; e i Gebusei hanno abitato con i figli di Beniamino a Gerusalemme fino a oggi. Anche la casa di Giuseppe salì contro Betel, e l’Eterno fu con loro. La casa di Giuseppe mandò a esplorare Betel, città che prima si chiamava Luz. E gli esploratori videro un uomo che usciva dalla città, e gli dissero: “Insegnaci la via per entrare nella città, e noi ti tratteremo con bontà”. Egli insegnò loro la via per entrare nella città, ed essi passarono la città a fil di spada, ma lasciarono andare quell’uomo con tutta la sua famiglia. E quell’uomo andò nel paese degli Ittiti e vi costruì una città, che chiamò Luz: nome che porta anche al giorno d’oggi. Anche Manasse non cacciò gli abitanti di Bet-Sean e delle città del suo territorio, né quelli di Taanac e delle città del suo territorio, né quelli di Dor e delle città del suo territorio, né quelli d’Ibleam e delle città del suo territorio, né quelli di Meghiddo e delle città del suo territorio, essendo i Cananei decisi a restare in quel paese. Però, quando Israele divenne più forte, assoggettò i Cananei a servitù, ma non li cacciò del tutto. Anche Efraim non cacciò i Cananei che abitavano a Ghezer; e i Cananei abitarono in Ghezer in mezzo a Efraim. Zabulon non cacciò gli abitanti di Chitron, né gli abitanti di Naalol; e i Cananei abitarono in mezzo a Zabulon e furono soggetti a servitù. Ascer non cacciò gli abitanti di Acco, né gli abitanti di Sidone, né quelli di Alab, di Aczib, di Elba, di Afic, di Reob; e i figli di Ascer si stabilirono in mezzo ai Cananei che abitavano il paese, perché non li scacciarono. Neftali non cacciò gli abitanti di Bet-Semes, né gli abitanti di Bet-Anat, e si stabilì in mezzo ai Cananei che abitavano il paese; ma gli abitanti di Bet-Semes e di Bet-Anat furono da loro sottoposti a servitù. Gli Amorei respinsero i figli di Dan nella regione montuosa e non li lasciarono scendere nella valle. Gli Amorei si mostrarono decisi a restare a Ar-Cheres, ad Aialon e a Saalbim; ma la mano della casa di Giuseppe si aggravò su loro tanto che furono soggetti a servitù. E il confine degli Amorei si estendeva dalla salita di Acrabbim, andando da Sela, e su verso il nord. Ora l’angelo dell’Eterno salì da Ghilgal a Bochim e disse: “Io vi ho fatto salire dall’Egitto e vi ho condotto nel paese che avevo giurato ai vostri padri di darvi. Avevo anche detto: ‘Io non romperò mai il mio patto con voi; e voi, dal canto vostro, non farete alleanza con gli abitanti di questo paese; demolirete i loro altari’. Ma voi non avete ubbidito alla mia voce. Perché avete fatto questo? Perciò anch’io ho detto: ‘Io non li scaccerò davanti a voi; ma essi saranno per voi tanti nemici, e i loro dèi saranno per voi un’insidia’”. Appena l’angelo dell’Eterno ebbe detto queste parole a tutti i figli d’Israele, il popolo si mise a piangere ad alta voce. Chiamarono quel luogo Bochim e vi offrirono dei sacrifici all’Eterno. Ora Giosuè congedò il popolo, e i figli d’Israele se ne andarono, ciascuno nel suo territorio, a prendere possesso del paese. E il popolo servì l’Eterno durante tutta la vita di Giosuè e durante tutta la vita degli anziani che sopravvissero a Giosuè, e che avevano visto tutte le grandi opere che l’Eterno aveva fatto in favore d’Israele. Poi Giosuè, figlio di Nun, servo dell’Eterno, morì all’età di centodieci anni; e fu sepolto nel territorio che gli era toccato a Timnat-Cheres nella regione montuosa di Efraim, a nord della montagna di Gaas. Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi padri; poi, dopo di quella, sorse un’altra generazione, che non conosceva l’Eterno, né le opere che egli aveva compiuto in favore d’Israele. I figli d’Israele fecero ciò che è male agli occhi dell’Eterno, e servirono gli idoli di Baal; abbandonarono l’Eterno, l’Iddio dei loro padri che li aveva tratti fuori dal paese d’Egitto, e andarono dietro ad altri dèi fra gli dèi dei popoli che li circondavano; si prostrarono davanti a loro, e provocarono ad ira l’Eterno; abbandonarono l’Eterno, e servirono Baal e gli idoli di Astarte. E l’ira dell’Eterno si accese contro Israele ed egli li diede nelle mani dei predoni, che li spogliarono; li vendette ai nemici che stavano intorno a loro, in modo che non poterono più resistere di fronte ai loro nemici. Dovunque andavano, la mano dell’Eterno era contro di loro a loro danno, come l’Eterno aveva detto, come l’Eterno aveva loro giurato: e furono grandemente afflitti. E l’Eterno suscitava dei giudici, che li liberavano dalle mani di quelli che li spogliavano. Ma neppure ai loro giudici davano ascolto, poiché si prostituivano ad altri dèi, e si prostravano davanti a loro. E abbandonarono ben presto la via percorsa dai loro padri, i quali avevano ubbidito ai comandamenti dell’Eterno; ma essi non fecero così. E quando l’Eterno suscitava loro dei giudici, l’Eterno era con il giudice, e li liberava dalla mano dei loro nemici durante tutta la vita del giudice; poiché l’Eterno era mosso a compassione ascoltando i gemiti che mandavano a causa di quelli che li opprimevano e li angariavano. Ma, quando il giudice moriva, tornavano a corrompersi più dei loro padri, andando dietro ad altri dèi per servirli e prostrarsi davanti a loro; non rinunciavano affatto alle loro pratiche e alla loro caparbia condotta. Perciò l’ira dell’Eterno si accese contro Israele, ed egli disse: “Poiché questa nazione ha violato il patto che avevo stabilito con i loro padri ed essi non hanno ubbidito alla mia voce, anch’io non scaccerò più davanti a loro nessuna delle nazioni che Giosuè lasciò quando morì; così, per mezzo di esse, metterò alla prova Israele per vedere se si atterranno alla via dell’Eterno e cammineranno per essa come fecero i loro padri, o no”. E l’Eterno lasciò stare quelle nazioni senza affrettarsi a cacciarle, e non le diede nelle mani di Giosuè. Queste sono le nazioni che l’Eterno lasciò stare per mettere, per mezzo di esse, alla prova Israele, cioè tutti quelli che non avevano visto le guerre di Canaan. (Egli voleva soltanto che le nuove generazioni dei figli d’Israele conoscessero e imparassero la guerra: quelli, perlomeno, che prima non l’avevano mai vista): i cinque principi dei Filistei, tutti i Cananei, i Sidoni, e gli Ivvei, che abitavano la montagna del Libano, dal monte Baal-Ermon fino all’ingresso di Camat. Queste nazioni servirono a mettere Israele alla prova, per vedere se Israele avrebbe ubbidito ai comandamenti che l’Eterno aveva dato ai loro padri per mezzo di Mosè. Così i figli d’Israele abitarono in mezzo ai Cananei, agli Ittiti, agli Amorei, ai Ferezei, agli Ivvei e ai Gebusei; sposarono le loro figlie, diedero le proprie figlie in spose ai loro figli, e servirono i loro dèi. I figli d’Israele fecero ciò che è male agli occhi dell’Eterno; dimenticarono l’Eterno, il loro Dio, e servirono gli idoli di Baal e di Astarte. Perciò l’ira dell’Eterno si accese contro Israele, ed egli li diede nelle mani di Cusan-Risataim, re di Mesopotamia; e i figli d’Israele furono servi di Cusan-Risataim per otto anni. Poi i figli d’Israele gridarono all’Eterno, e l’Eterno suscitò loro un liberatore: Otniel, figlio di Chenaz, fratello minore di Caleb; ed egli li liberò. Lo Spirito dell’Eterno fu sopra di lui, ed egli fu giudice d’Israele; uscì a combattere, e l’Eterno gli diede nelle mani Cusan-Risataim, re di Mesopotamia; e la sua mano fu potente contro Cusan-Risataim. Il paese ebbe pace per quarant’anni; poi Otniel, figlio di Chenaz, morì. I figli d’Israele continuarono a fare ciò che è male agli occhi dell’Eterno; e l’Eterno rese forte Eglon, re di Moab, contro Israele, perché essi avevano fatto ciò che è male agli occhi dell’Eterno. Ed Eglon radunò attorno a sé i figli di Ammon e di Amalec, e andò e sconfisse Israele e si impadronì della città delle palme. E i figli d’Israele furono servi di Eglon, re di Moab, per diciotto anni. Ma i figli d’Israele gridarono all’Eterno, ed egli suscitò loro un liberatore: Eud, figlio di Ghera, Beniaminita, che era mancino. I figli d’Israele mandarono per mezzo di lui un regalo a Eglon, re di Moab. Eud si fece una spada a due tagli, lunga un cubito; e se la cinse sotto la veste, al fianco destro. E offrì il regalo a Eglon, re di Moab, che era uomo molto grasso. E quando ebbe finito la presentazione del regalo, rimandò la gente che lo aveva portato. Ma egli, giunto alla cava di pietre che è presso Ghilgal, tornò indietro, e disse: “O re, io ho qualcosa da dirti in segreto”. E il re disse: “Silenzio!”. E tutti quelli che gli stavano vicino, uscirono. Allora Eud si accostò al re, che stava seduto nella sala di sopra, riservata soltanto a lui per prendervi il fresco, e gli disse: “Ho una parola da dirti da parte di Dio”. Egli si alzò dal suo trono: e Eud, stesa la mano sinistra, trasse la spada dal suo fianco destro, e gliela piantò nel ventre. Anche l’elsa entrò dopo la lama; e il grasso si rinchiuse attorno alla lama; poiché egli non gli ritirò dal ventre la spada, che gli usciva da dietro. Poi Eud uscì nel portico, chiuse le porte della sala di sopra, e mise i chiavistelli. Ora quando fu uscito, vennero i servi, i quali guardarono, ed ecco che le porte della sala di sopra erano chiuse con il chiavistello; e dissero: “Certo egli fa i suoi bisogni nello stanzino della sala fresca”. E aspettarono tanto che furono preoccupati; e siccome egli non apriva le porte della sala, quelli presero la chiave, aprirono, ed ecco che il loro signore era steso a terra, morto. Mentre essi indugiavano, Eud si diede alla fuga, passò oltre le cave di pietra, e si mise in salvo nella Seira. Quando fu arrivato, suonò la tromba nella regione montuosa di Efraim, e i figli d’Israele scesero con lui dalla regione montuosa, ed egli si mise alla loro testa. E disse loro: “Seguitemi, perché l’Eterno vi ha dato nelle mani i Moabiti, vostri nemici”. E quelli scesero dietro di lui, si impadronirono dei guadi del Giordano per impedire il passaggio ai Moabiti, e non lasciarono passare nessuno. In quel tempo sconfissero circa diecimila Moabiti, tutti robusti e valorosi; e non ne scampò uno. Così, in quel giorno, Moab fu umiliato sotto la mano d’Israele, e il paese ebbe pace per ottant’anni. Dopo Eud, venne Samgar, figlio di Anat. Egli sconfisse seicento Filistei con un pungolo da buoi; e anche egli liberò Israele. Morto Eud, i figli d’Israele continuarono a fare ciò che è male agli occhi dell’Eterno. E l’Eterno li diede nelle mani di Iabin, re di Canaan, che regnava ad Asor. Il capo del suo esercito era Sisera che abitava ad Aroset-Goim. E i figli d’Israele gridarono all’Eterno, perché Iabin aveva novecento carri di ferro, e già da vent’anni opprimeva con violenza i figli d’Israele. Ora in quel tempo era giudice d’Israele una profetessa, Debora, moglie di Lappidot. Lei sedeva sotto la palma di Debora, fra Rama e Betel, nella regione montuosa di Efraim, e i figli d’Israele salivano da lei per farsi rendere giustizia. Ora lei mandò a chiamare Barac, figlio di Abinoam, da Cades di Neftali, e gli disse: “L’Eterno, l’Iddio d’Israele, non ti ha forse dato quest’ordine: ‘Va’, marcia sul monte Tabor e prendi con te diecimila uomini dei figli di Neftali e dei figli di Zabulon. E io attirerò verso te, al torrente Chison, Sisera, capo dell’esercito di Iabin, con i suoi carri e la sua numerosa gente, e io lo darò nelle tue mani’”. Barac le rispose: “Se vieni con me andrò; ma se non vieni con me, non andrò”. E lei disse: “Certamente, verrò con te; soltanto, la via per cui cammini non ti porterà onori; poiché l’Eterno darà Sisera nelle mani di una donna”. E Debora si alzò e andò con Barac a Cades. E Barac convocò Zabulon e Neftali a Cades; diecimila uomini si misero al suo seguito, e Debora salì con lui. Ora Eber, il Cheneo, si era separato dai Chenei, discendenti di Obab, suocero di Mosè, e aveva piantato le sue tende fino al querceto di Saannaim, che è presso Cades. Fu riferito a Sisera che Barac, figlio di Abinoam, era salito sul monte Tabor. E Sisera radunò tutti i suoi carri, novecento carri di ferro, e tutta la gente che era con sé, da Aroset-Goim fino al torrente Chison. E Debora disse a Barac: “Àlzati, perché questo è il giorno in cui l’Eterno ha dato Sisera nelle tue mani. L’Eterno non va forse davanti a te?”. Allora Barac scese dal monte Tabor, seguito da diecimila uomini. E l’Eterno mise in rotta, davanti a Barac, Sisera con tutti i suoi carri e con tutto il suo esercito, che fu passato a fil di spada; e Sisera, sceso dal carro, si diede alla fuga a piedi. Ma Barac inseguì i carri e l’esercito fino a Aroset-Goim; e tutto l’esercito di Sisera cadde sotto i colpi della spada, e non scampò un uomo. Sisera fuggì a piedi verso la tenda di Iael, moglie di Eber, il Cheneo, perché c’era pace fra Iabin, re di Asor, e la casa di Eber il Cheneo. E Iael uscì incontro a Sisera e gli disse: “Entra, signor mio, entra da me: non temere”. Ed egli entrò da lei nella sua tenda, e lei lo coprì con una coperta. Ed egli le disse: “Ti prego, dammi un po’ d’acqua da bere perché ho sete”. E quella, aperto l’otre del latte, gli diede da bere, e lo coprì. Ed egli le disse: “Stattene all’ingresso della tenda; e se qualcuno viene a interrogarti dicendo: ‘C’è qualcuno qui dentro?’, di’ di no”. Allora Iael, moglie di Eber, prese un picchetto della tenda e un martello, venne pian piano da lui, e gli piantò il picchetto nella tempia tanto che penetrò a terra. Egli era profondamente addormentato e sfinito; e morì. Ed ecco che, mentre Barac inseguiva Sisera, Iael uscì a incontrarlo, e gli disse: “Vieni, e ti mostrerò l’uomo che cerchi”. Ed egli entrò da lei; ed ecco, Sisera era steso morto, con il picchetto nella tempia. Così Dio umiliò quel giorno Iabin, re di Canaan, davanti ai figli d’Israele. E la mano dei figli d’Israele si fece sempre più pesante su Iabin, re di Canaan, finché ebbero sterminato Iabin, re di Canaan. In quel giorno, Debora cantò questo cantico con Barac, figlio di Abinoam: “Perché dei capi si sono messi alla testa del popolo in Israele, perché il popolo si è mostrato volenteroso, benedite l’Eterno! Ascoltate, o re! Porgete orecchio, o principi! All’Eterno, sì, io canterò, salmeggerò all’Eterno, all’Iddio d’Israele. O Eterno, quando uscisti da Seir, quando venisti dai campi di Edom, la terra tremò, e anche i cieli si sciolsero, anche le nubi si sciolsero in acqua. I monti furono scossi per la presenza dell’Eterno, anche il Sinai, là, fu scosso davanti all’Eterno, all’Iddio d’Israele. Ai giorni di Samgar, figlio di Anat, ai giorni di Iael, le strade erano abbandonate, e i viandanti seguivano sentieri tortuosi. I capi mancavano in Israele; mancavano, finché non sorsi io, Debora, finché non sorsi io, come una madre in Israele. Si sceglievano dei nuovi dèi, e la guerra era alle porte. Si scorgeva forse uno scudo, una lancia, fra quarantamila uomini d’Israele? Il mio cuore va ai condottieri d’Israele! O voi che vi offriste volenterosi fra il popolo, benedite l’Eterno! Voi che montate asine bianche, voi che sedete su ricchi tappeti, e voi che camminate per le vie, cantate! Lungi dalle grida degli arcieri là tra gli abbeveratoi, si celebrino gli atti di giustizia dell’Eterno, gli atti di giustizia dei suoi capi in Israele! Allora il popolo dell’Eterno scese alle porte. Dèstati, dèstati, o Debora! dèstati, dèstati, sciogli un canto! Àlzati, o Barac, e prendi i tuoi prigionieri, o figlio di Abinoam! Allora scese un residuo, alla voce dei nobili scese un popolo, l’Eterno scese con me fra i prodi. Da Efraim vennero quelli che stanno sul monte Amalec; al tuo seguito venne Beniamino fra la tua gente; da Machir scesero dei capi, e da Zabulon quelli che portano il bastone del comando. I principi di Issacar furono con Debora; quale fu Barac, tale fu Issacar, si slanciò nella valle sulle orme di lui. Presso i ruscelli di Ruben, grandi furono le risoluzioni del cuore! Perché tu sei rimasto fra gli ovili ad ascoltare il flauto dei pastori? Presso i ruscelli di Ruben, grandi furono le deliberazioni del cuore! Galaad non ha lasciato la sua dimora di là dal Giordano; e Dan perché si è tenuto sulle sue navi? Ascer è rimasto presso il lido del mare, e si è riposato nei suoi porti. Zabulon è un popolo che ha esposto la sua vita alla morte, e Neftali, anche egli, sulle alture della campagna. I re vennero, combatterono; allora combatterono i re di Canaan a Taanac, presso le acque di Meghiddo; non ne riportarono un pezzo d’argento. Dai cieli si combatté: gli astri, nel loro corso, combatterono contro Sisera. Il torrente di Chison li travolse, l’antico torrente, il torrente di Chison. Anima mia, avanti con forza! Allora gli zoccoli dei cavalli martellavano il suolo, al galoppo, al galoppo dei loro guerrieri in fuga. ‘Maledite Meroz’, dice l’angelo dell’Eterno: ‘maledite, maledite i suoi abitanti, perché non vennero in soccorso dell’Eterno, in soccorso dell’Eterno insieme con i prodi!’. Benedetta sia fra le donne Iael, moglie di Eber, il Cheneo! Fra le donne che stanno sotto le tende, sia lei benedetta! Egli chiese dell’acqua, e lei gli diede del latte; in una coppa d’onore gli offrì della crema. Con una mano, prese il picchetto; e, con la destra, il martello degli operai; colpì Sisera, gli spaccò la testa, gli fracassò, gli trapassò le tempie. Ai piedi di lei si piegò, cadde, giacque disteso; ai suoi piedi si piegò, e cadde; là dove si piegò, cadde esanime. La madre di Sisera guarda per la finestra, e grida attraverso l’inferriata: ‘Perché il suo carro tarda ad arrivare? Perché sono così lente le ruote dei suoi carri?’. Le più sagge delle sue dame le rispondono, e lei pure replica a sé stessa: ‘Non trovano bottino? non se lo dividono? Una fanciulla, due fanciulle per ognuno; a Sisera un bottino di vesti variopinte; un bottino di vesti variopinte e ricamate, di vesti variopinte e ricamate da entrambi i lati per le spalle del vincitore!’. Così periscano tutti i tuoi nemici, o Eterno! E quelli che ti amano siano come il sole quando sorge in tutta la sua forza!”. E il paese ebbe pace per quarant’anni. Ma i figli d’Israele fecero ciò che è male agli occhi dell’Eterno, e l’Eterno li diede nelle mani di Madian per sette anni. La mano di Madian fu potente contro Israele; e, per la paura dei Madianiti, i figli d’Israele si fecero quelle caverne che sono nei monti, e delle spelonche e dei forti. Quando Israele aveva seminato, i Madianiti con gli Amalechiti e con i figli dell’oriente salivano contro di lui, si accampavano contro gli Israeliti, distruggevano tutti i prodotti del paese fin verso Gaza, e non lasciavano in Israele né viveri, né pecore, né buoi, né asini. Poiché salivano con le loro greggi e con le loro tende, e arrivavano come una moltitudine di cavallette; essi e i loro cammelli erano innumerevoli, e venivano nel paese per devastarlo. Israele dunque fu ridotto in grande miseria a causa di Madian, e i figli d’Israele gridarono all’Eterno. E avvenne che, quando i figli d’Israele ebbero gridato all’Eterno a causa di Madian, l’Eterno mandò ai figli d’Israele un profeta, che disse loro: “Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Io vi feci salire dall’Egitto e vi trassi fuori dalla casa di schiavitù; vi liberai dalla mano degli Egiziani e dalla mano di tutti quelli che vi opprimevano; li cacciai davanti a voi, vi diedi il loro paese, e vi dissi: Io sono l’Eterno, il vostro Dio; non adorate gli dèi degli Amorei nel paese dei quali abitate; ma voi non avete dato ascolto alla mia voce’”. Poi venne l’angelo dell’Eterno, e si sedette sotto il terebinto d’Ofra, che apparteneva a Ioas, Abiezerita; e Gedeone, figlio di Ioas, batteva il grano nello strettoio, per metterlo al sicuro dai Madianiti. L’angelo dell’Eterno gli apparve e gli disse: “L’Eterno è con te, o uomo forte e valoroso!”. E Gedeone gli rispose: “Ahimè, signor mio, se l’Eterno è con noi, perché ci è avvenuto tutto questo? e dove sono tutte quelle sue meraviglie che i nostri padri ci hanno narrato dicendo: ‘L’Eterno non ci trasse forse fuori dall’Egitto?’. Ma ora l’Eterno ci ha abbandonato e ci ha dato nelle mani di Madian”. Allora l’Eterno si rivolse a lui, e gli disse: “Va’ con questa tua forza, e salva Israele dalla mano di Madian; non sono io che ti mando?”. Ed egli a lui: “Ah, signor mio, con che salverò io Israele? Ecco, la mia famiglia è la più povera di Manasse, e io sono il più piccolo nella casa di mio padre”. L’Eterno gli disse: “Perché io sarò con te, tu sconfiggerai i Madianiti come se fossero un uomo solo”. E Gedeone a lui: “Se ho trovato grazia agli occhi tuoi, dammi un segno che sei proprio tu che mi parli. Ti prego, non te ne andare di qui prima che io torni da te, ti porti la mia offerta, e te la metta davanti”. E l’Eterno disse: “Aspetterò finché tu ritorni”. Allora Gedeone entrò in casa, preparò un capretto, e con un efa di farina fece delle focacce azzime; mise la carne in un canestro, il brodo in una pentola, gli portò tutto sotto il terebinto, e glielo offrì. E l’angelo di Dio gli disse: “Prendi la carne e le focacce azzime, mettile su questa roccia, e versaci su il brodo”. Ed egli fece così. Allora l’angelo dell’Eterno stese la punta del bastone che aveva in mano e toccò la carne e le focacce azzime; e salì dalla roccia un fuoco, che consumò la carne e le focacce azzime; e l’angelo dell’Eterno scomparve dalla vista di lui. E Gedeone vide che era l’angelo dell’Eterno, e disse: “Misero me, o Signore, o Eterno! poiché ho visto l’angelo dell’Eterno faccia a faccia!”. E l’Eterno gli disse: “Sta’ in pace, non temere, non morirai!”. Allora Gedeone costruì un altare all’Eterno, e lo chiamò “l’Eterno pace”. Esso esiste anche al giorno d’oggi a Ofra degli Abiezeriti. In quella stessa notte, l’Eterno gli disse: “Prendi il giovenco di tuo padre e il secondo toro di sette anni, demolisci l’altare di Baal che è di tuo padre, abbatti l’idolo che gli sta vicino, e costruisci un altare all’Eterno, al tuo Dio, in cima a questa roccia, disponendo ogni cosa con ordine; poi prendi il secondo toro, e offrilo in olocausto sulla legna dell’idolo che avrai abbattuto”. Allora Gedeone prese dieci uomini fra i suoi servitori e fece come l’Eterno gli aveva detto; ma, non osando farlo di giorno, per paura della casa di suo padre e della gente della città, lo fece di notte. E quando la gente della città l’indomani mattina si alzò, ecco che l’altare di Baal era stato demolito, che l’idolo posto accanto era abbattuto, e che il secondo toro era offerto in olocausto sull’altare che era stato costruito. E dissero l’uno all’altro: “Chi ha fatto questo?”. Ed essendosi informati e avendo fatto delle ricerche, fu loro detto: “Gedeone, figlio di Ioas, ha fatto questo”. Allora la gente della città disse a Ioas: “Conduci fuori tuo figlio, e sia messo a morte, perché ha demolito l’altare di Baal e ha abbattuto l’idolo che gli stava vicino”. E Ioas rispose a tutti quelli che insorgevano contro di lui: “Volete voi difendere la causa di Baal? volete venirgli in soccorso? chi vorrà difendere la sua causa sarà messo a morte prima di domattina; se esso è dio, difenda da sé la sua causa, poiché hanno demolito il suo altare”. Perciò quel giorno Gedeone fu chiamato Ierubbaal, perché si disse: “Difenda Baal la sua causa contro di lui, poiché egli ha demolito il suo altare”. Ora tutti i Madianiti, gli Amalechiti e i figli dell’oriente si radunarono, passarono il Giordano, e si accamparono nella valle di Izreel. Ma lo Spirito dell’Eterno rivestì Gedeone, il quale suonò la tromba, e gli Abiezeriti furono convocati per seguirlo. Egli mandò anche dei messaggeri in tutto Manasse, che fu convocato per seguirlo; mandò anche dei messaggeri nelle tribù di Ascer, di Zabulon e di Neftali, le quali salirono a incontrare gli altri. E Gedeone disse a Dio: “Se vuoi salvare Israele per mia mano, come hai detto, ecco, io metterò un vello di lana sull’aia: se c’è della rugiada sul vello soltanto e tutto il terreno resta asciutto, io conoscerò che tu salverai Israele per mia mano come hai detto”. E così avvenne. La mattina dopo, Gedeone si alzò in tempo, strizzò il vello e ne spremette la rugiada: una coppa piena d’acqua. E Gedeone disse a Dio: “Non si accenda l’ira tua contro di me; io non parlerò più che questa volta. Ti prego, che io faccia ancora un’altra prova sola con il vello: resti asciutto soltanto il vello, e ci sia della rugiada su tutto il terreno”. E Dio fece così quella notte: il vello soltanto restò asciutto, e ci fu della rugiada su tutto il terreno. Ierubbaal dunque, vale a dire Gedeone, con tutta la gente che era con lui, alzatosi la mattina di buon’ora, si accampò presso la sorgente di Carod. L’accampamento di Madian era a nord di quello di Gedeone, verso la collina di More, nella valle. E l’Eterno disse a Gedeone: “La gente che è con te è troppo numerosa perché io dia Madian nelle sue mani; Israele potrebbe vantarsi di fronte a me, e dire: ‘La mia mano è quella che mi ha salvato’. Ora dunque fa’ proclamare questo, in modo che il popolo l’oda: ‘Chiunque ha paura e trema, se ne torni indietro e si allontani dal monte di Galaad’”. E tornarono indietro ventiduemila uomini del popolo, e ne rimasero diecimila. L’Eterno disse a Gedeone: “La gente è ancora troppo numerosa; falla scendere all’acqua, e là io farò per te la scelta. Quello del quale ti dirò: ‘Questo vada con te’, andrà con te; e quello del quale ti dirò: ‘Questo non vada con te’, non andrà”. Gedeone fece dunque scendere la gente all’acqua; e l’Eterno gli disse: “Tutti quelli che lambiranno l’acqua con la lingua, come la lambisce il cane, li metterai da parte; così pure tutti quelli che, per bere, si metteranno in ginocchio”. E il numero di quelli che lambirono l’acqua portandosela alla bocca nella mano, fu di trecento uomini; tutto il resto della gente si mise in ginocchio per bere l’acqua. Allora l’Eterno disse a Gedeone: “Mediante questi trecento uomini che hanno lambito l’acqua io vi libererò e darò i Madianiti nelle tue mani. Tutto il resto della gente se ne vada, ognuno a casa sua”. I trecento presero i viveri del popolo e le sue trombe; e Gedeone, rimandati tutti gli altri uomini d’Israele, ciascuno alla sua tenda, tenne questi con sé. Ora l’accampamento di Madian era sotto quello di lui, nella valle. In quella stessa notte, l’Eterno disse a Gedeone: “Àlzati, piomba sull’accampamento, perché io te l’ho dato nelle mani. Ma se hai paura di farlo, scendi con Pura tuo servo, e udrai quello che dicono; e, dopo questo, le tue mani saranno fortificate per piombare sull’accampamento”. Egli dunque scese con Pura, suo servo, fino agli avamposti dell’accampamento. Ora i Madianiti, gli Amalechiti e tutti i figli dell’oriente erano sparsi nella valle come una moltitudine di cavallette, e i loro cammelli erano innumerevoli, come la sabbia che è sul lido del mare. E quando Gedeone vi giunse, ecco che un uomo raccontava un sogno al suo compagno, e gli diceva: “Io ho fatto un sogno; mi sembrava che un pane tondo, d’orzo, rotolasse nell’accampamento di Madian, giungesse alla tenda, la investisse, in modo da farla cadere, da rovesciarla, da lasciarla per terra”. E il suo compagno gli rispose e gli disse: “Questo non è altro che la spada di Gedeone, figlio di Ioas, uomo d’Israele; nelle sue mani Iddio ha dato Madian e tutto l’accampamento”. Quando Gedeone ebbe udito il racconto del sogno e la sua interpretazione, adorò Dio; poi tornò all’accampamento d’Israele, e disse: “Alzatevi, perché l’Eterno ha dato nelle vostre mani l’accampamento di Madian!”. E divise i trecento uomini in tre schiere, consegnò a tutti quanti delle trombe e delle brocche vuote con delle fiaccole dentro le brocche; e disse loro: “Guardate me, e fate come farò io; quando sarò giunto all’estremità dell’accampamento, come farò io, così farete voi; e quando io con tutti quelli che sono con me suonerò la tromba, anche voi suonerete le trombe intorno a tutto l’accampamento, e direte: ‘Per l’Eterno e per Gedeone!’”. Gedeone e i cento uomini che erano con lui giunsero all’estremità del campo, al principio della vigilia di mezzanotte, quando si era appena dato il cambio alle sentinelle. Suonarono le trombe, e spezzarono le brocche che tenevano in mano. Allora le tre schiere suonarono le trombe, spezzarono le brocche; con la sinistra presero le fiaccole, e con la destra le trombe per suonare, e si misero a gridare: “La spada per l’Eterno e per Gedeone!”. Ognuno di loro rimase al suo posto, intorno all’accampamento; e tutto l’accampamento si mise a correre, a gridare, a fuggire. E mentre quelli sonavano le trecento trombe, l’Eterno fece volgere la spada di ciascuno contro il compagno, per tutto l’accampamento. E l’accampamento fuggì fino a Bet-Sitta, verso Serera, fino all’orlo di Abel-Meola presso Tabbat. Gli Israeliti di Neftali, di Ascer e di tutto Manasse si radunarono e inseguirono i Madianiti. E Gedeone mandò dei messaggeri per tutta la regione montuosa di Efraim a dire: “Scendete incontro ai Madianiti, e tagliate loro il passo delle acque fino a Bet-Bara, e i guadi del Giordano”. Così tutti gli uomini di Efraim si radunarono e si impadronirono dei passi delle acque fino a Bet-Bara e dei guadi del Giordano. E presero due principi di Madian, Oreb e Zeeb; uccisero Oreb al masso di Oreb, e Zeeb allo strettoio di Zeeb: inseguirono i Madianiti, e portarono le teste di Oreb e di Zeeb a Gedeone, dall’altro lato del Giordano. Gli uomini di Efraim dissero a Gedeone: “Che azione è questa che tu ci hai fatto, non chiamandoci quando sei andato a combattere contro Madian?”. Ed ebbero con lui una disputa violenta. Ed egli rispose loro: “Che ho fatto io in confronto a voi? la racimolatura di Efraim non vale forse più della vendemmia di Abiezer? Iddio vi ha dato nelle mani i principi di Madian, Oreb e Zeeb! che dunque ho potuto fare in confronto a voi?”. Quando egli ebbe detto loro quelle parole, la loro ira contro di lui si calmò. E Gedeone arrivò al Giordano, e lo passò con i trecento uomini che erano con lui; i quali, benché stanchi, continuavano a inseguire il nemico. E disse a quelli di Succot: “Date, vi prego, dei pani alla gente che mi segue, perché è stanca, e io sto inseguendo Zeba e Salmunna, re di Madian”. Ma i capi di Succot risposero: “Tieni tu forse già nelle tue mani i polsi di Zeba e di Salmunna, che dobbiamo dare del pane al tuo esercito?”. E Gedeone disse: “Ebbene! quando l’Eterno mi avrà dato nelle mani Zeba e Salmunna, io vi lacererò le carni con delle spine del deserto e con dei rovi”. Di là salì a Penuel, e parlò a quelli di Penuel nello stesso modo; ed essi gli risposero come avevano fatto quelli di Succot. Ed egli disse anche a quelli di Penuel: “Quando tornerò in pace, abbatterò questa torre”. Ora Zeba e Salmunna erano a Carcor con il loro esercito di circa quindicimila uomini, che era tutto quello che rimaneva dell’intero esercito dei figli dell’oriente, poiché centoventimila uomini che portavano la spada erano stati uccisi. Gedeone salì per la via dei nomadi a oriente di Noba e di Iogbeha, e sconfisse l’esercito che si credeva al sicuro. E Zeba e Salmunna si diedero alla fuga; ma egli li inseguì, prese i due re di Madian, Zeba e Salmunna, e sbaragliò tutto l’esercito. Poi Gedeone, figlio di Ioas, tornò dalla battaglia, per la salita di Cheres. Mise le mani sopra un giovane della gente di Succot, e lo interrogò; ed egli gli diede per iscritto i nomi dei capi e degli anziani di Succot, che erano settantasette uomini. Poi andò dalla gente di Succot, e disse: “Ecco Zeba e Salmunna, a proposito dei quali mi insultaste dicendo: ‘Hai tu forse già nelle mani i polsi di Zeba e di Salmunna, che noi dobbiamo dare del pane alla tua gente stanca?’”. E prese gli anziani della città, e con delle spine del deserto e con dei rovi castigò gli uomini di Succot. E abbatté la torre di Penuel e uccise la gente della città. Poi disse a Zeba e a Salmunna: “Come erano gli uomini che avete uccisi al Tabor?”. Quelli risposero: “Erano come te; ognuno di essi aveva l’aspetto di un figlio di re”. Ed egli riprese: “Erano miei fratelli, figli di mia madre; come è vero che l’Eterno vive, se aveste risparmiato loro la vita, io non vi ucciderei!”. Poi disse a Ieter, suo primogenito: “Àlzati, uccidili!”. Ma il giovane non tirò la spada, perché aveva paura, essendo ancora un ragazzo. E Zeba e Salmunna dissero: “Àlzati tu stesso e dacci il colpo mortale; poiché qual è l’uomo tale è la sua forza”. E Gedeone si alzò e uccise Zeba e Salmunna, e prese le mezzelune che i loro cammelli portavano al collo. Allora gli uomini d’Israele dissero a Gedeone: “Regna su di noi tu e tuo figlio e il figlio di tuo figlio, poiché ci hai salvati dalla mano di Madian”. Ma Gedeone rispose loro: “Io non regnerò su di voi, né mio figlio regnerà su di voi; l’Eterno è colui che regnerà su di voi!”. Poi Gedeone disse loro: “Una cosa voglio chiedervi: che ciascuno di voi mi dia gli anelli del suo bottino” (i nemici avevano degli anelli d’oro perché erano Ismaeliti). Quelli risposero: “Li daremo volentieri”. E stesero un mantello, sul quale ciascuno gettò gli anelli del suo bottino. Il peso degli anelli d’oro che egli aveva chiesto fu di millesettecento sicli d’oro, oltre le mezzelune, i pendenti e le vesti di porpora che i re di Madian avevano addosso, e oltre i collari che i loro cammelli avevano al collo. E Gedeone ne fece un efod, che pose a Ofra, sua città; tutto Israele vi andò a prostituirsi, ed esso diventò un’insidia per Gedeone e per la sua casa. Così Madian fu umiliato davanti ai figli d’Israele, e non alzò più il capo; e il paese ebbe pace per quarant’anni, durante la vita di Gedeone. Ierubbaal figlio di Ioas, tornò ad abitare a casa sua. Ora Gedeone ebbe settanta figli, che gli nacquero dalle molte mogli che ebbe. E la sua concubina, che stava a Sichem, gli partorì anche lei un figlio che chiamò Abimelec. Poi Gedeone, figlio di Ioas, morì in buona vecchiaia, e fu sepolto nella tomba di Ioas suo padre, a Ofra degli Abiezeriti. Dopo che Gedeone fu morto, i figli d’Israele ricominciarono a prostituirsi agli idoli di Baal, e presero Baal-Berit come loro dio. I figli d’Israele non si ricordarono dell’Eterno, del loro Dio, che li aveva liberati dalle mani di tutti i loro nemici che li circondavano; e non dimostrarono nessuna gratitudine alla casa di Ierubbaal, ossia di Gedeone, per tutto il bene che egli aveva fatto a Israele. Ora Abimelec, figlio di Ierubbaal, andò a Sichem dai fratelli di sua madre e parlò loro e a tutta la famiglia del padre di sua madre, dicendo: “Vi prego, dite ai Sichemiti, in modo che tutti odano: ‘Che cosa è meglio per voi, che settanta uomini, tutti figli di Ierubbaal, regnino su di voi, oppure che regni su di voi uno solo?’. E ricordatevi ancora che io sono vostre ossa e vostra carne”. I fratelli di sua madre parlarono di lui, ripetendo a tutti i Sichemiti tutte quelle parole; e il loro cuore si inclinò in favore di Abimelec, perché dissero: “È nostro fratello”. E gli diedero settanta sicli d’argento, che tolsero dal tempio di Baal-Berit, con i quali Abimelec assoldò degli uomini da nulla e audaci che lo seguirono. Ed egli venne alla casa di suo padre, a Ofra, e uccise sopra una stessa pietra i suoi fratelli, figli di Ierubbaal, settanta uomini; ma Iotam, figlio minore di Ierubbaal, scampò, perché si era nascosto. Poi tutti i Sichemiti e tutta la casa di Millo si radunarono e andarono a proclamare re Abimelec, presso la quercia del monumento che si trova a Sichem. E Iotam, essendo stato informato della cosa, andò a mettersi sulla vetta del monte Garizim, e alzando la voce gridò: “Ascoltatemi, Sichemiti, e vi ascolti Iddio! Un giorno gli alberi si misero in cammino per ungere un re che regnasse su di loro; e dissero all’ulivo: ‘Regna tu su di noi’. Ma l’ulivo rispose loro: ‘Dovrei rinunciare al mio olio che Dio e gli uomini onorano in me, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Allora gli alberi dissero al fico: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. Ma il fico rispose loro: ‘Dovrei rinunciare alla mia dolcezza e al mio frutto squisito per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Poi gli alberi dissero alla vite: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. Ma la vite rispose loro: ‘Dovrei rinunciare al mio vino che rallegra Dio e gli uomini, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Allora tutti gli alberi dissero al pruno: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. E il pruno rispose agli alberi: ‘Se è proprio in buona fede che volete ungermi re per regnare su di voi, venite a rifugiarvi sotto la mia ombra; altrimenti, esca un fuoco dal pruno e divori i cedri del Libano!’. E ora, se avete agito con fedeltà e con integrità proclamando re Abimelec, se avete agito bene verso Ierubbaal e la sua casa, se avete ricompensato lui, mio padre, per ciò che ha fatto per voi quando ha combattuto per voi, quando ha messo a repentaglio la sua vita e vi ha liberati dalle mani di Madian, mentre voi, oggi, siete insorti contro la casa di mio padre, avete ucciso i suoi figli, settanta uomini, sopra una stessa pietra, e avete proclamato re dei Sichemiti Abimelec, figlio della sua serva, perché è vostro fratello, se, dico, avete oggi agito con fedeltà e con integrità verso Ierubbaal e la sua casa, godetevi Abimelec, e Abimelec si goda voi! Altrimenti, esca da Abimelec un fuoco, che divori i Sichemiti e la casa di Millo, ed esca dai Sichemiti e dalla casa di Millo un fuoco, che divori Abimelec!”. Poi Iotam corse via, fuggì e andò a stare a Beer, per paura di Abimelec, suo fratello. E Abimelec signoreggiò sopra Israele tre anni. Poi Iddio mandò un cattivo spirito fra Abimelec e i Sichemiti, e i Sichemiti non furono più fedeli ad Abimelec, affinché la violenza fatta ai settanta figli di Ierubbaal ricevesse il suo castigo, e il loro sangue ricadesse sopra Abimelec, loro fratello, che li aveva uccisi, e sopra i Sichemiti che lo avevano aiutato a uccidere i suoi fratelli. I Sichemiti posero in agguato contro di lui, sulla cima dei monti, della gente che svaligiava chiunque le passasse vicino sulla strada. E Abimelec fu informato della cosa. Poi Gaal, figlio di Ebed, e i suoi fratelli vennero e si stabilirono a Sichem, e i Sichemiti riposero in lui la loro fiducia. E, usciti alla campagna, vendemmiarono le loro vigne, pestarono l’uva, e fecero festa. Poi entrarono nella casa del loro dio, mangiarono, bevvero, e maledissero Abimelec. E Gaal, figlio di Ebed, disse: “Chi è Abimelec, e che cos’è Sichem, che dobbiamo servirlo? non è figlio di Ierubbaal? e Zebul non è il suo luogotenente? Servite gli uomini di Camor, padre di Sichem! Ma noi perché serviremmo costui? Ah, se avessi in mio potere questo popolo, io caccerei Abimelec!”. Poi disse ad Abimelec: “Rinforza il tuo esercito e fatti avanti!”. Ora Zebul, governatore della città, avendo udito le parole di Gaal, figlio di Ebed, si accese d’ira, e mandò segretamente dei messaggeri ad Abimelec per dirgli: “Ecco, Gaal, figlio di Ebed, e i suoi fratelli sono venuti a Sichem, e sollevano la città contro di te. Ora dunque, àlzati di notte con la gente che è con te, e fa’ un’imboscata nella campagna; e domani mattina, appena spunterà il sole, ti alzerai e piomberai sulla città. E quando Gaal con la gente che è con lui uscirà contro di te, tu gli farai quello che sarà necessario”. Abimelec e tutta la gente che era con lui si alzarono di notte, e fecero un’imboscata contro Sichem, divisi in quattro schiere. Intanto Gaal, figlio di Ebed, uscì, e si fermò all’ingresso della porta della città; e Abimelec uscì dall’imboscata con la gente che era con lui. Gaal, vista quella gente, disse a Zebul: “Ecco gente che scende dall’alto dei monti”. E Zebul gli rispose: “Tu vedi l’ombra dei monti e la prendi per uomini”. E Gaal riprese a dire: “Guarda, c’è gente che scende dalle alture del paese, e una schiera che giunge per la via della quercia degli indovini”. Allora Zebul gli disse: “Dov’è ora la tua spavalderia di quando dicevi: ‘Chi è Abimelec, perché dobbiamo servirlo?’. Non è questo il popolo che disprezzavi? Ora, fatti avanti e combatti contro di lui!”. Allora Gaal uscì alla testa dei Sichemiti, e diede battaglia ad Abimelec. Ma Abimelec gli diede la caccia, ed egli fuggì davanti a lui, e molti uomini caddero morti fino all’ingresso della porta. E Abimelec si fermò ad Aruma, e Zebul cacciò Gaal e i suoi fratelli, che non poterono più rimanere a Sichem. Il giorno seguente, il popolo di Sichem uscì nella campagna; e Abimelec ne fu informato. Egli prese allora la sua gente, la divise in tre schiere, e fece un’imboscata nei campi; e quando vide che il popolo usciva dalla città, gli si mosse contro e ne fece una strage. Poi Abimelec e la gente che aveva con sé fecero irruzione e si andarono a mettere all’ingresso della porta della città, mentre le altre due schiere si gettarono su tutti quelli che erano nella campagna, e ne fecero una strage. E Abimelec attaccò la città tutto quel giorno, la prese e uccise il popolo che vi si trovava; poi spianò la città e la cosparse di sale. Tutti gli abitanti della torre di Sichem, udito questo, si ritirarono nel torrione del tempio di El-Berit. E fu riferito ad Abimelec che tutti gli abitanti della torre di Sichem si erano radunati lì. Allora Abimelec salì sul monte Salmon con tutta la gente che era con lui; prese una scure, tagliò un ramo d’albero, lo sollevò e se lo mise sulla spalla; poi disse alla gente che era con lui: “Quello che mi avete visto fare, fatelo presto anche voi!”. Tutti tagliarono anche loro dei rami, ognuno il suo, e seguirono Abimelec; posero i rami contro il torrione, e incendiarono il torrione con quelli che vi erano dentro. Così perì tutta la gente della torre di Sichem, circa mille persone, fra uomini e donne. Poi Abimelec andò a Tebes, la cinse d’assedio e la prese. Ora in mezzo alla città c’era una forte torre, dove si rifugiarono tutti gli abitanti della città, uomini e donne; vi si rinchiusero dentro, e salirono sul tetto della torre. Abimelec, giunto alla torre, l’attaccò, e si accostò alla porta della torre per appiccarvi il fuoco. Ma una donna gettò giù un pezzo di macina sulla testa di Abimelec e gli spezzò il cranio. Ed egli chiamò subito il giovane che gli portava le armi, e gli disse: “Tira fuori la spada e uccidimi, affinché non si dica: ‘Lo ha ammazzato una donna!’”. Il suo giovane allora lo trafisse, ed egli morì. E quando gli Israeliti videro che Abimelec era morto, se ne andarono, ognuno a casa sua. Così Dio fece ricadere sopra Abimelec il male che egli aveva fatto contro suo padre, uccidendo settanta suoi fratelli. Iddio fece anche ricadere sul capo della gente di Sichem tutto il male che avevano fatto; e su loro si compì la maledizione di Iotam, figlio di Ierubbaal. Ora dopo Abimelec, per liberare Israele, sorse Tola, figlio di Pua, figlio di Dodo, uomo d’Issacar. Abitava a Samir, nella regione montuosa di Efraim; fu giudice d’Israele per ventitré anni; poi morì e fu sepolto a Samir. Dopo di lui sorse Iair, il Galaadita, che fu giudice d’Israele per ventidue anni; ebbe trenta figli che cavalcavano trenta asinelli e avevano trenta città, che si chiamano anche oggi i borghi di Iair, e sono nel paese di Galaad. Poi Iair morì e fu sepolto a Camon. E i figli d’Israele continuarono a fare ciò che è male agli occhi dell’Eterno e servirono gli idoli di Baal e di Astarte, gli dèi della Siria, gli dèi di Sidone, gli dèi di Moab, gli dèi dei figli di Ammon e gli dèi dei Filistei; abbandonarono l’Eterno e non lo servirono più. L’ira dell’Eterno si accese contro Israele, ed egli li diede nelle mani dei Filistei e nelle mani dei figli di Ammon. E in quell’anno, questi angariarono e oppressero i figli d’Israele; per diciotto anni oppressero tutti i figli d’Israele che erano di là dal Giordano, nel paese degli Amorei in Galaad. E i figli di Ammon passarono il Giordano per combattere anche contro Giuda, contro Beniamino e contro la casa d’Efraim; e Israele fu in grande angoscia. Allora i figli d’Israele gridarono all’Eterno, dicendo: “Abbiamo peccato contro di te, perché abbiamo abbandonato il nostro Dio, e abbiamo servito gli idoli di Baal”. E l’Eterno disse ai figli d’Israele: “Non vi ho io liberati dagli Egiziani, dagli Amorei, dai figli di Ammon e dai Filistei? Quando i Sidoni, gli Amalechiti e i Maoniti vi opprimevano e voi gridaste a me, non vi liberai io dalle loro mani? Eppure, mi avete abbandonato e avete servito altri dèi; perciò io non vi libererò più. Andate a gridare agli dèi che avete scelto; vi salvino essi nel tempo della vostra angoscia!”. E i figli d’Israele dissero all’Eterno: “Abbiamo peccato; facci tutto quello che ti piace; soltanto, ti preghiamo, liberaci oggi!”. Allora tolsero di mezzo a loro gli dèi stranieri e servirono l’Eterno, che si addolorò per l’afflizione d’Israele. I figli di Ammon si radunarono e si accamparono a Galaad, e anche i figli d’Israele si radunarono, e si accamparono a Mispa. Il popolo, i principi di Galaad, si dissero l’uno all’altro: “Chi sarà l’uomo che comincerà l’attacco contro i figli di Ammon? Egli sarà il capo di tutti gli abitanti di Galaad”. Ora Iefte, il Galaadita, era un uomo forte e valoroso, figlio di una prostituta, e aveva per padre Galaad. La moglie di Galaad gli aveva dato dei figli; e quando questi figli della moglie furono grandi, cacciarono Iefte e gli dissero: “Tu non avrai eredità in casa di nostro padre, perché sei figlio di un’altra donna”. E Iefte se ne fuggì lontano dai suoi fratelli e si stabilì nel paese di Tob. Attorno a Iefte si raccolsero degli uomini da nulla, e facevano delle incursioni con lui. Qualche tempo dopo avvenne che i figli di Ammon mossero guerra a Israele. E mentre i figli di Ammon muovevano guerra a Israele, gli anziani di Galaad andarono a cercare Iefte nel paese di Tob. E dissero a Iefte: “Vieni, sii nostro capitano, e combatteremo contro i figli di Ammon”. Ma Iefte rispose agli anziani di Galaad: “Non mi avete odiato e cacciato dalla casa di mio padre? Perché venite da me ora che siete nell’angoscia?”. E gli anziani di Galaad dissero a Iefte: “Appunto per questo torniamo ora da te, perché tu venga con noi e combatta contro i figli di Ammon, e tu sia capo di tutti noi, abitanti di Galaad”. Iefte rispose agli anziani di Galaad: “Se mi riconducete da voi per combattere contro i figli di Ammon, e l’Eterno li dà in mio potere, io sarò vostro capo”. E gli anziani di Galaad dissero a Iefte: “L’Eterno sia testimone tra noi, e ci punisca se non facciamo quello che hai detto”. Iefte dunque andò con gli anziani di Galaad; il popolo lo costituì suo capo e condottiero, e Iefte ripeté davanti all’Eterno, a Mispa, tutte le parole che aveva detto prima. Poi Iefte inviò dei messaggeri al re dei figli di Ammon per dirgli: “Che questione c’è fra me e te che tu venga contro di me per fare guerra al mio paese?”. E il re dei figli di Ammon rispose ai messaggeri di Iefte: “Mi sono mosso perché, quando Israele salì dall’Egitto, si impadronì del mio paese, dall’Arnon fino allo Iabboc e al Giordano; restituiscimelo amichevolmente”. Iefte inviò di nuovo dei messaggeri al re dei figli di Ammon per dirgli: “Così dice Iefte: ‘Israele non si impadronì del paese di Moab, né del paese dei figli di Ammon; ma, quando Israele salì dall’Egitto e attraversò il deserto fino al Mar Rosso e giunse a Cades, inviò dei messaggeri al re di Edom per dirgli: - Ti prego, lasciami passare per il tuo paese; - ma il re di Edom non acconsentì. Ne mandò anche al re di Moab, il quale pure rifiutò; e Israele rimase a Cades. Poi camminò per il deserto, fece il giro del paese di Edom e del paese di Moab, giunse a oriente del paese di Moab, e si accampò di là dall’Arnon, senza entrare nel territorio di Moab; perché l’Arnon segna il confine di Moab. E Israele inviò dei messaggeri a Sicon, re degli Amorei, re di Chesbon, e gli fece dire: - Ti preghiamo, lasciaci passare dal tuo paese, per arrivare al nostro. - Ma Sicon non si fidò d’Israele e non gli permise di passare per il suo territorio; anzi Sicon radunò tutta la sua gente, si accampò a Iaas, e combatté contro Israele. E l’Eterno, l’Iddio d’Israele, diede Sicon e tutta la sua gente nelle mani d’Israele, che li sconfisse; così Israele conquistò tutto il paese degli Amorei, che abitavano quella regione; conquistò tutto il territorio degli Amorei, dall’Arnon allo Iabboc e dal deserto al Giordano. E ora che l’Eterno, l’Iddio d’Israele, ha cacciato gli Amorei davanti a Israele, che è il suo popolo, dovresti tu possedere il loro paese? Non possiedi tu quello che Chemos, il tuo dio, ti ha fatto possedere? Così anche noi possederemo il paese di quelli che l’Eterno ha cacciati davanti a noi. Sei tu forse più di Balac, figlio di Sippor, re di Moab? Litigò egli con Israele, o gli fece guerra? Sono trecento anni che Israele abita a Chesbon e nelle città del suo territorio, ad Aroer e nelle città del suo territorio, e in tutte le città lungo l’Arnon; perché non gliele avete tolte durante questo tempo? E io non ti ho offeso, e tu agisci male verso di me, facendomi guerra. L’Eterno, il giudice, giudichi oggi tra i figli d’Israele e i figli di Ammon!’”. Ma il re dei figli di Ammon non diede ascolto alle parole che Iefte gli aveva fatto dire. Allora lo Spirito dell’Eterno venne su Iefte, che attraversò Galaad e Manasse, passò a Mispa di Galaad, e da Mispa di Galaad si mosse contro i figli di Ammon. E Iefte fece un voto all’Eterno, e disse: “Se tu mi dai nelle mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalle porte di casa mia per venirmi incontro quando tornerò vittorioso dai figli di Ammon, sarà dell’Eterno, e io l’offrirò in olocausto”. E Iefte marciò contro i figli di Ammon per fargli guerra, e l’Eterno glieli diede nelle mani. Ed egli inflisse loro una grandissima sconfitta, da Aroer fin verso Minnit, prendendo loro venti città, e fino ad Abel-Cheramim. Così i figli di Ammon furono umiliati davanti ai figli d’Israele. Ora Iefte se ne tornò a Mispa, a casa sua; ed ecco uscirgli incontro sua figlia, con timpani e danze. Era l’unica sua figlia: non aveva altri figli né altre figlie. E, quando la vide, si stracciò le vesti, e disse: “Ah, figlia mia! tu mi riempi di angoscia; tu sei fra quelli che mi fanno soffrire! poiché io ho dato parola all’Eterno, e non mi posso tirare indietro”. Lei gli disse: “Padre mio, se hai dato parola all’Eterno, fa’ di me secondo quello che hai pronunciato, poiché l’Eterno ti ha concesso di fare vendetta dei figli di Ammon, tuoi nemici”. Poi disse a suo padre: “Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, affinché io vada e scenda per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne”. Egli le rispose: “Va’!” e la lasciò andare per due mesi. E lei se ne andò con le sue compagne, e pianse sui monti la sua verginità. Alla fine dei due mesi, lei tornò da suo padre; ed egli fece di lei quello che aveva promesso con voto. Lei non aveva conosciuto uomo. Di qui venne in Israele l’usanza che le figlie d’Israele vanno tutti gli anni a celebrare la figlia di Iefte, il Galaadita, per quattro giorni. Ora gli uomini di Efraim si radunarono, passarono a Safon, e dissero a Iefte: “Perché sei andato a combattere contro i figli di Ammon e non ci hai chiamati per venire con te? Noi bruceremo la tua casa e te con essa”. Iefte rispose loro: “Io e il mio popolo abbiamo avuto una una grande contesa con i figli di Ammon; e quando vi ho chiamati in aiuto, non mi avete liberato dalle loro mani. E vedendo che voi non venivate in mio soccorso, ho messo a repentaglio la mia vita, ho marciato contro i figli di Ammon, e l’Eterno me li ha dati nelle mani. Perché dunque oggi siete saliti contro di me per muovermi guerra?”. Poi Iefte, radunati tutti gli uomini di Galaad, diede battaglia a Efraim; e gli uomini di Galaad sconfissero gli Efraimiti, perché questi dicevano: “Voi, Galaaditi, siete dei fuggiaschi di Efraim, in mezzo a Efraim e in mezzo a Manasse!”. E i Galaaditi intercettarono i guadi del Giordano agli Efraimiti; e quando uno dei fuggiaschi di Efraim diceva: “Lasciatemi passare”, gli uomini di Galaad gli chiedevano: “Sei tu un Efraimita?”. Se quello rispondeva: “No”, i Galaaditi gli dicevano: “Ebbene, di’: ‘Scibbolet’”; e quello diceva: “Sibbolet”, senza fare attenzione a pronunciare bene; allora lo prendevano e lo uccidevano presso i guadi del Giordano. E perirono in quel tempo quarantaduemila uomini di Efraim. Iefte fu giudice d’Israele per sei anni. Poi Iefte, il Galaadita, morì e fu sepolto in una delle città di Galaad. Dopo di lui fu giudice d’Israele Ibsan di Betlemme, che ebbe trenta figli, fece sposare trenta figlie con gente di fuori, e fece venire da fuori trenta fanciulle per i suoi figli. Fu giudice d’Israele per sette anni. Poi Ibsan morì e fu sepolto a Betlemme. Dopo di lui fu giudice d’Israele Elon, lo Zabulonita; fu giudice d’Israele per dieci anni. Poi Elon, lo Zabulonita, morì e fu sepolto ad Aialon, nel paese di Zabulon. Dopo di lui fu giudice d’Israele Abdon, figlio di Hillel, il Piratonita. Ebbe quaranta figli e trenta nipoti, i quali cavalcarono settanta asinelli. Fu giudice d’Israele per otto anni. Poi Abdon, figlio di Illel, il Piratonita, morì e fu sepolto a Piraton, nel paese di Efraim, sul monte Amalec. E i figli d’Israele continuarono a fare ciò che era male agli occhi dell’Eterno, e l’Eterno li diede nelle mani dei Filistei per quarant’anni. Ora c’era un uomo di Sorea, della famiglia dei Daniti, di nome Manoa; sua moglie era sterile e non aveva figli. E l’angelo dell’Eterno apparve a questa donna, e le disse: “Ecco, tu sei sterile e non hai figli; ma concepirai e partorirai un figlio. Ora dunque, guardati bene dal bere vino o bevanda alcolica, e dal mangiare qualcosa di impuro. Poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, sulla testa del quale non passerà rasoio, poiché il fanciullo sarà un Nazireo consacrato a Dio dal seno di sua madre, e sarà lui che comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei”. E la donna andò a dire a suo marito: “Un uomo di Dio è venuto da me; aveva l’aspetto di un angelo di Dio: un aspetto davvero tremendo. Io non gli ho domandato di dove fosse, ed egli non mi ha detto il suo nome; ma mi ha detto: ‘Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio; ora dunque non bere vino né bevanda alcolica, e non mangiare niente d’impuro, poiché il fanciullo sarà un Nazireo, consacrato a Dio dal seno di sua madre e fino al giorno della sua morte’”. Allora Manoa supplicò l’Eterno, e disse: “O Signore, ti prego che l’uomo di Dio mandato da te torni di nuovo da noi e ci insegni quello che dobbiamo fare per il bambino che nascerà”. E Dio esaudì la preghiera di Manoa; e l’angelo di Dio tornò ancora dalla donna, che era seduta nel campo; ma Manoa, suo marito, non era con lei. La donna corse in fretta a informare suo marito del fatto, e gli disse: “Ecco, quell’uomo che venne da me l’altro giorno, mi è apparso”. Manoa si alzò, andò dietro a sua moglie, e raggiunto quell’uomo, gli disse: “Sei tu che parlasti a questa donna?”. Ed egli rispose: “Sono io”. E Manoa: “Quando la tua parola si sarà avverata, quale norma si dovrà seguire per il bambino? e che si dovrà fare per lui?”. L’angelo dell’Eterno rispose a Manoa: “La donna si astenga da tutto quello che le ho detto. Non mangi nessun prodotto della vigna, né beva vino o bevanda alcolica, e non mangi niente di impuro; osservi tutto quello che le ho comandato”. E Manoa disse all’angelo dell’Eterno: “Ti prego, permettici di trattenerti, e di prepararti un capretto!”. E l’angelo dell’Eterno rispose a Manoa: “Anche se tu mi trattenessi, non mangerei del tuo cibo; ma, se vuoi fare un olocausto, offrilo all’Eterno”. Ora Manoa non sapeva che quello fosse l’angelo dell’Eterno. Poi Manoa disse all’angelo dell’Eterno: “Qual è il tuo nome, affinché, quando si saranno adempiute le tue parole, noi ti rendiamo onore?”. E l’angelo dell’Eterno gli rispose: “Perché mi chiedi il mio nome? esso è meraviglioso”. E Manoa prese il capretto e l’oblazione e li offrì all’Eterno sulla roccia. Allora avvenne una cosa prodigiosa, mentre Manoa e sua moglie stavano guardando: mentre la fiamma saliva dall’altare al cielo, l’angelo dell’Eterno salì con la fiamma dell’altare. E Manoa e sua moglie, vedendo questo, caddero con la faccia a terra. E l’angelo dell’Eterno non apparve più né a Manoa né a sua moglie. Allora Manoa riconobbe che quello era l’angelo dell’Eterno. E Manoa disse a sua moglie: “Noi moriremo sicuramente, perché abbiamo visto Dio”. Ma sua moglie gli disse: “Se l’Eterno avesse voluto farci morire, non avrebbe accettato dalle nostre mani l’olocausto e l’oblazione; non ci avrebbe fatto vedere tutte queste cose, e non ci avrebbe fatto udire proprio ora delle cose come queste”. Poi la donna partorì un figlio che chiamò Sansone. Il bambino crebbe, e l’Eterno lo benedisse. E lo Spirito dell’Eterno cominciò ad agitarlo quando era a Maane-Dan, fra Sorea ed Estaol. Sansone scese a Timna, e là vide una donna tra le figlie dei Filistei. Tornato a casa, ne parlò a suo padre e a sua madre, dicendo: “Ho visto a Timna una donna tra le figlie dei Filistei; ora dunque, prendetemela per moglie”. Suo padre e sua madre gli dissero: “Non c’è tra le figlie dei tuoi fratelli e in tutto il nostro popolo una donna per te, che tu vada a prenderti una moglie tra i Filistei incirconcisi?”. E Sansone rispose a suo padre: “Prendimi quella, poiché mi piace”. Ora suo padre e sua madre non sapevano che questo veniva dall’Eterno, infatti Sansone cercava che i Filistei gli fornissero un’occasione di contesa. In quel tempo, i Filistei dominavano Israele. Poi Sansone scese con suo padre e con sua madre a Timna; e quando furono giunti alle vigne di Timna, ecco un leoncello gli venne incontro, ruggendo. Lo Spirito dell’Eterno investì Sansone, che, senza avere niente in mano, squartò il leone, come si squarcia un capretto; ma non disse nulla a suo padre né a sua madre di ciò che aveva fatto. E scese, parlò alla donna, e questa gli piacque. Di lì a qualche tempo, tornò per prenderla, e uscì di strada per vedere la carcassa del leone; ed ecco, nel corpo del leone c’era uno sciame di api e del miele. Egli prese in mano quel miele, e si mise a mangiarlo per strada; e quando ebbe raggiunto suo padre e sua madre, ne diede loro, ed essi ne mangiarono; ma non disse loro che aveva preso il miele dal corpo del leone. Suo padre scese a trovare quella donna, e là Sansone fece un convito; perché tale era il costume dei giovani. Appena i parenti della sposa videro Sansone, invitarono trenta compagni perché stessero con lui. Sansone disse loro: “Io vi proporrò un enigma; e se voi me lo spiegate entro i sette giorni del convito, e se lo indovinate, vi darò trenta tuniche e trenta cambi di vesti; ma, se non me lo potete spiegare, darete trenta tuniche e trenta cambi di vesti a me”. E quelli gli risposero: “Proponi il tuo enigma, e noi lo ascolteremo”. Ed egli disse loro: “Dal mangiatore è uscito del cibo, e dal forte è uscito del dolce”. Per tre giorni quelli non riuscirono a spiegare l’enigma. E il settimo giorno dissero alla moglie di Sansone: “Induci tuo marito a spiegarci l’enigma; altrimenti, daremo fuoco a te e alla casa di tuo padre. E che? ci avete invitati qui per spogliarci?”. La moglie di Sansone si mise a piangere presso di lui, e a dirgli: “Tu non hai per me che dell’odio, e non mi vuoi bene; hai proposto un enigma ai figli del mio popolo, e non me l’hai spiegato!”. Ed egli a lei: “Ecco, non l’ho spiegato a mio padre né a mia madre, e lo dovrei spiegare a te?”. E lei pianse presso di lui, durante i sette giorni che durava il convito; e il settimo giorno Sansone glielo spiegò, perché lo tormentava; e lei spiegò l’enigma ai figli del suo popolo. E gli uomini della città, il settimo giorno, prima che tramontasse il sole, dissero a Sansone: “Che c’è di più dolce del miele? e che c’è di più forte del leone?”. Ed egli rispose loro: “Se non aveste arato con la mia giovenca, non avreste indovinato il mio enigma”. E lo Spirito dell’Eterno lo investì, ed egli scese ad Ascalon, uccise trenta uomini dei loro, prese le loro spoglie, e diede i cambi di vesti a quelli che avevano spiegato l’enigma. E, acceso d’ira, risalì a casa di suo padre. Ma la moglie di Sansone fu data al suo compagno che egli si era scelto per amico. Dopo qualche tempo, nei giorni della mietitura del grano, Sansone andò a visitare sua moglie, le portò un capretto, e disse: “Voglio entrare in camera da mia moglie”. Ma il padre di lei non gli permise di entrare, e gli disse: “Io credevo sicuramente che tu l’avessi presa in odio, e perciò l’ho data al tuo compagno; sua sorella minore non è più bella di lei? Prendila dunque al suo posto”. Sansone rispose loro: “Questa volta, non avrò colpa verso i Filistei, quando farò loro del male”. E Sansone se ne andò e catturò trecento sciacalli; prese pure delle fiaccole, avvolse coda contro coda, e mise una fiaccola in mezzo, fra le due code. Poi accese le fiaccole, lasciò andare gli sciacalli per i campi di grano dei Filistei, e bruciò i covoni ammassati, il grano ancora in piedi, e perfino gli uliveti. E i Filistei chiesero: “Chi ha fatto questo?”. Fu risposto: “Sansone, il genero del Timneo, perché questi gli ha preso la moglie e l’ha data al compagno di lui”. E i Filistei salirono e diedero alle fiamme lei e suo padre. E Sansone disse loro: “Poiché agite in questo modo, siate certi che non smetterò finché non mi sia vendicato di voi”. E li sbaragliò interamente, facendone un gran massacro. Poi scese, e si ritirò nella caverna della roccia di Etam. Allora i Filistei salirono, si accamparono a Giuda, e si spinsero fino a Lechi. Gli uomini di Giuda dissero loro: “Perché siete saliti contro di noi?”. Quelli risposero: “Siamo saliti per legare Sansone; per fare a lui quello che ha fatto a noi”. E tremila uomini di Giuda scesero alla caverna della roccia di Etam, e dissero a Sansone: “Non sai che i Filistei sono nostri dominatori? Cos’è dunque questo che ci hai fatto?”. Ed egli rispose loro: “Quello che hanno fatto a me, l’ho fatto a loro”. E quelli a lui: “Noi siamo scesi per legarti e darti nelle mani dei Filistei”. Sansone replicò loro: “Giuratemi che voi stessi non mi ucciderete”. Quelli risposero: “No, ti legheremo soltanto, e ti daremo nelle loro mani; ma certamente non ti metteremo a morte”. E lo legarono con due funi nuove, e lo fecero uscire dalla caverna. Quando giunse a Lechi, i Filistei gli si fecero incontro con grida di gioia; ma lo Spirito dell’Eterno lo investì, e le funi che aveva alle braccia divennero come fili di lino a cui si appicchi il fuoco; e i legami gli caddero dalle mani. E, trovata una mascella di asino ancora fresca, stese la mano, l’afferrò, e uccise con essa mille uomini. E Sansone disse: “Con una mascella di asino, un mucchio! due mucchi! Con una mascella di asino ho ucciso mille uomini!”. Quando ebbe finito di parlare, gettò via dalla mano la mascella, e chiamò quel luogo Ramat-Lechi. Poi ebbe molta sete; e invocò l’Eterno, dicendo: “Tu hai concesso questa grande liberazione per mano del tuo servo; e ora, dovrò morire di sete e cadere nelle mani degli incirconcisi?”. Allora Iddio spaccò la roccia concava che è a Lechi, e ne uscì dell’acqua. Sansone bevve, il suo spirito si rianimò, ed egli riprese vita. Perciò quella fonte fu chiamata En-Accore; essa esiste anche al giorno d’oggi a Lechi. Sansone fu giudice d’Israele, al tempo dei Filistei, per vent’anni. Sansone andò a Gaza, là vide una prostituta, ed entrò da lei. Fu detto a quelli di Gaza: “Sansone è venuto qua”. Ed essi lo circondarono, stettero in agguato tutta la notte presso la porta della città, e tutta quella notte se ne stettero quieti dicendo: “Allo spuntare del giorno lo uccideremo”. E Sansone riposò fino a mezzanotte; e a mezzanotte si alzò, prese i battenti della porta della città e i due stipiti, li divelse insieme con la sbarra, se li mise sulle spalle, e li portò in cima al monte che è di fronte a Ebron. Dopo questo, si innamorò di una donna della valle di Sorec, che si chiamava Delila. E i principi dei Filistei salirono da lei e le dissero: “Lusingalo, e vedi dove risieda quella sua gran forza, e come potremmo prevalere contro di lui per giungere a legarlo e a domarlo; e ti daremo ciascuno mille e cento sicli d’argento”. Delila dunque disse a Sansone: “Dimmi, ti prego, dove risieda la tua gran forza, e in che modo ti si potrebbe legare per domarti”. Sansone le rispose: “Se mi si legasse con sette corde d’arco fresche, non ancora secche, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque”. Allora i principi dei Filistei le portarono sette corde d’arco fresche, non ancora secche, e lei lo legò con esse. Ora c’era gente che stava in agguato, da lei, in una camera interna. E lei gli disse: “Sansone, i Filistei ti sono addosso!”. Ed egli ruppe le corde, come si rompe un filo di stoppa quando sente il fuoco. Così il segreto della sua forza restò sconosciuto. Poi Delila disse a Sansone: “Ecco, tu mi hai beffata e mi hai detto delle bugie; ora dunque, ti prego, dimmi con che ti si potrebbe legare”. Egli le rispose: “Se mi si legasse con funi nuove che non sono ancora state adoperate, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque”. Delila prese dunque delle funi nuove, lo legò, e gli disse: “Sansone, i Filistei ti sono addosso”. L’agguato era posto nella camera interna. Ed egli ruppe, come un filo, le funi che aveva alle braccia. Delila disse a Sansone: “Fino ad ora tu mi hai beffata e mi hai detto delle bugie; dimmi con che ti si potrebbe legare”. Ed egli le rispose: “Non dovresti che tessere le sette trecce del mio capo con il tuo ordito”. Essa le fissò al subbio, poi gli disse: “Sansone, i Filistei ti sono addosso”. Ma egli si svegliò dal sonno, e strappò via il subbio del telaio con l’ordito. E lei gli disse: “Come fai a dirmi: ‘Ti amo!’, mentre il tuo cuore non è con me? Già tre volte mi hai beffata, e non mi hai detto dove risiede la tua gran forza”. Ora, siccome lei lo importunava ogni giorno con le sue parole e lo tormentava, egli fu rattristato a morte, e le aprì tutto il suo cuore e le disse: “Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un Nazireo, consacrato a Dio, dal seno di mia madre; se fossi tosato, la mia forza se ne andrebbe, diventerei debole, e sarei come un uomo qualunque”. Delila, visto che egli le aveva aperto tutto il suo cuore, mandò a chiamare i principi dei Filistei, e fece dire loro: “Venite su, questa volta, perché egli mi ha aperto tutto il suo cuore”. Allora i principi dei Filistei salirono da lei, e portarono con sé il denaro. E lei lo addormentò sulle sue ginocchia, chiamò l’uomo fissato, e gli fece tosare le sette trecce della testa di Sansone; così giunse a domarlo; e la sua forza si allontanò da lui. Allora lei gli disse: “Sansone, i Filistei ti sono addosso”. Ed egli, svegliatosi dal sonno, disse: “Io ne uscirò come le altre volte, e mi svincolerò”. Ma non sapeva che l’Eterno si era ritirato da lui. E i Filistei lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza, e lo legarono con catene di bronzo. Ed egli girava la macina nella prigione. Intanto, la capigliatura che gli avevano tosato, cominciava a ricrescergli. Ora i principi dei Filistei si radunarono per offrire un gran sacrificio a Dagon, loro dio, e per rallegrarsi. Dicevano: “Il nostro dio ci ha dato nelle mani Sansone, nostro nemico”. E quando il popolo lo vide, cominciò a lodare il suo dio e a dire: “Il nostro dio ci ha dato nelle mani il nostro nemico, colui che ci devastava il paese e che ha ucciso tanti di noi”. E nella gioia del loro cuore, dissero: “Chiamate Sansone, che ci faccia divertire!”. Fecero quindi uscire Sansone dalla prigione, ed egli si mise a fare il buffone in loro presenza. Lo posero fra le colonne; e Sansone disse al fanciullo che lo teneva per la mano: “Lasciami, così che io possa toccare le colonne sulle quali posa la casa, e mi appoggi a esse”. Ora la casa era piena di uomini e di donne; e tutti i principi dei Filistei erano là; vi erano sul tetto circa tremila persone, fra uomini e donne, che stavano a guardare mentre Sansone faceva il buffone. Allora Sansone invocò l’Eterno, e disse: “O Signore, o Eterno, ti prego, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, o Dio, perché io mi vendichi in un colpo solo dei Filistei, per la perdita dei miei due occhi”. E Sansone abbracciò le due colonne di mezzo, sulle quali posava la casa; si appoggiò a esse: all’una con la destra, all’altra con la sinistra, e disse: “Che io muoia insieme con i Filistei!”. Si curvò con tutta la sua forza, e la casa crollò addosso ai principi e a tutto il popolo che c’era dentro; così quelli che uccise mentre moriva furono di più di quanti ne aveva uccisi durante la sua vita. Poi i suoi fratelli e tutta la casa di suo padre scesero e lo portarono via; quindi risalirono, e lo seppellirono fra Sorea ed Estaol nel sepolcro di Manoa suo padre. Egli era stato giudice d’Israele per vent’anni. C’era un uomo nella regione montuosa di Efraim, che si chiamava Mica. Egli disse a sua madre: “I millecento sicli d’argento che ti hanno rubato, e a proposito dei quali hai pronunciato una maledizione, e l’hai pronunciata in mia presenza, ecco, li ho io; quel denaro l’avevo preso io”. E sua madre disse: “Benedetto sia mio figlio dall’Eterno!”. Egli restituì a sua madre i millecento sicli d’argento, e sua madre disse: “Io consacro di mia mano quest’argento a favore di mio figlio, per farne un’immagine scolpita e un’immagine di metallo fuso; ora dunque te lo rendo”. E quando egli ebbe restituito l’argento a sua madre, questa prese duecento sicli e li diede al fonditore, il quale ne fece un’immagine scolpita e un’immagine di metallo fuso, che furono messe in casa di Mica. E quest’uomo, Mica, ebbe una casa per gli idoli; e fece un efod e degli idoli, e consacrò uno dei suoi figli, che servì da sacerdote. In quel tempo non c’era re in Israele; ognuno faceva ciò che gli pareva meglio. C’era un giovane di Betlemme di Giuda, della famiglia di Giuda, il quale era un Levita, e abitava là. Quest’uomo partì dalla città di Betlemme di Giuda, per stabilirsi in un luogo che trovasse adatto; e, strada facendo, giunse nella regione montuosa di Efraim, alla casa di Mica. Mica gli chiese: “Da dove vieni?”. Quello gli rispose: “Sono un Levita di Betlemme di Giuda, e vado a stabilirmi dove troverò un luogo adatto”. Mica gli disse: “Rimani con me, e sii per me padre e sacerdote; ti darò dieci sicli d’argento all’anno, un vestito completo, e il vitto”. E il Levita entrò. Egli acconsentì a stare con quell’uomo, che trattò il giovane come uno dei suoi figli. Mica consacrò quel Levita; il giovane gli servì da sacerdote, e si stabilì in casa sua. E Mica disse: “Ora so che l’Eterno mi farà del bene, perché ho un Levita come mio sacerdote”. In quel tempo, non c’era re in Israele; e in quello stesso tempo, la tribù dei Daniti cercava un territorio dove stabilirsi, perché fino a quei giorni, non le era toccato alcuna eredità fra le tribù d’Israele. I figli di Dan mandarono dunque da Sorea e da Estaol cinque uomini della loro tribù, presi fra tutti loro, uomini valorosi, per esplorare ed esaminare il paese; e dissero loro: “Andate a esaminare il paese!”. Quelli giunsero nella regione montuosa di Efraim, alla casa di Mica, e pernottarono in quel luogo. Come furono presso la casa di Mica, riconobbero la voce del giovane Levita; e, avvicinatisi, gli chiesero: “Chi ti ha condotto qua? che fai in questo luogo? che hai tu qui?”. Egli rispose loro: “Mica mi ha fatto questo e questo: mi stipendia, e io gli servo da sacerdote”. E quelli gli dissero: “Consulta Iddio, affinché sappiamo se il viaggio che abbiamo intrapreso sarà prospero”. Il sacerdote rispose loro: “Andate in pace; il viaggio che fate è sotto lo sguardo dell’Eterno”. I cinque uomini dunque partirono, giunsero a Lais, e videro che il popolo che vi abitava viveva in sicurtà, al modo dei Sidoni, tranquillo e fiducioso, poiché nel paese non c’era nessuno in autorità che potesse far loro il minimo torto, inoltre erano lontani dai Sidoni e non avevano relazione con nessuno. Poi tornarono dai loro fratelli a Sorea e a Estaol; e i fratelli chiesero loro: “Che dite?”. Quelli risposero: “Alziamoci e saliamo contro quella gente; poiché abbiamo visto il paese, ed ecco, è eccellente. E voi ve ne state là senza dire una parola? Non siate pigri a muovervi per andare a prendere possesso del paese! Quando arriverete là troverete un popolo che se ne sta sicuro. Il paese è vasto, e Dio ve lo ha dato nelle mani: è un luogo dove non manca nulla di ciò che è sulla terra”. E seicento uomini della famiglia dei Daniti partirono da Sorea e da Estaol, muniti di armi. Salirono, e si accamparono a Chiriat-Iearim, in Giuda; perciò quel luogo, che è dietro a Chiriat-Iearim, fu chiamato e si chiama anche oggi Maane-Dan. E di là passarono nella regione montuosa di Efraim, e giunsero alla casa di Mica. Allora i cinque uomini che erano andati a esplorare il paese di Lais, dissero ai loro fratelli: “Sapete voi che in queste case c’è un efod, ci sono degli idoli, un’immagine scolpita e un’immagine di metallo fuso? Considerate ora quello che dovete fare”. Quelli si diressero da quella parte, giunsero alla casa del giovane Levita, alla casa di Mica, e gli chiesero come stava. I seicento uomini dei figli di Dan, muniti delle loro armi, si misero davanti alla porta. Ma i cinque uomini che erano andati a esplorare il paese, salirono, entrarono in casa, presero l’immagine scolpita, l’efod, gli idoli e l’immagine di metallo fuso, mentre il sacerdote stava davanti alla porta con i seicento uomini armati. E quando furono entrati in casa di Mica ed ebbero preso l’immagine scolpita, l’efod, gli idoli e l’immagine di metallo fuso, il sacerdote disse loro: “Che fate?”. Quelli gli risposero: “Taci, mettiti la mano sulla bocca, vieni con noi, e sarai per noi un padre e un sacerdote. Cosa è meglio per te, essere sacerdote in casa di un uomo solo, oppure essere sacerdote di una tribù e di una famiglia in Israele?”. Il sacerdote si rallegrò nel suo cuore; prese l’efod, gli idoli e l’immagine scolpita, e si unì a quella gente. Così si rimisero in cammino, mettendo davanti a loro i bambini, il bestiame e i bagagli. Quando erano già lontani dalla casa di Mica, la gente che abitava nelle case vicine a quella di Mica, si radunò e inseguì i figli di Dan. E siccome gridava dietro ai figli di Dan, questi, voltatisi indietro, dissero a Mica: “Che cos’hai? Perché hai radunato questa gente?”. Egli rispose: “Avete portato via gli dèi che mi ero fatti e il sacerdote, e ve ne siete andati. Ora che mi resta più? Come potete dunque dirmi: ‘Che cos’hai?’”. I figli di Dan gli dissero: “Fa’ che la tua voce non si oda dietro a noi, perché degli uomini irritati potrebbero scagliarsi su di voi, e tu ci perderesti la vita tua e quella della tua famiglia!”. I figli di Dan continuarono il loro viaggio; e Mica, vedendo che essi erano più forti di lui, se ne tornò indietro e andò a casa sua. Ed essi, dopo aver preso le cose che Mica aveva fatto e il sacerdote che aveva al suo servizio, giunsero a Lais, da un popolo che se ne stava tranquillo e in sicurezza; lo passarono a fil di spada, e diedero la città alle fiamme. E non ci fu nessuno che la liberasse, perché era lontana da Sidone, e i suoi abitanti non avevano relazioni con altra gente. Essa era nella valle che si estende verso Bet-Reob. Poi i Daniti ricostruirono la città e l’abitarono. E la chiamarono Dan, dal nome di Dan loro padre, che fu figlio d’Israele; ma prima, il nome della città era Lais. Poi i figli di Dan eressero per sé l’immagine scolpita; e Gionatan, figlio di Ghersom, figlio di Mosè, e i suoi figli furono sacerdoti della tribù dei Daniti fino al giorno in cui gli abitanti del paese furono deportati. Così eressero per sé l’immagine scolpita che Mica aveva fatto, durante tutto il tempo che la casa di Dio rimase a Silo. In quel tempo non c’era re in Israele; e avvenne che un Levita, che abitava nella parte più remota della regione montuosa di Efraim, si prese per concubina una donna di Betlemme di Giuda. Questa sua concubina gli fu infedele, e lo lasciò per andarsene a casa di suo padre a Betlemme di Giuda, dove stette per un periodo di quattro mesi. E suo marito si alzò e andò da lei per parlare al suo cuore e ricondurla con sé. Egli aveva preso con sé il suo servo e due asini. Lei lo condusse in casa di suo padre; e come il padre della giovane lo vide, gli si fece incontro festosamente. Suo suocero, il padre della giovane, lo trattenne, ed egli rimase con lui tre giorni; e mangiarono e bevvero e pernottarono là. Il quarto giorno si alzarono di buon’ora, e il Levita si disponeva a partire; ma il padre della giovane disse a suo genero: “Prendi un boccone di pane per fortificarti il cuore; poi ve ne andrete”. E si misero entrambi a sedere e mangiarono e bevvero assieme. Poi il padre della giovane disse al marito: “Ti prego, acconsenti a passare qui la notte, e il tuo cuore si rallegri”. Ma quell’uomo si alzò per andarsene; tuttavia, per l’insistenza del suocero, pernottò di nuovo là. Il quinto giorno egli si alzò di buon’ora per andarsene; e il padre della giovane gli disse: “Ti prego, fortificati il cuore, e aspettate finché declini il giorno”. E si misero a mangiare assieme. E quando quell’uomo si alzò per andarsene con la sua concubina e con il suo servo, il suocero, il padre della giovane, gli disse: “Ecco, il giorno volge ora a sera; ti prego, trattieniti qui questa notte; vedi, il giorno sta per finire; pernotta qui, e il tuo cuore si rallegri; e domani vi metterete in cammino di buon’ora e te ne andrai a casa”. Ma il marito non volle passare là la notte; si alzò, partì, e giunse di fronte a Gebus, che è Gerusalemme, con i suoi due asini sellati e con la sua concubina. Quando furono vicini a Gebus, il giorno era di molto calato; e il servo disse al suo padrone: “Vieni, ti prego, e dirigiamo il cammino verso questa città dei Gebusei, e pernottiamo là”. Il padrone gli rispose: “No, non dirigeremo il cammino verso una città di stranieri i cui abitanti non sono figli d’Israele, ma andremo fino a Ghibea”. E disse ancora al suo servo: “Andiamo, cerchiamo di arrivare a uno di quei luoghi, e pernotteremo a Ghibea o a Rama”. Così passarono oltre, e continuarono il viaggio; e il sole tramontò quando erano presso Ghibea, che appartiene a Beniamino. E continuarono il cammino in quella direzione, per andare a pernottare a Ghibea. Il Levita entrò e si fermò sulla piazza della città; ma nessuno li accolse in casa per passare la notte. Quando ecco un vecchio, che tornava la sera dai campi, dal suo lavoro; era un uomo della regione montuosa d’Efraim, che abitava come straniero a Ghibea, mentre la gente del luogo era Beniaminita. Alzàti gli occhi, vide quel viandante sulla piazza della città. E il vecchio gli disse: “Dove vai, e da dove vieni?”. E quello gli rispose: “Siamo partiti da Betlemme di Giuda, e andiamo nella parte più remota della regione montuosa di Efraim. Io sono di là, ed ero andato a Betlemme di Giuda; ora mi reco alla casa dell’Eterno, e non c’è nessuno che mi accolga in casa sua. Eppure abbiamo della paglia e del foraggio per i nostri asini, e anche del pane e del vino per me, per la tua serva e per il giovane che è con i tuoi servi; a noi non manca nulla”. Il vecchio gli disse: “La pace sia con te! Io mi incarico di ogni tuo bisogno; ma non devi passare la notte sulla piazza”. Così lo condusse in casa sua, e diede del foraggio agli asini; i viandanti si lavarono i piedi, e mangiarono e bevvero. Mentre si stavano rallegrando, ecco gli uomini della città, gente perversa, circondare la casa, picchiare alla porta, e dire al vecchio padrone di casa: “Porta fuori quell’uomo che è entrato in casa tua perché vogliamo abusare di lui!”. Ma il padrone di casa, uscito fuori, disse loro: “No, fratelli miei, vi prego, non fate una cattiva azione; poiché quest’uomo è venuto in casa mia, non commettete questa infamia! Ecco qua mia figlia che è vergine, e la concubina di quell’uomo; io ve le condurrò fuori, e voi servitevene, e fatene quello che vi pare; ma non commettete contro quell’uomo una simile infamia!”. Ma quegli uomini non vollero dargli ascolto. Allora l’uomo prese la sua concubina e la condusse fuori da loro; ed essi la presero, e abusarono di lei tutta la notte fino al mattino; poi, allo spuntare dell’alba, la lasciarono andare. E quella donna, sul far del giorno, venne a cadere alla porta di casa dell’uomo presso il quale stava suo marito, e là rimase finché fu giorno chiaro. Suo marito, la mattina, si alzò, aprì la porta di casa e uscì per continuare il suo viaggio, quando ecco la donna, la sua concubina, giaceva distesa alla porta di casa, con le mani sulla soglia. Egli le disse: “Àlzati, andiamocene!”. Ma non ebbe risposta. Allora il marito la caricò sull’asino, e partì per tornare a casa sua. E quando fu giunto a casa, si munì di un coltello, prese la sua concubina e la divise, membro per membro, in dodici pezzi, che mandò per tutto il territorio d’Israele. Tutti quelli che videro ciò dissero: “Una cosa simile non è mai accaduta né si è mai vista, da quando i figli d’Israele salirono dal paese d’Egitto, fino al giorno d’oggi! Prendete a cuore questo fatto, consigliatevi e parlate”. Allora tutti i figli d’Israele uscirono, da Dan fino a Beer-Sceba e al paese di Galaad, e la comunità si raccolse come un sol uomo davanti all’Eterno, a Mispa. I capi di tutto il popolo, e tutte le tribù d’Israele si presentarono nell’assemblea del popolo di Dio, in numero di quattrocentomila fanti, abili a maneggiare la spada. E i figli di Beniamino udirono che i figli d’Israele erano saliti a Mispa. I figli d’Israele dissero: “Parlate! Com’è stato commesso questo delitto?”. Allora il Levita, il marito della donna che era stata uccisa, rispose: “Io ero giunto con la mia concubina a Ghibea di Beniamino per passarvi la notte. Ma gli abitanti di Ghibea insorsero contro di me e di notte circondarono la casa dove stavo; avevano intenzione di uccidermi; violentarono la mia concubina, e lei morì. Io presi la mia concubina, la feci in pezzi, che mandai per tutto il territorio della eredità d’Israele, perché costoro hanno commesso un delitto e una infamia in Israele. Eccovi qui tutti, o figli d’Israele; dite qui il vostro parere, e che consigliate di fare”. Tutto il popolo si alzò come un sol uomo, dicendo: “Nessuno di noi tornerà alla sua tenda, nessuno di noi rientrerà in casa sua. E ora ecco quello che faremo a Ghibea: l’assaliremo, tireremo a sorte chi deve cominciare. Prenderemo in tutte le tribù d’Israele dieci uomini su cento, cento su mille e mille su diecimila, i quali andranno a cercare dei viveri per il popolo, affinché, al loro ritorno, Ghibea di Beniamino sia trattata secondo tutta l’infamia che ha commesso in Israele”. Così tutti gli uomini d’Israele si radunarono contro quella città, uniti come fossero un sol uomo. E le tribù d’Israele mandarono degli uomini in tutte le famiglie di Beniamino a dire: “Che delitto è questo che è stato commesso fra voi? Ora dunque consegnateci quegli uomini, quegli scellerati di Ghibea, perché li mettiamo a morte, e togliamo via il male da Israele”. Ma i figli di Beniamino non vollero dare ascolto alla voce dei loro fratelli, i figli d’Israele. E i figli di Beniamino uscirono dalle loro città, e si radunarono a Ghibea per andare a combattere contro i figli d’Israele. Il censimento che si fece in quel giorno dei figli di Beniamino usciti dalle città, fu di ventiseimila uomini abili a maneggiare la spada, senza contare gli abitanti di Ghibea, che ammontavano al numero di settecento uomini scelti. Fra tutta questa gente vi erano settecento uomini scelti, che erano mancini. Tutti costoro potevano lanciare una pietra con la fionda a un capello, senza fallire il colpo. Si fece pure il censimento degli uomini d’Israele, non compresi quelli di Beniamino; ed erano in numero di quattrocentomila uomini abili a maneggiare la spada, tutta gente di guerra. E i figli d’Israele si mossero, salirono a Betel e consultarono Iddio, dicendo: “Chi di noi salirà per primo a combattere contro i figli di Beniamino?”. L’Eterno rispose: “Giuda salirà per primo”. E l’indomani mattina, i figli d’Israele si misero in marcia e si accamparono presso Ghibea. E gli uomini d’Israele uscirono per combattere contro Beniamino, e si disposero in ordine di battaglia contro di loro, presso Ghibea. Allora i figli di Beniamino avanzarono da Ghibea, e in quel giorno stesero morti al suolo ventiduemila uomini d’Israele. Il popolo, gli uomini d’Israele, ripresero animo, si disposero di nuovo in ordine di battaglia, nel luogo dove si erano disposti il primo giorno. E i figli d’Israele salirono e piansero davanti all’Eterno fino alla sera; consultarono l’Eterno, dicendo: “Devo continuare a combattere contro i figli di Beniamino mio fratello?”. L’Eterno rispose: “Salite contro di loro”. I figli d’Israele andarono in battaglia con i figli di Beniamino una seconda volta. E i Beniaminiti una seconda volta uscirono da Ghibea contro di loro, e stesero morti al suolo altri diciottomila uomini dei figli d’Israele, tutti abili a maneggiare la spada. Allora tutti i figli d’Israele e tutto il popolo salirono a Betel, e piansero, e rimasero là davanti all’Eterno, e digiunarono quel giorno fino alla sera, e offrirono olocausti e sacrifici di ringraziamento davanti all’Eterno. E i figli d’Israele consultarono l’Eterno - l’arca del patto di Dio, in quel tempo, era là, e Fineas, figlio di Eleazar, figlio di Aaronne, ne faceva allora il servizio - e dissero: “Devo continuare ancora a combattere contro i figli di Beniamino mio fratello, o devo cessare?”. E l’Eterno rispose: “Salite, poiché domani ve li darò nelle mani”. E Israele tese un’imboscata intorno a Ghibea. I figli d’Israele salirono per la terza volta contro i figli di Beniamino, e si disposero in ordine di battaglia presso Ghibea come le altre volte. E i figli di Beniamino, essendo usciti contro il popolo, si lasciarono attirare lontano dalla città, e cominciarono a colpire e a uccidere, come le altre volte, alcuni del popolo d’Israele, per le strade, delle quali una sale a Betel, e l’altra a Ghibea per la campagna: ne uccisero circa trenta. Allora i figli di Beniamino dissero: “Eccoli sconfitti davanti a noi come la prima volta!”. Ma i figli d’Israele dissero: “Fuggiamo, e attiriamoli lontano dalla città sulle strade maestre!”. E tutti gli uomini d’Israele abbandonarono la loro posizione e si disposero in ordine di battaglia a Baal-Tamar, e l’imboscata d’Israele si slanciò fuori dal luogo dove si trovava, da Maareh-Ghibea. Diecimila uomini scelti in tutto Israele giunsero davanti a Ghibea. Il combattimento fu aspro, e i Beniaminiti non si accorgevano del disastro che stava per colpirli. E l’Eterno sconfisse Beniamino davanti a Israele; e i figli d’Israele uccisero quel giorno venticinquemila e cento uomini di Beniamino, tutti abili a maneggiare la spada. I figli di Beniamino videro che gli Israeliti erano battuti. Questi, infatti, avevano ceduto terreno a Beniamino, perché confidavano nell’imboscata che avevano posto presso Ghibea. Quelli dell’imboscata si gettarono prontamente su Ghibea; e, avanzati, passarono a fil di spada l’intera città. Ora c’era un segnale convenuto fra gli uomini d’Israele e quelli dell’imboscata: questi dovevano far salire dalla città una colonna di fumo. Gli uomini d’Israele avevano dunque voltato le spalle nel combattimento; e quelli di Beniamino avevano cominciato a colpire e uccidere circa trenta uomini d’Israele. Essi dicevano: “Per certo, eccoli sconfitti davanti a noi come nella prima battaglia!”. Ma quando il segnale, la colonna di fumo, cominciò ad alzarsi dalla città, quelli di Beniamino si voltarono indietro, ed ecco che da tutta la città salivano delle fiamme verso il cielo. Allora gli uomini d’Israele si voltarono, e quelli di Beniamino furono spaventati, vedendo il disastro che piombava addosso a loro. E voltarono le spalle davanti agli uomini d’Israele, e presero la via del deserto; ma gli assalitori si misero alle loro calcagna, e stendevano morti sul posto quelli che uscivano dalle città. Circondarono i Beniaminiti, li inseguirono, furono loro addosso dovunque si fermavano, fino di fronte a Ghibea dal lato dove sorge il sole. Caddero, dei Beniaminiti, diciottomila uomini, tutta gente di valore. I Beniaminiti voltarono le spalle e fuggirono verso il deserto, in direzione del masso di Rimmon; e gli Israeliti ne uccisero per le strade cinquemila, li incalzarono fino a Ghideom, e ne colpirono altri duemila. Così, il numero totale dei Beniaminiti che caddero quel giorno fu di venticinquemila, abili a maneggiare la spada, tutta gente di valore. Seicento uomini, che avevano voltato le spalle ed erano fuggiti verso il deserto in direzione del masso di Rimmon, rimasero al masso di Rimmon per quattro mesi. Poi gli Israeliti tornarono contro i figli di Beniamino, li sconfissero passandoli a fil di spada, dagli abitanti delle città al bestiame, a tutto quello che gli capitava; e diedero alle fiamme tutte le città che trovarono. Gli uomini d’Israele avevano giurato a Mispa, dicendo: “Nessuno di noi darà sua figlia in moglie a un Beniaminita”. E il popolo venne a Betel, dove rimase fino alla sera in presenza di Dio, e alzando la voce, pianse dirottamente, e disse: “O Eterno, o Dio d’Israele, perché mai è avvenuto questo in Israele? Perché oggi c’è in Israele una tribù in meno?”. Il giorno seguente, il popolo si alzò di buon mattino, costruì là un altare, e offrì olocausti e sacrifici di ringraziamento. E i figli d’Israele dissero: “Chi è, fra tutte le tribù d’Israele, che non sia salito all’assemblea davanti all’Eterno?”. Poiché avevano fatto questo giuramento solenne relativamente a chi non fosse salito in presenza dell’Eterno a Mispa: “Quel tale dovrà essere messo a morte”. I figli d’Israele si pentivano di quello che avevano fatto a Beniamino loro fratello, e dicevano: “Oggi è stata soppressa una tribù d’Israele. Come faremo a procurare delle donne ai superstiti, visto che abbiamo giurato nel nome dell’Eterno di non dare loro in moglie nessuna delle nostre figlie?”; dissero dunque: “Qual è fra le tribù d’Israele quella che non è salita in presenza dell’Eterno a Mispa?”. Ed ecco che nessuno di Iabes in Galaad era venuto all’accampamento, all’assemblea; poiché, fatto il censimento del popolo, si trovò che non c’era là nessuno degli abitanti di Iabes in Galaad. Allora l’assemblea mandò là dodicimila uomini tra i più valorosi, e diede loro quest’ordine: “Andate, e passate a fil di spada gli abitanti di Iabes in Galaad, con le donne e i bambini. E farete questo: voterete allo sterminio ogni maschio e ogni donna che abbia avuto relazioni carnali con un uomo”. E quelli trovarono, fra gli abitanti di Iabes in Galaad, quattrocento fanciulle che non avevano avuto relazioni carnali con un uomo, e le condussero all’accampamento, a Silo, che è nel paese di Canaan. Tutta l’adunanza inviò dei messaggeri per parlare ai figli di Beniamino che erano al masso di Rimmon e per annunciare loro la pace. Allora i Beniaminiti tornarono e gli furono date le donne a cui era stata risparmiata la vita fra le donne di Iabes in Galaad; ma non ve ne fu abbastanza per tutti. Il popolo dunque si pentiva di quello che aveva fatto a Beniamino, perché l’Eterno aveva aperto una breccia fra le tribù d’Israele. E gli anziani dell’assemblea dissero: “Come faremo a procurare delle donne ai superstiti, visto che le donne Beniaminite sono state distrutte?”. Poi dissero: “Quelli che sono scampati rimangano in possesso di ciò che apparteneva a Beniamino, affinché non sia soppressa una tribù in Israele. Ma noi non possiamo dare loro le nostre figlie in moglie”. Poiché i figli d’Israele avevano giurato, dicendo: “Maledetto chi darà una moglie a Beniamino!”. E dissero: “Ecco, ogni anno si fa una festa in onore dell’Eterno a Scilo, che è a nord di Betel, a oriente della strada che sale da Betel a Sichem, e a sud di Lebna”. E diedero quest’ordine ai figli di Beniamino: “Andate, fate un’imboscata nelle vigne; state attenti, e quando le figlie di Silo usciranno per danzare in coro, sbucherete dalle vigne, rapirete ciascuno una delle figlie di Silo per farne vostra moglie, e ve ne andrete nel paese di Beniamino. E quando i loro padri o i loro fratelli verranno a lamentarsi con noi, noi diremo loro: ‘Datecele, per favore, poiché in questa guerra non abbiamo preso una donna per uno; inoltre non siete voi che le avete date loro; in quel caso, voi sareste colpevoli’”. E i figli di Beniamino fecero in quel modo: si presero delle mogli, secondo il loro numero, fra le danzatrici; le rapirono, poi partirono e tornarono nella loro eredità, ricostruirono le città e vi stabilirono la loro dimora. In quello stesso tempo, i figli d’Israele se ne andarono di là, ciascuno nella sua tribù e nella sua famiglia, e ognuno tornò nel luogo della sua eredità. In quel tempo, non c’era re in Israele; ognuno faceva ciò che gli pareva meglio. Al tempo dei giudici ci fu nel paese una carestia, e un uomo di Betlemme di Giuda andò a stare nelle campagne di Moab con la moglie e i suoi due figli. Quest’uomo si chiamava Elimelec; sua moglie, Naomi; e i suoi due figli, Malon e Chilion; erano Efratei, di Betlemme di Giuda. Giunti nelle campagne di Moab, vi si stabilirono. Elimelec, marito di Naomi, morì, e lei rimase con i suoi due figli. Questi sposarono delle Moabite, delle quali una si chiamava Orpa, e l’altra Rut; e abitarono là per circa dieci anni. Poi Malon e Chilion morirono entrambi, e la donna restò priva dei suoi due figli e del marito. Allora si alzò con le sue nuore per tornarsene dalle campagne di Moab, perché nelle campagne di Moab aveva sentito dire che l’Eterno aveva visitato il suo popolo, dandogli del pane. Lei partì dunque con le sue due nuore dal luogo dove era stata, e si mise in cammino per tornare nel paese di Giuda. E Naomi disse alle sue due nuore: “Andate, tornatevene ciascuna a casa di sua madre; l’Eterno sia buono con voi, come voi siete state con quelli che sono morti, e con me! L’Eterno conceda a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito!”. Le baciò e quelle si misero a piangere ad alta voce, e le dissero: “No, noi torneremo con te al tuo popolo”. E Naomi rispose: “Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste con me? Ho forse ancora dei figli in grembo che possano diventare vostri mariti? Tornate indietro, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per risposarmi; e anche se dicessi: ‘Ne ho speranza’, e avessi un marito stasera, e partorissi dei figli, voi aspettereste finché fossero grandi? Rinuncereste per questo a sposarvi? No, figlie mie; la mia afflizione è più amara della vostra, poiché la mano dell’Eterno si è stesa contro di me”. Allora esse alzarono la voce e piansero di nuovo; e Orpa baciò la suocera, ma Rut non si staccò da lei. Naomi disse a Rut: “Ecco, tua cognata se n’è tornata al suo popolo e ai suoi dèi; torna indietro anche tu, come tua cognata!”. Ma Rut rispose: “Non insistere perché io ti lasci, e me ne vada lontano da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io e dove starai tu, starò pure io, il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu morirò anch’io, e là sarò sepolta. L’Eterno mi tratti con il massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!”. Quando Naomi la vide fermamente decisa ad andare con lei, non gliene parlò più. Così fecero il viaggio insieme fino al loro arrivo a Betlemme. E quando giunsero a Betlemme, tutta la città fu commossa a causa loro. Le donne dicevano: “È proprio Naomi?”. E lei rispondeva: “Non mi chiamate Naomi; chiamatemi Mara, poiché l’Onnipotente mi ha riempita di amarezza. Io partii nell’abbondanza e l’Eterno mi riconduce priva di tutto. Perché chiamarmi Naomi, quando l’Eterno ha testimoniato contro di me, e l’Onnipotente mi ha resa infelice?”. Così Naomi se ne tornò con Rut, la Moabita, sua nuora, venuta dalle campagne di Moab. Esse giunsero a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo. Naomi aveva un parente di suo marito, uomo potente e ricco, della famiglia di Elimelec, che si chiamava Boaz. Rut, la Moabita, disse a Naomi: “Lasciami andare nei campi a spigolare dietro a colui agli occhi del quale avrò trovato grazia”. E lei le rispose: “Va’ figlia mia”. Rut andò dunque e si mise a spigolare in un campo dietro ai mietitori; e per caso si trovò nella parte di terra appartenente a Boaz, che era della famiglia di Elimelec. Ed ecco che Boaz giunse da Betlemme, e disse ai mietitori: “L’Eterno sia con voi!”. E quelli gli risposero: “L’Eterno ti benedica!”. Poi Boaz disse al suo servo incaricato di sorvegliare i mietitori: “Di chi è questa fanciulla?”. Il servo incaricato di sorvegliare i mietitori rispose: “È una fanciulla Moabita; quella che è tornata con Naomi dalle campagne di Moab. Lei ci ha detto: ‘Vi prego, lasciatemi spigolare e raccogliere le spighe tra i covoni, dietro ai mietitori’. È venuta stamattina ed è rimasta in piedi fino ad ora; e si è ritirata un momento solo per riposarsi”. Allora Boaz disse a Rut: “Ascolta, figlia mia; non andare a spigolare in un altro campo; non ti allontanare da qui, ma rimani con le mie serve; guarda qual è il campo che si miete, e va’ dietro a loro. Ho ordinato ai miei servi che non ti tocchino; e quando avrai sete andrai a bere dai vasi l’acqua che i servi avranno attinto”. Allora Rut si gettò giù, prostrandosi con la faccia a terra, e gli disse: “Come mai ho trovato grazia agli occhi tuoi che tu faccia caso a me che sono una straniera?”. Boaz le rispose: “Mi è stato riferito tutto quello che hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e il tuo paese natìo, per venire presso un popolo che prima non conoscevi. L’Eterno ti ricompensi per quello che hai fatto, e la tua ricompensa sia piena da parte dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti!”. Lei gli disse: “Possa io trovare grazia agli occhi tuoi, o mio signore! Poiché tu mi hai consolata, e hai parlato al cuore della tua serva, sebbene io non sia neppure come una delle tue serve”. Poi, al momento del pasto, Boaz le disse: “Vieni qua, mangia del pane, e intingi il tuo boccone nell’aceto”. E lei si mise a sedere accanto ai mietitori. Boaz le porse del grano arrostito, e lei ne mangiò, si saziò, e ne mise da parte gli avanzi. Poi si alzò per tornare a spigolare, e Boaz impartì quest’ordine ai suoi servi: “Lasciatela spigolare anche fra i covoni, e non rimproveratela! E strappate anche per lei delle spighe dai manipoli; e lasciatele lì perché lei le raccolga, e non la sgridate!”. Così lei spigolò nel campo fino alla sera; batté quello che aveva raccolto, e ne ricavò circa un efa d’orzo. Se lo caricò addosso, entrò in città, e sua suocera vide ciò che lei aveva spigolato; e Rut tirò fuori quello che le era rimasto del cibo dopo essersi saziata, e glielo diede. La suocera le chiese: “Dove hai spigolato oggi? Dove hai lavorato? Benedetto colui che ti ha fatto un’accoglienza così buona!”. E Rut disse alla suocera presso chi aveva lavorato, e aggiunse: “L’uomo presso il quale ho lavorato oggi, si chiama Boaz”. E Naomi disse a sua nuora: “Sia egli benedetto dall’Eterno, poiché non ha rinunciato a mostrare ai vivi la bontà che ebbe verso i morti!”. E aggiunse: “Quest’uomo è nostro parente stretto; è di quelli che hanno su noi il diritto di riscatto”. E Rut, la Moabita: “Mi ha anche detto: ‘Rimani con i miei servi, finché abbiano finito tutta la mia mietitura’”. E Naomi disse a Rut sua nuora: “È bene, figlia mia, che tu vada con le sue serve e non ti si trovi in un altro campo”. Lei rimase dunque con le serve di Boaz, a spigolare, fino alla fine della mietitura dell’orzo e del frumento. E abitava con sua suocera. Naomi, sua suocera, le disse: “Figlia mia, io vorrei assicurarti una sistemazione perché tu sia felice. Ora Boaz, con le cui serve tu sei stata, non è forse nostro parente? Ecco, stasera deve ventilare l’orzo nell’aia. Làvati dunque, ungiti, vèstiti, e scendi all’aia; ma non ti far riconoscere da lui, prima che egli abbia finito di mangiare e di bere. E quando se ne andrà a dormire, osserva il luogo dove dorme; poi va’, alzagli la coperta dalla parte dei piedi, e coricati lì; ed egli ti dirà quello che tu debba fare”. Rut le rispose: “Farò tutto quello che dici”. E scese all’aia, e fece tutto quello che la suocera le aveva ordinato. Boaz mangiò e bevve e, con il cuore allegro, se ne andò a dormire presso il mucchio dei covoni. Allora lei venne piano piano, gli alzò la coperta dalla parte dei piedi, e si coricò. Verso mezzanotte, quell’uomo si svegliò di soprassalto, si voltò, ed ecco che una donna era coricata ai suoi piedi. “Chi sei tu?”, le disse. E lei rispose: “Sono Rut tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto”. Ed egli a lei: “Sii benedetta dall’Eterno, figlia mia! La tua bontà di adesso supera quella di prima, poiché non sei andata dietro a dei giovani, poveri o ricchi. Ora dunque, non temere, figlia mia; io farò per te tutto quello che dici, poiché tutti qui sanno che sei una donna virtuosa. Ora è vero che io ho il diritto di riscatto; ma ce n’è un altro che ti è parente più prossimo di me. Passa qui la notte e domattina, se quello vorrà far valere il suo diritto su di te, va bene, lo faccia pure; ma se non gli piacerà di far valere il suo diritto, io farò valere il mio, com’è vero che l’Eterno vive! Sta’ coricata fino al mattino”. E lei rimase coricata ai suoi piedi fino al mattino; poi si alzò, prima che due si potessero riconoscere l’uno con l’altro; poiché Boaz aveva detto: “Nessuno sappia che questa donna è venuta nell’aia!”. Poi aggiunse: “Porta qua il mantello che hai addosso, e tienilo con entrambe le mani”. Lei lo tenne su, ed egli misurò dentro sei misure d’orzo, e glielo mise in spalla; poi se ne andò in città. Rut tornò da sua suocera, che le disse: “Sei tu, figlia mia?”. E lei le raccontò tutto quanto quell’uomo aveva fatto per lei, e aggiunse: “Mi ha anche dato queste sei misure d’orzo; perché mi ha detto: ‘Non devi tornare da tua suocera a mani vuote’”. E Naomi disse: “Rimani qui, figlia mia, finché tu veda come andrà a finire la cosa; poiché quest’uomo non si darà posa, finché non abbia oggi stesso concluso questo affare”. Boaz salì alla porta della città e là si mise a sedere. Ed ecco passare colui che aveva il diritto di riscatto e del quale Boaz aveva parlato. E Boaz gli disse: “O tu, tal dei tali, vieni e mettiti a sedere qui!”. Quello si avvicinò e si mise a sedere. Boaz allora prese dieci uomini fra gli anziani della città, e disse loro: “Sedete qui”. E quelli si misero a sedere. Poi Boaz disse a colui che aveva il diritto di riscatto: “Naomi, che è tornata dalle campagne di Moab, mette in vendita la parte di terra che apparteneva a Elimelec nostro fratello. Ho creduto bene di informartene, e dirti: ‘Acquistala in presenza degli abitanti del luogo e degli anziani del mio popolo’. Se vuoi far valere il tuo diritto di riscatto, fallo; ma, se non lo vuoi far valere, dimmelo, affinché io lo sappia; perché non c’è nessuno fuori di te, che abbia il diritto di riscatto; e, dopo di te, vengo io”. Egli rispose: “Farò valere il mio diritto”. Allora Boaz disse: “Il giorno che acquisterai il campo dalla mano di Naomi, tu lo acquisterai anche da Rut, la Moabita, moglie del defunto, per far rivivere il nome del defunto nella sua eredità”. Colui che aveva il diritto di riscatto rispose: “Io non posso far valere il mio diritto, perché rovinerei la mia propria eredità; subentra tu nel mio diritto di riscatto, poiché io non posso avvalermene”. Ora c’era in Israele quest’antica usanza per rendere valido un contratto di riscatto o di cessione di proprietà: uno si toglieva la scarpa e la dava all’altro; era il modo di attestare in Israele. Così, colui che aveva il diritto di riscatto disse a Boaz: “Fa’ l’acquisto per conto tuo”; e si tolse la scarpa. Allora Boaz disse agli anziani e a tutto il popolo: “Voi siete oggi testimoni che io ho acquistato dalle mani di Naomi tutto quello che apparteneva a Elimelec, a Chilion e a Malon, e che ho pure acquistato Rut, la Moabita, moglie di Malon, perché sia mia moglie, per far rivivere il nome del defunto nella sua eredità, affinché il nome del defunto non si estingua tra i suoi fratelli e alla porta della sua città. Voi ne siete oggi testimoni”. E tutto il popolo che si trovava alla porta della città e gli anziani risposero: “Ne siamo testimoni. L’Eterno conceda che la donna che entra in casa tua sia come Rachele e come Lea, le due donne che fondarono la casa d’Israele. Spiega la tua forza in Efrata, e fatti un nome in Betlemme! Possa la progenie che l’Eterno ti darà da questa giovane, rendere la tua casa simile alla casa di Perez, che Tamar partorì a Giuda!”. Così Boaz prese Rut, che diventò sua moglie. Egli si unì a lei, e l’Eterno le diede la grazia di concepire, e lei partorì un figlio. E le donne dicevano a Naomi: “Benedetto l’Eterno, il quale non ha permesso che oggi ti mancasse uno con il diritto di riscatto! Il suo nome sia celebrato in Israele! Egli consolerà l’anima tua e sarà il sostegno della tua vecchiaia; l’ha partorito tua nuora che ti ama, e che vale per te più di sette figli”. E Naomi prese il bambino, se lo strinse al seno, e gli fece da nutrice. Le vicine gli diedero il nome, e dicevano: “È nato un figlio a Naomi!”. Lo chiamarono Obed. Egli fu padre di Isai, padre di Davide. Ecco la discendenza di Perez: Perez generò Chesron; Chesron generò Ram; Ram generò Amminadab; Amminadab generò Nason; Nason generò Salmon; Salmon generò Boaz; Boaz generò Obed; Obed generò Isai, e Isai generò Davide. C’era un uomo di Ramataim-Sofim, della regione montuosa di Efraim, che si chiamava Elcana, figlio di Ieroam, figlio di Eliù, figlio di Tou, figlio di Suf, Efraimita. Aveva due mogli: una di nome Anna, e l’altra si chiamava Peninna. Peninna aveva dei figli, ma Anna non ne aveva. E quest’uomo, ogni anno, saliva dalla sua città per andare ad adorare l’Eterno degli eserciti e a offrirgli dei sacrifici a Silo; e là c’erano i due figli di Eli, Ofni e Fineas, sacerdoti dell’Eterno. Quando venne il giorno, Elcana offrì il sacrificio, e diede a Peninna, sua moglie, e a tutti i figli e a tutte le figlie di lei le loro parti; ma ad Anna diede una parte doppia, perché amava Anna, benché l’Eterno l’avesse fatta sterile. La rivale mortificava continuamente Anna per inasprirla perché l’Eterno l’aveva fatta sterile. Così avveniva ogni anno; ogni volta che Anna saliva alla casa dell’Eterno, Peninna la mortificava in quel modo; così lei piangeva e non mangiava più. Elcana, suo marito, le diceva: “Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non valgo io per te più di dieci figli?”. E, dopo aver mangiato e bevuto a Silo, Anna si alzò. Il sacerdote Eli a quell’ora stava seduto sulla sua sedia all’entrata del tempio dell’Eterno. Lei aveva l’anima piena di amarezza, e pregò l’Eterno piangendo a dirotto. Fece un voto, dicendo: “O Eterno degli eserciti! se hai riguardo all’afflizione della tua serva, e ti ricordi di me, e non dimentichi la tua serva, e dai alla tua serva un figlio maschio, io lo consacrerò all’Eterno per tutti i giorni della sua vita, e il rasoio non passerà sulla sua testa”. E, mentre lei prolungava la sua preghiera davanti all’Eterno, Eli stava osservando la sua bocca. Anna parlava nel suo cuore e si muovevano soltanto le sue labbra ma non si sentiva la sua voce; perciò Eli credette che fosse ubriaca e le disse: “Quanto durerà questa tua ubriachezza? Va’ a smaltire il tuo vino!”. Ma Anna, rispondendo, disse: “No, signor mio, io sono una donna tribolata nello spirito, e non ho bevuto né vino né bevanda alcolica, ma stavo spandendo la mia anima davanti all’Eterno. Non prendere la tua serva per una donna da nulla; perché l’eccesso del mio dolore e della mia tristezza mi ha fatto parlare fino ad ora”. Allora Eli replicò: “Va’ in pace, e l’Iddio d’Israele esaudisca la preghiera che gli hai rivolto!”. Lei rispose: “Possa la tua serva trovare grazia agli occhi tuoi!”. Così la donna se ne andò per la sua strada, mangiò, e il suo aspetto non fu più quello di prima. L’indomani, lei e suo marito, si alzarono di buon’ora e si prostrarono davanti all’Eterno; poi partirono e ritornarono a casa loro a Rama. Elcana si unì ad Anna, sua moglie, e l’Eterno si ricordò di lei. Nel corso dell’anno, Anna concepì e partorì un figlio che chiamò Samuele, “perché”, disse, “l’ho chiesto all’Eterno”. E quell’uomo, Elcana, salì con tutta la sua famiglia per andare a offrire all’Eterno il sacrificio annuale e per adempiere il suo voto. Ma Anna non salì, e disse a suo marito: “Io non salirò finché il bambino non sia svezzato; allora lo condurrò, perché sia presentato davanti all’Eterno e rimanga là per sempre”. Elcana, suo marito, le rispose: “Fa’ come ti sembra bene; rimani finché tu lo abbia svezzato, purché l’Eterno adempia la sua parola!”. Così la donna rimase a casa, e allattò suo figlio fino al momento di svezzarlo. E quando lo ebbe svezzato, lo condusse con sé, e prese tre giovenchi, un efa di farina e un otre di vino; e lo condusse nella casa dell’Eterno a Silo. Il fanciullo era ancora molto piccolo. Elcana e Anna immolarono il giovenco, e condussero il fanciullo da Eli. Anna gli disse: “Signor mio! Com’è vero che vive l’anima tua, o mio signore, io sono quella donna che stava qui vicino a te a pregare l’Eterno. Pregai per avere questo fanciullo e l’Eterno mi ha concesso quello che io gli avevo domandato. E, dal canto mio, lo dono all’Eterno; e, finché vivrà, egli sarà donato all’Eterno”. E si prostrarono là davanti all’Eterno. Allora Anna pregò e disse: “Il mio cuore esulta nell’Eterno, l’Eterno mi ha dato una forza vittoriosa, la mia bocca si apre contro i miei nemici perché gioisco per la liberazione che tu mi hai concesso. Non c’è nessuno che sia santo come l’Eterno, poiché non c’è altro Dio fuori di te; né c’è ròcca pari al nostro Dio. Non parlate più con tanto orgoglio; non esca più l’arroganza dalla vostra bocca; poiché l’Eterno è un Dio che sa tutto, e da lui sono pesate le azioni dell’uomo. L’arco dei potenti è spezzato, e i deboli sono rivestiti di forza. Quelli che una volta erano sazi si offrono a giornata per il pane, e quelli che soffrivano la fame non la soffrono più; perfino la sterile partorisce sette volte, mentre quella che aveva molti figli diventa fiacca. L’Eterno fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire. L’Eterno fa impoverire e arricchisce, egli abbassa e innalza. Rileva il misero dalla polvere e tira su il povero dal letame, per farli sedere con i principi, per farli eredi di un trono di gloria; poiché le colonne della terra sono dell’Eterno, e sopra queste egli ha poggiato il mondo. Egli veglierà sui passi dei suoi fedeli, ma gli empi periranno nelle tenebre; poiché l’uomo non trionferà per la sua forza. Gli avversari dell’Eterno saranno frantumati. Egli tuonerà contro di loro dal cielo; l’Eterno giudicherà gli estremi confini della terra, darà forza al suo re, farà grande la potenza del suo unto”. Elcana se ne andò a casa sua a Rama, e il fanciullo rimase a servire l’Eterno sotto gli occhi del sacerdote Eli. Ora i figli di Eli erano uomini scellerati; non conoscevano l’Eterno. Ed ecco qual era il modo di agire di questi sacerdoti riguardo al popolo: quando qualcuno offriva un sacrificio, il servo del sacerdote veniva, nel momento in cui si faceva cuocere la carne, avendo in mano una forchetta a tre punte; la piantava nella caldaia o nel paiolo o nella pentola o nella marmitta; e tutto quello che la forchetta tirava su, il sacerdote lo prendeva per sé. Così facevano a tutti gli Israeliti, che andavano là, a Silo. E anche prima che si fosse fatto bruciare il grasso, il servo del sacerdote veniva, e diceva all’uomo che faceva il sacrificio: “Dammi della carne da fare arrostire, per il sacerdote; poiché egli non accetterà da te carne cotta, ma cruda”. E se quell’uomo gli diceva: “Si faccia, prima di tutto, bruciare il grasso; poi prenderai quello che vorrai”, egli rispondeva: “No, me la devi dare ora; altrimenti la prenderò per forza!”. Dunque, il peccato di quei giovani era grandissimo agli occhi dell’Eterno, perché la gente disprezzava le offerte fatte all’Eterno. Ma Samuele faceva il servizio davanti all’Eterno; era un bambino, e portava un efod di lino. Sua madre gli faceva ogni anno una piccola tunica e gliela portava quando saliva con suo marito a offrire il sacrificio annuale. Eli benedisse Elcana e sua moglie, dicendo: “L’Eterno ti dia prole da questa donna, al posto del dono che lei ha fatto all’Eterno!”. E se ne tornarono a casa loro. E l’Eterno visitò Anna, la quale concepì e partorì tre figli e due figlie. E il bambino Samuele cresceva presso l’Eterno. Ora Eli era molto vecchio e udì tutto quello che i suoi figli facevano a tutto Israele e come si univano alle donne che erano di servizio all’ingresso della tenda di convegno. E disse loro: “Perché fate queste cose? poiché odo tutto il popolo parlare delle vostre azioni malvagie. Non fate così, figli miei, poiché quello che odo di voi non è buono; voi inducete il popolo di Dio a trasgredire. Se un uomo pecca contro un altro uomo, Iddio lo giudica; ma, se pecca contro l’Eterno, chi intercederà per lui?”. Quelli però non diedero ascolto alla voce del padre loro, perché l’Eterno li voleva far morire. Intanto, il piccolo Samuele continuava a crescere, ed era gradito sia all’Eterno sia agli uomini. Un uomo di Dio andò da Eli e gli disse: “Così parla l’Eterno: ‘Non mi sono io forse rivelato alla casa di tuo padre, quando essi erano in Egitto al servizio del Faraone? Non lo scelsi io forse, fra tutte le tribù d’Israele, perché fosse mio sacerdote, salisse al mio altare, bruciasse il profumo e portasse l’efod in mia presenza? E non diedi io forse alla casa di tuo padre tutti i sacrifici dei figli d’Israele, fatti mediante il fuoco? E allora perché calpestate i miei sacrifici e le mie oblazioni che ho comandato mi siano offerti nella mia dimora? E come mai onori i tuoi figli più di me, e vi ingrassate con il meglio di tutte le oblazioni d’Israele, mio popolo?’. Perciò così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Io avevo dichiarato che la tua casa e la casa di tuo padre sarebbero state al mio servizio, per sempre’; ma ora l’Eterno dice: ‘Lungi da me tale cosa! Poiché io onoro quelli che mi onorano, e quelli che mi disprezzano saranno disprezzati. Ecco, vengono i giorni in cui io troncherò il tuo braccio e il braccio della casa di tuo padre, in modo che non ci sarà in casa tua nessun vecchio. Vedrai lo squallore nella mia dimora, mentre Israele sarà ricolmo di beni, e non ci sarà più mai nessun vecchio nella tua casa. E quello dei tuoi che lascerò sussistere presso il mio altare, rimarrà per consumarti gli occhi e rattristarti il cuore; e tutti i nati e cresciuti in casa tua moriranno nel fiore degli anni. E ti servirà di segno quello che accadrà ai tuoi figli, Ofni e Fineas: entrambi moriranno in uno stesso giorno. Io mi susciterò un sacerdote fedele, che agirà secondo il mio cuore e secondo l’anima mia; io gli costruirò una casa stabile ed egli sarà al servizio del mio unto per sempre. E chiunque rimarrà della tua casa verrà a prostrarsi davanti a lui per avere una moneta d’argento e un tozzo di pane, e dirà: Ammettimi, ti prego, a fare qualcuno dei servizi del sacerdozio perché io abbia un boccone di pane da mangiare’”. Il piccolo Samuele serviva l’Eterno sotto gli occhi di Eli. La parola dell’Eterno era rara a quei tempi e le visioni non erano frequenti. In quello stesso tempo, Eli, la cui vista cominciava a offuscarsi e non gli consentiva di vedere, se ne stava un giorno coricato nel suo luogo consueto; la lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele era coricato nel tempio dell’Eterno dove si trovava l’arca di Dio. E l’Eterno chiamò Samuele, il quale rispose: “Eccomi!” e corse da Eli e disse: “Eccomi, poiché tu mi hai chiamato”. Eli rispose: “Io non ti ho chiamato, torna a coricarti”. Ed egli se ne andò a coricarsi. L’Eterno chiamò di nuovo Samuele. E Samuele si alzò, andò da Eli e disse: “Eccomi, poiché tu mi hai chiamato”. Egli rispose: “Figlio mio, io non ti ho chiamato; torna a coricarti”. Ora Samuele non conosceva ancora l’Eterno e la parola dell’Eterno non gli era ancora stata rivelata. L’Eterno chiamò di nuovo Samuele, per la terza volta. Ed egli si alzò, andò da Eli e disse: “Eccomi, poiché tu mi hai chiamato”. Allora Eli comprese che l’Eterno chiamava il bambino. Ed Eli disse a Samuele: “Va’ a coricarti; e, se sarai chiamato ancora, dirai: ‘Parla, o Eterno, poiché il tuo servo ascolta’”. Samuele andò dunque a coricarsi al suo posto. E l’Eterno venne, si fermò lì vicino, e chiamò come le altre volte: “Samuele, Samuele!”. Samuele rispose: “Parla, poiché il tuo servo ascolta”. Allora l’Eterno disse a Samuele: “Ecco, io sto per fare in Israele una cosa tale che chi la udrà ne avrà intronati entrambi gli orecchi. In quel giorno io metterò a effetto contro Eli, dal principio fino alla fine, tutto ciò che ho detto circa la sua casa. Gli ho predetto che avrei esercitato i miei giudizi sulla sua casa per sempre, a causa dell’iniquità che egli ben conosce, poiché i suoi figli hanno attratto su di sé la maledizione, ed egli non li ha rimproverati. Perciò io giuro alla casa d’Eli che l’iniquità della casa di Eli non sarà mai espiata né con sacrifici né con oblazioni”. Samuele rimase coricato fino alla mattina, poi aprì le porte della casa dell’Eterno. Egli temeva di raccontare a Eli la visione. Ma Eli chiamò Samuele e disse: “Samuele, figlio mio!”, egli rispose: “Eccomi”. Ed Eli: “Qual è la parola che egli ti ha detto? Ti prego, non me la nascondere! Iddio ti tratti con il massimo rigore, se mi nascondi qualcosa di tutto quello che egli ti ha detto”. Samuele allora gli raccontò tutto, senza nascondergli nulla. Ed Eli disse: “Egli è l’Eterno: faccia quello che gli sembrerà bene”. Samuele intanto cresceva, l’Eterno era con lui e non lasciò cadere a terra nessuna delle sue parole. Tutto Israele, da Dan fino a Beer-Sceba, riconobbe che Samuele era stabilito profeta dell’Eterno. L’Eterno continuò ad apparire a Silo, poiché a Silo l’Eterno si rivelava a Samuele mediante la sua parola. La parola di Samuele era rivolta a tutto Israele. Israele uscì contro i Filistei per dare battaglia, e si accampò presso Eben-Ezer; i Filistei erano accampati presso Afec. I Filistei si schierarono in battaglia di fronte a Israele e, ingaggiato il combattimento, Israele fu sconfitto dai Filistei, che uccisero sul campo di battaglia circa quattromila uomini. Quando il popolo fu tornato nell’accampamento, gli anziani d’Israele dissero: “Perché l’Eterno oggi ci ha sconfitti davanti ai Filistei? Andiamo a prendere a Silo l’arca del patto dell’Eterno, e venga in mezzo a noi e ci salvi dalle mani dei nostri nemici!”. Il popolo quindi mandò gente a Silo, e di là fu portata l’arca del patto dell’Eterno degli eserciti, il quale sta fra i cherubini; e i due figli di Eli, Ofni e Fineas, erano là, con l’arca del patto di Dio. E quando l’arca del patto dell’Eterno entrò nell’accampamento, tutto Israele elevò grandi grida di gioia, così che ne rimbombò la terra. I Filistei, all’udire quelle alte grida, dissero: “Che significano queste grandi grida nell’accampamento degli Ebrei?”. E seppero che l’arca dell’Eterno era arrivata nell’accampamento. E i Filistei ebbero paura, perché dicevano: “Dio è venuto nell’accampamento”. Ed esclamarono: “Guai a noi! poiché non era così nei giorni passati. Guai a noi! Chi ci salverà dalle mani di questi dèi potenti? Questi sono gli dèi che colpirono gli Egiziani con ogni sorta di piaghe nel deserto. Siate forti, Filistei, e comportatevi da uomini, affinché non diventiate schiavi degli Ebrei, come essi sono stati schiavi vostri! Comportatevi da uomini, e combattete!”. I Filistei dunque combatterono, Israele fu sconfitto e ciascuno se ne fuggì nella sua tenda. La strage fu enorme, e caddero trentamila fanti d’Israele. L’arca di Dio fu presa, e i due figli di Eli, Ofni e Fineas, morirono. Un uomo di Beniamino, fuggito dal campo di battaglia, giunse correndo a Silo quello stesso giorno, con le vesti stracciate e la testa coperta di terra. Al suo arrivo, ecco che Eli stava sull’orlo della strada, seduto sulla sua sedia, aspettando ansiosamente, perché gli tremava il cuore per l’arca di Dio. Quando quell’uomo entrò nella città portando la notizia, un grido si alzò da tutta la città. Ed Eli, udendo lo strepito delle grida, disse: “Che significa il chiasso di questo tumulto?”. E quell’uomo andò in fretta a portare la notizia a Eli. Ora Eli aveva novantott’anni; la vista gli era venuta meno, pertanto non poteva vedere. Quell’uomo gli disse: “Sono io che vengo dal campo di battaglia e che ne sono fuggito oggi”. Ed Eli disse: “Com’è andata la cosa, figlio mio?”. E colui che portava la notizia, rispondendo, disse: “Israele è fuggito davanti ai Filistei e c’è stata una grande strage fra il popolo; anche i tuoi due figli, Ofni e Fineas, sono morti, e l’arca di Dio è stata presa”. Appena ebbe menzionato l’arca di Dio, Eli cadde dal suo seggio all’indietro, accanto alla porta, si ruppe la nuca e morì, perché era un uomo vecchio e pesante. Era stato giudice d’Israele quarant’anni. Sua nuora, moglie di Fineas, era incinta e prossima al parto; quando udì la notizia che l’arca di Dio era presa e che suo suocero e suo marito erano morti, si curvò e partorì, perché sorpresa a un tratto dai dolori. Mentre stava per morire, le donne che l’assistevano le dissero: “Non temere, poiché hai partorito un figlio”. Ma lei non rispose e non ne fece caso. E chiamò il suo bambino Icabod, dicendo: “La gloria si è allontanata da Israele”, perché l’arca di Dio era stata presa, e a causa del suocero e del marito. E disse: “La gloria si è allontanata da Israele, perché l’arca di Dio è stata presa”. I Filistei, dunque, presero l’arca di Dio e la trasportarono da Eben-Ezer ad Asdod; presero l’arca di Dio, la portarono nella casa di Dagon e la collocarono accanto a Dagon. E il giorno dopo, gli Asdodei si alzarono di buon’ora e trovarono Dagon caduto con la faccia a terra, davanti all’arca dell’Eterno. Presero Dagon e lo rimisero al suo posto. Il giorno dopo, si alzarono di buon’ora e trovarono che Dagon era di nuovo caduto con la faccia a terra, davanti all’arca dell’Eterno; la testa ed entrambe le mani di Dagon giacevano mozzate sulla soglia, e non gli restava più che il tronco. Perciò, fino al giorno d’oggi, i sacerdoti di Dagon e tutti quelli che entrano nella casa di Dagon ad Asdod non mettono il piede sulla soglia. Poi la mano dell’Eterno si aggravò su quelli di Asdod, portò fra loro la desolazione, e li colpì di emorroidi, ad Asdod e nel suo territorio. E quando quelli di Asdod videro che avveniva così, dissero: “L’arca dell’Iddio d’Israele non rimarrà presso di noi, poiché la sua mano è troppo pesante su di noi e su Dagon, nostro dio”. Mandarono quindi a convocare presso di loro tutti i principi dei Filistei, e dissero: “Che faremo dell’arca dell’Iddio d’Israele?”. I principi risposero: “Si trasporti l’arca dell’Iddio d’Israele a Gat”. E trasportarono là l’arca dell’Iddio d’Israele. E quando l’ebbero trasportata, la mano dell’Eterno si volse contro la città, e vi fu un immenso scoraggiamento. L’Eterno colpì gli uomini della città, piccoli e grandi, e un flagello di emorroidi scoppiò fra loro. Allora mandarono l’arca di Dio a Ecron. E quando l’arca di Dio giunse a Ecron, quelli di Ecron cominciarono a gridare, dicendo: “Hanno trasportato l’arca dell’Iddio d’Israele da noi, per far morire noi e il nostro popolo!”. Mandarono quindi a convocare tutti i principi dei Filistei, e dissero: “Rimandate l’arca dell’Iddio d’Israele; torni al suo posto, e non faccia morire noi e il nostro popolo!”, poiché tutta la città era in preda a un terrore di morte, e la mano di Dio si aggravava grandemente su di essa. Quelli che non morivano erano colpiti da emorroidi, e le grida della città salivano fino al cielo. L’arca dell’Eterno rimase nel paese dei Filistei sette mesi. Poi i Filistei chiamarono i sacerdoti e gli indovini, e dissero: “Che faremo dell’arca dell’Eterno? Insegnateci il modo di rimandarla al suo luogo”. E quelli risposero: “Se rimandate l’arca dell’Iddio d’Israele, non la rimandate senza nulla, ma fate un’offerta per la colpa; allora guarirete, e così saprete perché la sua mano non si è allontanata da voi”. Essi chiesero: “Quale offerta per la colpa gli offriremo?”. Quelli risposero: “Cinque emorroidi d’oro e cinque topi d’oro, secondo il numero dei principi dei Filistei; poiché una stessa piaga ha colpito voi e i vostri principi. Fate dunque delle raffigurazioni delle vostre emorroidi e delle riproduzioni dei topi che vi devastano il paese, e date gloria all’Iddio d’Israele; forse egli allenterà la sua mano su di voi, sui vostri dèi e sul vostro paese. E perché dovreste indurire il vostro cuore come gli Egiziani e Faraone indurirono il loro cuore? Dopo che egli ebbe manifestato contro di loro la sua potenza, gli Egiziani non lasciarono forse partire gli Israeliti, così che questi poterono andarsene? Ora dunque fatevi un carro nuovo, prendete due vacche che allattino e che non abbiano mai portato giogo, attaccate al carro le vacche e riconducete nella stalla i loro vitelli. Poi prendete l’arca dell’Eterno e mettetela sul carro; e accanto ad essa ponete, in una cassetta, i lavori d’oro che presentate all’Eterno come offerta per la colpa; e lasciatela, in modo che se ne vada. E state a vedere: se sale per la via che conduce al suo paese, verso Bet-Semes, vuol dire che l’Eterno è colui che ci ha fatto questo gran male; altrimenti sapremo che non ci ha colpito la sua mano, ma che questo ci è avvenuto per caso”. Quelli dunque fecero così; presero due vacche che allattavano, le attaccarono al carro e chiusero nella stalla i vitelli. Poi misero sul carro l’arca dell’Eterno e la cassetta con i topi d’oro e le raffigurazioni delle emorroidi. Le vacche presero direttamente la via che conduce a Bet-Semes; seguirono sempre la stessa strada, muggendo mentre andavano e non piegarono né a destra né a sinistra. I principi dei Filistei le seguirono fino ai confini di Bet-Semes. Ora quei di Bet-Semes mietevano il grano nella valle; e alzando gli occhi videro l’arca e si rallegrarono vedendola. Il carro, giunto al campo di Giosuè di Bet-Semes, vi si fermò. C’era là una grande pietra; essi spaccarono il legname del carro, e offrirono le vacche in olocausto all’Eterno. I Leviti deposero l’arca dell’Eterno e la cassetta che le stava accanto e conteneva gli oggetti d’oro, e misero ogni cosa sulla grande pietra; e, in quello stesso giorno, quelli di Bet-Semes offrirono olocausti e presentarono sacrifici all’Eterno. I cinque principi dei Filistei, visto ciò, tornarono il giorno stesso a Ecron. Questo è il numero delle emorroidi d’oro che i Filistei presentarono all’Eterno come offerta per la colpa; una per Asdod, una per Gaza, una per Ascalon, una per Gat, una per Ecron. E dei topi d’oro ne offrirono tanti quante erano le città dei Filistei appartenenti ai cinque principi, dalle città murate ai villaggi di campagna che si estendono fino alla grande pietra sulla quale fu posata l’arca dell’Eterno, e che sussiste anche al giorno d’oggi nel campo di Giosuè, il Bet-Semita. L’Eterno colpì quelli di Bet-Semes, perché avevano guardato dentro l’arca dell’Eterno; colpì settanta uomini del popolo. Il popolo fece cordoglio, perché l’Eterno lo aveva colpito con una grande piaga. E quelli di Bet-Semes dissero: “Chi può sussistere in presenza dell’Eterno, di questo Dio santo? E da chi salirà l’arca, partendo da noi?”. E spedirono dei messaggeri agli abitanti di Chiriat-Iearim per dire loro: “I Filistei hanno ricondotto l’arca dell’Eterno; scendete e portatela presso di voi”. Quelli di Chiriat-Iearim vennero a prendere l’arca dell’Eterno, e la trasportarono in casa di Abinadab, sulla collina, e consacrarono suo figlio Eleazar, perché custodisse l’arca dell’Eterno. Dal giorno che l’arca era stata collocata a Chiriat-Iearim era passato molto tempo; erano trascorsi vent’anni e tutta la casa d’Israele alzò grida di lamento verso l’Eterno. Allora Samuele parlò a tutta la casa d’Israele dicendo: “Se tornate all’Eterno con tutto il vostro cuore, togliete di mezzo a voi gli dèi stranieri e gli idoli di Astarte, volgete risolutamente il vostro cuore verso l’Eterno, e servite lui solo; allora egli vi libererà dalle mani dei Filistei”. E i figli d’Israele tolsero via gli idoli di Baal e di Astarte, e servirono soltanto l’Eterno. Poi Samuele disse: “Radunate tutto Israele a Mispa, e io pregherò l’Eterno per voi”. Ed essi si adunarono a Mispa, attinsero dell’acqua e la sparsero davanti all’Eterno, e là digiunarono quel giorno, e dissero: “Abbiamo peccato contro l’Eterno”. E Samuele fu giudice d’Israele a Mispa. Quando i Filistei seppero che i figli d’Israele si erano radunati a Mispa, i loro principi salirono contro Israele. Quando i figli d’Israele udirono ciò, ebbero paura dei Filistei, e dissero a Samuele: “Non cessare di gridare per noi all’Eterno, al nostro Dio, affinché ci liberi dalle mani dei Filistei”. E Samuele prese un agnello da latte e l’offrì intero in olocausto all’Eterno; e gridò all’Eterno per Israele, e l’Eterno l’esaudì. Ora mentre Samuele offriva l’olocausto, i Filistei si avvicinarono per assalire Israele; ma l’Eterno tuonò quel giorno con grande fragore contro i Filistei e li mise in rotta, tanto che furono sconfitti davanti a Israele. Gli uomini d’Israele uscirono da Mispa, inseguirono i Filistei, e li batterono fin sotto Bet-Car. Allora Samuele prese una pietra, la pose tra Mispa e Sen, e la chiamò Eben-Ezer dicendo: “Fin qui l’Eterno ci ha soccorso”. I Filistei furono umiliati, e non tornarono più a invadere il territorio d’Israele; e la mano dell’Eterno fu contro i Filistei per tutto il tempo di Samuele. Le città che i Filistei avevano preso a Israele, tornarono a Israele, da Ecron fino a Gat. Israele liberò il loro territorio dalle mani dei Filistei. Ci fu pace fra Israele e gli Amorei. E Samuele fu giudice d’Israele per tutto il tempo della sua vita. Egli andava ogni anno a fare il giro di Betel, di Ghilgal e di Mispa, ed esercitava il suo ufficio di giudice d’Israele in tutti quei luoghi. Poi tornava a Rama, dove abitava; là giudicava Israele e là costruì un altare all’Eterno. Quando Samuele diventò vecchio costituì giudici d’Israele i suoi figli. Suo figlio primogenito si chiamava Ioel, e il secondo Abia, ed esercitavano le funzioni di giudici a Beer-Sceba. I suoi figli però non seguivano le sue orme, ma si lasciavano sviare dall’avidità, accettavano regali e pervertivano la giustizia. Allora tutti gli anziani d’Israele si radunarono, andarono da Samuele a Rama, e gli dissero: “Ecco, tu ormai sei vecchio, e i tuoi figli non seguono le tue orme; ora dunque stabilisci su di noi un re che ci amministri la giustizia, come lo hanno tutte le nazioni”. A Samuele dispiacque questa loro affermazione: “Dacci un re che amministri la giustizia fra noi”; e Samuele pregò l’Eterno. E l’Eterno disse a Samuele: “Da’ ascolto alla voce del popolo in tutto quello che ti dirà, poiché essi hanno respinto non te, ma me, perché io non regni su di loro. Agiscono con te come hanno sempre agito dal giorno che li feci salire dall’Egitto a oggi: mi hanno abbandonato per servire altri dèi. Ora dunque da’ ascolto alla loro voce; abbi cura però di avvertirli solennemente e di far loro conoscere bene quale sarà il modo di agire del re che regnerà su di loro”. Samuele riferì tutte le parole dell’Eterno al popolo che gli domandava un re. E disse: “Questo sarà il modo di agire del re che regnerà su di voi. Egli prenderà i vostri figli e li metterà sui suoi carri e fra i suoi cavalieri, e dovranno correre davanti al suo carro; se ne farà dei capitani di migliaia e dei capitani di cinquantine; li metterà ad arare i suoi campi, a mietere la sua messe, a fabbricare i suoi ordigni di guerra e gli attrezzi dei suoi carri. Prenderà le vostre figlie per farsene delle profumiere, delle cuoche, delle fornaie. Prenderà i vostri campi, le vostre vigne, i vostri migliori uliveti per darli ai suoi servitori. Prenderà la decima delle vostre sementi e delle vostre vigne per darla ai suoi eunuchi e ai suoi servitori. Prenderà i vostri servi, le vostre serve, il fiore della vostra gioventù e i vostri asini per adoperarli nei suoi lavori. Prenderà la decima delle vostre greggi, e voi sarete suoi schiavi. E allora griderete a causa del re che vi sarete scelto, ma in quel giorno l’Eterno non vi risponderà”. Il popolo rifiutò di dare ascolto alle parole di Samuele, e disse: “No! ci sarà un re su di noi; anche noi saremo come tutte le nazioni; il nostro re amministrerà la giustizia fra noi, marcerà alla nostra testa e condurrà le nostre guerre”. Samuele, udite tutte le parole del popolo, le riferì all’Eterno. E l’Eterno disse a Samuele: “Da’ ascolto alla loro voce e stabilisci su di loro un re”. E Samuele disse agli uomini d’Israele: “Ognuno se ne torni alla sua città”. C’era un uomo di Beniamino, di nome Chis, figlio di Abiel, figlio di Seror, figlio di Becorat, figlio di Afiac, figlio di un Beniaminita. Era un uomo forte e valoroso; aveva un figlio di nome Saul, giovane e bello; non ce n’era tra i figli d’Israele uno più bello di lui; era più alto di tutta la gente dalle spalle in su. Ora le asine di Chis, padre di Saul, si erano smarrite; e Chis disse a Saul, suo figlio: “Prendi con te uno dei servi, àlzati e va’ in cerca delle asine”. Egli passò per la regione montuosa di Efraim e attraversò il paese di Salisa, senza trovarle; poi passarono per il paese di Saalim, ma non c’erano; attraversarono il paese dei Beniaminiti, ma non le trovarono. Quando furono giunti nel paese di Suf, Saul disse al servo che era con lui: “Vieni, torniamo indietro, altrimenti mio padre smetterà di pensare alle asine e comincerà a essere in pena per noi”. Il servo gli disse: “Ecco, in questa città c’è un uomo di Dio, che è tenuto in grande onore; tutto quello che dice succede sicuramente; andiamoci, forse ci indicherà la via che dobbiamo seguire”. E Saul disse al suo servo: “Ma, ecco, se ci andiamo, cosa porteremo all’uomo di Dio? Poiché non ci sono più provviste nei nostri sacchi e non abbiamo nessun regalo da offrire all’uomo di Dio. Che abbiamo con noi?”. Il servo replicò a Saul, dicendo: “Ecco, io mi trovo in possesso di un quarto di un siclo d’argento; lo darò all’uomo di Dio, ed egli ci indicherà la via”. Anticamente, in Israele, quando uno andava a consultare Iddio, diceva: “Venite, andiamo dal Veggente!”, poiché colui che oggi si chiama Profeta, anticamente si chiamava Veggente. E Saul disse al suo servo: “Dici bene; vieni, andiamo”. E andarono alla città dove stava l’uomo di Dio. Mentre facevano la salita che porta alla città, trovarono delle fanciulle che uscivano ad attingere l’acqua, e chiesero loro: “È qui il veggente?”. Quelle risposero, dicendo: “Sì, c’è; è là dove sei diretto; ma va’ presto, poiché è venuto oggi in città, dato che oggi il popolo fa un sacrificio sull’alto luogo. Quando sarete entrati in città, lo troverete di certo, prima che egli salga all’alto luogo a mangiare. Il popolo non mangerà prima che egli sia arrivato, perché è lui che deve benedire il sacrificio; dopodiché i convitati mangeranno. Ora dunque salite, perché lo troverete proprio ora”. Ed essi salirono alla città; e, quando vi furono entrati, ecco Samuele che usciva loro incontro per salire all’alto luogo. Ora un giorno prima dell’arrivo di Saul, l’Eterno aveva avvertito Samuele, dicendo: “Domani, a quest’ora, ti manderò un uomo del paese di Beniamino, e tu lo ungerai come capo del mio popolo d’Israele. Egli salverà il mio popolo dalle mani dei Filistei; poiché io ho rivolto lo sguardo verso il mio popolo, perché il suo grido è giunto fino a me”. E quando Samuele vide Saul, l’Eterno gli disse: “Ecco l’uomo di cui ti ho parlato; egli è colui che regnerà sul mio popolo”. Saul si avvicinò a Samuele nella porta della città, e gli disse: “Indicami, ti prego, dove sia la casa del veggente”. E Samuele rispose a Saul: “Sono io il veggente. Sali davanti a me all’alto luogo, e oggi mangerete con me; poi domattina ti lascerò partire e ti dirò tutto quello che hai nel cuore. E quanto alle asine smarrite tre giorni fa, non dartene pensiero, perché sono state trovate. E per chi è tutto quello che c’è di desiderabile in Israele? Non è per te e per tutta la casa di tuo padre?”. Saul, rispondendo, disse: “Non sono io un Beniaminita? di una delle più piccole tribù d’Israele? La mia famiglia non è la più piccola fra tutte le famiglie della tribù di Beniamino? Perché dunque mi parli in questo modo?”. Samuele prese Saul e il suo servo, li introdusse nella sala e li fece sedere a capo tavola fra gli invitati, che erano circa trenta persone. E Samuele disse al cuoco: “Porta qua la porzione che ti ho dato, e della quale ti ho detto: ‘Tienila in serbo vicino a te’”. Il cuoco allora prese la coscia e ciò che aderiva, e la mise davanti a Saul. E Samuele disse: “Ecco ciò che è stato tenuto in serbo; mettitelo davanti e mangia, poiché è stato conservato apposta per te quando ho invitato il popolo”. Così Saul, quel giorno, mangiò con Samuele. Poi scesero dall’alto luogo in città, e Samuele si trattenne con Saul sul terrazzo. L’indomani si alzarono presto; allo spuntare dell’alba, Samuele chiamò Saul sul terrazzo, e gli disse: “Vieni, io ti lascio partire”. Saul si alzò, e uscirono fuori entrambi, lui e Samuele. Quando furono scesi all’estremità della città, Samuele disse a Saul: “Di’ al servo che passi, e vada davanti a noi”. E il servo passò. “Ma tu adesso fermati, e io ti farò udire la parola di Dio”. Allora Samuele prese un vasetto d’olio, lo versò sul capo di Saul, lo baciò e disse: “L’Eterno non ti ha forse unto perché tu sia il capo della sua eredità? Oggi, quando tu sarai partito da me, troverai due uomini presso il sepolcro di Rachele, ai confini di Beniamino, a Selsa, i quali ti diranno: ‘Le asine che stavi cercando, sono state trovate; ed ecco tuo padre non è più in pensiero per le asine, ma è in pena per voi, e va dicendo: Che devo fare riguardo a mio figlio?’. E quando sarai passato più avanti e sarai giunto alla quercia di Tabor, ti incontrerai con tre uomini che salgono ad adorare Iddio a Betel, portando l’uno tre capretti, l’altro tre pani, e il terzo un otre di vino. Essi ti saluteranno, e ti daranno due pani, che riceverai dalla loro mano. Poi arriverai a Ghibea-Eloim, dove c’è la guarnigione dei Filistei; e avverrà che, entrando in città, incontrerai una schiera di profeti che scenderanno dall’alto luogo, preceduti da saltèri, da timpani, da flauti, da cetre, e che profetizzeranno. E lo Spirito dell’Eterno ti investirà e tu profetizzerai con loro, e sarai cambiato in un altro uomo. E quando questi segni saranno avvenuti, fa’ quello che avrai occasione di fare, poiché Dio è con te. Poi scenderai prima di me a Ghilgal; ed ecco io scenderò verso di te per offrire olocausti e sacrifici di ringraziamento. Tu aspetterai sette giorni, finché io giunga da te e ti faccia sapere quello che devi fare”. E appena egli ebbe voltato le spalle per separarsi da Samuele, Iddio gli cambiò il cuore, e tutti quei segni si verificarono in quello stesso giorno. E quando giunsero a Ghibea, ecco che una schiera di profeti andò incontro a Saul; allora lo Spirito di Dio lo investì, ed egli si mise a profetizzare in mezzo a loro. Tutti quelli che lo avevano conosciuto prima, lo videro che profetizzava con i profeti, e dicevano l’uno all’altro: “Cosa è mai accaduto al figlio di Chis? Saul è anche lui tra i profeti?”. E un uomo del luogo rispose, dicendo: “E chi è il loro padre?”. Da qui venne il proverbio: “Saul è anche lui tra i profeti?”. E quando Saul ebbe finito di profetizzare, si recò all’alto luogo. E lo zio di Saul disse a lui e al suo servo: “Dove siete andati?”, Saul rispose: “A cercare le asine; ma vedendo che non le potevamo trovare, siamo andati da Samuele”. Allora lo zio di Saul disse: “Raccontami, ti prego, quello che vi ha detto Samuele”. E Saul a suo zio: “Egli ci ha assicurato che le asine erano state trovate”. Ma di quello che Samuele aveva detto riguardo al regno non gli riferì nulla. Poi Samuele convocò il popolo davanti all’Eterno a Mispa, e disse ai figli d’Israele: “Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Io trassi Israele fuori dall’Egitto, e vi liberai dalle mani degli Egiziani e dalle mani di tutti i regni che vi opprimevano’. Ma oggi voi ripudiate il vostro Dio che vi salvò da tutti i vostri mali e da tutte le vostre tribolazioni, e gli dite: ‘Stabilisci su di noi un re!’. Ora, dunque, presentatevi nel cospetto dell’Eterno per tribù e per migliaia”. Poi Samuele fece accostare tutte le tribù d’Israele e la tribù di Beniamino fu designata dalla sorte. Fece quindi accostare la tribù di Beniamino per famiglie e la famiglia di Matri fu designata dalla sorte. Poi fu designato Saul, figlio di Chis; e lo cercarono, ma non fu trovato. Allora consultarono di nuovo l’Eterno: “Quell’uomo è già venuto qua?”. L’Eterno rispose: “Guardate, si è nascosto fra i bagagli”. Corsero a farlo uscire di là; e quando egli si presentò in mezzo al popolo, era più alto di tutta la gente dalle spalle in su. E Samuele disse a tutto il popolo: “Vedete colui che l’Eterno si è scelto? Non c’è nessuno in tutto il popolo che sia pari a lui”. E tutto il popolo proruppe in esclamazioni di gioia, gridando: “Viva il re!”. Allora Samuele espose al popolo la legge del regno e la scrisse in un libro, che depose alla presenza dell’Eterno. Poi Samuele rimandò tutto il popolo, ciascuno a casa sua. Anche Saul se ne andò a casa sua a Ghibea e con lui andarono gli uomini valorosi a cui Dio aveva toccato il cuore. Tuttavia, ci furono degli uomini da nulla che dissero: “Come potrebbe salvarci costui?”. Lo disprezzarono e non gli portarono nessun dono. Ma egli fece finta di non udire. Naas, l’Ammonita, salì e si accampò contro Iabes di Galaad. E tutti quelli di Iabes dissero a Naas: “Fa’ alleanza con noi e noi ti serviremo”. E Naas, l’Ammonita, rispose loro: “Io farò alleanza con voi a questa condizione: che io vi cavi a tutti l’occhio destro e getti così questo disonore su tutto Israele”. Gli anziani di Iabes gli dissero: “Concedici sette giorni di tregua perché inviamo dei messaggeri per tutto il territorio d’Israele; e se non ci sarà chi ci soccorra, ci arrenderemo a te”. I messaggeri andarono dunque a Ghibea di Saul, riferirono queste parole in presenza del popolo e tutto il popolo alzò la voce e pianse. Ed ecco Saul tornava dai campi, seguendo i buoi, e disse: “Che cos’ha il popolo, perché piange?”. E gli riferirono le parole di quelli di Iabes. E quando ebbe udite quelle parole, lo Spirito di Dio investì Saul, che si infiammò d’ira; e prese un paio di buoi, li tagliò a pezzi e li mandò, per mano dei messaggeri, per tutto il territorio d’Israele, dicendo: “Così saranno trattati i buoi di chi non seguirà Saul e Samuele”. Il terrore dell’Eterno s’impadronì del popolo e partirono come se fossero stati un uomo solo. Saul li passò in rassegna a Bezec, ed erano trecentomila figli d’Israele e trentamila uomini di Giuda. E dissero a quei messaggeri che erano venuti: “Dite così a quelli di Iabes di Galaad: ‘Domani, quando il sole sarà in tutto il suo calore, sarete liberati’”. E i messaggeri andarono a riferire queste parole a quelli di Iabes, i quali si rallegrarono. E quelli di Iabes dissero agli Ammoniti: “Domani verremo da voi, e farete di noi tutto quello che vi piacerà”. Il giorno seguente, Saul divise il popolo in tre schiere, che penetrarono nell’accampamento degli Ammoniti prima dell’alba, e li batterono fino alle ore calde del giorno. Quelli che scamparono furono dispersi in maniera che non ne rimasero due insieme. Il popolo disse a Samuele: “Chi è che diceva: Saul regnerà forse su noi? Dateci quegli uomini e li metteremo a morte”. Ma Saul rispose: “Nessuno sarà messo a morte in questo giorno, perché oggi l’Eterno ha operato una liberazione in Israele”. E Samuele disse al popolo: “Venite, andiamo a Ghilgal, e là confermiamo l’autorità regale”. E tutto il popolo andò a Ghilgal, e là, a Ghilgal, fecero Saul re davanti all’Eterno, e offrirono nel cospetto dell’Eterno sacrifici di ringraziamento. Saul e tutti gli uomini d’Israele fecero gran festa in quel luogo. Allora Samuele disse a tutto Israele: “Ecco, io vi ho ubbidito in tutto quello che mi avete detto e ho costituito un re su di voi. E ora, ecco il re che andrà davanti a voi. Quanto a me, io sono vecchio e canuto, e i miei figli sono tra voi; io sono andato davanti a voi dalla mia giovinezza fino a questo giorno. Eccomi qui; rendete la vostra testimonianza a mio riguardo, in presenza dell’Eterno e in presenza del suo unto: A chi ho preso il bue? A chi ho preso l’asino? Chi ho defraudato? A chi ho fatto violenza? Dalle mani di chi ho accettato doni per chiudere gli occhi a suo riguardo? Io vi restituirò ogni cosa!”. Quelli risposero: “Tu non ci hai defraudati, non ci hai fatto violenza, e non hai preso nulla dalle mani di nessuno”. Ed egli disse loro: “Oggi l’Eterno è testimone contro di voi, e anche il suo unto è testimone, che voi non avete trovato nulla nelle mie mani”. Il popolo rispose: “Egli è testimone!”. Allora Samuele disse al popolo: “Testimone è l’Eterno, che costituì Mosè e Aaronne e fece salire i vostri padri dal paese d’Egitto. Ora dunque presentatevi, affinché io, davanti all’Eterno, dibatta con voi la causa relativa a tutte le opere di giustizia che l’Eterno ha compiuto a beneficio vostro e dei vostri padri. Dopo che Giacobbe fu entrato in Egitto, i vostri padri gridarono all’Eterno e l’Eterno mandò Mosè e Aaronne, i quali trassero i padri vostri fuori dall’Egitto e li fecero abitare in questo luogo. Ma essi dimenticarono l’Eterno, il loro Dio, ed egli li diede in potere di Sisera, capo dell’esercito di Asor, e in potere dei Filistei e del re di Moab, i quali mossero loro guerra. Allora gridarono all’Eterno e dissero: ‘Abbiamo peccato, perché abbiamo abbandonato l’Eterno, e abbiamo servito gli idoli di Baal e di Astarte; ma ora, liberaci dalle mani dei nostri nemici e serviremo te’. E l’Eterno mandò Ierubbaal e Bedan e Iefte e Samuele, e vi liberò dalle mani dei nemici che vi circondavano, e viveste al sicuro. Ma quando udiste che Naas, re dei figli di Ammon, marciava contro di voi, mi diceste: ‘No, deve regnare su di noi un re’, mentre l’Eterno, il vostro Dio, era il vostro re. Ora dunque, ecco il re che vi siete scelto, che avete chiesto; ecco, l’Eterno ha costituito un re su di voi. Se temete l’Eterno, lo servite e ubbidite alla sua voce, se non siete ribelli al comandamento dell’Eterno e, tanto voi quanto il re che regna su di voi, seguite l’Eterno vostro Dio, bene; ma, se non ubbidite alla voce dell’Eterno, se vi ribellate al comandamento dell’Eterno, la mano dell’Eterno sarà contro di voi, come fu contro i vostri padri. Ora fermatevi e osservate questa cosa grande che l’Eterno sta per compiere davanti ai vostri occhi! Non siamo al tempo della messe del grano? Io invocherò l’Eterno ed egli manderà tuoni e pioggia affinché sappiate e vediate quanto è grande agli occhi dell’Eterno il male che avete fatto chiedendo per voi un re”. Allora Samuele invocò l’Eterno e l’Eterno mandò quel giorno tuoni e pioggia e tutto il popolo ebbe grande timore dell’Eterno e di Samuele. E tutto il popolo disse a Samuele: “Prega l’Eterno, il tuo Dio, per i tuoi servi, affinché non muoiano; poiché a tutti gli altri nostri peccati abbiamo aggiunto questo torto di chiedere per noi un re”. E Samuele rispose al popolo: “Non temete; è vero, voi avete fatto tutto questo male; tuttavia, non smettete di seguire l’Eterno, ma servitelo con tutto il vostro cuore; non ve ne allontanate, perché andreste dietro a cose vane, che non possono giovare né liberare, perché sono cose vane. Infatti l’Eterno, per amore del suo grande nome, non abbandonerà il suo popolo, poiché è piaciuto all’Eterno di fare di voi il suo popolo. Quanto a me, lungi da me il peccare contro l’Eterno cessando di pregare per voi! Anzi, io vi mostrerò la buona e diritta via. Soltanto temete l’Eterno, e servitelo fedelmente, con tutto il vostro cuore; considerate infatti le cose grandi che egli ha fatte per voi! Ma, se continuate ad agire malvagiamente, morirete e voi e il vostro re”. Saul aveva trent’anni quando cominciò a regnare; e regnò quarantadue anni sopra Israele. Saul si scelse tremila uomini d’Israele: duemila stavano con lui a Micmas e sul monte di Betel e mille con Gionatan a Ghibea di Beniamino; e rimandò il resto del popolo, ognuno alla sua tenda. Gionatan batté la guarnigione dei Filistei che stava a Gheba, e i Filistei lo seppero e Saul fece suonare la tromba per tutto il paese, dicendo: “Lo sappiano gli Ebrei!”. E tutto Israele sentì dire: “Saul ha battuto la guarnigione dei Filistei e Israele si è reso odioso ai Filistei”. Così il popolo fu convocato a Ghilgal per seguire Saul. E i Filistei si radunarono per combattere contro Israele; avevano trentamila carri, seimila cavalieri e gente numerosa come la sabbia che è sulla riva del mare. Salirono, dunque, e si accamparono a Micmas, a oriente di Bet-Aven. Ora gli Israeliti, essendo in difficoltà, perché il popolo era messo alle strette, si nascosero nelle caverne, nelle macchie, tra le rocce, nelle buche e nelle cisterne. Ci furono degli Ebrei che passarono il Giordano, per andare nel paese di Gad e di Galaad. Quanto a Saul, egli era ancora a Ghilgal, e tutto il popolo che lo seguiva, tremava. Egli aspettò sette giorni, secondo il termine fissato da Samuele; ma Samuele non giungeva a Ghilgal, e il popolo cominciò a disperdersi e ad abbandonarlo. Allora Saul disse: “Portatemi l’olocausto e i sacrifici di riconoscenza”; e offrì l’olocausto. E appena ebbe finito di offrire l’olocausto, ecco che arrivò Samuele; e Saul gli uscì incontro per salutarlo. Ma Samuele gli disse: “Che hai fatto?”, Saul rispose: “Siccome vedevo che il popolo si disperdeva e mi abbandonava, che tu non giungevi nel giorno stabilito, e che i Filistei erano adunati a Micmas, mi sono detto: ‘Ora i Filistei mi piomberanno addosso a Ghilgal e io non ho ancora implorato l’Eterno!’. Così, mi sono fatto violenza, e ho offerto l’olocausto”. Allora Samuele disse a Saul: “Tu hai agito stoltamente; non hai osservato il comandamento che l’Eterno, il tuo Dio, ti aveva dato. L’Eterno avrebbe stabilito il tuo regno sopra Israele per sempre; ma ora il tuo regno non durerà; l’Eterno si è cercato un uomo secondo il suo cuore, e l’Eterno lo ha destinato a essere principe del suo popolo, poiché tu non hai osservato quello che l’Eterno ti aveva ordinato”. Poi Samuele si alzò e salì da Ghilgal a Ghibea di Beniamino, e Saul fece la rassegna del popolo che si trovava con lui; erano circa seicento uomini. Ora Saul, Gionatan suo figlio, e la gente che si trovava con loro occupavano Ghibea di Beniamino, mentre i Filistei erano accampati a Micmas. Dall’accampamento dei Filistei uscirono dei razziatori divisi in tre schiere; una prese la via di Ofra, verso il paese di Sual; l’altra prese la via di Bet-Oron; la terza prese la via della frontiera che guarda la valle di Seboim, verso il deserto. Ora in tutto il paese d’Israele non si trovava un fabbro; poiché i Filistei avevano detto: “Impediamo agli Ebrei di fabbricarsi spade o lance”. E tutti gli Israeliti scendevano dai Filistei per farsi affilare chi il suo vomero, chi la sua zappa, chi la sua scure, chi la sua vanga. E il prezzo dell’arrotatura era di un pim per le vanghe, per le zappe, per i tridenti, per le scuri e per aggiustare i pungoli. Così il giorno della battaglia avvenne che in mano a tutta la gente che era con Saul e con Gionatan non si trovava né una spada né una lancia; se ne trovava soltanto in mano a Saul e a Gionatan suo figlio. Poi la guarnigione dei Filistei uscì a occupare il passo di Micmas. Un giorno, Gionatan, figlio di Saul, disse al suo giovane scudiero: “Vieni, andiamo verso la guarnigione dei Filistei, che è là dall’altra parte”. Ma non disse nulla a suo padre. Saul stava allora all’estremità di Ghibea sotto il melograno di Migron, e la gente che aveva con sé ammontava a circa seicento uomini; e Aia, figlio di Aitub, fratello d’Icabod, figlio di Fineas, figlio di Eli sacerdote dell’Eterno a Silo, indossava l’efod. Il popolo non sapeva che Gionatan se ne fosse andato. Fra i passi attraverso i quali Gionatan cercava di arrivare alla guarnigione dei Filistei, c’era una sporgenza di roccia da una parte e una sporgenza di roccia dall’altra parte: una si chiamava Boses, e l’altra Sene. Una di queste sporgenze di roccia sorgeva a nord, di fronte a Micmas, e l’altra a mezzogiorno, di fronte a Ghibea. Gionatan disse al suo giovane scudiero: “Vieni, andiamo verso la guarnigione di questi incirconcisi; forse l’Eterno agirà per noi, poiché nulla può impedire all’Eterno di salvare con molta o con poca gente”. Il suo scudiero gli rispose: “Fa’ tutto quello che ti sta nel cuore; va’ pure; ecco, io sono con te dove il cuore ti conduce”. Allora Gionatan disse: “Ecco, noi andremo verso quella gente, e ci mostreremo a loro. Se ci dicono: ‘Fermatevi finché veniamo da voi’, ci fermeremo al nostro posto, e non saliremo fino a loro; ma se ci dicono: ‘Venite su da noi’, saliremo, perché l’Eterno li avrà dati nelle nostre mani. Questo ci servirà di segno”. Così si mostrarono entrambi alla guarnigione dei Filistei; e i Filistei dissero: “Ecco gli Ebrei che escono dalle grotte dove si erano nascosti!”. E gli uomini della guarnigione, rivolgendosi a Gionatan e al suo scudiero, dissero: “Venite su da noi, e vi faremo sapere qualcosa”. Gionatan disse al suo scudiero: “Sali dietro a me, poiché l’Eterno li ha dati nelle mani d’Israele”. Gionatan salì, arrampicandosi con le mani e con i piedi, seguito dal suo scudiero. E i Filistei caddero davanti a Gionatan; e lo scudiero dietro di lui li finiva. In questa prima disfatta, inflitta da Gionatan e dal suo scudiero, caddero circa venti uomini, sullo spazio di circa mezzo iugero di terra. Allora lo spavento si sparse nell’accampamento, nella campagna e fra tutto il popolo; la guarnigione e anche i razziatori furono spaventati; il paese tremò, fu uno spavento di Dio. Le sentinelle di Saul a Ghibea di Beniamino guardarono e videro la moltitudine che sbandava e fuggiva qua e là. Allora Saul disse alla gente che era con lui: “Fate la rassegna, e vedete chi se n’è andato da noi”. E, fatta la rassegna, ecco che mancavano Gionatan e il suo scudiero. Saul allora disse ad Aia: “Fa’ accostare l’arca di Dio!”, poiché l’arca di Dio allora era con i figli d’Israele. E mentre Saul parlava con il sacerdote, il tumulto andava aumentando nell’accampamento dei Filistei; e Saul disse al sacerdote: “Ritira la mano!”. Poi Saul e tutto il popolo che era con lui si radunarono e avanzarono fino al luogo della battaglia; ed ecco che la spada dell’uno era rivolta contro l’altro, e la confusione era grandissima. Ora gli Ebrei, che già prima si trovavano con i Filistei ed erano saliti con loro all’accampamento dal paese circostante, si voltarono e anche loro si unirono con gli Israeliti che erano con Saul e con Gionatan. Anche tutti gli Israeliti che si erano nascosti nella regione montuosa di Efraim, quando udirono che i Filistei fuggivano, si misero a inseguirli per combatterli. In quel giorno l’Eterno salvò Israele, e la battaglia si estese fin oltre Bet-Aven. Gli uomini d’Israele, in quel giorno, erano sfiniti; ma Saul fece fare al popolo questo giuramento: “Maledetto l’uomo che toccherà cibo prima di sera, prima che io mi sia vendicato dei miei nemici”. E nessuno del popolo toccò cibo. Tutto il popolo giunse a una foresta, dove c’era del miele per terra. E quando il popolo entrò nella foresta, vide il miele che colava; ma nessuno si portò la mano alla bocca, perché il popolo rispettava il giuramento. Ma Gionatan non aveva sentito quando suo padre aveva fatto giurare il popolo e stese la punta del bastone che teneva in mano, la intinse nel miele che colava, portò la mano alla bocca, e gli si rischiarò la vista. Uno del popolo, rivolgendosi a lui, gli disse: “Tuo padre ha espressamente fatto fare al popolo questo giuramento: ‘Maledetto l’uomo che toccherà oggi cibo, benché il popolo fosse estenuato’”. Allora Gionatan disse: “Mio padre ha recato un danno al paese; vedete come l’aver gustato un po’ di questo miele mi ha rischiarato la vista! Ah, se il popolo avesse oggi mangiato a volontà del bottino che ha trovato presso i nemici! Non si sarebbe forse fatto una più grande strage dei Filistei?”. Essi dunque sconfissero quel giorno i Filistei da Micmas ad Aialon; il popolo era estenuato, e si gettò sul bottino; prese pecore, buoi e vitelli, li sgozzò sul suolo e li mangiò con il sangue. Questo fu riferito a Saul e gli fu detto: “Ecco, il popolo pecca contro l’Eterno, mangiando carne con il sangue”. Ed egli disse: “Voi avete commesso un’infedeltà; rotolate subito qua presso di me una grande pietra”. Saul soggiunse: “Andate in mezzo al popolo e dite a ognuno di condurmi qua il suo bue e la sua pecora, e di sgozzarli qui; poi mangiate e non peccate contro l’Eterno, mangiando carne con sangue!”. E, quella notte, ognuno del popolo condusse di propria mano il suo bue e lo sgozzò in quel luogo. Saul costruì un altare all’Eterno: questo fu il primo altare che egli costruì all’Eterno. Poi Saul disse: “Scendiamo nella notte a inseguire i Filistei, saccheggiamoli fino alla mattina e facciamo in modo che non ne scampi neanche uno”. Il popolo rispose: “Fa’ tutto quello che ti sembra bene”. Allora il sacerdote disse: “Avviciniamoci qui a Dio”. Saul consultò Dio, dicendo: “Devo scendere a inseguire i Filistei? Li darai tu nelle mani d’Israele?”, ma questa volta Iddio non gli diede nessuna risposta. Saul disse: “Avvicinatevi qua, voi tutti capi del popolo, riconoscete e vedete in cosa consista il peccato commesso quest’oggi! Poiché, com’è vero che l’Eterno, il salvatore d’Israele, vive, anche se il colpevole fosse Gionatan mio figlio, egli dovrà morire”. Ma in tutto il popolo non ci fu nessuno che gli rispondesse. Allora egli disse a tutto Israele: “Mettetevi da un lato, io e Gionatan mio figlio staremo dall’altro”. E il popolo disse a Saul: “Fa’ quello che ti sembra bene”. Saul disse all’Eterno: “Dio d’Israele, fa’ conoscere la verità!”. E Gionatan e Saul furono designati dalla sorte, e il popolo scampò. Poi Saul disse: “Tirate a sorte fra me e Gionatan mio figlio”. E Gionatan fu designato. Allora Saul disse a Gionatan: “Dimmi quello che hai fatto”. E Gionatan glielo confessò, e disse: “Sì, io ho assaggiato un po’ di miele, con la punta del bastone che avevo in mano; eccomi qui: morirò!”. Saul disse: “Mi tratti Iddio con tutto il suo rigore, se non andrai a morte, Gionatan!”. E il popolo disse a Saul: “Gionatan, che ha compiuto questa grande liberazione in Israele, dovrebbe morire? Non sia mai! Com’è vero che l’Eterno vive, non cadrà a terra un capello del suo capo; poiché oggi egli ha operato con Dio!”. Così il popolo salvò Gionatan, che non fu messo a morte. Poi Saul tornò dall’inseguimento dei Filistei, e i Filistei se ne tornarono al loro paese. Ora Saul, quando ebbe preso possesso del suo regno in Israele, mosse guerra a tutti i suoi nemici circostanti: a Moab, ai figli di Ammon, a Edom, ai re di Soba e ai Filistei e dovunque si volgeva, vinceva. Mostrò il suo valore; sconfisse gli Amalechiti e liberò Israele dalle mani di quelli che lo depredavano. I figli di Saul erano: Gionatan, Isvi e Malchisua; e delle sue due figlie, la primogenita si chiamava Merab e la minore Mical. Il nome della moglie di Saul era Ainoam, figlia di Aimaaz, e il nome del capitano del suo esercito era Abner, figlio di Ner, zio di Saul. E Chis, padre di Saul, e Ner, padre di Abner, erano figli di Abiel. Per tutto il tempo di Saul, ci fu una guerra accanita contro i Filistei e, quando Saul scorgeva un uomo forte e valoroso, lo prendeva con sé. Samuele disse a Saul: “L’Eterno mi ha mandato per ungerti re del suo popolo Israele; ascolta dunque quello che ti dice l’Eterno. Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Io ricordo ciò che Amalec fece a Israele quando gli si oppose nel viaggio mentre saliva dall’Egitto. Ora va’, sconfiggi Amalec, vota allo sterminio tutto ciò che gli appartiene; non lo risparmiare, ma uccidi uomini e donne, fanciulli e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini’”. Saul dunque convocò il popolo e ne fece la rassegna in Telaim: erano duecentomila fanti e diecimila uomini di Giuda. Saul giunse alla città di Amalec, tese un’imboscata nella valle, e disse ai Chenei: “Andatevene, ritiratevi, allontanatevi dagli Amalechiti, perché io non vi distrugga insieme a loro, poiché voi avete usato benevolenza verso tutti i figli d’Israele quando salirono dall’Egitto”. Così i Chenei si ritirarono dagli Amalechiti. Saul sconfisse gli Amalechiti da Avila fino a Sur, che sta di fronte all’Egitto. Prese vivo Agag, re degli Amalechiti, e votò allo sterminio tutto il popolo, passandolo a fil di spada. Ma Saul e il popolo risparmiarono Agag e il meglio delle pecore, dei buoi, gli animali della seconda figliatura, gli agnelli e tutto quel che c’era di buono; non vollero votarli allo sterminio, ma votarono allo sterminio tutto ciò che non aveva valore ed era scadente. Allora la parola dell’Eterno fu rivolta a Samuele, dicendo: “Io mi pento di avere stabilito re Saul, perché si è sviato da me e non ha eseguito i miei ordini”. Samuele ne fu irritato e gridò all’Eterno tutta la notte. Poi si alzò la mattina di buon’ora e andò incontro a Saul; ma vennero a dire a Samuele: “Saul è andato a Carmel, e là si è eretto un monumento; poi se n’è ritornato e, passando oltre, è sceso a Ghilgal”. Samuele si recò da Saul; e Saul gli disse: “L’Eterno ti benedica! Io ho eseguito l’ordine dell’Eterno”. E Samuele disse: “Che cos’è dunque questo belare di pecore che mi giunge agli orecchi e questo muggire di buoi che sento?”. Saul rispose: “Sono bestie condotte dal paese degli Amalechiti; perché il popolo ha risparmiato il meglio delle pecore e dei buoi per farne dei sacrifici all’Eterno, al tuo Dio; il resto, però, l’abbiamo votato allo sterminio”. Allora Samuele disse a Saul: “Basta! Io ti annuncerò quello che l’Eterno mi ha detto stanotte!”. E Saul gli disse: “Parla”. E Samuele disse: “Non è forse vero che quando ti reputavi piccolo sei divenuto capo delle tribù d’Israele, e l’Eterno ti ha unto re d’Israele? L’Eterno ti aveva dato una missione, dicendo: ‘Va’, vota allo sterminio quei peccatori degli Amalechiti, e fa’ loro guerra finché siano sterminati’. E perché dunque non hai ubbidito alla voce dell’Eterno? Perché ti sei gettato sul bottino e hai fatto ciò che è male agli occhi dell’Eterno?”. E Saul disse a Samuele: “Ma io ho ubbidito alla voce dell’Eterno, ho compiuto la missione che l’Eterno mi aveva affidato, ho condotto qui Agag, re di Amalec, e ho votato allo sterminio gli Amalechiti; ma il popolo ha preso, fra il bottino, delle pecore e dei buoi come primizie di ciò che doveva essere sterminato, per farne dei sacrifici all’Eterno, al tuo Dio, a Ghilgal”. Allora Samuele disse: “L’Eterno gradisce gli olocausti e i sacrifici quanto l’ubbidire alla sua voce? Ecco, l’ubbidienza è meglio del sacrificio, e dare ascolto vale più del grasso dei montoni; poiché la ribellione è come il peccato della divinazione, e l’ostinatezza è come l’adorazione degli idoli e degli dèi domestici. Poiché tu hai rigettato la parola dell’Eterno, anch’egli ti rigetta come re”. Allora Saul disse a Samuele: “Io ho peccato, poiché ho trasgredito il comandamento dell’Eterno e le tue parole; io ho temuto il popolo, e ho dato ascolto alla sua voce. Ora dunque, ti prego, perdona il mio peccato, ritorna con me, e io mi prostrerò davanti all’Eterno”. Samuele disse a Saul: “Io non ritornerò con te, poiché hai rigettato la parola dell’Eterno, e l’Eterno ha rigettato te perché tu non sia più re sopra Israele”. E come Samuele si voltava per andarsene, Saul lo prese per il lembo del mantello, che si strappò. Allora Samuele gli disse: “L’Eterno strappa oggi di dosso a te il regno d’Israele, e lo dà a un altro, che è migliore di te. E colui che è la gloria d’Israele non mentirà e non si pentirà; poiché egli non è un uomo perché debba pentirsi”. Allora Saul disse: “Ho peccato; ma tu adesso onorami, ti prego, in presenza degli anziani del mio popolo e in presenza d’Israele; ritorna con me e io mi prostrerò davanti all’Eterno, al tuo Dio”. Samuele dunque ritornò, seguendo Saul, e Saul si prostrò davanti all’Eterno. Poi Samuele disse: “Conducetemi qui Agag, re degli Amalechiti”. E Agag venne da lui incatenato. E Agag diceva: “Certo, l’amarezza della morte è passata”. Samuele gli disse: “Come la tua spada ha privato le donne di figli, così tua madre sarà privata di figli fra le donne”. E Samuele fece squartare Agag in presenza dell’Eterno a Ghilgal. Poi Samuele se ne andò a Rama, e Saul salì a casa sua, a Ghibea di Saul. E Samuele, finché visse, non andò più a vedere Saul, perché Samuele faceva cordoglio per Saul; e l’Eterno si pentì di avere fatto Saul re d’Israele. L’Eterno disse a Samuele: “Fino a quando farai cordoglio per Saul, mentre io l’ho rigettato perché non regni più sopra Israele? Riempi di olio il tuo corno e va’; io ti manderò da Isai di Betlemme, perché mi sono provveduto un re tra i suoi figli”. Samuele rispose: “Come posso andare? Saul lo verrà a sapere, e mi ucciderà”. L’Eterno disse: “Prenderai con te una giovenca, e dirai: ‘Sono venuto a offrire un sacrificio all’Eterno’. Inviterai Isai al sacrificio; io ti farò sapere quello che dovrai fare, e ungerai per me colui che ti dirò”. Samuele dunque fece quello che l’Eterno gli aveva detto; si recò a Betlemme, e gli anziani della città gli si fecero incontro tutti turbati, e gli dissero: “Porti tu pace?”. Ed egli rispose: “Porto pace; vengo a offrire un sacrificio all’Eterno; purificatevi, e venite con me al sacrificio”. Fece purificare anche Isai e i suoi figli, e li invitò al sacrificio. Mentre entravano, egli osservò Eliab, e disse: “Certo, ecco l’unto dell’Eterno davanti a lui”. Ma l’Eterno disse a Samuele: “Non badare al suo aspetto né all’altezza della sua statura, perché io l’ho scartato; infatti l’Eterno non guarda a quello a cui guarda l’uomo: l’uomo guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore”. Allora Isai chiamò Abinadab e lo fece passare davanti a Samuele; ma Samuele disse: “L’Eterno non si è scelto neppure questo”. Isai fece passare Samma, ma Samuele disse: “L’Eterno non si è scelto neppure questo”. Isai fece passare così sette dei suoi figli davanti a Samuele; ma Samuele disse a Isai: “L’Eterno non si è scelto questi”. Poi Samuele disse a Isai: “Sono questi tutti i tuoi figli?”. Isai rispose: “Resta ancora il più giovane, ma è a pascolare le pecore”. E Samuele disse a Isai: “Mandalo a cercare, perché non ci metteremo a tavola prima che sia arrivato qua”. Allora Isai lo mandò a cercare, e lo fece venire. Egli era biondo, aveva dei begli occhi e un bell’aspetto. L’Eterno disse a Samuele: “Àlzati, ungilo, perché è lui”. Allora Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli; e, da quel giorno in poi, lo Spirito dell’Eterno investì Davide. E Samuele si alzò e se ne andò a Rama. Ora lo Spirito dell’Eterno si era ritirato da Saul, che era turbato da un cattivo spirito permesso dall’Eterno. I servitori di Saul gli dissero: “Ecco, un cattivo spirito permesso da Dio, ti turba. Il nostro signore ordini ora ai tuoi servi che ti stanno davanti, di cercare un uomo che sappia suonare l’arpa; e quando il cattivo spirito permesso da Dio ti investirà, l’arpista si metterà a suonare, e tu ti sentirai sollevato”. Saul disse ai suoi servitori: “Trovatemi un uomo che suoni bene e portatelo da me”. Allora uno dei domestici prese a dire: “Ecco io ho visto un figlio di Isai, il betlemmita, che sa suonare bene; è un uomo forte, valoroso, un guerriero, parla bene, è di bell’aspetto e l’Eterno è con lui”. Saul dunque inviò dei messaggeri a Isai per dirgli: “Mandami Davide, tuo figlio, che è con il gregge”. Allora Isai prese un asino carico di pane, un otre di vino, un capretto, e mandò tutto a Saul per mezzo di Davide suo figlio. Davide arrivò da Saul e si presentò a lui; e Saul gli si affezionò molto e lo fece suo scudiero. E Saul mandò a dire a Isai: “Ti prego, lascia Davide al mio servizio, poiché egli ha trovato grazia ai miei occhi”. Ora quando il cattivo spirito permesso da Dio investiva Saul, Davide prendeva l’arpa e si metteva a suonare; Saul si sentiva sollevato, stava meglio, e il cattivo spirito se ne andava da lui. I Filistei misero insieme i loro eserciti per combattere, si radunarono a Soco, che appartiene a Giuda, e si accamparono fra Soco e Azeca, a Efes-Dammim. Anche Saul e gli uomini d’Israele si radunarono, si accamparono nella valle dei terebinti e si schierarono in battaglia contro i Filistei. I Filistei stavano sul monte da una parte e Israele stava sul monte dall’altra parte; fra loro c’era la valle. Dall’accampamento dei Filistei uscì un campione, un guerriero di nome Goliat di Gat, alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di rame, era rivestito di una corazza a maglie il cui peso era di cinquemila sicli di rame, portava delle gambiere di rame e, sospeso dietro le spalle, un giavellotto di rame. L’asta della sua lancia era come un subbio di tessitore; la punta della lancia pesava seicento sicli di ferro, e chi portava il suo scudo lo precedeva. Egli dunque si fermò e, rivolto alle schiere d’Israele, gridò: “Perché uscite a schierarvi in battaglia? Non sono io il Filisteo, e voi dei servi di Saul? Scegliete uno fra voi e scenda contro di me. Se egli riuscirà a lottare con me e uccidermi, noi saremo vostri servi; ma se io sarò vincitore e lo ucciderò, voi sarete nostri sudditi e ci servirete”. Il Filisteo aggiunse: “Io lancio oggi questa sfida a disonore delle schiere d’Israele: Datemi un uomo e ci batteremo!”. Quando Saul e tutto Israele udirono le parole del Filisteo, rimasero sbigottiti e furono presi da grande paura. Ora Davide era figlio di quell’Efrateo di Betlemme di Giuda, di nome Isai, che aveva otto figli e che al tempo di Saul era vecchio, molto avanti negli anni. I tre figli maggiori di Isai erano andati in guerra con Saul; e i tre figli che erano andati in guerra si chiamavano: Eliab il primogenito, Abinadab il secondo e Samma il terzo. Davide era il più giovane; e quando i tre maggiori seguirono Saul, Davide partì da Saul, e tornò a Betlemme a pascolare le pecore di suo padre. Il Filisteo si faceva avanti la mattina e la sera, e si presentò così per quaranta giorni. Ora Isai disse a Davide, suo figlio: “Prendi per i tuoi fratelli quest’efa di grano arrostito e questi dieci pani, e portali presto ai tuoi fratelli all’accampamento. Porta anche queste dieci forme di formaggio al capitano del loro migliaio; vedi se i tuoi fratelli stanno bene e riportami una prova da parte loro. Saul, con loro e con tutti gli uomini d’Israele sono nella valle dei terebinti per combattere contro i Filistei”. L’indomani Davide si alzò di buon mattino, lasciò le pecore a un guardiano, prese il suo carico e partì come Isai gli aveva ordinato; e quando giunse al parco dei carri, l’esercito usciva per schierarsi in battaglia e alzava grida di guerra. Israeliti e Filistei si erano schierati, esercito contro esercito. Davide, lasciate le cose che portava al guardiano dei bagagli, corse alla linea di battaglia e, appena vi giunse, chiese ai suoi fratelli come stavano. Mentre parlava con loro, ecco avanzare dalle file dei Filistei quel campione, quel Filisteo di Gat, di nome Goliat, ripetendo le solite parole; e Davide le udì. E tutti gli uomini d’Israele, alla vista di quell’uomo, fuggirono davanti a lui, presi da grande paura. Gli uomini d’Israele dicevano: “Avete visto quell’uomo che avanza? Egli avanza per coprire di disonore Israele. Se qualcuno lo uccide il re lo farà grandemente ricco, gli darà la sua propria figlia ed esenterà la casa del padre di lui da ogni tributo in Israele”. Davide, rivolgendosi a quelli che gli erano vicini, disse: “Che si farà a quell’uomo che ucciderà questo Filisteo e toglierà la vergogna da Israele? E chi è dunque questo Filisteo, questo incirconciso, che osa insultare le schiere dell’Iddio vivente?”. E la gente gli rispose con le stesse parole, dicendo: “Si farà questo e questo a colui che lo ucciderà”. Eliab, suo fratello maggiore, avendo udito Davide parlare a quella gente, si accese d’ira contro di lui, e disse: “Perché sei sceso qua? E a chi hai lasciato quelle poche pecore nel deserto? Io conosco il tuo orgoglio e la cattiveria del tuo cuore; tu sei sceso qua per vedere la battaglia”. Davide rispose: “Che ho fatto ora? Non era che una semplice domanda!”. E, scostandosi da lui, si rivolse a un altro, facendo la stessa domanda; e la gente gli diede la stessa risposta di prima. Ora le parole che Davide aveva detto essendo state sentite, furono riportate a Saul, che lo fece venire. Davide disse a Saul: “Nessuno si perda d’animo a causa di costui! Il tuo servo andrà e si batterà con quel Filisteo”. Saul disse a Davide: “Tu non puoi andare a batterti con questo Filisteo; poiché tu non sei che un ragazzo, ed egli è un guerriero fin dalla sua giovinezza”. E Davide rispose a Saul: “Il tuo servo pascolava il gregge di suo padre; e quando un leone o un orso veniva a portare via una pecora dal gregge, io gli correvo dietro, lo colpivo, gli strappavo dalle fauci la preda; e se quello mi si rivoltava contro, io lo afferravo per le mascelle, lo ferivo e lo ammazzavo. Sì, il tuo servo ha ucciso il leone e l’orso; e questo incirconciso Filisteo sarà come uno di loro, perché ha coperto di vergogna le schiere dell’Iddio vivente”. Poi Davide aggiunse: “L’Eterno che mi liberò dalla zampa del leone e dalla zampa dell’orso, mi libererà anche dalla mano di questo Filisteo”. Allora Saul disse a Davide: “Va’, e l’Eterno sia con te”. Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise sul capo un elmo di rame e gli fece indossare una corazza. Poi Davide cinse la spada di Saul sopra la sua armatura, e cercò di camminare, perché non aveva ancora provato; ma disse a Saul: “Io non posso camminare con quest’armatura; non ci sono abituato”. E se la tolse di dosso. E prese in mano il suo bastone, si scelse nel torrente cinque pietre ben lisce, le pose nella sacchetta da pastore, che gli serviva di bisaccia, e con la fionda in mano si diresse contro il Filisteo. Anche il Filisteo si fece avanti, avvicinandosi sempre di più a Davide, ed era preceduto dal suo scudiero. Quando il Filisteo ebbe scrutato Davide, lo disprezzò, perché egli non era che un ragazzo, biondo e di bell’aspetto. Il Filisteo disse a Davide: “Sono un cane, che tu vieni contro di me con il bastone?”. E il Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dèi; e il Filisteo disse a Davide: “Vieni qua, così che io dia la tua carne agli uccelli del cielo e alle bestie dei campi”. Allora Davide rispose al Filisteo: “Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con il giavellotto; ma io vengo a te nel nome dell’Eterno degli eserciti, dell’Iddio delle schiere d’Israele che tu hai insultato. Oggi l’Eterno ti darà nelle mie mani, e io ti abbatterò, ti taglierò la testa, e darò oggi stesso i cadaveri dell’esercito dei Filistei agli uccelli del cielo e alle bestie della terra; e tutta la terra riconoscerà che c’è un Dio in Israele; e tutta questa moltitudine riconoscerà che l’Eterno non salva per mezzo di spada né per mezzo di lancia; poiché l’esito della battaglia dipende dall’Eterno ed egli vi darà nelle nostre mani”. Quando il Filisteo si mosse e si fece avanti per avvicinarsi a Davide, anche Davide corse prontamente verso la linea di battaglia incontro al Filisteo; mise la mano nella sacchetta, prese una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo nella fronte; la pietra gli si conficcò nella fronte ed egli cadde con la faccia a terra. Così Davide, con una fionda e con una pietra, vinse il Filisteo; lo colpì e lo uccise, senza avere una spada in mano. Poi Davide corse, si gettò sul Filisteo, gli prese la spada, la sguainò, lo uccise e gli tagliò la testa. E i Filistei, vedendo che il loro eroe era morto, si diedero alla fuga. E gli uomini d’Israele e di Giuda si levarono alzando grida di guerra, e inseguirono i Filistei fino all’ingresso di Gat e alle porte di Ecron. I Filistei feriti a morte caddero sulla via di Saaraim, fino a Gat e fino a Ecron. E i figli d’Israele, dopo aver dato la caccia ai Filistei, tornarono e saccheggiarono il loro campo. E Davide prese la testa del Filisteo, la portò a Gerusalemme, ma ripose l’armatura di lui nella sua tenda. Quando Saul aveva visto Davide che andava contro il Filisteo, aveva chiesto ad Abner, capo dell’esercito: “Abner, di chi è figlio questo ragazzo?”. E Abner aveva risposto: “Com’è vero che tu vivi, o re, io non lo so”. E il re aveva detto: “Informati di chi sia figlio questo ragazzo”. Quando Davide, fu di ritorno dopo aver ucciso il Filisteo, Abner lo prese e lo condusse alla presenza di Saul, mentre aveva ancora in mano la testa del Filisteo. E Saul gli disse: “Ragazzo, di chi sei figlio?”. Davide rispose: “Sono figlio del tuo servo Isai di Betlemme”. Quando Davide ebbe finito di parlare con Saul, l’anima di Gionatan rimase così legata all’anima di Davide, che Gionatan lo amò come l’anima sua. Da quel giorno Saul lo tenne presso di sé e non permise più che egli se ne tornasse a casa di suo padre. E Gionatan fece alleanza con Davide, perché lo amava come l’anima propria. Quindi Gionatan si tolse il mantello che indossava e lo diede a Davide; e così fece con le sue vesti, fino alla sua spada, al suo arco e alla sua cintura. Davide andava e riusciva bene dovunque Saul lo mandava: Saul lo mise a capo della gente di guerra ed egli era gradito a tutto il popolo, anche ai servi di Saul. All’arrivo dell’esercito, quando Davide faceva ritorno dopo aver ucciso il Filisteo, le donne uscirono da tutte le città d’Israele incontro al re Saul, cantando e danzando al suono dei timpani e dei triangoli e alzando grida di gioia; le donne, danzando, si rispondevano a vicenda e dicevano: “Saul ha ucciso i suoi mille, e Davide i suoi diecimila”. Saul si irritò moltissimo; quelle parole gli dispiacquero, e disse: “Ne attribuiscono diecimila a Davide, e a me non ne attribuiscono che mille! Non gli manca altro che il regno!”. E Saul, da quel giorno in poi, guardò Davide di mal occhio. Il giorno dopo, un cattivo spirito, permesso da Dio, si impossessò di Saul che era come fuori di sé in mezzo alla casa, mentre Davide suonava l’arpa, come era solito fare tutti i giorni. Saul aveva in mano la sua lancia; e la scagliò, dicendo: “Inchioderò Davide al muro!”. Ma Davide schivò il colpo per due volte. Saul aveva paura di Davide, perché l’Eterno era con lui e si era ritirato da Saul; perciò Saul lo allontanò da sé, e lo fece capitano di mille uomini; ed egli andava e veniva alla testa del popolo. Davide riusciva bene in tutte le sue imprese, e l’Eterno era con lui. Quando Saul vide che egli riusciva splendidamente, cominciò ad avere timore di lui; ma tutto Israele e Giuda amavano Davide, perché andava e veniva alla loro testa. Saul disse a Davide: “Ecco Merab, la mia figlia maggiore, io te la darò in moglie; soltanto sii valoroso per me, e combatti le battaglie dell’Eterno”. Ora Saul diceva tra sé: “Non sia la mia mano che lo colpisca, ma sia la mano dei Filistei”. Ma Davide rispose a Saul: “Chi sono io, che cos’è la vita mia, e che cos’è la famiglia di mio padre in Israele, perché io debba essere genero del re?”. Quando Merab, figlia di Saul, doveva essere data a Davide, fu invece data in sposa ad Adriel di Meola. Ma Mical, figlia di Saul, amava Davide; lo riferirono a Saul, e la cosa gli piacque. E Saul disse: “Gliela darò, perché sia per lui un’insidia ed egli cada sotto la mano dei Filistei”. Saul dunque disse a Davide: “Oggi, per la seconda volta, tu puoi diventare mio genero”. Poi Saul diede quest’ordine ai suoi servitori: “Parlate in segreto a Davide, e ditegli: ‘Ecco, tu sei nelle grazie del re, e tutti i suoi servi ti amano, diventa dunque genero del re’”. I servi di Saul riportarono queste parole a Davide. Ma Davide replicò: “Vi sembra cosa da poco diventare genero del re? Io sono povero e di umile condizione”. I servi riferirono a Saul: “Davide ha risposto così e così”. E Saul disse: “Dite così a Davide: ‘Il re non chiede dote; ma domanda cento prepuzi di Filistei, per fare vendetta dei suoi nemici’”. Ora Saul aveva in animo di far cadere Davide nelle mani dei Filistei. I servitori dunque riferirono quelle parole a Davide, e a Davide piacque di diventare genero del re in questo modo. Prima del termine fissato Davide si alzò, partì con la sua gente, uccise duecento uomini dei Filistei, portò i loro prepuzi e ne consegnò il numero preciso al re, per diventare suo genero. E Saul gli diede per moglie Mical, sua figlia. Saul vide e riconobbe che l’Eterno era con Davide; e Mical, figlia di Saul, lo amava. Saul continuò più che mai a temere Davide, e gli fu sempre nemico. Ora i principi dei Filistei uscivano a combattere; e ogni volta che uscivano, Davide riusciva meglio di tutti i servi di Saul, così che il suo nome divenne molto famoso. Saul confidò a Gionatan, suo figlio, e a tutti i suoi servi, che voleva far morire Davide. Ma Gionatan, figlio di Saul, che voleva un gran bene a Davide, informò Davide della cosa e gli disse: “Saul, mio padre, cerca di farti morire; ora dunque, ti prego, sta’ in guardia domani mattina, rimani in un luogo segreto e nasconditi. Io uscirò e starò accanto a mio padre, nel campo dove sarai tu; parlerò di te a mio padre, vedrò come vanno le cose e te lo farò sapere”. Gionatan dunque parlò a Saul, suo padre, in favore di Davide e gli disse: “Il re non pecchi contro il suo servo, contro Davide, perché egli non ha peccato contro di te, anzi il suo servizio ti è stato di grande utilità. Egli ha messo la propria vita a repentaglio, ha ucciso il Filisteo e l’Eterno ha operato una grande liberazione in favore di tutto Israele. Tu l’hai visto e te ne sei rallegrato; perché dunque dovresti peccare contro il sangue innocente, facendo morire Davide senza ragione?”. Saul diede ascolto alla voce di Gionatan e fece questo giuramento: “Com’è vero che l’Eterno vive, egli non morirà!”. Allora Gionatan chiamò Davide e gli riferì tutto questo. Poi Gionatan ricondusse Davide da Saul ed egli rimase al suo servizio come prima. Ricominciò di nuovo la guerra; e Davide uscì a combattere contro i Filistei, inflisse loro una grave sconfitta e quelli fuggirono davanti a lui. E uno spirito cattivo, permesso dall’Eterno, si impossessò di Saul. Egli sedeva in casa sua avendo in mano una lancia e Davide stava suonando l’arpa. Saul cercò di inchiodare Davide al muro con la lancia, ma Davide schivò il colpo e la lancia andò a conficcarsi nel muro. Davide fuggì e si mise in salvo in quella stessa notte. Saul inviò dei messaggeri a casa di Davide per tenerlo d’occhio e farlo morire la mattina dopo; ma Mical, moglie di Davide, lo informò della cosa, dicendo: “Se in questa stessa notte non ti salvi la vita, domani sei morto”. E Mical calò Davide da una finestra ed egli se ne andò, fuggì, e si mise in salvo. Poi Mical prese l’idolo domestico e lo pose nel letto; gli mise in testa un cappuccio di pelo di capra e lo coprì con un mantello. Quando Saul inviò dei messaggeri a prendere Davide, lei disse: “È malato”. Allora Saul inviò di nuovo i messaggeri perché vedessero Davide, e disse loro: “Portatemelo nel letto, perché io lo faccia morire”. E quando giunsero i messaggeri, ecco che nel letto c’era l’idolo domestico con in testa un cappuccio di pelo di capra. E Saul disse a Mical: “Perché mi hai ingannato così e hai dato modo al mio nemico di fuggire?”. Mical rispose a Saul: “È lui che mi ha detto: ‘Lasciami andare; altrimenti, ti ammazzo!’”. Davide dunque fuggì, si mise in salvo, e andò da Samuele a Rama e gli raccontò tutto quello che Saul gli aveva fatto. Poi, lui e Samuele andarono a stare a Naiot. Ciò fu riferito a Saul, dicendo: “Ecco, Davide è a Naiot, presso Rama”. Allora Saul inviò dei messaggeri per prendere Davide; ma quando questi videro l’assemblea dei profeti che profetizzavano, con Samuele che teneva la presidenza, lo Spirito di Dio investì i messaggeri di Saul che si misero a profetizzare anche loro. Ne informarono Saul, che inviò altri messaggeri, i quali pure si misero a profetizzare. Saul ne mandò ancora per la terza volta, e anche questi si misero a profetizzare. Allora si recò egli stesso a Rama e, giunto alla grande cisterna che è a Secu, chiese: “Dove sono Samuele e Davide?”. Gli fu risposto: “Ecco, sono a Naiot, presso Rama”. Egli andò dunque là, a Naiot, presso Rama; e lo Spirito di Dio investì anche lui; ed egli continuò il suo viaggio, profetizzando, finché giunse a Naiot, presso Rama. Anche lui si spogliò delle sue vesti, anche lui profetizzò alla presenza di Samuele e rimase steso per terra nudo tutto quel giorno e tutta quella notte. Da qui viene il detto: “Saul è anche lui tra i profeti?”. Davide fuggì da Naiot, presso Rama, andò a trovare Gionatan e gli disse: “Che cosa ho fatto? Qual è la mia colpa, qual è il mio peccato verso tuo padre, che egli vuole la mia vita?”. Gionatan gli rispose: “Non sia mai! tu non morirai; ecco, mio padre non fa nessuna cosa, né grande né piccola, senza rendermene partecipe; perché dovrebbe nascondermi questa? Non è possibile”. Ma Davide replicò, giurando: “Tuo padre sa molto bene che io ho trovato grazia agli occhi tuoi; perciò avrà detto: ‘Gionatan non sappia questo, affinché non ne abbia dispiacere’; ma com’è vero che l’Eterno vive e che vive l’anima tua, fra me e la morte non c’è che un passo”. Gionatan disse a Davide: “Che cosa desideri che io ti faccia?”. Davide rispose a Gionatan: “Domani è la luna nuova, e io dovrei sedermi a mensa con il re; lasciami andare e mi nasconderò per la campagna fino alla terza sera. Se tuo padre nota la mia assenza, tu gli dirai: ‘Davide mi ha pregato con insistenza di poter fare una scappata fino a Betlemme, sua città, perché c’è il sacrificio annuale per tutta la sua famiglia’. Se egli dice: ‘Va bene’, il tuo servo avrà pace; ma, se si adira, sappi che il male che mi vuole fare è deciso. Mostra dunque la tua bontà verso il tuo servo, poiché hai fatto entrare il tuo servo in un patto con te nel nome dell’Eterno; ma se c’è in me qualche colpa dammi tu la morte; perché dovresti condurmi da tuo padre?”. Gionatan disse: “Lungi da te questo pensiero! Se io venissi a sapere che da parte di mio padre il male è deciso e sta per venirti addosso, non te lo farei sapere?”. Davide disse a Gionatan: “Chi mi informerà nel caso che tuo padre ti dia una risposta dura?”. Gionatan disse a Davide: “Vieni, andiamo fuori alla campagna!”. E andarono entrambi fuori alla campagna. Gionatan disse a Davide: “L’Eterno, l’Iddio d’Israele, mi sia testimone! Quando domani o dopodomani, a quest’ora, io avrò indagato le intenzioni di mio padre, se egli è ben disposto verso Davide, e io non mando a fartelo sapere, l’Eterno tratti Gionatan con tutto il suo rigore! Nel caso poi che mio padre voglia farti del male, te lo farò sapere e ti lascerò partire perché tu te ne vada in pace; e l’Eterno sia con te, come è stato con mio padre! E, se sarò ancora in vita, non agirai verso di me con la bontà dell’Eterno, affinché io non sia messo a morte? Non cessare mai di essere buono verso la mia casa, neppure quando l’Eterno avrà sterminato dalla faccia della terra fino all’ultimo i nemici di Davide”. Così Gionatan strinse alleanza con la casa di Davide, dicendo: “L’Eterno faccia vendetta dei nemici di Davide!”. E, per l’amore che gli portava, Gionatan fece di nuovo giurare Davide; perché egli lo amava come l’anima propria. Poi Gionatan gli disse: “Domani è la nuova luna e la tua assenza sarà notata, perché il tuo posto sarà vuoto. Dopodomani dunque tu scenderai giù fino al luogo dove ti nascondesti il giorno del fatto e rimarrai presso la pietra di Ezel. Io tirerò tre frecce da quel lato, come se tirassi a segno. Poi subito manderò il mio ragazzo, dicendogli: ‘Va’ a cercare le frecce’. Se dico al ragazzo: ‘Guarda, le frecce sono di qua da te, prendile!’, tu allora vieni, perché tutto va bene per te e non hai nulla da temere, come l’Eterno vive! Ma se dico al ragazzo: ‘Guarda, le frecce sono di là da te’, allora vattene, perché l’Eterno vuole che tu parta. Quanto a quello che abbiamo convenuto fra noi, fra me e te, ecco, l’Eterno ne è testimone per sempre”. Davide dunque si nascose nella campagna; e quando venne il novilunio, il re si mise a sedere a mensa per il pasto. Il re, come al solito, si mise a sedere sulla sua sedia che era vicina al muro; Gionatan si alzò per mettersi di fronte, Abner si sedette accanto a Saul, ma il posto di Davide rimase vuoto. Tuttavia Saul non disse nulla quel giorno, perché pensava: “Gli è successo qualcosa ed egli non deve essere puro; per certo egli non è puro”. Ma l’indomani, secondo giorno della luna nuova, il posto di Davide era ancora vuoto; e Saul disse a Gionatan, suo figlio: “Perché il figlio d’Isai non è venuto a mangiare né ieri né oggi?”. Gionatan rispose a Saul: “Davide mi ha chiesto con insistenza di lasciarlo andare a Betlemme; e ha detto: ‘Ti prego, lasciami andare, perché abbiamo in città un sacrificio di famiglia e mio fratello mi ha raccomandato di andarci; ora dunque, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, ti prego, lasciami fare una scappata per vedere i miei fratelli’. Per questa ragione egli non è venuto alla mensa del re”. Allora l’ira di Saul si accese contro Gionatan, e gli disse: “Figlio perverso e ribelle, non lo so io forse che prendi le parti del figlio d’Isai, a tua vergogna e a vergogna del seno di tua madre? Poiché fino a quando il figlio d’Isai avrà vita sulla terra non ci sarà stabilità né per te né per il tuo regno. Mandalo dunque a cercare e fallo venire da me, perché deve morire”. Gionatan rispose a Saul suo padre e gli disse: “Perché dovrebbe morire? Che ha fatto?”. Saul impugnò la lancia contro di lui per colpirlo. Allora Gionatan riconobbe che suo padre aveva deciso di far morire Davide. Acceso d’ira, si alzò dalla mensa, e non mangiò nulla il secondo giorno della luna nuova, addolorato com’era per l’offesa che suo padre aveva fatto a Davide. La mattina dopo, Gionatan uscì fuori alla campagna, al luogo fissato con Davide, e aveva con sé un ragazzetto. Disse al ragazzo: “Corri a cercare le frecce che tiro”. Mentre il ragazzo correva, tirò una freccia che passò di là da lui. Quando il ragazzo fu giunto al luogo dove era la freccia che Gionatan aveva tirato, Gionatan gli gridò dietro: “La freccia non è di là da te?”. Gionatan gridò ancora dietro al ragazzo: “Via, fa’ presto, non ti trattenere!”. Il ragazzo di Gionatan raccolse le frecce e tornò dal suo padrone. Ora il ragazzo non sapeva nulla; soltanto Gionatan e Davide sapevano di che si trattasse. Gionatan diede le sue armi al suo ragazzo e gli disse: “Va’, portale alla città”. E quando il ragazzo se ne fu andato, Davide si alzò da dietro il mucchio di pietre, si gettò con la faccia a terra e si prostrò tre volte; poi i due si baciarono l’un l’altro e piansero insieme; Davide soprattutto pianse dirottamente. Gionatan disse a Davide: “Va’ in pace, ora che abbiamo fatto entrambi questo giuramento nel nome dell’Eterno. L’Eterno sia testimone fra me e te e fra la mia progenie e la tua progenie, per sempre”. Davide si alzò e se ne andò, e Gionatan tornò in città. Davide andò a Nob dal sacerdote Aimelec; Aimelec gli venne incontro tutto tremante e gli disse: “Perché sei solo e non hai nessuno con te?”. Davide rispose al sacerdote Aimelec: “Il re mi ha dato un incarico e mi ha detto: ‘Nessuno sappia nulla dell’affare per cui ti mando e dell’ordine che ti ho dato’; e quanto alla mia gente, le ho detto di trovarsi in un certo luogo. E ora che cos’hai tu sotto mano? Dammi cinque pani o quelli che si potrà trovare”. Il sacerdote rispose a Davide, dicendo: “Non ho sotto mano del pane comune, ma c’è del pane consacrato; ma la tua gente si è almeno astenuta da contatto con donne?”. Davide rispose al sacerdote: “Da quando sono partito, tre giorni fa, siamo rimasti senza donne; e quanto ai vasi della mia gente erano puri; e se anche la nostra incombenza è profana, essa sarà oggi santificata da quello che si porrà nei vasi”. Il sacerdote gli diede dunque del pane consacrato perché non c’era altro pane tranne quello della presentazione, che era stato tolto davanti all’Eterno, per mettervi invece del pane caldo nel momento in cui si toglieva l’altro. Quel giorno, un certo uomo tra i servi di Saul si trovava là, trattenuto alla presenza dell’Eterno; si chiamava Doeg, era Edomita e capo dei pastori di Saul. Davide disse ad Aimelec: “Non hai tu qui disponibile una lancia o una spada? Perché io non ho preso con me né la mia spada né le mie armi, tanto premeva l’incarico del re”. Il sacerdote rispose: “C’è la spada di Goliat, il Filisteo, che tu uccidesti nella valle dei terebinti; è là avvolta in un panno dietro all’efod; se la vuoi prendere, prendila, perché qui non ce n’è un’altra all’infuori di questa”. Davide disse: “Nessuna è pari a quella; dammela!”. Allora Davide si alzò, e quel giorno fuggì per timore di Saul, e andò da Achis, re di Gat. I servi del re dissero ad Achis: “Non è costui Davide, il re del paese? Non è colui del quale cantavano nelle loro danze: ‘Saul ha ucciso i suoi mille, e Davide i suoi diecimila?’”. Davide si tenne in cuore queste parole ed ebbe grande timore di Achis, re di Gat. Cambiò il suo modo di fare in loro presenza, faceva il pazzo in mezzo a loro, tracciava dei segni sui battenti delle porte, e si lasciava scorrere la saliva sulla barba. Achis disse ai suoi servi: “Guardate, è un pazzo; perché me lo avete condotto? Mi mancano forse dei pazzi, che mi avete condotto questo a fare il pazzo in mia presenza? Costui non entrerà in casa mia!”. Davide partì di là e si rifugiò nella caverna di Adullam; quando i suoi fratelli e tutta la famiglia di suo padre lo seppero, scesero là per unirsi a lui. E tutti quelli che erano in ristrettezze, che avevano dei debiti o che erano scontenti, si radunarono presso di lui, ed egli divenne loro capo, ed ebbe con sé circa quattrocento uomini. Di là Davide andò a Mispa di Moab e disse al re di Moab: “Ti prego, permetti che mio padre e mia madre vengano a stare da voi, fino a quando io sappia quello che Iddio farà di me”. Egli dunque li condusse davanti al re di Moab, ed essi rimasero con lui tutto il tempo che Davide fu nella sua fortezza. Il profeta Gad disse a Davide: “Non stare più in questa fortezza; parti e recati nel paese di Giuda”. Davide allora partì, e andò nella foresta di Cheret. Saul seppe che Davide e gli uomini che erano con lui erano stati scoperti. Saul si trovava allora a Ghibea, seduto sotto la tamerice che è sull’altura; aveva in mano la lancia, e tutti i suoi servi gli stavano intorno. Saul disse ai servi che gli stavano intorno: “Ascoltate ora, Beniaminiti! Il figlio di Isai darà forse a tutti voi dei campi e delle vigne? Farà di tutti voi dei capi di migliaia e dei capi di centinaia, che avete tutti congiurato contro di me, e non c’è nessuno che mi abbia informato dell’alleanza che mio figlio ha fatto con il figlio di Isai, e non c’è nessuno di voi che mi compianga e mi informi che mio figlio ha sollevato contro di me il mio servo perché mi tenda insidie come fa oggi?”. E Doeg, l’Idumeo, il quale era preposto ai servi di Saul, rispose e disse: “Io vidi il figlio di Isai venire a Nob da Aimelec, figlio di Aitub, il quale consultò l’Eterno per lui, gli diede dei viveri, e gli diede la spada di Goliat il Filisteo”. Allora il re mandò a chiamare il sacerdote Aimelec, figlio di Aitub, e tutta la famiglia di suo padre, vale a dire i sacerdoti che erano a Nob. E tutti andarono dal re. E Saul disse: “Ora ascolta, figlio di Aitub!”. Ed egli rispose: “Eccomi, signore mio!”. E Saul gli disse: “Perché tu e il figlio d’Isai avete congiurato contro di me? Perché gli hai dato del pane e una spada e hai consultato Dio per lui affinché insorga contro di me e mi tenda insidie come fa oggi?”. Allora Aimelec rispose al re, dicendo: “E chi c’è fra tutti i tuoi servi, fedele come Davide, genero del re, pronto al tuo comando e onorato nella tua casa? Ho io forse cominciato oggi a consultare Iddio per lui? Lungi da me il pensiero di tradirti! Non imputi il re nulla di simile al suo servo o a tutta la famiglia di mio padre; perché il tuo servo non sa nessuna cosa, né piccola né grande, di tutto questo”. Il re disse: “Tu morirai senz’altro, Aimelec, tu con tutta la famiglia di tuo padre!”. E il re disse alle guardie che gli stavano intorno: “Avvicinatevi e uccidete i sacerdoti dell’Eterno, perché anche loro sono d’accordo con Davide; sapevano che egli era fuggito, e non mi hanno informato”. Ma i servi del re non vollero mettere le mani addosso ai sacerdoti dell’Eterno. Il re disse a Doeg: “Avvicinati tu, e colpisci i sacerdoti!”. E Doeg, l’Idumeo, si avvicinò, si avventò addosso ai sacerdoti e uccise in quel giorno ottantacinque persone che portavano l’efod di lino. Saul passò a fil di spada anche Nob, la città dei sacerdoti, uomini, donne, fanciulli, lattanti, buoi, asini e pecore: passò tutto a fil di spada. Tuttavia, uno dei figli di Aimelec, figlio di Aitub, di nome Abiatar, scampò e si rifugiò presso Davide. Abiatar riferì a Davide che Saul aveva ucciso i sacerdoti dell’Eterno. Davide disse ad Abiatar: “Io sapevo bene quel giorno che Doeg, l’Idumeo, era là, e che avrebbe senza dubbio avvertito Saul; io sono la causa della morte di tutte le persone della famiglia di tuo padre. Resta con me, non temere; chi cerca la mia vita cerca la tua; con me sarai al sicuro”. Poi vennero a dire a Davide: “Ecco, i Filistei hanno attaccato Cheila e saccheggiano le aie”. E Davide consultò l’Eterno, dicendo: “Devo andare a sconfiggere questi Filistei?”. L’Eterno rispose a Davide: “Va’, sconfiggi i Filistei, e salva Cheila”. Ma la gente di Davide gli disse: “Tu vedi che qui a Giuda abbiamo paura; e che sarà se andiamo a Cheila contro le schiere dei Filistei?”. Davide consultò di nuovo l’Eterno, e l’Eterno gli rispose e gli disse: “Àlzati, scendi a Cheila, perché io darò i Filistei nelle tue mani”. Davide dunque andò con la sua gente a Cheila, combatté contro i Filistei, portò via il loro bestiame e inflisse loro una grande sconfitta. Così Davide liberò gli abitanti di Cheila. - Quando Abiatar, figlio di Aimelec, si rifugiò da Davide a Cheila, portò con sé l’efod. - Saul fu informato che Davide era giunto a Cheila. E Saul disse: “Iddio lo dà nelle mie mani, poiché è venuto a rinchiudersi in una città che ha porte e sbarre”. Saul dunque convocò tutto il popolo per andare alla guerra, per scendere a Cheila e cingere d’assedio Davide e la sua gente. Ma Davide, venuto a conoscenza che Saul macchinava del male contro di lui, disse al sacerdote Abiatar: “Porta qua l’efod”. Poi disse: “Eterno, Dio d’Israele, il tuo servo ha sentito come cosa certa che Saul cerca di venire a Cheila per distruggere la città a causa mia. Gli abitanti di Cheila mi daranno nelle sue mani? Saul scenderà come il tuo servo ha sentito dire? O Eterno, Dio d’Israele, ti prego, fallo sapere al tuo servo!”. L’Eterno rispose: “Scenderà”. Davide chiese ancora: “Quelli di Cheila daranno me e la mia gente nelle mani di Saul?”. L’Eterno rispose: “Vi daranno nelle sue mani”. Allora Davide e la sua gente, circa seicento uomini, si alzarono, uscirono da Cheila e andarono qua e là a caso e Saul, avvertito che Davide era fuggito da Cheila, rinunciò alla sua spedizione. Davide rimase nel deserto in luoghi sicuri; e se ne stette nella regione montuosa del deserto di Zif. Saul lo cercava continuamente, ma Dio non glielo diede nelle mani. E Davide, sapendo che Saul si era mosso per togliergli la vita, restò nel deserto di Zif, nella foresta. Allora Gionatan, figlio di Saul, si alzò e si recò da Davide nella foresta. Egli fortificò la sua fiducia in Dio, e gli disse: “Non temere, poiché Saul, mio padre, non riuscirà a metterti le mani addosso: tu regnerai sopra Israele, e io sarò il secondo dopo di te; e lo sa bene anche Saul mio padre”. E i due fecero alleanza in presenza dell’Eterno; poi Davide rimase nella foresta, e Gionatan se ne andò a casa sua. Ora gli Zifei salirono da Saul a Ghibea e gli dissero: “Davide non sta forse nascosto fra noi, nei luoghi sicuri della foresta, sul colle di Achila che è a mezzogiorno del deserto? Scendi dunque, o re, poiché tutto il desiderio della tua anima è di scendere, e penseremo noi a darlo nelle mani del re”. Saul disse: “Siate benedetti dall’Eterno, voi che avete pietà di me! Andate, vi prego, informatevi ancora con più certezza per sapere e scoprire il luogo dove è solito fermarsi, e chi l’abbia visto là; poiché mi dicono che egli è molto astuto. Vedete di conoscere tutti i nascondigli dove lui si rifugia; poi tornate da me con notizie sicure, e io verrò con voi. Se è nel paese, io lo cercherò fra tutte le migliaia di Giuda”. Quelli dunque si alzarono e se ne andarono a Zif, davanti a Saul; ma Davide e i suoi erano nel deserto di Maon, nella pianura a mezzogiorno del deserto. Saul con la sua gente partì in cerca di Davide; ma lui, che ne fu informato, scese dalla roccia e rimase nel deserto di Maon. E quando Saul lo seppe, andò in cerca di Davide nel deserto di Maon. Saul camminava da un lato del monte e Davide con la sua gente dall’altro lato; e mentre Davide affrettava la marcia per sfuggire a Saul e Saul e la sua gente stavano per circondare Davide e i suoi per prenderli, arrivò a Saul un messaggero che disse: “Affrettati a venire, perché i Filistei hanno invaso il paese”. Così Saul cessò di inseguire Davide e andò ad affrontare i Filistei; perciò quel luogo fu chiamato Sela-Ammalecot. Poi Davide partì di là e si stabilì nelle roccaforti di En-Ghedi. Quando Saul fu tornato dall’inseguire i Filistei, gli vennero a dire: “Ecco, Davide è nel deserto di En-Ghedi”. Allora Saul prese tremila uomini scelti fra tutto Israele, e andò in cerca di Davide e della sua gente fin sulle rocce delle capre selvatiche; e giunse ai recinti di pecore che erano presso la via; là c’era una caverna, nella quale Saul entrò per fare i suoi bisogni. Davide e la sua gente se ne stavano in fondo alla caverna. La gente di Davide gli disse: “Ecco il giorno nel quale l’Eterno ti dice: ‘Vedi, io do nelle tue mani il tuo nemico; fa’ di lui quello che ti piacerà’”. Allora Davide si alzò, e senza farsi scorgere tagliò il lembo del mantello di Saul. Ma dopo il cuore gli batté per aver tagliato il lembo del mantello di Saul. E Davide disse alla sua gente: “Mi guardi l’Eterno, dall’agire contro il mio signore, che è l’unto dell’Eterno, mettendogli le mani addosso; poiché egli è l’unto dell’Eterno”. Con le sue parole Davide dissuase la sua gente, e non le permise di gettarsi su Saul. Saul si alzò, uscì dalla caverna e continuò il suo cammino. Poi anche Davide si alzò, uscì dalla caverna, e gridò dietro a Saul, dicendo: “O re, mio signore!”. Saul si guardò indietro, e Davide si inchinò con la faccia a terra e si prostrò. Davide disse a Saul: “Perché dai retta alle parole della gente che dice: ‘Davide cerca di farti del male?’. Ecco in quest’ora stessa, tu vedi con i tuoi propri occhi che l’Eterno ti aveva dato oggi nelle mie mani in quella caverna; qualcuno mi ha detto di ucciderti, ma io ti ho risparmiato, e ho detto: ‘Non metterò le mani addosso al mio signore, perché egli è l’unto dell’Eterno’. Ora, padre mio, guarda qui nella mia mano il lembo del tuo mantello. Se io ti ho tagliato il lembo del mantello e non ti ho ucciso, da questo puoi vedere chiaramente che non c’è né malvagità né ribellione nella mia condotta, e che io non ho peccato contro di te, mentre tu mi tendi insidie per togliermi la vita! L’Eterno sia giudice fra me e te e l’Eterno mi vendichi di te; ma io non ti metterò le mani addosso. Dice il proverbio antico: ‘Il male viene dai malvagi’; io quindi non ti metterò le mani addosso. Contro chi è uscito il re d’Israele? Chi stai perseguitando? Un cane morto, una pulce. L’Eterno sia dunque arbitro e giudichi fra me e te, veda e difenda la mia causa e mi renda giustizia, liberandomi dalle tue mani”. Quando Davide ebbe finito di dire queste parole a Saul, Saul disse: “Questa è la tua voce, figlio mio Davide?”. Saul alzò la voce e pianse. E disse a Davide: “Tu sei più giusto di me, poiché tu mi hai reso bene per male, mentre io ti ho reso male per bene. Tu hai mostrato oggi la bontà con la quale ti comporti verso di me; poiché l’Eterno mi aveva dato nelle tue mani, e tu non mi hai ucciso. Se uno incontra il suo nemico, lo lascia forse andare in pace? L’Eterno ti renda dunque la ricompensa del bene che mi hai fatto quest’oggi! Ora, ecco, io so che per certo tu regnerai, e che il regno d’Israele rimarrà stabile nelle tue mani. Ora dunque giurami nel nome dell’Eterno che non distruggerai la mia progenie dopo di me e che non cancellerai il mio nome dalla casa di mio padre”. Davide lo giurò a Saul. Poi Saul se ne andò a casa sua, e Davide e la sua gente risalirono alla loro roccaforte. Samuele morì e tutto Israele si radunò e fece cordoglio; lo seppellirono nella sua proprietà, a Rama. Allora Davide si alzò, e scese verso il deserto di Paran. A Maon c’era un uomo che aveva i suoi beni a Carmel; era molto ricco, aveva tremila pecore e mille capre, e si trovava a Carmel per la tosatura delle sue pecore. Quest’uomo si chiamava Nabal, e il nome di sua moglie era Abigail, donna di buon senso e di bell’aspetto; ma l’uomo era duro e malvagio nelle sue azioni; discendeva da Caleb. Davide, avendo saputo nel deserto che Nabal tosava le sue pecore, gli mandò dieci giovani, ai quali disse: “Salite a Carmel, andate da Nabal, salutatelo a nome mio, e dite così: ‘Salute! pace a te, pace alla tua casa, e pace a tutto quello che ti appartiene! Ho saputo che tu hai i tosatori; ora, i tuoi pastori sono stati con noi e noi non abbiamo fatto loro nessun oltraggio, e non gli è stato portato via nulla per tutto il tempo che sono stati a Carmel. Domandalo ai tuoi servi e te lo diranno. Questi giovani trovino dunque grazia agli occhi tuoi, poiché siamo venuti in un giorno di gioia; e da’, ti prego, ai tuoi servi e a tuo figlio Davide ciò che avrai fra le mani’”. Quando i giovani di Davide arrivarono, ripeterono a Nabal tutte queste parole in nome di Davide, poi tacquero. Ma Nabal rispose ai servi di Davide, dicendo: “Chi è Davide? E chi è il figlio di Isai? Sono molti, oggi, i servi che scappano dai loro padroni; e io dovrei prendere il mio pane, la mia acqua e la carne che ho macellato per i miei tosatori, per darli a gente che non so da dove venga?”. I giovani ripresero la loro strada, tornarono e andarono a riferire a Davide tutte queste parole. Allora Davide disse ai suoi uomini: “Ognuno di voi prenda la sua spada”. Ognuno prese la sua spada, e Davide pure prese la sua, e salirono dietro a Davide circa quattrocento uomini; duecento rimasero vicino ai bagagli. Abigail, moglie di Nabal, fu informata della cosa da uno dei suoi servi, che le disse: “Ecco, Davide ha inviato dal deserto dei messaggeri per salutare il nostro padrone e lui li ha trattati male. Eppure, quella gente è stata molto buona verso di noi; noi non abbiamo ricevuto nessun oltraggio, e non ci hanno portato via nulla per tutto il tempo che siamo andati intorno con loro quando eravamo per la campagna. Di giorno e di notte sono stati per noi come una muraglia, per tutto il tempo che siamo stati con loro pascolando le greggi. Ora dunque rifletti e vedi quello che tu debba fare; poiché è certo che avverrà un guaio al nostro padrone e a tutta la sua casa, ed egli è un uomo talmente malvagio che non gli si può parlare”. Allora Abigail prese in fretta duecento pani, due otri di vino, cinque montoni pronti da cuocere, cinque misure di grano arrostito, cento grappoli di uva passa e duecento schiacciate di fichi, e caricò ogni cosa su degli asini. Poi disse ai suoi servi: “Andate davanti a me; ecco, io vi seguirò”. Ma non disse nulla a Nabal suo marito. E mentre lei, sul dorso del suo asino, scendeva il monte per un sentiero coperto, ecco Davide e i suoi uomini che scendevano di fronte a lei, e lei li incontrò. Ora Davide aveva detto: “Ho dunque protetto invano tutto ciò che costui aveva nel deserto, in modo che nulla è mancato di tutto ciò che egli possiede; ed egli mi ha reso male per bene. Così tratti Iddio i nemici di Davide con il massimo rigore! Fra qui e lo spuntare del giorno, io non lascerò in vita un solo uomo tra tutto quello che gli appartiene”. Quando Abigail vide Davide scese in fretta dall’asino e, gettandosi con la faccia a terra, si prostrò davanti a lui. Poi, gettandosi ai suoi piedi, disse: “O mio signore, la colpa è mia! Ti prego, lascia che la tua serva parli in tua presenza e tu ascolta le parole della tua serva! Ti prego, signor mio, non fare caso a quell’uomo da nulla che è Nabal; poiché lui è ciò che dice il suo nome; si chiama Nabal, e in lui non c’è che stoltezza; ma io, la tua serva, non vidi i giovani mandati dal mio signore. Ora dunque, signor mio, com’è vero che vive l’Eterno e che vive l’anima tua, l’Eterno ti ha impedito di spargere il sangue e di farti giustizia con le tue proprie mani. I tuoi nemici e quelli che vogliono fare del male al mio signore, siano come Nabal! Adesso, ecco questo regalo che la tua serva porta al mio signore; sia dato ai giovani che seguono il mio signore. Ti prego, perdona lo sbaglio della tua serva; poiché per certo l’Eterno renderà stabile la casa del mio signore, perché il mio signore combatte le battaglie dell’Eterno, e in tutto il tempo della tua vita non si è trovata malvagità in te. Se mai sorgesse alcuno a perseguitarti e ad attentare alla tua vita, la vita del mio signore sarà custodita nello scrigno della vita presso l’Eterno, che è il tuo Dio; ma la vita dei tuoi nemici l’Eterno la lancerà via, come dal cavo di una fionda. E quando l’Eterno avrà fatto al mio signore tutto il bene che ti ha promesso e ti avrà stabilito come capo sopra Israele, il mio signore non avrà questo dolore e questo rimorso di avere sparso del sangue senza motivo e di essersi fatto giustizia da sé. E quando l’Eterno avrà fatto del bene al mio signore, ricordati della tua serva”. Davide disse ad Abigail: “Sia benedetto l’Eterno, l’Iddio d’Israele, che oggi ti ha mandato incontro a me! E sia benedetto il tuo senno, e benedetta sia tu che oggi mi hai impedito di spargere del sangue e di farmi giustizia con le mie mani! Poiché certo, com’è vero che vive l’Eterno, l’Iddio d’Israele, che mi ha impedito di farti del male, se tu non ti fossi affrettata a venirmi incontro, fra qui e lo spuntare del giorno a Nabal non sarebbe rimasto un solo uomo”. Davide quindi ricevette dalle mani di lei quello che lei aveva portato, e le disse: “Risali in pace a casa tua; vedi, io ho dato ascolto alla tua voce, e ho avuto riguardo per te”. Abigail andò da Nabal; ed ecco che egli faceva un banchetto in casa sua, un banchetto da re. Nabal aveva il cuore allegro, perché era completamente ubriaco; perciò lei non gli fece sapere nessuna cosa, piccola o grande, fino allo spuntare del giorno. Ma la mattina, quando gli fu passata l’ubriachezza, la moglie raccontò a Nabal queste cose; allora gli si freddò il cuore, ed egli rimase come di pietra. Circa dieci giorni dopo, l’Eterno colpì Nabal, ed egli morì. Quando Davide seppe che Nabal era morto, disse: “Sia benedetto l’Eterno, che mi ha reso giustizia dell’offesa che mi ha fatto Nabal, e ha preservato il suo servo dal fare del male! L’Eterno ha fatto ricadere la malvagità di Nabal sul suo capo!”. Poi Davide mandò dei messaggeri ad Abigail per proporle di diventare sua moglie. E i servi di Davide andarono da Abigail a Carmel, e le parlarono così: “Davide ci ha mandati da te, perché vuole prenderti in moglie”. Allora lei si alzò, si prostrò con la faccia a terra, e disse: “Ecco, la tua serva farà da schiava, per lavare i piedi ai servi del mio signore”. Abigail si alzò in fretta, montò sopra un asino e, con cinque fanciulle, seguì i messaggeri di Davide e divenne sua moglie. Davide sposò anche Ainoam di Izreel, ed entrambe furono sue mogli. Saul aveva dato Mical sua figlia, moglie di Davide, a Palti, figlio di Lais, che era di Gallim. Gli Zifei andarono da Saul a Ghibea e gli dissero: “Davide è nascosto sulla collina di Achila di fronte al deserto”. Allora Saul si alzò e scese nel deserto di Zif avendo con sé tremila uomini scelti d’Israele, per cercare Davide nel deserto di Zif. E Saul si accampò sulla collina di Achila che è di fronte al deserto, presso la strada. E Davide, che stava nel deserto, avendo saputo che Saul veniva nel deserto per cercarlo, mandò delle spie, e seppe con certezza che Saul era giunto. Allora Davide si alzò, arrivò al luogo dove si era accampato Saul, e notò il luogo dove erano coricati Saul e Abner, il figlio di Ner, capo del suo esercito. Saul stava coricato nel parco dei carri, e la sua gente era accampata intorno a lui. Davide prese a dire ad Aimelec, l’Ittita, e ad Abisai, figlio di Seruia, fratello di Ioab: “Chi scenderà con me verso Saul nel campo?”. E Abisai rispose: “Scenderò io con te”. Davide e Abisai dunque andarono di notte da quella gente; ed ecco che Saul riposava addormentato nel parco dei carri, con la sua lancia conficcata a terra, dalla parte della testa; e Abner e la sua gente gli stavano coricati intorno. Allora Abisai disse a Davide: “Oggi Iddio ha messo il tuo nemico nelle tue mani; ora lascia, ti prego, che io lo colpisca con la lancia e lo inchiodi a terra con un colpo solo e non ci sarà bisogno di un secondo”. Ma Davide disse ad Abisai: “Non lo ammazzare; chi potrebbe mettere le mani addosso all’unto dell’Eterno senza rendersi colpevole?”. Poi Davide aggiunse: “Com’è vero che l’Eterno vive, soltanto l’Eterno sarà colui che lo colpirà, sia che venga il suo giorno e muoia, sia che scenda in campo di battaglia e perisca. Mi guardi l’Eterno dal mettere le mani addosso all’unto dell’Eterno! Prendi ora soltanto, ti prego, la lancia che è vicino alla sua testa e la brocca dell’acqua, e andiamocene”. Davide dunque prese la lancia e la brocca dell’acqua che Saul aveva vicino alla sua testa, e se ne andarono. Nessuno vide la cosa né si accorse di nulla; e nessuno si svegliò, tutti dormivano, perché l’Eterno aveva fatto cadere su di loro un sonno profondo. Poi Davide passò dalla parte opposta e si fermò in lontananza sulla cima del monte, a grande distanza dall’accampamento di Saul; e gridò alla gente di Saul e ad Abner, figlio di Ner: “Non rispondi, Abner?”. Abner rispose e disse: “Chi sei tu che gridi al re?”. Davide disse ad Abner: “Non sei tu un valoroso? E chi è pari a te in Israele? Perché dunque non hai fatto buona guardia al re, tuo signore? Poiché uno del popolo è venuto per ammazzare il re tuo signore. Ciò che hai fatto non va bene. Com’è vero che l’Eterno vive, meritate la morte, voi che non avete fatto buona guardia al vostro signore, all’unto dell’Eterno! E ora guarda dov’è la lancia del re e dov’è la brocca dell’acqua che stava vicino alla sua testa!”. Saul riconobbe la voce di Davide e disse: “Questa è la tua voce, figlio mio Davide?”. Davide rispose: “È la mia voce, o re, mio signore!”. Poi aggiunse: “Perché il mio signore perseguita il suo servo? Che ho fatto? Che male ho commesso? Ora dunque, il re mio signore, si degni di ascoltare le parole del suo servo. Se l’Eterno è colui che ti incita contro di me, accetti egli un’oblazione! Ma se sono gli uomini, siano essi maledetti davanti all’Eterno, poiché oggi mi hanno cacciato per separarmi dall’eredità dell’Eterno, dicendomi: ‘Va’ a servire a degli dèi stranieri!’. Ora dunque il mio sangue non cada a terra lontano dalla presenza dell’Eterno! Poiché il re d’Israele è uscito per andare in cerca di una pulce, come si va dietro a una pernice su per i monti”. Allora Saul disse: “Ho peccato; torna, figlio mio Davide, poiché io non ti farò più nessun male, poiché oggi la mia vita è stata preziosa ai tuoi occhi; ecco, io ho agito da stolto, e ho commesso un grande errore”. Davide rispose: “Ecco la lancia del re; uno dei tuoi giovani passi qua a prenderla. L’Eterno retribuirà ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà; poiché oggi l’Eterno ti aveva dato nelle mie mani e io non ho voluto mettere le mani addosso all’unto dell’Eterno. E come è stata preziosa oggi la tua vita ai miei occhi, così sarà preziosa la mia vita agli occhi dell’Eterno; ed egli mi libererà da ogni tribolazione”. E Saul disse a Davide: “Sia tu benedetto, figlio mio Davide. Tu agirai da forte, e sarai certamente vittorioso”. Davide continuò il suo cammino, e Saul tornò a casa sua. Davide disse nel suo cuore: “Un giorno o l’altro io morirò per mano di Saul; non c’è nulla di meglio per me che rifugiarmi nel paese dei Filistei, in modo che Saul, persa ogni speranza, finisca di cercarmi per tutto il territorio d’Israele; così scamperò dalle sue mani”. Davide dunque si alzò e con i seicento uomini che aveva con sé, si recò da Achis, figlio di Maoc, re di Gat. Davide abitò con Achis a Gat, lui e la sua gente, ciascuno con la propria famiglia. Davide aveva con sé le sue due mogli: Ainoam, di Izreel, e Abigail, di Carmel, che era stata moglie di Nabal. E Saul, informato che Davide era fuggito a Gat, smise di cercarlo. Davide disse ad Achis: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mi sia dato un luogo dove io possa stabilirmi, in una delle città della campagna; e perché il tuo servo dovrebbe abitare con te nella città reale?”. Achis, in quel giorno, gli diede Siclag; perciò Siclag è appartenuta ai re di Giuda fino al giorno d’oggi. Il tempo che Davide rimase nel paese dei Filistei fu di un anno e quattro mesi. Davide e la sua gente salivano e facevano delle scorrerie nel paese dei Ghesuriti, dei Ghirziti e degli Amalechiti; poiché queste popolazioni da tempi antichi abitavano il paese, dal lato di Sur fino al paese d’Egitto. Davide devastava il paese, non lasciava in vita né uomo né donna e prendeva pecore, buoi, asini, cammelli e indumenti; poi ritornava e andava da Achis. Achis domandava: “Dove avete fatto la scorreria quest’oggi?”. E Davide rispondeva: “Verso il sud di Giuda, verso il sud degli Ierameeliti e verso il sud dei Chenei”. E Davide non lasciava in vita né uomo né donna per condurli a Gat, poiché diceva: “Potrebbero parlare contro di noi e dire: ‘Davide ha fatto così’”. Questo fu il suo modo di agire tutto il tempo che dimorò nel paese dei Filistei. Achis aveva fiducia in Davide e diceva: “Egli si rende odioso a Israele, suo popolo; e così sarà mio servo per sempre”. In quei giorni i Filistei radunarono i loro eserciti per fare guerra a Israele. E Achis disse a Davide: “Sappi che verrai certamente con me alla guerra, tu e la tua gente”. Davide rispose ad Achis: “E tu vedrai quello che il tuo servo farà”. E Achis a Davide: “E io ti affiderò per sempre la guardia della mia persona”. Ora Samuele era morto; tutto Israele aveva fatto cordoglio e lo avevano sepolto a Rama, nella sua città. Saul aveva cacciato dal paese gli evocatori di spiriti e gli indovini. I Filistei si radunarono e andarono ad accamparsi a Sunem. Anche Saul radunò tutto Israele, e si accamparono a Ghilboa. Quando Saul vide l’accampamento dei Filistei ebbe paura e il cuore gli tremò forte. Saul consultò l’Eterno, ma l’Eterno non gli rispose né per mezzo di sogni, né mediante l’Urim, né attraverso dei profeti. Allora Saul disse ai suoi servi: “Cercatemi una donna che sappia evocare gli spiriti e io andrò da lei a consultarla”. I servi gli dissero: “Ecco, a En-Dor c’è una donna che evoca gli spiriti”. Allora Saul si camuffò, si mise altri abiti, e partì accompagnato da due uomini. Giunsero di notte dalla donna, e Saul le disse: “Dimmi il futuro, ti prego, evocando uno spirito, e fammi salire colui che ti dirò”. La donna gli rispose: “Ecco, tu sai quello che Saul ha fatto, come ha sterminato dal paese gli evocatori di spiriti e gli indovini; perché dunque tendi un’insidia alla mia vita per farmi morire?”. Saul le giurò per l’Eterno dicendo: “Com’è vero che l’Eterno vive, non ti toccherà nessuna punizione per questo!”. Allora la donna gli disse: “Chi debbo farti salire?”. Egli rispose: “Fammi salire Samuele”. E quando la donna vide Samuele elevò un gran grido e disse a Saul: “Perché mi hai ingannata? Tu sei Saul!”. Il re le disse: “Non temere; ma che cosa vedi?”. E la donna a Saul: “Vedo un essere sovrumano che esce da sotto terra”. Ed egli a lei: “Che forma ha?”. Lei rispose: “È un vecchio che sale ed è avvolto in un mantello”. Allora Saul comprese che era Samuele, si chinò con la faccia a terra e gli si prostrò dinanzi. Samuele disse a Saul: “Perché mi hai disturbato, facendomi salire?”. Saul rispose: “Io sono in grande difficoltà, poiché i Filistei mi fanno guerra, e Dio si è ritirato da me e non mi risponde più né mediante i profeti né per mezzo di sogni; perciò ti ho chiamato perché tu mi faccia sapere quello che devo fare”. Samuele disse: “Perché consulti me, mentre l’Eterno si è ritirato da te ed è diventato tuo avversario? L’Eterno ha agito come aveva annunciato attraverso di me; l’Eterno ti strappa dalle mani il regno e lo dà a un altro, a Davide, perché non hai ubbidito alla voce dell’Eterno e non hai lasciato sfogare l’ardore della sua ira contro Amalec; perciò l’Eterno oggi ti tratta così. E l’Eterno darà anche Israele con te nelle mani dei Filistei, e domani tu e i tuoi figli sarete con me; l’Eterno darà pure il campo d’Israele nelle mani dei Filistei”. Allora Saul cadde all’istante lungo disteso a terra, perché spaventato dalle parole di Samuele; inoltre era senza forza, perché non aveva preso cibo tutto quel giorno e tutta quella notte. La donna si avvicinò a Saul; e vedendolo tutto terrorizzato, gli disse: “Ecco, la tua serva ha ubbidito alla tua voce; io ho messo a repentaglio la mia vita per ubbidire alle parole che mi hai detto. Ora dunque anche tu ascolta la voce della tua serva, e lascia che io ti metta davanti un boccone di pane; mangia per prendere forza se vuoi rimetterti in viaggio”. Ma egli rifiutò e disse: “Non mangerò”. I suoi servi, però, insistettero insieme alla donna, ed egli si arrese alle loro istanze; si alzò da terra e si pose a sedere sul letto. La donna aveva in casa un vitello ingrassato, che si affrettò ad ammazzare; poi prese della farina, la impastò e fece dei pani senza lievito; mise quei cibi davanti a Saul e ai suoi servi, e quelli mangiarono, poi si alzarono e ripartirono quella stessa notte. I Filistei radunarono tutte le loro truppe ad Afec, e gli Israeliti si accamparono presso la sorgente di Izreel. I principi dei Filistei marciavano alla testa delle loro centinaia e delle loro migliaia, e Davide e la sua gente marciavano alla retroguardia con Achis. Allora i capi dei Filistei dissero: “Che fanno qui questi Ebrei?”. E Achis rispose ai capi dei Filistei: “Ma costui è Davide, servo di Saul re d’Israele, che è stato presso di me da giorni, anzi da anni, e contro il quale non ho avuto nulla da ridire dal giorno della sua diserzione a oggi!”. Ma i capi dei Filistei si adirarono contro di lui, e gli dissero: “Rimanda costui e se ne ritorni al luogo che tu gli hai assegnato, e non scenda con noi alla battaglia, affinché non sia per noi un nemico durante la battaglia. Poiché come potrebbe costui riacquistare il favore del suo signore, se non a prezzo delle teste di questi nostri uomini? Non è lui quel Davide di cui si cantava in mezzo alle danze: ‘Saul ha ucciso i suoi mille, e Davide i suoi diecimila?’”. Allora Achis chiamò Davide e gli disse: “Com’è vero che l’Eterno vive, tu sei un uomo retto, e vedo con piacere il tuo andare e venire con me nel campo, poiché non ho trovato in te nulla di male dal giorno che arrivasti da me fino a oggi; ma tu non piaci ai principi. Ora dunque, torna indietro e vattene in pace, per non dispiacere i principi dei Filistei”. Davide disse ad Achis: “Ma che ho mai fatto? e che hai tu trovato nel tuo servo, in tutto il tempo che sono stato presso di te fino al giorno d’oggi, perché io non debba andare a combattere contro i nemici del re, mio signore?”. Achis rispose a Davide, dicendo: “Lo so; tu sei caro agli occhi miei come un angelo di Dio; ma i principi dei Filistei hanno detto: ‘Lui non deve salire con noi alla battaglia!’. Ora dunque, àlzati domattina di buon’ora, con i servi del tuo signore che sono venuti con te; alzatevi di buon mattino e appena farà giorno, andatevene”. Davide dunque con la sua gente si alzò di buon’ora, per partire al mattino e tornare nel paese dei Filistei. E i Filistei salirono a Izreel. Tre giorni dopo, quando Davide e la sua gente furono giunti a Siclag, ecco che gli Amalechiti avevano fatto una scorreria verso il sud e verso Siclag; avevano preso Siclag e l’avevano incendiata; avevano fatto prigionieri le donne e tutti quelli che vi si trovavano, piccoli e grandi; non avevano ucciso nessuno, ma avevano portato via tutti, e se ne erano tornati da dove erano venuti. Quando Davide e la sua gente giunsero alla città, ecco che essa era distrutta dal fuoco, e le loro mogli, i loro figli e le loro figlie erano stati portati via prigionieri. Allora Davide e tutti quelli che erano con lui alzarono la voce e piansero, finché non ebbero più forza di piangere. Le due mogli di Davide, Ainoam di Izreel e Abigail di Carmel che era stata moglie di Nabal, erano anche loro prigioniere. Davide fu grandemente angosciato perché la gente parlava di lapidarlo, essendo l’animo di tutti amareggiato a causa dei loro figli e delle loro figlie; ma Davide si fortificò nell’Eterno, nel suo Dio. Davide disse al sacerdote Abiatar, figlio di Aimelec: “Ti prego, portami qua l’efod”. E Abiatar portò l’efod a Davide. Davide consultò l’Eterno, dicendo: “Devo inseguire questa banda di predoni? la raggiungerò?”. L’Eterno rispose: “Inseguila, poiché certamente la raggiungerai, e potrai recuperare ogni cosa”. Davide dunque andò con i seicento uomini che aveva con sé, e giunsero al torrente Besor, dove quelli che erano rimasti indietro si fermarono: ma Davide continuò l’inseguimento con quattrocento uomini: duecento erano rimasti indietro, troppo stanchi per poter attraversare il torrente Besor. Trovarono nella campagna un Egiziano, e lo condussero a Davide. Gli diedero del pane che egli mangiò e dell’acqua da bere; e gli diedero un pezzo di schiacciata di fichi secchi e due grappoli d’uva. Quando egli ebbe mangiato, si riprese, perché non aveva mangiato pane né bevuto acqua per tre giorni e tre notti. Davide gli chiese: “A chi appartieni? e di dove sei?”. Egli rispose: “Sono un giovane Egiziano, servo di un Amalechita; e il mio padrone mi ha abbandonato perché tre giorni fa caddi malato. Abbiamo fatto una scorreria nella regione meridionale dei Cheretei, sul territorio di Giuda e nella regione meridionale di Caleb, e abbiamo incendiato Siclag”. Davide gli disse: “Vuoi condurmi giù dov’è quella banda?”. Egli rispose: “Giurami per il nome di Dio che non mi ucciderai e non mi darai nelle mani del mio padrone, e io ti condurrò giù dov’è quella banda”. Quando egli l’ebbe condotto là, ecco che gli Amalechiti erano sparsi dappertutto per la campagna, mangiando, bevendo e facendo festa, a motivo del gran bottino che avevano portato via dal paese dei Filistei e dal paese di Giuda. Davide diede loro addosso dalla sera di quel giorno fino alla sera del giorno dopo; e non ne scampò uno, tranne quattrocento giovani, che montarono su dei cammelli e fuggirono. Davide recuperò tutto quello che gli Amalechiti avevano portato via e liberò anche le sue due mogli. E non mancò nessuno, né dei piccoli né dei grandi, né dei figli né delle figlie, e nulla del bottino, né nessun’altra cosa che gli Amalechiti avessero preso. Davide ricondusse via tutto. Davide riprese anche tutte le greggi e tutte le mandrie; e quelli che conducevano questo bestiame e camminavano alla sua testa, dicevano: “Questo è il bottino di Davide!”. Poi Davide tornò verso quei duecento uomini che per la grande stanchezza non avevano potuto stargli dietro e che egli aveva fatto rimanere al torrente Besor. Quelli si fecero avanti incontro a Davide e alla gente che era con lui. Davide, accostatosi a loro, li salutò. Allora tutti i tristi e i perversi fra gli uomini che erano andati con Davide, presero a dire: “Poiché costoro non sono venuti con noi, non gli daremo nulla del bottino che abbiamo recuperato; tranne a ciascuno di loro la propria moglie e i propri figli; se li portino via e se ne vadano!”. Ma Davide disse: “Non fate così, fratelli miei, riguardo alle cose che l’Eterno ci ha date: Lui che ci ha protetti e ha dato nelle nostre mani la banda che era venuta contro di noi. Chi vi darebbe retta in questa proposta? La parte di chi scende alla battaglia dev’essere uguale alla parte di colui che rimane vicino ai bagagli; faranno tra loro parti uguali”. Da quel giorno in poi si fece così; Davide ne fece in Israele una legge e una norma, che sono durate fino al giorno d’oggi. Quando Davide fu tornato a Siclag, mandò parte di quel bottino agli anziani di Giuda, suoi amici, dicendo: “Eccovi un dono che viene dal bottino preso ai nemici dell’Eterno”. Ne mandò a quelli di Betel, a quelli di Bamot della regione meridionale, a quelli di Iattir, a quelli di Aroer, a quelli di Simot, a quelli di Estemoa, a quelli di Racal, a quelli delle città degli Ierameeliti, a quelli delle città dei Chenei, a quelli di Corma, a quelli di Cor-Asan, a quelli di Atac, a quelli di Ebron, e a quelli di tutti i luoghi che Davide e la sua gente avevano percorso. I Filistei si disposero in battaglia contro Israele, e gli Israeliti fuggirono davanti ai Filistei, e caddero morti in gran numero sul monte Ghilboa. I Filistei inseguirono accanitamente Saul e i suoi figli e uccisero Gionatan, Abinadab e Malchisua, figli di Saul. Il peso della battaglia gravò contro Saul; gli arcieri lo raggiunsero, ed egli si trovò in grande angoscia a causa degli arcieri. Saul disse al suo scudiero: “Sfodera la spada e trafiggimi, affinché questi incirconcisi non vengano a trafiggermi e a farmi oltraggio”. Ma lo scudiero non volle farlo, perché era preso da grande paura. Allora Saul prese la propria spada e vi si gettò sopra. Anche lo scudiero di Saul, vedendolo morto, si gettò sulla propria spada e morì con lui. Così, in quel giorno, morirono insieme Saul, i suoi tre figli, il suo scudiero e tutta la sua gente. Quando gli Israeliti che stavano dall’altra parte della valle, e oltre il Giordano, videro che la gente d’Israele si era data alla fuga e che Saul e i suoi figli erano morti, abbandonarono le città e fuggirono; e i Filistei andarono ad abitarle. L’indomani i Filistei vennero a spogliare i morti e trovarono Saul e i suoi tre figli caduti sul monte Ghilboa. Tagliarono la testa a Saul, lo spogliarono delle sue armi e mandarono intorno per il paese dei Filistei ad annunciare la buona notizia nei templi dei loro idoli e al popolo; e collocarono le armi di lui nel tempio di Astarte, e appesero il suo cadavere alle mura di Bet-San. Ma quando gli abitanti di Iabes di Galaad udirono quello che i Filistei avevano fatto a Saul, tutti gli uomini valorosi si alzarono, camminarono tutta la notte, tolsero dalle mura di Bet-San il cadavere di Saul e i cadaveri dei suoi figli, tornarono a Iabes e là li bruciarono. Poi presero le loro ossa, le seppellirono sotto la tamerice di Iabes, e digiunarono per sette giorni. Dopo la morte di Saul, Davide, tornato dalla sconfitta degli Amalechiti, si fermò due giorni a Siclag. Al terzo giorno, ecco arrivare dall’accampamento di Saul, un uomo con le vesti stracciate e con il capo sparso di polvere, il quale, giunto alla presenza di Davide, si gettò in terra e gli si prostrò dinanzi. Davide gli chiese: “Da dove vieni?”. L’altro gli rispose: “Sono fuggito dall’accampamento d’Israele”. Davide gli disse: “Che è successo? dimmelo, ti prego”. Egli rispose: “Il popolo è fuggito dal campo di battaglia, e molti uomini sono caduti e sono morti; anche Saul e Gionatan, suo figlio, sono morti”. Davide domandò al giovane che gli raccontava queste cose: “Come sai che sono morti Saul e Gionatan, suo figlio?”. Il giovane che gli raccontava queste cose, disse: “Mi trovavo per caso sul monte Ghilboa e vidi Saul che si appoggiava sulla sua lancia e i carri e i cavalieri stavano per raggiungerlo. Lui si voltò indietro, mi vide e mi chiamò. Io risposi: ‘Eccomi’. Mi chiese: ‘Chi sei tu?’. Io gli risposi: ‘Sono un Amalechita’. Lui mi disse: ‘Avvicinati e uccidimi, poiché mi ha preso la vertigine, ma sono sempre vivo’. Io dunque mi avvicinai e lo uccisi, perché sapevo che, una volta caduto, non avrebbe potuto vivere. Poi presi il diadema che aveva in testa e il braccialetto che aveva al braccio e li ho portati qui al mio signore”. Allora Davide prese le sue vesti e le stracciò; e lo stesso fecero tutti gli uomini che erano con lui. E fecero cordoglio e piansero e digiunarono fino a sera, a causa di Saul, di Gionatan, suo figlio, del popolo dell’Eterno e della casa d’Israele, perché erano caduti per la spada. Poi Davide chiese al giovane che gli aveva raccontato quelle cose: “Di dove sei tu?”. Egli rispose: “Sono figlio di uno straniero, di un Amalechita”. E Davide gli disse: “Come mai non hai temuto di stendere la mano per uccidere l’unto dell’Eterno?”. Poi chiamò uno dei suoi uomini, e gli disse: “Avvicinati e colpisci costui!”. Quello lo colpì, ed egli morì. Davide gli disse: “Il tuo sangue ricada sul tuo capo, poiché la tua bocca ha testimoniato contro di te quando hai detto: ‘Io ho ucciso l’unto dell’Eterno’”. Allora Davide compose questa elegia su Saul e su Gionatan, suo figlio, e ordinò che fosse insegnata ai figli di Giuda. È l’elegia dell’arco. Si trova scritta nel Libro del Giusto: “Il fiore dei tuoi figli, o Israele, giace ucciso sulle tue alture! Come mai sono caduti quei prodi? Non portate la notizia a Gat, non lo pubblicate per le strade di Ascalon; le figlie dei Filistei ne gioirebbero, le figlie degli incirconcisi ne farebbero festa. O monti di Ghilboa, su di voi non cada più né rugiada né pioggia, né ci siano più campi per le offerte; poiché là fu gettato via lo scudo dei prodi, lo scudo di Saul, che l’olio non ungerà più. L’arco di Gionatan non tornava mai dalla battaglia senza avere sparso sangue di uccisi, senza aver trafitto grasso di prodi; e la spada di Saul non tornava indietro senza avere colpito. Saul e Gionatan, tanto amati e cari, mentre erano in vita, non sono stati divisi nella loro morte. Erano più veloci delle aquile, più forti dei leoni! Figlie d’Israele, piangete su Saul, che vi rivestiva deliziosamente di scarlatto, che alle vostre vesti metteva degli ornamenti d’oro. Come mai sono caduti i prodi in mezzo alla battaglia? Come mai venne ucciso Gionatan sulle tue alture? Io sono in angoscia a causa tua, o Gionatan, fratello mio; tu mi eri molto caro e il tuo amore per me era più meraviglioso dell’amore delle donne. Come mai sono caduti i prodi? come mai sono state infrante le loro armi?”. Dopo questo, Davide consultò l’Eterno, dicendo: “Devo salire in qualcuna delle città di Giuda?”. L’Eterno gli rispose: “Sali”. Davide chiese: “Dove salirò?”. L’Eterno rispose: “A Ebron”. Davide dunque salì con le sue due mogli, Ainoam di Izreel, e Abigail di Carmel che era stata moglie di Nabal. Davide vi condusse pure la gente che era con lui, ciascuno con la sua famiglia, e si stabilirono nelle città di Ebron. Gli uomini di Giuda vennero e là unsero Davide come re della casa di Giuda. Fu riferito a Davide che erano stati gli uomini di Iabes di Galaad a seppellire Saul. Allora Davide inviò dei messaggeri agli uomini di Iabes di Galaad, e fece dire loro: “Siate benedetti dall’Eterno, voi che avete mostrato questa benignità verso Saul, vostro signore, dandogli sepoltura! Ora l’Eterno mostri a voi la sua benignità e la sua fedeltà! E anch’io vi farò del bene, perché avete agito così. Ora dunque le vostre mani si rafforzino, e siate valorosi; poiché Saul è morto, ma la casa di Giuda mi ha unto come re su di essa”. Intanto Abner, figlio di Ner, capo dell’esercito di Saul, prese Is-Boset, figlio di Saul, lo fece passare a Maanaim e lo costituì re di Galaad, degli Asuriti, di Izreel, di Efraim, di Beniamino e di tutto Israele. Is-Boset, figlio di Saul, aveva quarant’anni quando cominciò a regnare sopra Israele, e regnò due anni. Ma la casa di Giuda seguì Davide. Il tempo che Davide regnò a Ebron sulla casa di Giuda fu di sette anni e sei mesi. Abner, figlio di Ner, e la gente di Is-Boset, figlio di Saul, uscirono da Maanaim per marciare verso Gabaon. Anche Ioab, figlio di Seruia e la gente di Davide si misero in marcia. Si incontrarono presso lo stagno di Gabaon, e si fermarono gli uni da un lato, gli altri dall’altro dello stagno. Allora Abner disse a Ioab: “Vengano dei giovani, e duellino con la spada in nostra presenza!”. E Ioab rispose: “Vengano pure!”. Quelli dunque vennero, e si fecero avanti in numero uguale: dodici per Beniamino e per Is-Boset, figlio di Saul, e dodici della gente di Davide. E ciascuno di loro, preso l’avversario per la testa, gli piantò la spada nel fianco; così caddero tutti insieme. Perciò quel luogo, che è presso Gabaon, fu chiamato Chelcat-Asurim. In quel giorno ci fu una battaglia molto dura, nella quale Abner con la gente d’Israele fu sconfitto dalla gente di Davide. Là c’erano i tre figli di Seruia, Ioab, Abisai e Asael; e Asael era veloce come una gazzella della campagna. Asael si mise a inseguire Abner e non si voltava né a destra né a sinistra. Abner, guardandosi alle spalle, disse: “Sei tu, Asael?”. Egli rispose: “Sono io”. E Abner gli disse: “Voltati a destra o a sinistra, afferra uno di quei giovani, e prenditi le sue spoglie!”. Ma Asael non volle cessare di inseguirlo. E Abner di nuovo gli disse: “Smetti di inseguirmi! Perché obbligarmi a inchiodarti al suolo? Come potrei poi alzare la fronte davanti a tuo fratello Ioab?”. Ma lui si rifiutò di cambiare strada; allora Abner con l’estremità inferiore della lancia lo colpì al ventre, e la lancia lo trapassò. Asael cadde e morì in quello stesso luogo; e quanti passavano dal punto dove era caduto morto, si fermavano. Ma Ioab e Abisai inseguirono Abner; e il sole tramontava quando giunsero al colle di Amma, che è di fronte a Ghia, sulla via del deserto di Gabaon. I figli di Beniamino si radunarono dietro ad Abner, formarono un gruppo, e si collocarono in cima a una collina. Allora Abner chiamò Ioab e disse: “La spada divorerà per sempre? Non sai che alla fine ci sarà dell’amaro? Quando verrà dunque il momento che ordinerai al popolo di non dare più la caccia ai suoi fratelli?”. Ioab rispose: “Com’è vero che Dio vive, se tu non avessi parlato, il popolo non avrebbe smesso di inseguire i suoi fratelli prima di domani mattina”. Allora Ioab suonò la tromba e tutto il popolo si fermò, senza più inseguire Israele, e smise di combattere. Abner e la sua gente camminarono tutta quella notte per la campagna, passarono il Giordano, attraversarono tutto il Bitron e giunsero a Maanaim. Anche Ioab tornò dall’inseguimento di Abner e, radunato tutto il popolo, risultò che della gente di Davide mancavano diciannove uomini e Asael. Ma la gente di Davide aveva ucciso trecentosessanta uomini dei Beniaminiti e della gente di Abner. Portarono via Asael e lo seppellirono nel sepolcro di suo padre, a Betlemme. Poi Ioab e la sua gente camminarono tutta la notte; giunsero a Ebron mentre spuntava il giorno. La guerra fra la casa di Saul e la casa di Davide fu lunga. Davide si faceva sempre più forte, mentre la casa di Saul si indeboliva. A Davide nacquero dei figli a Ebron. Il suo primogenito fu Amnon, di Ainoam, di Izreel; il secondo fu Chileab di Abigail, di Carmel, che era stata moglie di Nabal; il terzo fu Absalom, figlio di Maaca, figlia di Talmai, re di Ghesur; il quarto fu Adonia, figlio di Agghit; il quinto fu Sefatia, figlio di Abital, e il sesto fu Itream, figlio di Egla, moglie di Davide. Questi nacquero a Davide in Ebron. Durante la guerra fra la casa di Saul e la casa di Davide, Abner si tenne costantemente dalla parte della casa di Saul. Saul aveva avuto una concubina di nome Rispa, figlia di Aia e Is-Boset disse ad Abner: “Perché sei andato dalla concubina di mio padre?”. Abner si adirò moltissimo per le parole di Is-Boset, e rispose: “Sono forse la testa di un cane di quelli di Giuda? Fino a oggi ho dato prova di benevolenza verso la casa di Saul tuo padre, verso i suoi fratelli e i suoi amici, non ti ho dato nelle mani di Davide, e proprio oggi tu mi rimproveri l’errore commesso con questa donna! Iddio tratti Abner con il massimo rigore, se io non faccio per Davide tutto quello che l’Eterno gli ha promesso con giuramento, trasferendo il regno dalla casa di Saul alla sua, e stabilendo il trono di Davide su Israele e su Giuda, da Dan fino a Beer-Sceba”. E Is-Boset non poté rispondere una parola ad Abner, perché aveva paura di lui. Allora Abner spedì dei messaggeri a Davide per dirgli: “A chi appartiene il paese?” e “Fa’ alleanza con me e il mio braccio sarà al tuo servizio per volgere dalla tua parte tutto Israele”. Davide rispose: “Sta bene, io farò alleanza con te; ma una sola cosa ti chiedo, ed è che tu non ti presenti davanti a me senza condurmi Mical, figlia di Saul, quando comparirai davanti a me”. Davide spedì dei messaggeri a Is-Boset, figlio di Saul, per dirgli: “Restituisci Mical, mia moglie, con la quale io mi fidanzai a prezzo di cento prepuzi di Filistei”. Is-Boset la mandò a prendere dal marito Paltiel, figlio di Lais. E il marito andò con lei, la accompagnò piangendo, e la seguì fino a Baurim. Poi Abner gli disse: “Va’, torna indietro!”. E lui se ne ritornò. Intanto Abner entrò in trattative con gli anziani d’Israele, dicendo: “Già da lungo tempo state cercando di avere Davide come vostro re, ora è tempo di agire; poiché l’Eterno ha parlato di lui e ha detto: ‘Per mezzo di Davide, mio servo, io salverò il mio popolo Israele dalle mani dei Filistei e da quelle di tutti i suoi nemici’”. Abner parlò pure con quelli di Beniamino; quindi andò anche a trovare Davide a Ebron per metterlo al corrente di tutto quello che Israele e tutta la casa di Beniamino avevano deciso. Abner giunse a Ebron presso Davide, accompagnato da venti uomini; e Davide fece un convito ad Abner e agli uomini che erano con lui. Poi Abner disse a Davide: “Io mi alzerò e andrò a radunare tutto Israele presso il re mio signore, affinché essi facciano alleanza con te e tu regni su tutto quello che il tuo cuore desidera”. Così Davide congedò Abner, che se ne andò in pace. Ed ecco che la gente di Davide e Ioab tornavano da una scorreria, portando con sé un grande bottino; ma Abner non era più con Davide a Ebron, poiché questi lo aveva congedato e lui se n’era andato in pace. Quando Ioab e tutta la gente che era con lui furono arrivati, qualcuno riferì la notizia a Ioab, dicendo: “Abner, figlio di Ner, è venuto dal re, il quale lo ha congedato, ed egli se n’è andato in pace”. Allora Ioab si recò dal re, e gli disse: “Che hai fatto? Ecco, Abner era venuto da te; perché lo hai congedato, così che ha potuto andarsene liberamente? Tu sai chi sia Abner, figlio di Ner! è venuto per ingannarti, per spiare i tuoi movimenti e per sapere tutto quello che tu fai”. E Ioab, uscito da Davide, spedì dei messaggeri dietro ad Abner, i quali lo fecero ritornare dalla cisterna di Siva, senza che Davide ne sapesse nulla. Quando Abner fu tornato a Ebron, Ioab lo trasse in disparte nello spazio fra le due porte, come se volesse parlargli in segreto, e là lo colpì al ventre e lo uccise; fece questo per vendicare il sangue di Asael suo fratello. Davide, avendo poi udito il fatto, disse: “Io e il mio regno siamo innocenti per sempre, nel cospetto dell’Eterno, del sangue di Abner, figlio di Ner; ricada esso sul capo di Ioab e su tutta la casa di suo padre, e non manchi mai nella casa di Ioab chi soffra di gonorrea o di piaga di lebbra o debba appoggiarsi al bastone o muoia di spada o sia senza pane!”. Così Ioab e Abisai, suo fratello, uccisero Abner, perché questi aveva ucciso Asael loro fratello, a Gabaon, in battaglia. Davide disse a Ioab e a tutto il popolo che era con lui: “Stracciatevi le vesti, cingetevi di sacco, e fate cordoglio per la morte di Abner!”. E il re Davide andò dietro alla bara. Abner fu seppellito a Ebron e il re alzò la voce e pianse sulla tomba di Abner; e pianse tutto il popolo. E il re intonò un canto funebre su Abner, e disse: “Abner doveva morire come muore uno stolto? Le tue mani non erano legate, né i tuoi piedi erano stretti nei ceppi! Sei caduto come si cade per mano di scellerati”. E tutto il popolo ricominciò a piangere Abner; poi si avvicinò a Davide per fargli prendere del cibo mentre era ancora giorno; ma Davide giurò dicendo: “Mi tratti Iddio con tutto il suo rigore se assaggerò pane o qualche altra cosa prima che tramonti il sole!”. E tutto il popolo capì e approvò la cosa; tutto quello che il re fece fu approvato da tutto il popolo. Così, in quel giorno, tutto il popolo e tutto Israele riconobbero che il re non c’entrava per nulla nell’uccisione di Abner, figlio di Ner. E il re disse ai suoi servi: “Non sapete voi che oggi è caduto in Israele un principe e un grande uomo? Quanto a me, benché unto re, sono tuttora debole; mentre questa gente, i figli di Seruia, sono troppo forti per me. Renda l’Eterno a chi fa il male secondo la sua malvagità”. Quando il figlio di Saul ebbe udito che Abner era morto a Ebron, gli caddero le braccia, e tutto Israele fu nello sgomento. Il figlio di Saul aveva due uomini che erano capitani di schiere: il nome di uno era Baana, e il nome dell’altro Recab; erano figli di Rimmon di Beerot, della tribù di Beniamino, perché anche Beerot è considerata come appartenente a Beniamino, benché i Beerotiti si siano rifugiati a Ghittaim, dove sono rimasti fino al giorno d’oggi. Gionatan, figlio di Saul, aveva un figlio con i piedi storpi, il quale aveva cinque anni quando arrivò da Izreel la notizia della morte di Saul e di Gionatan. La balia lo prese e fuggì e, in questa sua fuga precipitosa, il bimbo cadde e rimase zoppo. Il suo nome era Mefiboset. I figli di Rimmon Beerotita, Recab e Baana, andarono dunque nelle ore più calde del giorno in casa di Is-Boset, il quale stava facendo il suo riposo pomeridiano. Entrarono fino in mezzo alla casa, come volendo prendere del grano; lo colpirono al ventre e si diedero alla fuga. Entrarono, dunque, in casa, mentre Is-Boset giaceva sul letto nella sua camera, lo colpirono, l’uccisero, lo decapitarono e, presa la testa, camminarono tutta la notte attraverso la pianura. Portarono la testa di Is-Boset a Davide a Ebron, e dissero al re: “Ecco la testa di Is-Boset, figlio di Saul, tuo nemico, il quale cercava di toglierti la vita; l’Eterno oggi ha fatto vendetta al re, mio signore, sopra Saul e sopra la sua progenie”. Ma Davide rispose a Recab e a Baana suo fratello, figli di Rimmon Beerotita, e disse loro: “Com’è vero che vive l’Eterno che ha liberato la mia anima da ogni angoscia, quando venne colui che mi portò la notizia della morte di Saul, pensando di portarmi una buona notizia, io lo feci prendere e uccidere a Siclag, per ripagarlo della sua buona notizia; quanto più adesso che degli uomini scellerati hanno ucciso un innocente in casa sua, sul suo letto, non dovrei chiedere a voi ragione del suo sangue sparso dalle vostre mani e sterminarvi dalla terra?”. Allora Davide diede ordine ai suoi giovani, i quali li uccisero; troncarono loro le mani e i piedi, poi li impiccarono presso lo stagno di Ebron. Presero quindi la testa di Is-Boset e la seppellirono nel sepolcro di Abner a Ebron. Allora tutte le tribù d’Israele vennero a trovare Davide a Ebron, e gli dissero: “Ecco, noi siamo tue ossa e tua carne. Già in passato, quando Saul regnava su noi, eri tu che guidavi e riconducevi Israele; e l’Eterno ti ha detto: ‘Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai il principe d’Israele’”. Così tutti gli anziani d’Israele vennero dal re a Ebron e il re Davide fece alleanza con loro a Ebron in presenza dell’Eterno; ed essi unsero Davide come re d’Israele. Davide aveva trent’anni quando cominciò a regnare, e regnò quarant’anni. A Ebron regnò su Giuda sette anni e sei mesi; e a Gerusalemme regnò trentatré anni su tutto Israele e Giuda. Allora il re con la sua gente si mosse verso Gerusalemme contro i Gebusei, che abitavano quel paese. Questi dissero a Davide: “Tu non entrerai qua; perché i ciechi e gli zoppi ti respingeranno!”; volendo dire: “Davide non entrerà mai”. Ma Davide prese la fortezza di Sion, che è la città di Davide. Davide disse in quel giorno: “Chiunque batterà i Gebusei giungendo fino al canale, e respingerà gli zoppi e i ciechi che sono odiati da Davide…” da questo ha origine il detto: “Il cieco e lo zoppo non entreranno nella Casa”. Davide abitò nella fortezza e la chiamò “la città di Davide”; vi fece intorno delle costruzioni, cominciando da Millo e verso l’interno. Davide diventava sempre più grande, e l’Eterno, l’Iddio degli eserciti, era con lui. E Chiram, re di Tiro, inviò a Davide dei messaggeri, del legno di cedro, dei falegnami e dei muratori, i quali costruirono una casa a Davide. Allora Davide riconobbe che l’Eterno lo stabiliva saldamente come re d’Israele e rendeva grande il suo regno per amore del suo popolo Israele. Davide prese ancora delle concubine e delle mogli di Gerusalemme dopo il suo arrivo da Ebron, e gli nacquero altri figli e altre figlie. Questi sono i nomi dei figli che gli nacquero a Gerusalemme: Sammua, Sobab, Natan, Salomone, Ibar, Elisua, Nefeg, Iafia, Elisama, Eliada, Elifelet. Quando i Filistei udirono che Davide era stato unto re d’Israele, salirono tutti in cerca di lui. Davide lo seppe e scese alla fortezza. I Filistei giunsero e si sparsero nella valle dei Refaim. Allora Davide consultò l’Eterno, dicendo: “Devo salire contro i Filistei? Me li darai nelle mani?”. L’Eterno rispose a Davide: “Sali; poiché certamente io darò i Filistei nelle tue mani”. Davide dunque si recò a Baal-Perasim, dove li sconfisse, e disse: “L’Eterno ha disperso i miei nemici davanti a me come si disperde l’acqua”. Perciò chiamò quel luogo: Baal-Perasim. I Filistei lasciarono là i loro idoli, e Davide e la sua gente li portarono via. Poi i Filistei salirono di nuovo e si sparsero nella valle dei Refaim. E Davide consultò l’Eterno, il quale gli disse: “Non salire; gira alle loro spalle, e giungerai su loro di fronte ai Gelsi. E quando udrai un rumore di passi tra le vette dei gelsi, lanciati subito all’attacco, perché allora l’Eterno marcerà alla tua testa per sconfiggere l’esercito dei Filistei”. Davide fece così come l’Eterno gli aveva comandato e sconfisse i Filistei da Gheba fino a Ghezer. Davide radunò di nuovo tutti gli uomini scelti d’Israele, in numero di trentamila. Poi si alzò, e con tutto il popolo che era con lui, partì da Baalè di Giuda per trasportare di là l’arca di Dio, sulla quale è invocato il Nome, il nome dell’Eterno degli eserciti, che siede su di essa fra i cherubini. Posero l’arca di Dio sopra un carro nuovo, e la portarono via dalla casa di Abinadab che era sul colle; Uzza e Aio, figli di Abinadab, conducevano il carro nuovo con l’arca di Dio, e Aio andava davanti all’arca. Davide e tutta la casa d’Israele suonavano davanti all’Eterno ogni sorta di strumenti di legno di cipresso, e cetre, saltèri, timpani, sistri e cembali. Quando furono giunti all’aia di Nacon, Uzza stese la mano verso l’arca di Dio e la sostenne, perché i buoi la facevano inclinare. E l’ira dell’Eterno si accese contro Uzza; Iddio lo colpì là per la sua irriverenza, ed egli morì in quel luogo vicino all’arca di Dio. Davide si rattristò perché l’Eterno aveva fatto una breccia nel popolo, colpendo Uzza; quel luogo è stato chiamato Perez-Uzza fino al giorno d’oggi. Davide, in quel giorno, ebbe paura dell’Eterno, e disse: “Come potrebbe venire da me l’arca dell’Eterno?”. E Davide non volle trasportare l’arca dell’Eterno presso di sé nella città di Davide, ma la fece portare in casa di Obed-Edom di Gat. L’arca dell’Eterno rimase tre mesi in casa di Obed-Edom di Gat, e l’Eterno benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa. Allora fu detto al re Davide: “L’Eterno ha benedetto la casa di Obed-Edom e tutto quello che gli appartiene, a motivo dell’arca di Dio”. Allora Davide andò e trasportò l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom su nella città di Davide, con gioia. Quando quelli che portavano l’arca dell’Eterno ebbero fatto sei passi, si immolava un bue e un vitello grasso. E Davide, cinto di un efod di lino, danzava a tutta forza davanti all’Eterno. Così Davide e tutta la casa d’Israele trasportarono su l’arca dell’Eterno con gioia e al suono della tromba. Mentre l’arca dell’Eterno entrava nella città di Davide, Mical, figlia di Saul, guardò dalla finestra e, vedendo il re Davide che saltava e danzava davanti all’Eterno, lo disprezzò in cuor suo. Portarono dunque l’arca dell’Eterno e la collocarono al suo posto, in mezzo alla tenda che Davide le aveva montato; e Davide offrì olocausti e sacrifici di ringraziamento davanti all’Eterno. Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di ringraziamento, Davide benedisse il popolo nel nome dell’Eterno degli eserciti, e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane, una porzione di carne e una schiacciata di uva passa. Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua. Mentre Davide se ne tornava per benedire la sua famiglia, Mical, figlia di Saul, gli uscì incontro e gli disse: “Bell’onore si è fatto oggi il re d’Israele a scoprirsi davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si sarebbe scoperto un uomo da nulla!”. Davide rispose a Mical: “L’ho fatto davanti all’Eterno che mi ha scelto, invece di tuo padre e di tutta la sua casa, per stabilirmi principe d’Israele, del popolo dell’Eterno; sì, davanti all’Eterno ho fatto festa. Anzi mi abbasserò anche più di così e mi renderò spregevole ai miei occhi; eppure, da quelle serve di cui tu parli, proprio da loro, io sarò onorato!”. E Mical, figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte. Avvenne che quando il re si fu stabilito nel suo palazzo e l’Eterno gli ebbe dato riposo liberandolo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: “Vedi, io abito in una casa di cedro e l’arca di Dio sta sotto una tenda”. Natan rispose al re: “Va’, fa’ tutto quello che hai in cuore di fare, poiché l’Eterno è con te”. Ma quella stessa notte la parola dell’Eterno fu diretta a Natan in questo modo: “Va’ e di’ al mio servo Davide: ‘Così dice l’Eterno: - Saresti tu quello che mi costruirebbe una casa perché io vi dimori? Ma io non ho abitato in una casa, dal giorno in cui feci uscire i figli d’Israele dall’Egitto, fino al giorno d’oggi, ho viaggiato sotto una tenda e in un tabernacolo. Dovunque sono andato, ora qua ora là, in mezzo a tutti i figli d’Israele, ho forse mai parlato a qualcuna delle tribù a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele, dicendole: Perché non mi costruite una casa di cedro?’. Ora dunque parlerai così al mio servo Davide: ‘Così dice l’Eterno degli eserciti: - Io ti presi dall’ovile, dietro alle pecore, perché tu fossi il principe d’Israele, mio popolo; e sono stato con te dovunque sei andato, ho sterminato davanti a te tutti i tuoi nemici e ho reso il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Assegnerò un posto a Israele, mio popolo, e lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più turbato, e i malvagi non continuino a opprimerlo come prima, come facevano nel tempo in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo, Israele; e ti ho dato riposo liberandoti da tutti i tuoi nemici. In più, l’Eterno ti annuncia che ti fonderà una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io innalzerò al trono dopo di te la tua progenie, il figlio che sarà uscito dalle tue viscere, e stabilirò saldamente il suo regno. Egli costruirà una casa al mio nome, e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui un padre, ed egli mi sarà figlio; se fa del male, lo castigherò con verga d’uomo e con colpi da figli di uomini, ma la mia grazia non si allontanerà da lui, come si è allontanata da Saul, che io ho rimosso davanti a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre’”. Natan parlò a Davide con tutte queste parole e secondo questa visione. Allora il re Davide andò a presentarsi davanti all’Eterno e disse: “Chi sono io, o Signore, o Eterno, e che cos’è la mia casa, che tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto? Questo è sembrato ancora poca cosa ai tuoi occhi, o Signore, o Eterno; tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire, sebbene questa tua legge, o Signore, o Eterno, si riferisca a degli uomini. Che cosa potrebbe Davide dirti di più? Tu conosci il tuo servo, Signore, Eterno! Per amore della tua parola e seguendo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose per rivelarle al tuo servo. Tu sei davvero grande, o Signore, o Eterno! Nessuno è pari a te, e non c’è altro Dio fuori di te, secondo tutto quello che abbiamo udito con i nostri orecchi. E quale popolo è come il tuo popolo, come Israele, l’unica nazione sulla terra che Dio sia venuto a redimere per formare il suo popolo, per farsi un nome, per compiere in suo favore cose grandi e tremende, cacciando davanti al tuo popolo, che ti sei redento dall’Egitto, delle nazioni con i loro dèi? Tu hai stabilito il tuo popolo, Israele, per essere tuo popolo per sempre; e tu, o Eterno, sei diventato il suo Dio. Ora dunque, o Signore, o Eterno, la parola che hai pronunciato riguardo al tuo servo e alla sua casa mantienila per sempre, e fa’ come hai detto. Il tuo nome sia magnificato per sempre, e si dica: ‘L’Eterno degli eserciti è l’Iddio d’Israele! E la casa del tuo servo Davide sia stabile davanti a te!’. Poiché tu, o Eterno degli eserciti, Dio d’Israele, hai fatto una rivelazione al tuo servo e gli hai detto: ‘Io ti costruirò una casa!’. Perciò il tuo servo ha preso l’ardire di rivolgerti questa preghiera. Ora, o Signore, o Eterno, tu sei Dio, le tue parole sono verità e hai promesso questo bene al tuo servo; piacciati dunque di benedire ora la casa del tuo servo, affinché essa sussista per sempre davanti a te! Poiché tu, o Signore, o Eterno, sei colui che ha parlato, e per la tua benedizione la casa del tuo servo sarà benedetta per sempre!”. Dopo queste cose, Davide sconfisse i Filistei, li umiliò e tolse di mano ai Filistei la supremazia che avevano. Sconfisse pure i Moabiti: e dopo averli fatti giacere per terra, li misurò con la corda; misurò due corde per farli mettere a morte, e la lunghezza di una corda per lasciarli in vita. I Moabiti divennero sudditi e tributari di Davide. Davide sconfisse anche Adadezer, figlio di Reob, re di Soba, mentre egli andava a ristabilire il suo dominio sul fiume Eufrate. Davide gli prese millesettecento cavalieri e ventimila fanti, e tagliò i garretti a tutti i cavalli da tiro, ma risparmiò dei cavalli per cento carri. Quando i Siri di Damasco vennero per soccorrere Adadezer, re di Soba, Davide ne uccise ventiduemila. Poi Davide mise delle guarnigioni nella Siria di Damasco e i Siri divennero sudditi e tributari di Davide; l’Eterno rendeva Davide vittorioso dovunque egli andava. Davide tolse ai servi di Adadezer i loro scudi d’oro e li portò a Gerusalemme. Il re Davide prese anche una grande quantità di rame a Betà e a Berotai, città di Adadezer. Quando Toi, re di Camat, ebbe udito che Davide aveva sconfitto tutto l’esercito di Adadezer, mandò al re Davide Ioram, suo figlio, per salutarlo e per benedirlo perché aveva mosso guerra ad Adadezer e lo aveva sconfitto (Adadezer era sempre in guerra con Toi); e Ioram portò con sé dei vasi d’argento, dei vasi d’oro e dei vasi di rame. Il re Davide consacrò anche quelli all’Eterno, come aveva già consacrato l’argento e l’oro tolto alle nazioni che aveva soggiogato: ai Siri, ai Moabiti, agli Ammoniti, ai Filistei, agli Amalechiti, e come aveva fatto del bottino di Adadezer, figlio di Reob, re di Soba. Al ritorno dalla sua vittoria sui Siri, Davide acquistò ancora fama, sconfiggendo nella valle del Sale diciottomila Idumei. E pose delle guarnigioni in Idumea; ne mise per tutta l’Idumea, e tutti gli Edomiti divennero sudditi di Davide; e l’Eterno rendeva vittorioso Davide dovunque egli andava. Davide regnò su tutto Israele, facendo ragione e amministrando la giustizia a tutto il suo popolo. Ioab, figlio di Seruia, comandava l’esercito; Giosafat, figlio di Ailud, era cancelliere; Sadoc, figlio di Aitub, e Aimelec, figlio di Abiatar, erano sacerdoti; Seraia era segretario; Benaia, figlio di Ieoiada, era capo dei Cheretei e dei Peletei, e i figli di Davide erano ministri di stato. Davide disse: “È rimasto ancora qualcuno della casa di Saul a cui io possa fare del bene per amore di Gionatan?”. Ora c’era un servo della casa di Saul, per nome Siba, che fu fatto venire da Davide. Il re gli chiese: “Sei tu Siba?”. Egli rispose: “Servo tuo”. Il re gli disse: “C’è ancora qualcuno della casa di Saul a cui io possa fare del bene per amore di Dio?”. Siba rispose al re: “C’è ancora un figlio di Gionatan, che ha i piedi storpi”. Il re gli disse: “Dov’è?”. Siba rispose al re: “È in casa di Machir, figlio di Ammiel, a Lodebar”. Allora il re lo mandò a prendere in casa di Machir, figlio di Ammiel, a Lodebar. E Mefiboset, figlio di Gionatan, figlio di Saul venne da Davide, si gettò con la faccia a terra e si prostrò davanti a lui. Davide disse: “Mefiboset!”: Ed egli rispose: “Ecco il tuo servo!”. Davide gli disse: “Non temere, perché io non mancherò di trattarti con bontà per amore di Gionatan tuo padre, e ti restituirò tutte le terre di Saul tuo antenato e tu mangerai sempre alla mia mensa”. Mefiboset si inchinò profondamente, e disse: “Che cos’è il tuo servo, che tu ti degni guardare un cane morto come sono io?”. Allora il re chiamò Siba, servo di Saul, e gli disse: “Tutto quello che apparteneva a Saul e a tutta la sua casa io lo do al figlio del tuo signore. Tu dunque, con i tuoi figli e con i tuoi servi, coltiva le sue terre e fa’ le raccolte, affinché il figlio del tuo signore abbia del pane da mangiare; Mefiboset, figlio del tuo signore, mangerà sempre alla mia mensa”. Ora Siba aveva quindici figli e venti servi. Siba disse al re: “Il tuo servo farà tutto quello che il re mio signore ordina al suo servo”. Mefiboset mangiò alla mensa di Davide come uno dei figli del re. Ora Mefiboset aveva un figlio di nome Mica; e tutti quelli che stavano in casa di Siba erano servi di Mefiboset. Mefiboset dimorava a Gerusalemme perché mangiava sempre alla mensa del re. Era zoppo da entrambi i piedi. Dopo queste cose, il re dei figli di Ammon morì, e Canun, suo figlio, regnò al posto suo. Davide disse: “Io voglio usare verso Canun, figlio di Naas, la benevolenza che suo padre usò verso di me”. E Davide mandò i suoi servi a consolarlo della perdita del padre. Ma quando i servi di Davide giunsero nel paese dei figli di Ammon, i principi dei figli di Ammon dissero a Canun, loro signore: “Credi che Davide ti abbia mandato dei consolatori per onorare tuo padre? Non ha piuttosto mandato da te i suoi servi per esplorare la città, per spiarla e distruggerla?”. Allora Canun prese i servi di Davide, gli fece radere la metà della barba e tagliare la metà delle vesti fino alle natiche, poi li rimandò. Quando fu informato della cosa, Davide mandò gente a incontrarli, perché quegli uomini erano pieni di vergogna. Il re fece dire loro: “Restate a Gerico finché vi sia ricresciuta la barba, poi tornerete”. I figli di Ammon, vedendo che si erano attirati l’odio di Davide, assoldarono ventimila fanti dei Siri di Bet-Reob e dei Siri di Soba, mille uomini del re di Maaca, e dodicimila uomini della gente di Tob. Quando Davide udì questo, inviò contro di loro Ioab con tutto l’esercito degli uomini valorosi. I figli di Ammon uscirono e si disposero in ordine di battaglia all’ingresso della porta della città, mentre i Siri di Soba e di Reob e la gente di Tob e di Maaca stavano da parte, nella campagna. Quando Ioab vide che quelli erano pronti ad attaccarlo di fronte e alle spalle, scelse un corpo fra gli uomini migliori d’Israele, lo dispose in ordine di battaglia contro i Siri, e mise il resto del popolo sotto gli ordini di suo fratello Abisai, per far fronte ai figli di Ammon; e disse ad Abisai: “Se i Siri sono più forti di me, tu mi darai soccorso; e se i figli di Ammon sono più forti di te, verrò io a soccorrerti. Abbi coraggio e dimostriamoci forti per il nostro popolo e per le città del nostro Dio; e faccia l’Eterno quello che a lui piacerà”. Poi Ioab, con la gente che aveva con sé, avanzò per attaccare i Siri, i quali fuggirono davanti a lui. E quando i figli di Ammon videro che i Siri erano fuggiti, fuggirono anche loro davanti ad Abisai e rientrarono nella città. Allora Ioab se ne tornò dalla spedizione contro i figli di Ammon, e venne a Gerusalemme. I Siri, vedendosi sconfitti da Israele, si riunirono in massa. Adadezer mandò a chiamare i Siri che abitavano di là dal fiume, e quelli giunsero a Chelam, condotti da Sobac, capo dell’esercito di Adadezer. La cosa fu riferita a Davide, che radunò tutto Israele, passò il Giordano e giunse a Chelam. I Siri si disposero in battaglia contro Davide, e ingaggiarono il combattimento. Ma i Siri fuggirono davanti a Israele e Davide uccise, dei Siri, gli uomini di settecento carri e quarantamila cavalieri e sconfisse pure Sobac, capo del loro esercito, che morì là. E quando tutti i re vassalli di Adadezer si videro sconfitti da Israele, fecero pace con Israele, e furono assoggettati a lui. Allora i Siri non osarono più prestare soccorso ai figli di Ammon. L’anno seguente, nel tempo in cui i re sono soliti andare in guerra, Davide mandò Ioab con la sua gente e con tutto Israele a devastare il paese dei figli di Ammon e ad assediare Rabba; ma Davide rimase a Gerusalemme. Una sera Davide si alzò dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del palazzo reale, e dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno: la donna era bellissima. Davide mandò a informarsi chi fosse la donna e gli fu detto: “È Bat-Sceba, figlia di Eliam, moglie di Uria, l’Ittita”. Davide mandò dei messi a prenderla; lei andò da lui, ed egli si unì a lei, che si era purificata della sua contaminazione; poi lei se ne tornò a casa sua. La donna rimase incinta, e lo fece sapere a Davide, dicendo: “Sono incinta”. Allora Davide fece dire a Ioab: “Mandami Uria, l’Ittita”. Ioab mandò Uria da Davide. Quando Uria giunse da Davide, questi gli chiese come stessero Ioab e il popolo, e come andasse la guerra. Poi Davide disse a Uria: “Scendi a casa tua e làvati i piedi”. Uria uscì dal palazzo reale e gli furono mandate delle vivande del re. Ma Uria dormì alla porta del palazzo del re con tutti i servi del suo signore, e non scese a casa sua. Appena ciò fu riferito a Davide e gli fu detto: “Uria non è sceso a casa sua”, Davide disse a Uria: “Non vieni da un viaggio? Perché dunque non sei sceso a casa tua?”. Uria rispose a Davide: “L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab mio signore e i suoi servi sono accampati in aperta campagna, e io dovrei entrare in casa mia per mangiare e bere e per dormire con mia moglie? Com’è vero che tu vivi e che vive l’anima tua, io non farò questa cosa!”. Allora Davide disse a Uria: “Trattieniti qui anche oggi, e domani ti lascerò partire”. Così Uria rimase a Gerusalemme quel giorno e il seguente. Davide lo invitò a mangiare e a bere con sé, e lo fece ubriacare; la sera Uria uscì per andarsene a dormire sul suo lettuccio con i servi del suo signore, ma non scese a casa sua. La mattina seguente, Davide scrisse una lettera a Ioab, e gliela mandò per mano di Uria. Nella lettera aveva scritto così: “Ponete Uria al fronte, dove più infuria la battaglia, poi ritiratevi da lui, perché egli resti colpito e muoia”. Ioab dunque, assediando la città, pose Uria nel luogo dove sapeva che il nemico aveva degli uomini valorosi. Gli uomini della città fecero una sortita e attaccarono Ioab; parecchi del popolo, della gente di Davide, caddero, e morì anche Uria l’Ittita. Allora Ioab inviò un messaggero a Davide per fargli sapere tutte le cose che erano avvenute nella battaglia; e diede al messaggero quest’ordine: “Quando avrai finito di raccontare al re tutto quello che è successo nella battaglia, se il re va in collera, e ti dice: ‘Perché vi siete avvicinati così alla città per dare battaglia? Non sapevate che avrebbero tirato dalle mura? Chi fu che uccise Abimelec, figlio di Ierubbeset? Non fu una donna che gli gettò addosso un pezzo di macina dalle mura, così che egli morì a Tebes? Perché vi siete avvicinati così alle mura?’, tu digli allora: ‘Il tuo servo Uria l’Ittita è morto anche lui’”. Il messaggero dunque partì e, giunto, riferì a Davide tutto quello che Ioab lo aveva incaricato di dire. Il messaggero disse a Davide: “I nemici avevano avuto del vantaggio su di noi, e avevano fatto una sortita contro di noi nella campagna; ma noi fummo loro addosso fino alla porta della città; allora gli arcieri tirarono sulla tua gente dalle mura, e parecchi della gente del re morirono, e Uria l’Ittita, tuo servo, è morto anche lui”. Allora Davide disse al messaggero: “Dirai così a Ioab: ‘Non ti addolori questa cosa; poiché la spada divora ora l’uno e ora l’altro; rinforza l’attacco contro la città, e distruggila’. E tu fagli coraggio”. Quando la moglie di Uria udì che Uria suo marito era morto, lo pianse. Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’accolse nella sua casa. Lei divenne sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva fatto dispiacque all’Eterno. L’Eterno mandò Natan a Davide; e Natan andò da lui e gli disse: “C’erano due uomini nella stessa città, uno ricco, e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in grandissimo numero; ma il povero non aveva nulla, se non una piccola agnellina che aveva comprata e allevata; gli era cresciuta in casa insieme ai figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; essa era per lui come una figlia. Ora, essendo arrivato un viaggiatore a casa dell’uomo ricco, questi, risparmiando le sue pecore e i suoi buoi, non ne prese per preparare un pasto al viaggiatore che era capitato da lui; ma prese l’agnellina di quel povero uomo, e ne preparò una vivanda per colui che gli era giunto in casa”. Allora l’ira di Davide si accese grandemente contro quell’uomo, e disse a Natan: “Com’è vero che l’Eterno vive, colui che ha fatto questo merita la morte; e pagherà quattro volte il valore dell’agnellina, per aver fatto una tale cosa e non aver avuto pietà”. Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo! Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo signore, e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo signore; ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo era troppo poco, io avrei aggiunto anche dell’altro. Perché dunque hai disprezzato la parola dell’Eterno, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai fatto morire con la spada Uria l’Ittita, hai preso per te sua moglie, e lo hai ucciso con la spada dei figli di Ammon. Ora dunque la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso per te la moglie di Uria l’Ittita’. Così dice l’Eterno: ‘Ecco, io sto per suscitare contro di te la sciagura dalla tua stessa casa, e prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle al tuo prossimo, che si unirà a loro alla luce di questo sole; poiché tu lo hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole’”. Allora Davide disse a Natan: “Ho peccato contro l’Eterno”. E Natan rispose a Davide: “E l’Eterno ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai. Tuttavia, siccome facendo così tu hai dato ai nemici dell’Eterno ampia occasione di bestemmiare, il figlio che ti è nato dovrà morire”. Natan se ne tornò a casa sua. L’Eterno colpì il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide, ed esso si ammalò gravemente. Davide quindi elevò suppliche a Dio per il bambino e digiunò; poi venne e passò la notte giacendo per terra. Gli anziani della sua casa insistettero con lui perché si alzasse da terra; ma egli non volle e rifiutò di prendere cibo con loro. Il settimo giorno il bambino morì e i servi di Davide temevano di fargli sapere che il bambino era morto; poiché dicevano: “Ecco, quando il bambino era ancora vivo, noi gli abbiamo parlato e lui non ha dato ascolto alle nostre parole; come faremo ora a dirgli che il bambino è morto? Potrebbe commettere qualche gesto estremo”. Ma Davide, vedendo che i suoi servi bisbigliavano fra loro, comprese che il bambino era morto; e disse ai suoi servi: “È morto il bambino?”. Quelli risposero: “È morto”. Allora Davide si alzò da terra, si lavò, si unse e si cambiò le vesti; poi andò nella casa dell’Eterno e si prostrò; e tornato a casa sua, chiese che gli portassero da mangiare e mangiò. I suoi servi gli dissero: “Che cosa fai? Quando il bambino era vivo ancora, tu digiunavi e piangevi e ora che è morto, ti alzi e mangi!”. Egli rispose: “Quando il bambino era ancora vivo, digiunavo e piangevo, perché dicevo: ‘Chi sa che l’Eterno non abbia pietà di me e il bambino non resti in vita?’. Ma ora che egli è morto, perché dovrei digiunare? Posso io farlo ritornare? Io me ne andrò a lui, ma lui non ritornerà a me!”. Poi Davide consolò Bat-Sceba sua moglie, entrò da lei e si unì con lei; e lei partorì un figlio che egli chiamò Salomone. L’Eterno amò Salomone e mandò il profeta Natan che lo chiamò Iedidia, a causa dell’amore che l’Eterno gli portava. Ioab assediò Rabba dei figli di Ammon, si impadronì della città reale e inviò dei messaggeri a Davide per dirgli: “Ho assalito Rabba e mi sono già impossessato della città delle acque. Raduna il rimanente del popolo, accampati contro la città e prendila, perché se la prenderò io dovrà portare il mio nome”. Davide radunò tutto il popolo, si mosse verso Rabba, l’assalì e la prese; tolse dalla testa del loro re la corona, che pesava un talento d’oro e conteneva pietre preziose, ed essa fu posta sulla testa di Davide. Egli riportò dalla città anche un grandissimo bottino. Fece uscire gli abitanti che erano nella città, e li mise al lavoro con delle seghe, degli erpici di ferro e delle scuri di ferro, e li mise a lavorare in fornaci da mattoni; e fece così a tutte le città dei figli di Ammon. Poi Davide se ne tornò a Gerusalemme con tutto il popolo. Dopo queste cose avvenne che Absalom, figlio di Davide, aveva una sorella di nome Tamar, che era di bell’aspetto; e Amnon, figlio di Davide, se ne innamorò. Amnon si appassionò a tal punto per Tamar sua sorella da diventarne malato; perché lei era vergine e sembrava difficile ad Amnon di poterle fare qualcosa. Ora Amnon aveva un amico, di nome Ionadab, figlio di Simea, fratello di Davide; e Ionadab era un uomo molto astuto. Questi gli disse: “O figlio del re, perché continui a dimagrire in questo modo, giorno dopo giorno? Non me lo vuoi dire?”. Amnon gli rispose: “Sono innamorato di Tamar, sorella di mio fratello Absalom”. Ionadab gli disse: “Mettiti a letto e fingiti malato; e quando tuo padre verrà a vederti, digli: ‘Fa’, ti prego, che mia sorella Tamar venga a darmi da mangiare e a preparare il cibo in mia presenza, così che io lo veda; e lo mangerò quando mi sarà servito dalle sue mani’”. Amnon dunque si mise a letto e si finse ammalato; e quando il re lo venne a vedere, Amnon gli disse: “Fa’, ti prego, che mia sorella Tamar venga e faccia un paio di frittelle in mia presenza; così le mangerò quando mi saranno servite dalle sue mani”. Allora Davide mandò a casa di Tamar a dirle: “Va’ a casa di Amnon, tuo fratello, e preparagli qualcosa da mangiare”. Tamar andò a casa di Amnon suo fratello, che giaceva a letto. Lei prese della farina stemperata, la impastò, ne fece delle frittelle in sua presenza, e le cosse. Poi, prese la padella, tolse le frittelle e gliele mise davanti; ma egli rifiutò di mangiare, e disse: “Fate uscire di qui tutta la gente”. E tutti uscirono. Allora Amnon disse a Tamar: “Portami il cibo in camera e lo prenderò dalle tue mani”. Allora Tamar prese le frittelle che aveva fatto e le portò in camera ad Amnon suo fratello. E mentre gliele porgeva perché mangiasse, egli la afferrò, e le disse: “Vieni a unirti a me, sorella mia”. Essa gli rispose: “No, fratello mio, non farmi violenza; questo non si fa in Israele; non commettere una tale infamia! Io dove andrei a portare la mia vergogna? E quanto a te, tu saresti considerato tra gli scellerati in Israele. Ti prego, parlane piuttosto al re, ed egli non mi negherà a te”. Ma egli non volle darle ascolto; ed essendo più forte di lei, la violentò e si unì a lei. Poi Amnon concepì verso di lei un odio fortissimo; tanto che l’odio per lei fu maggiore dell’amore di cui l’aveva amata prima. E le disse: “Àlzati, vattene!”. Lei gli rispose: “Non mi fare, cacciandomi, un torto maggiore di quello che mi hai già fatto”. Ma egli non volle ascoltarla. Anzi, chiamato il servo che lo assisteva, gli disse: “Caccia via costei lontano da me e chiudile la porta dietro!”. Ora lei portava una tunica con le maniche, poiché le figlie del re portavano simili vesti finché erano vergini. Il servo di Amnon dunque la mise fuori e le chiuse la porta dietro. E Tamar si sparse della cenere sulla testa, si stracciò di dosso la tunica con le maniche, e, mettendosi la mano sul capo, se ne andò gridando. Absalom, suo fratello, le disse: “Forse Amnon, tuo fratello, è stato con te? Per ora, taci, sorella mia; è tuo fratello, non tormentarti per questo”. Allora Tamar, desolata, rimase in casa di Absalom, suo fratello. Il re Davide udì tutte queste cose, e ne fu fortemente adirato. Absalom non rivolse parola ad Amnon, né in bene né in male; poiché odiava Amnon perché aveva violentato Tamar, sua sorella. Due anni dopo, Absalom fece tosare le sue pecore a Baal-Asor presso Efraim, e invitò tutti i figli del re. Absalom andò a trovare il re, e gli disse: “Ecco, il tuo servo ha i tosatori; ti prego, venga anche il re con i suoi servitori a casa del tuo servo!”. Ma il re disse ad Absalom: “No, figlio mio, non andiamo tutti, per non esserti di peso”. E benché Absalom insistesse, il re non volle andare; ma gli diede la sua benedizione. Allora Absalom disse: “Se non vuoi venire tu, ti prego, permetti ad Amnon, mio fratello, di venire con noi”. Il re gli rispose: “E perché dovrebbe venire con te?”. Ma Absalom tanto insistette che Davide lasciò andare con lui Amnon e tutti i figli del re. Ora Absalom diede quest’ordine ai suoi servi: “Badate, quando Amnon avrà il cuore riscaldato dal vino, e io vi dirò: ‘Colpite Amnon!’, voi uccidetelo, e non abbiate paura; non sono io che ve lo comando? Fatevi coraggio, e comportatevi da forti!”. I servi di Absalom fecero ad Amnon come Absalom aveva comandato. Allora tutti i figli del re si alzarono, montarono ciascuno sul suo mulo e se ne fuggirono. Mentre essi erano ancora per la strada, giunse a Davide la notizia che Absalom aveva ucciso tutti i figli del re, e che nessuno di loro era sopravvissuto. Allora il re si alzò, si strappò le vesti e si gettò per terra; e tutti i suoi servi gli stavano dietro, con le vesti stracciate. Ma Ionadab, figlio di Simea, fratello di Davide, prese a dire: “Non dica il mio signore che tutti i giovani, figli del re, sono stati uccisi; soltanto Amnon è morto. Per Absalom era una cosa decisa fin dal giorno che Amnon violentò sua sorella Tamar. Così dunque non si affligga il re, mio signore, come se tutti i figli del re fossero morti; soltanto Amnon è morto”. Ora Absalom si era dato alla fuga. Il giovane che stava di sentinella alzò gli occhi, guardò, ed ecco che una gran folla di gente veniva per la via di ponente dal lato del monte. Ionadab disse al re: “Ecco i figli del re che arrivano! La cosa sta come il tuo servo ha detto”. Appena egli ebbe finito di parlare, ecco giungere i figli del re, i quali alzarono la voce e piansero; e anche il re e tutti i suoi servi versarono abbondanti lacrime. Quanto ad Absalom, fuggì e andò da Talmai, figlio di Ammiur, re di Ghesur. Davide faceva cordoglio per suo figlio ogni giorno. Absalom rimase tre anni a Ghesur, dove era andato dopo essersi dato alla fuga. Poi l’ira del re Davide contro Absalom si calmò perché Davide si era consolato della morte di Amnon. Ioab, figlio di Seruia, accortosi che il cuore del re si inclinava verso Absalom, fece venire da Tecoa, una donna saggia, alla quale disse: “Fingi di essere in lutto: mettiti una veste da lutto, non ti ungere con olio, e sii come una donna che piange da molto tempo un morto; poi entra presso il re, e parlagli così e così”. E Ioab le suggerì le parole da dire. La donna di Tecoa andò dunque a parlare al re, si gettò con la faccia a terra, si prostrò, e disse: “O re, aiutami!”. Il re le disse: “Che hai?”. E lei rispose: “Purtroppo io sono una vedova; mio marito è morto. La tua serva aveva due figli, i quali litigarono tra di loro in campagna e, siccome non c’era nessuno che li separasse, uno colpì l’altro, e lo uccise. Ed ecco che tutta la famiglia è insorta contro la tua serva, dicendo: ‘Consegnaci colui che ha ucciso il fratello, affinché lo facciamo morire per vendicare il fratello che egli ha ucciso e per sterminare così anche l’erede’. In questo modo spegneranno il tizzone che mi è rimasto, e non lasceranno a mio marito né nome né discendenza sulla faccia della terra”. Il re disse alla donna: “Vattene a casa tua: io darò degli ordini a tuo riguardo”. La donna di Tecoa disse al re: “O re mio signore, la colpa cada su me e sulla casa di mio padre, ma il re e il suo trono non ne siano responsabili”. E il re: “Se qualcuno parla contro di te, portalo da me, e vedrai che non ti toccherà più”. Allora lei disse: “Ti prego, il re invochi l’Eterno, il tuo Dio, come testimone perché il vendicatore del sangue non aumenti la rovina e non sia sterminato mio figlio”. Ed egli rispose: “Com’è vero che l’Eterno vive, non cadrà a terra un capello di tuo figlio!”. Allora la donna disse: “Ti prego! lascia che la tua serva dica ancora una parola al re, mio signore!”. Egli rispose: “Parla”. La donna riprese: “Perché pensi così contro il popolo di Dio? Dalla parola che il re ha ora pronunciata risulta essere in un certo modo colpevole, in quanto non richiama colui che ha esiliato. Noi dobbiamo morire e siamo come acqua versata a terra che non si può più raccogliere, ma Dio non toglie la vita, anzi medita il modo in cui l’esiliato non rimanga confinato lontano da lui. Ora, se io sono venuta a parlare così al re mio signore è perché il popolo mi ha fatto paura e la tua serva ha detto: ‘Voglio parlare al re; forse il re farà quello che gli dirà la sua serva; il re ascolterà la sua serva e la libererà dalle mani di quelli che vogliono sterminare me e mio figlio dall’eredità di Dio’. La tua serva diceva: ‘Possa la parola del re, mio signore, darmi tranquillità!’, poiché il re mio signore è come un angelo di Dio per discernere il bene dal male. L’Eterno, il tuo Dio, sia con te!”. Il re rispose e disse alla donna: “Ti prego, non nascondermi ciò che io ti domanderò”. La donna disse: “Parli pure il re, mio signore”. E il re: “Dietro a tutto questo non c’è forse la mano di Ioab?”. La donna rispose: “Com’è vero che l’anima tua vive, o re mio signore, la cosa sta né più né meno come ha detto il re mio signore; infatti, il tuo servo Ioab è colui che mi ha dato questi ordini, ed è lui che ha messo tutte queste parole in bocca alla tua serva. Il tuo servo Ioab ha fatto così per dare un altro aspetto all’affare di Absalom; ma il mio signore ha la sapienza di un angelo di Dio e conosce tutto quello che avviene sulla terra”. Allora il re disse a Ioab: “Ecco, voglio fare ciò che hai chiesto; va’ dunque, e fa’ tornare il giovane Absalom”. Ioab si gettò con la faccia a terra, si prostrò, benedisse il re, e disse: “Oggi il tuo servo riconosce che ha trovato grazia ai tuoi occhi, o re, mio signore; poiché il re ha fatto ciò che il suo servo gli ha chiesto”. Ioab dunque si alzò, andò a Ghesur e condusse Absalom a Gerusalemme. E il re disse: “Che egli si ritiri in casa sua e non veda la mia faccia!”. Così Absalom si ritirò in casa sua e non vide la faccia del re. Ora in tutto Israele non c’era un uomo che fosse celebrato per la sua bellezza al pari di Absalom; dalla pianta del piede fino alla cima del capo non c’era in lui nessun difetto. E quando si faceva tagliare i capelli (e se li faceva tagliare ogni anno perché la capigliatura gli pesava troppo) il peso dei suoi capelli era di duecento sicli a peso del re. Ad Absalom nacquero tre figli e una figlia di nome Tamar, che era donna di bell’aspetto. Absalom abitò a Gerusalemme due anni, senza vedere la faccia del re. Poi Absalom fece chiamare Ioab per mandarlo dal re ma egli non volle andare da lui; lo mandò a chiamare una seconda volta, ma Ioab non volle andare. Allora Absalom disse ai suoi servi: “Guardate! Il campo di Ioab è vicino al mio e c’è dell’orzo; andate ad appiccarvi il fuoco!”. E i servi di Absalom diedero fuoco al campo. Allora Ioab si alzò, andò a casa di Absalom, e gli disse: “Perché i tuoi servi hanno dato fuoco al mio campo?”. Absalom rispose a Ioab: “Io ti avevo mandato a dire: ‘Vieni qua, perché io possa mandarti dal re a dirgli: Perché sono tornato da Ghesur? Meglio per me, se io fossi ancora là!’. Ora dunque fa’ in modo che io veda la faccia del re! e se c’è in me qualche colpa, che egli mi faccia morire!”. Ioab allora andò dal re e gli riferì la cosa. Il re fece chiamare Absalom, il quale andò da lui, e si prostrò con la faccia a terra in sua presenza; e il re baciò Absalom. Dopo queste cose, Absalom si procurò una carrozza, dei cavalli, e cinquanta uomini che correvano davanti a lui. Absalom si alzava la mattina presto e si metteva da un lato della strada che conduceva alle porte della città; quando qualcuno, avendo un processo, si recava dal re per chiedere giustizia, Absalom lo chiamava, e gli diceva: “Di quale città sei?”, l’altro gli rispondeva: “Il tuo servo è di tale e tale tribù d’Israele”. Allora Absalom gli diceva: “Vedi, la tua causa è buona e giusta, ma non c’è chi sia delegato dal re per sentirti”. Poi Absalom aggiungeva: “Oh, se facessero me giudice del paese! Chiunque avesse un processo o un affare verrebbe da me, e io gli farei giustizia”. E quando uno gli si avvicinava per prostrarsi davanti a lui, egli gli porgeva la mano, lo abbracciava e lo baciava. Absalom faceva così con tutti quelli d’Israele che andavano dal re per chiedere giustizia; in questo modo Absalom rubò il cuore alla gente d’Israele. Dopo quattro anni Absalom disse al re: “Ti prego, lasciami andare a Ebron a sciogliere un voto che feci all’Eterno. Poiché, durante la sua residenza a Ghesur, in Siria, il tuo servo fece un voto, dicendo: ‘Se l’Eterno mi riconduce a Gerusalemme, io servirò l’Eterno!’”. Il re gli disse: “Va’ in pace!”. Così egli si alzò e andò a Ebron. Intanto Absalom mandò degli emissari per tutte le tribù d’Israele, a dire: “Quando udrete il suono della tromba, direte: ‘Absalom è proclamato re a Ebron’”. Con Absalom partirono da Gerusalemme duecento uomini, i quali, essendo stati invitati, partirono in tutta la loro semplicità, senza sapere nulla. Absalom, mentre offriva i sacrifici, mandò a chiamare Aitofel, il Ghilonita, consigliere di Davide, perché venisse dalla sua città di Ghilo. La congiura acquistava forza, e il popolo attorno ad Absalom cresceva sempre più di numero. Venne a Davide un messaggero, che disse: “Il cuore degli uomini d’Israele si è rivolto verso Absalom”. Allora Davide disse a tutti i suoi servi che erano con lui a Gerusalemme: “Alzatevi, fuggiamo; altrimenti, nessuno di noi scamperà dalle mani di Absalom. Affrettatevi a partire, affinché, con una marcia rapida, non ci sorprenda, piombandoci addosso rovinosamente, e non colpisca la città mettendola a fil di spada”. I servi del re gli dissero: “Ecco i tuoi servi, pronti a fare tutto quello che piacerà al re, nostro signore”. Il re dunque partì, seguito da tutta la sua casa, e lasciò dieci concubine a custodire il palazzo. Il re partì, seguito da tutto il popolo, e si fermarono a Bet-Merac. Tutti i servi del re camminavano al suo fianco; e tutti i Cheretei, tutti i Peletei e tutti i Ghittei, che in seicento erano venuti da Gat, al suo seguito, camminavano davanti al re. Allora il re disse a Ittai di Gat: “Perché vuoi venire anche tu con noi? Torna indietro e rimani con il re; poiché sei uno straniero e per di più un esule dalla tua patria. Tu sei arrivato soltanto ieri e oggi dovrei farti andare vagando qua e là con noi, mentre io stesso non so dove vado? Torna indietro e riconduci con te i tuoi fratelli; siano con te la misericordia e la fedeltà dell’Eterno!”. Ma Ittai rispose al re, dicendo: “Com’è vero che l’Eterno vive e che vive il re mio signore, in qualunque luogo sarà il re mio signore, per morire o per vivere, là sarà pure il tuo servo”. Allora Davide disse a Ittai: “Va’, passa oltre!”. E Ittai, il Ghitteo, passò oltre con tutta la sua gente e con tutti i fanciulli che erano con lui. Tutti quelli del paese piangevano ad alta voce, mentre tutto il popolo passava. Il re passò il torrente Chidron, e tutto il popolo passò, prendendo la via del deserto. Ecco venire anche Sadoc con tutti i Leviti, i quali portavano l’arca del patto di Dio. E mentre Abiatar saliva, essi posarono l’arca di Dio, finché tutto il popolo non ebbe terminato di uscire dalla città. E il re disse a Sadoc: “Riporta in città l’arca di Dio! Se io trovo grazia agli occhi dell’Eterno, egli mi farà tornare e mi farà vedere l’arca e la sua dimora; ma se dice: ‘Io non ti gradisco’, eccomi; faccia di me quello che vorrà”. Il re disse ancora al sacerdote Sadoc: “Vedi? Torna in pace in città con i due vostri figli: Aimaas, tuo figlio, e Gionatan, figlio di Abiatar. Guardate, io aspetterò nelle pianure del deserto, finché mi sia portata qualche notizia da parte vostra”. Così Sadoc e Abiatar riportarono l’arca di Dio a Gerusalemme, e dimorarono là. Davide saliva il monte degli Ulivi; saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi; e tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva. Qualcuno venne a dire a Davide: “Aitofel è con Absalom tra i congiurati”. Allora Davide disse: “Ti prego, o Eterno, rendi vani i consigli di Aitofel!”. Quando Davide fu giunto in cima al monte, al luogo dove si adora Dio, gli venne incontro Cusai, l’Archita, con la tunica stracciata e il capo coperto di polvere. Davide gli disse: “Se tu passi oltre con me, mi sarai di peso; ma se torni in città e dici ad Absalom: ‘Io sarò tuo servo, o re; come fui servo di tuo padre nel passato, così sarò adesso servo tuo’, tu cambierai in mio favore i consigli di Aitofel. Laggiù avrai con te i sacerdoti Sadoc e Abiatar. Tutto quello che sentirai dire della casa del re, lo farai sapere ai sacerdoti Sadoc e Abiatar. Siccome essi hanno con sé i loro due figli, Aimaas figlio di Sadoc e Gionatan figlio di Abiatar, per mezzo di loro mi farete sapere tutto quello che avrete sentito”. Così Cusai, amico di Davide, tornò in città, e Absalom entrò in Gerusalemme. Davide aveva di poco varcato la cima del monte, quando Siba, servo di Mefiboset, gli si fece incontro con un paio di asini sellati e carichi di duecento pani, cento grappoli di uva secca, cento frutti d’estate e un otre di vino. Il re disse a Siba: “Che vuoi fare con queste cose?”. Siba rispose: “Gli asini serviranno da cavalcatura alla casa del re; il pane e i frutti d’estate sono per nutrire i giovani, e il vino è perché ne bevano quelli che saranno stanchi nel deserto”. Il re disse: “E dov’è il figlio del tuo signore?”. Siba rispose al re: “Ecco, è rimasto a Gerusalemme, perché ha detto: ‘Oggi la casa d’Israele mi restituirà il regno di mio padre?’”. Il re disse a Siba: “Tutto quello che appartiene a Mefiboset è tuo”. Siba replicò: “Io mi prostro davanti a te! Possa io trovare grazia ai tuoi occhi, o re, mio signore!”. Quando il re Davide fu giunto a Baurim, ecco uscire di là un uomo, imparentato con la famiglia di Saul, di nome Simei, figlio di Ghera. Egli andava avanti proferendo maledizioni e gettando sassi contro Davide, e contro tutti i servi del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti gli uomini di valore stavano alla destra e alla sinistra del re. Simei, maledicendo Davide, diceva così: “Vattene, vattene, uomo sanguinario, scellerato! L’Eterno fa ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale tu hai regnato; e l’Eterno ha dato il regno nelle mani di Absalom, tuo figlio; e ora hai le sciagure che ti sei meritato, perché sei un uomo sanguinario”. Allora Abisai, figlio di Seruia, disse al re: “Perché questo cane morto osa maledire il re, mio signore? Ti prego, lasciami andare a troncargli la testa!”. Ma il re rispose: “Che ho io in comune con voi, figli di Seruia? Se egli maledice, è perché l’Eterno gli ha detto: ‘Maledici Davide!’. E chi oserà dire: ‘Perché fai così?’”. Poi Davide disse ad Abisai e a tutti i suoi servi: “Ecco, mio figlio, uscito dalle mie viscere, cerca di togliermi la vita! Quanto più lo può fare ora questo Beniaminita! Lasciate che egli maledica, perché glielo ha ordinato l’Eterno. Forse l’Eterno avrà riguardo alla mia afflizione, e mi farà del bene in cambio delle maledizioni di oggi”. Davide e la sua gente continuarono il loro cammino; e Simei camminava sul fianco del monte, di fronte a Davide, e strada facendo lo malediva, gli tirava dei sassi e buttava della polvere. Il re e tutta la gente che era con lui arrivarono ad Aiefim e là ripresero fiato. Ora Absalom e tutto il popolo, gli uomini d’Israele, erano entrati in Gerusalemme; e Aitofel era con lui. Quando Cusai, l’Archita, l’amico di Davide, fu giunto presso Absalom, gli disse: “Viva il re! Viva il re!”. Absalom disse a Cusai: “È questo dunque l’affetto che hai per il tuo amico? Perché non sei tu andato con il tuo amico?”. Cusai rispose ad Absalom: “No, io sarò di colui che l’Eterno, questo popolo e tutti gli uomini d’Israele hanno scelto, e con lui rimarrò. E poi, di chi sarò servo? Non lo sarò di suo figlio? Come ho servito tuo padre, così servirò te”. Allora Absalom disse ad Aitofel: “Consigliate quello che dobbiamo fare”. Aitofel rispose ad Absalom: “Entra dalle concubine di tuo padre, lasciate da lui a custodia della casa; e quando tutto Israele saprà che ti sei reso odioso a tuo padre, il coraggio di quelli che sono per te, sarà fortificato”. Fu dunque montata una tenda sulla terrazza per Absalom, e Absalom entrò dalle concubine di suo padre, alla vista di tutto Israele. In quei giorni, un consiglio dato da Aitofel era come una parola data da Dio a uno che lo avesse consultato. Così era di tutti i consigli di Aitofel, tanto per Davide quanto per Absalom. Poi Aitofel disse ad Absalom: “Lasciami scegliere dodicimila uomini; partirò e inseguirò Davide questa notte stessa; e gli piomberò addosso mentre egli è stanco e ha le braccia fiacche; lo spaventerò, e tutta la gente che è con lui si darà alla fuga; io colpirò soltanto il re, e ricondurrò a te tutto il popolo; l’uomo che tu cerchi vale quanto il ritorno di tutti; e così tutto il popolo sarà in pace”. Questo discorso piacque ad Absalom e a tutti gli anziani d’Israele. Tuttavia Absalom disse: “Chiamate ancora Cusai, l’Archita, e sentiamo ciò che dirà anche lui”. Quando Cusai giunse da Absalom, questi gli disse: “Aitofel ha parlato così e così; dobbiamo fare come ha detto lui? Altrimenti, parla tu!”. Cusai rispose ad Absalom: “Questa volta il consiglio dato da Aitofel non è buono”. Cusai aggiunse: “Tu conosci tuo padre e i suoi uomini, e sai che sono gente valorosa e che hanno l’animo esasperato come un’orsa nella campagna quando le sono stati rapiti i figli; e poi tuo padre è un guerriero e non passerà la notte con il popolo. Senza dubbio ora è nascosto in qualche buca o in qualche altro luogo; e avverrà che, se fin da principio ne cadranno alcuni dei tuoi, chiunque lo verrà a sapere dirà: ‘Tra la gente che seguiva Absalom c’è stata una strage’. Allora il più valoroso, anche se avesse un cuore di leone, si avvilirà, perché tutto Israele sa che tuo padre è un prode, e che quelli che ha con sé sono dei valorosi. Perciò io consiglio che tutto Israele da Dan fino a Beer-Sceba, si raduni presso di te, numeroso come la sabbia che è sulla riva del mare, e che tu vada di persona alla battaglia. Così lo raggiungeranno in qualunque luogo egli si troverà, e gli cadranno addosso come la rugiada cade sul suolo; e di tutti quelli che sono con lui non ne scamperà uno solo. Se egli si ritira in qualche città, tutto Israele porterà funi in quella città e noi la trascineremo nel torrente in modo che non se ne trovi più nemmeno una pietruzza”. Absalom e tutti gli uomini d’Israele dissero: “Il consiglio di Cusai, l’Archita, è migliore di quello di Aitofel”. L’Eterno aveva stabilito di rendere vano il buon consiglio di Aitofel, per far cadere la sciagura sopra Absalom. Allora Cusai disse ai sacerdoti Sadoc e Abiatar: “Aitofel ha consigliato Absalom e gli anziani d’Israele così e così, e io ho consigliato in questo e questo modo. Ora dunque mandate in fretta a informare Davide e ditegli: ‘Non passare la notte nelle pianure del deserto, ma senz’altro va’ oltre, affinché il re con tutta la gente che ha con sé non rimanga sopraffatto’”. Gionatan e Aimaas stavano appostati presso En-Roghel; ed essendo la serva andata a informarli, essi andarono a informare il re Davide, infatti non potevano entrare in città in modo palese. Un ragazzo, però, li aveva visti e aveva avvisato Absalom; ma i due partirono di corsa e giunsero a Baurim a casa di un uomo che aveva nella sua corte una cisterna. Quelli vi si calarono; e la donna di casa prese una coperta, la distese sulla bocca della cisterna, e vi sparse su del grano macinato; cosicché nessuno ne seppe nulla. I servi di Absalom vennero in casa di quella donna, e chiesero: “Dove sono Aimaas e Gionatan?”. La donna rispose loro: “Hanno passato il ruscello”. Quelli si misero a cercarli e, non potendoli trovare, se ne tornarono a Gerusalemme. Come quelli se ne furono andati, i due uscirono fuori dalla cisterna, e andarono a informare il re Davide. Gli dissero: “Alzatevi e affrettatevi ad attraversare l’acqua; perché ecco qual è il consiglio che Aitofel ha dato a vostro danno”. Allora Davide si alzò con tutta la gente che era con lui, e passò il Giordano. All’apparire del giorno, non era rimasto neppure uno che non avesse passato il Giordano. Aitofel, vedendo che il suo consiglio non era stato seguito, sellò il suo asino, e partì per andarsene a casa sua, nella sua città. Mise in ordine le cose della sua casa, e si impiccò. Così morì e fu sepolto nel sepolcro di suo padre. Davide giunse a Maanaim; anche Absalom passò il Giordano, con tutta la gente d’Israele. Absalom aveva posto a capo dell’esercito Amasa, invece di Ioab. Ora Amasa era figlio di un uomo chiamato Itra, l’Ismaelita, il quale aveva avuto relazioni con Abigal, figlia di Naas, sorella di Seruia, madre di Ioab. Israele e Absalom si accamparono nel paese di Galaad. Quando Davide giunse a Maanaim, Sobi, figlio di Naas, che era da Rabba città degli Ammoniti, Machir, figlio di Ammiel da Lodebar, e Barzillai, il Galaadita di Roghelim, portarono dei letti, dei catini, dei vasi di terra, del grano, dell’orzo, della farina, del grano arrostito, delle fave, delle lenticchie, dei legumi arrostiti, del miele, del burro, delle pecore e dei formaggi di vacca, per Davide e per la gente che era con lui, affinché mangiassero; perché dicevano: “Questa gente deve aver patito fame, stanchezza e sete nel deserto”. Davide passò in rassegna la gente che aveva con sé e costituì dei capitani di migliaia e dei capitani di centinaia per comandarla. Fece marciare un terzo della sua gente sotto il comando di Ioab, un terzo sotto il comando di Abisai, figlio di Seruia, fratello di Ioab, e un terzo sotto il comando di Ittai di Gat. Poi il re disse al popolo: “Voglio andare anch’io con voi!”. Ma il popolo rispose: “Tu non devi venire; perché, se noi fossimo messi in fuga, non si farebbe nessun caso di noi; anche se morisse la metà di noi, non si farebbe nessun caso; ma tu conti per diecimila di noi; dunque è meglio che tu ti tenga pronto a darci aiuto dalla città”. Il re rispose loro: “Farò quello che vi sembra bene”. E il re si fermò presso la porta, mentre tutto l’esercito usciva a schiere di cento e di mille uomini. E il re diede quest’ordine a Ioab, ad Abisai e a Ittai: “Per amor mio, trattate con riguardo il giovane Absalom!”. Quando il re diede a tutti i capitani quest’ordine relativamente ad Absalom, tutto il popolo l’udì. L’esercito uscì in campo contro Israele, e la battaglia ebbe luogo nella foresta di Efraim. Là il popolo d’Israele fu sconfitto dalla gente di Davide; e in quel giorno la strage fu grande, caddero ventimila uomini. La battaglia si estese su tutta la contrada; e in quel giorno la foresta divorò molta più gente di quella che non avesse divorato la spada. Absalom si imbatté nella gente di Davide. Absalom cavalcava il suo mulo; il mulo entrò sotto i rami intrecciati di un grande terebinto e la testa di Absalom si impigliò nel terebinto, in modo che egli rimase sospeso fra il cielo e la terra; mentre il mulo, che era sotto di lui, passava oltre. Un uomo vide questo e andò a riferirlo a Ioab, dicendo: “Ho visto Absalom appeso a un terebinto”. Ioab rispose all’uomo che gli portava la notizia: “Come! tu lo hai visto? E perché non lo hai steso morto al suolo sul posto? Io non avrei mancato di darti dieci sicli d’argento e una cintura”. Ma quell’uomo disse a Ioab: “Anche se mi fossero messi in mano mille sicli d’argento, io non metterei la mano addosso al figlio del re, poiché noi abbiamo udito l’ordine che il re ha dato a te, ad Abisai e a Ittai dicendo: ‘Badate che nessuno tocchi il giovane Absalom!’. Se io avessi perfidamente attentato alla sua vita, siccome nulla rimane segreto al re, tu stesso saresti insorto contro di me!”. Allora Ioab disse: “Io non voglio perdere tempo con te in questo modo”. Prese in mano tre lance e le conficcò nel cuore di Absalom, che era ancora vivo in mezzo al terebinto. Poi dieci giovani scudieri di Ioab circondarono Absalom e lo finirono con i loro colpi. Allora Ioab fece suonare la tromba, e il popolo fece ritorno smettendo d’inseguire Israele, perché Ioab glielo impedì. Poi presero Absalom, lo gettarono in una grande fossa nella foresta, ed elevarono sopra di lui un grandissimo mucchio di pietre; e tutto Israele fuggì, ciascuno nella sua tenda. Ora Absalom, mentre era in vita, si era eretto il monumento che è nella Valle del re; perché diceva: “Io non ho un figlio che conservi il ricordo del mio nome” e diede il suo nome a quel monumento, che anche oggi si chiama “monumento di Absalom”. Aimaas, figlio di Sadoc, disse a Ioab: “Lasciami correre a portare al re la notizia che l’Eterno gli ha fatto giustizia contro i suoi nemici”. Ioab gli rispose: “Non sarai tu che porterai oggi la notizia; la porterai un altro giorno; non porterai oggi la notizia, perché il figlio del re è morto”. Poi Ioab disse all’Etiope: “Va’, e riferisci al re quello che hai visto”. L’Etiope si inchinò a Ioab e corse via. Aimaas, figlio di Sadoc, disse di nuovo a Ioab: “Qualunque cosa avvenga, ti prego, lasciami correre dietro all’Etiope!”. Ioab gli disse: “Ma perché, figlio mio, vuoi correre? La notizia non ti porterà nulla di buono”. E l’altro: “Qualunque cosa avvenga, voglio correre”. Allora Ioab gli disse: “Corri!”; Aimaas andò di corsa per la via della pianura e oltrepassò l’Etiope. Ora Davide stava seduto fra le due porte; la sentinella salì sul tetto della porta dal lato del muro; alzò gli occhi, guardò, ed ecco un uomo che correva tutto solo. La sentinella gridò e avvertì il re. Il re disse: “Se è solo, porta notizie”. E quello si avvicinava sempre di più. Poi la sentinella vide un altro uomo che correva, e gridò al guardiano: “Ecco un altro uomo che corre tutto solo!”. E il re: “Anche questo porta notizie”. La sentinella disse: “Il modo di correre del primo mi sembra quello di Aimaas figlio di Sadoc”. E il re disse: “È un uomo onesto e viene a portare buone notizie”. E Aimaas gridò al re: “Pace!”. Si prostrò davanti al re con la faccia a terra, e disse: “Benedetto sia l’Eterno, il tuo Dio, che ha dato in tuo potere gli uomini che avevano alzato le mani contro il re, mio signore!”. Il re disse: “Il giovane Absalom sta bene?”. Aimaas rispose: “Quando Ioab mandava il servo del re e me, tuo servo, io ho visto un gran tumulto, ma non so di che si trattasse”. Il re gli disse: “Mettiti là da parte”. Ed egli si mise da parte e aspettò. Quando ecco arrivare l’Etiope, che disse: “Buone notizie per il re mio signore! L’Eterno oggi ti ha reso giustizia, liberandoti dalle mani di tutti quelli che erano insorti contro di te”. Il re disse all’Etiope: “Il giovane Absalom sta bene?”. L’Etiope rispose: “Possano i nemici del re mio signore, e tutti quelli che insorgono contro di te per farti del male, subire la sorte di quel giovane!”. Allora il re, vivamente commosso, salì nella camera che era sopra la porta, e pianse; e, nell’andare, diceva: “Absalom figlio mio! Figlio mio, Absalom figlio mio! Oh fossi io morto al posto tuo, o Absalom figlio mio, figlio mio!”. Allora andarono a dire a Ioab: “Ecco, il re piange e fa cordoglio a causa di Absalom”. E in quel giorno la vittoria si cambiò in lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel giorno: “Il re è molto afflitto a causa di suo figlio”. Il popolo in quel giorno rientrò furtivamente in città, come avrebbe fatto gente coperta di vergogna per essere fuggita in battaglia. Il re si era coperto la faccia e ad alta voce gridava: “Absalom figlio mio! Absalom figlio mio, figlio mio!”. Allora Ioab entrò in casa dal re, e disse: “Tu oggi copri di rossore il volto di tutta la tua gente, che in questo giorno ha salvato la vita a te, ai tuoi figli e alle tue figlie, alle tue mogli e alle tue concubine, perché ami quelli che ti odiano e odii quelli che ti amano; infatti oggi tu fai vedere che capitani e soldati per te sono nulla; e ora io vedo bene che se Absalom fosse vivo e noi fossimo quest’oggi tutti morti, allora saresti contento. Àlzati, dunque, esci e parla al cuore della tua gente; perché io giuro per l’Eterno che, se non esci, neppure un uomo resterà con te questa notte: questa sarà per te una sventura maggiore di tutte quelle che ti sono cadute addosso dalla tua gioventù fino a oggi”. Allora il re si alzò e si mise a sedere alla porta; e fu dato l’annuncio a tutto il popolo, dicendo: “Ecco il re sta seduto alla porta”. Tutto il popolo venne in presenza del re. Gli Israeliti se ne erano fuggiti, ognuno nella sua tenda, e in tutte le tribù d’Israele tutto il popolo stava discutendo, e dicevano: “Il re ci ha liberati dalle mani dei nostri nemici e ci ha salvati dalle mani dei Filistei; e ora è dovuto fuggire dal paese a causa di Absalom; e Absalom, che noi avevamo unto perché regnasse su noi, è morto in battaglia; perché dunque non cercate di far ritornare il re?”. Il re Davide mandò a dire ai sacerdoti Sadoc e Abiatar: “Parlate agli anziani di Giuda, e dite loro: ‘Perché dovreste essere voi gli ultimi a ricondurre il re a casa sua? I discorsi che si tengono in tutto Israele sono giunti fino alla casa del re. Voi siete miei fratelli, siete mie ossa e mia carne; perché dunque dovreste essere gli ultimi a far ritornare il re?’. E dite ad Amasa: ‘Non sei tu mie ossa e mia carne? Iddio mi tratti con tutto il suo rigore, se tu non diventi per sempre capo dell’esercito, al posto di Ioab’”. Così Davide inclinò il cuore di tutti gli uomini di Giuda, come se fosse stato il cuore di un solo uomo; ed essi mandarono a dire al re: “Ritorna tu con tutta la tua gente”. Il re dunque tornò, e giunse al Giordano; e quelli di Giuda vennero a Ghilgal per andare incontro al re e per fargli attraversare il Giordano. Simei, figlio di Ghera, Beniaminita, che era di Baurim, si affrettò a scendere con gli uomini di Giuda incontro al re Davide. Egli aveva con sé mille uomini di Beniamino, Siba, servo della casa di Saul, con i suoi quindici figli e i suoi venti servi. Essi passarono il Giordano davanti al re. La barca che doveva traghettare la famiglia del re e tenersi a sua disposizione, passò e Simei, figlio di Ghera, si prostrò davanti al re, nel momento in cui questi stava per passare il Giordano, gli disse: “Il mio signore non tenga conto della mia iniquità e dimentichi la condotta perversa tenuta dal suo servo il giorno in cui il re mio signore usciva da Gerusalemme; non serbi il re risentimento! Poiché il tuo servo riconosce che ha peccato; e per questo sono stato oggi il primo di tutta la casa di Giuseppe a scendere incontro al re mio signore”. Ma Abisai, figlio di Seruia, prese a dire: “Nonostante questo, Simei non deve forse morire per aver maledetto l’unto dell’Eterno?”. Davide disse: “Che ho io da fare con voi, o figli di Seruia, che vi mostrate oggi miei avversari? Si dovrebbe far morire qualcuno in Israele oggi? Non so io forse che oggi divento re d’Israele?”. E il re disse a Simei: “Tu non morirai!”. E il re glielo giurò. Mefiboset, nipote di Saul, scese anche egli incontro al re. Egli non si era pulito i piedi, né spuntato la barba, né lavate le vesti dal giorno in cui il re era partito fino a quello in cui tornava in pace. E quando fu giunto da Gerusalemme per incontrare il re, il re gli disse: “Perché non sei venuto con me, Mefiboset?”. Egli rispose: “O re, mio signore, il mio servo m’ingannò; perché il tuo servo, che è zoppo, aveva detto: ‘Io mi farò sellare l’asino, monterò e andrò con il re’. Ed egli ha calunniato il tuo servo presso il re mio signore; ma il re mio signore è come un angelo di Dio; fa’ dunque ciò che ti piacerà. Poiché tutti quelli della casa di mio padre non avrebbero meritato dal re mio signore altro che la morte; tuttavia, tu avevi posto il tuo servo fra quelli che mangiano alla tua mensa. E quale altro diritto posso avere? E perché dovrei continuare a supplicare il re?”. E il re gli disse: “Non occorre che tu aggiunga altre parole. L’ho detto; tu e Siba dividetevi le terre”. Mefiboset rispose al re: “Si prenda pure ogni cosa, poiché il re mio signore è tornato in pace a casa sua”. Barzillai, il Galaadita, scese da Roghelim e passò il Giordano con il re per accompagnarlo di là dal Giordano. Barzillai era molto vecchio; aveva ottant’anni e aveva fornito i viveri al re mentre questi si trovava a Maanaim; poiché era molto facoltoso. Il re disse a Barzillai: “Vieni con me oltre il fiume; io provvederò al tuo sostentamento a casa mia a Gerusalemme”. Ma Barzillai rispose al re: “Gli anni che mi restano da vivere sono troppo pochi perché io salga con il re a Gerusalemme. Io ho adesso ottant’anni: posso ancora discernere ciò che è buono da ciò che è cattivo? Può il tuo servo gustare ancora ciò che mangia o ciò che beve? Posso io udire ancora la voce dei cantori e delle cantanti? E perché dunque il tuo servo dovrebbe essere di peso al re mio signore? Il tuo servo andrebbe con il re, oltre il Giordano, soltanto per poco tempo; e perché il re vorrebbe ricompensarmi con un tale beneficio? Ti prego, lascia che il tuo servo se ne ritorni indietro, che io possa morire nella mia città presso la tomba di mio padre e di mia madre! Ma ecco il tuo servo Chimam; passi lui con il re mio signore e fa’ per lui quello che ti piacerà”. Il re rispose: “Chimam venga con me, e io farò per lui quello che a te piacerà; e farò per te tutto quello che desidererai da me”. E quando tutto il popolo ebbe attraversato il Giordano e l’ebbe attraversato anche il re, il re baciò Barzillai e lo benedisse ed egli se ne tornò a casa sua. Così il re passò oltre, andò a Ghilgal, e Chimam lo accompagnò. Tutto il popolo di Giuda e anche la metà del popolo d’Israele avevano fatto da scorta al re. Allora tutti gli altri Israeliti vennero dal re e gli dissero: “Perché i nostri fratelli, gli uomini di Giuda, ti hanno portato via di nascosto e hanno fatto attraversare il Giordano al re, alla sua famiglia e a tutta la gente di Davide?”. Tutti gli uomini di Giuda risposero agli uomini d’Israele: “Perché il re appartiene a noi più da vicino; e perché vi adirate per questo? Abbiamo mangiato a spese del re? O abbiamo ricevuto qualche regalo?”. E gli uomini d’Israele risposero agli uomini di Giuda: “Il re appartiene a noi dieci volte più che a voi, e quindi Davide è più nostro che vostro; perché dunque ci avete disprezzati? Non siamo stati noi i primi a proporre di far tornare il nostro re?”. Ma il parlare degli uomini di Giuda fu più violento di quello degli uomini d’Israele. Ora si trovava là un uomo scellerato di nome Seba, figlio di Bicri, un Beniaminita, il quale suonò la tromba, e disse: “Noi non abbiamo nulla da spartire con Davide, non abbiamo nulla in comune con il figlio d’Isai! O Israele, ciascuno alla sua tenda!”. E tutti gli uomini di Israele ripresero la via delle alture, separandosi da Davide per seguire Seba, figlio di Bicri; ma quelli di Giuda non si staccarono dal loro re, e lo accompagnarono dal Giordano fino a Gerusalemme. Quando Davide fu giunto a casa sua a Gerusalemme, prese le dieci concubine che aveva lasciato a custodia della casa e le fece rinchiudere. Egli somministrava loro gli alimenti, ma non si accostava a loro; rimasero così rinchiuse, vivendo come vedove, fino al giorno della loro morte. Poi il re disse ad Amasa: “Radunami tutti gli uomini di Giuda entro tre giorni; e tu trovati qui”. Amasa dunque partì per radunare gli uomini di Giuda; ma tardò oltre il tempo fissato dal re. Allora Davide disse ad Abisai: “Seba, figlio di Bicri, ci farà adesso più male di Absalom; prendi tu la gente del tuo signore e inseguilo affinché non trovi delle città fortificate e ci sfugga”. Abisai partì, seguito dalla gente di Ioab, dai Cheretei, dai Peletei, e da tutti gli uomini più valorosi; e uscirono da Gerusalemme per inseguire Seba, figlio di Bicri. Si trovavano nei pressi della grande pietra che è a Gabaon, quando Amasa venne loro incontro. Ora Ioab indossava la sua veste militare sulla quale portava una spada che, attaccata al cinturino, gli pendeva dai fianchi nel suo fodero; mentre Ioab si faceva avanti, la spada gli cadde. Ioab disse ad Amasa: “Stai bene, fratello mio?”. E con la destra prese Amasa per la barba, per baciarlo. Amasa non fece attenzione alla spada che Ioab aveva in mano; e Ioab lo colpì al ventre così che gli intestini si sparsero per terra; non lo colpì una seconda volta, perché morì. Poi Ioab e Abisai, suo fratello, si misero a inseguire Seba, figlio di Bicri. Uno dei giovani di Ioab era rimasto presso Amasa, e diceva: “Chi vuole bene a Ioab e chi è per Davide segua Ioab!”. Intanto Amasa si rotolava nel sangue in mezzo alla strada. E quell’uomo vedendo che tutto il popolo si fermava, trascinò Amasa fuori della strada in un campo e gli buttò addosso un mantello, perché aveva visto che tutti quelli che gli arrivavano vicino si fermavano; ma quando fu tolto dalla strada, tutti passavano al seguito di Ioab per inseguire Seba figlio di Bicri. Ioab attraversò tutte le tribù d’Israele fino ad Abel e a Bet-Maaca. Tutto il fior fiore degli uomini si radunò e lo seguì. E vennero e assediarono Seba ad Abel-Bet-Maaca, e innalzarono contro la città un terrapieno che dominava le fortificazioni e tutta la gente che era con Ioab scavava le mura per abbatterle. Allora una donna di buon senso gridò dalla città: “Udite, udite! Vi prego, dite a Ioab di avvicinarsi, perché gli voglio parlare!”. E quando si fu avvicinato, la donna gli chiese: “Sei tu Ioab?”. Egli rispose: “Sono io”. Allora lei gli disse: “Ascolta la parola della tua serva”. Egli rispose: “Ascolto”. E lei riprese: “Una volta si diceva: ‘Si domandi consiglio ad Abel!’ e la questione era risolta. Abel è una delle città più pacifiche e più fedeli in Israele; e tu cerchi di far perire una città che è una madre in Israele. Perché vuoi distruggere l’eredità dell’Eterno?”. Ioab rispose: “Lungi, lungi da me l’idea di distruggere e di guastare. Il fatto non sta così; ma un uomo della regione montuosa d’Efraim, di nome Seba, figlio di Bicri, ha alzato la mano contro il re, contro Davide. Consegnatemi lui solo e io mi allontanerò dalla città”. E la donna disse a Ioab: “Ecco, la sua testa ti sarà gettata dalle mura”. Allora la donna si rivolse a tutto il popolo con il suo saggio consiglio; e quelli tagliarono la testa a Seba, figlio di Bicri, e la gettarono a Ioab. E questi fece suonare la tromba; tutti si dispersero lontano dalla città e ognuno se ne andò alla sua tenda. E Ioab tornò a Gerusalemme presso il re. Ioab era a capo di tutto l’esercito d’Israele; Benaia, figlio di Ieoiada, era a capo dei Cheretei e dei Peletei; Adoram era preposto ai tributi; Giosafat, figlio di Ailud, era archivista; Sceia era segretario; Sadoc e Abiatar erano sacerdoti; e anche Ira di Iair era ministro di stato di Davide. Al tempo di Davide ci fu una carestia per tre anni continui; Davide cercò la faccia dell’Eterno, e l’Eterno gli disse: “Questo avviene a causa di Saul e della sua casa sanguinaria, perché egli fece morire i Gabaoniti”. Allora il re chiamò i Gabaoniti e parlò loro. - I Gabaoniti non facevano parte dei figli d’Israele, ma erano un residuo degli Amorei; e i figli d’Israele si erano legati a loro con giuramento; tuttavia, Saul, nel suo zelo per i figli d’Israele e di Giuda, aveva cercato di sterminarli. - Davide disse ai Gabaoniti: “Che devo fare per voi e in che modo espierò il torto fatto a voi, perché voi benediciate l’eredità dell’Eterno?”. I Gabaoniti gli risposero: “Fra noi e Saul e la sua casa non è questione d’argento o d’oro; e non spetta a noi il far morire in Israele”. Il re disse: “Ciò che voi direte io lo farò per voi”. E quelli risposero al re: “Poiché quell’uomo ci ha consumati e aveva fatto il piano di sterminarci per farci sparire da tutto il territorio d’Israele, ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli, e noi li impiccheremo davanti all’Eterno a Ghibea di Saul, l’Eletto dell’Eterno”. Il re disse: “Ve li consegnerò”. Il re risparmiò Mefiboset, figlio di Gionatan, figlio di Saul, a causa del giuramento che Davide e Gionatan, figlio di Saul, avevano fatto tra loro davanti all’Eterno; ma il re prese i due figli che Rispa, figlia di Aia, aveva partorito a Saul, Armoni e Mefiboset, e i cinque figli che Merab, figlia di Saul, aveva partoriti ad Adriel di Meola, figlio di Barzillai, e li consegnò ai Gabaoniti, che li impiccarono sul monte, davanti all’Eterno. Tutti e sette morirono assieme; furono messi a morte nei primi giorni della messe, quando si cominciava a mietere l’orzo. Rispa, figlia di Aia, prese un cilicio, lo stese sulla roccia, e stette là dal principio della mietitura fino a che l’acqua non cadde dal cielo sui cadaveri; e impedì agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte. Fu riferito a Davide quello che Rispa, figlia di Aia, concubina di Saul, aveva fatto. Davide andò a prendere le ossa di Saul e quelle di Gionatan suo figlio presso gli abitanti di Iabes di Galaad, i quali le avevano portato via dalla piazza di Bet-San, dove i Filistei avevano appeso i cadaveri quando avevano sconfitto Saul sul Ghilboa. Egli riportò di là le ossa di Saul e quelle di Gionatan suo figlio; e anche le ossa di quelli che erano stati impiccati furono raccolte. Le ossa di Saul e di Gionatan suo figlio furono sepolte nel paese di Beniamino, a Sela, nel sepolcro di Chis, padre di Saul; e fu fatto tutto quello che il re aveva ordinato. Dopo questo, Iddio fu placato verso il paese. I Filistei mossero di nuovo guerra a Israele e Davide scese, con la sua gente, per combattere contro i Filistei. Davide era stanco e Isbi-Benob, uno dei discendenti di Rafa, che aveva una lancia del peso di trecento sicli di rame e portava un’armatura nuova, manifestò il proposito di uccidere Davide; ma Abisai, il figlio di Seruia, venne in soccorso al re, colpì il Filisteo, e lo uccise. Allora la gente di Davide gli fece questo giuramento: “Tu non uscirai più con noi a combattere e non spegnerai la lampada d’Israele”. Dopo questo, ci fu un’altra battaglia con i Filistei, a Gob; e allora Sibbecai di Cusa uccise Saf, uno dei discendenti di Rafa. Ci fu un’altra battaglia con i Filistei a Gob; ed Elcanam, figlio di Iaare-Oreghim di Betlemme uccise Goliat di Gat, la cui asta della lancia era come un subbio da tessitore. Ci fu un’altra battaglia a Gat, dove si trovò un uomo di grande statura, che aveva sei dita a ciascuna mano e a ciascun piede, in tutto ventiquattro dita, e che era anche lui dei discendenti di Rafa. Egli oltraggiò Israele e Gionatan, figlio di Simea, fratello di Davide, lo uccise. Questi quattro erano nati a Gat, della stirpe di Rafa. Essi morirono per mano di Davide e per mano della sua gente. Davide rivolse all’Eterno le parole di questo canto quando l’Eterno lo liberò dalla mano di tutti i suoi nemici e dalla mano di Saul. Egli disse: “L’Eterno è la mia ròcca, la mia fortezza, il mio liberatore; l’Iddio che è la mia rupe, in cui mi rifugio, il mio scudo, il mio potente salvatore, il mio alto rifugio, il mio asilo. O mio salvatore, tu mi salvi dalla violenza! Io invocai l’Eterno che è degno di ogni lode e fui salvato dai miei nemici. Le onde della morte mi avevano circondato e i torrenti della distruzione mi avevano spaventato. I legami del soggiorno dei morti mi avevano attorniato, i lacci della morte mi avevano sorpreso. Nella mia angoscia invocai l’Eterno e gridai al mio Dio. Egli udì la mia voce dal suo tempio e il mio grido giunse ai suoi orecchi. Allora la terra fu scossa e tremò, le fondamenta dei cieli furono smosse e scrollate, perché egli era acceso d’ira. Un fumo saliva dalle sue narici; un fuoco consumante gli usciva dalla bocca, e ne procedevano carboni accesi. Egli abbassò i cieli e discese, avendo sotto i piedi una densa nube. Cavalcava sopra un cherubino e volava, appariva sulle ali del vento. Aveva posto intorno a sé, come un padiglione, le tenebre, le raccolte delle acque, le dense nubi dei cieli. Dallo splendore che lo precedeva, si sprigionavano carboni accesi. L’Eterno tuonò dai cieli e l’Altissimo fece udire la sua voce. Scagliò saette e disperse i nemici; lanciò folgori e li mise in rotta. Allora apparve il letto del mare, e le fondamenta del mondo furono scoperte al rimprovero dell’Eterno, al soffio del vento delle sue narici. Egli distese dall’alto la mano e mi prese, mi trasse fuori dalle grandi acque. Mi liberò dal mio potente nemico, da quelli che mi odiavano; perché erano più forti di me. Essi mi erano piombati addosso nel giorno della mia calamità, ma l’Eterno fu il mio sostegno. Egli mi trasse fuori al largo, mi liberò perché mi gradisce. L’Eterno mi ha retribuito secondo la mia giustizia, mi ha reso secondo la purezza delle mie mani, poiché ho osservato le vie dell’Eterno e non mi sono empiamente sviato dal mio Dio. Poiché ho tenuto tutte le sue leggi davanti a me, e non mi sono allontanato dai suoi statuti. E sono stato integro verso di lui e mi sono guardato dalla mia iniquità. Perciò l’Eterno mi ha reso secondo la mia giustizia, secondo la mia purezza nel suo cospetto. Tu ti mostri pietoso verso il pio, integro verso l’uomo integro; ti mostri puro con il puro e ti mostri astuto con il perverso; tu salvi la gente afflitta e il tuo sguardo si ferma sugli alteri, per abbassarli. Sì, tu sei la mia lampada, o Eterno, e l’Eterno illumina le mie tenebre. Con te io assalgo tutta una schiera, con il mio Dio salgo sulle mura. La via di Dio è perfetta, la parola dell’Eterno è purificata con il fuoco. Egli è lo scudo di tutti quelli che sperano in lui. Poiché chi è Dio all’infuori dell’Eterno? Chi è Ròcca all’infuori del nostro Dio? Iddio è la mia potente fortezza, e rende la mia via perfetta. Egli rende i miei piedi simili a quelli delle cerve e mi rende saldo sui miei alti luoghi. Egli ammaestra le mie mani alla battaglia e le mie braccia tendono un arco di rame. Tu mi hai anche dato lo scudo della tua salvezza e la tua benignità mi ha reso grande. Tu hai allargato la via ai miei passi e i miei piedi non hanno vacillato. Io ho inseguito i miei nemici e li ho distrutti, e non sono tornato indietro prima di averli annientati. Li ho annientati, schiacciati; non sono risorti; sono caduti sotto i miei piedi. Tu mi hai cinto di forza per la guerra, tu hai fatto piegare sotto di me i miei avversari; hai fatto voltare le spalle davanti a me ai miei nemici; quelli che mi odiavano io li ho distrutti. Hanno guardato, ma non ci fu chi li salvasse; hanno gridato all’Eterno, ma egli non rispose loro; io li ho tritati come polvere della terra, li ho pestati, calpestati, come il fango delle strade. Tu mi hai liberato dalle contese del mio popolo, mi hai conservato capo di nazioni; un popolo che non conoscevo mi è stato sottoposto. I figli degli stranieri mi hanno reso omaggio, al solo udire parlare di me, mi hanno ubbidito. I figli degli stranieri sono venuti meno, sono usciti tremanti dai loro nascondigli. Viva l’Eterno! Sia benedetta la mia ròcca! e sia esaltato Iddio, la ròcca della mia salvezza! l’Iddio che fa la mia vendetta e mi sottomette i popoli, che mi libera dalle mani dei miei nemici. Sì, tu mi innalzi sopra i miei avversari, mi liberi dall’uomo violento. Perciò, o Eterno, ti loderò fra le nazioni e salmeggerò al tuo nome. Egli accorda al suo re grandi liberazioni e usa benignità verso il suo unto, verso Davide e la sua progenie per sempre”. Queste sono le ultime parole di Davide: “Parola di Davide, figlio d’Isai, parola dell’uomo che fu elevato ad alta dignità, dell’unto dell’Iddio di Giacobbe, del dolce cantore d’Israele: Lo Spirito dell’Eterno ha parlato per mio mezzo e la sua parola è stata sulle mie labbra. L’Iddio d’Israele ha parlato, la Ròcca d’Israele mi ha detto: ‘Colui che regna sugli uomini con giustizia, colui che regna con timore di Dio, è come la luce mattutina, quando il sole sorge in un mattino senza nuvole, e con il suo splendore, dopo la pioggia, fa spuntare l’erbetta dalla terra’. Non è forse così della mia casa davanti a Dio? Poiché egli ha stabilito con me un patto eterno, ben regolato in ogni punto e perfettamente sicuro. Non farà egli germogliare la mia completa salvezza e tutto ciò che io bramo? Ma gli scellerati, tutti quanti, sono come spine che si buttano via e non si prendono con la mano; chi le tocca si arma di un ferro o di un’asta di lancia e si bruciano interamente là dove sono”. Questi sono i nomi dei valorosi guerrieri che furono al servizio di Davide: Ioseb-Basebet, il Tachemonita, capo dei principali ufficiali. Egli era Adino l’Eznita che uccise ottocento uomini in un solo scontro. Dopo di lui veniva Eleazar, figlio di Dodo, figlio di Acoi, uno dei tre valorosi guerrieri che erano con Davide, quando sfidarono i Filistei radunati per combattere, mentre gli Israeliti si ritiravano sulle alture. Egli si alzò, percosse i Filistei, finché la sua mano, sfinita, rimase attaccata alla spada. L’Eterno concesse in quel giorno una grande vittoria, e il popolo tornò a seguire Eleazar soltanto per spogliare gli uccisi. Dopo di lui veniva Samma, figlio di Aghé, l’Ararita. I Filistei si erano radunati in massa; in quel luogo c’era un campo pieno di lenticchie e, mentre il popolo fuggiva davanti ai Filistei, Samma si piantò in mezzo al campo, lo difese e sconfisse i Filistei. L’Eterno concesse una grande vittoria. Tre dei trenta capi scesero al tempo della mietitura, e vennero da Davide nella caverna di Adullam, mentre una schiera di Filistei era accampata nella valle dei Refaim. Davide era allora nella fortezza e c’era un appostamento di Filistei a Betlemme. Davide ebbe un desiderio, e disse: “Oh, se qualcuno mi desse da bere dell’acqua del pozzo che è vicino alla porta di Betlemme!”. Allora i tre prodi si aprirono un varco attraverso al campo filisteo, attinsero dell’acqua dal pozzo di Betlemme, vicino alla porta, la presero con sé e la presentarono a Davide il quale, però, non ne volle bere, ma la sparse davanti all’Eterno, dicendo: “Lungi da me, o Eterno, che io faccia una cosa simile! Berrei io il sangue di questi uomini, che sono andati là a rischio della loro vita?”. E non la volle bere. Questo fecero quei tre prodi. Abisai, fratello di Ioab, figlio di Seruia, fu il capo di altri tre. Egli impugnò la lancia contro trecento uomini e li uccise; acquistò fama fra i tre. Fu il più illustre dei tre e perciò fu fatto loro capo; tuttavia non giunse a eguagliare i primi tre. Poi veniva Benaia da Cabseel, figlio di Ieoiada, figlio di Isai, celebre per le sue prodezze. Egli uccise i due grandi eroi di Moab. Scese anche in mezzo a una cisterna, dove uccise un leone, un giorno di neve. E uccise pure un Egiziano, di aspetto formidabile, che teneva una lancia in mano; ma Benaia gli scese contro con un bastone, strappò di mano all’Egiziano la lancia, e se ne servì per ucciderlo. Questo fece Benaia, figlio di Ieoiada; e acquistò fama fra i tre prodi. Fu il più illustre dei trenta; tuttavia non giunse a eguagliare i primi tre. E Davide lo ammise nel suo consiglio. Poi c’erano: Asael, fratello di Ioab, uno dei trenta; Elcanan, figlio di Dodo, da Betlemme; Samma da Carod; Elica da Carod; Cheles da Pelet; Ira, figlio di Icches, da Tecoa; Abiezer da Anatot; Mebunnai da Cusa; Salmon da Acoa; Maarai da Netofa; Cheled, figlio di Baana, da Netofa; Ittai, figlio di Ribai, da Ghibea, dei figli di Beniamino; Benaia da Piraton; Iddai da Nacale-Gaas; Abi-Albon di Arbat; Azmavet da Barum; Eliaba da Saalbon; Bene-Iasen; Gionatan; Samma da Arar; Aiam, figlio di Sarar, da Arar; Elifelet, figlio di Aasbai, figlio di un Maacateo; Eliam, figlio di Aitofel, da Ghilo; Chesrai da Carmel; Paarai da Arab; Igal, figlio di Natan, da Soba; Bani da Gad; Selec, l’Ammonita; Naarai da Beerot, scudiero di Ioab, figlio di Seruia; Ira da Ieter; Gareb da Ieter; Uria, l’Ittita. In tutto trentasette. L’Eterno si accese di nuovo d’ira contro Israele, e incitò Davide contro il popolo, dicendo: “Va’ e fa’ il censimento d’Israele e di Giuda”. Il re disse a Ioab, che era il capo dell’esercito, e che era con lui: “Recati da tutte le tribù d’Israele, da Dan fino a Beer-Sceba, e fate il censimento del popolo perché io ne sappia il numero”. Ioab rispose al re: “L’Eterno, il tuo Dio, moltiplichi il popolo cento volte più di quello che è, e faccia sì che gli occhi del re, mio signore, possano vederlo! Ma perché il re mio signore prende piacere nel fare questo?”. Ma l’ordine del re prevalse contro Ioab e contro i capi dell’esercito, e Ioab e i capi dell’esercito partirono dalla presenza del re per andare a fare il censimento del popolo d’Israele. Passarono il Giordano e si accamparono ad Aroer, a destra della città che è in mezzo alla valle di Gad, e presso Iazer. Poi andarono in Galaad e nel paese di Tatim-Odsi; poi andarono a Dan-Iaan e nei dintorni di Sidone; andarono alla fortezza di Tiro e in tutte le città degli Ivvei e dei Cananei, e finirono con il meridione di Giuda, e Beer-Sceba. Percorsero così tutto il paese, e dopo nove mesi e venti giorni tornarono a Gerusalemme. Ioab consegnò al re la cifra del censimento del popolo: c’erano in Israele ottocentomila uomini forti, adatti a portare le armi; e in Giuda, cinquecentomila. Dopo che Davide ebbe fatto il censimento del popolo, provò un rimorso al cuore, e disse all’Eterno: “Io ho gravemente peccato in ciò che ho fatto; ma ora, o Eterno, perdona l’iniquità del tuo servo, poiché io ho agito con grande stoltezza”. E quando Davide si fu alzato la mattina, la parola dell’Eterno fu così rivolta al profeta Gad, il veggente di Davide: “Va’ a dire a Davide: ‘Così dice l’Eterno: Io ti propongo tre cose: scegline una, e quella farò’”. Gad venne dunque a Davide, gli riferì questo, e disse: “Vuoi sette anni di carestia nel tuo paese, oppure tre mesi di fuga davanti ai tuoi nemici che ti inseguono, oppure tre giorni di peste nel tuo paese? Ora rifletti, e vedi che cosa io debba rispondere a colui che mi ha mandato”. Davide disse a Gad: “Io sono in una grande angoscia! Ebbene, che cadiamo nelle mani dell’Eterno, perché le sue compassioni sono immense; ma che io non cada nelle mani degli uomini!”. Così l’Eterno mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato; e da Dan a Beer-Sceba morirono settantamila persone del popolo. Mentre l’angelo stendeva la sua mano su Gerusalemme per distruggerla, l’Eterno si pentì della calamità che aveva inflitta, e disse all’angelo che distruggeva il popolo: “Basta; ritira ora la tua mano!”. Ora l’angelo dell’Eterno si trovava presso l’aia di Arauna, il Gebuseo. Davide, vedendo l’angelo che colpiva il popolo, disse all’Eterno: “Sono io che ho peccato; sono io che ho agito ingiustamente; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano si volga dunque contro di me e contro la casa di mio padre!”. Quel giorno Gad venne da Davide, e gli disse: “Sali, erigi un altare all’Eterno nell’aia di Arauna, il Gebuseo”. E Davide salì, secondo la parola di Gad, come l’Eterno aveva comandato. Arauna guardò e vide il re e i suoi servi che si dirigevano verso di lui; e Arauna uscì e si prostrò davanti al re, con la faccia a terra. Poi Arauna disse: “Perché il re, mio signore, viene dal suo servo?”. E Davide rispose: “Per comprare da te quest’aia ed erigervi un altare all’Eterno, affinché la piaga cessi di infierire sul popolo”. Arauna disse a Davide: “Il re, mio signore, prenda e offra quello che gli piacerà! Ecco i buoi per l’olocausto; e le macchine per trebbiare e gli arnesi per i buoi serviranno da legna. Tutte queste cose, o re, Arauna te le dà”. Poi Arauna disse al re: “L’Eterno, il tuo Dio, ti sia propizio!”. Ma il re rispose ad Arauna: “No, io comprerò da te queste cose per il loro prezzo, e non offrirò all’Eterno, al mio Dio, olocausti che non mi costino nulla”. E Davide comprò l’aia e i buoi per cinquanta sicli d’argento; costruì là un altare all’Eterno e offrì olocausti e sacrifici di ringraziamento. Così l’Eterno fu placato verso il paese, e la piaga cessò di infierire sul popolo. Il re Davide era vecchio e avanzato negli anni; e, per quanto lo coprissero di indumenti, non poteva riscaldarsi. Perciò i suoi servi gli dissero: “Si cerchi per il re nostro signore una ragazza vergine, che stia al servizio del re, ne abbia cura, e dorma fra le sue braccia, così il re nostro signore potrà riscaldarsi”. Cercarono dunque per tutto il paese d’Israele una bella ragazza; trovarono Abisag, la Sunamita, e la condussero dal re. La ragazza era bellissima, si prendeva cura del re, e lo serviva; ma il re non si unì a lei. Adonia, figlio di Agghit, mosso dall’ambizione, diceva: “Sarò io il re!”. E si procurò dei carri, dei cavalieri, e cinquanta uomini che corressero davanti a lui. Suo padre non gli aveva mai fatto un rimprovero in vita sua, dicendogli: “Perché fai così?”. Anche Adonia era bellissimo di aspetto, ed era nato subito dopo Absalom. Egli si accordò con Ioab, figlio di Seruia, e con il sacerdote Abiatar, i quali si misero dalla sua parte e lo favorirono. Ma il sacerdote Sadoc, Benaia figlio di Ieoiada, il profeta Natan, Simei, Rei e gli uomini prodi di Davide non erano schierati per Adonia. Adonia sacrificò pecore, buoi e vitelli grassi vicino al masso di Zoelet che è accanto alla fontana di Roghel, e invitò tutti i suoi fratelli, figli del re, e tutti gli uomini di Giuda che erano al servizio del re; ma non invitò il profeta Natan, né Benaia, né gli uomini valorosi, né Salomone suo fratello. Allora Natan parlò a Bat-Sceba, madre di Salomone, e le disse: “Non hai udito che Adonia, figlio di Agghit, è diventato re senza che Davide nostro signore ne sappia nulla? Vieni dunque, e permetti che io ti dia un consiglio, affinché tu salvi la tua vita e quella di tuo figlio Salomone. Va’, entra dal re Davide, e digli: ‘O re, mio signore, non giurasti alla tua serva, dicendo: Salomone, tuo figlio, regnerà dopo di me e siederà sul mio trono? Perché dunque regna Adonia?’. Ed ecco che mentre tu starai ancora là parlando con il re, io entrerò dopo di te, e confermerò le tue parole”. Bat-Sceba entrò dunque nella camera del re. - Il re era molto vecchio e Abisag, la Sunamita, lo serviva. - Bat-Sceba si inchinò e si prostrò davanti al re. E il re disse: “Che cosa vuoi?”. Lei gli rispose: “Signore mio, tu giurasti alla tua serva, per l’Eterno che è il tuo Dio, dicendo: ‘Salomone, tuo figlio, regnerà dopo di me e siederà sul mio trono’; ora invece, ecco che Adonia è diventato re senza che tu, o re mio signore, ne sappia nulla. Ha sacrificato buoi, vitelli grassi e pecore in gran numero, e ha invitato tutti i figli del re e il sacerdote Abiatar e Ioab, il capo dell’esercito, ma non ha invitato il tuo servo Salomone. Ora gli occhi di tutto Israele sono rivolti verso di te, o re mio signore, perché tu gli dichiari chi debba sedere sul trono del re mio signore, dopo di lui. Altrimenti avverrà che, quando il re mio signore si sarà addormentato con i suoi padri, io e mio figlio Salomone saremo trattati come colpevoli”. Mentre lei parlava ancora con il re, ecco arrivare il profeta Natan. La cosa fu riferita al re, dicendo: “Ecco il profeta Natan!”. E questi venne in presenza del re e gli si prostrò davanti con la faccia a terra. Natan disse: “O re, mio signore, sei tu che hai detto: ‘Adonia regnerà dopo di me e siederà sul mio trono’? Infatti oggi egli è sceso, ha sacrificato buoi, vitelli grassi e pecore in gran numero, e ha invitato tutti i figli del re, i capi dell’esercito e il sacerdote Abiatar; ed ecco che mangiano e bevono davanti a lui, e dicono: ‘Viva il re Adonia!’. Ma egli non ha invitato me, tuo servo, né il sacerdote Sadoc, né Benaia figlio di Ieoiada, né Salomone tuo servo. Tutto questo è stato fatto proprio dal re mio signore, senza che tu abbia dichiarato al tuo servo chi sia colui che deve sedere sul trono del re mio signore dopo di lui?”. Il re Davide, rispondendo, disse: “Chiamatemi Bat-Sceba”. Lei entrò alla presenza del re e rimase in piedi davanti a lui. Il re giurò e disse: “Com’è vero che vive l’Eterno che mi ha liberato da ogni avversità, oggi io farò quello che ti giurai per l’Eterno, per l’Iddio d’Israele, dicendo: ‘Salomone tuo figlio regnerà dopo di me e siederà sul mio trono al posto mio’”. Bat-Sceba si inchinò con la faccia a terra, si prostrò davanti al re, e disse: “Possa il re Davide mio signore vivere per sempre!”. Poi il re Davide disse: “Chiamatemi il sacerdote Sadoc, il profeta Natan e Benaia, figlio di Ieoiada”. Essi vennero in presenza del re, e il re disse loro: “Prendete con voi i servi del vostro signore, fate montare mio figlio Salomone sulla mia mula, e conducetelo a Ghion. Là il sacerdote Sadoc e il profeta Natan lo ungano re d’Israele. Poi suonate la tromba e dite: ‘Viva il re Salomone!’. Voi risalirete al suo seguito, ed egli verrà, si metterà a sedere sul mio trono, e regnerà al mio posto. Io costituisco lui come principe d’Israele e di Giuda”. Benaia, figlio di Ieoiada, rispose al re: “Amen! Così voglia l’Eterno, l’Iddio del re mio signore! Come l’Eterno è stato con il re mio signore, così sia con Salomone, e innalzi il suo trono al di sopra del trono del re Davide, mio signore!”. Allora il sacerdote Sadoc, il profeta Natan, Benaia figlio di Ieoiada, i Cheretei e i Peletei scesero, fecero montare Salomone sulla mula del re Davide, e lo condussero a Ghion. Il sacerdote Sadoc prese il corno dell’olio dal tabernacolo e unse Salomone. Suonarono la tromba, e tutto il popolo disse: “Viva il re Salomone!”. E tutto il popolo risalì al suo seguito suonando flauti e abbandonandosi a una grande gioia, tanto che la terra rimbombava delle loro grida. Adonia e tutti i suoi convitati, mentre stavano per finire di mangiare, udirono questo rumore; e quando Ioab udì il suono della tromba, disse: “Che vuol dire questo frastuono della città in tumulto?”. E mentre parlava ancora, ecco giungere Gionatan, figlio del sacerdote Abiatar. Adonia gli disse: “Entra, poiché tu sei un uomo di valore, e devi portare buone notizie”. Gionatan, rispondendo ad Adonia, disse: “Tutt’altro! Il re Davide, nostro signore, ha costituito re Salomone. Egli ha mandato con lui il sacerdote Sadoc, il profeta Natan, Benaia figlio di Ieoiada, i Cheretei e i Peletei, i quali lo hanno fatto montare sulla mula del re. Il sacerdote Sadoc e il profeta Natan lo hanno unto re a Ghion, e di là sono risaliti abbandonandosi alla gioia, e la città è tutta in subbuglio. Questo è il frastuono che avete udito. E c’è di più: Salomone si è posto a sedere sul trono reale. E i servi del re sono venuti a benedire il re Davide signore nostro, dicendo: ‘Iddio renda il nome di Salomone più glorioso del tuo, e innalzi il suo trono al di sopra del tuo!’. E il re si è prostrato sul suo letto, poi il re ha detto così: ‘Sia benedetto l’Eterno, l’Iddio d’Israele, che oggi mi ha dato uno che sieda sul mio trono, e mi ha permesso di vederlo con i miei occhi!’”. Allora tutti i convitati di Adonia furono presi da spavento, si alzarono, e se ne andarono ciascuno per la sua strada. Adonia, avendo paura di Salomone, si alzò e andò a impugnare i corni dell’altare. E vennero a dire a Salomone: “Ecco, Adonia ha paura del re Salomone, e ha impugnato i corni dell’altare, dicendo: ‘Il re Salomone mi giuri oggi che non farà morire di spada il suo servo’”. Salomone rispose: “Se egli si dimostra un uomo leale, non cadrà a terra neppure uno dei suoi capelli; ma, se sarà trovato colpevole, morirà”. Il re Salomone mandò gente a farlo scendere dall’altare. Ed egli venne a prostrarsi davanti al re Salomone; e Salomone gli disse: “Vattene a casa tua”. Si avvicinava per Davide il giorno della morte, ed egli diede i suoi ordini a Salomone suo figlio, dicendo: “Io me ne vado per la via di tutti gli abitanti della terra; fortificati e comportati da uomo! Osserva quello che l’Eterno, il tuo Dio, ti ha comandato di osservare, camminando nelle sue vie e mettendo in pratica le sue leggi, i suoi comandamenti, i suoi precetti, i suoi insegnamenti, come è scritto nella legge di Mosè, affinché tu riesca in tutto ciò che farai e dovunque tu ti diriga, e affinché l’Eterno adempia la parola da lui pronunciata a mio riguardo quando disse: ‘Se i tuoi figli veglieranno sulla loro condotta camminando nel mio cospetto con fedeltà, con tutto il loro cuore e con tutta l’anima loro, non ti mancherà mai qualcuno che sieda sul trono d’Israele’. Sai anche tu ciò che mi ha fatto Ioab, figlio di Seruia, quello che ha fatto ai due capi degli eserciti d’Israele, ad Abner figlio di Ner, e ad Amasa, figlio di Ieter, che egli uccise, spargendo sangue di guerra in tempo di pace, e macchiando di sangue la cintura che portava ai fianchi e i calzari che portava ai piedi. Agisci dunque secondo la tua saggezza, e non lasciare la sua vecchiaia scendere in pace nel soggiorno dei morti. Ma tratta con bontà i figli di Barzillai il Galaadita e siano fra quelli che mangiano alla tua mensa; poiché anche loro mi trattarono così quando vennero da me, quando io fuggivo davanti ad Absalom tuo fratello. Ed ecco, tu hai vicino a te Simei figlio di Ghera, il Beniaminita, di Baurim, il quale proferì contro di me una maledizione atroce il giorno che andavo a Maanaim. Ma egli scese a incontrarmi verso il Giordano, e io gli giurai per l’Eterno che non lo avrei fatto morire di spada. - Ma ora non lasciarlo impunito; poiché sei saggio e sai ciò che devi fargli. Farai scendere la sua vecchiaia tinta di sangue nel soggiorno dei morti”. Davide si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto nella città di Davide. Il tempo che Davide regnò sopra Israele fu di quarant’anni: regnò sette anni a Ebron e trentatré anni a Gerusalemme. E Salomone sedette sul trono di Davide suo padre, e il suo regno fu saldamente stabilito. Adonia figlio di Agghit, andò da Bat-Sceba, madre di Salomone. Lei gli disse: “Vieni con intenzioni pacifiche?”. Egli rispose: “Sì, pacifiche”. Poi aggiunse: “Ho da dirti una cosa”. Lei rispose: “Di’ pure”. Ed egli disse: “Tu sai che il regno mi apparteneva e che tutto Israele mi considerava come suo futuro re; ma il regno è stato trasferito e fatto passare a mio fratello, perché glielo ha dato l’Eterno. Ora dunque io ti domando una cosa; non me la rifiutare”. Lei rispose: “Di’ pure”. Ed egli disse: “Ti prego, di’ al re Salomone, il quale non ti negherà nulla, che mi dia Abisag la Sunamita per moglie”. Bat-Sceba rispose: “Sta bene, parlerò al re in tuo favore”. Bat-Sceba dunque si recò dal re Salomone per parlargli in favore di Adonia. Il re si alzò per andarle incontro, le si inchinò, poi si mise a sedere sul suo trono, e fece mettere un altro trono per sua madre, la quale si sedette alla sua destra. Lei gli disse: “Ho una piccola cosa da chiederti; non me la negare”. Il re rispose: “Chiedila pure, madre mia; io non te la negherò”. E lei: “Si dia per moglie Abisag la Sunamita a tuo fratello Adonia”. Il re Salomone, rispondendo a sua madre, disse: “E perché chiedi Abisag la Sunamita per Adonia? Chiedi piuttosto il regno per lui, poiché egli è mio fratello maggiore; chiedilo per lui, per il sacerdote Abiatar e per Ioab, figlio di Seruia!”. Allora il re Salomone giurò per l’Eterno, dicendo: “Iddio mi tratti con tutto il suo rigore, se Adonia non ha pronunciato questa parola a costo della sua vita! E ora, com’è vero che vive l’Eterno, che mi ha stabilito, mi ha fatto sedere sul trono di Davide mio padre, e mi ha fondato una casa come aveva promesso, oggi Adonia sarà messo a morte!”. E il re Salomone mandò Benaia, figlio di Ieoiada, il quale si scagliò contro Adonia ed egli morì. Poi il re disse al sacerdote Abiatar: “Vattene ad Anatot, nelle tue terre, poiché tu meriti la morte; ma io non ti farò morire oggi, perché hai portato davanti a Davide mio padre l’arca del Signore, dell’Eterno, e perché hai partecipato a tutte le sofferenze di mio padre”. Così Salomone depose Abiatar dalle funzioni di sacerdote dell’Eterno, adempiendo così la parola che l’Eterno aveva pronunciato contro la casa di Eli a Silo. La notizia giunse a Ioab, il quale aveva seguito il partito di Adonia, benché non avesse seguito quello di Absalom. Egli si rifugiò nel tabernacolo dell’Eterno e impugnò i corni dell’altare. E fu detto al re Salomone: “Ioab si è rifugiato nel tabernacolo dell’Eterno e sta vicino all’altare”. Allora Salomone mandò Benaia, figlio di Ieoiada, dicendogli: “Va’, scagliati contro di lui!”. Benaia entrò nel tabernacolo dell’Eterno e disse a Ioab: “Così dice il re: ‘Vieni fuori!’”. Egli rispose: “No! voglio morire qui!”. E Benaia riferì la cosa al re, dicendo: “Così ha parlato Ioab e così mi ha risposto”. E il re gli disse: “Fa’ come ha detto; scagliati contro di lui e seppelliscilo; così allontanerai da me e dalla casa di mio padre il sangue che Ioab sparse senza motivo. L’Eterno farà ricadere sul suo capo il sangue che lui sparse, quando si avventò contro due uomini più giusti e migliori di lui, e li uccise con la spada, senza che Davide mio padre ne sapesse nulla: Abner, figlio di Ner, capitano dell’esercito d’Israele, e Amasa, figlio di Ieter, capitano dell’esercito di Giuda. Il loro sangue ricadrà sul capo di Ioab e sul capo della sua discendenza per sempre, ma ci sarà pace per sempre, da parte dell’Eterno, per Davide, per la sua discendenza, per la sua casa e per il suo trono”. Allora Benaia, figlio di Ieoiada, salì, si scagliò contro di lui e lo uccise; e Ioab fu sepolto in casa sua nel deserto. Al suo posto il re costituì capo dell’esercito Benaia, figlio di Ieoiada, e mise il sacerdote Sadoc al posto di Abiatar. Poi il re mandò a chiamare Simei e gli disse: “Costruisciti una casa in Gerusalemme per abitarla, e non ne uscire per andare qua o là; poiché il giorno che ne uscirai e attraverserai il torrente Chidron, sappi per certo che morirai; il tuo sangue ricadrà sul tuo capo”. Simei rispose al re: “Va bene; il tuo servo farà come il re mio signore ha detto”. E Simei abitò a Gerusalemme per molto tempo. Dopo tre anni avvenne che due servi di Simei fuggirono presso Achis, figlio di Maaca, re di Gat. La cosa fu riferita a Simei, e gli fu detto: “Ecco i tuoi servi sono a Gat”. E Simei si alzò, sellò il suo asino, e andò a Gat, da Achis, in cerca dei suoi servi; andò, e ricondusse via da Gat i suoi servi. E fu riferito a Salomone che Simei era andato da Gerusalemme a Gat, ed era tornato. Il re mandò a chiamare Simei, e gli disse: “Non ti avevo fatto giurare per l’Eterno, e non ti avevo solennemente avvertito, dicendoti: ‘Sappi per certo che il giorno che uscirai per andare qua o là, morirai?’. E non mi avevi risposto: ‘La parola che ho udito mi sta bene?’. Perché dunque non hai mantenuto il giuramento fatto all’Eterno e non hai osservato l’ordine che ti avevo dato?”. Il re disse inoltre a Simei: “Tu sai tutto il male che hai fatto a Davide mio padre; il tuo cuore ne è consapevole; ora l’Eterno fa ricadere sul tuo capo la tua malvagità; ma il re Salomone sarà benedetto e il trono di Davide sarà reso stabile per sempre davanti all’Eterno”. E il re diede i suoi ordini a Benaia, figlio di Ieoiada, il quale uscì, si scagliò contro Simei, e l’uccise. Così il regno rimase saldo nelle mani di Salomone. Salomone si imparentò con il Faraone, re d’Egitto. Sposò la figlia del Faraone, e la condusse nella città di Davide, finché non terminò di costruire la sua casa, la casa dell’Eterno e le mura di cinta di Gerusalemme. Intanto il popolo offriva sacrifici sugli alti luoghi, perché fino a quei giorni non era stata costruita una casa al nome dell’Eterno. Salomone amava l’Eterno e seguiva i precetti di Davide suo padre; soltanto offriva sacrifici e profumi sugli alti luoghi. Il re si recò a Gabaon per offrirvi sacrifici, perché quello era il principale fra gli alti luoghi; e su quell’altare Salomone offrì mille olocausti. A Gabaon, l’Eterno apparve di notte, in sogno, a Salomone. E Dio gli disse: “Chiedi quello che vuoi che io ti dia”. Salomone rispose: “Tu hai trattato con grande benevolenza il tuo servo Davide, mio padre, perché egli camminava davanti a te con fedeltà, con giustizia, con rettitudine di cuore a tuo riguardo; tu gli hai conservato questa grande benevolenza, e gli hai dato un figlio che siede sul suo trono, come oggi avviene. Ora, o Eterno, o mio Dio, tu hai fatto regnare me, tuo servo, al posto di Davide mio padre, e io non sono che un ragazzo, e non so come comportarmi; e il tuo servo è in mezzo al popolo che tu hai scelto, popolo numeroso, che non può essere contato né calcolato, tanto è grande. Concedi dunque al tuo servo un cuore intelligente perché possa amministrare la giustizia per il tuo popolo e discernere il bene dal male; poiché chi mai potrebbe amministrare la giustizia per questo tuo popolo che è così numeroso?”. Al Signore piacque che Salomone gli avesse fatto una tale richiesta. E Dio gli disse: “Poiché tu hai domandato questo, e non hai chiesto per te lunga vita, né ricchezze, né la morte dei tuoi nemici, ma hai chiesto intelligenza per poter discernere ciò che è giusto, ecco, io faccio come tu hai detto; e ti do un cuore saggio e intelligente: nessuno è stato simile a te in passato, e nessuno sarà simile a te in futuro. E oltre a questo io ti do quello che non hai domandato: ricchezze e gloria; tanto che non vi sarà durante tutta la tua vita nessuno fra i re che possa essere paragonato a te. Se cammini nelle mie vie osservando le mie leggi e i miei comandamenti, come fece Davide tuo padre, io prolungherò i tuoi giorni”. Salomone si svegliò, ed ecco era un sogno; tornò a Gerusalemme, si presentò davanti all’arca del patto del Signore e offrì olocausti, sacrifici di ringraziamento e fece un convito a tutti i suoi servi. Allora due prostitute vennero a presentarsi davanti al re. Una delle due disse: “Permetti, mio signore! Io e questa donna abitavamo nella stessa casa, e io partorii nella camera dove stava anche lei. E tre giorni dopo che ebbi partorito io, anche questa donna partorì; noi stavamo insieme, e non c’era da noi nessun estraneo; non c’eravamo che noi due in casa. Ora, la notte scorsa, il bimbo di questa donna morì, perché lei gli si era coricata addosso. Lei si alzò nel cuore della notte, mentre la tua serva dormiva, prese mio figlio dal mio fianco e lo pose sul suo seno, e sul mio seno pose suo figlio morto. Quando mi alzai la mattina per allattare mio figlio, ecco che era morto; ma, guardandolo meglio alla luce del giorno, mi accorsi che non era il figlio che avevo partorito io”. L’altra donna disse: “No, il vivo è il mio e il morto è il tuo”. Ma la prima replicò: “No, invece, il morto è il figlio tuo, e il vivo è il mio”. Così litigavano in presenza del re. Allora il re disse: “Una dice: ‘Questo che è vivo è il figlio mio e quello che è morto è il tuo’; e l’altra dice: ‘No, invece, il morto è il figlio tuo e il vivo è il mio’”. Il re aggiunse: “Portatemi una spada!”. E portarono una spada davanti al re. E il re disse: “Dividete il bambino vivo in due parti, e datene una metà all’una, e una metà all’altra”. Allora la donna a cui apparteneva il bambino vivo, commossa nelle sue viscere per suo figlio, disse al re: “Mio signore, date a lei il bambino vivo, e non lo uccidete, no!”. Ma l’altra diceva: “Non sia né mio né tuo, si divida!”. Allora il re, rispondendo, disse: “Date a quella il bambino vivo, e non lo uccidete; la madre del bimbo è lei!”. E tutto Israele udì parlare del giudizio che il re aveva pronunciato, e temettero il re perché vedevano che la sapienza di Dio era in lui per amministrare la giustizia. Il re Salomone regnava su tutto Israele. E questi erano i suoi principali ufficiali: Azaria, figlio del sacerdote Sadoc, Elioref e Aiia, figli di Scisa, erano segretari; Giosafat, figlio di Ailud, era cancelliere; Benaia, figlio di Natan, era capo dell’esercito; Sadoc e Abiatar erano sacerdoti; Azaria, figlio di Natan, era capo dei prefetti; Zabud, figlio di Natan, era consigliere intimo del re. Aisar era maggiordomo, e Adoniram, figlio di Abda, era preposto ai tributi. Salomone aveva dodici prefetti su tutto Israele, i quali provvedevano al mantenimento del re e della sua casa; ciascuno di essi doveva provvedere per un mese all’anno. Questi erano i loro nomi: Ben-Ur, nella regione montuosa di Efraim; Ben-Decher, a Macas, a Saalbim, a Bet-Semes, a Elon di Bet-Canan; Ben-Esed, ad Arubbot; aveva Soco e tutto il paese di Chefer; Ben-Abinadab, in tutta la regione di Dor; Tafat, figlia di Salomone era sua moglie; Baana, figlio di Ailud, aveva Taanac, Meghiddo e tutto Bet-Sean, che è vicino a Sartan, sotto Izreel, da Bet-Sean ad Abel-Meola, e fino al di là di Iocmeam; Ben-Gheber, a Ramot di Galaad; egli aveva i villaggi di Iair, figlio di Manasse, che sono in Galaad; aveva anche la regione di Argob che è in Basan, sessanta grandi città murate e munite di sbarre di bronzo; Ainadab, figlio di Iddo, a Maanaim; Aimaas, in Neftali; anche questi aveva preso per moglie Basmat, figlia di Salomone; Baana, figlio di Cusai, in Ascer e ad Alot; Giosafat, figlio di Parna, in Issacar; Simei, figlio di Ela, in Beniamino; Gheber, figlio di Uri, nel paese di Galaad, il paese di Sicon, re degli Amorei, e di Og, re di Basan. C’era un solo prefetto per tutta questa regione. Giuda e Israele erano numerosissimi, come la sabbia che è sulla riva del mare. Essi mangiavano e bevevano allegramente. Salomone dominava su tutti i regni di qua dal fiume, sino al paese dei Filistei e sino ai confini dell’Egitto. Essi gli portavano tributi, e gli furono soggetti tutto il tempo che egli visse. La provvista dei viveri di Salomone, per ogni giorno, consisteva in trenta cori di fior di farina e sessanta cori di farina ordinaria; in dieci buoi ingrassati, venti buoi di pastura e cento montoni, senza contare i cervi, le gazzelle, i daini e il pollame di allevamento. Egli dominava su tutto il paese di qua dal fiume, da Tifsa fino a Gaza, su tutti i re di qua dal fiume, ed era in pace con tutti i confinanti intorno. Giuda e Israele, da Dan fino a Beer-Sceba, vissero al sicuro ognuno all’ombra della sua vite e del suo fico, tutto il tempo che regnò Salomone. Salomone aveva anche quarantamila scuderie da cavalli per i suoi carri, e dodicimila cavalieri. Quei prefetti, un mese all’anno per uno, provvedevano al mantenimento del re Salomone e di tutti quelli che erano ammessi alla sua mensa; e non lasciavano mancare nulla. Facevano anche portare l’orzo e la paglia per i cavalli da tiro e da corsa nel luogo dove si trovava il re, ciascuno secondo gli ordini che aveva ricevuto. Dio diede a Salomone sapienza, una grandissima intelligenza e una mente vasta come la sabbia che sta sulla riva del mare. La sapienza di Salomone superò la sapienza di tutti gli Orientali e tutta la sapienza degli Egiziani. Era più saggio di ogni altro uomo, più di Etan l’Ezraita, più di Eman, di Calcol e di Darda, figli di Maol; e la sua fama si sparse per tutte le nazioni circostanti. Pronunciò tremila massime e i suoi inni furono mille e cinque. Parlò degli alberi, dal cedro del Libano all’issopo che spunta dalla muraglia; parlò pure degli animali, degli uccelli, dei rettili, dei pesci. Da tutti i popoli veniva gente per udire la sapienza di Salomone, da parte di tutti i re della terra che avevano sentito parlare della sua sapienza. Chiram, re di Tiro, avendo udito che Salomone era stato unto re al posto di suo padre, gli mandò i suoi servi; perché Chiram era stato sempre amico di Davide. Salomone mandò a dire a Chiram: “Tu sai che Davide, mio padre, non poté costruire una casa al nome dell’Eterno, del suo Dio, a causa delle guerre nelle quali fu impegnato da tutte le parti, finché l’Eterno non pose i suoi nemici sotto la pianta dei piedi. Ma ora l’Eterno, il mio Dio, mi ha dato pace da ogni lato; io non ho più avversari e non pesa su di me nessuna calamità. Ho quindi l’intenzione di costruire una casa al nome dell’Eterno, del mio Dio, secondo la promessa che l’Eterno fece a Davide mio padre, quando gli disse: ‘Tuo figlio che io metterò sul tuo trono al posto tuo, sarà colui che costruirà una casa al mio nome’. Ora dunque dà ordine che si taglino per me dei cedri del Libano. I miei servi saranno insieme con i tuoi servi, e io ti pagherò per il salario dei tuoi servi tutto quello che domanderai; poiché tu sai che non c’è nessuno fra noi che sappia tagliare il legno come quelli di Sidone”. Quando Chiram udì le parole di Salomone, provò una grande gioia e disse: “Sia benedetto oggi l’Eterno, che ha dato a Davide un figlio saggio per regnare sopra questo grande popolo”. Chiram mandò a dire a Salomone: “Ho udito quello che mi hai fatto dire. Io farò tutto quello che desideri riguardo al legno di cedro e al legno di cipresso. I miei servi li porteranno dal Libano al mare, e io li spedirò per mare su zattere sino al luogo che tu mi indicherai; quindi li farò sciogliere e tu li prenderai; e tu, dal canto tuo, farai ciò che desidero io, fornendo di viveri la mia casa”. Così Chiram diede a Salomone del legno di cedro e del legno di cipresso, quanto egli ne volle. E Salomone diede a Chiram ventimila cori di grano per il mantenimento della sua casa, e venti cori d’olio vergine; Salomone dava tutto questo a Chiram, anno per anno. L’Eterno diede sapienza a Salomone, come gli aveva promesso; e ci fu pace tra Chiram e Salomone, e fecero alleanza tra di loro. Il re Salomone reclutò operai in tutto Israele, e furono ingaggiati trentamila uomini. Li mandava al Libano, diecimila al mese, alternativamente; un mese stavano sul Libano, e due mesi a casa; e Adoniram era preposto a questi lavori. Salomone aveva inoltre settantamila uomini che portavano i pesi e ottantamila scalpellini sui monti, senza contare i capi, in numero di tremilatrecento, preposti da Salomone ai lavori, e incaricati di dirigere gli operai. Il re comandò che si scavassero delle pietre grandi, delle pietre di pregio, per fare le fondamenta della casa con pietre da taglio. Gli operai di Salomone e gli operai di Chiram e i Ghiblei tagliarono e prepararono il legno e le pietre per la costruzione della casa. Il quattrocentottantesimo anno dopo l’uscita dei figli d’Israele dal paese d’Egitto, nel quarto anno del suo regno sopra Israele, nel mese di Ziv, che è il secondo mese, Salomone cominciò a costruire la casa consacrata all’Eterno. La casa che il re Salomone costruì per l’Eterno aveva sessanta cubiti di lunghezza, venti di larghezza, trenta di altezza. Il portico davanti al luogo santo della casa aveva venti cubiti di lunghezza rispondenti alla larghezza della casa e dieci cubiti di larghezza sulla facciata della casa. Il re fece alla casa delle finestre a reticolato fisso. Egli costruì, a ridosso del muro della casa, tutto intorno, dei piani che circondavano i muri della casa: del luogo santo e del luogo santissimo; e fece delle camere laterali, tutto intorno. Il piano inferiore era largo cinque cubiti; quello di mezzo sei cubiti, e il terzo sette cubiti; perché egli aveva fatto delle sporgenze intorno ai muri esterni della casa, affinché le travi non fossero incastrate nei muri della casa. Per la costruzione della casa si servirono di pietre già preparate nella cava; in modo che nella casa, durante la sua costruzione, non si udì mai rumore di martello, di ascia o di altro strumento di ferro. L’ingresso del piano di mezzo si trovava al lato destro della casa; e per una scala a chiocciola si saliva al piano di mezzo, e dal piano di mezzo al terzo. Dopo aver finito di costruire la casa, Salomone la coprì di travi e di assi di legno di cedro. Fece i piani addossati a tutta la casa dando a ognuno cinque cubiti di altezza, e li collegò alla casa con delle travi di cedro. La parola dell’Eterno fu rivolta a Salomone dicendo: “Quanto a questa casa che tu costruisci, se tu cammini secondo le mie leggi, se metti in pratica i miei precetti e osservi e segui tutti i miei comandamenti, io confermerò in tuo favore la promessa che feci a Davide tuo padre: abiterò in mezzo ai figli d’Israele, e non abbandonerò il mio popolo Israele”. Quando Salomone ebbe finito di costruire la casa, ne rivestì le pareti interne di tavole di cedro, dal pavimento sino alla travatura del tetto; rivestì così di legno l’interno e coprì il pavimento della casa di tavole di cipresso. Rivestì di tavole di cedro uno spazio di venti cubiti in fondo alla casa, dal pavimento al soffitto; e riservò quello spazio interno per farne un santuario, il luogo santissimo. I quaranta cubiti sul davanti formavano la casa, vale a dire il tempio. Il legno di cedro, nell’interno della casa, presentava delle sculture di coloquintide e di fiori sbocciati; tutto era di cedro, non si vedeva pietra. Salomone stabilì il santuario nell’interno, in fondo alla casa, per collocarvi l’arca del patto dell’Eterno. Il santuario aveva venti cubiti di lunghezza, venti cubiti di larghezza, e venti cubiti di altezza. Salomone lo ricoprì d’oro finissimo; e davanti al santuario fece un altare di legno di cedro e lo ricoprì d’oro. Salomone ricoprì d’oro finissimo l’interno della casa, e fece passare un velo per mezzo di catenelle d’oro davanti al santuario, che ricoprì d’oro. Ricoprì d’oro tutta la casa, tutta quanta la casa, e ricoprì d’oro anche tutto l’altare che apparteneva al santuario. Fece nel santuario due cherubini di legno di ulivo, dell’altezza di dieci cubiti ciascuno. Un’ala di un cherubino misurava cinque cubiti; e anche l’altra cinque cubiti; il che faceva dieci cubiti, dalla punta di un’ala alla punta dell’altra. Il secondo cherubino era anche di dieci cubiti; entrambi i cherubini erano delle stesse dimensioni e della stessa forma. L’altezza di un cherubino era di dieci cubiti, e tale era l’altezza dell’altro. Salomone pose i cherubini in mezzo alla casa, nell’interno. I cherubini avevano le ali spiegate, in modo che l’ala del primo toccava una delle pareti, e l’ala del secondo toccava l’altra parete; le altre ali si toccavano l’una con l’altra con le punte, in mezzo alla casa. Salomone ricoprì d’oro i cherubini. Fece ornare tutte le pareti della casa, tutto intorno, tanto all’interno quanto all’esterno, di sculture di cherubini, di palme e di fiori sbocciati. E, tanto nella parte interiore quanto nell’esteriore, ricoprì d’oro il pavimento della casa. All’ingresso del santuario fece una porta a due battenti, di legno di ulivo; la sua inquadratura, con gli stipiti, occupava la quinta parte della parete. I due battenti erano di legno di ulivo. Egli vi fece scolpire dei cherubini, delle palme e dei fiori sbocciati, e li ricoprì d’oro, stendendo l’oro sui cherubini e sulle palme. Fece pure, per la porta del tempio, degli stipiti di legno di ulivo, che occupavano il quarto della larghezza del muro, e due battenti di legno di cipresso; ciascun battente si componeva di due pezzi mobili. Salomone vi fece scolpire dei cherubini, delle palme e dei fiori sbocciati e li ricoprì d’oro, che distese esattamente sulle sculture. Costruì il muro di cinta del cortile interno con tre ordini di pietre squadrate e un ordine di travatura di cedro. Il quarto anno, nel mese di Ziv, furono gettate le fondamenta della casa dell’Eterno; e l’undicesimo anno, nel mese di Bul, che è l’ottavo mese, la casa fu terminata in tutte le sue parti, in base al disegno dato. Salomone impiegò sette anni per costruirla. Poi Salomone costruì la sua casa, e la completò interamente in tredici anni. Costruì prima di tutto la casa detta “Foresta del Libano”, di cento cubiti di lunghezza, di cinquanta di larghezza e di trenta di altezza. Era basata su quattro ordini di colonne di cedro, sulle quali poggiava una travatura di cedro. Un soffitto di cedro copriva le camere che poggiavano sulle colonne, e che erano in numero di quarantacinque, quindici per fila. Vi erano tre ordini di camere, le cui finestre si trovavano le une di fronte alle altre lungo tutti e tre gli ordini. Tutte le porte con i loro stipiti e architravi erano quadrangolari, e le finestre dei tre ordini di camere si trovavano le une di fronte alle altre, in tutti e tre gli ordini. Fece pure il portico di colonne, che aveva cinquanta cubiti di lunghezza e trenta di larghezza, con un vestibolo davanti, delle colonne, e una scalinata in fronte. Poi fece il portico del trono dove amministrava la giustizia, e che fu chiamato “Portico del giudizio”; lo ricoprì di legno di cedro dal pavimento al soffitto. La casa dove lui abitava fu costruita nello stesso modo, in un altro cortile, dietro il portico. Fece una casa dello stesso stile di questo portico per la figlia del Faraone, che egli aveva sposata. Tutte queste costruzioni erano di pietre scelte, tagliate a misura, segate con la sega, internamente ed esternamente, dalle fondamenta ai cornicioni, e al di fuori sino al cortile maggiore. Anche le fondamenta erano di pietre scelte, grandi, di pietre di dieci cubiti, e di pietre di otto cubiti. Al di sopra vi erano delle pietre scelte, tagliate a misura, e del legno di cedro. Il gran cortile aveva tutto intorno tre ordini di pietre lavorate e un ordine di travi di cedro, come il cortile interiore della casa dell’Eterno e come il portico della casa. Il re Salomone fece venire da Tiro Chiram, figlio di una vedova della tribù di Neftali; suo padre era di Tiro. Egli lavorava il bronzo; era pieno di sapienza, di intelletto e di ingegno per eseguire qualunque lavoro in bronzo. Egli si recò dal re Salomone ed eseguì tutti i lavori da lui ordinati. Fece le due colonne di bronzo. La prima aveva diciotto cubiti di altezza, e una corda di dodici cubiti misurava la circonferenza della seconda. Fuse due capitelli di bronzo, per metterli in cima alle colonne; uno aveva cinque cubiti di altezza e l’altro cinque cubiti di altezza. Fece un reticolato, un lavoro di intreccio, dei festoni a forma di catenelle, per i capitelli che erano in cima alle colonne: sette per il primo capitello e sette per il secondo. Fece due ordini di melagrane intorno a uno di quei reticolati, per coprire il capitello che era in cima all’una delle colonne; lo stesso fece per l’altro capitello. I capitelli che erano in cima alle colonne nel portico erano fatti a forma di giglio, ed erano di quattro cubiti. I capitelli posti sulle due colonne erano circondati da duecento melagrane, in alto, vicino alla sporgenza che era al di là del reticolato; vi erano duecento melagrane disposte attorno al primo, e duecento intorno al secondo capitello. Egli eresse le colonne nel portico del tempio; eresse la colonna a destra e la chiamò Iachin; poi eresse la colonna a sinistra e la chiamò Boaz. In cima alle colonne c’era un lavoro fatto a forma di giglio. Così fu compiuto il lavoro delle colonne. Poi fece il mare di metallo fuso, che aveva dieci cubiti da un orlo all’altro; era di forma perfettamente rotonda, aveva cinque cubiti di altezza, e una corda di trenta cubiti ne misurava la circonferenza. Sotto all’orlo lo circondavano delle coloquintidi, dieci per cubito, facendo tutto il giro del mare; le coloquintidi, disposte in due ordini, erano state fuse insieme con il mare. Questo poggiava su dodici buoi, dei quali tre guardavano a settentrione, tre a occidente, tre a meridione e tre a oriente; il mare stava su di essi, e le parti posteriori dei buoi erano rivolte verso l’interno. Esso aveva lo spessore di un palmo; il suo orlo, fatto come l’orlo di una coppa, aveva la forma di un fiore di giglio; il mare conteneva duemila bati. Fece anche le dieci basi di bronzo; ciascuna aveva quattro cubiti di lunghezza, quattro cubiti di larghezza e tre cubiti di altezza. Il lavoro delle basi consisteva in questo. Erano formate di riquadri, tenuti insieme per mezzo di sostegni. Sopra i riquadri, fra i sostegni, vi erano dei leoni, dei buoi e dei cherubini; lo stesso sui sostegni superiori; ma sui sostegni inferiori, sotto i leoni e i buoi, vi erano delle ghirlande a festoni. Ogni base aveva quattro ruote di bronzo con le sale di bronzo; e ai quattro angoli vi erano delle mensole, sotto il bacino; queste mensole erano di metallo fuso, di fronte a ciascuna stavano delle ghirlande. Al coronamento della base, nell’interno, c’era un’apertura in cui si adattava il bacino; essa aveva un cubito di altezza, era rotonda, della forma di una base di colonna, e aveva un cubito e mezzo di diametro; anche lì vi erano delle sculture; i riquadri erano quadrati e non circolari. Le quattro ruote erano sotto i riquadri, le sale delle ruote erano fissate alla base, e l’altezza di ogni ruota era di un cubito e mezzo. Le ruote erano fatte come quelle di un carro. I loro assi, i loro quarti, i loro razzi, i loro mòzzi erano di metallo fuso. Ai quattro angoli di ogni base vi erano quattro mensole di un medesimo pezzo con la base. La parte superiore della base terminava con un cerchio di mezzo cubito di altezza, aveva i suoi sostegni e i suoi riquadri tutti di un pezzo con la base. Sulla parte liscia dei sostegni e sui riquadri, Chiram scolpì dei cherubini, dei leoni e delle palme, secondo gli spazi liberi, e delle ghirlande tutte intorno. Così fece le dieci basi; la fusione, la misura e la forma erano le stesse per tutte. Poi fece le dieci conche di bronzo, ciascuna delle quali conteneva quaranta bati ed era di quattro cubiti; ogni conca posava sopra una delle dieci basi. Egli collocò le basi così: cinque al lato destro della casa, e cinque al lato sinistro; e pose il mare al lato destro della casa, verso sud-est. Chiram fece anche i vasi per le ceneri, le palette e le bacinelle. Così Chiram completò tutta l’opera che il re Salomone gli fece fare per la casa dell’Eterno: le due colonne, le due volute dei capitelli in cima alle colonne, i due reticolati per coprire le due volute dei capitelli in cima alle colonne, le quattrocento melagrane per i due reticolati, a due ordini di melagrane per ogni reticolato che coprivano le due volute dei capitelli in cima alle colonne, le dieci basi, le dieci conche sulle basi, il mare, che era unico, e i dodici buoi sotto il mare; i vasi per le ceneri, le palette e le bacinelle. Tutti questi utensili che Salomone fece fare a Chiram per la casa dell’Eterno erano di bronzo lucidato. Il re li fece fondere nella pianura del Giordano, in un suolo argilloso, fra Succot e Sartan. Salomone lasciò tutti questi utensili senza rilevare il peso del bronzo, perché erano in grandissima quantità. Salomone fece fabbricare tutti gli arredi della casa dell’Eterno: l’altare d’oro, la tavola d’oro sulla quale si mettevano i pani della presentazione; i candelabri d’oro puro, cinque a destra e cinque a sinistra, davanti al santuario, con i fiori, le lampade e gli smoccolatoi, d’oro; le coppe, i coltelli, le bacinelle, i cucchiai e i bracieri, d’oro fino; e i cardini d’oro per la porta interna della casa all’ingresso del luogo santissimo, e per la porta della casa all’ingresso del tempio. Così fu compiuta tutta l’opera che il re Salomone fece eseguire per la casa dell’Eterno. Poi Salomone fece portare l’argento, l’oro e gli utensili che Davide suo padre aveva consacrato, e li mise nei tesori della casa dell’Eterno. Allora Salomone radunò presso di sé a Gerusalemme gli anziani d’Israele e tutti i capi delle tribù, i principi delle famiglie dei figli d’Israele, per portare su l’arca del patto dell’Eterno, dalla città di Davide, cioè da Sion. Tutti gli uomini d’Israele si radunarono presso il re Salomone nel mese di Etanim, che è il settimo mese, durante la festa. Quando furono arrivati gli anziani d’Israele, i sacerdoti presero l’arca, e portarono su l’arca dell’Eterno, la tenda di convegno, e tutti gli utensili sacri che erano nella tenda. I sacerdoti e i Leviti eseguirono il trasporto. Il re Salomone e tutta la comunità d’Israele convocata presso di lui si raccolsero davanti all’arca, e sacrificarono pecore e buoi in quantità tale da non potersi contare né calcolare. I sacerdoti portarono l’arca del patto dell’Eterno al luogo per essa destinato, nel santuario della casa, nel luogo santissimo, sotto le ali dei cherubini; poiché i cherubini avevano le ali spiegate sopra il sito dell’arca e coprivano dall’alto l’arca e le sue stanghe. Le stanghe avevano una tale lunghezza che le loro estremità si vedevano dal luogo santo, davanti al santuario, ma non si vedevano da fuori. Esse sono rimaste là fino al giorno d’oggi. Nell’arca non c’era altro se non le due tavole di pietra che Mosè vi aveva deposto sull’Oreb, quando l’Eterno fece alleanza con i figli d’Israele, dopo che questi furono usciti dal paese d’Egitto. Mentre i sacerdoti uscivano dal luogo santo, la nuvola riempì la casa dell’Eterno, e i sacerdoti non poterono rimanervi per compiere il loro servizio, a causa della nuvola; poiché la gloria dell’Eterno riempiva la casa dell’Eterno. Allora Salomone disse: “L’Eterno ha dichiarato che abiterebbe nell’oscurità! Io ho costruito per te una casa maestosa, un luogo dove tu abiterai per sempre!”. Poi il re si voltò e benedisse tutta l’assemblea d’Israele; e tutta l’assemblea d’Israele stava in piedi. E disse: “Benedetto sia l’Eterno, l’Iddio d’Israele, il quale di sua propria bocca parlò a Davide mio padre, e con la sua potenza ha adempiuto ciò che aveva dichiarato dicendo: ‘Dal giorno che feci uscire il mio popolo Israele dall’Egitto, io non scelsi nessuna città, fra tutte le tribù d’Israele, per costruirvi una casa, dove abitasse il mio nome; ma scelsi Davide per regnare sul mio popolo Israele’. Ora Davide, mio padre, ebbe in cuore di costruire una casa al nome dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele; ma l’Eterno disse a Davide mio padre: ‘Tu hai avuto in cuore di costruire una casa al mio nome, hai fatto bene ad avere questo in cuore; però, non sarai tu che costruirai la casa; ma tuo figlio che uscirà dai tuoi lombi, sarà colui che costruirà la casa al mio nome’. E l’Eterno ha adempiuto la parola che aveva pronunciato; e io sono sorto al posto di Davide mio padre, e mi sono seduto sul trono d’Israele, come l’Eterno aveva annunciato, e ho costruito la casa al nome dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele. Là ho assegnato un posto all’arca, nella quale è il patto dell’Eterno: il patto che egli stabilì con i nostri padri, quando li fece uscire dal paese d’Egitto”. Poi Salomone si pose davanti all’altare dell’Eterno, in presenza di tutta la comunità d’Israele, stese le mani verso il cielo, e disse: “O Eterno, Dio d’Israele! Non c’è dio che sia simile a te né lassù in cielo, né quaggiù in terra! Tu mantieni il patto e la misericordia verso i tuoi servi che camminano in tua presenza con tutto il loro cuore. Tu hai mantenuto la promessa da te fatta al tuo servo Davide, mio padre; e ciò che hai dichiarato con la tua propria bocca, la tua mano oggi lo adempie. Ora dunque, o Eterno, Dio d’Israele, mantieni al tuo servo Davide, mio padre, la promessa che gli facesti, dicendo: ‘Non ti mancherà mai qualcuno che sieda nel mio cospetto sul trono d’Israele, purché i tuoi figli veglino sulla loro condotta, e camminino in mia presenza, come hai camminato tu’. Ora dunque, o Dio d’Israele, si avveri la parola che dicesti al tuo servo Davide mio padre! Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere; quanto meno questa casa che io ho costruito! Tuttavia, o Eterno, Dio mio, abbi riguardo alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, ascoltando il grido e la preghiera che il tuo servo ti rivolge oggi. Siano i tuoi occhi aperti notte e giorno su questa casa, sul luogo di cui dicesti: ‘Là sarà il mio nome!’. Ascolta la preghiera che il tuo servo farà rivolto a questo luogo! Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele quando pregheranno rivolti a questo luogo; ascoltali dal luogo della tua dimora nei cieli; ascolta e perdona! Se uno pecca contro il suo prossimo, e si esige da lui il giuramento per costringerlo a giurare, se egli viene a giurare davanti al tuo altare in questa casa, tu ascoltalo dal cielo, agisci e giudica i tuoi servi; condanna il colpevole, facendo ricadere sul suo capo le sue azioni, e dichiara giusto l’innocente, trattandolo secondo la sua giustizia. Quando il tuo popolo Israele sarà sconfitto dal nemico per aver peccato contro di te, se torna a te, se dà gloria al tuo nome e ti rivolge preghiere e suppliche in questa casa, tu esaudiscilo dal cielo, perdona al tuo popolo Israele il suo peccato, e riconducilo nel paese che desti ai suoi padri. Quando il cielo sarà chiuso e non vi sarà più pioggia a causa dei loro peccati contro di te, se essi pregano rivolti a questo luogo, se danno gloria al tuo nome e si convertono dai loro peccati perché li hai afflitti, tu esaudiscili dal cielo, perdona il loro peccato ai tuoi servi e al tuo popolo Israele, ai quali mostrerai la buona strada per la quale devono camminare; e manda la pioggia sulla terra, che hai dato come eredità al tuo popolo. Quando il paese sarà invaso dalla carestia o dalla peste, dalla ruggine o dal carbone, dalle cavallette o dai bruchi, quando il nemico assedierà il tuo popolo, nel suo paese, nelle sue città, quando scoppierà qualsiasi flagello o epidemia, ogni preghiera, ogni supplica che ti sarà rivolta da un individuo o dall’intero tuo popolo Israele, quando ognuno avrà riconosciuto la piaga del proprio cuore e stenderà le sue mani verso questa casa, tu esaudiscila dal cielo, dal luogo della tua dimora, e perdona; agisci e rendi a ciascuno secondo le sue vie, tu, che conosci il cuore di ognuno; poiché tu solo conosci il cuore di tutti i figli degli uomini; e fa’ in modo che essi ti temano tutto il tempo che vivranno nel paese che tu desti ai padri nostri. Anche lo straniero, che non è del tuo popolo Israele, quando verrà da un paese lontano a causa del tuo nome, perché si udrà parlare del tuo grande nome, della tua mano potente e del tuo braccio steso, quando verrà a pregarti in questa casa, tu esaudiscilo dal cielo, dal luogo della tua dimora, e concedi a questo straniero tutto quello che ti domanderà, affinché tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome per temerti, come fa il tuo popolo Israele, e sappiano che il tuo nome è invocato su questa casa che io ho costruito! Quando il tuo popolo partirà per fare guerra al suo nemico seguendo la via per la quale tu lo avrai mandato, se innalzerà preghiere all’Eterno rivolto alla città che tu hai scelto e alla casa che io ho costruito al tuo nome, esaudisci dal cielo le sue preghiere e le sue suppliche, e rendigli giustizia. Quando peccheranno contro di te, poiché non c’è uomo che non pecchi, e tu ti sarai indignato contro di loro e li avrai abbandonati in balìa del nemico che li deporterà in un paese ostile, lontano o vicino, se, nel paese dove saranno schiavi, rientrano in sé stessi, se tornano a te e ti rivolgono suppliche nel paese di coloro che li hanno deportati e dicono: ‘Abbiamo peccato, abbiamo agito ingiustamente, siamo stati malvagi’, se tornano a te con tutto il loro cuore e con tutta l’anima loro nel paese dei loro nemici che li hanno deportati, e ti pregano rivolti al loro paese, il paese che tu desti ai loro padri, alla città che tu hai scelto e alla casa che io ho costruito al tuo nome, esaudisci dal cielo, dal luogo della tua dimora, le loro preghiere e le loro suppliche, e rendigli giustizia; perdona al tuo popolo che ha peccato contro di te, tutte le trasgressioni di cui si è reso colpevole verso di te, e muovi a pietà coloro che li hanno deportati, affinché abbiano compassione di loro; poiché essi sono il tuo popolo, la tua eredità, e tu li hai fatti uscire dall’Egitto, da una fornace per il ferro! Siano aperti i tuoi occhi alle suppliche del tuo servo e alle suppliche del tuo popolo Israele, per esaudirli in tutto ciò che ti chiederanno; poiché tu li hai separati da tutti i popoli della terra per farne la tua eredità; come hai dichiarato per mezzo del tuo servo Mosè, quando hai fatto uscire i nostri padri dall’Egitto, o Signore, o Eterno!”. Ora quando Salomone ebbe finito di rivolgere all’Eterno tutta questa preghiera e questa supplica, si alzò davanti all’altare dell’Eterno dove stava inginocchiato tenendo le mani tese verso il cielo. Alzatosi in piedi, benedisse tutta la comunità d’Israele ad alta voce, dicendo: “Sia benedetto l’Eterno, che ha dato riposo al suo popolo Israele, secondo tutte le promesse che aveva fatto; neanche una delle buone promesse fatte da lui per mezzo del suo servo Mosè, è rimasta inadempiuta. L’Eterno, il nostro Dio, sia con noi, come fu con i nostri padri; non ci lasci e non ci abbandoni, ma inclini i nostri cuori verso di lui, affinché camminiamo in tutte le sue vie, e osserviamo i suoi comandamenti, le sue leggi e i suoi precetti, che egli prescrisse ai nostri padri! E le parole di questa mia supplica all’Eterno siano giorno e notte presenti all’Eterno, al nostro Dio, affinché egli renda giustizia al suo servo e al suo popolo Israele, secondo il bisogno giorno per giorno, affinché tutti i popoli della terra riconoscano che l’Eterno è Dio e non ce n’è nessun altro. Il vostro cuore sia dunque dato interamente all’Eterno, al nostro Dio, per seguire le sue leggi e osservare i suoi comandamenti come fate oggi”. Poi il re e tutto Israele con lui offrirono dei sacrifici davanti all’Eterno. Salomone sacrificò, come sacrificio di ringraziamento offerto all’Eterno, ventiduemila buoi e centoventimila pecore. Così il re e tutti i figli d’Israele dedicarono la casa dell’Eterno. In quel giorno il re consacrò la parte di mezzo del cortile, che è davanti alla casa dell’Eterno; poiché offrì là gli olocausti, le oblazioni e i grassi dei sacrifici di ringraziamento, perché l’altare di bronzo, che è davanti all’Eterno, era troppo piccolo per contenere gli olocausti, le oblazioni e i grassi dei sacrifici di ringraziamento. E in quel tempo Salomone celebrò la festa, e tutto Israele con lui. Ci fu una grande assemblea di gente, venuta da tutto il paese: dai dintorni di Camat fino al torrente d’Egitto, raccolta davanti all’Eterno, al nostro Dio, per sette giorni e poi per altri sette, in tutto quattordici giorni. L’ottavo giorno congedò il popolo; e quelli benedirono il re, e se ne andarono alle loro tende allegri e con il cuore contento per tutto il bene che l’Eterno aveva fatto a Davide, suo servo, e a Israele, suo popolo. Dopo che Salomone ebbe finito di costruire la casa dell’Eterno, la casa del re e tutto quello che ebbe piacere e volontà di fare, l’Eterno gli apparve per la seconda volta, come gli era apparso a Gabaon, e gli disse: “Io ho esaudito la tua preghiera e la supplica che hai fatto davanti a me; ho santificato questa casa che tu hai costruito per mettervi il mio nome per sempre; i miei occhi e il mio cuore saranno per sempre là. Quanto a te, se tu cammini davanti a me come camminò Davide, tuo padre, con integrità di cuore e con rettitudine, facendo tutto quello che ti ho comandato, e se osservi le mie leggi e i miei precetti, io stabilirò il trono del tuo regno in Israele per sempre, come promisi a Davide tuo padre, dicendo: ‘Non ti mancherà mai qualcuno che sieda sul trono d’Israele’. Ma se voi o i vostri figli vi distoglierete dal seguirmi, se non osserverete i miei comandamenti e le mie leggi che io vi ho posto davanti, e andrete invece a servire altri dèi e a prostrarvi davanti a loro, io sterminerò Israele dalla faccia del paese che gli ho dato, rigetterò dalla mia presenza la casa che ho consacrato al mio nome, e Israele sarà la favola e lo zimbello di tutti i popoli. E questa casa, per quanto sia così eccelsa, sarà desolata; e chiunque le passerà vicino rimarrà stupefatto e si metterà a fischiare; e si dirà: ‘Perché l’Eterno ha trattato in questo modo questo paese e questa casa?’, allora si risponderà: ‘Perché hanno abbandonato l’Eterno, il loro Dio, il quale fece uscire i loro padri dal paese d’Egitto, si sono legati ad altri dèi, si sono prostrati davanti a loro e li hanno serviti; ecco perché l’Eterno ha fatto venire tutti questi mali su di loro’”. Passati i vent’anni nei quali Salomone costruì le due case, la casa dell’Eterno e la casa del re, siccome Chiram, re di Tiro, aveva fornito a Salomone legno di cedro e di cipresso, e oro a suo piacimento, il re Salomone diede a Chiram venti città nel paese di Galilea. Chiram uscì da Tiro per vedere le città che gli aveva dato Salomone, ma non gli piacquero; e disse: “Che città sono queste che tu mi hai dato, fratello mio?”. E le chiamò “terra di Cabul” nome che è rimasto loro fino al giorno d’oggi. Chiram aveva mandato al re centoventi talenti d’oro. Ora ecco quello che concerne gli operai reclutati e comandati dal re Salomone per costruire la casa dell’Eterno e la sua propria casa, Millo e le mura di Gerusalemme, Asor, Meghiddo e Ghezer. Faraone, re d’Egitto, era salito a impadronirsi di Ghezer, l’aveva data alle fiamme, e aveva ucciso i Cananei che abitavano la città; poi l’aveva data per dote a sua figlia, moglie di Salomone. Salomone ricostruì Ghezer, Bet-Oron inferiore, Baalat e Tadmor nella parte deserta del paese, tutte le città di rifornimento che gli appartenevano, le città per i suoi carri, le città per i suoi cavalieri, insomma tutto quello che gli piacque di costruire a Gerusalemme, al Libano e in tutto il paese del suo dominio. Di tutta la popolazione che era rimasta degli Amorei, degli Ittiti, dei Ferezei, degli Ivvei e dei Gebusei, che non erano dei figli d’Israele, vale a dire dei loro discendenti che erano rimasti dopo di loro nel paese e che gli Israeliti non avevano potuto votare allo sterminio, Salomone li reclutò per i lavori forzati; e tali sono rimasti fino al giorno d’oggi. Ma dei figli d’Israele Salomone non impiegò nessuno come servo; essi furono la sua gente di guerra, i suoi ministri, i suoi principi, i suoi capitani, i comandanti dei suoi carri e dei suoi cavalieri. I capi, preposti da Salomone alla direzione dei suoi lavori, erano in numero di cinquecentocinquanta, incaricati di sorvegliare la gente che eseguiva i lavori. Appena la figlia del Faraone salì dalla città di Davide alla casa che Salomone le aveva fatto costruire, questi si mise a costruire Millo. Tre volte l’anno Salomone offriva olocausti e sacrifici di ringraziamento sull’altare che egli aveva eretto all’Eterno, e offriva profumi su quello che era posto davanti all’Eterno. Così egli terminò definitivamente la casa. Il re Salomone costruì anche una flotta a Esion-Gheber, presso Elot, sul lido del Mar Rosso, nel paese di Edom. Chiram mandò su questa flotta, con la gente di Salomone, la sua propria gente: marinai, che conoscevano il mare. Essi andarono a Ofir, vi presero dell’oro, quattrocentoventi talenti, e li portarono al re Salomone. La regina di Seba avendo udito la fama che circondava Salomone a causa del nome dell’Eterno, venne a metterlo alla prova con degli enigmi. Essa giunse a Gerusalemme con un numerosissimo seguito, con cammelli carichi di aromi, d’oro in gran quantità, e di pietre preziose. Si recò da Salomone e gli disse tutto quello che aveva in cuore. Salomone rispose a tutte le questioni da lei proposte, e non ci fu cosa che fosse oscura per il re e che egli non sapesse spiegare. Quando la regina di Seba vide tutta la sapienza di Salomone, la casa che egli aveva costruito, le vivande della sua mensa, gli alloggi dei suoi servi, l’ordine del servizio dei suoi ufficiali, le loro vesti, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nella casa dell’Eterno, rimase senza fiato. E disse al re: “Quello che avevo sentito dire nel mio paese sul tuo conto e sulla tua sapienza era dunque vero. Ma non ci ho creduto finché non sono venuta io stessa e non ho visto con i miei occhi; e ora, ecco, non me ne era stata riferita neppure la metà! La tua sapienza e la tua prosperità sorpassano la fama che me ne era giunta! Beata la tua gente, beati questi tuoi servi che stanno sempre davanti a te, e ascoltano la tua sapienza. Sia benedetto l’Eterno, il tuo Dio, il quale ti ha gradito, mettendoti sul trono d’Israele! L’Eterno ti ha stabilito re, per esercitare il diritto e la giustizia, perché egli nutre per Israele un amore eterno”. Poi lei donò al re centoventi talenti d’oro, grandissima quantità di aromi e delle pietre preziose. Non furono mai più portati tanti aromi quanti ne diede la regina di Seba al re Salomone. La flotta di Chiram che portava oro da Ofir, portava da Ofir anche del legno di sandalo in grandissima quantità, e delle pietre preziose, e di questo legno di sandalo il re fece delle ringhiere per la casa dell’Eterno e per la casa reale, delle cetre e delle arpe per i cantori. Di questo legno di sandalo non ne fu più portato, e non se n’è più visto fino a oggi. Il re Salomone diede alla regina di Seba tutto quello che lei desiderò e chiese, oltre a quello che egli le donò con la sua magnificenza sovrana. Poi lei si rimise in cammino, e con i suoi servi se ne tornò al suo paese. Ora il peso dell’oro che giungeva ogni anno a Salomone, era di seicentosessantasei talenti, oltre quello che egli percepiva dai mercanti, dal traffico dei negozianti, da tutti i re d’Arabia e dai governatori del paese. Il re Salomone fece fare duecento grandi scudi d’oro battuto, per ognuno dei quali impiegò seicento sicli d’oro, e trecento scudi d’oro battuto più piccoli, per ognuno dei quali impiegò tre mine d’oro; e il re li mise nella casa della “Foresta del Libano”. Il re fece pure un grande trono d’avorio, che rivestì d’oro finissimo. Questo trono aveva sei gradini; la sommità del trono era rotonda dalla parte di dietro; il seggio aveva due bracci, uno di qua e uno di là; presso i due bracci stavano due leoni, e dodici leoni stavano sui sei gradini, da una parte e dall’altra. Niente di simile era ancora stato fatto in nessun altro regno. Tutte le coppe del re Salomone erano d’oro e tutto il vasellame della casa della “Foresta del Libano” era d’oro puro. Nulla era d’argento; dell’argento non si faceva nessun conto al tempo di Salomone. Infatti il re aveva in mare una flotta di Tarsis insieme alla flotta di Chiram; e la flotta di Tarsis, una volta ogni tre anni, veniva a portare oro, argento, avorio, scimmie e pavoni. Così il re Salomone fu il più grande di tutti i re della terra per ricchezze e per sapienza. E tutto il mondo cercava di vedere Salomone per udire la sapienza che Dio gli aveva messo in cuore. Ognuno gli portava il suo dono: vasi d’argento, vasi d’oro, vesti, armi, aromi, cavalli e muli; e questo avveniva ogni anno. Salomone radunò carri e cavalieri, ed ebbe millequattrocento carri e dodicimila cavalieri, che distribuì nelle città dove teneva i suoi carri, e in Gerusalemme presso di sé. Il re fece in modo che in Gerusalemme l’argento fosse comune come le pietre, e i cedri tanto abbondanti quanto i sicomori della pianura. I cavalli che Salomone aveva gli venivano portati dall’Egitto; le carovane di mercanti del re li andavano a prendere a mandrie per un prezzo convenuto. Un equipaggio, uscito dall’Egitto e giunto a destinazione, veniva a costare seicento sicli d’argento; un cavallo, centocinquanta. Nello stesso modo, per mezzo di quei mercanti, se ne facevano venire per tutti i re degli Ittiti e per i re della Siria. Il re Salomone, oltre la figlia del Faraone, amò molte donne straniere: delle Moabite, delle Ammonite, delle Idumee, delle Sidonie, delle Ittite, donne appartenenti ai popoli dei quali l’Eterno aveva detto ai figli d’Israele: “Non andate da loro e non vengano loro da voi; poiché certo pervertirebbero il vostro cuore per farvi seguire i loro dèi”. A tali donne si unì Salomone nei suoi amori. Ebbe settecento principesse per mogli e trecento concubine; e le sue mogli gli pervertirono il cuore; perciò, al tempo della vecchiaia di Salomone, le sue mogli fecero volgere il suo cuore verso altri dèi; e il suo cuore non appartenne tutto quanto all’Eterno, al suo Dio, come aveva fatto il cuore di Davide suo padre. Salomone seguì Astarte, divinità dei Sidoni, e Milcom, l’abominevole divinità degli Ammoniti. Così Salomone fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno e non seguì pienamente l’Eterno, come aveva fatto Davide suo padre. Fu allora che Salomone costruì, sul monte che sta di fronte a Gerusalemme, un alto luogo per Chemos, l’abominevole divinità di Moab, e per Moloc, l’abominevole divinità dei figli di Ammon. Fece così per tutte le sue donne straniere, le quali offrivano profumi e sacrifici ai loro dèi. L’Eterno si indignò contro Salomone, perché il suo cuore si era allontanato dall’Eterno, dall’Iddio d’Israele, che gli era apparso due volte, e gli aveva ordinato, a questo proposito, di non andare dietro ad altri dèi; ma egli non osservò l’ordine dato dall’Eterno. Allora l’Eterno disse a Salomone: “Poiché tu hai agito in questo modo, e non hai osservato il mio patto e le leggi che ti avevo dato, io ti strapperò via il regno, e lo darò al tuo servo. Tuttavia, per amore di Davide tuo padre, io non lo farò durante la tua vita, ma lo strapperò dalle mani di tuo figlio. Però, non gli strapperò tutto il regno, ma lascerò a tuo figlio una tribù, per amore di Davide mio servo e per amore di Gerusalemme che io ho scelto”. L’Eterno suscitò un nemico a Salomone: Cadad, l’Idumeo, che era della stirpe reale di Edom. Quando Davide sconfisse Edom, Ioab, capo dell’esercito, salì per seppellire i morti, e uccise tutti i maschi che erano in Edom. Ioab rimase in Edom sei mesi, con tutto Israele, finché ebbe sterminato tutti i maschi. Questo Cadad fuggì con alcuni Idumei, servi di suo padre, per andare in Egitto. Cadad era allora un ragazzo. Quelli dunque partirono da Madian, andarono a Paran, presero con sé degli uomini di Paran, e giunsero in Egitto dal Faraone, re d’Egitto, il quale diede a Cadad una casa, provvide al suo mantenimento, e gli assegnò dei terreni. Cadad entrò talmente nelle grazie del Faraone, che questi gli diede per moglie la sorella della propria moglie, la sorella della regina Tacpenes. E la sorella di Tacpenes gli partorì un figlio, Ghenubat, che Tacpenes svezzò in casa del Faraone; e Ghenubat rimase in casa del Faraone tra i figli del Faraone. Ora quando Cadad sentì in Egitto che Davide si era addormentato con i suoi padri e che Ioab, capo dell’esercito, era morto, disse al Faraone: “Permetti che io me ne vada al mio paese”. Faraone gli rispose: “Che ti manca da me perché tu cerchi di andartene al tuo paese?”. Egli replicò: “Nulla; tuttavia, ti prego, lasciami partire”. Iddio suscitò un altro nemico a Salomone: Rezon, figlio di Eliada, che era fuggito dal suo signore Adadezer, re di Soba. Egli aveva radunato gente intorno a sé ed era diventato capo di una banda, quando Davide massacrò i Siri. Lui e i suoi andarono a Damasco, vi si stabilirono, e regnarono in Damasco. Rezon fu nemico di Israele per tutto il tempo di Salomone; e questo, oltre il male già fatto da Cadad. Fu avversario d’Israele e regnò sulla Siria. Anche Geroboamo, servo di Salomone, si ribellò contro il re. Lui era figlio di Nebat, Efrateo di Sereda, e aveva per madre una vedova che si chiamava Serua. La causa per cui si ribellò contro il re, fu questa. Salomone costruiva Millo e chiudeva la breccia della città di Davide suo padre. Geroboamo era un uomo forte e valoroso e Salomone, visto come lavorava questo giovane, gli affidò la sorveglianza di tutta la gente della casa di Giuseppe, preposta ai lavori. In quel tempo avvenne che Geroboamo, essendo uscito di Gerusalemme, si imbatté per strada nel profeta Aiia di Silo, che portava un mantello nuovo; ed erano loro due soli nella campagna. Aiia prese il mantello nuovo che aveva addosso, lo strappò in dodici pezzi, e disse a Geroboamo: “Prendine per te dieci pezzi, perché l’Eterno, l’Iddio d’Israele, dice così: ‘Ecco, io strappo questo regno dalle mani di Salomone, e te ne darò dieci tribù, ma gli resterà una tribù per amore di Davide mio servo, e per amore di Gerusalemme, della città che ho scelto fra tutte le tribù d’Israele. Questo perché i figli d’Israele mi hanno abbandonato, si sono prostrati davanti ad Astarte, divinità dei Sidoni, davanti a Chemos, dio di Moab e davanti a Milcom, dio dei figli di Ammon, e non hanno camminato nelle mie vie per fare ciò che è giusto ai miei occhi e per osservare le mie leggi e i miei precetti, come fece Davide, padre di Salomone. Tuttavia non toglierò dalle sue mani tutto il regno, ma lo manterrò principe tutto il tempo della sua vita, per amore di Davide, mio servo, che io scelsi, e che osservò i miei comandamenti e le mie leggi; ma toglierò il regno dalle mani di suo figlio, e te ne darò dieci tribù; e a suo figlio lascerò una tribù affinché Davide, mio servo, abbia sempre una lampada davanti a me in Gerusalemme, nella città che ho scelta per mettervi il mio nome. Io prenderò dunque te, e tu regnerai su tutto quello che la tua anima desidererà e sarai re sopra Israele. Se tu ubbidirai a tutto quello che ti comanderò, e camminerai nelle mie vie, e farai ciò che è giusto ai miei occhi, osservando le mie leggi e i miei comandamenti, come fece Davide mio servo, io sarò con te, ti edificherò una casa stabile, come ne edificai una a Davide, e ti darò Israele; così umilierò la discendenza di Davide, ma non per sempre’”. Perciò Salomone cercò di fare morire Geroboamo; ma questi si alzò e fuggì in Egitto presso Sisac, re d’Egitto, e rimase in Egitto fino alla morte di Salomone. Il rimanente delle gesta di Salomone, tutto quello che fece, e la sua sapienza sta scritto nel libro delle gesta di Salomone. Salomone regnò a Gerusalemme, su tutto Israele, quarant’anni. Poi Salomone si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto nella città di Davide suo padre; e Roboamo suo figlio gli succedette nel regno. Roboamo andò a Sichem, perché tutto Israele era venuto a Sichem per farlo re. Quando lo seppe Geroboamo, figlio di Nebat, si trovava ancora in Egitto, dove era fuggito per scampare dal re Salomone; abitava in Egitto, e là lo mandarono a chiamare. Allora Geroboamo e tutta la comunità d’Israele vennero a parlare a Roboamo, e gli dissero: “Tuo padre ha reso pesante il nostro giogo; ora tu rendi più lieve la dura servitù e il giogo pesante che tuo padre ci ha imposto e noi ti serviremo”. Ed egli rispose loro: “Andatevene, e tornate da me fra tre giorni”. E il popolo se ne andò. Il re Roboamo si consigliò con gli anziani che erano stati al servizio del re Salomone suo padre mentre era vivo, e disse: “Che mi consigliate voi di rispondere a questo popolo?”. E quelli gli parlarono così: “Se oggi tu ti fai servo di questo popolo, se tu gli cedi, se gli rispondi e gli parli con bontà, sarà tuo servo per sempre”. Ma Roboamo abbandonò il consiglio dato dagli anziani e si consigliò con i giovani che erano cresciuti con lui ed erano al suo servizio, e disse loro: “Come consigliate voi che rispondiamo a questo popolo che mi ha parlato dicendo: ‘Alleggerisci il giogo che tuo padre ci ha imposto’?”. I giovani che erano cresciuti con lui, gli parlarono così: “Ecco ciò che dirai a questo popolo che si è rivolto a te dicendo: ‘Tuo padre ha reso pesante il nostro giogo, e tu rendilo più leggero!’. Gli risponderai così: ‘Il mio dito mignolo è più grosso del corpo di mio padre; mio padre vi ha caricati di un giogo pesante, io lo renderò ancora più pesante; mio padre vi ha castigati con la frusta, io vi castigherò con i flagelli a punte’”. Tre giorni dopo, Geroboamo e tutto il popolo vennero da Roboamo, come aveva ordinato il re dicendo: “Tornate da me fra tre giorni”. E il re rispose duramente, abbandonando il consiglio che gli anziani gli avevano dato; e parlò al popolo secondo il consiglio dei giovani, dicendo: “Mio padre ha reso pesante il vostro giogo, ma io lo renderò più pesante ancora; mio padre vi ha castigati con la frusta, e io vi castigherò con i flagelli a punte”. Così il re non diede ascolto al popolo; perché questa cosa era diretta dall’Eterno, affinché si adempisse la parola detta da lui per mezzo di Aiia di Silo a Geroboamo, figlio di Nebat. Quando tutto il popolo d’Israele vide che il re non gli dava ascolto, rispose al re, dicendo: “Che parte abbiamo noi con Davide? Noi non abbiamo nulla in comune con il figlio d’Isai! Alle tue tende, o Israele! Provvedi ora tu alla tua casa, o Davide!”. E Israele se ne andò alle sue tende. Ma sui figli d’Israele che abitavano nelle città di Giuda, regnò Roboamo. Il re Roboamo mandò loro Adoram, preposto ai lavori forzati; ma tutto Israele lo lapidò, ed egli morì. Allora il re Roboamo salì in fretta sopra un carro per fuggire a Gerusalemme. Così Israele si ribellò alla casa di Davide, ed è rimasto ribelle fino a oggi. Quando tutto Israele ebbe udito che Geroboamo era tornato, lo mandò a chiamare perché venisse all’assemblea, e lo stabilirono re su tutto Israele. Nessuno seguì la casa di Davide, tranne la sola tribù di Giuda. E Roboamo, giunto a Gerusalemme, radunò tutta la casa di Giuda e la tribù di Beniamino, centottantamila uomini, guerrieri scelti, per combattere contro la casa d’Israele e restituire il regno a Roboamo, figlio di Salomone. Ma la parola di Dio fu rivolta così a Semaia, uomo di Dio: “Parla a Roboamo, figlio di Salomone, re di Giuda, a tutta la casa di Giuda e di Beniamino e al resto del popolo, e di’ loro: ‘Così parla l’Eterno: Non salite a combattere contro i vostri fratelli, i figli d’Israele! Ognuno se ne torni a casa sua; perché questo è avvenuto per mia volontà’”. Quelli ubbidirono alla parola dell’Eterno e se ne tornarono indietro secondo la parola dell’Eterno. Geroboamo costruì Sichem nella regione montuosa di Efraim, e vi si stabilì; poi uscì di là, e costruì Penuel. Geroboamo disse in cuor suo: “Ora il regno potrebbe benissimo tornare alla casa di Davide. Se questo popolo sale a Gerusalemme per offrire dei sacrifici nella casa dell’Eterno, il suo cuore si volgerà verso il suo signore, verso Roboamo re di Giuda, mi uccideranno e torneranno a Roboamo re di Giuda”. Il re, quindi, dopo essersi consigliato, fece due vitelli d’oro e disse al popolo: “Siete ormai saliti abbastanza a Gerusalemme! O Israele, ecco i tuoi dèi che ti hanno fatto uscire dal paese d’Egitto!”. E ne mise uno a Betel e l’altro a Dan. Questo diventò un’occasione di peccato, perché il popolo andava fino a Dan per presentarsi davanti a uno di quei vitelli. Egli fece anche dei templi di alti luoghi, e creò dei sacerdoti presi qua e là fra il popolo, che non erano dei figli di Levi. Geroboamo istituì pure una festa nell’ottavo mese, nel quindicesimo giorno del mese, simile alla festa che si celebrava in Giuda, e offrì dei sacrifici sull’altare. Così fece a Betel perché si offrissero sacrifici ai vitelli che egli aveva fatto; e a Betel stabilì i sacerdoti degli alti luoghi che aveva eretto. Il quindicesimo giorno dell’ottavo mese, mese che aveva scelto di testa sua, Geroboamo salì all’altare che aveva costruito a Betel, fece una festa per i figli d’Israele, e salì all’altare per offrire profumi. Ed ecco che un uomo di Dio giunse da Giuda a Betel per ordine dell’Eterno, mentre Geroboamo stava presso l’altare per bruciare l’incenso; e per ordine dell’Eterno si mise a gridare contro l’altare e a dire: “Altare, altare! così dice l’Eterno: ‘Ecco, alla casa di Davide nascerà un figlio, di nome Giosia, il quale sacrificherà su di te i sacerdoti degli alti luoghi che su di te bruciano incenso, e si bruceranno su di te ossa umane’”. E quello stesso giorno diede un segno miracoloso dicendo: “Questo è il segno che l’Eterno ha parlato: ecco, l’altare si spaccherà, e la cenere che c’è sopra si spanderà”. Quando il re Geroboamo udì la parola che l’uomo di Dio aveva gridato contro l’altare di Betel, stese la mano dall’alto dell’altare, e disse: “Prendetelo!”. Ma la mano che Geroboamo aveva steso contro di lui si seccò, e non poté più ritirarla a sé. L’altare si spaccò e la cenere che c’era sopra si disperse, secondo il segno che l’uomo di Dio aveva dato per ordine dell’Eterno. Allora il re si rivolse all’uomo di Dio, e gli disse: “Ti prego, implora la grazia dell’Eterno, del tuo Dio, e prega per me affinché mi sia restituita la mano”. E l’uomo di Dio implorò la grazia dell’Eterno, e il re riebbe la sua mano, che tornò com’era prima. E il re disse all’uomo di Dio: “Vieni con me a casa; ti ristorerai, e io ti farò un regalo”. Ma l’uomo di Dio rispose al re: “Anche se tu mi dessi la metà della tua casa, io non entrerò da te, e non mangerò pane né berrò acqua in questo luogo; poiché questo è l’ordine che mi è stato dato dall’Eterno: ‘Tu non mangerai pane né berrai acqua, e non tornerai per la strada che avrai fatto all’andata’”. Così egli se ne andò per un’altra strada, e non tornò per quella che aveva fatto, venendo a Betel. C’era un vecchio profeta che abitava a Betel; e uno dei suoi figli andò a raccontargli tutte le cose che l’uomo di Dio aveva fatto in quel giorno a Betel, e le parole che aveva detto al re. Il padre, quando udì il racconto, disse ai suoi figli: “Per quale via se n’è andato?”. Poiché i suoi figli avevano visto la via per la quale se n’era andato l’uomo di Dio venuto da Giuda. Egli disse ai suoi figli: “Sellatemi l’asino”. Quelli gli sellarono l’asino; ed egli vi montò su, andò dietro all’uomo di Dio, e lo trovò seduto sotto un terebinto, e gli disse: “Sei tu l’uomo di Dio venuto da Giuda?”. Egli rispose: “Sono io”. Allora il vecchio profeta gli disse: “Vieni con me a casa mia, e prendi un po’ di cibo”. Ma egli rispose: “Io non posso tornare indietro con te, né entrare da te; e non mangerò pane né berrò acqua con te in questo luogo; poiché mi è stato detto, per ordine dell’Eterno: ‘Tu non mangerai là pane, né berrai acqua, e non tornerai per la strada che avrai fatto all’andata’”. L’altro gli disse: “Anch’io sono profeta come lo sei tu; e un angelo mi ha parlato per ordine dell’Eterno, dicendo: ‘Riportalo con te in casa tua, affinché mangi del pane e beva dell’acqua’”. Costui gli mentiva. Così, l’uomo di Dio tornò indietro con l’altro, e mangiò del pane e bevve dell’acqua in casa sua. Mentre sedevano a mensa, la parola dell’Eterno fu rivolta al profeta che aveva fatto tornare indietro l’altro; ed egli gridò all’uomo di Dio che era venuto da Giuda: “Così parla l’Eterno: ‘Poiché tu ti sei ribellato all’ordine dell’Eterno, e non hai osservato il comandamento che l’Eterno, il tuo Dio, ti aveva dato, sei tornato indietro e hai mangiato del pane e bevuto dell’acqua nel luogo del quale egli ti aveva detto: Non mangiare del pane e non bere dell’acqua, il tuo cadavere non entrerà nel sepolcro dei tuoi padri’”. Quando l’uomo di Dio ebbe mangiato e bevuto, il vecchio profeta, che lo aveva fatto tornare indietro, gli sellò l’asino. L’uomo di Dio se ne andò, e un leone lo incontrò per strada, e lo uccise. Il suo cadavere restò disteso sulla strada; l’asino se ne stava vicino a lui e il leone pure vicino al cadavere. Quando ecco passarono degli uomini che videro il cadavere disteso sulla strada e il leone che stava vicino al cadavere, e vennero a riferire la cosa nella città dove abitava il vecchio profeta. E quando il profeta che aveva fatto tornare indietro l’uomo di Dio ebbe udito ciò, disse: “È l’uomo di Dio, che è stato ribelle all’ordine dell’Eterno; perciò l’Eterno lo ha dato in balìa di un leone, che lo ha sbranato e ucciso, secondo la parola che l’Eterno gli aveva detto”. Poi si rivolse ai suoi figli, e disse loro: “Sellatemi l’asino”. E quelli glielo sellarono. Ed egli andò, trovò il cadavere disteso sulla strada, e l’asino e il leone che stavano vicino al cadavere; il leone non aveva divorato il cadavere né sbranato l’asino. Il profeta prese il cadavere dell’uomo di Dio, lo pose sull’asino, e lo portò indietro; il vecchio profeta rientrò in città per piangerlo e per dargli sepoltura. Depose il cadavere nel proprio sepolcro; ed egli e i suoi figli lo piansero, dicendo: “Ahi fratello mio!”. E quando lo ebbe seppellito, il vecchio profeta disse ai suoi figli: “Quando sarò morto, seppellitemi nel sepolcro dove è sepolto l’uomo di Dio; ponete le mie ossa accanto alle sue. Poiché la parola da lui gridata per ordine dell’Eterno contro l’altare di Betel e contro tutte le case degli alti luoghi che sono nelle città di Samaria, si verificherà certamente”. Dopo questo fatto, Geroboamo non si tirò indietro dalla sua cattiva strada; anzi creò di nuovo dei sacerdoti degli alti luoghi, prendendoli qua e là fra il popolo; chiunque voleva, era da lui consacrato e diventava sacerdote degli alti luoghi. Quella fu, per la casa di Geroboamo, un’occasione di peccato, che attirò su di lei la distruzione e lo sterminio dalla faccia della terra. In quel tempo, Abiia, figlio di Geroboamo, si ammalò. Geroboamo disse a sua moglie: “Àlzati, ti prego, e travèstiti, affinché non si riconosca che tu sei la moglie di Geroboamo, e va’ a Silo. Là c’è il profeta Aiia, il quale predisse di me che sarei stato re di questo popolo. Prendi con te dieci pani, delle focacce, un vaso di miele, e va’ da lui; egli ti dirà quello che avverrà di questo ragazzo”. La moglie di Geroboamo fece così; si alzò, andò a Silo, e giunse a casa di Aiia. Aiia non poteva vedere, poiché gli si era offuscata la vista per la vecchiaia. Ora l’Eterno aveva detto ad Aiia: “Ecco, la moglie di Geroboamo sta per venire a consultarti riguardo a suo figlio, che è ammalato. Tu parlale così e così. Quando entrerà, fingerà di essere un’altra”. Quando dunque Aiia udì il rumore dei passi di lei che entrava per la porta, disse: “Entra pure, moglie di Geroboamo, perché fingi di essere un’altra? Io sono incaricato di dirti delle cose dure. Va’ e di’ a Geroboamo: ‘Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: Io ti ho innalzato in mezzo al popolo, ti ho fatto principe del mio popolo Israele, e ho strappato il regno dalle mani della casa di Davide e l’ho dato a te, ma tu non sei stato come il mio servo Davide il quale osservò i miei comandamenti e mi seguì con tutto il suo cuore, facendo soltanto ciò che è giusto ai miei occhi, e hai fatto peggio di tutti quelli che ti hanno preceduto, e sei andato a farti degli altri dèi e delle immagini fuse per provocarmi a ira e hai gettato me dietro alle tue spalle; per questo ecco che io faccio scendere la rovina sulla casa di Geroboamo, e sterminerò dalla casa di Geroboamo fino all’ultimo uomo, tanto chi è schiavo quanto chi è libero in Israele, e spazzerò la casa di Geroboamo come si spazza lo sterco finché sia tutto sparito. Quelli della casa di Geroboamo che moriranno in città, saranno divorati dai cani, quelli che moriranno per i campi, li divoreranno gli uccelli del cielo; poiché l’Eterno ha parlato. Quanto a te, àlzati, vattene a casa tua; non appena avrai messo piede in città, il bambino morirà. Tutto Israele lo piangerà e gli darà sepoltura. Egli è il solo della casa di Geroboamo che sarà messo in un sepolcro, perché è il solo nella casa di Geroboamo in cui si sia trovato qualcosa di buono, rispetto all’Eterno, all’Iddio d’Israele. L’Eterno stabilirà sopra Israele un re, che in quel giorno sterminerà la casa di Geroboamo. E che dico? Non è forse quello che già succede? L’Eterno colpirà Israele, che sarà come una canna agitata nell’acqua; sradicherà Israele da questa buona terra che aveva dato ai loro padri, e li disperderà oltre il fiume, perché si sono fatti degli idoli di Astarte provocando l’ira dell’Eterno. E abbandonerà Israele a causa dei peccati che Geroboamo ha commesso e ha fatto commettere a Israele’”. La moglie di Geroboamo si alzò, partì, e giunse a Tirsa; appena mise il piede sulla soglia di casa, il ragazzo morì; lo seppellirono e tutto Israele lo pianse, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato per bocca del profeta Aiia, suo servo. Il resto delle azioni di Geroboamo, le sue guerre e il modo in cui regnò, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re d’Israele. E la durata del regno di Geroboamo fu di ventidue anni; poi si addormentò con i suoi padri, e Nadab suo figlio regnò al posto suo. Roboamo, figlio di Salomone, regnò in Giuda. Aveva quarantun anni quando cominciò a regnare, e regnò diciassette anni in Gerusalemme, nella città che l’Eterno si era scelto fra tutte le tribù d’Israele per mettervi il suo nome. Sua madre si chiamava Naama, l’Ammonita. Gli abitanti di Giuda fecero ciò che è male agli occhi dell’Eterno; e con i peccati che commisero provocarono la gelosia dell’Eterno più di quanto avessero fatto i loro padri. Anche loro si eressero degli alti luoghi con delle statue e degli idoli di Astarte su tutte le alte colline e sotto ogni albero verdeggiante. Nel paese c’erano anche degli uomini che si prostituivano. Essi praticarono tutti gli atti abominevoli delle nazioni che l’Eterno aveva cacciato davanti ai figli d’Israele. Il quinto anno del regno di Roboamo, Sisac, re d’Egitto, salì contro Gerusalemme, e portò via i tesori della casa dell’Eterno e i tesori della casa del re; portò via ogni cosa; prese pure tutti gli scudi d’oro che Salomone aveva fatto; al posto dei quali Roboamo fece fare degli scudi di bronzo, e li affidò ai capitani della guardia che custodiva la porta della casa del re. Ogni volta che il re entrava nella casa dell’Eterno, quelli che erano di guardia li portavano; poi li riportavano nella sala della guardia. Il resto delle azioni di Roboamo e tutto quello che egli fece, sta scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Ci fu guerra continua fra Roboamo e Geroboamo. Roboamo si addormentò con i suoi padri e con essi fu sepolto nella città di Davide. Sua madre si chiamava Naama, l’Ammonita. E Abiiam, suo figlio, regnò al suo posto. Il diciottesimo anno del regno di Geroboamo, figlio di Nebat, Abiiam cominciò a regnare sopra Giuda. Regnò tre anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Maaca, figlia di Abisalom. Egli si abbandonò a tutti i peccati che suo padre aveva commesso prima di lui, e il suo cuore non fu tutto quanto per l’Eterno, il suo Dio, come era stato il cuore di Davide suo padre. Tuttavia, per amore di Davide, l’Eterno, il suo Dio, gli lasciò una lampada a Gerusalemme, stabilendo suo figlio dopo di lui, e lasciando sussistere Gerusalemme; perché Davide aveva fatto ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno e non si era allontanato in nulla dai suoi comandamenti per tutto il tempo della sua vita, salvo nel fatto di Uria, l’Ittita. Tra Roboamo e Geroboamo vi fu guerra, finché Roboamo visse. Il resto delle azioni di Abiiam e tutto quello che egli fece, sta scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Vi fu guerra fra Abiiam e Geroboamo. Abiiam si addormentò con i suoi padri, fu sepolto nella città di Davide, e Asa, suo figlio, regnò al suo posto. Il ventesimo anno del regno di Geroboamo, re d’Israele, Asa cominciò a regnare sopra Giuda. Regnò quarantun anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Maaca, figlia di Abisalom. Asa fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, come aveva fatto Davide suo padre, tolse via dal paese quelli che si prostituivano, fece sparire tutti gli idoli che i suoi padri avevano fatto, e destituì pure dalla dignità di regina sua madre Maaca, perché lei aveva eretto un’immagine ad Astarte; Asa abbatté l’immagine e la bruciò presso il torrente Chidron. Tuttavia gli alti luoghi non furono eliminati, nonostante il cuore di Asa fosse tutto quanto per l’Eterno, durante tutta la sua vita. Egli fece portare nella casa dell’Eterno le cose che suo padre aveva consacrato, e quelle che aveva consacrato egli stesso: argento, oro, vasi. E vi fu guerra fra Asa e Baasa, re d’Israele, tutto il tempo della loro vita. Baasa, re d’Israele, salì contro Giuda e costruì Rama, per impedire che alcuno andasse e venisse dalla parte di Asa, re di Giuda. Allora Asa prese tutto l’argento e l’oro che era rimasto nei tesori della casa dell’Eterno, prese i tesori della casa del re, e mise tutto in mano dei suoi servi, che mandò a Ben-Adad, figlio di Tabrimmon, figlio di Chesion, re di Siria, che abitava a Damasco, per dirgli: “Ci sia alleanza fra me e te, come ci fu fra mio padre e tuo padre. Ecco, io ti mando in dono dell’argento e dell’oro; va’, rompi la tua alleanza con Baasa, re d’Israele, affinché egli si ritiri da me”. Ben-Adad diede ascolto al re Asa; mandò i capi del suo esercito contro le città d’Israele ed espugnò Iion, Dan, Abel-Bet-Maaca, tutta la regione di Chinnerot con tutto il paese di Neftali. Quando Baasa ebbe udito questo, cessò di costruire Rama, e rimase a Tirsa. Allora il re Asa convocò tutti quelli di Giuda, senza escludere nessuno; e quelli portarono via le pietre e il legno di cui Baasa si era servito per la costruzione di Rama; e con essi il re Asa costruì Gheba di Beniamino, e Mispa. Il resto di tutte le azioni di Asa, tutte le sue prodezze, tutto quello che egli fece e le città che costruì, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Ma, nella sua vecchiaia, egli soffrì di male ai piedi. Asa si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto con loro nella città di Davide, suo padre; e Giosafat, suo figlio, regnò al suo posto. Nadab, figlio di Geroboamo, cominciò a regnare sopra Israele il secondo anno di Asa, re di Giuda; e regnò sopra Israele due anni. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, e seguì le orme di suo padre e il peccato nel quale aveva indotto Israele. Baasa, figlio di Aiia, della casa di Issacar, cospirò contro di lui e lo uccise a Ghibbeton, che apparteneva ai Filistei, mentre Nadab e tutto Israele assediavano Ghibbeton. Baasa lo uccise il terzo anno di Asa, re di Giuda, e regnò al suo posto. Appena fu re, sterminò tutta la casa di Geroboamo; non risparmiò anima viva di quella casa, ma la distrusse interamente, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato, per bocca del suo servo Aiia di Silo, a causa dei peccati che Geroboamo aveva commesso e fatti commettere a Israele, quando aveva provocato a ira l’Iddio d’Israele. Il resto delle azioni di Nadab e tutto quello che fece, non sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re d’Israele? E vi fu guerra fra Asa e Baasa, re d’Israele, tutto il tempo della loro vita. Il terzo anno di Asa, re di Giuda, Baasa, figlio di Aiia, cominciò a regnare su tutto Israele. Stava a Tirsa, e regnò ventiquattro anni. Fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno; e seguì le vie di Geroboamo e il peccato che questi aveva fatto commettere a Israele. La parola dell’Eterno fu rivolta a Ieu, figlio di Canani, contro Baasa, in questi termini: “Io ti ho innalzato dalla polvere e ti ho fatto principe del mio popolo Israele, ma tu hai seguito le vie di Geroboamo e hai indotto il mio popolo Israele a peccare, in modo da provocarmi a sdegno con i suoi peccati; perciò io spazzerò via Baasa e la sua casa, farò della casa tua quello che ho fatto della casa di Geroboamo, figlio di Nebat. Quelli della famiglia di Baasa che moriranno in città saranno divorati dai cani, quelli che moriranno per i campi li mangeranno gli uccelli del cielo”. Le azioni rimanenti di Baasa, le sue gesta e le sue prodezze, si trovano scritte nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Baasa si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto a Tirsa; ed Ela, suo figlio, regnò al suo posto. La parola che l’Eterno aveva pronunciato per bocca del profeta Ieu, figlio di Canani, fu diretta contro Baasa e contro la sua casa, non soltanto a causa di tutto il male che Baasa aveva fatto sotto gli occhi dell’Eterno, provocandolo a ira con l’opera delle sue mani così da imitare la casa di Geroboamo, ma anche perché aveva sterminato quella casa. Il ventiseiesimo anno di Asa, re di Giuda, Ela, figlio di Baasa, cominciò a regnare sopra Israele. Stava a Tirsa, e regnò due anni. Zimri, suo servo, comandante della metà dei suoi carri, congiurò contro di lui. Ela stava a Tirsa, bevendo e ubriacandosi in casa di Arsa, prefetto del palazzo di Tirsa, quando Zimri entrò, lo colpì e lo uccise, il ventisettesimo anno di Asa, re di Giuda, e regnò al suo posto. E quando fu re, appena si sedette sul trono, distrusse tutta la casa di Baasa; non gli lasciò neppure un bimbo: né parenti, né amici. Così Zimri sterminò tutta la casa di Baasa, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato contro Baasa per bocca del profeta Ieu, a causa di tutti i peccati che Baasa ed Ela, suo figlio, avevano commesso e fatto commettere a Israele, provocando a ira l’Eterno, l’Iddio d’Israele, con i loro idoli. Il resto delle azioni di Ela e tutto quello che egli fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Il ventisettesimo anno di Asa, re di Giuda, Zimri regnò per sette giorni a Tirsa. Il popolo era accampato contro Ghibbeton, città dei Filistei. E il popolo, accampato in quel luogo, sentì dire: “Zimri ha fatto una congiura e ha perfino ucciso il re!”. Quello stesso giorno, nell’accampamento, tutto Israele proclamò re d’Israele Omri, capo dell’esercito. E Omri con tutto Israele salì da Ghibbeton e assediò Tirsa. Zimri, vedendo che la città era presa, si ritirò nella torre della casa del re, appiccò il fuoco al palazzo reale restando sotto le rovine, e così morì, a causa dei peccati che aveva commesso, facendo ciò che è male agli occhi dell’Eterno, seguendo la via di Geroboamo e abbandonandosi al peccato che questi aveva commesso, inducendo a peccare Israele. Il resto delle azioni di Zimri, la congiura che egli organizzò, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Allora il popolo d’Israele si divise in due parti: metà del popolo seguiva Tibni, figlio di Ghinat, per farlo re; l’altra metà seguiva Omri. Ma il popolo che seguiva Omri vinse contro quello che seguiva Tibni, figlio di Ghinat. Tibni morì, e regnò Omri. Il trentunesimo anno di Asa, re di Giuda, Omri cominciò a regnare sopra Israele, e regnò dodici anni. Regnò sei anni a Tirsa, poi comprò da Semer il monte di Samaria per due talenti d’argento; costruì una città su quel monte, e alla città che costruì diede il nome di Samaria dal nome di Semer, padrone del monte. Omri fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, e fece peggio di tutti i suoi predecessori; seguì in tutto la via di Geroboamo, figlio di Nebat, e si abbandonò ai peccati che Geroboamo aveva fatto commettere a Israele, provocando lo sdegno dell’Eterno, l’Iddio d’Israele, con i suoi idoli. Il resto delle azioni compiute da Omri e le prodezze da lui fatte, sta tutto scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Omri si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto a Samaria e Acab, suo figlio, regnò al suo posto. Acab, figlio di Omri, cominciò a regnare sopra Israele il trentottesimo anno di Asa, re di Giuda; e regnò a Samaria, sopra Israele, per ventidue anni. Acab, figlio di Omri, fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno più di tutti quelli che lo avevano preceduto. E, come se fosse stata per lui poca cosa l’abbandonarsi ai peccati di Geroboamo figlio di Nebat, prese per moglie Izebel, figlia di Etbaal, re dei Sidoni, andò a servire Baal, a prostrarsi davanti a lui, ed eresse un altare a Baal, nel tempio di Baal, che costruì a Samaria. Acab fece anche l’idolo di Astarte. Per provocare a sdegno l’Eterno, l’Iddio d’Israele, Acab fece più di quello che avevano fatto tutti i re d’Israele che lo avevano preceduto. Al suo tempo, Chiel di Betel, ricostruì Gerico; ne gettò le fondamenta su Abiram, suo primogenito, e ne rizzò le porte su Segub, il più giovane dei suoi figli, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato per bocca di Giosuè, figlio di Nun. Elia, il Tisbita, uno di quelli che si erano stabiliti in Galaad, disse ad Acab: “Com’è vero che vive l’Eterno, l’Iddio d’Israele, di cui io sono servo, non ci sarà né rugiada né pioggia in questi anni, se non alla mia parola”. La parola dell’Eterno gli fu rivolta in questi termini: “Parti di qua, dirigiti verso oriente, e nasconditi presso il torrente Cherit, che è di fronte al Giordano. Tu berrai al torrente, e io ho comandato ai corvi che là ti diano da mangiare”. Egli dunque partì e fece secondo la parola dell’Eterno: andò e si stabilì presso il torrente Cherit, che è di fronte al Giordano. E i corvi gli portavano del pane e della carne la mattina, e del pane e della carne la sera; e beveva al torrente. Ma di lì a qualche tempo il torrente rimase asciutto, perché non cadeva pioggia sul paese. Allora la parola dell’Eterno gli fu rivolta in questi termini: “Àlzati, va a Sarepta dei Sidoni, e abita là; io ho ordinato a una vedova di là che ti dia da mangiare”. Egli dunque si alzò e andò a Sarepta; e, quando giunse alla porta della città, ecco una donna vedova che raccoglieva della legna. Egli la chiamò, e le disse: “Ti prego, vammi a cercare un po’ di acqua in un vaso, perché io beva”. E mentre lei andava a prenderla, egli le gridò dietro: “Portami, ti prego, anche un pezzo di pane”. Lei rispose: “Com’è vero che vive l’Eterno, il tuo Dio, del pane non ne ho, ma ho soltanto una manciata di farina in un vaso e un po’ d’olio in un orciolo; ed ecco, sto raccogliendo due pezzi di legno, per andare a cuocerla per me e per mio figlio; la mangeremo, e poi moriremo”. Elia le disse: “Non temere; va’ e fa’ come hai detto; ma fanne prima una piccola focaccia per me, e portamela; poi ne farai per te e per tuo figlio. Poiché così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Il vaso della farina non si esaurirà e l’orciolo dell’olio non diminuirà, fino al giorno che l’Eterno manderà la pioggia sulla terra’”. Lei andò e fece come le aveva detto Elia e lei, la sua famiglia ed Elia ebbero da mangiare per molto tempo. Il vaso della farina non si esaurì e l’orciolo dell’olio non diminuì, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato per bocca di Elia. Dopo queste cose avvenne che il figlio di quella donna, che era la padrona di casa, si ammalò; e la sua malattia fu così grave, che non gli rimase più soffio di vita. Allora la donna disse a Elia: “Che c’è fra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare la memoria delle mie colpe e far morire mio figlio?”. Egli le rispose: “Dammi tuo figlio”. Lo prese dalle sue braccia, lo portò nella camera di sopra dove lui alloggiava, e lo adagiò sul suo letto. Poi invocò l’Eterno, e disse: “O Eterno, Iddio mio, colpisci di sventura anche questa vedova, della quale io sono ospite, facendole morire il figlio?”. Si distese quindi tre volte sul ragazzo e invocò l’Eterno, dicendo: “O Eterno, Iddio mio, ti prego, torni l’anima di questo ragazzo in lui!”. L’Eterno esaudì la voce di Elia: l’anima del ragazzo tornò in lui, ed egli tornò in vita. Elia prese il fanciullo, lo portò giù dalla camera al piano terra della casa, e lo restituì a sua madre, dicendole: “Guarda! tuo figlio è vivo”. Allora la donna disse a Elia: “Ora riconosco che tu sei un uomo di Dio, e che la parola dell’Eterno che è nella tua bocca è verità”. Molto tempo dopo, nel corso del terzo anno, la parola dell’Eterno fu rivolta a Elia in questi termini: “Va’, presentati ad Acab, e io manderò la pioggia sul paese”. Allora Elia andò a presentarsi ad Acab. La carestia era grave in Samaria. E Acab mandò a chiamare Abdia, che era il sovrintendente del palazzo. Abdia era molto timorato dell’Eterno; e quando Izebel sterminava i profeti dell’Eterno, Abdia aveva preso cento profeti, li aveva nascosti cinquanta in una spelonca e cinquanta in un’altra, e li aveva nutriti con del pane e dell’acqua. Acab disse ad Abdia: “Va’ per il paese, verso tutte le sorgenti e tutti i ruscelli; forse troveremo dell’erba e potremo conservare in vita i cavalli e i muli, e non avremo bisogno di uccidere parte del bestiame”. Si divisero dunque il paese da percorrere; Acab andò da solo da una parte e Abdia da solo dall’altra. Mentre Abdia era in viaggio, ecco che gli venne incontro Elia; e Abdia, avendolo riconosciuto, si prostrò con la faccia a terra, e disse: “Sei tu il mio signore Elia?”. Egli rispose: “Sono io; va’ a dire al tuo signore: ‘Ecco qua Elia’”. Ma Abdia replicò: “Che peccato ho mai commesso, che tu dia il tuo servo nelle mani di Acab, perché egli mi faccia morire? Com’è vero che l’Eterno, il tuo Dio, vive, non c’è nazione né regno dove il mio signore non abbia mandato a cercarti; e quando gli si diceva: ‘Egli non è qui’, faceva giurare il regno e la nazione, che non ti avevano davvero trovato. E ora tu dici: ‘Va’ a dire al tuo signore: Ecco qua Elia!’. Succederà che, quando io sarò partito da te, lo Spirito dell’Eterno ti trasporterà non so dove; io andrò a riferirlo ad Acab e lui, non trovandoti, mi ucciderà. Eppure, il tuo servo teme l’Eterno fin dalla sua giovinezza! Non hanno riferito al mio signore ciò che io feci quando Izebel uccideva i profeti dell’Eterno? Come nascosi cento uomini di quei profeti dell’Eterno, cinquanta in una spelonca e cinquanta in un’altra, e li nutrii con del pane e dell’acqua? E ora tu dici: ‘Va’ a dire al tuo signore: Ecco qua Elia!’. Ma egli mi ucciderà!”. Ed Elia rispose: “Com’è vero che vive l’Eterno degli eserciti di cui sono servo, oggi mi presenterò ad Acab”. Abdia dunque andò a trovare Acab e gli diede il messaggio; e Acab andò incontro a Elia. Appena Acab vide Elia, gli disse: “Sei tu colui che mette sottosopra Israele?”. Elia rispose: “Non sono io che metto sottosopra Israele, ma tu e la casa di tuo padre, perché avete abbandonato i comandamenti dell’Eterno, e tu sei andato dietro ai Baali. Adesso fa’ radunare tutto Israele presso di me sul monte Carmelo, insieme ai quattrocentocinquanta profeti di Baal e ai quattrocento profeti di Astarte che mangiano alla mensa di Izebel”. Acab mandò a chiamare tutti i figli d’Israele, e radunò quei profeti sul monte Carmelo. Allora Elia si accostò a tutto il popolo, e disse: “Fino a quando zoppicherete voi dai due lati? Se l’Eterno è Dio, seguitelo; se poi lo è Baal, seguite lui”. Il popolo non gli rispose parola. Allora Elia disse al popolo: “Sono rimasto solo io dei profeti dell’Eterno, mentre i profeti di Baal sono in quattrocentocinquanta. Ci siano dati dunque due giovenchi; quelli ne scelgano uno per loro, lo facciano a pezzi e lo mettano sulla legna, senza appiccare il fuoco; anch’io preparerò l’altro giovenco, lo metterò sulla legna, e non appiccherò il fuoco. Quindi invocate voi il nome del vostro dio, e io invocherò il nome dell’Eterno; il dio che risponderà mediante il fuoco, egli è Dio”. Tutto il popolo rispose e disse: “Ben detto!”. Allora Elia disse ai profeti di Baal: “Sceglietevi uno dei giovenchi; preparatelo per primi, poiché siete i più numerosi; e invocate il vostro dio, ma non appiccate il fuoco”. E quelli presero il giovenco che fu dato loro, e lo prepararono; poi invocarono il nome di Baal dalla mattina fino a mezzogiorno, dicendo: “O Baal, rispondici!”. Ma non si udì né voce né risposta; e saltavano intorno all’altare che avevano fatto. A mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro e a dire: “Gridate forte; poiché egli è dio, ma sta meditando, è indaffarato o è in viaggio; può anche darsi che dorma e si risveglierà”. E quelli si misero a gridare ad alta voce, e a farsi delle incisioni addosso, secondo il loro costume, con delle spade e delle lance, finché grondavano sangue. E, passato mezzogiorno, quelli profetizzarono fino all’ora in cui si offriva l’oblazione, senza che si udisse voce o risposta o ci fosse chi desse loro retta. Allora Elia disse a tutto il popolo: “Avvicinatevi a me!”. E tutto il popolo si avvicinò a lui; Elia restaurò l’altare dell’Eterno che era stato demolito. Poi prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, al quale l’Eterno aveva detto: “Il tuo nome sarà Israele”. Con quelle pietre costruì un altare al nome dell’Eterno, e fece intorno all’altare un fosso, della capacità di due misure di grano. Poi vi sistemò la legna, fece a pezzi il giovenco, e lo pose sopra la legna. E disse: “Riempite quattro vasi d’acqua, e versatela sull’olocausto e sulla legna”. Di nuovo disse: “Fatelo una seconda volta”. E quelli lo fecero una seconda volta. E disse ancora: “Fatelo per la terza volta”. E quelli lo fecero per la terza volta. L’acqua scorreva intorno all’altare, ed egli riempì d’acqua anche il fosso. Nell’ora in cui si offriva l’oblazione, il profeta Elia si avvicinò e disse: “O Eterno, Dio di Abraamo, d’Isacco e d’Israele, fa’ che oggi si conosca che tu sei Dio in Israele, che io sono tuo servo, e che ho fatto tutte queste cose per ordine tuo. Rispondimi, o Eterno, rispondimi, affinché questo popolo riconosca che tu, o Eterno, sei Dio, e che tu sei colui che converte il loro cuore!”. Allora cadde il fuoco dell’Eterno, e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere, e prosciugò l’acqua che era nel fosso. Tutto il popolo, visto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: “L’Eterno è Dio! L’Eterno è Dio!”. Ed Elia disse loro: “Prendete i profeti di Baal; neppure uno ne scampi!”. Quelli li presero, ed Elia li fece scendere al torrente Chison, e là li sgozzò. Poi Elia disse ad Acab: “Risali, mangia e bevi, poiché già si ode rumore di grande pioggia”. Acab risalì per mangiare e bere; ma Elia salì in vetta al Carmelo; si gettò a terra, si mise la faccia tra le ginocchia, e disse al suo servo: “Ora va’ su, e guarda dalla parte del mare!”. Egli andò su, guardò, e disse: “Non c’è nulla”. Elia gli disse: “Ritornaci sette volte!”. E la settima volta, il servo disse: “Ecco una nuvoletta grossa come la palma della mano, che sale dal mare”. Ed Elia: “Sali e di’ ad Acab: ‘Attacca i cavalli al carro e scendi, che la pioggia non ti fermi’”. E in un momento il cielo si oscurò di nubi, il vento si scatenò, e cadde una grande pioggia. Acab montò sul suo carro, e se ne andò a Izreel. E la mano dell’Eterno fu sopra Elia, il quale si cinse i fianchi e corse davanti ad Acab fino all’ingresso di Izreel. Acab raccontò a Izebel tutto quello che Elia aveva fatto, e come aveva ucciso con la spada tutti i profeti. Allora Izebel inviò un messaggero a Elia per dirgli: “Gli dèi mi trattino con tutto il loro rigore, se domani a quest’ora non farò della tua vita quello che tu hai fatto della vita di ognuno di quelli”. Elia, vedendo questo, si alzò, e se ne andò per salvarsi la vita; giunse a Beer-Sceba, che appartiene a Giuda, e lì lasciò il suo servo; ma egli si inoltrò nel deserto una giornata di cammino, andò a sedersi sotto una ginestra, ed espresse il desiderio di morire, dicendo: “Basta! Prendi ora, o Eterno, l’anima mia, poiché io non valgo più dei miei padri!”. Poi si coricò e si addormentò sotto la ginestra; quando ecco che un angelo lo toccò, e gli disse: “Àlzati e mangia”. Egli guardò, e vide vicino al suo capo una focaccia cotta su delle pietre calde, e una brocca d’acqua. Egli mangiò e bevve, poi si coricò di nuovo. L’angelo dell’Eterno tornò la seconda volta, lo toccò, e disse: “Àlzati e mangia, poiché il cammino è troppo lungo per te”. Egli si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli diede, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio. Là entrò in una caverna, e vi passò la notte. Ed ecco, gli fu rivolta la parola dell’Eterno, in questi termini: “Che fai tu qui, Elia?”. Egli rispose: “Io sono stato mosso da una grande gelosia per l’Eterno, per l’Iddio degli eserciti, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto solo io, e cercano di togliermi la vita”. Iddio gli disse: “Esci fuori e fermati sul monte, davanti all’Eterno”. Ed ecco passava l’Eterno. Un vento forte, impetuoso, spaccava i monti e spezzava le rocce davanti all’Eterno, ma l’Eterno non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma l’Eterno non era nel terremoto. E, dopo il terremoto, un fuoco; ma l’Eterno non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un suono dolce e sommesso. Come Elia l’ebbe udito, si coprì il volto con il mantello, uscì fuori, e si fermò all’ingresso della caverna; ed ecco che una voce giunse fino a lui, e disse: “Che fai tu qui, Elia?”: Egli rispose: “Io sono stato mosso da una gran gelosia per l’Eterno, per l’Iddio degli eserciti, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto solo io, e cercano di togliermi la vita”. L’Eterno gli disse: “Va’, rifa’ la strada del deserto, fino a Damasco; e quando sarai giunto là, ungerai Azael come re di Siria; ungerai pure Ieu, figlio di Nimsi, come re d’Israele, e ungerai Eliseo, figlio di Safat da Abel-Meola, come profeta, al posto tuo. Chi sarà sopravvissuto alla spada di Azael, sarà ucciso da Ieu; e chi sarà sopravvissuto alla spada di Ieu, sarà ucciso da Eliseo. Ma io lascerò in Israele un residuo di settemila uomini, tutti quelli il cui ginocchio non si è piegato davanti a Baal, e la cui bocca non lo ha baciato”. Elia partì di là e trovò Eliseo, figlio di Safat, il quale arava, avendo dodici paia di buoi davanti a sé; ed egli stesso guidava il dodicesimo paio. Elia, avvicinatosi a lui, gli gettò addosso il suo mantello. Eliseo, lasciati i buoi, corse dietro a Elia, e disse: “Ti prego, lascia che io vada a dare un bacio a mio padre e a mia madre, e poi ti seguirò”. Elia gli rispose: “Va’ e torna; ma pensa a ciò che ti ho fatto!”. Dopo essersi allontanato da Elia, Eliseo tornò a prendere un paio di buoi, e li offrì in sacrificio; con la legna degli attrezzi dei buoi ne cosse la carne, e la diede alla gente, che la mangiò. Poi si alzò, seguì Elia, e si mise al suo servizio. Ben-Adad, re di Siria, radunò tutto il suo esercito; aveva con sé trentadue re, cavalli e carri; poi salì, cinse d’assedio Samaria, e la attaccò. Inviò dei messaggeri nella città, che dicessero ad Acab, re d’Israele: “Così dice Ben-Adad: ‘Il tuo argento e il tuo oro sono miei; così pure le tue mogli e i tuoi figli più belli sono cosa mia’”. Il re d’Israele rispose: “Come dici tu, o re mio signore, io sono tuo con tutte le cose mie”. I messaggeri tornarono di nuovo e dissero: “Così parla Ben-Adad: ‘Io ti avevo mandato a dire che tu mi dessi il tuo argento e il tuo oro, le tue mogli e i tuoi figli; invece, domani, a quest’ora, manderò da te i miei servi, i quali rovisteranno la tua casa e le case dei tuoi servi, e metteranno le mani su tutto quello che hai di più caro, e lo porteranno via’”. Allora il re d’Israele chiamò tutti gli anziani del paese, e disse: “Guardate, vi prego, e vedete come quest’uomo cerca la nostra rovina; poiché mi ha mandato a chiedere le mie mogli, i miei figli, il mio argento e il mio oro, e io non gli ho rifiutato nulla”. Tutti gli anziani e tutto il popolo gli dissero: “Non lo ascoltare e non acconsentire!”. Acab dunque rispose ai messaggeri di Ben-Adad: “Dite al re, mio signore: ‘Tutto quello che facesti dire al tuo servo, la prima volta, io lo farò; ma questo non lo posso fare’”. I messaggeri se ne andarono e portarono la risposta a Ben-Adad. Ben-Adad mandò a dire ad Acab: “Gli dèi mi trattino con tutto il loro rigore, se la polvere di Samaria basterà a riempire il pugno di tutta la gente che mi segue!”. Il re d’Israele rispose: “Ditegli così: ‘Chi cinge le armi non si glori come chi le depone’”. Quando Ben-Adad ricevette quella risposta stava bevendo con i re sotto le tende; e disse ai suoi servi: “Disponetevi in ordine!” e quelli si disposero ad attaccare la città. Quando ecco un profeta si accostò ad Acab, re d’Israele, e disse: “Così dice l’Eterno: ‘Vedi tu questa grande moltitudine? Ecco, oggi io la darò in tuo potere, e tu saprai che io sono l’Eterno’”. Acab disse: “Per mezzo di chi?”. Egli rispose: “Così dice l’Eterno: ‘Per mezzo dei servi dei capi delle province’”. Acab riprese: “Chi comincerà la battaglia?”. L’altro rispose: “Tu”. Allora Acab fece la rassegna dei servi dei capi delle province, ed erano duecentotrentadue; e dopo questi fece la rassegna di tutto il popolo, di tutti i figli d’Israele, ed erano settemila. Essi fecero una sortita sul mezzogiorno, mentre Ben-Adad stava bevendo e ubriacandosi sotto le tende con i trentadue re, venuti in suo aiuto. I servi dei capi delle province uscirono fuori per primi. Ben-Adad mandò a vedere, e gli fu riferito: “È uscita gente da Samaria”. Il re disse: “Se sono usciti per la pace, prendeteli vivi; se sono usciti per la guerra, prendeteli vivi ugualmente!”. E quando quei servi dei capi delle province e l’esercito che li seguiva furono usciti dalla città, ciascuno di loro uccise il suo uomo. I Siri si diedero alla fuga, gli Israeliti li inseguirono, e Ben-Adad, re di Siria fuggì a cavallo con alcuni cavalieri. Anche il re d’Israele uscì, mise in fuga cavalli e carri, e fece una grande strage fra i Siri. Allora il profeta si avvicinò al re d’Israele, e gli disse: “Va’, rinforzati; considera bene quello che dovrai fare; perché di qui a un anno, il re di Siria marcerà contro di te”. I servi del re di Siria gli dissero: “Gli dèi d’Israele sono dèi di montagna; per questo ci hanno vinti; ma diamo la battaglia in pianura, e li vinceremo di certo. E tu fa’ questo: togli ognuno di quei re dal suo luogo, e al posto loro sostituiscili con dei capitani; formati quindi un esercito pari a quello che hai perso, con altrettanti cavalli e altrettanti carri; poi daremo battaglia a costoro in pianura e li vinceremo di certo”. Egli accettò il loro consiglio, e fece così. L’anno seguente Ben-Adad fece la rassegna dei Siri, e salì verso Afec per combattere contro Israele. Anche i figli d’Israele furono passati in rassegna e forniti di viveri; quindi mossero contro i Siri, e si accamparono di fronte a loro: sembravano due minuscole greggi di capre di fronte ai Siri che inondavano il paese. Allora l’uomo di Dio si avvicinò al re d’Israele, e gli disse: “Così dice l’Eterno: ‘Poiché i Siri hanno detto: L’Eterno è Dio dei monti e non è Dio delle valli, io ti darò nelle mani tutta questa grande moltitudine; e voi conoscerete che io sono l’Eterno’”. E rimasero accampati gli uni di fronte agli altri per sette giorni; il settimo giorno si attaccò battaglia, e i figli d’Israele uccisero dei Siri, in un giorno, centomila fanti. I superstiti si rifugiarono nella città di Afec, dove le mura caddero sui ventisettemila uomini che erano rimasti. Anche Ben-Adad fuggì e, giunto nella città, cercava rifugio di camera in camera. I suoi servi gli dissero: “Ecco, abbiamo sentito dire che i re della casa d’Israele sono dei re clementi; lascia dunque che ci mettiamo dei sacchi sui fianchi, delle corde al collo e usciamo incontro al re d’Israele; forse egli ti salverà la vita”. Così essi si misero dei sacchi intorno ai fianchi e delle corde al collo, andarono dal re d’Israele, e dissero: “Il tuo servo Ben-Adad dice: ‘Ti prego, lasciami la vita!’”. Acab rispose: “È ancora vivo? lui è mio fratello”. Quegli uomini presero questo come un buon presagio, e subito vollero accertarsi se quello era proprio il suo sentimento, e gli dissero: “Ben-Adad è dunque tuo fratello!”. Egli rispose: “Andate, e conducetelo qua”. Ben-Adad si recò da Acab, il quale lo fece salire sul suo carro. E Ben-Adad gli disse: “Io ti restituirò le città che mio padre tolse a tuo padre; e tu ti stabilirai dei mercati in Damasco, come mio padre se ne era stabiliti in Samaria”. “E io”, riprese Acab, “con questo patto ti lascerò andare”; così Acab stabilì il patto con lui, e lo lasciò andare. Allora uno dei figli dei profeti disse per ordine dell’Eterno al suo compagno: “Ti prego, colpiscimi!”. Ma egli non volle colpirlo. Allora il primo gli disse: “Poiché tu non hai ubbidito alla voce dell’Eterno, ecco, appena sarai partito da me, un leone ti ucciderà”. E, appena quello fu partito da lui, un leone lo incontrò e lo uccise. Poi quel profeta trovò un altro uomo, e gli disse: “Ti prego, colpiscimi!”. Ed egli lo colpì e lo ferì. Allora il profeta andò ad aspettare il re sulla strada, e cambiò il suo aspetto mettendosi una benda sugli occhi. E quando il re passava, si mise a gridare e disse al re: “Il tuo servo si trovava in piena battaglia; quando ecco uno si avvicina, mi porta un uomo e mi dice: ‘Custodisci quest’uomo; se mai venisse a mancare, la tua vita pagherà per la sua, oppure pagherai un talento d’argento’. Mentre il tuo servo era occupato qua e là quell’uomo sparì”. Il re d’Israele gli disse: “Quella è la tua sentenza; l’hai pronunciata tu stesso”. Allora egli si tolse immediatamente la benda dagli occhi e il re d’Israele riconobbe che era uno dei profeti. E il profeta disse al re: “Così dice l’Eterno: ‘Poiché ti sei lasciato sfuggire di mano l’uomo che io avevo votato allo sterminio, la tua vita pagherà per la sua, e il tuo popolo per il suo popolo’”. E il re d’Israele se ne tornò a casa sua triste e irritato, e si recò a Samaria. Dopo queste cose avvenne che Nabot d’Izreel aveva a Izreel una vigna vicina al palazzo di Acab, re di Samaria. Acab parlò a Nabot, e gli disse: “Dammi la tua vigna, di cui voglio farmi un orto, perché è contigua alla mia casa; e al suo posto ti darò una vigna migliore; o, se più ti conviene, te ne pagherò il valore in denaro”. Ma Nabot rispose ad Acab: “Mi guardi l’Eterno dal darti l’eredità dei miei padri!”. Acab se ne tornò a casa sua triste e irritato per le parole dette da Nabot d’Izreel: “Io non ti darò l’eredità dei miei padri!”. Si gettò sul suo letto, voltò la faccia verso il muro, e non prese cibo. Allora Izebel, sua moglie, andò da lui e gli disse: “Perché hai lo spirito così rattristato, e non mangi?”. Lui le rispose: “Perché ho parlato a Nabot d’Izreel e gli ho detto: ‘Dammi la tua vigna per il denaro che vale; o, se preferisci, ti darò un’altra vigna invece di quella’; ed egli mi ha risposto: ‘Io non ti darò la mia vigna!’”. Izebel, sua moglie, gli disse: “Sei tu, sì o no, che eserciti la sovranità sopra Israele? Àlzati, prendi cibo, e sta’ di buon animo; la vigna di Nabot d’Izreel te la farò avere io”. Scrisse delle lettere a nome di Acab, le sigillò con il suo sigillo, e le mandò agli anziani e ai notabili della città di Nabot che abitavano insieme a lui. In quelle lettere scrisse così: “Bandite un digiuno, e fate sedere Nabot in prima fila davanti al popolo; e mettetegli di fronte due malfattori, i quali depongano contro di lui, dicendo: ‘Tu hai maledetto Iddio e il re’; poi conducetelo fuori dalla città, lapidatelo, e così muoia”. La gente della città di Nabot, gli anziani e i notabili che abitavano nella città, fecero come Izebel aveva ordinato loro, secondo quanto era scritto nelle lettere che lei aveva mandato loro. Bandirono il digiuno, e fecero sedere Nabot davanti al popolo; i due malfattori vennero a mettersi di fronte a lui; e questi malfattori deposero così contro di lui, davanti al popolo: “Nabot ha maledetto Iddio e il re”. Allora lo condussero fuori dalla città, lo lapidarono, ed egli morì. Poi mandarono a dire a Izebel: “Nabot è stato lapidato ed è morto”. Quando Izebel ebbe udito che Nabot era stato lapidato ed era morto, disse ad Acab: “Àlzati, prendi possesso della vigna di Nabot d’Izreel, che egli rifiutò di darti per denaro; perché Nabot non vive più, è morto”. Quando Acab ebbe udito che Nabot era morto, si alzò per scendere alla vigna di Nabot d’Izreel, e prenderne possesso. Allora la parola dell’Eterno fu rivolta a Elia, il Tisbita, in questi termini: “Àlzati, scendi incontro ad Acab, re d’Israele, che sta in Samaria; ecco, egli è nella vigna di Nabot, dove è sceso per prenderne possesso. E gli parlerai in questo modo: ‘Così dice l’Eterno: Dopo aver commesso un omicidio, vieni a prendere possesso!’. E gli dirai: ‘Così dice l’Eterno: Nello stesso luogo dove i cani hanno leccato il sangue di Nabot, i cani leccheranno pure il tuo sangue’”. Acab disse a Elia: “Mi hai trovato, nemico mio?”. Elia rispose: “Sì ti ho trovato, perché ti sei venduto a fare ciò che è male agli occhi dell’Eterno. Ecco, io ti farò venire addosso la sciagura, ti spazzerò via, e sterminerò della casa di Acab ogni maschio, schiavo o libero che sia, in Israele; e ridurrò la tua casa come la casa di Geroboamo, figlio di Nebat, e come la casa di Baasa, figlio di Aiia, perché tu mi hai provocato a ira, e hai fatto peccare Israele. Anche riguardo a Izebel l’Eterno parla e dice: ‘I cani divoreranno Izebel sotto le mura d’Izreel. Quelli di Acab che moriranno in città saranno divorati dai cani, e quelli che moriranno nei campi saranno mangiati dagli uccelli del cielo’”. In verità non c’è mai stato nessuno che, come Acab, si sia venduto a fare ciò che è male agli occhi dell’Eterno, perché era istigato da sua moglie Izebel. E si comportò in modo abominevole, andando dietro agli idoli, come avevano fatto gli Amorei che l’Eterno aveva cacciato davanti ai figli d’Israele. - Quando Acab ebbe udito queste parole, si stracciò le vesti, si coprì il corpo con un sacco, e digiunò; dormiva avvolto nel sacco, e camminava a passo lento. E la parola dell’Eterno fu rivolta a Elia, il Tisbita, in questi termini: “Hai visto come Acab si è umiliato davanti a me? Poiché egli si è umiliato davanti a me, io non farò venire la sciagura mentre egli sarà vivo; ma manderò la sciagura sulla sua casa, durante la vita di suo figlio”. Passarono tre anni senza guerra tra la Siria e Israele. Ma il terzo anno Giosafat, re di Giuda, scese a trovare il re d’Israele. Ora il re d’Israele aveva detto ai suoi servi: “Non sapete voi che Ramot di Galaad è nostra, e noi ce ne stiamo tranquilli senza toglierla dalle mani del re di Siria?”. E disse a Giosafat: “Vuoi venire con me alla guerra contro Ramot di Galaad?”. Giosafat rispose al re d’Israele: “Conta su di me come su te stesso, sulla mia gente come sulla tua, sui miei cavalli come sui tuoi”. E Giosafat disse al re d’Israele: “Ti prego, consulta oggi la parola dell’Eterno”. Allora il re d’Israele radunò i profeti, in numero di circa quattrocento, e disse loro: “Devo andare a fare guerra a Ramot di Galaad, o no?”. Quelli risposero: “Va’, e il Signore la darà nelle mani del re”. Ma Giosafat disse: “Non c’è qui nessun altro profeta dell’Eterno da poter consultare?”. Il re d’Israele rispose a Giosafat: “C’è ancora un uomo per mezzo del quale si potrebbe consultare l’Eterno; ma io lo odio perché non mi predice mai nulla di buono, ma soltanto del male: è Micaia, figlio di Imla”. E Giosafat disse: “Non dica così il re!”. E allora il re d’Israele chiamò un eunuco, e gli disse: “Fa’ venire presto Micaia, figlio di Imla”. Il re d’Israele e Giosafat, re di Giuda, sedevano ciascuno sul suo trono, vestiti dei loro abiti reali, nell’aia che è all’ingresso della porta di Samaria; e tutti i profeti profetizzavano davanti a loro. Sedechia, figlio di Chenaana, si era fatto delle corna di ferro, e disse: “Così dice l’Eterno: ‘Con queste corna colpirai i Siri finché tu non li abbia completamente distrutti’”. E tutti i profeti profetizzavano nello stesso modo, dicendo: “Sali contro Ramot di Galaad, e vincerai; l’Eterno la darà nelle mani del re”. Ora il messaggero che era andato a chiamare Micaia, gli parlò così: “Ecco, i profeti tutti, concordi, predicono del bene al re; ti prego, sia il tuo parlare come il parlare di ognuno di loro, e predici del bene!”. Ma Micaia rispose: “Com’è vero che l’Eterno vive, io dirò quello che mi dirà l’Eterno”. E, quando fu giunto davanti al re, il re gli disse: “Micaia, dobbiamo andare a far guerra a Ramot di Galaad, o no?”. Egli rispose: “Va’ pure, tu vincerai; l’Eterno la darà nelle mani del re”. E il re gli disse: “Quante volte dovrò scongiurarti di non dirmi altro che la verità nel nome dell’Eterno?”. Micaia rispose: “Ho visto tutto Israele disperso su per i monti, come pecore che non hanno pastore; e l’Eterno ha detto: ‘Questa gente non ha padrone; se ne torni ciascuno in pace a casa sua’”. E il re d’Israele disse a Giosafat: “Non te l’ho detto che costui non mi avrebbe predetto nulla di buono, ma soltanto del male?”. Micaia replicò: “Perciò ascolta la parola dell’Eterno. Io ho visto l’Eterno che sedeva sul suo trono, e tutto l’esercito del cielo che gli stava intorno a destra e a sinistra. L’Eterno disse: ‘Chi sedurrà Acab affinché salga a Ramot di Galaad e vi muoia?’. Chi rispose in un modo e chi in un altro. Allora si fece avanti uno spirito, il quale si presentò davanti all’Eterno, e disse: ‘Lo sedurrò io’. L’Eterno gli disse: ‘E come?’. Egli rispose: ‘Io uscirò, e sarò spirito di menzogna in bocca a tutti i suoi profeti’. L’Eterno gli disse: ‘Sì, riuscirai a sedurlo; esci, e fa’ così’. E ora ecco che l’Eterno ha posto uno spirito di menzogna in bocca a tutti questi tuoi profeti; ma l’Eterno ha pronunciato del male contro di te”. Allora Sedechia, figlio di Chenaana, si accostò, diede uno schiaffo a Micaia, e disse: “Per dove è passato lo Spirito dell’Eterno quando è uscito da me per parlare a te?”. Micaia rispose: “Lo vedrai il giorno che andrai di camera in camera per nasconderti!”. Il re d’Israele disse a uno dei suoi servi: “Prendi Micaia, portalo da Ammon, governatore della città, e da Ioas, figlio del re, e di’ loro: ‘Così dice il re: Mettete costui in prigione, nutritelo di pane e acqua di afflizione, finché io ritorni sano e salvo’”. Allora Micaia disse: “Se tu ritorni sano e salvo, non sarà l’Eterno che avrà parlato per bocca mia”. E aggiunse: “Udite questo, o voi popoli tutti!”. Il re d’Israele e Giosafat, re di Giuda, marciarono dunque contro Ramot di Galaad. E il re d’Israele disse a Giosafat: “Io mi travestirò per andare in battaglia; ma tu indossa i tuoi abiti reali”. E il re d’Israele si travestì, e andò in battaglia. Ora il re di Siria aveva dato quest’ordine ai trentadue capitani dei suoi carri: “Non combattete contro nessuno, piccolo o grande, ma soltanto contro il re d’Israele”. Quando i capitani dei carri scorsero Giosafat dissero: “Certo, quello è il re d’Israele”, e si volsero contro di lui per attaccarlo; ma Giosafat lanciò un grido. Allora i capitani si accorsero che non era lui il re d’Israele, e smisero di assalirlo. Ora qualcuno tirò a caso la freccia del suo arco, e ferì il re d’Israele tra la corazza e le falde; allora il re disse al suo cocchiere: “Svolta, portami fuori dal campo, perché sono ferito”. Ma la battaglia fu così cruenta quel giorno, che il re fu trattenuto sul suo carro di fronte ai Siri, e morì verso sera; il sangue della sua ferita era colato nel fondo del carro. E mentre il sole tramontava, un grido corse per tutto l’accampamento: “Ognuno alla sua città! Ognuno al suo paese!”. Così il re morì, fu portato a Samaria, e in Samaria fu sepolto. Quando si lavò il carro presso lo stagno di Samaria - in quell’acqua si lavavano le prostitute - i cani leccarono il sangue di Acab, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato. Il resto delle azioni di Acab, tutto quello che fece, la casa d’avorio che costruì e tutte le città che costruì, tutto questo sta scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Così Acab si addormentò con i suoi padri, e Acazia, suo figlio, regnò al suo posto. Giosafat, figlio di Asa, cominciò a regnare sopra Giuda, il quarto anno di Acab, re d’Israele. Giosafat aveva trentacinque anni quando cominciò a regnare, e regnò venticinque anni a Gerusalemme. Il nome di sua madre era Azuba, figlia di Sili. Egli camminò in tutto per le vie di Asa suo padre, e non se ne allontanò, facendo ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno. Tuttavia gli alti luoghi non scomparvero; il popolo offriva ancora sacrifici e profumi sugli alti luoghi. Giosafat visse in pace con il re d’Israele. Il resto delle azioni di Giosafat, le prodezze che fece e le sue guerre sono scritte nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Egli fece sparire dal paese il resto degli uomini che si prostituivano, che erano rimasti dal tempo di Asa suo padre. A quel tempo non c’era re a Edom, e un governatore fungeva da re. Giosafat costruì delle navi di Tarsis per andare a Ofir in cerca d’oro; ma poi non andò, perché le navi naufragarono a Esion-Gheber. Allora Acazia, figlio d’Acab, disse a Giosafat: “Lascia che i miei servi vadano con i tuoi servi sulle navi!”. Ma Giosafat non volle. E Giosafat si addormentò con i suoi padri, e con essi fu sepolto nella città di Davide, suo padre; e Ieoram, suo figlio, regnò al suo posto. Acazia, figlio di Acab, cominciò a regnare sopra Israele a Samaria il diciassettesimo anno di Giosafat, re di Giuda, e regnò due anni sopra Israele. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, e camminò per la via di suo padre, per la via di sua madre e per la via di Geroboamo, figlio di Nebat, che aveva fatto peccare Israele. E servì Baal, si prostrò davanti a lui, e provocò a sdegno l’Eterno, l’Iddio d’Israele, esattamente come aveva fatto suo padre. Dopo la morte di Acab, Moab si ribellò contro Israele. Acazia cadde dalla ringhiera della sala superiore di un suo appartamento a Samaria, e si ammalò; spedì dei messaggeri, dicendo loro: “Andate a consultare Baal-Zebub, dio di Ecron, per sapere se mi riprenderò da questa malattia”. Ma un angelo dell’Eterno disse a Elia il Tisbita: “Àlzati, sali incontro ai messaggeri del re di Samaria, e di’ loro: ‘È forse perché non c’è Dio in Israele che voi andate a consultare Baal-Zebub, dio di Ecron? Perciò, così dice l’Eterno: Tu non scenderai dal letto sul quale sei salito, ma di certo morirai’”. Ed Elia se ne andò. I messaggeri tornarono da Acazia, il quale disse loro: “Perché siete tornati?”. E quelli risposero: “Un uomo ci è venuto incontro, e ci ha detto: ‘Andate, tornate dal re che vi ha mandati, e ditegli: Così dice l’Eterno: È forse perché non c’è alcun Dio in Israele che tu mandi a consultare Baal-Zebub, dio di Ecron? Perciò, non scenderai dal letto sul quale sei salito, ma per certo morirai’”. E Acazia chiese loro: “Com’era l’uomo che vi è venuto incontro e vi ha detto queste parole?”. Quelli gli risposero: “Era un uomo vestito di pelo, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi”. E Acazia disse: “È Elia il Tisbita!”. Allora mandò un capitano di cinquanta uomini con la sua compagnia a Elia; egli salì e trovò Elia che stava seduto in cima al monte. Il capitano gli disse: “O uomo di Dio, il re dice: ‘Scendi!’”. Elia rispose e disse al capitano dei cinquanta: “Se io sono un uomo di Dio, scenda del fuoco dal cielo, e consumi te e i tuoi cinquanta uomini!”. E dal cielo scese del fuoco che consumò lui e i suoi cinquanta. Acazia mandò di nuovo un altro capitano di cinquanta uomini con la sua compagnia, il quale si rivolse a Elia e gli disse: “O uomo di Dio, il re dice così: ‘Fa’ presto, scendi!’”. Elia rispose e disse loro: “Se io sono un uomo di Dio, scenda del fuoco dal cielo, e consumi te e i tuoi cinquanta uomini”. E dal cielo scese il fuoco di Dio che consumò lui e i suoi cinquanta. Acazia mandò di nuovo un terzo capitano di cinquanta uomini con la sua compagnia. Questo terzo capitano di cinquanta uomini salì da Elia; e, giunto presso di lui, gli si gettò davanti in ginocchio, e lo supplicò, dicendo: “O uomo di Dio, ti prego, la mia vita e la vita di questi cinquanta tuoi servi sia preziosa ai tuoi occhi! Ecco che del fuoco è sceso dal cielo, e ha consumato i due primi capitani di cinquanta uomini con le loro compagnie; ma ora la mia vita sia preziosa ai tuoi occhi”. E l’angelo dell’Eterno disse a Elia: “Scendi con lui; non avere timore di lui”. Elia dunque si alzò, scese con il capitano, andò dal re, e gli disse: “Così dice l’Eterno: ‘Poiché tu hai spedito dei messaggeri a consultare Baal-Zebub, dio di Ecron, come se non ci fosse nessun Dio da poter consultare in Israele, perciò tu non scenderai dal letto sul quale sei salito, ma di certo morirai’”. E Acazia morì, secondo la parola dell’Eterno pronunciata da Elia. Ieoram cominciò a regnare al suo posto, il secondo anno di Ieoram, figlio di Giosafat re di Giuda, perché Acazia non aveva figli. Il resto delle azioni compiute da Acazia sta scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Quando l’Eterno volle rapire in cielo Elia in un turbine, Elia partì da Ghilgal con Eliseo. Ed Elia disse a Eliseo: “Fermati qui, ti prego, poiché l’Eterno mi manda fino a Betel”. Ma Eliseo rispose: “Com’è vero che l’Eterno vive, e che vive l’anima tua, io non ti lascerò”. Così scesero a Betel. I discepoli dei profeti che erano a Betel andarono a trovare Eliseo, e gli dissero: “Tu sai che l’Eterno quest’oggi rapirà in alto il tuo signore?”. Egli rispose: “Sì, lo so; tacete!”. Ed Elia gli disse: “Eliseo, fermati qui, ti prego, poiché l’Eterno mi manda a Gerico”. Egli rispose: “Com’è vero che l’Eterno vive, e che vive l’anima tua, io non ti lascerò”. Così andarono a Gerico. I discepoli dei profeti che erano a Gerico si avvicinarono a Eliseo, e gli dissero: “Tu sai che l’Eterno quest’oggi rapirà in alto il tuo signore?”. Egli rispose: “Sì, lo so; tacete!”. Ed Elia gli disse: “Fermati qui, ti prego, poiché l’Eterno mi manda al Giordano”. Egli rispose: “Com’è vero che l’Eterno vive, e che vive l’anima tua, io non ti lascerò”. E proseguirono il cammino assieme. E cinquanta uomini tra i discepoli dei profeti andarono dietro di loro e si fermarono di fronte al Giordano, da lontano, mentre Elia ed Eliseo si fermarono sulla riva del Giordano. Allora Elia prese il suo mantello, lo rotolò e percosse le acque, le quali si divisero di qua e di là, in modo che passarono entrambi a piedi asciutti. E, quando furono passati, Elia disse a Eliseo: “Chiedi quello che vuoi che io faccia per te, prima che io ti sia tolto”. Eliseo rispose: “Ti prego, mi sia data una parte doppia del tuo spirito!”. Elia disse: “Tu chiedi una cosa difficile; tuttavia, se tu mi vedi quando io sarò rapito, ti sarà dato quello che chiedi; ma se non mi vedi, non ti sarà dato”. Nel mentre continuavano a camminare discorrendo insieme, ecco un carro di fuoco e dei cavalli di fuoco che li separarono l’uno dall’altro, ed Elia salì al cielo in un turbine. Eliseo lo vide e si mise a gridare: “Padre mio, padre mio! Carro d’Israele e sua cavalleria!”. Poi non lo vide più. E, afferrate le proprie vesti, le strappò in due pezzi; e raccolse il mantello che era caduto di dosso a Elia, tornò indietro, e si fermò sulla riva del Giordano. E, preso il mantello che era caduto di dosso a Elia, percosse le acque e disse: “Dov’è l’Eterno, l’Iddio di Elia?”. E quando anche lui ebbe percosso le acque, queste si divisero di qua e di là, ed Eliseo passò. Quando i discepoli dei profeti che stavano a Gerico di fronte al Giordano videro Eliseo, dissero: “Lo spirito di Elia si è posato sopra Eliseo”. E gli andarono incontro, si inchinarono fino a terra davanti a lui, e gli dissero: “Ecco qui fra i tuoi servi cinquanta uomini robusti: lascia che vadano in cerca del tuo signore, se mai lo Spirito dell’Eterno lo avesse preso e gettato su qualche monte o in qualche valle”. Eliseo rispose: “Non li mandate”. Ma insistettero tanto con lui, che egli fu confuso, e disse: “Mandateli”. Allora quelli mandarono cinquanta uomini, che cercarono Elia per tre giorni, e non lo trovarono. Quando tornarono da lui, che si era fermato a Gerico, egli disse loro: “Non vi avevo detto di non andare?”. Gli abitanti della città dissero a Eliseo: “Ecco, il soggiorno in questa città è gradevole, come vede il mio signore; ma le acque sono cattive e il paese è sterile”. Egli disse: “Portatemi una scodella nuova, e mettetevi del sale”. Quelli gliela portarono. Egli andò alla sorgente delle acque, vi gettò il sale, e disse: “Così dice l’Eterno: ‘Io rendo sane queste acque, ed esse non saranno più causa di morte né di sterilità’”. Così le acque furono rese sane e tali sono rimaste fino al giorno d’oggi, secondo la parola che Eliseo aveva pronunciato. Poi di là Eliseo salì a Betel; e, mentre saliva lungo la strada, uscirono dalla città dei ragazzi che lo deridevano, dicendo: “Sali, calvo! Sali, calvo!”: Egli si voltò, li vide, e li maledisse nel nome dell’Eterno; allora due orse uscirono dal bosco e sbranarono quarantadue di quei ragazzi. Di là Eliseo si recò sul monte Carmelo, da dove poi tornò a Samaria. Ieoram, figlio di Acab, cominciò a regnare sopra Israele a Samaria il diciottesimo anno di Giosafat, re di Giuda, e regnò dodici anni. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno; ma non quanto suo padre e sua madre, perché tolse via la statua di Baal, che suo padre aveva fatta. Tuttavia rimase attaccato ai peccati con i quali Geroboamo figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele e non se ne distolse. In quel tempo Mesa, re di Moab, allevava molto bestiame e pagava al re d’Israele un tributo di centomila agnelli e centomila montoni con la loro lana. Ma, dopo la morte di Acab, il re di Moab si ribellò al re d’Israele. Allora il re Ieoram uscì da Samaria e passò in rassegna tutto Israele; poi si mise in marcia, e mandò a dire a Giosafat, re di Giuda: “Il re di Moab si è ribellato contro di me; vuoi venire con me in guerra contro Moab?”. Egli rispose: “Verrò; conta su di me come su te stesso, sul mio popolo come sul tuo, sui miei cavalli come sui tuoi”. E aggiunse: “Per che via saliremo?”. Ieoram rispose: “Per la via del deserto di Edom”. Così il re d’Israele, il re di Giuda e il re di Edom si mossero; e girarono in marcia per sette giorni, ma non c’era l’acqua per l’esercito e per le bestie che lo seguivano. Allora il re d’Israele disse: “Ahimè, l’Eterno ha chiamato insieme questi tre re, per darli nelle mani di Moab!”. Ma Giosafat chiese: “Non c’è qui nessun profeta dell’Eterno mediante il quale possiamo consultare l’Eterno?”. Uno dei servi del re d’Israele rispose: “C’è qui Eliseo, figlio di Safat, il quale versava l’acqua sulle mani d’Elia”. Giosafat disse: “La parola dell’Eterno è con lui”. Così il re d’Israele, Giosafat e il re di Edom andarono a trovarlo. Eliseo disse al re d’Israele: “Che cosa ho a che fare con te? Vattene dai profeti di tuo padre e dai profeti di tua madre!”. Il re d’Israele gli rispose: “No, perché l’Eterno ha chiamato insieme questi tre re per darli nelle mani di Moab”. Allora Eliseo disse: “Com’è vero che vive l’Eterno degli eserciti che io servo, se non avessi rispetto per Giosafat, re di Giuda, io non avrei badato a te né ti avrei degnato di uno sguardo. Ma ora conducetemi qua un suonatore d’arpa”. E, mentre il suonatore arpeggiava, la mano dell’Eterno fu sopra Eliseo, che disse: “Così parla l’Eterno: ‘Scavate in questa valle molte fosse’. Poiché così dice l’Eterno: ‘Voi non vedrete vento, non vedrete pioggia, tuttavia questa valle si riempirà d’acqua e berrete voi, il vostro bestiame e le vostre bestie da soma. E questo è ancora poca cosa agli occhi dell’Eterno; perché egli darà anche Moab nelle vostre mani. Voi distruggerete tutte le città fortificate e tutte le città importanti, abbatterete tutti i buoni alberi, chiuderete tutte le sorgenti d’acqua, e guasterete con delle pietre ogni buon pezzo di terra’”. La mattina dopo, nell’ora in cui si offre l’oblazione, ecco che l’acqua arrivò dal lato di Edom e il paese ne fu ripieno. Tutti i Moabiti, avendo udito che quei re erano saliti per fare loro guerra, avevano radunato tutti quelli che erano in età di portare le armi, e si schierarono sulla frontiera. Appena si alzarono la mattina, il sole splendeva sulle acque, e i Moabiti videro, là di fronte a loro, le acque rosse come sangue; e dissero: “Quello è sangue! Quei re sono di certo venuti alle mani e si sono distrutti fra loro; ora dunque, Moab, alla preda!”. E avanzarono verso l’accampamento d’Israele; ma gli Israeliti si alzarono e sbaragliarono i Moabiti, che fuggirono davanti a loro. Poi penetrarono nel paese, e continuarono a battere Moab. Distrussero le città; ogni buon pezzo di terra lo riempirono di pietre, ciascuno gettandovi la sua; chiusero tutte le sorgenti d’acqua e abbatterono tutti i buoni alberi. Non rimasero che le mura di Chir-Areset, e i tiratori di fionda la circondarono e l’attaccarono. Il re di Moab, vedendo che l’attacco era troppo forte per lui, prese con sé settecento uomini, per aprirsi, a spada tratta, un varco fino al re di Edom; ma non riuscì. Allora prese suo figlio primogenito, che doveva succedergli nel regno, e lo offrì in olocausto sopra le mura. A questa vista, un profondo orrore s’impadronì degli Israeliti, che si allontanarono dal re di Moab e se ne tornarono al loro paese. Una donna, moglie di uno dei discepoli dei profeti, gridò a Eliseo: “Mio marito, tuo servo, è morto; e tu sai che il tuo servo temeva l’Eterno. Il suo creditore è venuto per prendersi come schiavi i miei due figli”. Eliseo le disse: “Che devo fare per te? Dimmi; che cosa hai in casa?”. Lei rispose: “La tua serva non ha nulla in casa, tranne un vasetto d’olio”. Allora lui disse: “Va’ fuori, chiedi in prestito a tutti i tuoi vicini dei vasi vuoti; e non ne chiedere pochi. Poi torna, chiudi la porta dietro di te e ai tuoi figli, e versa dell’olio in tutti quei vasi; man mano che saranno pieni, falli mettere da parte”. La donna si allontanò da lui e si chiuse in casa con i figli; questi le portavano i vasi e lei vi versava l’olio. Quando i vasi furono pieni, disse a suo figlio: “Portami ancora un vaso”. Lui le rispose: “Non ci sono più vasi”. E l’olio si fermò. Allora lei andò e riferì tutto all’uomo di Dio, che le disse: “Va’ a vendere l’olio, e paga il tuo debito; e di quello che resta sostèntati tu e i tuoi figli”. Un giorno Eliseo passava per Sunem, dove c’era una donna ricca che lo trattenne con premura perché mangiasse da lei; e tutte le volte che passava di là, andava a mangiare da lei. Lei disse a suo marito: “Ecco, io sono convinta che quest’uomo che passa sempre da noi, è un santo uomo di Dio. Ti prego, facciamogli costruire, di sopra, una piccola camera in muratura, e mettiamoci per lui un letto, un tavolino, una sedia e un candeliere, affinché, quando verrà da noi, lui vi si possa ritirare”. Così, un giorno che egli giunse a Sunem, si ritirò su in quella camera, e vi dormì. E disse a Gheazi, suo servo: “Chiama questa Sunamita”. Lui la chiamò, e lei si presentò davanti a lui. Eliseo disse a Gheazi: “Ora dille così: ‘Ecco, tu hai avuto per noi tutta questa premura; che cosa si può fare per te? Hai bisogno che si parli per te al re o al capo dell’esercito?’”. Lei rispose: “Io vivo in mezzo al mio popolo”. Ed Eliseo disse: “Che cosa si potrebbe fare per lei?”. Gheazi rispose: “In verità lei non ha figli, e suo marito è vecchio”. Eliseo gli disse: “Chiamala!”. Gheazi la chiamò, e lei si presentò alla porta. Ed Eliseo le disse: “L’anno prossimo, in questo stesso tempo, tu abbraccerai un figlio”. Lei rispose: “No, mio signore, tu che sei un uomo di Dio, non ingannare la tua serva!”. E questa donna concepì e partorì un figlio, in quello stesso tempo, l’anno dopo, come Eliseo le aveva detto. Il bambino si fece grande; e, un giorno che era uscito per andare da suo padre fra i mietitori, disse a suo padre: “Oh! la mia testa! la mia testa!”. Il padre disse al suo servo: “Portalo a sua madre!”. Il servo lo portò via e lo portò a sua madre. Il fanciullo rimase sulle ginocchia di lei fino a mezzogiorno, poi morì. Allora lei salì, lo adagiò sul letto dell’uomo di Dio, chiuse la porta, e uscì. Poi chiamò suo marito e gli disse: “Ti prego, mandami uno dei servi e un’asina, perché voglio correre dall’uomo di Dio, e tornare”. Il marito le chiese: “Perché vuoi andare da lui quest’oggi? Non è il novilunio, e non è sabato”. Lei rispose: “Lascia fare!”. Poi fece sellare l’asina e disse al suo servo: “Guidala, e tira via; non mi fermare per strada, a meno che non te lo dica io”. Lei dunque partì, e giunse dall’uomo di Dio, sul monte Carmelo. E appena l’uomo di Dio la vide da lontano, disse a Gheazi, suo servo: “Ecco la Sunamita che viene! Ti prego, corri a incontrarla, e dille: ‘Stai bene? Sta bene tuo marito? E il bimbo sta bene?’”. Lei rispose: “Stanno bene”. E quando fu giunta dall’uomo di Dio, sul monte, gli abbracciò i piedi. Gheazi si avvicinò per respingerla; ma l’uomo di Dio disse: “Lasciala stare, poiché la sua anima è in amarezza, l’Eterno me lo ha nascosto, e non me lo ha rivelato”. La donna disse: “Avevo forse domandato al mio signore un figlio? Non ti dissi: ‘Non mi ingannare?’”. Allora Eliseo disse a Gheazi: “Cingiti i fianchi, prendi in mano il mio bastone, e parti. Se ti imbatti in qualcuno, non lo salutare; e se qualcuno ti saluta, non gli rispondere; e poserai il mio bastone sulla faccia del ragazzo”. La madre del ragazzo disse a Eliseo: “Com’è vero che l’Eterno vive, e che vive l’anima tua, io non ti lascerò”. Ed Eliseo si alzò e andò con lei. Gheazi, che li aveva preceduti, pose il bastone sulla faccia del fanciullo, ma non ci fu né voce né alcun segno di vita. Tornò quindi incontro a Eliseo e gli riferì la cosa, dicendo: “Il ragazzo non si è svegliato”. E quando Eliseo arrivò in casa, ecco che il fanciullo era morto e adagiato sul suo letto. Egli entrò, si chiuse dentro con il ragazzo, e pregò l’Eterno. Poi salì sul letto e si coricò sul fanciullo: pose la sua bocca sulla bocca di lui, i suoi occhi sugli occhi di lui, le sue mani sulle mani di lui; si distese sopra di lui, e il corpo del ragazzo si riscaldò. Poi Eliseo si allontanò, andò qua e là per la casa; poi risalì e si stese di nuovo sopra il ragazzo; e il ragazzo starnutì sette volte e aprì gli occhi. Allora Eliseo chiamò Gheazi, e gli disse: “Chiama questa Sunamita”. Egli la chiamò e, appena lei fu giunta da Eliseo, questi le disse: “Prendi tuo figlio”. E lei entrò, gli si gettò ai piedi, e si prostrò a terra; poi prese suo figlio, e uscì. Eliseo se ne tornò a Ghilgal, e nel paese c’era carestia. Mentre i discepoli dei profeti stavano seduti davanti a lui, egli disse al suo servo: “Metti la pentola grande al fuoco, e cuoci una minestra per i discepoli dei profeti”. Uno di questi uscì fuori nei campi per cogliere delle erbe; trovò una specie di vite selvatica, ne colse delle coloquintidi, e se ne riempì la veste. Al suo ritorno le tagliò a pezzi nella pentola dove era la minestra; perché non si sapeva che cosa fossero. Poi versarono della minestra a quegli uomini perché mangiassero; ma appena l’ebbero assaggiata, esclamarono: “C’è la morte nella pentola, o uomo di Dio!”. E non ne poterono mangiare. Eliseo disse: “Allora, portatemi della farina!”. La gettò nella pentola, e disse: “Versatene a questa gente perché mangi”. E non c’era più nulla di cattivo nella pentola. Giunse poi un uomo da Baal-Salisa, che portò all’uomo di Dio del pane delle primizie: venti pani d’orzo e del grano nuovo nella sua bisaccia. Eliseo disse al suo servo: “Danne alla gente perché mangi”. Egli rispose: “Come faccio a mettere questo davanti a cento persone?”. Ma Eliseo disse: “Danne alla gente perché mangi; perché così dice l’Eterno: ‘Mangeranno, e ne avanzerà’”. Così egli mise quelle provviste davanti alla gente, che mangiò e ne lasciò di avanzo, secondo la parola dell’Eterno. Naaman, capo dell’esercito del re di Siria, era un uomo tenuto in grande stima e onore presso il suo signore, perché per mezzo di lui l’Eterno aveva reso vittoriosa la Siria; ma quest’uomo forte e valoroso era lebbroso. Alcune bande di Siri, in una delle loro incursioni, avevano portato prigioniera dal paese d’Israele una piccola fanciulla, che era passata al servizio della moglie di Naaman. Lei disse alla sua padrona: “Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che è a Samaria! Lui lo libererebbe dalla sua lebbra!”. Naaman andò dal suo signore, e gli riferì la cosa, dicendo: “Quella fanciulla del paese d’Israele ha detto così e così”. Il re di Siria gli disse: “Ebbene, va’; io manderò una lettera al re d’Israele”. Egli dunque partì, prese con sé dieci talenti d’argento, seimila sicli d’oro e dieci cambi di vestiti. E portò al re d’Israele la lettera, che diceva: “Quando questa lettera ti sarà giunta, saprai che ti mando Naaman mio servo, perché tu lo guarisca dalla sua lebbra”. Quando il re d’Israele lesse la lettera, si stracciò le vesti, e disse: “Sono io forse Dio, con il potere di fare morire e vivere, che costui manda da me un uomo perché io lo guarisca dalla sua lebbra? È cosa certa ed evidente che egli cerca pretesti contro di me”. Quando Eliseo, l’uomo di Dio, ebbe udito che il re si era stracciato le vesti, gli mandò a dire: “Perché ti sei stracciato le vesti? Costui venga pure da me, e vedrà che c’è un profeta in Israele”. Naaman dunque arrivò con i suoi cavalli e i suoi carri, e si fermò alla porta della casa di Eliseo. Eliseo gli inviò un messaggero a dirgli: “Va’, làvati sette volte nel Giordano; la tua carne tornerà sana, e tu sarai puro”. Ma Naaman si adirò e se ne andò, dicendo: “Ecco, io pensavo: Egli uscirà senza dubbio incontro a me, si fermerà là, invocherà il nome dell’Eterno, del suo Dio, agiterà la mano sulla parte malata, e guarirà il lebbroso. I fiumi di Damasco, l’Abana e il Parpar, non sono forse migliori di tutte le acque d’Israele? Non posso lavarmi in quelli ed essere purificato?”. E, voltandosi, se ne andava infuriato. Ma i suoi servi gli si avvicinarono per parlargli, e gli dissero: “Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una cosa difficile, tu non l’avresti fatta? Quanto più ora che ti ha detto: ‘Làvati, e sarai purificato’?”. Allora egli scese e si tuffò sette volte nel Giordano, secondo la parola dell’uomo di Dio; e la sua carne tornò come la carne di un bambino piccolo, e rimase puro. Poi tornò con tutto il suo séguito dall’uomo di Dio, andò a presentarsi davanti a lui, e disse: “Ecco, io adesso riconosco che non c’è alcun Dio in tutta la terra, tranne che in Israele. E ora, ti prego, accetta un regalo dal tuo servo”. Ma Eliseo rispose: “Com’è vero che vive l’Eterno di cui sono servo, io non accetterò nulla”. Naaman insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò. Allora Naaman disse: “Poiché non vuoi, permetti almeno che sia data al tuo servo tanta terra quanta ne portano due muli; perché il tuo servo non offrirà più olocausti e sacrifici ad altri dèi, ma soltanto all’Eterno. Tuttavia, voglia l’Eterno perdonare questa cosa al tuo servo: quando il mio signore entra nella casa di Rimmon per adorare, e si appoggia al mio braccio, anch’io mi prostro nel tempio di Rimmon, voglia l’Eterno perdonare me, tuo servo, quando io mi prostrerò così nel tempio di Rimmon!”. Eliseo gli disse: “Va’ in pace!”. Ed egli si allontanò da lui e fece un buon tratto di strada. Ma Gheazi, servo di Eliseo, uomo di Dio, disse fra sé: “Ecco, il mio signore è stato troppo generoso con Naaman, con questo Siro, non accettando dalla sua mano quello che egli aveva portato; com’è vero che l’Eterno vive, io gli voglio correre dietro, e voglio avere qualcosa da lui”. Così Gheazi corse dietro a Naaman; e quando Naaman vide che gli correva dietro, saltò giù dal carro per andargli incontro, e gli disse: “Va tutto bene?”. Egli rispose: “Tutto bene. Il mio signore mi manda a dirti: ‘Ecco, proprio ora mi sono arrivati dalla regione montuosa di Efraim due giovani dei discepoli dei profeti; ti prego, da’ loro un talento d’argento e due cambi di vestiti’”. Naaman disse: “Ti prego, accetta due talenti!”. E insistette con lui; chiuse due talenti d’argento in due sacchi con due cambi di vestiti, e li caricò addosso a due dei suoi servi, che li portarono davanti a Gheazi. E, quando fu giunto alla collina, prese i sacchi dalle loro mani, li ripose nella casa, e congedò quegli uomini, che se ne andarono. Poi andò a presentarsi davanti al suo signore. Eliseo gli disse: “Da dove vieni, Gheazi?”. Lui rispose: “Il tuo servo non è andato in nessun luogo”. Ma Eliseo gli disse: “Il mio spirito non era là presente, quando quell’uomo si voltò e scese dal suo carro per venirti incontro? È forse questo il momento di prendere denaro, di prendere vestiti, uliveti e vigne, pecore e buoi, servi e serve? La lebbra di Naaman, perciò, si attaccherà a te e alla tua discendenza per sempre”. E Gheazi uscì dalla presenza di Eliseo, tutto lebbroso, bianco come la neve. I discepoli dei profeti dissero a Eliseo: “Ecco, il luogo dove noi ci raduniamo alla tua presenza è troppo stretto per noi. Lasciaci andare fino al Giordano; là ciascuno di noi prenderà una trave, e costruiremo un luogo dove poterci radunare”. Eliseo rispose: “Andate”. Uno di loro disse: “Ti prego, dègnati di venire anche tu con i tuoi servi”. Egli rispose: “Verrò”. Così andò con loro. Quando furono giunti al Giordano, si misero a tagliare legna. Mentre uno di loro abbatteva un tronco, il ferro della scure gli cadde nell’acqua; perciò egli cominciò a gridare: “Ah, mio signore! l’avevo presa in prestito!”. L’uomo di Dio disse: “Dove è caduta?”. E lui gli indicò il luogo. Allora Eliseo tagliò un pezzo di legno, lo gettò in quello stesso luogo, fece venire a galla il ferro, e disse: “Prendilo”. Ed egli stese la mano e lo prese. Mentre il re di Siria faceva guerra contro Israele, in un consiglio che tenne con i suoi servi, disse: “Io porrò il mio accampamento in tale e tal luogo”. E l’uomo di Dio mandò a dire al re d’Israele: “Guardati dal trascurare quel tale luogo, perché vi stanno scendendo i Siri”. Allora il re d’Israele mandò gente verso il luogo che l’uomo di Dio gli aveva detto, e circa il quale lo aveva avvisato; e là si mise in guardia. Il fatto avvenne non una né due, ma più volte. Questa cosa turbò molto il cuore del re di Siria, che chiamò i suoi servi, e disse loro: “Fatemi sapere chi dei nostri è per il re d’Israele?”. Uno dei suoi servi rispose: “Nessuno, o re, mio signore! ma Eliseo, il profeta che è in Israele, fa sapere al re d’Israele perfino le parole che tu dici nella camera dove dormi”. Allora il re disse: “Andate, vedete dove si trova, e io lo manderò a prendere”. Gli fu riferito che era a Dotan. E il re vi mandò cavalli, carri e gran numero di soldati, i quali giunsero di notte e circondarono la città. Il servitore dell’uomo di Dio si alzò di buon mattino e, uscito fuori, ecco che un gran numero di soldati con cavalli e carri accerchiava la città. Il servo disse all’uomo di Dio: “Ah, signore mio, come faremo?”. Egli rispose: “Non temere, perché quelli che sono con noi sono più numerosi di quelli che sono con loro”. Eliseo pregò e disse: “O Eterno, ti prego, apri i suoi occhi, affinché veda!”. E l’Eterno aprì gli occhi del servo, che vide a un tratto il monte pieno di cavalli e di carri di fuoco intorno a Eliseo. E mentre i Siri scendevano verso Eliseo, questi pregò l’Eterno e disse: “Ti prego, acceca questa gente!”. E l’Eterno li accecò, secondo la parola di Eliseo. Allora Eliseo disse loro: “Non è questa la strada, e non è questa la città; seguitemi e io vi condurrò all’uomo che voi cercate”. E li condusse a Samaria. Quando furono entrati in Samaria, Eliseo disse: “O Eterno, apri loro gli occhi, affinché vedano”. L’Eterno aprì loro gli occhi, e a un tratto videro che si trovavano nel mezzo di Samaria. E il re d’Israele, appena li vide, disse a Eliseo: “Padre mio, li devo colpire? li devo colpire?”. Eliseo rispose: “Non li colpire! Colpisci forse quelli che fai prigionieri con la tua spada e con il tuo arco? Metti davanti a loro del pane e dell’acqua, affinché mangino e bevano, e se ne tornino dal loro signore”. Il re d’Israele preparò loro una grande quantità di cibi e, quando ebbero mangiato e bevuto, li congedò, ed essi tornarono dal loro signore; e le bande dei Siri non vennero più a fare incursioni sul territorio d’Israele. Dopo queste cose Ben-Adad, re di Siria, radunò tutto il suo esercito, salì contro Samaria, e la assediò. Ci fu una grande carestia in Samaria; i Siri l’assediarono tanto che una testa di asino si vendeva a ottanta sicli d’argento, e il quarto di un cab di sterco di colombi, a cinque sicli d’argento. Mentre il re d’Israele passava sulle mura, una donna gli gridò: “Aiutami, o re, mio signore!”. Il re le disse: “Se non ti aiuta l’Eterno, come posso aiutarti io? Con quello che dà l’aia o con quello che dà il torchio?”. Poi il re aggiunse: “Che hai?”. Lei rispose: “Questa donna mi disse: ‘Dammi tuo figlio, che lo mangiamo oggi; domani mangeremo il mio’. Così abbiamo cotto mio figlio, e lo abbiamo mangiato. Il giorno seguente io le dissi: ‘Dammi tuo figlio, che lo mangiamo’. Ma lei ha nascosto suo figlio”. Quando il re ebbe udito le parole della donna, si stracciò le vesti e, mentre passava sulle mura, il popolo vide che sotto, sulla carne, portava un cilicio. Il re disse: “Mi tratti Iddio con tutto il suo rigore, se oggi la testa di Eliseo, figlio di Safat, rimane ancora sulle sue spalle!”. Ora Eliseo se ne stava seduto in casa sua, e con lui stavano seduti gli anziani. Il re mandò avanti un uomo; ma prima che questo messaggero arrivasse, Eliseo disse agli anziani: “Lo vedete voi che questo figlio di un assassino manda qualcuno a tagliarmi la testa? Badate bene; quando arriva il messaggero, chiudete la porta, e tenetegliela ben chiusa in faccia. Non si sente già dietro di lui il rumore dei passi del suo signore?”. Egli parlava ancora con loro, quando ecco scendere verso di lui il messaggero. E il re disse: “Ecco, questo male viene dall’Eterno; che ho più da sperare dall’Eterno?”. Allora Eliseo disse: “Ascoltate la parola dell’Eterno! Così dice l’Eterno: ‘Domani, a quest’ora, alla porta di Samaria, la misura di fior di farina si avrà per un siclo, e due misure d’orzo si avranno per un siclo’”. Ma il capitano sul cui braccio il re si appoggiava, rispose all’uomo di Dio: “Ecco, anche se l’Eterno facesse delle finestre in cielo, potrebbe mai avvenire una cosa simile?”. Eliseo rispose: “Ebbene, lo vedrai con i tuoi occhi, ma non ne mangerai”. C’erano quattro lebbrosi presso l’entrata della porta, i quali dissero tra di loro: “Perché vogliamo restare qui finché moriamo? Se diciamo: ‘Entriamo in città’, in città c’è la fame, e moriremo; se restiamo qui, moriremo lo stesso. Ora dunque venite, andiamo a presentarci nell’accampamento dei Siri; se ci lasciano vivere, vivremo; se ci danno la morte, moriremo”. Al crepuscolo si alzarono per andare all’accampamento dei Siri; e quando furono giunti all’estremità dell’accampamento dei Siri, ecco che non c’era nessuno. Il Signore aveva fatto udire nell’accampamento dei Siri un rumore di carri, un rumore di cavalli, un rumore di grande esercito, tanto che i Siri dissero fra loro: “Il re d’Israele ha assoldato contro di noi i re degli Ittiti e i re degli Egiziani per assalirci”. Alzatisi all’imbrunire, erano fuggiti abbandonando le loro tende, i loro cavalli, i loro asini, e l’accampamento così com’era; erano fuggiti per salvarsi la vita. Quei lebbrosi, giunti all’estremità dell’accampamento, entrarono in una tenda, mangiarono, bevvero, e portarono via argento, oro, vestiti, e andarono a nascondere ogni cosa. Poi tornarono, entrarono in un’altra tenda, e anche di là portarono via roba, che andarono a nascondere. Ma poi dissero fra loro: “Noi non facciamo bene; questo è giorno di buone notizie, e noi stiamo zitti! Se aspettiamo finché si faccia giorno, saremo considerati colpevoli. Ora dunque venite, andiamo a informare la casa del re”. Così partirono, chiamarono i guardiani della porta della città, e li informarono della cosa, dicendo: “Siamo andati all’accampamento dei Siri, ed ecco che non c’è nessuno, e non si ode voce d’uomo; non ci sono che i cavalli attaccati, gli asini attaccati e le tende intatte”. Allora i guardiani chiamarono, e fecero sapere la cosa alla gente dentro il palazzo reale. Il re si alzò nella notte, e disse ai suoi servitori: “Vi voglio dire io quello che ci hanno fatto i Siri. Sanno che soffriamo la fame; quindi sono usciti dall’accampamento per nascondersi nella campagna, dicendo: ‘Appena usciranno dalla città li prenderemo vivi, ed entreremo nella città’”. Uno dei suoi servi gli rispose: “Ti prego, si prendano cinque dei cavalli che rimangono ancora nella città; guardate, sono come tutta la moltitudine d’Israele che è rimasta; sono come tutta la moltitudine d’Israele che va in deperimento, e mandiamo a vedere di che si tratta”. Presero dunque due carri con i loro cavalli, e il re mandò degli uomini sulle tracce dell’esercito dei Siri, dicendo: “Andate e vedete”. E quelli andarono sulle tracce dei Siri, fino al Giordano; ed ecco, tutta la strada era piena di vestiti e di oggetti che i Siri avevano gettato via nella loro fuga precipitosa. E i messaggeri tornarono e riferirono tutto al re. Allora il popolo uscì fuori, e saccheggiò l’accampamento dei Siri; e una misura di fior di farina si ebbe per un siclo, e due misure d’orzo per un siclo secondo la parola dell’Eterno. Il re aveva affidato la guardia della porta al capitano sul cui braccio si appoggiava; ma questo capitano fu calpestato dalla folla presso la porta e morì, come aveva detto l’uomo di Dio, quando aveva parlato al re che era sceso a trovarlo. Infatti, quando l’uomo di Dio aveva parlato al re dicendo: “Domani, a quest’ora, alla porta di Samaria, due misure d’orzo si avranno per un siclo e una misura di fior di farina per un siclo”, quel capitano aveva risposto all’uomo di Dio e gli aveva detto: “Ecco, anche se l’Eterno facesse delle finestre in cielo, potrebbe mai avvenire una cosa simile?”. Ed Eliseo gli aveva detto: “Ebbene, lo vedrai con i tuoi occhi, ma non ne mangerai”. E così gli avvenne: fu calpestato dalla folla presso la porta, e morì. Eliseo aveva detto alla donna di cui aveva risuscitato il figlio: “Àlzati; va’, tu con la tua famiglia, a soggiornare all’estero, dovunque potrai; perché l’Eterno ha chiamato la carestia, e infatti essa verrà nel paese per sette anni”. La donna si alzò, e fece come le aveva detto l’uomo di Dio; se ne andò con la sua famiglia, e soggiornò per sette anni nel paese dei Filistei. Passati i sette anni, quella donna tornò dal paese dei Filistei, e andò dal re a reclamare la sua casa e le sue terre. Il re discorreva con Gheazi, servo dell’uomo di Dio, e gli diceva: “Ti prego, raccontami tutte le cose grandi che ha fatto Eliseo”. E mentre appunto Gheazi raccontava al re come Eliseo aveva risuscitato il morto, ecco che la donna, di cui era stato risuscitato il figlio, venne dal re a reclamare la sua casa e le sue terre. E Gheazi disse: “O re, mio signore, questa è quella donna, e questo è suo figlio, che Eliseo ha risuscitato”. Il re interrogò la donna, che gli raccontò tutto; e il re le mise a disposizione un funzionario al quale disse: “Falle restituire tutto quello che è suo, e tutte le rendite delle terre, dal giorno in cui lei lasciò il paese, fino ad ora”. Eliseo si recò a Damasco; Ben-Adad, re di Siria, era ammalato, e gli fu riferito che l’uomo di Dio era giunto là. Allora il re disse ad Azael: “Prendi con te un regalo, va’ incontro all’uomo di Dio, e consulta per mezzo di lui l’Eterno, per sapere se io guarirò da questa malattia”. Azael dunque andò incontro a Eliseo, portando con sé in dono tutto quello che c’era di meglio in Damasco: un carico di quaranta cammelli. Appena fu giunto, si presentò a Eliseo, e gli disse: “Tuo figlio Ben-Adad, re di Siria, mi ha mandato da te per dirti: ‘Guarirò da questa malattia?’”. Eliseo gli rispose: “Va’ a dirgli: ‘Guarirai di certo’. Ma l’Eterno mi ha fatto vedere che certamente morirà”. L’uomo di Dio posò lo sguardo sopra Azael, e lo fissò così a lungo da farlo arrossire, poi si mise a piangere. Azael disse: “Perché piange il mio signore?”. Eliseo rispose: “Perché so il male che farai ai figli d’Israele; tu darai alle fiamme le loro fortezze, ucciderai la loro gioventù con la spada, schiaccerai i loro bambini, e sventrerai le loro donne incinte”. Azael disse: “Ma che cosa è mai il tuo servo, questo cane, per fare delle cose così grandi?”. Eliseo rispose: “L’Eterno mi ha fatto vedere che tu sarai re di Siria”. Azael si allontanò da Eliseo e tornò dal suo signore, che gli chiese: “Che ti ha detto Eliseo?”. Egli rispose: “Mi ha detto che guarirai certamente”. Il giorno dopo, Azael prese una coperta, la immerse nell’acqua, e la stese sulla faccia di Ben-Adad, che morì. E Azael regnò al posto suo. Il quinto anno di Ioram, figlio di Acab, re d’Israele, Ieoram, figlio di Giosafat re di Giuda, cominciò a regnare su Giuda. Aveva trentadue anni quando cominciò a regnare, e regnò otto anni a Gerusalemme. Camminò per la strada dei re d’Israele, come aveva fatto la casa di Acab, poiché aveva come moglie una figlia di Acab: fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno. Tuttavia l’Eterno non volle distruggere Giuda, per amore di Davide suo servo, conformemente alla promessa che gli fece di lasciare sempre una lampada a lui e ai suoi figli. Ai suoi tempi Edom si ribellò, sottraendosi al giogo di Giuda, e si diede un re. Allora Ioram passò a Sair con tutti i suoi carri; una notte si alzò, e sconfisse gli Edomiti che lo avevano accerchiato e i capitani dei carri; mentre la gente di Ioram poté fuggire alle proprie case. Così Edom si è ribellato e si è sottratto al giogo di Giuda fino al giorno d’oggi. In quello stesso tempo, anche Libna si ribellò. Il resto delle azioni di Ioram e tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Ioram si addormentò con i suoi padri, e con i suoi padri fu sepolto nella città di Davide. E Acazia, suo figlio, regnò al suo posto. Il dodicesimo anno di Ioram, figlio di Acab, re d’Israele, Acazia, figlio di Ieoram re di Giuda, cominciò a regnare. Aveva ventidue anni quando cominciò a regnare, e regnò un anno in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Atalia, nipote di Omri, re d’Israele. Egli camminò per la strada della casa di Acab, e fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, come la casa di Acab, perché era imparentato con la casa di Acab. Egli andò con Ioram, figlio di Acab, a combattere contro Azael, re di Siria, a Ramot di Galaad; e i Siri ferirono Ioram, e il re Ioram tornò a Izreel per farsi curare le ferite che aveva ricevuto dai Siri a Rama, quando combatteva contro Azael, re di Siria. Acazia, figlio di Ieoram re di Giuda, scese a Izreel a vedere Ioram, figlio di Acab, perché questi era ammalato. Allora il profeta Eliseo chiamò uno dei discepoli dei profeti, e gli disse: “Cingiti i fianchi, prendi con te questo vasetto d’olio, e va’ a Ramot di Galaad. Quando sarai arrivato, cerca di vedere Ieu, figlio di Ieosafat, figlio di Nimsi; entra, fallo alzare in mezzo ai suoi fratelli, e conducilo in una camera appartata. Poi prendi il vasetto d’olio, versaglielo sul capo, e digli: ‘Così dice l’Eterno: Io ti ungo re d’Israele’. Poi apri la porta e fuggi senza indugiare”. Così quel giovane, il servo del profeta, partì per Ramot di Galaad. E, quando fu giunto, ecco che i capitani dell’esercito stavano seduti assieme; e disse: “Capitano, ho una parola da dirti”. Ieu chiese: “A chi di tutti noi?”. Egli rispose: “A te, capitano”. Ieu si alzò, ed entrò in casa; e il giovane gli versò l’olio sul capo, dicendogli: “Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Io ti ungo re del popolo dell’Eterno, re d’Israele. Tu colpirai la casa di Acab, tuo signore, e io farò vendetta del sangue dei profeti miei servi, e del sangue di tutti i servi dell’Eterno, sopra Izebel; e tutta la casa di Acab perirà, e io sterminerò dalla casa di Acab fino all’ultimo uomo, tanto chi è schiavo quanto chi è libero in Israele. Ridurrò la casa di Acab come la casa di Geroboamo, figlio di Nebat, e come la casa di Baasa, figlio di Aiia. E i cani divoreranno Izebel nel campo d’Izreel, e non ci sarà chi le dia sepoltura’”. Poi il giovane aprì la porta, e fuggì. Quando Ieu uscì per raggiungere i servi del suo signore, gli dissero: “Va tutto bene? Perché quel pazzo è venuto da te?”. Egli rispose loro: “Voi conoscete l’uomo e i suoi discorsi!”. Ma quelli dissero: “Non è vero! Su, diccelo!”. Ieu rispose: “Egli mi ha parlato così e così, e mi ha detto: ‘Così dice l’Eterno: Io ti ungo re d’Israele’”. Allora ognuno di loro si affrettò a togliersi il proprio mantello, e a stenderlo sotto Ieu su per i nudi gradini; poi suonarono la tromba, e dissero: “Ieu è re!”. E Ieu, figlio di Ieosafat, figlio di Nimsi, ordì una congiura contro Ioram. - Ioram, con tutto Israele, stava difendendo Ramot di Galaad contro Azael, re di Siria, ma il re Ioram era tornato a Izreel per farsi curare le ferite che aveva ricevuto dai Siri, combattendo contro Azael, re di Siria. - E Ieu disse: “Se siete d’accordo, nessuno esca e fugga dalla città per andare a portare la notizia a Izreel”. Poi Ieu montò sopra un carro e partì per Izreel, perché Ioram si trovava là, a letto; e Acazia, re di Giuda, era sceso per visitare Ioram. La sentinella che stava sulla torre di Izreel, scorse la schiera numerosa di Ieu che arrivava, e disse: “Vedo una schiera numerosa!”. Ioram disse: “Prendi un cavaliere, e mandalo incontro a loro a dire: ‘Portate pace?’”. Un uomo a cavallo andò dunque incontro a Ieu, e gli disse: “Così dice il re: ‘Portate pace?’”. Ieu rispose: “Che importa a te della pace? Passa dietro a me”. E la sentinella fece il suo rapporto, dicendo: “Il messaggero è giunto fino a loro, ma non torna indietro”. Allora Ioram mandò un secondo cavaliere che, giunto da loro, disse: “Così dice il re: ‘Portate pace?’”. Ieu rispose: “Che importa a te della pace? Passa dietro a me”. E la sentinella fece il suo rapporto, dicendo: “Il messaggero è giunto fino a loro, e non torna indietro. A vederlo guidare, si direbbe che è Ieu, figlio di Nimsi; perché guida come un pazzo”. Allora Ioram disse: “Allestite il carro!”. E gli allestirono il carro. E Ioram, re d’Israele, e Acazia, re di Giuda, uscirono ciascuno sul suo carro per andare incontro a Ieu, e lo trovarono nel campo di Nabot d’Izreel. E quando Ioram vide Ieu, gli disse: “Ieu, porti pace?”. Ieu rispose: “Che pace ci può essere finché durano le prostituzioni di Izebel, tua madre, e le sue tante stregonerie?”. Allora Ioram voltò indietro e si diede alla fuga, dicendo ad Acazia: “Siamo traditi, Acazia!”. Ma Ieu impugnò l’arco e colpì Ioram fra le spalle, in modo che la freccia gli uscì per il cuore, ed egli stramazzò nel suo carro. Poi Ieu disse a Bidcar, suo aiutante: “Prendilo, e buttalo nel campo di Nabot d’Izreel; poiché, ricorda, quando io e te cavalcavamo insieme al seguito di Acab, suo padre, l’Eterno pronunciò contro di lui questa sentenza: ‘Com’è vero che ieri vidi il sangue di Nabot e il sangue dei suoi figli’, dice l’Eterno, ‘io ti renderò il contraccambio qui in questo campo, dice l’Eterno!’. Prendilo dunque e buttalo in questo campo, secondo la parola dell’Eterno”. Visto ciò, Acazia, re di Giuda, fuggì per la strada della casa del giardino; ma Ieu lo seguì, e disse: “Tirate anche a lui sul carro!”. E lo colpirono alla salita di Gur, che è vicino a Ibleam. E Acazia fuggì a Meghiddo, e là morì. I suoi servi lo trasportarono sopra un carro a Gerusalemme, e lo seppellirono nel suo sepolcro, con i suoi padri, nella città di Davide. - Acazia aveva cominciato a regnare sopra Giuda l’undicesimo anno di Ioram, figlio di Acab. Poi Ieu giunse a Izreel. Izebel, che lo seppe, si truccò gli occhi, si acconciò il capo, e si mise alla finestra a guardare. Mentre Ieu entrava per la porta della città, lei gli disse: “Porti pace, nuovo Zimri, assassino del tuo signore?”. Ieu alzò gli occhi verso la finestra, e disse: “Chi è per me? chi?”. E due o tre eunuchi si affacciarono, volsero lo sguardo verso di lui. Egli disse: “Buttatela giù!”. Loro la buttarono; e il suo sangue schizzò contro il muro e contro i cavalli. Ieu le passò sopra, calpestandola; poi entrò, mangiò e bevve, quindi disse: “Andate a vedere quella maledetta donna e sotterratela, poiché è figlia di re”. Andarono dunque per sotterrarla, ma non trovarono di lei altro che il cranio, i piedi e le palme delle mani. E tornarono a riferire la cosa a Ieu, il quale disse: “Questa è la parola dell’Eterno pronunciata per mezzo del suo servo Elia il Tisbita, quando disse: ‘I cani divoreranno la carne di Izebel nel campo d’Izreel; e il cadavere di Izebel sarà, nel campo d’Izreel, come letame sulla superficie del suolo, in modo che non si potrà dire: Questa è Izebel’”. A Samaria c’erano settanta figli di Acab. Ieu scrisse delle lettere e le mandò a Samaria ai capi della città, agli anziani, e ai tutori dei figli di Acab; in esse diceva: “Appena avrete ricevuto questa lettera, poiché avete con voi i figli del vostro signore e avete a vostra disposizione carri e cavalli, oltre a una città fortificata e delle armi, scegliete il migliore e il più adatto tra i figli del vostro signore, mettetelo sul trono di suo padre, e combattete per la casa del vostro signore”. Ma quelli ebbero grande paura, e dissero: “Ecco, due re non gli hanno potuto resistere; come potremo resistergli noi?”. E il prefetto del palazzo, il governatore della città, gli anziani e i tutori dei figli di Acab mandarono a dire a Ieu: “Noi siamo tuoi servi, e faremo tutto quello che ci ordinerai; non eleggeremo nessuno come re; fai quello che ti piace”. Allora Ieu scrisse loro una seconda lettera, nella quale diceva: “Se voi siete per me e volete ubbidire alla mia voce, prendete le teste di quegli uomini, dei figli del vostro signore, e venite da me, domani a quest’ora, a Izreel”. Ora i figli del re, che erano settanta, stavano dai notabili della città, che li educavano. - E appena questi ebbero ricevuto la lettera, presero i figli del re, li sgozzarono tutti e settanta; poi misero le loro teste dentro delle ceste, e le mandarono a Ieu a Izreel. Un messaggero andò da Ieu a recargli la notizia, dicendo: “Hanno portato le teste dei figli del re”. Ieu rispose: “Mettetele in due mucchi all’entrata della porta, fino a domattina”. La mattina dopo, egli uscì fuori, si fermò e disse a tutto il popolo: “Voi siete giusti; ecco, io ho congiurato contro il mio signore, e l’ho ucciso; ma chi ha ucciso tutti questi? Riconoscete dunque che non cade a terra neppure una parola di quelle che l’Eterno ha pronunciato contro la casa di Acab; l’Eterno ha fatto quello che predisse per mezzo del suo servo Elia”. Ieu fece morire tutti quelli che erano rimasti della casa di Acab a Izreel, tutti i suoi grandi, i suoi amici e i suoi consiglieri, senza che ne scampasse uno. Poi si alzò, e partì per andare a Samaria. Strada facendo, giunto alla casa di ritrovo dei pastori, Ieu si imbatté nei fratelli di Acazia, re di Giuda, e disse: “Chi siete voi?”. Quelli risposero: “Siamo i fratelli di Acazia, e scendiamo a salutare i figli del re e i figli della regina”. Ieu disse ai suoi: “Prendeteli vivi!”, e quelli li presero vivi e li sgozzarono presso la cisterna della casa di ritrovo. Erano quarantadue, e non ne scampò uno. Partito di là, trovò Ionadab, figlio di Recab, che gli veniva incontro; lo salutò, e gli disse: “Il tuo cuore è retto verso il mio, come il mio verso il tuo?”. Ionadab rispose: “Lo è”. “Se è così”, disse Ieu, “dammi la mano”. Ionadab gli diede la mano; Ieu lo fece salire vicino a sé sul carro, e gli disse: “Vieni con me, e vedrai il mio zelo per l’Eterno!”. E lo portò via nel suo carro. E, giunto a Samaria, Ieu colpì tutti quelli che rimanevano della casa di Acab a Samaria, finché l’ebbe distrutta, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato per mezzo di Elia. Poi Ieu radunò tutto il popolo, e gli parlò così: “Acab ha servito un poco Baal; Ieu lo servirà molto. Convocate presso di me tutti i profeti di Baal, tutti i suoi servi, tutti i suoi sacerdoti; che non ne manchi uno! poiché voglio fare un gran sacrificio a Baal; chi mancherà non vivrà”. Ma Ieu faceva questo con astuzia, per distruggere gli adoratori di Baal. - E disse: “Bandite una festa solenne in onore di Baal!”. E la festa fu bandita. Ieu inviò dei messaggeri per tutto Israele; e tutti gli adoratori di Baal arrivarono, e non ci fu neppure uno che mancasse; entrarono nel tempio di Baal, e il tempio di Baal fu pieno da un capo all’altro. Ieu disse a colui che aveva in custodia il vestiario: “Metti fuori le vesti per tutti gli adoratori di Baal”. Ed egli mise fuori le vesti. Allora Ieu, con Ionadab, figlio di Recab, entrò nel tempio di Baal, e disse agli adoratori di Baal: “Cercate bene, e guardate che non ci sia qui con voi nessun servo dell’Eterno, ma ci siano soltanto gli adoratori di Baal”. Quelli entrarono per offrire dei sacrifici e degli olocausti. Ora Ieu aveva appostato fuori del tempio ottanta uomini, ai quali aveva detto: “Colui che lascerà fuggire qualcuno degli uomini che io metto in vostro potere, pagherà con la sua vita la vita di quello”. E, quando terminò l’offerta dell’olocausto, Ieu disse ai soldati e ai capitani: “Entrate, uccideteli, e che non ne esca neppure uno!”. Ed essi li passarono a fil di spada; poi, soldati e capitani ne buttarono là i cadaveri, e penetrarono nell’edificio del tempio di Baal; portarono fuori le statue del tempio di Baal e le bruciarono; fecero a pezzi la statua di Baal, demolirono il tempio di Baal, e lo ridussero in un immondezzaio che esiste anche oggi. Così Ieu estirpò Baal da Israele; tuttavia egli non si allontanò dai peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele; cioè non abbandonò i vitelli d’oro che erano a Betel e a Dan. E l’Eterno disse a Ieu: “Poiché tu hai eseguito puntualmente ciò che è giusto ai miei occhi, e hai fatto alla casa di Acab tutto quello che avevo in cuore, i tuoi figli sederanno sul trono d’Israele fino alla quarta generazione”. Ma Ieu non si preoccupò di seguire con tutto il cuore la legge dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele; non si allontanò dai peccati con i quali Geroboamo aveva fatto peccare Israele. In quel tempo, l’Eterno cominciò a diminuire il territorio d’Israele; Azael, infatti, sconfisse gli Israeliti su tutta la loro frontiera: dal Giordano, verso oriente, soggiogò tutto il paese di Galaad, i Gaditi, i Rubeniti e i Manassiti, fino ad Aroer che è presso la valle dell’Arnon, vale a dire tutto il paese di Galaad e di Basan. Il resto delle azioni di Ieu, tutto quello che fece e tutte le sue prodezze, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Ieu si addormentò con i suoi padri, e lo seppellirono a Samaria, e Ioacaz, suo figlio, regnò al suo posto. Il tempo che Ieu regnò sopra Israele a Samaria fu di ventotto anni. Quando Atalia, madre di Acazia, vide che suo figlio era morto, sterminò tutta la stirpe reale. Ma Ioseba, figlia del re Ioram, sorella di Acazia, prese Ioas, figlio di Acazia, lo sottrasse dai figli del re che erano messi a morte, e lo pose con la sua balia nella camera dei letti; così fu nascosto dalle ricerche di Atalia e non fu messo a morte. E rimase nascosto con Ioseba per sei anni nella casa dell’Eterno; intanto Atalia regnava sul paese. Il settimo anno, Ieoiada mandò a chiamare i capi di centinaia delle guardie del corpo e dei soldati, e li fece venire presso di sé nella casa dell’Eterno; stabilì un patto con loro, fece prestare loro giuramento nella casa dell’Eterno, e gli mostrò il figlio del re. Poi diede loro i suoi ordini, dicendo: “Ecco quello che voi farete: un terzo di quelli tra voi che entrano in servizio il giorno di sabato, starà di guardia alla casa del re; un altro terzo starà alla porta di Sur, e un altro terzo starà alla porta che è dietro alla caserma dei soldati. E farete la guardia alla casa, impedendo a tutti l’ingresso. E le altre due parti di voi, tutti quelli cioè che smontano dal servizio il giorno di sabato, staranno di guardia alla casa dell’Eterno, intorno al re. E circonderete bene il re, ognuno con le armi alla mano; e chiunque cercherà di penetrare nelle vostre file, sia messo a morte; e voi starete con il re, quando uscirà e quando entrerà”. I capi di centinaia eseguirono tutti gli ordini dati dal sacerdote Ieoiada; ognuno di loro prese i suoi uomini: quelli che entravano in servizio il giorno di sabato, e quelli che smontavano dal servizio il giorno di sabato; e si recarono dal sacerdote Ieoiada. E il sacerdote diede ai capi di centinaia le lance e gli scudi che erano appartenuti al re Davide, e che erano nella casa dell’Eterno. I soldati, con le armi in pugno, presero posto dall’angolo meridionale della casa fino all’angolo settentrionale della casa, fra l’altare e l’edificio, in modo da proteggere il re da tutte le parti. Allora il sacerdote condusse fuori il figlio del re, gli pose in testa il diadema e gli consegnò la legge. E lo proclamarono re, lo unsero, e, battendo le mani, esclamarono: “Viva il re!”. Atalia udì il rumore dei soldati e del popolo, e andò verso il popolo nella casa dell’Eterno. Guardò, ed ecco che il re stava in piedi sul palco, secondo l’uso; i capitani e i trombettieri erano accanto al re; tutto il popolo del paese era in festa, e suonava le trombe. Allora Atalia si stracciò le vesti, e gridò: “Congiura! Congiura!”. Ma il sacerdote Ieoiada diede i suoi ordini ai capi di centinaia che comandavano l’esercito, e disse loro: “Fatela uscire dalle file; e chiunque la seguirà sia ucciso con la spada!”. Poiché il sacerdote aveva detto: “Non sia uccisa nella casa dell’Eterno”. Così quelli le fecero largo, e lei giunse alla casa del re per la strada della porta dei cavalli; e là fu uccisa. Ieoiada stabilì il patto tra l’Eterno, il re e il popolo, per il quale Israele doveva essere il popolo dell’Eterno; e stabilì anche il patto fra il re e il popolo. Tutto il popolo del paese entrò nel tempio di Baal, e lo demolì; fece interamente a pezzi i suoi altari e le sue immagini, e uccise davanti agli altari Mattan, sacerdote di Baal. Poi il sacerdote Ieoiada mise delle guardie alla casa dell’Eterno; prese i capi di centinaia, le guardie del corpo, i soldati e tutto il popolo del paese, fecero scendere il re dalla casa dell’Eterno, e giunsero alla casa del re per la strada della porta dei soldati. E Ioas si sedette sul trono dei re. Tutto il popolo del paese fu in festa, e la città rimase tranquilla, quando Atalia fu uccisa con la spada, nella casa del re. Ioas aveva sette anni quando cominciò a regnare. Il settimo anno di Ieu, Ioas cominciò a regnare, e regnò quarant’anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Sibia di Beer-Sceba. Ioas fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno per tutto il tempo in cui fu consigliato dal sacerdote Ieoiada. Tuttavia, gli alti luoghi non scomparvero; il popolo continuava a offrire sacrifici e profumi sugli alti luoghi. Ioas disse ai sacerdoti: “Tutto il denaro consacrato che sarà portato alla casa dell’Eterno, vale a dire il denaro versato da ogni Israelita censito, il denaro che paga per il suo riscatto personale secondo la stima fatta dal sacerdote, tutto il denaro che qualunque persona senta in cuore di portare alla casa dell’Eterno, i sacerdoti lo ricevano, ognuno dalle mani dei suoi conoscenti, e se ne servano per fare i restauri alla casa, dovunque si troverà qualcosa da restaurare”. Ma fino al ventitreesimo anno del re Ioas i sacerdoti non avevano ancora eseguito i restauri alla casa. Allora il re Ioas chiamò il sacerdote Ieoiada e gli altri sacerdoti, e disse loro: “Perché non restaurate quello che c’è da restaurare nella casa? Da ora in poi dunque non ricevete più denaro dalle mani dei vostri conoscenti, ma lasciatelo per i restauri della casa”. I sacerdoti acconsentirono a non ricevere più denaro dalle mani del popolo, e a non avere più l’incarico dei restauri della casa. E il sacerdote Ieoiada prese una cassa, vi fece un buco nel coperchio, e la collocò vicino all’altare, a destra, entrando nella casa dell’Eterno; e i sacerdoti che custodivano l’ingresso vi mettevano tutto il denaro che era portato alla casa dell’Eterno. E quando vedevano che c’era molto denaro nella cassa, il segretario del re e il sommo sacerdote salivano a chiudere in borse e contare il denaro che si trovava nella casa dell’Eterno. Poi rimettevano il denaro così pesato nelle mani dei direttori preposti ai lavori della casa dell’Eterno, i quali pagavano i falegnami e i costruttori che lavoravano alla casa dell’Eterno, i muratori e i tagliapietre; compravano il legname e le pietre da tagliare che occorrevano per restaurare la casa dell’Eterno, e provvedevano a tutte le spese relative ai restauri della casa. Ma con il denaro che era portato alla casa dell’Eterno non si fecero, per la casa dell’Eterno, né coppe d’argento, né smoccolatoi, né bacinelle, né trombe, né alcun altro utensile d’oro o d’argento; il denaro si dava a quelli che facevano l’opera, e loro lo impiegavano per restaurare la casa dell’Eterno. E non si chiedeva alcun resoconto a quelli nelle cui mani si metteva il denaro per pagare chi eseguiva il lavoro; perché agivano con fedeltà. Il denaro dei sacrifici per la colpa e quello dei sacrifici per il peccato non si portava nella casa dell’Eterno; era per i sacerdoti. In quel tempo Azael, re di Siria, salì a combattere contro Gat, e la conquistò; poi si dispose a salire contro Gerusalemme. Allora Ioas, re di Giuda, prese tutte le cose sacre che i suoi padri Giosafat, Ieoram e Acazia, re di Giuda, avevano consacrato, quelle che aveva consacrato egli stesso, e tutto l’oro che si trovava nei tesori della casa dell’Eterno e della casa del re, e mandò ogni cosa ad Azael, re di Siria, il quale si ritirò da Gerusalemme. Il resto delle azioni di Ioas e tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. I servi di Ioas si sollevarono, ordirono una congiura, e lo colpirono nella casa di Millo, sulla discesa di Silla. Iozacar, figlio di Simeat, e Iozabad, figlio di Somer, suoi servi, lo colpirono, ed egli morì e fu sepolto con i suoi padri nella città di Davide; e Amasia, suo figlio, regnò al suo posto. Nel ventitreesimo anno di Ioas, figlio di Acazia, re di Giuda, Ioacaz, figlio di Ieu, cominciò a regnare sopra Israele a Samaria; regnò diciassette anni. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, imitò i peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele, e non se ne allontanò. E l’ira dell’Eterno si accese contro gli Israeliti, ed egli li diede nelle mani di Azael, re di Siria, e nelle mani di Ben-Adad, figlio di Azael, per tutto quel tempo. Ma Ioacaz implorò l’Eterno, e l’Eterno lo esaudì, perché vide l’oppressione sotto la quale il re di Siria teneva Israele. - E l’Eterno concesse un liberatore agli Israeliti, i quali riuscirono a sottrarsi al potere dei Siri, in modo che i figli d’Israele poterono dimorare nelle loro tende, come prima. Ma non si allontanarono dai peccati con i quali la casa di Geroboamo aveva fatto peccare Israele; e continuarono a camminare per quella via; perfino l’idolo di Astarte rimase in piedi a Samaria. Di tutta la sua gente, a Ioacaz l’Eterno aveva lasciato soltanto cinquanta cavalieri, dieci carri e diecimila fanti; perché il re di Siria li aveva distrutti, e li aveva ridotti come la polvere che si calpesta. Il resto delle azioni di Ioacaz, tutto quello che fece, e tutte le sue prodezze, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Ioacaz si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto a Samaria; e Ioas, suo figlio, regnò al suo posto. Il trentasettesimo anno di Ioas, re di Giuda, Ioas, figlio di Ioacaz, cominciò a regnare sopra Israele a Samaria, e regnò sedici anni. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, e non si allontanò da nessuno dei peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele, ma percorse anche lui la stessa strada. Il resto delle azioni di Ioas, e tutto quello che fece, e il valore con il quale combatté contro Amasia re di Giuda, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Ioas si addormentò con i suoi padri, e sul suo trono salì Geroboamo. E Ioas fu sepolto a Samaria con i re d’Israele. Eliseo si ammalò di una malattia che lo doveva condurre alla morte; e Ioas, re d’Israele, scese a trovarlo, pianse su di lui, e disse: “Padre mio, padre mio! Carro d’Israele e sua cavalleria!”. Eliseo gli disse: “Prendi un arco e delle frecce”; e Ioas prese un arco e delle frecce. Eliseo disse al re d’Israele: “Impugna l’arco”; ed egli impugnò l’arco; ed Eliseo mise le sue mani sulle mani del re, poi gli disse: “Apri la finestra a oriente!”. E Ioas la aprì. Allora Eliseo disse: “Tira!”. Ed egli tirò. Ed Eliseo disse: “Questa è una freccia di vittoria da parte dell’Eterno: la freccia della vittoria contro la Siria. Tu sconfiggerai i Siri in Afec fino a sterminarli”. Poi disse: “Prendi le frecce!”. Ioas le prese, ed Eliseo disse al re d’Israele: “Colpisci il suolo”; ed egli lo colpì tre volte e poi si fermò. L’uomo di Dio si adirò contro di lui, e disse: “Avresti dovuto colpirlo cinque o sei volte; allora tu avresti sconfitto i Siri fino a sterminarli; mentre adesso non li sconfiggerai che tre volte”. Eliseo morì, e fu sepolto. L’anno seguente delle bande di Moabiti fecero una scorreria nel paese; e avvenne, che mentre alcuni stavano seppellendo un morto, videro una di quelle bande, e gettarono il morto nel sepolcro di Eliseo. Appena toccò le ossa di Eliseo, il morto risuscitò, e si alzò in piedi. Azael, re di Siria, aveva oppresso gli Israeliti durante tutta la vita di Ioacaz; ma l’Eterno fece loro grazia, ne ebbe compassione e fu loro favorevole per amore del suo patto con Abraamo, con Isacco e con Giacobbe, e non li volle distruggere; e, fino a ora, non li ha respinti dalla sua presenza. Azael, re di Siria, morì e Ben-Adad, suo figlio, regnò al suo posto. Ioas, figlio di Ioacaz, riprese dalle mani di Ben-Adad, figlio di Azael, le città che Azael aveva preso in guerra a Ioacaz suo padre. Tre volte Ioas lo sconfisse e recuperò così le città d’Israele. Il secondo anno di Ioas, figlio di Ioacaz, re d’Israele, cominciò a regnare Amasia, figlio di Ioas, re di Giuda. Aveva venticinque anni quando cominciò a regnare, e regnò ventinove anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Ioaddan, ed era di Gerusalemme. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno; non però come Davide suo padre; fece interamente come aveva fatto Ioas suo padre. Tuttavia gli alti luoghi non furono soppressi; il popolo continuava a offrire sacrifici e profumi sugli alti luoghi. E, appena il potere reale fu assicurato nelle sue mani, egli fece morire quei suoi servi che avevano ucciso il re suo padre; ma non fece morire i figli degli assassini, secondo quanto è scritto nel libro della legge di Mosè, dove l’Eterno ha dato questo comandamento: “I padri non saranno messi a morte per colpa dei figli, né i figli saranno messi a morte per colpa dei padri; ma ciascuno sarà messo a morte per il proprio peccato”. Egli uccise diecimila Idumei nella valle del Sale; e in questa guerra prese Sela e le diede il nome di Iocteel, che ha conservato fino al giorno d’oggi. Allora Amasia inviò dei messaggeri a Ioas, figlio di Ioacaz, figlio di Ieu, re d’Israele, per dirgli: “Vieni, affrontiamoci!”. E Ioas, re d’Israele, fece dire ad Amasia, re di Giuda: “Il rovo del Libano mandò a dire al cedro del Libano: ‘Da’ tua figlia in moglie a mio figlio’. E le bestie selvagge del Libano passarono, e calpestarono il rovo. Tu hai sconfitto gli Idumei e il tuo cuore ti ha reso orgoglioso. Godi la tua gloria, e stattene in casa tua. Perché impegnarti in un’impresa disgraziata che porterebbe alla rovina te e Giuda con te?”. Ma Amasia non volle dargli retta. Così Ioas, re d’Israele, salì contro Amasia; lui e Amasia, re di Giuda, si trovarono a faccia a faccia a Bet-Semes, che apparteneva a Giuda. Giuda fu sconfitto da Israele; e quelli di Giuda fuggirono ognuno alla propria tenda. Ioas, re d’Israele, fece prigioniero a Bet-Semes Amasia, re di Giuda, figlio di Ioas, figlio di Acazia. Poi venne a Gerusalemme, e fece una breccia di quattrocento cubiti nelle mura di Gerusalemme, dalla porta di Efraim alla porta dell’angolo. E prese tutto l’oro e l’argento e tutti i vasi che si trovavano nella casa dell’Eterno e nei tesori della casa del re; prese anche degli ostaggi, e se ne tornò a Samaria. Il resto delle azioni compiute da Ioas, il suo valore, e come combatté contro Amasia re di Giuda, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Ioas si addormentò con i suoi padri e fu sepolto a Samaria con i re d’Israele; e Geroboamo, suo figlio, regnò al suo posto. Amasia, figlio di Ioas, re di Giuda, visse ancora quindici anni dopo la morte di Ioas, figlio di Ioacaz, re d’Israele. Il resto delle azioni di Amasia si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Fu ordita contro di lui una congiura a Gerusalemme; ed egli fuggì a Lachis; ma lo fecero inseguire fino a Lachis, e là fu messo a morte. Di là fu trasportato sopra cavalli, e quindi sepolto a Gerusalemme con i suoi padri nella città di Davide. Tutto il popolo di Giuda prese Azaria, che allora aveva sedici anni, e lo proclamò re al posto di Amasia suo padre. Egli ricostruì Elat, e la riconquistò a Giuda, dopo che il re si fu addormentato con i suoi padri. Il quindicesimo anno di Amasia, figlio di Ioas, re di Giuda, cominciò a regnare a Samaria Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele; e regnò quarantun anni. Egli fece quello che è male agli occhi dell’Eterno; non si allontanò da nessuno dei peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele. Egli ristabilì i confini d’Israele dall’ingresso di Camat al mare della pianura, secondo la parola che l’Eterno, l’Iddio d’Israele, aveva pronunciato per mezzo del suo servitore, il profeta Giona, figlio di Amittai, che era di Gat-Efer. Poiché l’Eterno vide che l’afflizione d’Israele era amarissima, che schiavi e liberi erano ridotti all’estremo, e che non c’era più nessuno che soccorresse Israele. L’Eterno non aveva parlato ancora di cancellare il nome d’Israele da sotto al cielo; quindi li salvò, per mezzo di Geroboamo, figlio di Ioas. Il resto delle azioni di Geroboamo, tutto quello che fece, il suo valore in guerra, e come riconquistò a Israele Damasco e Camat che appartenevano a Giuda, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Geroboamo si addormentò con i suoi padri, i re d’Israele; e Zaccaria, suo figlio, regnò al suo posto. Il ventisettesimo anno di Geroboamo, re d’Israele, cominciò a regnare Azaria, figlio di Amasia, re di Giuda. Aveva sedici anni quando cominciò a regnare, e regnò cinquantadue anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Iecolia ed era di Gerusalemme. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, interamente come aveva fatto Amasia suo padre. Tuttavia, gli alti luoghi non furono soppressi; il popolo continuava a offrire sacrifici e profumi sugli alti luoghi. L’Eterno colpì il re, che fu lebbroso fino al giorno della sua morte e visse nell’infermeria; Iotam, figlio del re, era a capo della casa reale e rendeva giustizia per il popolo del paese. Il resto delle azioni di Azaria, e tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Azaria si addormentò con i suoi padri, e con i suoi padri lo seppellirono nella città di Davide; Iotam, suo figlio, regnò al suo posto. Il trentottesimo anno di Azaria, re di Giuda, Zaccaria, figlio di Geroboamo, cominciò a regnare sopra Israele a Samaria; e regnò sei mesi. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, come avevano fatto i suoi padri; non si allontanò dai peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele. E Sallum, figlio di Iabes, congiurò contro di lui; lo colpì in presenza del popolo, lo uccise, e regnò al suo posto. Il resto delle azioni di Zaccaria si trova scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Così si avverò la parola che l’Eterno aveva detto a Ieu: “I tuoi figli siederanno sul trono d’Israele fino alla quarta generazione”. E così avvenne. Sallum, figlio di Iabes, cominciò a regnare il trentanovesimo anno di Uzzia re di Giuda, e regnò un mese a Samaria. E Menaem, figlio di Gadi, salì da Tirsa e arrivò a Samaria; e in Samaria colpì Sallum, figlio di Iabes, lo uccise e regnò al suo posto. Il resto delle azioni di Sallum, e la congiura che egli ordì, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Allora Menaem, partito da Tirsa, colpì Tifsa, tutto quello che vi si trovava, e il suo territorio; la colpì perché non gli aveva aperto le sue porte; e fece sventrare tutte le donne incinte che vi si trovavano. Il trentanovesimo anno del regno di Azaria, re di Giuda, Menaem, figlio di Gadi, cominciò a regnare sopra Israele; e regnò dieci anni a Samaria. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno; non si allontanò dai peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele. Ai suoi tempi Pul, re d’Assiria, fece invasione nel paese; e Menaem diede a Pul mille talenti d’argento affinché lo aiutasse ad assicurare nelle sue mani il potere reale. Menaem fece pagare quel denaro a Israele, a tutti quelli che erano molto ricchi, per darlo al re d’Assiria; li tassò in ragione di cinquanta sicli d’argento a testa. Così il re d’Assiria se ne andò via, e non si fermò nel paese. Il resto delle azioni di Menaem, e tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Menaem si addormentò con i suoi padri, e Pecachia, suo figlio, regnò al suo posto. Il cinquantesimo anno di Azaria re di Giuda, Pecachia, figlio di Menaem, cominciò a regnare sopra Israele a Samaria, e regnò due anni. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno; non si allontanò dai peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele. Peca, figlio di Remalia, suo capitano, congiurò contro di lui, e lo colpì a Samaria, e con lui Argob e Arec, nella torre del palazzo reale. Aveva con sé cinquanta uomini di Galaad; uccise Pecachia, e regnò al suo posto. Il resto delle azioni di Pecachia, tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Il cinquantaduesimo anno di Azaria, re di Giuda, Peca, figlio di Remalia, cominciò a regnare sopra Israele a Samaria, e regnò vent’anni. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno; non si allontanò dai peccati con i quali Geroboamo, figlio di Nebat, aveva fatto peccare Israele. Al tempo di Peca, re d’Israele, venne Tiglat-Pileser, re di Assiria, e prese Iion, Abel-Bet-Maaca, Ianoa, Chedes, Asor, Galaad, la Galilea, tutto il paese di Neftali, e ne deportò gli abitanti in Assiria. Osea, figlio di Ela, ordì una congiura contro Peca, figlio di Remalia; lo colpì, lo uccise e regnò al suo posto, il ventesimo anno del regno di Iotam, figlio di Uzzia. Il resto delle azioni di Peca, tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re d’Israele. Il secondo anno del regno di Peca, figlio di Remalia, re d’Israele, cominciò a regnare Iotam, figlio di Uzzia, re di Giuda. Aveva venticinque anni quando cominciò a regnare, e regnò sedici anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Ierusa, figlia di Sadoc. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, interamente come aveva fatto Uzzia suo padre. Tuttavia, gli alti luoghi non furono soppressi; il popolo continuava a offrire sacrifici e profumi sugli alti luoghi. Iotam costruì la porta superiore della casa dell’Eterno. Il resto delle azioni di Iotam, tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. In quel tempo l’Eterno cominciò a mandare contro Giuda Resin, re di Siria, e Peca, figlio di Remalia. Iotam si addormentò con i suoi padri, e con i suoi padri fu sepolto nella città di Davide, suo padre. E Acaz, suo figlio, regnò al suo posto. Il diciassettesimo anno di Peca, figlio di Remalia, cominciò a regnare Acaz, figlio di Iotam, re di Giuda. Acaz aveva vent’anni quando cominciò a regnare, e regnò sedici anni a Gerusalemme. Egli non fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, il suo Dio, come aveva fatto Davide suo padre; ma seguì la via dei re d’Israele, e fece perfino passare suo figlio per il fuoco, seguendo le pratiche abominevoli dei popoli che l’Eterno aveva cacciato davanti ai figli d’Israele; e offriva sacrifici e profumi sugli alti luoghi, sulle colline, e sotto ogni albero verdeggiante. Allora Resin, re di Siria, e Peca, figlio di Remalia, re d’Israele, salirono contro Gerusalemme per assalirla; e vi assediarono Acaz, ma non riuscirono a vincerlo. In quel tempo, Resin, re di Siria, riconquistò Elat alla Siria, cacciò i Giudei da Elat e i Siri entrarono in Elat, dove sono rimasti fino al giorno d’oggi. Acaz inviò dei messaggeri a Tiglat-Pileser, re degli Assiri, per dirgli: “Io sono tuo servo e tuo figlio; sali qua e liberami dalle mani del re di Siria e dalle mani del re d’Israele, che sono insorti contro di me”. Acaz prese l’argento e l’oro che si trovava nella casa dell’Eterno e nei tesori della casa reale, e li mandò in dono al re degli Assiri. Il re d’Assiria gli diede ascolto; salì contro Damasco, la prese, ne deportò gli abitanti a Chir, e fece morire Resin. E il re Acaz andò a Damasco, incontro a Tiglat-Pileser, re d’Assiria; e avendo visto l’altare che era a Damasco, il re Acaz mandò al sacerdote Uria il disegno e il modello di quell’altare, in tutti i suoi particolari. Il sacerdote Uria costruì un altare, esattamente secondo il modello che il re Acaz gli aveva mandato da Damasco; e il sacerdote Uria lo costruì prima del ritorno del re Acaz da Damasco. Al suo ritorno da Damasco, il re vide l’altare, vi si accostò, vi salì, vi fece bruciare sopra il suo olocausto e la sua offerta, vi versò la sua libazione, e vi sparse il sangue dei suoi sacrifici di ringraziamento. L’altare di bronzo, che era davanti all’Eterno, lo pose accanto al nuovo altare, verso settentrione, perché non fosse fra il nuovo altare e la casa dell’Eterno. Il re Acaz diede quest’ordine al sacerdote Uria: “Fa’ bruciare sull’altare grande l’olocausto del mattino e l’oblazione della sera, l’olocausto del re e la sua oblazione, gli olocausti di tutto il popolo del paese e le sue oblazioni; versa le loro libazioni, e spandi tutto il sangue degli olocausti e tutto il sangue dei sacrifici; quanto all’altare di bronzo toccherà a me a pensarci”. E il sacerdote Uria fece tutto quello che il re Acaz gli aveva comandato. Il re Acaz spezzò anche i riquadri delle basi, e tolse le conche che c’erano sopra; tirò giù il mare dai buoi di bronzo che lo reggevano, e lo posò sopra un pavimento di pietra. A causa del re d’Assiria, nella casa dell’Eterno cambiò pure il portico del sabato che era stato costruito nella casa, e l’ingresso esterno riservato al re. Il resto delle azioni compiute da Acaz si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Acaz si addormentò con i suoi padri, e con i suoi padri fu sepolto nella città di Davide. Ezechia, suo figlio, regnò al suo posto. Il dodicesimo anno di Acaz, re di Giuda, Osea, figlio di Ela, cominciò a regnare sopra Israele a Samaria, e regnò nove anni. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno; non però come gli altri re d’Israele che lo avevano preceduto. Salmaneser, re d’Assiria marciò contro di lui; Osea gli fu sottomesso e gli pagò tributo. Ma il re d’Assiria scoprì una congiura ordita da Osea, il quale aveva inviato dei messaggeri a So, re d’Egitto, e non pagava più il consueto tributo annuale al re d’Assiria; perciò il re d’Assiria lo fece imprigionare e mettere in catene. Poi il re d’Assiria invase tutto il paese, salì contro Samaria, e la assediò per tre anni. Il nono anno di Osea, il re d’Assiria prese Samaria, trasportò gli Israeliti in Assiria e li collocò in Ala e sull’Abor, fiume di Gozan, e nelle città dei Medi. Questo avvenne perché i figli d’Israele avevano peccato contro l’Eterno, il loro Dio, che li aveva fatti uscire dal paese d’Egitto, liberandoli dal potere del Faraone re d’Egitto; e avevano adorato altri dèi; essi avevano imitato i costumi delle nazioni che l’Eterno aveva cacciato davanti a loro, e quelli che i re d’Israele avevano introdotto. I figli d’Israele avevano fatto, in segreto, contro l’Eterno, il loro Dio, delle cose non giuste: si erano costruiti degli alti luoghi in tutte le loro città, dalle torri dei guardiani alle città fortificate, avevano eretto colonne e idoli sopra ogni colle elevato e sotto ogni albero verdeggiante; e là, su tutti gli alti luoghi, avevano offerto profumi, come le nazioni che l’Eterno aveva cacciato davanti a loro. Avevano commesso azioni malvagie, provocando a ira l’Eterno, e avevano servito gli idoli, mentre l’Eterno aveva detto loro: “Non fate una cosa simile!”. Eppure l’Eterno aveva avvertito Israele e Giuda per mezzo di tutti i profeti e di tutti i veggenti, dicendo: “Convertitevi dalle vostre vie malvagie, e osservate i miei comandamenti e i miei precetti, seguendo in tutto la legge che io prescrissi ai vostri padri, e che ho mandato a voi per mezzo dei miei servi, i profeti”. Ma essi non vollero dargli ascolto e irrigidirono il collo, come avevano fatto i loro padri, i quali non ebbero fede nell’Eterno, nel loro Dio; respinsero le sue leggi e il patto che egli aveva stabilito con i loro padri e gli avvertimenti che egli aveva dato loro; andarono dietro a cose vane, diventando vani essi stessi; andarono dietro alle nazioni circostanti, che l’Eterno aveva loro proibito di imitare. Abbandonarono tutti i comandamenti dell’Eterno, del loro Dio; si fecero due vitelli di metallo fuso, si fabbricarono degli idoli di Astarte, adorarono tutto l’esercito del cielo, servirono Baal; fecero passare per il fuoco i loro figli e le loro figlie, praticarono la divinazione e gli incantesimi, e si diedero a fare ciò che è male agli occhi dell’Eterno, provocandolo a ira. Perciò l’Eterno si adirò fortemente contro Israele, e lo allontanò dalla sua presenza; non rimase altro che la sola tribù di Giuda. Neppure Giuda osservò i comandamenti dell’Eterno, del suo Dio, ma seguì i costumi stabiliti da Israele. L’Eterno rigettò tutta la stirpe d’Israele, la umiliò, e la abbandonò in balìa di predoni, finché la cacciò dalla sua presenza. Infatti, quando egli strappò Israele dalla casa di Davide ed essi proclamarono re Geroboamo, figlio di Nebat, Geroboamo distolse Israele dal seguire l’Eterno, e gli fece commettere un grande peccato. I figli d’Israele si abbandonarono a tutti i peccati che Geroboamo aveva commesso, e non se ne allontanarono, finché l’Eterno mandò via Israele dalla sua presenza, come aveva predetto per bocca di tutti i profeti suoi servi; e Israele fu deportato dal suo paese in Assiria, dov’è rimasto fino al giorno d’oggi. Il re d’Assiria fece venire gente da Babilonia, da Cuta, da Avva, da Camat e da Sefarvaim, e la stabilì nelle città della Samaria al posto dei figli d’Israele; e quelli presero possesso della Samaria, e abitarono nelle sue città. Quando cominciarono a insediarsi, non temevano l’Eterno; e l’Eterno mandò contro di loro dei leoni, che facevano strage fra loro. Fu quindi detto al re d’Assiria: “La gente che tu hai deportato e stabilito nelle città della Samaria non conosce il modo di servire l’Iddio del paese; perciò egli ha mandato contro di loro dei leoni, che ne fanno strage, perché esse non conoscono il modo di servire l’Iddio del paese”. Allora il re d’Assiria diede quest’ordine: “Fate tornare là uno dei sacerdoti che avete deportato di là; vada a stabilirsi in quel luogo, e insegni loro il modo di servire l’Iddio del paese”. Così uno dei sacerdoti che erano stati deportati dalla Samaria venne a stabilirsi a Betel, e insegnò loro come dovevano temere l’Eterno. Tuttavia, ognuna di quelle popolazioni si fece i propri dèi nelle città dove abitava, e li collocarono nei templi degli alti luoghi che i Samaritani avevano costruito. Quelli di Babilonia fecero Succot-Benot; quelli di Cuta fecero Nergal; quelli di Camat fecero Asima; quelli di Avva fecero Nibaz e Tartac; e quelli di Sefarvaim bruciavano i loro figli in onore di Adrammelec e di Anammelec, dèi di Sefarvaim. Temevano anche l’Eterno; e si fecero dei sacerdoti degli alti luoghi che prendevano fra loro, e che offrivano per loro dei sacrifici nei templi degli alti luoghi. Così temevano l’Eterno, e servivano al tempo stesso i loro dèi, secondo le usanze delle nazioni da cui erano stati deportati in Samaria. Anche oggi continuano a seguire l’antica usanza: non temono l’Eterno, e non si conformano né alle loro leggi e ai loro precetti, né alla legge e ai comandamenti che l’Eterno prescrisse ai figli di Giacobbe, da lui chiamato Israele, con i quali l’Eterno aveva stabilito un patto, dando loro questo ordine: “Non temete altri dèi, non vi prostrate davanti a loro, non li servite, né offrite loro sacrifici; ma temete l’Eterno, che vi fece uscire dal paese d’Egitto per la sua grande potenza e con il suo braccio steso; prostratevi davanti a lui, offrite a lui sacrifici; e abbiate cura di mettere sempre in pratica i precetti, le regole, la legge e i comandamenti che egli scrisse per voi; e non temete altri dèi. Non dimenticate il patto che io stabilii con voi, e non temete altri dèi; ma temete l’Eterno, il vostro Dio, ed egli vi libererà dalle mani di tutti i vostri nemici”. Ma quelli non ubbidirono, e continuarono invece a seguire la loro antica usanza. Così quelle nazioni temevano l’Eterno e, al tempo stesso, servivano i loro idoli; i loro figli e i figli dei loro figli hanno continuato fino al giorno d’oggi a fare quello che avevano fatto i loro padri. Il terzo anno di Osea, figlio di Ela, re d’Israele, cominciò a regnare Ezechia, figlio di Acaz, re di Giuda. Aveva venticinque anni quando cominciò a regnare, e regnò ventinove anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Abi, figlia di Zaccaria. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, interamente come aveva fatto Davide suo padre. Soppresse gli alti luoghi, frantumò le statue, abbatté l’idolo di Astarte, e fece a pezzi il serpente di bronzo che Mosè aveva fatto; perché fino a quel tempo i figli d’Israele gli avevano offerto incenso; egli lo chiamò Neustan. Egli ripose la sua fiducia nell’Eterno, nell’Iddio d’Israele; e fra tutti i re di Giuda che vennero dopo di lui o che lo precedettero non ce ne fu nessuno simile a lui. Si tenne unito all’Eterno, non smise di seguirlo, e osservò i comandamenti che l’Eterno aveva dato a Mosè. L’Eterno fu con Ezechia, che riusciva in tutte le sue imprese. Si ribellò al re d’Assiria, e non gli fu più sottomesso; sconfisse i Filistei fino a Gaza, e ne devastò il territorio, dalle torri dei guardiani alle città fortificate. Il quarto anno del re Ezechia, che era il settimo anno di Osea, figlio di Ela re d’Israele, Salmaneser, re d’Assiria, marciò contro Samaria e la assediò. Dopo tre anni, la conquistò; il sesto anno di Ezechia, che era il nono anno di Osea, re d’Israele, Samaria fu presa. Il re d’Assiria deportò gli Israeliti in Assiria, e li collocò ad Ala, e presso l’Abor, fiume di Gozan, e nelle città dei Medi, perché non avevano ubbidito alla voce dell’Eterno, del loro Dio, e avevano trasgredito il suo patto, cioè tutto quello che Mosè, servo dell’Eterno, aveva comandato; essi non lo avevano né ascoltato, né messo in pratica. Il quattordicesimo anno del re Ezechia, Sennacherib, re d’Assiria, marciò contro tutte le città fortificate di Giuda, e le conquistò. Allora Ezechia, re di Giuda, mandò a dire al re d’Assiria a Lachis: “Ho peccato; ritirati da me, e io mi sottometterò a tutto quello che mi imporrai”. Il re d’Assiria impose a Ezechia, re di Giuda, trecento talenti d’argento e trenta talenti d’oro. Ezechia diede tutto l’argento che si trovava nella casa dell’Eterno e nei tesori della casa del re. Fu allora che Ezechia, re di Giuda, staccò dalle porte del tempio dell’Eterno e dagli stipiti le lame d’oro di cui egli stesso li aveva ricoperti, e le diede al re d’Assiria. Il re d’Assiria mandò da Ezechia da Lachis a Gerusalemme, Tartan, Rabsaris e Rabsaché con un grande esercito. Essi salirono e giunsero a Gerusalemme. E, quando furono giunti, si fermarono presso l’acquedotto dello stagno superiore, che è sulla strada del campo del lavandaio. Chiamarono il re; ed Eliachim, figlio di Chilchia, prefetto del palazzo, si recò da loro con Scebna, il segretario, e l’archivista Ioa, figlio di Asaf. Rabsaché disse loro: “Andate a dire a Ezechia: ‘Così parla il grande re, il re d’Assiria: Che fiducia è questa che hai? Tu dici che consiglio e forza per fare la guerra non sono che parole vane; ma in chi riponi la tua fiducia per osare ribellarti a me? Ecco, tu ti appoggi sull’Egitto, su quel sostegno di canna rotta, che penetra nella mano di chi vi si appoggia e gliela fora; così è Faraone, re d’Egitto, per tutti quelli che confidano in lui. Forse mi direte: - Noi confidiamo nell’Eterno, nel nostro Dio -. Ma non è forse quello stesso di cui Ezechia ha soppresso gli alti luoghi e gli altari, dicendo a Giuda e a Gerusalemme: - Voi adorerete soltanto davanti a questo altare, a Gerusalemme -? Ora, dunque, fa’ una scommessa con il mio signore, il re d’Assiria! Io ti darò duemila cavalli, se tu puoi fornire altrettanti cavalieri da cavalcarli. E come potresti tu far voltare le spalle a un solo capitano tra i minimi servi del mio signore? E confidi nell’Egitto, a causa dei suoi carri e dei suoi cavalieri! E adesso sono forse salito senza il volere dell’Eterno contro questo luogo per distruggerlo? L’Eterno mi ha detto: Sali contro questo paese e distruggilo’”. Allora Eliachim, figlio di Chilchia, Scebna e Ioa dissero a Rabsaché: “Ti prego, parla ai tuoi servi in aramaico, perché noi lo comprendiamo; non parlarci in lingua giudaica, poiché il popolo che sta sulle mura ascolta”. Ma Rabsaché rispose loro: “Il mio signore mi ha forse mandato a dire queste cose al tuo signore e a te? Non mi ha forse mandato a dirle a quegli uomini che stanno seduti sulle mura e che saranno quanto prima ridotti a mangiare i loro escrementi e a bere la loro urina con voi?”. Allora Rabsaché, stando in piedi, gridò ad alta voce, e disse in lingua giudaica: “Udite la parola del grande re, del re d’Assiria! Così parla il re: ‘Non vi inganni Ezechia; poiché egli non potrà liberarvi dalle mie mani; né vi induca Ezechia a confidare nell’Eterno, dicendo: L’Eterno ci libererà certamente, e questa città non sarà data nelle mani del re d’Assiria’. Non date ascolto a Ezechia, perché così dice il re d’Assiria: ‘Fate pace con me e arrendetevi a me, e ognuno di voi mangerà il frutto della sua vigna e del suo fico, e berrà l’acqua della sua cisterna, finché io non venga e vi conduca in un paese simile al vostro: paese di grano e di vino, paese di pane e di vigne, paese di ulivi e di miele; e voi vivrete, non morirete’. Non date dunque ascolto a Ezechia, quando cerca di ingannarvi dicendo: ‘L’Eterno ci libererà’. Qualcuno degli dèi delle nazioni ha liberato il proprio paese dalle mani del re d’Assiria? Dove sono gli dèi di Camat e di Arpad? Dove sono gli dèi di Sefarvaim, di Ena e di Ivva? Hanno liberato Samaria dalla mia mano? Fra tutti gli dèi di quei paesi, quali sono quelli che hanno liberato il loro paese dalla mia mano? L’Eterno potrebbe forse liberare Gerusalemme dalla mia mano?”. Il popolo tacque, e non gli rispose nulla; poiché il re aveva dato questo ordine: “Non gli rispondete!”. Allora Eliachim, figlio di Chilchia, prefetto del palazzo, Scebna il segretario, e Ioa, figlio di Asaf, l’archivista, andarono da Ezechia con le vesti stracciate, e gli riferirono le parole di Rabsaché. Quando il re Ezechia udì queste cose, si stracciò le vesti, si coprì di un sacco ed entrò nella casa dell’Eterno. Mandò Eliachim, prefetto del palazzo, Scebna il segretario e i più anziani tra i sacerdoti, coperti di sacchi, dal profeta Isaia, figlio di Amots. Essi gli dissero: “Così parla Ezechia: ‘Questo è giorno di angoscia, di castigo, di vergogna; poiché i figli stanno per uscire dal grembo materno, ma manca la forza per partorirli. Forse l’Eterno, il tuo Dio, ha udito tutte le parole di Rabsaché, che il re d’Assiria, suo signore, ha mandato a oltraggiare l’Iddio vivente; e, forse, l’Eterno, il tuo Dio, punirà le parole che ha udito. Rivolgigli dunque una preghiera in favore del resto del popolo che rimane ancora!’”. I servi del re Ezechia si recarono dunque da Isaia. E Isaia disse loro: “Ecco ciò che direte al vostro signore: ‘Così dice l’Eterno: Non ti spaventare per le parole che hai udito, con le quali i servi del re d’Assiria mi hanno insultato. Ecco, io metterò in lui uno spirito tale che, all’udire una certa notizia, egli tornerà al suo paese; e io lo farò morire di spada nel suo paese’”. Rabsaché tornò dal re d’Assiria, e lo trovò che assediava Libna; poiché egli aveva saputo che il suo signore era partito da Lachis. Sennacherib ricevette notizie di Tiraca, re di Etiopia, che dicevano: “Ecco, egli si è mosso per darti battaglia”; perciò inviò di nuovo dei messaggeri a Ezechia, dicendo loro: “Direte così a Ezechia, re di Giuda: ‘Il tuo Dio, nel quale confidi, non ti inganni dicendo: Gerusalemme non sarà data nelle mani del re d’Assiria. Ecco, tu hai udito quello che i re d’Assiria hanno fatto a tutti i paesi, e come li hanno distrutti; e tu ti salveresti? Gli dèi delle nazioni che i miei padri distrussero, gli dèi di Gozan, di Caran, di Resef, dei figli di Eden che erano a Telassar, riuscirono forse a liberarle? Dov’è il re di Camat, il re di Arpad, e il re della città di Sefarvaim, di Ena e di Ivva?’”. Ezechia ricevette la lettera dalle mani dei messaggeri e la lesse; poi salì alla casa dell’Eterno e la spiegò davanti all’Eterno; e davanti all’Eterno pregò in questo modo: “O Eterno, Dio d’Israele, che siedi sopra i cherubini, tu, tu solo sei l’Iddio di tutti i regni della terra; tu hai fatto i cieli e la terra. O Eterno, porgi il tuo orecchio, e ascolta! o Eterno, apri i tuoi occhi, e guarda! Ascolta le parole di Sennacherib, che ha mandato quest’uomo per insultare l’Iddio vivente! È vero, o Eterno: i re d’Assiria hanno devastato le nazioni e i loro paesi, e hanno gettato nel fuoco i loro dèi; perché quelli non erano dèi; erano opera delle mani degli uomini; erano legno e pietra ed essi li hanno distrutti. Ma ora, o Eterno, o Dio nostro, salvaci, ti supplico, dalle sue mani, affinché tutti i regni della terra riconoscano che tu solo, o Eterno, sei Dio!”. Allora Isaia, figlio di Amots, mandò a dire a Ezechia: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Ho udito la preghiera che mi hai rivolto riguardo a Sennacherib, re d’Assiria. Questa è la parola che l’Eterno ha pronunciato contro di lui: La vergine figlia di Sion ti disprezza, si fa beffe di te; la figlia di Gerusalemme scuote il capo dietro a te. Chi hai insultato e oltraggiato? Contro chi hai alzato la voce e elevato gli occhi in alto? contro il Santo d’Israele! Tu hai insultato il Signore per bocca dei tuoi messaggeri, e hai detto: - Con la moltitudine dei miei carri io sono salito in cima alle montagne, sono penetrato nei nascondigli del Libano; io abbatterò i suoi cedri più alti, i suoi cipressi più belli e arriverò al suo rifugio più lontano, alla sua magnifica foresta. Io ho scavato e ho bevuto acque straniere; con la pianta dei miei piedi prosciugherò tutti i fiumi d’Egitto. - Non hai udito? Da lungo tempo ho preparato questo: dai tempi antichi ne ho formato il disegno; e ora ho fatto in modo che si compia: che tu riduca città forti in monti di rovine. I loro abitanti, privi di forza, sono spaventati e confusi; sono come l’erba dei campi, come la tenera verdura dei prati, come l’erbetta che nasce sui tetti, come grano secco prima che formi la spiga. Ma io so quando ti siedi, quando esci, quando entri e quando ti infuri contro di me. Poiché ti sei infuriato contro di me e la tua arroganza è giunta alle mie orecchie, io ti metterò il mio anello nelle narici, il mio morso in bocca, e ti ricondurrò indietro per la via dalla quale sei venuto’. E questo, o Ezechia, ti servirà di segno: Quest’anno si mangerà il frutto del grano caduto; il secondo anno, quello che crescerà da sé; ma il terzo anno, seminerete e mieterete; pianterete vigne e ne mangerete il frutto. E il rimanente della casa di Giuda e scamperà, continuerà a mettere radici in basso e a portare frutto in alto; poiché da Gerusalemme uscirà un residuo, e dal monte Sion usciranno quelli che sono scampati. Questo farà lo zelo ardente dell’Eterno degli eserciti! Perciò così parla l’Eterno riguardo al re d’Assiria: ‘Egli non entrerà in questa città, e non vi lancerà freccia; non la assalirà con scudi, e non alzerà trincee contro di essa. Egli se ne tornerà per la via da dove è venuto, e non entrerà in questa città’, dice l’Eterno. ‘Io proteggerò questa città per salvarla, per amore di me stesso e per amore di Davide, mio servo’”. Quella stessa notte avvenne che l’angelo dell’Eterno uscì e colpì nell’accampamento degli Assiri centottantacinquemila uomini; e quando la gente si alzò la mattina, erano tutti cadaveri. Allora Sennacherib re d’Assiria tolse l’accampamento, partì e se ne tornò a Ninive, dove rimase; e, mentre egli stava adorando nella casa del suo dio Nisroc, i suoi figli Adrammelec e Sareser lo uccisero a colpi di spada, e si rifugiarono nel paese di Ararat. Esaraddon, suo figlio, regnò al suo posto. In quel tempo, Ezechia si ammalò mortalmente. Il profeta Isaia, figlio di Amots, si recò da lui, e gli disse: “Così parla l’Eterno: ‘Metti ordine alle cose della tua casa; perché morirai e non guarirai’”. Allora Ezechia voltò la faccia verso il muro e fece una preghiera all’Eterno, dicendo: “O Eterno, ti supplico, ricordati che ho camminato nel tuo cospetto con fedeltà e con integrità di cuore, e che ho fatto ciò che è buono ai tuoi occhi”. Ezechia scoppiò in un grande pianto. Isaia non era ancora giunto nel centro della città, quando la parola dell’Eterno gli fu rivolta in questi termini: “Torna indietro, e di’ a Ezechia, principe del mio popolo: ‘Così parla l’Eterno, l’Iddio di Davide tuo padre: Ho udito la tua preghiera, ho visto le tue lacrime; ecco, io ti guarisco; fra tre giorni salirai alla casa dell’Eterno. Aggiungerò alla tua vita quindici anni, libererò te e questa città dalle mani del re d’Assiria e proteggerò questa città per amore di me stesso, e per amore di Davide mio servo’”. Poi Isaia disse: “Prendete un impacco di fichi secchi!”. Lo presero, e lo misero sull’ulcera, e il re guarì. Ezechia aveva detto a Isaia: “Da quale segno riconoscerò che l’Eterno mi guarirà e che fra tre giorni salirò alla casa dell’Eterno?”. E Isaia gli aveva risposto: “Eccoti da parte dell’Eterno il segno dal quale riconoscerai che l’Eterno adempirà la parola che ha pronunciato: ‘Vuoi tu che l’ombra si allunghi per dieci gradini oppure retroceda di dieci gradini?’”. Ezechia rispose: “È facile che l’ombra si allunghi per dieci gradini; no, l’ombra retroceda piuttosto di dieci gradini”. E il profeta Isaia invocò l’Eterno, il quale fece retrocedere l’ombra di dieci gradini sui gradini di Acaz, sui quali era discesa. In quel tempo, Berodac-Baladan, figlio di Baladan, re di Babilonia, mandò una lettera e un dono a Ezechia, perché aveva sentito che Ezechia era stato ammalato. Ezechia diede udienza agli ambasciatori, e mostrò loro la casa dove erano tutte le sue cose preziose, l’argento, l’oro, gli aromi, gli oli finissimi, il suo arsenale, e tutto quello che si trovava nei suoi magazzini. Non ci fu cosa nella sua casa e in tutti i suoi domini, che Ezechia non mostrasse loro. Allora il profeta Isaia si recò dal re Ezechia, e gli disse: “Che cosa hanno detto quegli uomini? Da dove sono venuti?”. Ezechia rispose: “Sono venuti da un paese lontano: da Babilonia”. Isaia disse: “Che cosa hanno visto in casa tua?”. Ezechia rispose: “Hanno visto tutto quello che è in casa mia; non c’è cosa nei miei tesori, che io non gli abbia mostrato”. Allora Isaia disse a Ezechia: “Ascolta la parola dell’Eterno: ‘Ecco, stanno per venire i giorni in cui tutto quello che è in casa tua e tutto quello che i tuoi padri hanno accumulato fino al giorno d’oggi, sarà trasportato a Babilonia; e non ne rimarrà nulla’, dice l’Eterno. ‘E alcuni dei tuoi figli che saranno usciti da te, che tu avrai generato, saranno presi per farne degli eunuchi nel palazzo del re di Babilonia’”. Ed Ezechia rispose a Isaia: “La parola dell’Eterno che tu hai pronunciato, è buona”. E aggiunse: “Sì, se almeno ci sarà pace e sicurezza durante i miei giorni”. Il resto delle azioni di Ezechia, tutte le sue prodezze, e come egli fece il serbatoio e l’acquedotto portando l’acqua nella città, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Ezechia si addormentò con i suoi padri, e Manasse, suo figlio, regnò al suo posto. Manasse aveva dodici anni quando cominciò a regnare, e regnò cinquantacinque anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Chefsiba. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, seguendo le abominazioni delle nazioni che l’Eterno aveva cacciato davanti ai figli d’Israele. Egli ricostruì gli alti luoghi che Ezechia suo padre aveva distrutto, eresse altari a Baal, fece un idolo di Astarte, come aveva fatto Acab re d’Israele, adorò tutto l’esercito del cielo e lo servì. Costruì pure degli altari ad altri dèi nella casa dell’Eterno, riguardo alla quale l’Eterno aveva detto: “In Gerusalemme io porrò il mio nome”. Costruì altari a tutto l’esercito del cielo nei due cortili della casa dell’Eterno. Fece passare per il fuoco suo figlio, si diede alla magia e agli incantesimi, e istituì quelli che evocavano gli spiriti e predicevano il futuro; si abbandonò interamente a fare ciò che è male agli occhi dell’Eterno, provocandolo a ira. Mise l’idolo di Astarte che aveva fatto, nella casa riguardo alla quale l’Eterno aveva detto a Davide e a Salomone suo figlio: “In questa casa, e a Gerusalemme, che io ho scelto fra tutte le tribù d’Israele, porrò il mio nome per sempre; e non permetterò più che il piede d’Israele vada vagando fuori del paese che io diedi ai suoi padri, purché essi abbiano cura di mettere in pratica tutto quello che ho loro comandato, e tutta la legge che il mio servo Mosè gli ha prescritto”. Ma essi non ubbidirono, e Manasse li indusse a fare peggio delle nazioni che l’Eterno aveva distrutto davanti ai figli d’Israele. L’Eterno parlò per mezzo dei suoi servi, i profeti, in questi termini: “Poiché Manasse, re di Giuda, ha commesso queste abominazioni e ha fatto peggio di quanto fecero mai gli Amorei, prima di lui, e con i suoi idoli ha fatto peccare anche Giuda, così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Ecco, io faccio venire su Gerusalemme e su Giuda sciagure tali, che chiunque ne udrà parlare ne avrà le orecchie frastornate. Stenderò su Gerusalemme la cordicella di Samaria e la livella della casa di Acab; ripulirò Gerusalemme come si ripulisce un piatto, che, dopo ripulito, si capovolge. E abbandonerò il resto della mia eredità; li darò nelle mani dei loro nemici, e diventeranno preda e bottino di tutti i loro nemici, perché hanno fatto ciò che è male i miei occhi, e mi hanno provocato a ira dal giorno che i loro padri uscirono dall’Egitto, fino a oggi’”. Manasse, inoltre, sparse moltissimo sangue innocente: tanto da riempirne Gerusalemme da un capo all’altro; senza contare i peccati che fece commettere a Giuda, facendo ciò che è male agli occhi dell’Eterno. Il resto delle azioni di Manasse, e tutto quello che fece, i peccati che commise, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Manasse si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto nel giardino di casa sua, nel giardino di Uzza; e Amon, suo figlio, regnò al suo posto. Amon aveva ventidue anni quando cominciò a regnare, e regnò due anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Mesullemet, figlia di Carus di Iotba. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, come aveva fatto Manasse suo padre; seguì in tutto la via percorsa da suo padre, servì gli idoli che aveva servito suo padre, e li adorò; abbandonò l’Eterno, l’Iddio dei suoi padri, e non camminò per la via dell’Eterno. Ora i servi di Amon ordirono una congiura contro di lui, e uccisero il re in casa sua. Ma il popolo del paese fece morire tutti quelli che avevano congiurato contro il re Amon, e fece re, al suo posto, Giosia, suo figlio. Il resto delle azioni compiute da Amon, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Egli fu sepolto nel suo sepolcro, nel giardino di Uzza; e Giosia, suo figlio, regnò al suo posto. Giosia aveva otto anni quando cominciò a regnare, e regnò trentun anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Iedida, figlia di Adaia, da Boscat. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, e camminò in tutto e per tutto per la via di Davide suo padre, senza deviare né a destra né a sinistra. Il diciottesimo anno del re Giosia, il re mandò nella casa dell’Eterno Safan, il segretario, figlio di Asalia, figlio di Mesullam, e gli disse: “Sali da Chilchia, il sommo sacerdote, e digli che metta assieme il denaro che è stato portato nella casa dell’Eterno, e che i custodi dell’ingresso hanno raccolto dalle mani del popolo. Lo si consegni ai direttori preposti ai lavori della casa dell’Eterno; e questi lo diano agli operai addetti alle riparazioni della casa dell’Eterno: ai falegnami, ai costruttori e ai muratori, e se ne servano per comprare della legna e delle pietre da tagliare, per le riparazioni della casa. Ma non si farà rendere conto a quelli nelle cui mani sarà messo il denaro, perché agiscono con fedeltà”. Allora il sommo sacerdote Chilchia disse a Safan, il segretario: “Ho trovato nella casa dell’Eterno il libro della legge”. E Chilchia diede il libro a Safan, che lo lesse. E Safan, il segretario, andò a riferire la cosa al re, e gli disse: “I tuoi servi hanno versato il denaro che si è trovato nella casa e lo hanno consegnato a quelli che sono preposti ai lavori della casa dell’Eterno”. Safan, il segretario, disse ancora al re: “Il sacerdote Chilchia mi ha dato un libro”. E Safan lo lesse alla presenza del re. Quando il re udì le parole del libro della legge, si stracciò le vesti. Poi ordinò al sacerdote Chilchia, ad Aicam, figlio di Safan, ad Acbor, figlio di Micaia, a Safan, il segretario, e ad Asaia, servo del re: “Andate a consultare l’Eterno per me, per il popolo e per tutto Giuda, riguardo alle parole di questo libro che si è trovato; poiché l’ira dell’Eterno che si è accesa contro di noi è grande, perché i nostri padri non hanno ubbidito alle parole di questo libro, e non hanno messo in pratica tutto quello che in esso è prescritto per noi”. Il sacerdote Chilchia, Aicam, Acbor, Safan e Asaia andarono dalla profetessa Culda, moglie di Sallum, guardarobiere, figlio di Ticva, figlio di Carcas. Lei abitava a Gerusalemme, nel secondo quartiere; e quando ebbero parlato con lei, disse loro: “Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Dite all’uomo che vi ha mandati da me: Così dice l’Eterno: Ecco, io farò venire delle sciagure su questo luogo e sopra i suoi abitanti, conformemente a tutte le parole del libro che il re di Giuda ha letto. Perché essi mi hanno abbandonato e hanno offerto profumi ad altri dèi per provocarmi a ira con tutte le opere delle loro mani; perciò la mia ira si è accesa contro questo luogo, e non si spegnerà’. Quanto al re di Giuda che vi ha mandati a consultare l’Eterno, gli direte questo: ‘Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele, riguardo alle parole che tu hai udito: Poiché il tuo cuore è stato toccato, poiché ti sei umiliato davanti all’Eterno, udendo ciò che io ho detto contro questo luogo e contro i suoi abitanti, che saranno cioè abbandonati alla desolazione e alla maledizione; poiché ti sei stracciato le vesti e hai pianto davanti a me, anche io ti ho ascoltato, dice l’Eterno. Perciò, ecco, io ti riunirò con i tuoi padri, e te ne andrai in pace nel tuo sepolcro; i tuoi occhi non vedranno tutte le sciagure che io farò piombare su questo luogo’”. E quelli riferirono al re la risposta. Allora il re mandò a chiamare presso di sé tutti gli anziani di Giuda e di Gerusalemme. Il re salì alla casa dell’Eterno, con tutti gli uomini di Giuda, tutti gli abitanti di Gerusalemme, i sacerdoti, i profeti e tutto il popolo, piccoli e grandi, e lesse in loro presenza tutte le parole del libro del patto, che era stato trovato nella casa dell’Eterno. Il re, stando in piedi sul palco, stabilì un patto davanti all’Eterno, impegnandosi a seguire l’Eterno, a osservare i suoi comandamenti, i suoi precetti e le sue leggi con tutto il cuore e con tutta l’anima, per mettere in pratica le parole di questo patto, scritte in questo libro. Tutto il popolo acconsentì al patto. Il re ordinò al sommo sacerdote Chilchia, ai sacerdoti del secondo ordine e ai custodi dell’ingresso di togliere dal tempio dell’Eterno tutti gli arredi che erano stati fatti per Baal, per Astarte e per tutto l’esercito celeste, e li bruciò fuori da Gerusalemme nei campi di Chidron, e portò le ceneri a Betel. Destituì i sacerdoti idolatri che i re di Giuda avevano istituito per offrire profumi negli alti luoghi nelle città di Giuda e nei dintorni di Gerusalemme, e anche quelli che offrivano profumi a Baal, al sole, alla luna, ai segni dello zodiaco, e a tutto l’esercito del cielo. Mise fuori dalla casa dell’Eterno l’idolo di Astarte, che trasportò fuori di Gerusalemme verso il torrente Chidron; lo bruciò presso il torrente Chidron, lo ridusse in cenere e gettò la cenere sui sepolcri della gente del popolo. Demolì le case di quelli che si prostituivano, le quali si trovavano nella casa dell’Eterno, e dove le donne tessevano delle tende per Astarte. Fece venire tutti i sacerdoti dalle città di Giuda, profanò gli alti luoghi dove i sacerdoti avevano offerto profumi, da Gheba a Beer-Sceba, e abbatté gli alti luoghi delle porte della città: quello che era all’ingresso della porta di Giosuè, governatore della città, e quello che era a sinistra della porta della città. Quei sacerdoti degli alti luoghi non salivano a sacrificare sull’altare dell’Eterno a Gerusalemme; mangiavano però pane azzimo in mezzo ai loro fratelli. Profanò Tofet, nella valle dei figli di Innom, affinché nessuno facesse più passare per il fuoco suo figlio o sua figlia in onore di Moloc. Non permise più che i cavalli consacrati al sole dai re di Giuda entrassero nella casa dell’Eterno, nell’abitazione dell’eunuco Netan-Melec, che era nel recinto del tempio; e diede alle fiamme i carri del sole. Il re demolì gli altari che erano sulla terrazza della camera superiore di Acaz, e che i re di Giuda avevano fatto, e gli altari che aveva fatto Manasse nei due cortili della casa dell’Eterno; e, dopo averli fatti a pezzi e tolti di là, ne gettò la polvere nel torrente Chidron. E il re profanò gli alti luoghi che erano di fronte a Gerusalemme, a destra del monte della perdizione, e che Salomone re d’Israele aveva eretto in onore di Astarte, l’abominazione dei Sidoni, di Chemos, l’abominazione di Moab, e di Milcom, l’abominazione dei figli di Ammon. Spezzò le statue, abbatté gli idoli di Astarte, e riempì quei luoghi di ossa umane. Abbatté pure l’altare che era a Betel, e l’alto luogo fatto da Geroboamo, figlio di Nebat, il quale aveva fatto peccare Israele: bruciò l’alto luogo e lo ridusse in polvere, e bruciò l’idolo di Astarte. Poi Giosia, voltandosi, vide i sepolcri che erano là sul monte, e mandò a prelevare le ossa da quei sepolcri e le bruciò sull’altare, profanandolo, secondo la parola dell’Eterno pronunciata dall’uomo di Dio, che aveva annunciato queste cose. Poi disse: “Che monumento è quello che io vedo là?”. La gente della città gli rispose: “È il sepolcro dell’uomo di Dio che venne da Giuda, e che proclamò contro l’altare di Betel queste cose che tu hai fatto”. Egli disse: “Lasciatelo stare; nessuno muova le sue ossa!”. Così le sue ossa furono conservate con le ossa del profeta che era venuto da Samaria. Giosia fece anche sparire tutti i templi degli alti luoghi che erano nella città di Samaria e che i re d’Israele avevano fatto per provocare a ira l’Eterno, e fece a essi esattamente quello che aveva fatto a quelli di Betel. Immolò sugli altari tutti i sacerdoti degli alti luoghi che erano là, e su quegli altari bruciò ossa umane. Poi tornò a Gerusalemme. Il re diede a tutto il popolo quest’ordine: “Celebrate la Pasqua in onore dell’Eterno, del vostro Dio, come è scritto in questo libro del patto”. Infatti una Pasqua simile non era stata celebrata dal tempo dei giudici che avevano governato Israele, e per tutto il tempo dei re d’Israele e dei re di Giuda; ma nel diciottesimo anno del re Giosia questa Pasqua fu celebrata, in onore dell’Eterno, a Gerusalemme. Giosia fece sparire anche quelli che evocavano gli spiriti e quelli che predicevano il futuro, le divinità familiari, gli idoli e tutte le abominazioni che si vedevano nel paese di Giuda e a Gerusalemme, per mettere in pratica le parole della legge, scritte nel libro che il sacerdote Chilchia aveva trovato nella casa dell’Eterno. Prima di Giosia non c’è stato re che come lui si sia convertito all’Eterno con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima e con tutta la sua forza, seguendo in tutto la legge di Mosè; e, dopo di lui, non ne è sorto uno simile. Tuttavia l’Eterno non attenuò l’ardore della grande ira di cui si era infiammato contro Giuda, a causa di tutte le offese con le quali Manasse lo aveva provocato a ira. E l’Eterno disse: “Allontanerò anche Giuda dalla mia presenza come ho allontanato Israele; e rigetterò Gerusalemme, la città che io mi ero scelto, e la casa della quale avevo detto: ‘Là sarà il mio nome’”. Il resto delle azioni di Giosia, tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Al suo tempo, Faraone Neco, re d’Egitto, salì contro il re d’Assiria, verso il fiume Eufrate. Il re Giosia gli marciò contro, e Faraone, al primo incontro, lo uccise a Meghiddo. I suoi servi lo portarono via morto sopra un carro e lo trasportarono da Meghiddo a Gerusalemme, dove lo seppellirono nel suo sepolcro. E il popolo del paese prese Ioacaz, figlio di Giosia, lo unse, e lo proclamò re al posto di suo padre. Ioacaz aveva ventitré anni quando cominciò a regnare, e regnò tre mesi a Gerusalemme. Il nome di sua madre era Camutal, figlia di Geremia da Libna. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, in tutto e per tutto come avevano fatto i suoi padri. Faraone Neco lo mise in catene a Ribla, nel paese di Camat, perché non regnasse più a Gerusalemme; e impose al paese un tributo di cento talenti d’argento e di un talento d’oro. E Faraone Neco fece re Eliachim, figlio di Giosia, al posto di Giosia suo padre, e gli cambiò il nome in quello di Ioiachim; poi, prese Ioacaz e lo condusse in Egitto, dove morì. Ioiachim diede al Faraone l’argento e l’oro; ma, per pagare quel denaro secondo l’ordine del Faraone, tassò il paese, ciascuno in proporzione ai suoi beni. Così ricavò dal popolo del paese l’argento e l’oro da dare al Faraone Neco. Ioiachim aveva venticinque anni quando cominciò a regnare, e regnò undici anni a Gerusalemme. Il nome di sua madre era Zebudda, figlia di Pedaia da Ruma. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, in tutto e per tutto come avevano fatto i suoi padri. Al suo tempo, venne Nabucodonosor re di Babilonia, e Ioiachim gli fu sottomesso per tre anni; poi tornò a ribellarsi. Allora l’Eterno mandò contro Ioiachim schiere di Caldei, di Siri, schiere di Moabiti, schiere di Ammoniti, le mandò contro Giuda per distruggerlo, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato per mezzo dei profeti, suoi servi. Questo avvenne soltanto per ordine dell’Eterno, il quale voleva allontanare Giuda dalla sua presenza, a causa di tutti i peccati che Manasse aveva commesso, e anche a causa del sangue innocente che egli aveva sparso, e di cui aveva riempito Gerusalemme. Per questo l’Eterno non volle perdonare. Il resto delle azioni di Ioiachim, tutto quello che fece, si trova scritto nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Ioiachim si addormentò con i suoi padri, e Ioiachin, suo figlio, regnò al suo posto. Ora il re d’Egitto non uscì più dal suo paese, perché il re di Babilonia aveva preso tutto quello che era stato del re d’Egitto, dal torrente d’Egitto al fiume Eufrate. Ioiachin aveva diciotto anni quando cominciò a regnare, e regnò a Gerusalemme tre mesi. Sua madre si chiamava Neusta, figlia di Elnatan da Gerusalemme. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, in tutto e per tutto come aveva fatto suo padre. In quel tempo, gli ufficiali di Nabucodonosor, re di Babilonia, salirono contro Gerusalemme, e la città fu assediata. E Nabucodonosor, re di Babilonia, giunse davanti alla città mentre la sua gente la stava assediando. Allora Ioiachin, re di Giuda, si recò dal re di Babilonia, con sua madre, i suoi servi, i suoi capi e i suoi eunuchi. E il re di Babilonia lo fece prigioniero, l’ottavo anno del suo regno. E, come l’Eterno aveva predetto, portò via di là tutti i tesori della casa dell’Eterno e i tesori della casa del re, e spezzò tutti gli utensili d’oro che Salomone, re d’Israele, aveva fatto per il tempio dell’Eterno. Deportò tutta Gerusalemme, tutti i capi, tutti gli uomini valorosi, in numero di diecimila prigionieri, e tutti i falegnami e i fabbri; non vi rimase che la parte più povera della popolazione del paese. E deportò Ioiachin a Babilonia; e condusse da Gerusalemme a Babilonia la madre del re, le mogli del re, i suoi eunuchi, i notabili del paese, tutti i guerrieri, in numero di settemila, i falegnami e i fabbri, in numero di mille, tutta gente valorosa e adatta alla guerra. Il re di Babilonia li condusse in esilio a Babilonia. Il re di Babilonia nominò re, al posto di Ioiachin, Mattania, suo zio, al quale cambiò il nome in Sedechia. Sedechia aveva ventun anni quando cominciò a regnare e regnò a Gerusalemme undici anni. Sua madre si chiamava Camutal, figlia di Geremia da Libna. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, in tutto e per tutto come aveva fatto Ioiachim. E, a causa dell’ira dell’Eterno contro Gerusalemme e Giuda, le cose arrivarono al punto che l’Eterno li cacciò via dalla sua presenza. E Sedechia si ribellò al re di Babilonia. Il nono anno del regno di Sedechia, il decimo giorno del decimo mese, Nabucodonosor, re di Babilonia, venne con tutto il suo esercito contro Gerusalemme; si accampò contro di essa, e le costruì attorno delle trincee. La città fu assediata fino all’undicesimo anno del re Sedechia. Il nono giorno del quarto mese, la carestia era grave nella città; non c’era più pane per il popolo del paese. Allora fu aperta una breccia alla città, e tutta la gente di guerra fuggì, di notte, per la via della porta fra le due mura, in prossimità del giardino del re, mentre i Caldei stringevano la città da ogni parte. E il re prese la via della pianura; ma l’esercito dei Caldei lo inseguì, lo raggiunse nelle pianure di Gerico, e tutto il suo esercito si disperse e lo abbandonò. Allora i Caldei presero il re, e lo condussero dal re di Babilonia a Ribla, dove fu pronunciata la sentenza contro di lui. I figli di Sedechia furono uccisi in sua presenza; poi cavarono gli occhi a Sedechia, lo incatenarono con una doppia catena di bronzo e lo portarono a Babilonia. Ora il settimo giorno del quinto mese - era il diciannovesimo anno di Nabucodonosor re di Babilonia - Nebuzaradan, capitano della guardia del corpo, servo del re di Babilonia, giunse a Gerusalemme, e bruciò la casa dell’Eterno e la casa del re, e diede alle fiamme tutte le case di Gerusalemme, tutte le case della gente illustre. Tutto l’esercito dei Caldei, che era con il capitano della guardia, abbatté le mura di Gerusalemme da tutte le parti. Nebuzaradan, capitano della guardia, deportò i superstiti che erano rimasti nella città, i fuggiaschi che si erano arresi al re di Babilonia, e il resto della popolazione. Il capitano della guardia lasciò soltanto alcuni dei più poveri del paese a coltivare le vigne e i campi. I Caldei spezzarono le colonne di bronzo che erano nella casa dell’Eterno, le basi, il mare di bronzo che era nella casa dell’Eterno, e ne portarono via il bronzo a Babilonia. Presero le pentole, le palette, i coltelli, le coppe e tutti gli utensili di bronzo con i quali si faceva il servizio. Il capitano della guardia prese pure i bracieri, le bacinelle: l’oro di ciò che era d’oro, l’argento di ciò che era d’argento. Quanto alle due colonne, al mare e alle basi che Salomone aveva fatto per la casa dell’Eterno, il bronzo di tutti questi oggetti aveva un peso incalcolabile. L’altezza di una di queste colonne era di diciotto cubiti, e c’era su un capitello di bronzo alto tre cubiti; e attorno al capitello c’erano un reticolato e delle melagrane, ogni cosa di bronzo; lo stesso era per la seconda colonna, munita pure di reticolato. Il capitano della guardia prese Seraia, il sommo sacerdote, Sofonia, il secondo sacerdote, e i tre custodi dell’ingresso, e prese nella città un eunuco che comandava la gente di guerra, cinque uomini fra i consiglieri intimi del re che furono trovati nella città, il segretario del capo dell’esercito che arruolava il popolo del paese, e sessanta uomini del popolo del paese, che furono anche loro trovati nella città. Nebuzaradan, capitano della guardia, li prese e li portò dal re di Babilonia a Ribla; e il re di Babilonia li fece uccidere a Ribla, nel paese di Camat. Così il popolo di Giuda fu deportato lontano dal suo paese. Quanto al popolo che rimase nel paese di Giuda, lasciato da Nabucodonosor, re di Babilonia, il re pose a governarli Ghedalia, figlio di Aicam, figlio di Safan. Quando tutti i capitani della gente di guerra e i loro uomini ebbero udito che il re di Babilonia aveva fatto Ghedalia governatore, si recarono da Ghedalia a Mispa: erano Ismael figlio di Netania, Iocanan figlio di Carea, Seraia figlio di Tanumet da Netofa, Iaazania figlio di uno di Maaca, con la loro gente. Ghedalia fece a loro e alla loro gente, un giuramento, dicendo: “Non vi incutano timore i servi dei Caldei; restate nel paese, servite il re di Babilonia, e vi troverete bene”. Ma il settimo mese, Ismael, figlio di Netania, figlio di Elisama, di stirpe reale, venne accompagnato da dieci uomini e colpirono a morte Ghedalia insieme ai Giudei e ai Caldei che erano con lui a Mispa. E tutto il popolo, piccoli e grandi, e i capitani della gente di guerra si alzarono e se ne andarono in Egitto, perché avevano paura dei Caldei. Il trentasettesimo anno della deportazione di Ioiachin, re di Giuda, il ventisettesimo giorno del dodicesimo mese, Evil-Merodac, re di Babilonia, lo stesso anno che cominciò a regnare, fece grazia a Ioiachin, re di Giuda, e lo fece uscire dalla prigione; gli parlò con benevolenza e mise il suo trono più in alto di quello degli altri re che erano con lui a Babilonia. Gli fece cambiare i vestiti di prigione; e Ioiachin mangiò sempre a tavola con lui per tutto il tempo che egli visse: il re provvide continuamente al suo mantenimento quotidiano, finché visse. Adamo, Set, Enos; Chenan, Maalaleel, Iared; Enoc, Metusela, Lamec; Noè, Sem, Cam, e Iafet. Figli di Iafet: Gomer, Magog, Madai, Iavan, Tubal, Mesec e Tiras. Figli di Gomer: Aschenaz, Rifat e Togarma. Figli di Iavan: Elisa, Tarsis, Chittim e Rodanim. Figli di Cam: Cus, Misraim, Put e Canaan. Figli di Cus: Seba, Avila, Sabta, Raama e Sabteca. Figli di Raama: Seba e Dedan. Cus generò Nimrod, che cominciò a essere potente sulla terra. Misraim generò i Ludim, gli Anamim, i Leabim, i Naftuim, i Patrusim, i Casluim (da cui uscirono i Filistei) e i Caftorim. Canaan generò Sidon, suo primogenito, e Chet, e i Gebusei, gli Amorei, i Ghirgasei, gli Ivvei, gli Archei, i Sinei, gli Arvadei, i Semarei e i Camatei. Figli di Sem: Elam, Assur, Arpacsad, Lud e Aram; Uz, Ul, Gheter e Mesec. Arpacsad generò Sela, e Sela generò Eber. A Eber nacquero due figli: il nome di uno fu Peleg, perché ai suoi giorni la terra fu divisa; e il nome di suo fratello fu Ioctan. Ioctan generò Almodad, Selef, Casarmavet, Iera, Adoram, Uzal, Dicla, Ebal, Abimael, Seba, Ofir, Avila e Iobab. Tutti questi furono figli di Ioctan. Sem, Arpacsad, Sela, Eber, Peleg, Reu, Serug, Naor, Tera, Abramo, cioè Abraamo. Figli di Abraamo: Isacco e Ismaele. Questi sono i loro discendenti: il primogenito di Ismaele fu Nebaiot; poi, Chedar, Adbeel, Mibsam, Misma, Duma, Massa, Cadad, Tema, Ietur, Nafis e Chedma. Questi furono i figli di Ismaele. Figli di Chetura, concubina di Abraamo: lei partorì Zimran, Iocsan, Medan, Madian, Isbac e Suac. Figli di Iocsan: Seba e Dedan. Figli di Madian: Efa, Efer, Enoc, Abida ed Eldaa. Tutti questi furono i figli di Chetura. Abraamo generò Isacco. Figli di Isacco: Esaù e Israele. Figli di Esaù: Elifaz, Reuel, Ieus, Ialam e Cora. Figli di Elifaz: Teman, Omar, Sefi, Gatam, Chenaz, Timna e Amalec. Figli di Reuel: Naat, Zerac, Samma e Mizza. Figli di Seit: Lotan, Sobal, Sibeon, Ana, Dison, Eser e Disan. Figli di Lotan: Cori e Omam; e la sorella di Lotan fu Timna. Figli di Sobal: Alvan, Manaat, Ebal, Sefi e Onam. Figli di Sibeon: Aia e Ana. Figli di Ana: Dison. Figli di Dison: Camran, Esban, Itran e Cheran. Figli di Eser: Bilan, Zaavan, Iaacan. Figli di Dison: Uz e Aran. Questi sono i re che regnarono nel paese di Edom prima che alcun re regnasse sui figli d’Israele: Bela, figlio di Beor; e il nome della sua città fu Dinaba. Bela morì e Iobab, figlio di Zerac, di Bosra, regnò al suo posto. Iobab morì, e Cusam, del paese dei Temaniti, regnò al suo posto. Cusam morì, e Cadad, figlio di Bedad, che sconfisse i Madianiti nei campi di Moab, regnò al suo posto; il nome della sua città era Avit. Cadad morì, e Samla, di Masreca, regnò al suo posto. Samla morì, e Saul di Recobot sul fiume, regnò al suo posto. Saul morì, e Baal-Anan, figlio di Acbor, regnò al suo posto. Baal-Anan morì, e Cadad regnò al suo posto. Il nome della sua città fu Pai, e il nome di sua moglie, Meetabeel, figlia di Matred, figlia di Mezaab. E Cadad morì. I capi di Edom furono: il capo Timna, il capo Alva, il capo Ietet, il capo Oolibama, il capo Ela, il capo Pinon, il capo Chenaz, il capo Teman, il capo Mibsar, il capo Magdiel, il capo Iram. Questi sono i capi di Edom. Questi sono i figli d’Israele: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar e Zabulon; Dan, Giuseppe, Beniamino, Neftali, Gad e Ascer. Figli di Giuda: Er, Onan e Sela; questi tre gli nacquero dalla figlia di Sua, la Cananea. Er, primogenito di Giuda, era perverso agli occhi dell’Eterno, e l’Eterno lo fece morire. Tamar, nuora di Giuda, gli partorì Perez e Zerac. Totale dei figli di Giuda: cinque. Figli di Perez: Chesron e Camul. Figli di Zerac: Zimri, Etan, Eman, Calcol e Dara: in tutto, cinque. Figli di Carmi: Acan che sconvolse Israele quando commise un’infedeltà riguardo all’interdetto. Figli di Etan: Azaria. Figli che nacquero a Chesron: Ierameel, Ram e Chelubai. Ram generò Amminadab; Amminadab generò Nason, principe dei figli di Giuda; e Nason generò Salma; e Salma generò Boaz. Boaz generò Obed. Obed generò Isai. Isai generò Eliab, suo primogenito, Abinadab il secondo, Simea il terzo, Netaneel il quarto, Raddai il quinto, Osem il sesto, Davide il settimo. Le loro sorelle erano Seruia e Abigail. Figli di Seruia: Abisai, Ioab e Asael: tre. Abigail partorì Amasa, il cui padre fu Ieter, l’Ismaelita. Caleb, figlio di Chesron, ebbe dei figli da Azuba sua moglie, e da Ieriot. Questi sono i figli che ebbe da Azuba: Ieser, Sobab e Ardon. Azuba morì e Caleb sposò Efrat, che gli partorì Cur. Cur generò Uri, e Uri generò Besaleel. Poi Chesron si unì alla figlia di Machir, padre di Galaad; egli aveva sessant’anni quando la sposò; e lei gli partorì Segub. Segub generò Iair, che ebbe ventitré città nel paese di Galaad. I Ghesuriti e i Siri presero loro i borghi di Iair, Chenat e i villaggi che ne dipendevano, sessanta città. Tutti questi erano figli di Machir, padre di Galaad. Dopo la morte di Chesron, avvenuta a Caleb-Efrata, Abia, moglie di Chesron, gli partorì Asur padre di Tecoa. I figli di Ierameel, primogenito di Chesron, furono: Ram, il primogenito, Buna, Oren e Osem, nati da Aiia. Ierameel ebbe un’altra moglie, di nome Atara, che fu madre di Onam. I figli di Ram, primogenito di Ierameel, furono: Maas, Iamin ed Echer. I figli di Onam furono: Sammai e Iada. Figli di Sammai: Nadab e Abisur. La moglie di Abisur si chiamava Abiail, che gli partorì Aban e Molid. Figli di Nadab: Seled e Appaim. Seled morì senza figli. Figli di Appaim: Isei. Figli di Isei: Sesan. Figli di Sesan: Alai. Figli di Iada, fratello di Sammai: Ieter e Ionatan. Ieter morì senza figli. Figli di Ionatan: Pelet e Zaza. Questi sono i figli di Ierameel. Sesan non ebbe figli, ma soltanto delle figlie. Sesan aveva uno schiavo egiziano di nome Iara. E Sesan diede sua figlia in sposa a Iara, suo schiavo; e lei gli partorì Attai. Attai generò Natan; Natan generò Zabad; Zabad generò Eflal; Eflal generò Obed; Obed generò Ieu; Ieu generò Azaria; Azaria generò Cheles; Cheles generò Elasa; Elasa generò Sismai; Sismai generò Sallum; Sallum generò Iecamia e Iecamia generò Elisama. Figli di Caleb, fratello di Ierameel: Mesa, suo primogenito che fu padre di Zif, e i figli di Maresa, che fu padre di Ebron. Figli di Ebron: Cora, Tappua, Rechem e Sema. Sema generò Raam, padre di Iorcheam, Rechem generò Sammai. Il figlio di Sammai fu Maon; e Maon fu il padre di Bet-Sur. Efa, concubina di Caleb, partorì Aran, Mosa e Gazez. Aran generò Gazez. Figli di Iadai: Reghem, Iotam, Ghesan, Pelet, Efa e Saaf. Maaca, concubina di Caleb, partorì Seber e Tirana. Partorì anche Saaf, padre di Madmanna, Seva, padre di Macbena e padre di Ghibea. La figlia di Caleb era Acsa. Questi furono i figli di Caleb: Ben-Ur, primogenito di Efrata, Sobal, padre di Chiriat-Iearim; Salma, padre di Betlemme; Aref, padre di Bet-Gader. Sobal, padre di Chiriat-Iearim, ebbe per discendenti: Aroe, e la metà di Menucot. Le famiglie di Chiriat-Iearim furono: gli Itrei, i Putei, i Sumatei e i Misraei; dalle cui famiglie derivarono i Soratiti e gli Estaoliti. Figli di Salma: Betlemme e i Netofatei, Attrot-Bet-Ioab, la metà dei Manactei, i Soriti. Le famiglie di scribi che abitavano a Iabes: i Tiratei, gli Simeatei, i Sucatei. Questi sono i Chenei discesi da Cammat, padre della casa di Recab. Questi furono i figli di Davide, che gli nacquero a Ebron: il primogenito fu Amnon, di Ainoam, di Izreel; il secondo fu Daniel, da Abigail, di Carmel; il terzo fu Absalom, figlio di Maaca, figlia di Talmai, re di Ghesur; il quarto fu Adonia, figlio di Agghit; il quinto fu Sefatia, di Abital; il sesto fu Itream, di Egla, sua moglie. Questi sei figli gli nacquero a Ebron. Là regnò sette anni e sei mesi, e in Gerusalemme regnò trentatré anni. E questi furono i figli che gli nacquero a Gerusalemme: Simea, Sobab, Natan, Salomone: quattro figli nati da Bat-Sua, figlia di Ammiel; poi Ibar, Elisama, Elifelet, Noga, Nefeg, Iafia, Elisama, Eliada ed Elifelet, cioè nove figli. Tutti questi furono i figli di Davide, senza contare i figli delle sue concubine. E Tamar era loro sorella. Figli di Salomone: Roboamo, che ebbe per figlio Abiia, che ebbe per figlio Asa, che ebbe per figlio Giosafat, che ebbe per figlio Ioram, che ebbe per figlio Acazia, che ebbe per figlio Ioas, che ebbe per figlio Amasia, che ebbe per figlio Azaria, che ebbe per figlio Iotam, che ebbe per figlio Acaz, che ebbe per figlio Ezechia, che ebbe per figlio Manasse, che ebbe per figlio Amon, che ebbe per figlio Giosia. Figli di Giosia: Iocanan, il primogenito; Ioiachim, il secondo; Sedechia, il terzo; Sallum, il quarto. Figli di Ioiachim: Ieconia, che ebbe per figlio Sedechia. Figli di Ieconia, il prigioniero: suo figlio Sealtiel, e Malchiram, Pedaia, Senasar, Iecamia, Osama e Nedabia. Figli di Pedaia: Zorobabele e Simei. Figli di Zorobabele: Mesullam e Anania, e Selomit, loro sorella; poi Casuba, Oel, Berechia, Casadia, Iusab-Esed, cinque in tutto. Figli di Anania: Pelatia e Isaia, i figli di Refaia, i figli di Arnan, i figli di Abdia, i figli di Secania. Figli di Secania: Semaia. Figli di Semaia: Cattus, Igal, Baria, Nearia e Safat, sei in tutto. Figli di Nearia: Elioenai, Ezechia e Azricam, tre in tutto. Figli di Elioenai: Odaiva, Eliasib, Pelaia, Accub, Iocanan, Delaia e Anani, sette in tutto. Figli di Giuda: Perez, Chesron, Carmi, Cur e Sobal. Reaia, figlio di Sobal, generò Iaat; Iaat generò Aumai e Laad. Queste sono le famiglie dei Soratei. Questi furono i discendenti del padre di Etam: Izreel, Isma e Idbas; la loro sorella si chiamava Aselelponi. Penuel fu padre di Ghedor; ed Ezer, padre di Cusa. Questi sono i figli di Cur, primogenito di Efrata, padre di Betlemme. Asur, padre di Tecoa, ebbe due mogli: Chelea e Naara. Naara gli partorì Auzam, Chefer, Temeni e Aastari. Questi sono i figli di Naara. Figli di Chelea: Seret, Iesocar ed Etnan. Cos generò Anub, Assobeba, e le famiglie di Aarel, figlio di Arum. Iabes fu più onorato dei suoi fratelli; sua madre lo aveva chiamato Iabes, perché, diceva: “L’ho partorito con dolore”. Iabes invocò l’Iddio d’Israele, dicendo: “Oh, se tu mi benedicessi e allargassi i miei confini, e se la tua mano fosse con me e se tu mi preservassi dal male in modo che io non debba soffrire!”. E Dio gli concesse quello che aveva chiesto. Chelub, fratello di Suca generò Meir, che fu padre di Eston. Eston generò Bet-Rafa, Pasea e Teinna, padre di Ir-Naas. Questa è la gente di Reca. Figli di Chenaz: Otniel e Seraia. Figli di Otniel: Catat e Meonotai. Meonotai generò Ofra. Seraia generò Ioab, padre degli abitanti la valle degli artigiani, perché erano artigiani. Figli di Caleb figlio di Gefunne: Iru, Ela e Naam, i figli di Ela e Chenaz. Figli di Ieallelel: Zif, Zifa, Tiria e Asareel. Figli di Esdra: Ieter, Mered, Efer e Ialon. La moglie di Mered partorì Miriam, Sammai e Isba, padre di Estemoa. L’altra sua moglie, la Giudea, partorì Iered, padre di Ghedor, Eber, padre di Soco e Iecutiel, padre di Zanoa. Quelli nominati prima erano figli di Bitia, figlia del Faraone che Mered aveva preso in moglie. Figli della moglie di Odiia, sorella di Naam: il padre di Cheila, il Garmeo, ed Estemoa, il Maacateo. Figli di Simon: Amnon, Rinna, Benanan e Tilon. Figli di Isi: Zozet e Ben-Zoet. Figli di Sela, figlio di Giuda: Er, padre di Leca, Lada, padre di Maresa, le famiglie della casa dove si lavora il bisso di Bet-Asbea, Iochim, e la gente di Cozeba, Ioas e Saraf, che dominarono Moab, e Iasubi-Leem. Ma queste sono cose di antica data. Erano dei vasai e stavano a Netaim e a Ghedera; stavano là presso il re per lavorare al suo servizio. Figli di Simeone: Nemuel, Iamin, Iarib, Zera, Saul, che ebbe per figlio Sallum, che ebbe per figlio Mibsam, che ebbe per figlio Misma. Figli di Misma: Ammuel, che ebbe per figlio Zaccur, che ebbe per figlio Simei. Simei ebbe sedici figli e sei figlie; ma i suoi fratelli non ebbero molti figli; e le loro famiglie non si moltiplicarono quanto quelle dei figli di Giuda. Si stabilirono a Beer-Sceba, a Molada, ad Asar-Sual, a Bila, a Esem, a Tolad, a Betuel, a Corma, a Siclag, a Bet-Marcabot, ad Asar-Susim, a Bet-Biri e a Saaraim. Queste furono le loro città, fino al regno di Davide. Avevano pure i villaggi di Etam, Ain, Rimmon, Tochen e Asan: cinque terre, e tutti i villaggi che erano nei dintorni di quelle città, fino a Baal. Queste furono le loro dimore, ed essi avevano le loro genealogie. Mesobab, Iamlec, Iosa, figlio di Amasia, Ioel, Ieu, figlio di Iosibia, figlio di Seraia, figlio di Asiel, Elioenai, Iaacoba, Iesoaia, Asaia, Adiel, Iesimiel, Benaia, Ziza, figlio di Sifi, figlio di Allon, figlio di Iedaia, figlio di Simri, figlio di Semaia, questi uomini, elencati per nome, erano principi nelle loro famiglie, e le loro case patriarcali si estesero grandemente. Andarono dal lato di Ghedor, fino a oriente della valle, in cerca di pascoli per il loro bestiame. Trovarono pascoli grassi e buoni, e un paese vasto, quieto e tranquillo; poiché quelli che lo abitavano prima erano discendenti di Cam. Questi uomini, ricordati più sopra per nome, giunsero, al tempo di Ezechia, re di Giuda, fecero man bassa delle loro tende e dei Maoniti che si trovavano là, e li votarono allo sterminio, che è durato fino al giorno d’oggi; poi si stabilirono là al loro posto, perché c’era pastura per il bestiame. E una parte di questi figli di Simeone, cinquecento uomini, andarono verso il monte Seir, avendo alla loro testa Pelatia, Nearia, Refaia e Uziel figli di Isi; distrussero i superstiti degli Amalechiti che avevano potuto salvarsi, e si stabilirono là, dove sono rimasti fino al giorno d’oggi. Figli di Ruben, primogenito d’Israele. Egli era il primogenito, ma siccome profanò il letto di suo padre, la sua primogenitura fu data ai figli di Giuseppe, figlio d’Israele. Tuttavia, Giuseppe non fu iscritto nelle genealogie come primogenito. Giuda ebbe la prevalenza tra i suoi fratelli, e da lui è disceso il principe, ma il diritto di primogenitura appartiene a Giuseppe. Figli di Ruben, primogenito d’Israele: Canoc, Pallu, Chesron e Carmi. Figli di Ioel: Semaia, che ebbe per figlio Gog, che ebbe per figlio Simei, che ebbe per figlio Mica, che ebbe per figlio Reaia, che ebbe per figlio Baal, che ebbe per figlio Beera, che Tiglat-Pileser, re di Assiria, deportò. Egli era principe dei Rubeniti. Fratelli di Beera, secondo le loro famiglie, come sono iscritti nelle genealogie secondo le loro generazioni: il primo, Ieiel; poi Zaccaria, Bela, figlio di Azaz, figlio di Sema, figlio di Ioel. Bela dimorava ad Aroer e si estendeva fino a Nebo e a Baal-Meon; a oriente occupava il paese dal fiume Eufrate fino all’entrata del deserto, perché aveva una grande quantità di bestiame nel paese di Galaad. Al tempo di Saul, i discendenti di Bela mossero guerra agli Agareni, che caddero nelle loro mani; ed essi si stabilirono nelle loro tende, su tutto il lato orientale di Galaad. I figli di Gad abitavano di fronte a loro nel paese di Basan, fino a Salca. Ioel fu il primo; Safam, il secondo; poi Ianai e Safat in Basan. I loro fratelli, secondo le loro case patriarcali, furono: Micael, Mesullam, Seba, Iorai, Iacan, Zia ed Eber: sette in tutto. Essi erano figli di Abiail, figlio di Uri, figlio di Iaroa, figlio di Galaad, figlio di Micael, figlio di Iesisai, figlio di Iado, figlio di Buz; Ai, figlio di Abdiel, figlio di Guni, era il capo della loro casa patriarcale. Abitavano nel paese di Galaad e di Basan e nelle città che ne dipendevano, e in tutti i pascoli di Saron fino ai loro limiti estremi. Tutti furono iscritti nelle genealogie al tempo di Iotam, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, re d’Israele. I figli di Ruben, i Gaditi e la mezza tribù di Manasse, che avevano degli uomini valorosi che portavano scudo e spada, tiratori d’arco e addestrati alla guerra, in numero di quarantaquattromilasettecentosessanta, adatti a combattere, mossero guerra agli Agareni, a Ietur, a Nafis e a Nodab. Furono soccorsi combattendo contro di loro, e gli Agareni e tutti quelli che erano con loro furono dati nelle loro mani, perché durante il combattimento essi gridarono a Dio, che li esaudì, perché avevano confidato in lui. Essi presero il bestiame dei vinti: cinquantamila cammelli, duecentocinquantamila pecore, duemila asini, e centomila persone; molti caddero uccisi, perché quella guerra procedeva da Dio. E si stabilirono al loro posto, fino alla cattività. Anche i figli della mezza tribù di Manasse abitarono in quel paese, da Basan fino a Baal-Ermon e a Senir e al monte Ermon. Erano numerosi, e questi sono i capi delle loro case patriarcali: Efer, Isi, Eliel, Azriel, Geremia, Odaiva, Iadiel, uomini forti e valorosi, di grande fama, capi delle loro case patriarcali. Ma furono infedeli all’Iddio dei loro padri, e si prostituirono andando dietro agli dèi dei popoli del paese, che Dio aveva distrutto davanti a loro. E l’Iddio d’Israele eccitò lo spirito di Pul, re di Assiria, e lo spirito di Tiglat-Pileser, re di Assiria; e Tiglat-Pileser deportò i Rubeniti, i Gaditi e la mezza tribù di Manasse, e li trasportò a Calac, ad Cabor, ad Ara e presso il fiume di Gozan, dove sono rimasti fino al giorno d’oggi. Figli di Levi: Ghersom, Cheat e Merari. Figli di Cheat: Amram, Isear, Ebron e Uziel. Figli di Amram: Aaronne, Mosè e Miriam. Figli di Aaronne: Nadab, Abiu, Eleazar e Itamar. Eleazar generò Fineas; Fineas generò Abisua; Abisua generò Bucchi; Bucchi generò Uzzi; Uzzi generò Zeraia; Zeraia generò Meraiot; Meraiot generò Amaria; Amaria generò Aitub; Aitub generò Sadoc; Sadoc generò Aimaas; Aimaas generò Azaria; Azaria generò Iocanan; Iocanan generò Azaria, che esercitò il sacerdozio nella casa che Salomone costruì a Gerusalemme. Azaria generò Amaria; Amaria generò Aitub; Aitub generò Sadoc; Sadoc generò Sallum; Sallum generò Chilchia; Chilchia generò Azaria; Azaria generò Seraia; Seraia generò Ieosadac; Ieosadac se ne andò in esilio quando l’Eterno fece deportare Giuda e Gerusalemme da Nabucodonosor. Figli di Levi: Ghersom, Cheat e Merari. Questi sono i nomi dei figli di Ghersom: Libni e Simei. Figli di Cheat: Amram, Isear, Ebron e Uziel. Figli di Merari: Mali e Musi. Queste sono le famiglie di Levi, secondo le loro case patriarcali. Ghersom ebbe per figlio Libni, che ebbe per figlio Iaat, che ebbe per figlio Zimma, che ebbe per figlio Ioa, che ebbe per figlio Iddo, che ebbe per figlio Zera, che ebbe per figlio Ieatrai. Figli di Cheat: Amminadab, che ebbe per figlio Core, che ebbe per figlio Assir, che ebbe per figlio Elcana, che ebbe per figlio Ebiasaf, che ebbe per figlio Assir, che ebbe per figlio Tacat, che ebbe per figlio Uriel, che ebbe per figlio Uzzia, che ebbe per figlio Saul. Figli di Elcana: Amasai e Aimot, che ebbe per figlio Elcana, che ebbe per figlio Sofai, che ebbe per figlio Naat, che ebbe per figlio Eliab, che ebbe per figlio Ierocam, che ebbe per figlio Elcana. Figli di Samuele: Vasni, il primogenito, e Abia. Figli di Merari: Mali, che ebbe per figlio Libni, che ebbe per figlio Simei, che ebbe per figlio Uzza, che ebbe per figlio Simea, che ebbe per figlio Agghia, che ebbe per figlio Asaia. Questi sono quelli che Davide stabilì per la direzione del canto nella casa dell’Eterno, dopo che l’arca ebbe un luogo di riposo. Essi esercitarono il compito di cantori davanti al tabernacolo, davanti alla tenda di convegno, finché Salomone ebbe costruito la casa dell’Eterno a Gerusalemme; e facevano il loro servizio, secondo la regola loro prescritta. Questi sono quelli che facevano il loro servizio, e questi i loro figli. Dei figli dei Cheatiti: Eman, il cantore, figlio di Ioel, figlio di Samuele, figlio di Elcana, figlio di Ieroam, figlio di Eiel, figlio di Toa, figlio di Suf, figlio di Elcana, figlio di Maat, figlio di Amasai, figlio di Elcana, figlio di Ioel, figlio di Azaria, figlio di Sofonia, figlio di Tacat, figlio di Assir, figlio di Ebiasaf, figlio di Core, figlio di Isear, figlio di Cheat, figlio di Levi, figlio d’Israele. Poi c’era suo fratello Asaf, che stava alla sua destra: Asaf, figlio di Berechia, figlio di Simea, figlio di Micael, figlio di Baaseia, figlio di Malchia, figlio di Etni, figlio di Zera, figlio di Adaia, figlio di Etan, figlio di Zimma, figlio di Simei, figlio di Iaat, figlio di Ghersom, figlio di Levi. I figli di Merari, loro fratelli, stavano a sinistra, ed erano: Etan, figlio di Chisi, figlio di Abdi, figlio di Malluc, figlio di Casabia, figlio di Amasia, figlio di Chilchia, figlio di Amsi, figlio di Bani, figlio di Semer, figlio di Mali, figlio di Musi, figlio di Merari, figlio di Levi. I loro fratelli, i Leviti, erano incaricati di tutto il servizio del tabernacolo della casa di Dio. Ma Aaronne e i suoi figli offrivano i sacrifici sull’altare degli olocausti e l’incenso sull’altare dei profumi, compiendo tutto il servizio nel luogo santissimo, e facendo l’espiazione per Israele, secondo tutto quello che Mosè, servo di Dio, aveva ordinato. Questi sono i figli di Aaronne: Eleazar, che ebbe per figlio Fineas, che ebbe per figlio Abisua, che ebbe per figlio Bucchi, che ebbe per figlio Uzzi, che ebbe per figlio Zeraia, che ebbe per figlio Meraiot, che ebbe per figlio Amaria, che ebbe per figlio Aitub, che ebbe per figlio Sadoc, che ebbe per figlio Aimaas. Questi sono i luoghi delle loro abitazioni, secondo le loro circoscrizioni nei territori loro assegnati. Ai figli di Aaronne della famiglia dei Cheatiti, che furono i primi tirati a sorte, furono dati Ebron, nel paese di Giuda, e la campagna circostante; ma il territorio della città e i suoi villaggi furono dati a Caleb, figlio di Gefunne. Ai figli di Aaronne fu data Ebron, città di rifugio, Libna con la sua campagna, Iattir, Estemoa con la sua campagna, Chilen con la sua campagna, Debir con la sua campagna, Asan con la sua campagna, Bet-Semes con la sua campagna; e della tribù di Beniamino: Gheba e la sua campagna, Allemet con la sua campagna, Anatot con la sua campagna. Le loro città erano tredici in tutto, pari al numero delle loro famiglie. Agli altri figli di Cheat toccarono a sorte dieci città delle famiglie della tribù di Efraim, della tribù di Dan e della mezza tribù di Manasse. Ai figli di Ghersom, secondo le loro famiglie, toccarono tredici città, della tribù di Issacar, della tribù di Ascer, della tribù di Neftali e della tribù di Manasse in Basan. Ai figli di Merari, secondo le loro famiglie, toccarono a sorte dodici città della tribù di Ruben, della tribù di Gad e della tribù di Zabulon. I figli d’Israele diedero ai Leviti quelle città con le loro campagne; diedero in sorte, della tribù dei figli di Giuda, della tribù dei figli di Simeone e della tribù dei figli di Beniamino, le suddette città che furono designate per nome. Quanto alle altre famiglie dei figli di Cheat, le città del territorio assegnato loro appartenevano alla tribù di Efraim. Diedero loro Sichem, città di rifugio, con la sua campagna, nella regione montuosa di Efraim, Ghezer con la sua campagna, Iocmeam con la sua campagna, Bet-Oron con la sua campagna, Aialon con la sua campagna, Gat-Rimmon con la sua campagna; e della mezza tribù di Manasse, Aner con la sua campagna, Bileam con la sua campagna. Queste furono le città date alle famiglie degli altri figli di Cheat. Ai figli di Ghersom toccarono: della famiglia della mezza tribù di Manasse, Golan in Basan con la sua campagna, e Astarot con la sua campagna; della tribù di Issacar, Chedes con la sua campagna, Dobrat con la sua campagna; Ramot con la sua campagna, e Anem con la sua campagna; della tribù di Ascer: Masal con la sua campagna, Abdon con la sua campagna, Cucoc con la sua campagna, Reob con la sua campagna; della tribù di Neftali: Chedes in Galilea con la sua campagna, Cammon con la sua campagna, e Chiriataim con la sua campagna. Al rimanente dei Leviti, ai figli di Merari, toccarono: della tribù di Zabulon, Rimmon con la sua campagna e Tabor con la sua campagna; e di là dal Giordano di Gerico, a oriente del Giordano: della tribù di Ruben, Beser, nel deserto, con la sua campagna; Iasa con la sua campagna, Chedemot con la sua campagna, e Mefaat con la sua campagna; e della tribù di Gad: Ramot in Galaad, con la sua campagna, Maanaim con la sua campagna, Chesbon con la sua campagna, e Iaezer con la sua campagna. Figli di Issacar: Tola, Pua, Iasub e Simron: quattro in tutto. Figli di Tola: Uzzi, Refaia, Ieriel, Iamai, Ibsam e Samuele, capi delle case patriarcali discese da Tola; ed erano uomini forti e valorosi nelle loro generazioni; il loro numero, al tempo di Davide, era di ventiduemilaseicento. Figli di Uzzi: Izraia. Figli di Izraia: Micael, Abdia, Ioel e Issia: cinque in tutto, e tutti capi. Avevano con loro, secondo le loro genealogie, secondo le loro case patriarcali, trentaseimila uomini in schiere armate per la guerra; perché avevano molte mogli e molti figli. I loro fratelli, contando tutte le famiglie di Issacar, uomini forti e valorosi, formavano un totale di ottantasettemila, iscritti nelle genealogie. Figli di Beniamino: Bela, Becher e Iediael: tre in tutto. Figli di Bela: Esbon, Uzzi, Uzziel, Ierimot e Iri: cinque capi di case patriarcali, uomini forti e valorosi, iscritti nelle genealogie in numero di ventiduemilatrentaquattro. Figli di Becher: Zemira, Ioas, Eliezer, Elioenai, Omri, Ieremot, Abiia, Anatot e Alemet. Tutti questi erano figli di Becher, e iscritti nelle genealogie, secondo le loro generazioni, come capi di case patriarcali, uomini forti e valorosi, in numero di ventimiladuecento. Figli di Iediael: Bilan. Figli di Bilan: Ieus, Beniamino, Eud, Chenaana, Zetan, Tarsis e Aisaar. Tutti questi erano figli di Iediael, capi di case patriarcali, uomini forti e valorosi, in numero di diciassettemiladuecento pronti a partire per la guerra. Suppim e Cuppim, figli di Ir; Cusim, figlio di Acher. Figli di Neftali: Iacasiel, Guni, Ieser, Sallum, figli di Bila. Figli di Manasse: Asriel, che gli fu partorito dalla moglie. La sua concubina sira partorì Machir, padre di Galaad; Machir prese in moglie una donna di Cuppim e di Suppim, e sua sorella si chiamava Maaca. Il nome del suo secondo figlio era Selofead; e Selofead ebbe delle figlie. Maaca, moglie di Machir, partorì un figlio che chiamò Perez; questi ebbe un fratello di nome Seres, i cui figli furono Ulam e Rechem. Figli di Ulam: Bedan. Questi furono i figli di Galaad, figlio di Machir, figlio di Manasse. Sua sorella Ammolechet partorì Isod, Abiezer e Mala. I figli di Semida furono Aian, Sechem, Lichi e Aniam. Figli di Efraim: Sutela, che ebbe per figlio Bered, che ebbe per figlio Taat, che ebbe per figlio Eleada, che ebbe per figlio Taat, che ebbe per figlio Zabad, che ebbe per figlio Sutela, Ezer ed Elead, i quali furono uccisi dagli uomini di Gat, nativi del paese, perché erano scesi a depredare il loro bestiame. Efraim, loro padre, li pianse per molto tempo, e i suoi fratelli vennero a consolarlo. Poi si unì a sua moglie, la quale concepì e partorì un figlio; ed egli lo chiamò Beria, perché questo era avvenuto mentre aveva l’afflizione in casa. Efraim ebbe per figlia Seera, che costruì Bet-Oron, inferiore e superiore, e Uzzen-Seera. Ebbe ancora per figli: Refa e Resef; il quale Refa ebbe per figlio Tela, che ebbe per figlio Taan, che ebbe per figlio Ladan, che ebbe per figlio Ammiud, che ebbe per figlio Elisama, che ebbe per figlio Nun, che ebbe per figlio Giosuè. Le loro proprietà e abitazioni furono Betel e le città che ne dipendevano; dalla parte d’oriente, Naaran; da occidente, Ghezer con le città che ne dipendevano, Sichem con le città che ne dipendevano, fino a Gaza con le città che ne dipendevano. I figli di Manasse possedevano: Bet-Sean e le città che ne dipendevano, Taanac e le città che ne dipendevano, Meghiddo e le città che ne dipendevano, Dor e le città che ne dipendevano. In queste città abitarono i figli di Giuseppe, figlio d’Israele. Figli di Ascer: Imna, Isva, Isvi, Beria, e Sera, loro sorella. Figli di Beria: Eber e Malchiel. Malchiel fu padre di Birzavit. Eber generò Iaflet, Somer, Otam e Sua, loro sorella. Figli di Iaflet: Pasac, Bimal e Asvat. Questi sono i figli di Iaflet. Figli di Semer: Ai, Roega, Gecubba e Aram. Figli di Chelem, suo fratello: Sofa, Imna, Seles e Amal. Figli di Sofa: Sua, Carnefer, Sual, Beri, Imra, Beser, Od, Samma, Silsa, Itran e Beera. Figli di Ieter: Gefunne, Pispa e Ara. Figli di Ulla: Ara, Canniel e Risia. Tutti questi furono figli di Ascer, capi di case patriarcali, uomini scelti, forti e valorosi capi tra i principi, iscritti per il servizio militare in numero di ventiseimila uomini. Beniamino generò Bela, suo primogenito, Asbel il secondo, Aara il terzo, Noa il quarto, e Rafa il quinto. I figli di Bela furono: Addar, Ghera, Abiud, Abisua, Naaman, Aoa, Ghera, Sefufan e Curam. Questi sono i figli di Eud, che erano capi delle famiglie che abitavano Gheba e che furono trasportati schiavi a Manacat. Egli generò Naaman, Aiia e Ghera, che li deportò; e generò Uzza e Aiud. Saaraim ebbe dei figli nella terra di Moab dopo che ebbe ripudiato le sue mogli Cusim e Baara. Da Codes sua moglie ebbe: Iobab, Sibia, Mesa, Malcam, Ieus, Sochia e Mirma. Questi furono i suoi figli, capi di famiglie patriarcali. Da Cusim ebbe: Abitub ed Elpaal. Figli di Elpaal: Eber, Misam, Semed, che costruì Ono, Lod, e le città che ne dipendevano. Beria e Sema, erano i capi delle famiglie che abitavano Aialon, e misero in fuga gli abitanti di Gat. Aio, Sasac, Ieremot, Zebadia, Arad, Eder, Micael, Ispa, Ioa erano figli di Beria. Zebadia, Mesullam, Chizchi, Eber, Ismerai, Izlia e Iobab erano figli di Elpaal. Iachim, Zicri, Zabdi, Elienai, Silletai, Eliel, Adaia, Beraia e Simrat erano figli di Simei. Ispan, Eber, Eliel, Abdon, Zicri, Canan, Anania, Elam, Antotiia, Ifdeia e Penuel erano figli di Sasac. Samserai, Secaria, Atalia, Iaaresia, Eliia e Zicri erano figli di Ieroam. Questi erano capi di famiglie patriarcali: capi secondo le loro generazioni; e abitavano a Gerusalemme. Il padre di Gabaon abitava a Gabaon, e sua moglie si chiamava Maaca. Suo figlio primogenito fu Abdon; poi ebbe Sur, Chis, Baal, Nadab, Ghedor, Aio, Zecher. Miclot generò Simea. Anche questi abitarono di fronte ai loro fratelli a Gerusalemme con i loro fratelli. Ner generò Chis; Chis generò Saul; Saul generò Gionatan, Malchisua, Abinadab, Esbaal. Figli di Gionatan: Merib-Baal. Merib-Baal generò Mica. Figli di Mica: Piton, Melec, Taarea, Aaz. Aaz generò Ieoadda; Ieoadda generò Alemet, Azmavet e Zimri; Zimri generò Mosa; Mosa generò Binea, che ebbe per figlio Rafa, che ebbe per figlio Eleasa, che ebbe per figlio Asel. Asel ebbe sei figli, dei quali questi sono i nomi: Azricam, Bocru, Ismael, Searia, Obadia e Canan. Tutti questi erano figli di Asel. Figli di Esec suo fratello: Ulam, il suo primogenito; Ieus il secondo, ed Elifelet il terzo. I figli di Ulam furono uomini forti e valorosi, tiratori d’arco; ebbero molti figli e nipoti: centocinquanta. Tutti questi furono discendenti di Beniamino. Tutti gli Israeliti furono registrati nelle genealogie, e si trovano iscritti nel libro dei re d’Israele. Giuda fu deportato a Babilonia, a causa delle sue infedeltà. I primi abitanti che si stabilirono nelle loro proprietà e nelle loro città, erano Israeliti, sacerdoti, Leviti e Netinei. A Gerusalemme si stabilirono dei figli di Giuda, dei figli di Beniamino, e dei figli di Efraim e di Manasse. Dei figli di Perez, figlio di Giuda: Utai, figlio di Ammiud, figlio di Omri, figlio di Imri, figlio di Bani. Dei Siloniti: Asaia il primogenito, e i suoi figli. Dei figli di Zera: Ieuel e i suoi fratelli, seicentonovanta in tutto. Dei figli di Beniamino: Sallu, figlio di Mesullam, figlio di Odaiva, figlio di Assenua; Ibneia, figlio di Ieroam; Ela, figlio di Uzzi, figlio di Micri; Mesullam, figlio di Sefatia, figlio di Reuel, figlio di Ibnia; e i loro fratelli, secondo le loro generazioni, novecentocinquantasei in tutto. Tutti questi erano capi delle rispettive case patriarcali. Dei sacerdoti: Iedaia, Ieoiarib, Iachin, Azaria, figlio di Chilchia, figlio di Mesullam, figlio di Sadoc, figlio di Meraiot, figlio di Aitub, preposto alla casa di Dio, Adaia, figlio di Ieroam, figlio di Pasur, figlio di Malchia; Maesai, figlio di Adiel, figlio di Iazera, figlio di Mesullam, figlio di Mesillemit, figlio di Immer; e i loro fratelli, capi delle rispettive case patriarcali: millesettecentosessanta, uomini abilissimi, occupati a svolgere il servizio della casa di Dio. Dei Leviti: Semaia, figlio di Cassub, figlio di Azricam, figlio di Casabia, dei figli di Merari; Bacbaccar, Cheres, Galal, Mattania, figlio di Mica, figlio di Zicri, figlio di Asaf; Obadia, figlio di Semaia, figlio di Galal, figlio di Iedutun; Berechia, figlio di Asa, figlio di Elcana, che abitava nei villaggi dei Netofatiti. Dei portinai: Sallum, Accub, Talmon, Aiman e i loro fratelli; Sallum era il capo, e tale è rimasto fino al giorno d’oggi, alla porta del re che è a oriente. Essi sono quelli che furono i portieri dell’accampamento dei figli di Levi. Sallum, figlio di Core, figlio di Ebiasaf, figlio di Corac, e i suoi fratelli, i Corachiti, della casa di suo padre, erano preposti all’opera del servizio, come custodi delle porte del tabernacolo; i loro padri erano stati preposti all’accampamento dell’Eterno per custodirne l’entrata; Fineas, figlio di Eleazar, era stato anticamente loro capo; e l’Eterno era con lui. Zaccaria, figlio di Meselemia, era portiere all’ingresso della tenda di convegno. Tutti questi che furono scelti per essere custodi alle porte erano in numero di duecentododici, ed erano iscritti nelle genealogie secondo i loro villaggi. Davide e Samuele il veggente li avevano stabiliti nel loro compito. Essi e i loro figli erano preposti alla custodia delle porte della casa dell’Eterno, cioè della casa del tabernacolo. C’erano dei portinai ai quattro lati: a oriente, a occidente, a settentrione e a meridione. I loro fratelli, che abitavano nei loro villaggi, dovevano di tanto in tanto venire a stare dagli altri, per sette giorni; poiché i quattro capi portinai, Leviti, erano sempre in funzione, avevano anche la sorveglianza delle camere e dei tesori della casa di Dio, e passavano la notte intorno alla casa di Dio, perché avevano l’incarico di custodirla e a loro spettava aprirla tutte le mattine. Alcuni di loro dovevano prendersi cura degli arredi del culto, che essi contavano quando si portavano nel tempio e quando si riportavano fuori. Altri avevano l’incarico di custodire gli utensili, tutti i vasi sacri, il fior di farina, il vino, l’olio, l’incenso e gli aromi. Quelli che preparavano i profumi aromatici erano figli di sacerdoti. Mattitia, uno dei Leviti, primogenito di Sallum il Corachita, aveva l’incarico di badare alle cose che si dovevano cuocere sulla piastra. Alcuni dei loro fratelli, tra i Cheatiti, erano incaricati di preparare i pani della presentazione per ogni sabato. Questi sono i cantori, capi delle famiglie leviti che abitavano nelle camere del tempio ed erano esenti da ogni altro servizio, perché il loro compito li teneva occupati giorno e notte. Questi sono i capi delle famiglie levitiche, capi secondo le loro generazioni; essi stavano a Gerusalemme. A Gabaon abitavano Ieiel, padre di Gabaon, la cui moglie si chiamava Maaca, Abdon, suo figlio primogenito, Sur, Chis, Baal, Ner, Nadab, Ghedor, Aio, Zaccaria e Miclot. Miclot generò Simeam. Anche loro abitavano di fronte ai loro fratelli a Gerusalemme con i loro fratelli. Ner generò Chis; Chis generò Saul; Saul generò Gionatan, Malchisua, Abinadab ed Esbaal. Il figlio di Gionatan fu Merib-Baal, e Merib-Baal generò Mica. Figli di Mica: Piton, Melec, Taarea e Aaz. Aaz generò Iara; Iara generò Alemet, Azmavet e Zimri. Zimri generò Mosa. Mosa generò Binea, che ebbe per figlio Refaia, che ebbe per figlio Eleasa, che ebbe per figlio Asel. Asel ebbe sei figli, dei quali questi sono i nomi: Azricam, Bocru, Ismaele, Searia, Obadia e Canan. Questi sono i figli di Asel. I Filistei combatterono contro Israele, e gli Israeliti fuggirono davanti ai Filistei, e caddero uccisi in gran numero sul monte Ghilboa. I Filistei inseguirono accanitamente Saul e i suoi figli, e uccisero Gionatan, Abinadab e Malchisua, figli di Saul. Il culmine della battaglia si scatenò contro Saul; gli arcieri lo raggiunsero, e lui si trovò in grande angoscia a causa degli arcieri. Allora Saul disse al suo scudiero: “Sfodera la spada e trafiggimi, affinché questi incirconcisi non vengano a trafiggermi e a farmi oltraggio”. Ma lo scudiero non volle farlo, perché era preso da grande paura. Allora Saul prese la propria spada e vi si gettò sopra. Lo scudiero di Saul, vedendolo morto, si gettò anche lui sulla propria spada e morì. Così morirono Saul e i suoi tre figli; tutta la sua casa morì nello stesso tempo. Tutti gli Israeliti che abitavano nella valle, quando videro che la gente d’Israele si era data alla fuga e che Saul e i suoi figli erano morti, abbandonarono le loro città, e fuggirono; e i Filistei andarono ad abitarle. L’indomani i Filistei vennero a spogliare gli uccisi, e trovarono Saul e i suoi figli caduti sul monte Ghilboa. Spogliarono Saul e portarono via la sua testa e le sue armi, e mandarono in tutto il paese dei Filistei ad annunciare la buona notizia ai loro idoli e al popolo; collocarono le sue armi nella casa del loro dio, e inchiodarono il suo teschio nel tempio di Dagon. Tutta la gente di Iabes di Galaad udì tutto quello che i Filistei avevano fatto a Saul, e tutti gli uomini valorosi si alzarono, presero il cadavere di Saul e i cadaveri dei suoi figli, e li portarono a Iabes; seppellirono le loro ossa sotto alla tamerice di Iabes, e digiunarono per sette giorni. Così morì Saul, a causa dell’infedeltà che aveva commesso contro l’Eterno, perché non aveva osservato la parola dell’Eterno, e anche perché aveva interrogato e consultato quelli che evocano gli spiriti, mentre non aveva consultato l’Eterno. E l’Eterno lo fece morire, e trasferì il regno a Davide, figlio di Isai. Allora tutto Israele si radunò presso Davide a Ebron, e gli disse: “Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Anche in passato quando Saul era re, eri tu che guidavi e riconducevi Israele; e l’Eterno, il tuo Dio, ti ha detto: ‘Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai il principe del mio popolo Israele’”. Tutti gli anziani d’Israele andarono dunque dal re a Ebron, e Davide fece alleanza con loro a Ebron in presenza dell’Eterno; e unsero Davide come re d’Israele, secondo la parola che l’Eterno aveva pronunciato per mezzo di Samuele. Davide con tutto Israele si mosse contro Gerusalemme, che è Gebus, dove c’erano i Gebusei, abitanti del paese. E gli abitanti di Gebus dissero a Davide: “Tu non entrerai qui”. Ma Davide prese la fortezza di Sion che è la città di Davide. Davide aveva detto: “Chiunque colpirà per primo i Gebusei, sarà capo e principe”. E Ioab, figlio di Seruia, salì per primo, e fu fatto capo. Davide abitò nella fortezza, e per questo fu chiamata “la città di Davide”. E fece costruzioni intorno alla città, cominciando da Millo e per tutto il suo perimetro; e Ioab riparò il resto della città. Davide diventava sempre più grande, e l’Eterno degli eserciti era con lui. Questi sono i capi dei valorosi guerrieri che furono al servizio di Davide, e che lo aiutarono con tutto Israele ad assicurare il suo dominio per stabilirlo re, secondo la parola dell’Eterno riguardo a Israele. Questa è la lista dei valorosi guerrieri che furono al servizio di Davide: Iasobeam, figlio di un Acmonita, capo dei principali ufficiali; egli impugnò la lancia contro trecento uomini, che uccise in un solo scontro. Dopo di lui veniva Eleazar, figlio di Dodo, l’Aoita, uno dei tre valorosi guerrieri. Egli era con Davide a Pass-Dammin, dove i Filistei si erano radunati per combattere. Là c’era un campo pieno d’orzo; e il popolo fuggiva davanti ai Filistei. Ma quelli si piantarono in mezzo al campo, lo difesero e sconfissero i Filistei; e l’Eterno concesse loro una grande vittoria. Tre dei trenta capi scesero sulla roccia, presso Davide, nella caverna di Adullam, mentre l’esercito dei Filistei era accampato nella valle di Refaim. Davide era allora nella fortezza, e c’era un presidio di Filistei a Betlemme. Davide ebbe un desiderio, e disse: “Oh, se qualcuno mi desse da bere dell’acqua del pozzo che è vicino alla porta di Betlemme!”. E quei tre si aprirono un varco attraverso il campo filisteo, attinsero dell’acqua dal pozzo di Betlemme, vicino alla porta; la presero con sé e la presentarono a Davide, il quale però non ne volle bere, ma la sparse davanti all’Eterno, dicendo: “Mi guardi Iddio dal fare una cosa simile! Berrei il sangue di questi uomini, che sono andati là a rischio della loro vita? Perché l’hanno portata a rischio della loro vita”. E non la volle bere. Questo fecero quei tre prodi. Abisai, fratello di Ioab, fu il capo di altri tre. Egli impugnò la lancia contro trecento uomini, e li uccise; e fu famoso fra i tre. Fu il più illustre dei tre della seconda serie, e fu costituito loro capo; tuttavia non giunse a eguagliare i primi tre. Poi veniva Benaia, figlio di Ieoiada, figlio di un uomo di Cabseel, valoroso e celebre per le sue prodezze. Egli uccise i due grandi eroi di Moab. Scese anche in mezzo a una cisterna, dove uccise un leone, in un giorno di neve. Uccise pure un Egiziano di statura enorme, alto cinque cubiti, che teneva in mano una lancia grossa come un subbio da tessitore; ma Benaia gli scese contro con un bastone, strappò la lancia dalla mano dell’Egiziano, e se ne servì per ucciderlo. Questo fece Benaia, figlio di Ieoiada; e fu famoso fra i tre prodi. Fu il più illustre dei trenta; tuttavia non giunse a eguagliare i primi tre. E Davide lo ammise nel suo consiglio. Poi c’erano questi uomini, forti e valorosi: Asael, fratello di Ioab; Elanan, figlio di Dodo da Betlemme; Sammot da Aror; Cheles da Palon; Ira, figlio di Icches, da Tecoa; Abiezer da Anatot; Sibbecai da Cusa; Ilai da Aoa; Maarai da Netofa; Cheled, figlio di Baana, da Netofa; Itai, figlio di Ribai, da Ghibea dei figli di Beniamino; Benaia da Piraton; Curai da Nacale-Gaas; Abiel da Arbat; Azmavet da Baarum; Eliaba da Saalbon; Bene-Asem da Ghizon; Ionatan, figlio di Saghè, da Arar; Achiam, figlio di Sacar, da Arar; Elifal, figlio di Ur; Chefer da Mechera; Achia da Palon; Esro da Carmel; Naarai, figlio di Ezbai; Ioel, fratello di Natan; Mibar, figlio di Agri; Selec, l’Ammonita; Naarai da Berot, scudiero di Ioab figlio di Seruia. Ira da Ieter; Gareb da Ieter; Uria, l’Ittita; Zabad, figlio di Alai; Adina, figlio di Siza, il Rubenita, capo dei Rubeniti, e altri trenta con lui. Canan, figlio di Maaca; Iosafat da Mitni; Uzzia da Astarot; Sama e Ieiel, figli di Otam, da Aroer; Iediael, figlio di Simri; Ioa, suo fratello, il Tisita; Eliel da Maavim; Ieribai e Iosavia, figli di Elnaam; Itma, il Moabita; Eliel, Obed e Iaasiel, il Mesobaita. Questi sono coloro che andarono da Davide a Siclag, mentre egli era ancora fuggiasco per timore di Saul, figlio di Chis; essi facevano parte dei prodi che gli prestarono aiuto durante la guerra. Erano armati di arco, abili a lanciare sassi e a tirare frecce tanto con la destra quanto con la sinistra; erano della tribù di Beniamino, dei fratelli di Saul. Il capo Aiezer e Ioas, figli di Semaa, da Ghibea; Ieziel e Pelet, figli di Azmavet; Beraca; Ieu da Anatot; Ismaia da Gabaon, valoroso fra i trenta e capo dei trenta; Geremia; Iaaziel; Iocanan; Iozabad da Ghedera; Eluzai; Ierimot; Bealia; Semaria; Sefatia da Carif; Elcana; Isia; Azareel; Ioezer e Iasobeam, Corachiti; Ioela e Zebadia, figli di Ieroam, da Ghedor; alcuni uomini, fra i Gaditi, partirono per recarsi da Davide nella fortezza del deserto: erano uomini forti e valorosi, esercitati alla guerra, che sapevano maneggiare scudo e lancia: dalle facce leonine e veloci come gazzelle sui monti. Ezer era il capo; Obadia, il secondo; Eliab, il terzo; Mismanna, il quarto; Geremia, il quinto; Attai, il sesto; Eliel, il settimo; Iocanan, l’ottavo; Elzabad, il nono; Geremia, il decimo; Macbannai, l’undicesimo. Questi erano dei figli di Gad, capi dell’esercito; il più piccolo ne comandava cento; il più grande, mille. Questi sono quelli che passarono il Giordano il primo mese quando era straripato dappertutto, e misero in fuga tutti gli abitanti delle valli, a oriente e a occidente. Anche dei figli di Beniamino e di Giuda andarono da Davide, nella fortezza. Davide uscì loro incontro, e si rivolse a loro, dicendo: “Se venite da me con il buon proposito di soccorrermi, il mio cuore sarà unito con il vostro; ma se venite per tradirmi e darmi nelle mani dei miei avversari, mentre io non commetto nessuna violenza, l’Iddio dei nostri padri lo veda, e faccia egli giustizia!”. Allora lo Spirito investì Amasai, capo dei trenta, che esclamò: “Noi siamo tuoi, o Davide; e siamo con te, o figlio di Isai! Pace, pace a te, e pace a quelli che ti soccorrono, poiché il tuo Dio ti soccorre!”. Allora Davide li accolse, e li fece capi delle sue schiere. Anche degli uomini di Manasse passarono a Davide, quando questi andò con i Filistei a combattere contro Saul; ma Davide e i suoi uomini non furono di alcun aiuto ai Filistei; poiché i principi dei Filistei, dopo essersi consultati, mandarono indietro Davide, dicendo: “Egli passerebbe dalla parte del suo signore Saul, a prezzo delle nostre teste”. Quando egli tornò a Siclag, questi furono quelli di Manasse, che passarono a lui: Adna, Iozabad, Iediael, Micael, Iozabad, Eliù, Silletai, capi di migliaia nella tribù di Manasse. Questi uomini diedero aiuto a Davide contro le bande dei predoni, perché erano tutti uomini forti e valorosi; e furono costituiti capi nell’esercito. Ogni giorno veniva gente da Davide per soccorrerlo: così tanta, che si formò un esercito grande come un esercito di Dio. Questo è il numero degli uomini armati per la guerra, che si recarono da Davide a Ebron per trasferire a lui l’autorità regale di Saul, secondo l’ordine dell’Eterno. Figli di Giuda, che portavano scudo e lancia, seimilaottocento, armati per la guerra. Dei figli di Simeone, uomini forti e valorosi in guerra, settemilacento. Dei figli di Levi, quattromilaseicento; e Ieoiada, principe della famiglia di Aaronne, e con lui tremilasettecento uomini; Sadoc, giovane forte e valoroso, e la sua casa patriarcale, che contava ventidue capi. Dei figli di Beniamino, fratelli di Saul, tremila; poiché la maggior parte di essi fino allora era rimasta fedele alla casa di Saul. Dei figli di Efraim, ventimilaottocento: uomini forti e valorosi, gente di grande fama, divisi secondo le loro case patriarcali. Della mezza tribù di Manasse, diciottomila che furono designati per nome, per andare a proclamare re Davide. Dei figli di Issacar, capaci di capire i tempi, in modo da sapere quello che Israele doveva fare, duecento capi e tutti i loro fratelli sotto i loro ordini. Di Zabulon, cinquantamila, adatti a servire, equipaggiati per il combattimento di tutte le armi da guerra, e pronti a impegnare l’azione con cuore risoluto. Di Neftali, mille capi, e con essi trentasettemila uomini armati di scudo e lancia. Dei Daniti, armati per la guerra, ventottomilaseicento. Di Ascer, adatti a servire, e pronti a ordinarsi in battaglia, quarantamila. E di là dal Giordano, dei Rubeniti, dei Gaditi e della mezza tribù di Manasse, equipaggiati per il combattimento di tutte le armi da guerra, centoventimila. Tutti questi uomini, gente di guerra, pronti a ordinarsi in battaglia, giunsero a Ebron, con sincerità di cuore, per proclamare Davide re sopra tutto Israele; e anche tutto il rimanente d’Israele era unanime per fare re Davide. Essi rimasero là tre giorni con Davide a mangiare e a bere, perché i loro fratelli avevano preparato per loro dei viveri. Anche quelli che erano loro vicini, e perfino gente da Issacar, da Zabulon e da Neftali, portavano dei viveri sopra asini, sopra cammelli, sopra muli e buoi: farina, fichi secchi, uva secca, vino, olio, buoi e pecore in abbondanza; perché c’era gioia in Israele. Davide tenne consiglio con i capi di migliaia e di centinaia, cioè con tutti i principi del popolo, poi disse a tutta la comunità d’Israele: “Se vi sembra bene, e se l’Eterno, il nostro Dio, lo approva, mandiamo dappertutto a dire ai nostri fratelli che sono rimasti in tutte le regioni d’Israele, e così pure ai sacerdoti e ai Leviti nelle loro città e nelle loro campagne, che si uniscano a noi; e riconduciamo qui da noi l’arca del nostro Dio; poiché non ce ne siamo occupati ai tempi di Saul”. E tutta l’assemblea rispose che si facesse così, poiché la cosa sembrò buona agli occhi di tutto il popolo. Davide dunque radunò tutto Israele dal Sicor d’Egitto fino all’ingresso di Camat, per ricondurre l’arca di Dio da Chiriat-Iearim. Davide, con tutto Israele, salì verso Baala, cioè verso Chiriat-Iearim, che appartiene a Giuda, per trasferire di là l’arca di Dio, davanti alla quale è invocato il nome dell’Eterno, che siede su di essa fra i cherubini. Posero l’arca di Dio sopra un carro nuovo, portandola via dalla casa di Abinadab; e Uzza e Aio conducevano il carro. Davide e tutto Israele festeggiavano a tutta forza davanti a Dio, cantando e suonando cetre, saltèri, timpani, cembali e trombe. Quando giunsero all’aia di Chidon, Uzza stese la mano per reggere l’arca, perché i buoi la facevano inclinare. L’ira dell’Eterno si accese contro Uzza, e l’Eterno lo colpì per avere steso la mano sull’arca; e Uzza morì là davanti a Dio. Davide si rattristò perché l’Eterno aveva fatto una breccia nel popolo, colpendo Uzza; e quel luogo è stato chiamato Perez-Uzza fino a oggi. In quel giorno Davide ebbe paura di Dio e disse: “Come farò a portare a casa mia l’arca di Dio?”. Davide non ritirò l’arca presso di sé, nella città di Davide, ma la fece portare in casa di Obed-Edom di Gat. L’arca di Dio rimase tre mesi dalla famiglia di Obed-Edom, in casa sua; e l’Eterno benedisse la casa di Obed-Edom e tutto quello che gli apparteneva. Chiram, re di Tiro, inviò a Davide dei messaggeri, del legno di cedro, dei muratori e dei falegnami, per costruirgli una casa. Allora Davide riconobbe che l’Eterno lo stabiliva saldamente come re d’Israele, perché la sua dignità reale era grandemente esaltata per amore d’Israele, del popolo di Dio. Davide prese ancora delle mogli a Gerusalemme, e generò ancora figli e figlie. Questi sono i nomi dei figli che gli nacquero a Gerusalemme: Sammua, Sobab, Natan, Salomone, Ibar, Elisua, Elpelet, Noga, Nefeg, Iafia, Elisama, Beeliada ed Elifelet. Quando i Filistei ebbero udito che Davide era stato unto re di tutto Israele, salirono tutti in cerca di lui; Davide lo seppe e uscì incontro a loro. I Filistei giunsero e si sparsero per la valle dei Refaim. Allora Davide consultò Dio, dicendo: “Salirò contro i Filistei? Li darai nelle mie mani?”. L’Eterno gli rispose: “Sali, e io li darò nelle tue mani”. I Filistei dunque salirono a Baal-Perasim, dove Davide li sconfisse, e disse: “Iddio ha infranto i miei nemici per mano mia come quando le acque rompono le dighe”. Perciò quel luogo fu chiamato Baal-Perasim. I Filistei lasciarono là i loro dèi, che per ordine di Davide, furono dati alle fiamme. Poi i Filistei tornarono a spargersi per quella valle. E Davide consultò di nuovo Dio; e Dio gli disse: “Non salire dietro a loro, allontanati e giragli intorno, e giungerai su di essi dal lato dei gelsi. E quando udrai un rumore di passi tra le vette dei gelsi, esci subito all’attacco, perché Dio marcerà alla tua testa per sconfiggere l’esercito dei Filistei”. Davide fece come Dio gli aveva comandato, e gli Israeliti sconfissero l’esercito dei Filistei da Gabaon a Ghezer. E la fama di Davide si sparse per tutti i paesi, e l’Eterno fece in modo che egli incutesse spavento a tutte le genti. Davide si costruì delle case nella città di Davide; preparò un luogo per l’arca di Dio, ed eresse una tenda per essa. Allora Davide disse: “Nessuno deve portare l’arca di Dio tranne i Leviti; perché l’Eterno ha scelto loro per portare l’arca di Dio, e per essere suoi ministri per sempre”. Davide convocò tutto Israele a Gerusalemme per trasportare l’arca dell’Eterno al luogo che lui le aveva preparato. Davide radunò pure i figli di Aaronne e i Leviti: dei figli di Cheat, Uriel, il capo, e i suoi fratelli: centoventi; dei figli di Merari, Asaia, il capo, e i suoi fratelli: duecentoventi; dei figli di Ghersom, Ioel, il capo, e i suoi fratelli: centotrenta; dei figli di Elisafan, Semaia, il capo, e i suoi fratelli: duecento; dei figli di Ebron, Eliel, il capo, e i suoi fratelli: ottanta; dei figli di Uzziel, Amminadab, il capo, e i suoi fratelli: centododici. Poi Davide chiamò i sacerdoti Sadoc e Abiatar, e i Leviti Uriel, Asaia, Ioel, Semaia, Eliel e Amminadab, e disse loro: “Voi siete i capi delle case patriarcali dei Leviti; santificatevi, voi e i vostri fratelli, affinché possiate trasportare l’arca dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele, nel luogo che io le ho preparato. Siccome voi non c’eravate la prima volta, l’Eterno, il nostro Dio, fece una breccia fra noi, perché non lo cercammo secondo le regole stabilite”. I sacerdoti e i Leviti dunque si santificarono per trasportare l’arca dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele. I figli dei Leviti portarono l’arca di Dio sulle loro spalle, per mezzo di stanghe, come aveva ordinato Mosè, secondo la parola dell’Eterno. Davide ordinò ai capi dei Leviti che chiamassero i loro fratelli cantori a prestare servizio con i loro strumenti musicali, saltèri, cetre e cembali, da cui avrebbero tratto suoni vigorosi, in segno di gioia. I Leviti dunque chiamarono a prestare servizio Eman, figlio di Ioel; e fra i suoi fratelli, Asaf, figlio di Berechia; tra i figli di Merari, loro fratelli, Etan, figlio di Cusaia. Con loro, furono chiamati i loro fratelli del secondo ordine: Zaccaria, Ben, Iaaziel, Semiramot, Ieiel, Unni, Eliab, Benaia, Maaseia, Mattitia, Elifaleu, Micneia, Obed-Edom e Ieiel, i portinai. I cantori Eman, Asaf ed Etan, avevano dei cembali di bronzo per suonare; Zaccaria, Iaaziel, Semiramot, Ieiel, Unni, Eliab, Maaseia e Benaia avevano dei saltèri per accompagnare voci di fanciulle; Mattitia, Elifaleu, Micneia, Obed-Edom, Ieiel e Azazia suonavano con cetre all’ottava, per guidare il canto; Chenania, capo dei Leviti, era preposto al canto; dirigeva la musica, perché era competente in questo. Berechia ed Elcana erano portinai dell’arca. Sebania, Iosafat, Netaneel, Amasai, Zaccaria, Benaia ed Eliezer, sacerdoti, suonavano la tromba davanti all’arca di Dio; Obed-Edom e Ieiia erano portinai dell’arca. Davide, gli anziani d’Israele e i capi di migliaia si misero in cammino per trasportare l’arca del patto dell’Eterno dalla casa di Obed-Edom, con gioia. E poiché Dio prestò assistenza ai Leviti che portavano l’arca del patto dell’Eterno, fu offerto un sacrificio di sette giovenchi e di sette montoni. Davide indossava un manto di lino fino, come anche tutti i Leviti che portavano l’arca, i cantori, e Chenania, capo della musica fra i cantori; e Davide aveva sul manto un efod di lino. Così tutto Israele portò su l’arca del patto dell’Eterno con grida di gioia, al suono di corni, di trombe, di cembali, di saltèri e di arpe. E quando l’arca del patto dell’Eterno giunse alla città di Davide, Mical, figlia di Saul, guardava dalla finestra: e vedendo il re Davide che danzava e saltava, lo disprezzò in cuor suo. Portarono dunque l’arca di Dio e la collocarono in mezzo alla tenda che Davide aveva eretto per essa; e si offrirono olocausti e sacrifici di ringraziamento davanti a Dio. E quando Davide ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di ringraziamento, benedisse il popolo nel nome dell’Eterno; e distribuì a tutti gli Israeliti, uomini e donne, un pane ciascuno, una porzione di carne, e un dolce di uva passa. Poi stabilì davanti all’arca dell’Eterno alcuni fra i Leviti per fare il servizio per ringraziare, lodare e celebrare l’Eterno, l’Iddio d’Israele. Erano: Asaf, il capo; Zaccaria, il secondo dopo di lui; poi Ieiel, Semiramot, Ieiel, Mattitia, Eliab, Benaia, Obed-Edom e Ieiel. Essi suonavano saltèri e cetre, e Asaf suonava i cembali; i sacerdoti Benaia e Iaaziel suonavano sempre la tromba davanti all’arca del patto di Dio. Allora, in quel giorno, Davide diede per la prima volta ad Asaf e ai suoi fratelli l’incarico di cantare le lodi dell’Eterno: “Celebrate l’Eterno, invocate il suo nome; fate conoscere le sue gesta fra i popoli. Cantate a lui, salmeggiate a lui, meditate su tutte le sue meraviglie. Gloriatevi nel suo santo nome; si rallegri il cuore di quelli che cercano l’Eterno! Cercate l’Eterno e la sua forza, cercate sempre il suo volto! Ricordatevi delle meraviglie che egli ha fatto, dei suoi miracoli e dei giudizi della sua bocca, o voi, discendenza d’Israele, suo servitore, figli di Giacobbe, suoi eletti! Egli, l’Eterno, è il nostro Dio; i suoi giudizi si esercitano su tutta la terra. Ricordatevi per sempre del suo patto, della parola da lui data per mille generazioni, del patto che fece con Abraamo, che giurò a Isacco, e che confermò a Giacobbe come uno statuto, a Israele come un patto eterno, dicendo: ‘Io ti darò il paese di Canaan come tua parte di eredità’. Non erano che poca gente allora, pochissimi e stranieri nel paese, e andavano da una nazione all’altra, da un regno a un altro popolo. Egli non permise che nessuno li opprimesse; anzi, castigò dei re per amore loro, dicendo: ‘Non toccate i miei unti, e non fate nessun male ai miei profeti’. Cantate all’Eterno, abitanti di tutta la terra, annunciate di giorno in giorno la sua salvezza! Raccontate la sua gloria fra le nazioni e le sue meraviglie fra tutti i popoli! Perché l’Eterno è grande e degno di sovrana lode; egli è tremendo sopra tutti gli dèi. Poiché tutti gli dèi dei popoli sono idoli vani, ma l’Eterno ha fatto i cieli. Splendore e maestà stanno davanti a lui, forza e gioia sono nella sua casa. Date all’Eterno, o famiglie dei popoli, date all’Eterno gloria e forza. Date all’Eterno la gloria dovuta al suo nome, portategli offerte e venite alla sua presenza. Prostratevi davanti all’Eterno vestiti di sacri ornamenti, tremate davanti a lui, o abitanti di tutta la terra! Il mondo è stabile e non sarà smosso. Si rallegrino i cieli e gioisca la terra; si dica fra le nazioni: ‘L’Eterno regna’. Risuoni il mare e ciò che esso contiene; festeggi la campagna e tutto quello che c’è in essa. Gli alberi delle foreste diano grida di gioia nel cospetto dell’Eterno, poiché egli viene a giudicare la terra. Celebrate l’Eterno, perché egli è buono, perché la sua benignità dura per sempre. E dite: ‘Salvaci, o Dio della nostra salvezza! Raccoglici fra le nazioni e liberaci, affinché celebriamo il tuo santo nome e mettiamo la nostra gloria nel lodarti’. Benedetto sia l’Eterno, l’Iddio d’Israele, di eternità in eternità!”. E tutto il popolo disse: “Amen!”, e lodò l’Eterno. Poi Davide lasciò là, davanti all’arca del patto dell’Eterno, Asaf e i suoi fratelli perché fossero sempre di servizio davanti all’arca, secondo i bisogni di ogni giorno. Lasciò Obed-Edom e Cosa e i loro fratelli, in numero di sessantotto: Obed-Edom, figlio di Iedutun, e Cosa, come portieri. Lasciò pure il sacerdote Sadoc e i sacerdoti suoi fratelli davanti al tabernacolo dell’Eterno, sull’alto luogo che era a Gabaon, perché offrissero sempre all’Eterno olocausti, mattina e sera, sull’altare degli olocausti, ed eseguissero tutto quello che sta scritto nella legge data dall’Eterno a Israele. E con essi c’erano Eman, Iedutun, e gli altri che erano stati scelti e designati per nome per lodare l’Eterno, perché la sua benignità dura per sempre. Eman e Iedutun erano con loro, con trombe e cembali per i musicisti, e con degli strumenti per i cantici di lode a Dio. I figli di Iedutun erano addetti alla porta. Tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua, e Davide se ne ritornò per benedire la propria casa. Quando Davide si fu stabilito nella sua casa, disse al profeta Natan: “Ecco, io abito in una casa di cedro, e l’arca del patto dell’Eterno sta sotto una tenda”. Natan rispose a Davide: “Fa’ tutto quello che hai in cuore di fare, poiché Dio è con te”. Ma quella stessa notte la parola di Dio fu diretta a Natan in questi termini: “Va’ e di’ al mio servo Davide: ‘Così dice l’Eterno: Non sarai tu colui che mi costruirà una casa perché io vi abiti; poiché io non ho abitato in una casa, dal giorno che feci uscire Israele dall’Egitto, fino al giorno d’oggi; ma sono andato di tenda in tenda, di dimora in dimora. Dovunque sono andato, ora qua ora là, in mezzo a tutto Israele, ho mai parlato a qualcuno dei giudici d’Israele, ai quali avevo comandato di pascere il mio popolo, dicendogli: Perché non mi costruite una casa di cedro?’. Ora dunque parlerai così al mio servo Davide: ‘Così dice l’Eterno degli eserciti: Io ti presi dall’ovile, da dietro alle pecore, perché tu fossi il principe d’Israele, mio popolo; e sono stato con te dovunque sei andato, ho sterminato davanti a te tutti i tuoi nemici, e ho reso il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra; ho assegnato un posto a Israele, mio popolo, e ve l’ho piantato perché abiti in casa sua e non sia più agitato, né continuino i malvagi a straziarlo come prima e, fin dal tempo in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele, io ho umiliato tutti i tuoi nemici; e ti annuncio che l’Eterno ti fonderà una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu te ne andrai a raggiungere i tuoi padri, io innalzerò al trono dopo di te la tua discendenza, uno dei tuoi figli, e stabilirò saldamente il suo regno. Egli mi costruirà una casa, e io renderò stabile il suo trono per sempre. Io sarò per lui un padre, e lui mi sarà figlio; e non gli ritirerò la mia grazia, come l’ho ritirata da colui che ti ha preceduto. Io lo renderò saldo per sempre nella mia casa e nel mio regno, e il suo trono sarà reso stabile per sempre’”. Natan parlò a Davide, secondo tutte queste parole e secondo tutta questa visione. Allora il re Davide andò a presentarsi davanti all’Eterno, e disse: “Chi sono io, o Eterno Iddio, e che cos’è la mia casa, che tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto? E questo è sembrato ancora poca cosa ai tuoi occhi, o Dio; e tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire, e ti sei degnato di considerarmi come se fossi uomo di alto grado, o Eterno Iddio. Che potrebbe dirti di più Davide riguardo all’onore che è fatto al tuo servo? Tu conosci il tuo servo. O Eterno, per amore del tuo servo e seguendo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose per rivelargli tutte le tue meraviglie. O Eterno, nessuno è pari a te, e non c’è altro Dio fuori di te, secondo tutto quello che abbiamo udito con i nostri orecchi. E quale popolo è come il tuo popolo d’Israele, l’unica nazione sulla terra che Dio sia venuto a redimere per formarne il suo popolo, per farti un nome e per compiere cose grandi e tremende, cacciando delle nazioni davanti al tuo popolo che tu hai redento dall’Egitto? Tu hai fatto del tuo popolo Israele il tuo popolo speciale per sempre; e tu, o Eterno, sei diventato il suo Dio. Ora dunque, o Eterno, la parola che tu hai pronunciato riguardo al tuo servo e alla sua casa rimanga stabile per sempre, e fa’ come tu hai detto. Sì, rimanga stabile, affinché il tuo nome sia magnificato per sempre, e si dica: ‘L’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele, è veramente un Dio per Israele; e la casa del tuo servo Davide sia stabile davanti a te!’. Poiché tu stesso, o mio Dio, hai rivelato al tuo servo di volergli costruire una casa. Perciò il tuo servo ha preso l’ardire di rivolgerti questa preghiera. E ora, o Eterno, tu sei Dio, e hai promesso questo bene al tuo servo; ti piaccia, perciò, benedire ora la casa del tuo servo, affinché essa sussista per sempre davanti a te! Poiché ciò che tu benedici, o Eterno, è benedetto per sempre”. Dopo queste cose, Davide sconfisse i Filistei, li umiliò e tolse di mano ai Filistei Gat e le città che ne dipendevano. Sconfisse pure i Moabiti; e i Moabiti divennero sudditi e tributari di Davide. Davide sconfisse anche Adadezer, re di Soba, verso Camat, mentre egli andava a stabilire il suo dominio sul fiume Eufrate. Davide gli prese mille carri, settemila cavalieri e ventimila fanti; tagliò i garetti a tutti i cavalli da tiro, ma riservò dei cavalli per cento carri. E quando i Siri di Damasco vennero per soccorrere Adadezer, re di Soba, Davide ne uccise ventiduemila. Poi Davide mise delle guarnigioni nella Siria di Damasco e i Siri divennero sudditi e tributari di Davide; e l’Eterno lo rendeva vittorioso dovunque egli andava. Davide tolse ai servi di Adadezer i loro scudi d’oro e li portò a Gerusalemme. Davide prese anche una grande quantità di bronzo a Tibat e a Cun, città di Adadezer. Salomone se ne servì per fare il mare di bronzo, le colonne e gli utensili di bronzo. Ora quando Tou, re di Camat, ebbe udito che Davide aveva sconfitto tutto l’esercito di Adadezer, re di Soba, mandò al re Davide Adoram, suo figlio, per salutarlo e per benedirlo perché aveva mosso guerra ad Adadezer e lo aveva sconfitto (Adadezer era sempre in guerra contro Tou); e Adoram portò con sé ogni sorta di vasi d’oro, d’argento, e di bronzo. Il re Davide consacrò anche quelli all’Eterno, come aveva già consacrato l’argento e l’oro che aveva portato via a tutte le nazioni: agli Edomiti, ai Moabiti, agli Ammoniti, ai Filistei e agli Amalechiti. Abisai, figlio di Seruia, sconfisse pure diciottomila Edomiti nella valle del Sale. Mise delle guarnigioni in Idumea, e tutti gli Edomiti divennero sudditi di Davide; e l’Eterno rendeva Davide vittorioso dovunque egli andava. Davide regnò su tutto Israele, rendendo ragione e amministrando la giustizia a tutto il suo popolo. Ioab, figlio di Seruia, comandava l’esercito; Giosafat, figlio di Ailud, era cancelliere; Sadoc, figlio di Aitub, e Abimelec, figlio di Abiatar, erano sacerdoti; Savsa era segretario; Benaia, figlio di Ieoiada, era capo dei Cheretei e dei Peletei; e i figli di Davide erano i primi al fianco del re. Dopo queste cose Naas, re dei figli di Ammon, morì, e suo figlio regnò al posto suo. Davide disse: “Io voglio usare benevolenza verso Canun, figlio di Naas, perché suo padre ne usò verso di me”. Davide inviò dei messaggeri per consolarlo della perdita del padre. Ma quando i servi di Davide giunsero nel paese dei figli di Ammon presso Canun per consolarlo, i principi dei figli di Ammon dissero a Canun: “Credi che Davide ti abbia mandato dei consolatori per onorare tuo padre? I suoi servi non sono piuttosto venuti per esplorare la città e distruggerla e per spiare il paese?”. Allora Canun prese i servi di Davide, li fece radere e fece loro tagliare la metà delle vesti fino alle natiche, poi li rimandò. Intanto alcuni andarono a informare Davide del modo con cui quegli uomini erano stati trattati; e Davide mandò gente a incontrarli, perché essi erano pieni di vergogna. E il re fece dire loro: “Restate a Gerico finché vi sia ricresciuta la barba, poi tornerete”. I figli di Ammon videro che si erano attirati l’odio di Davide; e Canun e gli Ammoniti mandarono mille talenti d’argento per assoldare dei carri e dei cavalieri presso i Siri di Mesopotamia e presso i Siri di Maaca e di Soba. E assoldarono trentaduemila carri e il re di Maaca con il suo popolo, i quali andarono ad accamparsi di fronte a Medeba. E i figli di Ammon si radunarono dalle loro città, per andare a combattere. Quando Davide udì questo, inviò contro di loro Ioab e tutto l’esercito degli uomini di valore. I figli di Ammon uscirono e si disposero in ordine di battaglia alla porta della città; e i re che erano venuti in loro soccorso stavano da parte nella campagna. Ora quando Ioab vide che quelli erano pronti ad attaccarlo di fronte e alle spalle, scelse un corpo fra gli uomini migliori d’Israele, lo dispose in ordine di battaglia contro i Siri, e mise il resto del popolo sotto gli ordini di suo fratello Abisai, che schierò di fronte ai figli di Ammon; e disse ad Abisai: “Se i Siri sono più forti di me, tu mi darai soccorso; e se i figli di Ammon sono più forti di te, verrò io a soccorrerti. Abbi coraggio, e dimostriamoci forti per il nostro popolo e per le città del nostro Dio; e faccia l’Eterno quello che a lui piacerà”. Poi Ioab, con la gente che aveva con sé, avanzò per attaccare i Siri, i quali fuggirono davanti a lui. E quando i figli di Ammon videro che i Siri erano fuggiti, fuggirono anche loro davanti ad Abisai, fratello di Ioab, e rientrarono nella città. Allora Ioab se ne tornò a Gerusalemme. I Siri, vedendosi sconfitti da Israele, inviarono dei messaggeri e fecero venire i Siri che abitavano di là dal fiume. Sofac, capo dell’esercito di Adadezer, era alla loro testa. E la cosa fu riferita a Davide, che radunò tutto Israele, passò il Giordano, marciò contro di loro e si dispose in ordine di battaglia contro di essi. E quando Davide si dispose in ordine di battaglia contro i Siri, questi iniziarono la battaglia contro di lui. Ma i Siri fuggirono davanti a Israele; e Davide uccise ai Siri gli uomini di settecento carri e quarantamila fanti, e uccise pure Sofac, capo dell’esercito. E quando i servi di Adadezer si videro sconfitti da Israele, fecero pace con Davide, e furono a lui sottomessi. E i Siri non vollero più prestare soccorso ai figli di Ammon. L’anno seguente, nel tempo in cui i re sono soliti andare alla guerra, Ioab, alla testa di un potente esercito, andò a devastare il paese dei figli di Ammon e ad assediare Rabba; ma Davide rimase a Gerusalemme. E Ioab batté Rabba e la distrusse. Davide tolse la corona dalla testa del loro re e trovò che pesava un talento d’oro e che aveva delle pietre preziose; ed essa fu posta sulla testa di Davide. Egli riportò anche dalla città un grandissimo bottino. Fece uscire gli abitanti che erano nella città, e li mise al lavoro con delle seghe, degli erpici di ferro e delle scuri. Così fece Davide a tutte le città dei figli di Ammon. Poi Davide se ne tornò a Gerusalemme con tutto il popolo. Dopo queste cose, ci fu una battaglia con i Filistei, a Ghezer; allora Sibbecai di Cusa uccise Sippai, uno dei discendenti di Rafa; e i Filistei furono umiliati. Ci fu un’altra battaglia con i Filistei; ed Elanan, figlio di Iair, uccise Lami, fratello di Goliat di Gat, la cui asta della lancia era come un subbio da tessitore. Ci fu ancora una battaglia a Gat, dove si trovò un uomo di grande statura, che aveva sei dita a ciascuna mano e a ciascun piede, in tutto ventiquattro dita, e che era anche lui dei discendenti di Rafa. Egli ingiuriò Israele; e Gionatan, figlio di Simea, fratello di Davide, lo uccise. Questi quattro uomini erano nati a Gat, della stirpe di Rafa. Essi morirono per mano di Davide e per mano della sua gente. Satana insorse contro Israele, e incitò Davide a fare il censimento d’Israele. Davide disse a Ioab e ai capi del popolo: “Andate, fate il censimento degli Israeliti da Beer-Sceba fino a Dan e venite a riferirmene il risultato, perché io ne conosca il numero”. Ioab rispose: “L’Eterno renda il suo popolo cento volte più numeroso di quello che è! Ma, o re, mio signore, non sono forse tutti servi del mio signore? Perché il mio signore chiede questo? Perché rendere così Israele colpevole?”. Ma l’ordine del re prevalse contro Ioab. Ioab dunque partì, percorse tutto Israele, poi tornò a Gerusalemme. Ioab consegnò a Davide la cifra del censimento del popolo: vi erano in tutto Israele un milione e centomila uomini abili alle armi; e in Giuda quattrocentosettantamila uomini abili alle armi. Ora Ioab non aveva fatto il censimento di Levi e di Beniamino come degli altri, perché per lui l’ordine del re era abominevole. Questa cosa dispiacque a Dio che, perciò, colpì Israele. E Davide disse a Dio: “Io ho gravemente peccato in ciò che ho fatto; ma ora, ti prego, perdona la colpa del tuo servo, perché io ho agito con grande stoltezza”. L’Eterno parlò così a Gad, il veggente di Davide: “Va’, e parla a Davide in questo modo: ‘Così dice l’Eterno: Io ti propongo tre cose; scegline una, e quella ti farò’”. Gad andò dunque da Davide, e gli disse: “Così dice l’Eterno: ‘Scegli quello che vuoi: o tre anni di carestia, o tre mesi durante i quali i tuoi avversari facciano scempio di te e ti raggiunga la spada dei tuoi nemici, oppure tre giorni di spada dell’Eterno, ossia di peste nel paese, durante i quali l’angelo dell’Eterno porterà la distruzione in tutto il territorio d’Israele’. Ora dunque vedi che cosa io debba rispondere a colui che mi ha mandato”. Davide disse a Gad: “Io sono in grande angoscia! Ebbene, che io cada nelle mani dell’Eterno, poiché le sue compassioni sono immense; ma che io non cada nelle mani degli uomini!”. Così l’Eterno mandò la peste in Israele; e caddero settantamila persone d’Israele. Dio mandò un angelo a Gerusalemme per distruggerla; e come questi si disponeva a distruggerla, l’Eterno volse su di lei lo sguardo, si pentì della calamità che aveva inflitto, e disse all’angelo distruttore: “Ora basta; ritira la tua mano!”. L’angelo dell’Eterno si trovava presso l’aia di Ornan, il Gebuseo. Davide, alzando gli occhi, vide l’angelo dell’Eterno che stava fra la terra e il cielo, avendo in mano una spada sguainata, rivolta contro Gerusalemme. Allora Davide e gli anziani, coperti di sacchi, si gettarono con la faccia a terra. E Davide disse a Dio: “Non sono stato io a ordinare il censimento del popolo? Sono io che ho peccato e che ho agito con tanta malvagità; ma queste pecore che hanno fatto? Ti prego, o Eterno, mio Dio, la tua mano si stenda contro di me e contro la casa di mio padre, ma non contro il tuo popolo, per colpirlo con il flagello!”. Allora l’angelo dell’Eterno ordinò a Gad di dire a Davide che salisse a erigere un altare all’Eterno nell’aia di Ornan, il Gebuseo. Davide salì, secondo la parola che Gad aveva pronunciato nel nome dell’Eterno. Ornan, voltandosi, vide l’angelo; e i suoi quattro figli che erano con lui si nascosero. Ornan stava battendo il grano. Quando Davide giunse presso Ornan, Ornan guardò, e vide Davide; e, uscito dall’aia, si prostrò davanti a Davide, con la faccia a terra. Allora Davide disse a Ornan: “Dammi il terreno di quest’aia, perché io vi costruisca un altare all’Eterno; dammelo per tutto il prezzo che vale, affinché la piaga cessi di infierire sul popolo”. Ornan disse a Davide: “Prenditelo, e il re, mio signore, faccia quello che sembra bene ai suoi occhi; guarda, io ti do i buoi per gli olocausti, gli strumenti per trebbiare come legna, e il grano per l’oblazione; ti do tutto”. Ma il re Davide disse a Ornan: “No, io comprerò da te queste cose per il loro prezzo intero; poiché io non prenderò per l’Eterno ciò che è tuo, né offrirò un olocausto che non mi costi nulla”. E Davide diede a Ornan il peso di seicento sicli d’oro come prezzo del luogo; poi in quel luogo costruì un altare all’Eterno, offrì olocausti e sacrifici di ringraziamento, e invocò l’Eterno, il quale gli rispose mediante il fuoco, che scese dal cielo sull’altare dell’olocausto. Poi l’Eterno comandò all’angelo di rimettere la spada nel fodero. In quel tempo Davide, vedendo che l’Eterno lo aveva esaudito nell’aia di Ornan, il Gebuseo, vi offriva dei sacrifici. Il tabernacolo dell’Eterno che Mosè aveva costruito nel deserto e l’altare degli olocausti, si trovavano allora sull’alto luogo di Gabaon. Davide non poteva andare davanti a quell’altare a cercare Iddio, per lo spavento che gli aveva causato la spada dell’angelo dell’Eterno. Davide disse: “Qui sarà la casa di Dio, dell’Eterno, e qui sarà l’altare degli olocausti per Israele”. Davide ordinò che si radunassero gli stranieri che erano nel paese d’Israele, e diede incarico a degli scalpellini di lavorare le pietre da taglio per la costruzione della casa di Dio. Davide preparò anche del ferro in abbondanza per i chiodi per i battenti delle porte e per le spranghe; e una quantità di bronzo dal peso incalcolabile e del legno di cedro da non potersi contare; perché i Sidoni e i Tirî avevano portato a Davide del legno di cedro in abbondanza. Davide diceva: “Salomone, mio figlio, è giovane e di tenera età, e la casa che si deve costruire all’Eterno deve essere talmente magnifica da acquistarsi fama e gloria in tutti i paesi; perciò io voglio fare dei preparativi per lui”. Così Davide preparò materiale in abbondanza prima di morire. Poi chiamò Salomone, suo figlio, e gli ordinò di costruire una casa all’Eterno, all’Iddio d’Israele. Davide disse a Salomone: “Figlio mio, io stesso avevo in cuore di costruire una casa al nome dell’Eterno, del mio Dio; ma mi fu rivolta la parola dell’Eterno, e mi fu detto: ‘Tu hai sparso molto sangue, e hai fatto grandi guerre; tu non costruirai una casa al mio nome, poiché hai sparso molto sangue sulla terra, davanti a me. Ma ecco, ti nascerà un figlio che sarà uomo di pace, e io gli darò tranquillità, liberandolo da tutti i suoi nemici circostanti. Il suo nome sarà Salomone; e io darò pace e tranquillità a Israele durante la sua vita. Egli costruirà una casa al mio nome; egli sarà figlio per me, e io sarò padre per lui; e renderò stabile il trono del suo regno sopra Israele per sempre’. Ora, figlio mio, l’Eterno sia con te, affinché tu prosperi, e costruisca la casa dell’Eterno, del tuo Dio, secondo quanto egli ha detto di te. Soltanto, l’Eterno ti dia senno e intelligenza, e ti costituisca re d’Israele, per osservare la legge dell’Eterno, del tuo Dio. Allora prospererai, se tu ti applichi a mettere in pratica le leggi e i precetti che l’Eterno prescrisse a Mosè per Israele. Sii forte e coraggioso; non temere e non ti spaventare. Ora ecco io, con le mie fatiche, ho preparato per la casa dell’Eterno centomila talenti d’oro, un milione di talenti d’argento e una quantità di bronzo e di ferro da non potersi pesare, tanto è abbondante; ho preparato anche del legname e delle pietre; e tu ne potrai aggiungere ancora. Tu hai presso di te degli operai in abbondanza: degli scalpellini, dei muratori, dei falegnami, e ogni sorta di uomini esperti in qualunque specie di lavoro. Quanto all’oro, all’argento, al bronzo, al ferro, ce n’è una quantità incalcolabile. Àlzati dunque, mettiti all’opera, e l’Eterno sia con te!”. Davide ordinò anche a tutti i capi d’Israele di aiutare Salomone, suo figlio, e disse loro: “L’Eterno, il vostro Dio, non è forse con voi, e non vi ha dato tranquillità da ogni parte? Infatti egli mi ha dato nelle mani gli abitanti del paese, e il paese è sottomesso all’Eterno e al suo popolo. Disponete dunque il vostro cuore e la vostra anima a cercare l’Eterno, che è il vostro Dio; poi alzatevi, e costruite il santuario dell’Eterno Iddio, per trasferire l’arca del patto dell’Eterno e gli utensili consacrati a Dio, nella casa che deve essere costruita al nome dell’Eterno”. Davide, vecchio e sazio di giorni, stabilì suo figlio Salomone come re d’Israele. Radunò tutti i capi d’Israele, i sacerdoti e i Leviti. Fu fatto un censimento dei Leviti dall’età di trent’anni in su; e, contati testa per testa, uomo per uomo, il loro numero risultò di trentottomila. E Davide disse: “Ventiquattromila di questi siano addetti a dirigere l’opera della casa dell’Eterno; seimila siano magistrati e giudici; quattromila siano portinai e quattromila celebrino l’Eterno con gli strumenti che io ho fatto per celebrarlo”. Davide li divise in classi, secondo i figli di Levi: Gherson, Cheat e Merari. Dei Ghersoniti: Laedan e Simei. Figli di Laedan: il capo Iechiel, Zetam, Ioel; tre. Figli di Simei: Selomit, Aziel, Aran; tre. Questi sono i capi delle famiglie patriarcali di Laedan. Figli di Simei: Iaat, Zina, Ieus e Beria. Questi sono i quattro figli di Simei. Iaat era il capo; Zina, il secondo; Ieus e Beria non ebbero molti figli e, nel censimento, formarono una sola casa patriarcale. Figli di Cheat: Amram, Isear, Ebron, Uzziel; quattro. Figli di Amram: Aaronne e Mosè. Aaronne fu appartato per essere consacrato come santissimo, egli con i suoi figli, per sempre, per offrire i profumi davanti all’Eterno, per servirlo e per pronunciare per sempre la benedizione nel suo nome. Quanto a Mosè, l’uomo di Dio, i suoi figli furono contati nella tribù di Levi. Figli di Mosè: Ghersom ed Eliezer. Figli di Ghersom: Sebuel, il capo. Figli di Eliezer: Reabia, il capo. Eliezer non ebbe altri figli; ma i figli di Reabia furono numerosissimi. Figli di Isear: Selomit, il capo. Figli di Ebron: Ieriia, il capo; Amaria, il secondo; Iaaziel, il terzo, e Iecameam, il quarto. Figli di Uzziel: Mica, il capo, e Isia, il secondo. Figli di Merari: Mali e Musi. Figli di Mali: Eleazar e Chis; Eleazar morì e non ebbe figli, ma soltanto delle figlie; le sposarono i figli di Chis, loro parenti. Figli di Musi: Mali, Eder e Ieremot; tre. Questi sono i figli di Levi secondo le loro case patriarcali, i capifamiglia secondo il censimento, fatto contando i nomi, uno per uno. Essi erano addetti a fare il servizio della casa dell’Eterno, dall’età di vent’anni in su, poiché Davide aveva detto: “L’Eterno, l’Iddio d’Israele, ha dato riposo al suo popolo, ed esso è venuto a stabilirsi a Gerusalemme per sempre; e anche i Leviti non avranno più bisogno di portare il tabernacolo e tutti gli utensili per il suo servizio”. Fu secondo le ultime disposizioni di Davide che il censimento dei figli di Levi si fece dai vent’anni in su. Posti presso i figli di Aaronne per il servizio della casa dell’Eterno, essi avevano l’incarico dei cortili, delle camere, della purificazione di tutte le cose sacre, dell’opera relativa al servizio della casa di Dio, dei pani della presentazione, del fior di farina per le offerte, delle focacce non lievitate, delle cose da cuocere sulla piastra, di quelle da friggere, e di tutte le misure di capacità e di lunghezza. Dovevano presentarsi ogni mattina e ogni sera per lodare e celebrare l’Eterno, e per offrire sempre davanti all’Eterno tutti gli olocausti, secondo il numero prescritto loro dalla legge, per i sabati, pei noviluni e per le feste solenni; e dovevano prendersi cura della tenda di convegno, del santuario, e stare agli ordini dei figli di Aaronne loro fratelli, per il servizio della casa dell’Eterno. Le classi dei figli di Aaronne furono queste. Figli di Aaronne: Nadab, Abiu, Eleazar e Itamar. Nadab e Abiu morirono prima del loro padre, e non ebbero figli; Eleazar e Itamar esercitarono il sacerdozio. Ora Davide, con Sadoc dei figli di Eleazar, e con Aimelec dei figli di Itamar, classificò i figli di Aaronne secondo il servizio che dovevano fare. Tra i figli di Eleazar si trovavano più capi di famiglie che tra i figli di Itamar; e furono divisi così: per i figli di Eleazar, sedici capi di famiglie patriarcali; per i figli di Itamar, otto capi delle loro famiglie patriarcali. La classificazione fu fatta a sorte, tanto per gli uni quanto per gli altri; perché vi erano dei principi del santuario e dei principi di Dio tanto tra i figli di Eleazar quanto tra i figli di Itamar. Semaia, figlio di Nataneel, il segretario, che era della tribù di Levi, li iscrisse in presenza del re e dei principi, in presenza del sacerdote Sadoc, di Aimelec, figlio di Abiatar, e in presenza dei capi delle famiglie patriarcali dei sacerdoti e dei Leviti. Si tirò a sorte una casa patriarcale per Eleazar, e, proporzionalmente, per Itamar. Il primo, designato dalla sorte, fu Ieoiarib; il secondo, Iedaia; il terzo, Carim; il quarto, Seorim; il quinto, Malchia; il sesto, Miiamin; il settimo, Accos; l’ottavo, Abiia; il nono, Iesua; il decimo, Secania; l’undicesimo, Eliasib; il dodicesimo, Iachim; il tredicesimo, Cuppa; il quattordicesimo, Iesebeab; il quindicesimo, Bilga; il sedicesimo, Immer; il diciassettesimo, Chezir; il diciottesimo, Appises; il diciannovesimo, Petaia; il ventesimo, Ezechiele; il ventunesimo, Iachin; il ventiduesimo, Gamul; il ventitreesimo, Delaia; il ventiquattresimo, Maazia. Così furono classificati per il loro servizio, affinché entrassero nella casa dell’Eterno secondo la regola stabilita per loro da Aaronne loro padre e che l’Eterno, l’Iddio d’Israele, gli aveva prescritto. Quanto al rimanente dei figli di Levi, questi ne furono i capi. Dei figli di Amram: Subael; dei figli di Subael: Iedia. Di Reabia, dei figli di Reabia: il capo Isia. Degli Iseariti: Selomot; dei figli di Selomot: Iaat. Figli di Ebron: Ieriia, Amaria il secondo, Iaaziel il terzo, Iecameam il quarto. Figli di Uzziel: Mica; dei figli di Mica: Samir; fratello di Mica: Isia; dei figli di Isia: Zaccaria. Figli di Merari: Mali e Musi, e i figli di Iaazia, suo figlio, vale a dire i figli di Merari, tramite Iaazia, suo figlio: Soam, Zaccur e Ibri. Di Mali: Eleazar, che non ebbe figli. Di Chis, i figli di Chis: Ierameel. Figli di Musi: Mali, Eder e Ierimot. Questi sono i figli dei Leviti secondo le loro case patriarcali. Anche loro, come i figli di Aaronne, loro fratelli, tirarono a sorte in presenza del re Davide, di Sadoc, di Aimelec e dei capi delle famiglie patriarcali dei sacerdoti e dei Leviti. Ogni capo di famiglia patriarcale tirò a sorte, nello stesso modo del fratello più giovane di lui. Poi Davide e i capi dell’esercito appartarono per il servizio quelli dei figli di Asaf, di Eman e di Iedutun che cantavano gli inni sacri accompagnandosi con cetre, con saltèri e con cembali; e questo è il numero di quelli che furono incaricati di questo servizio. Dei figli di Asaf: Zaccur, Iosef, Netania, Asarela, figli di Asaf, sotto la direzione di Asaf, che cantava gli inni sacri, seguendo le istruzioni del re. Di Iedutun, i figli di Iedutun: Ghedalia, Seri, Isaia, Casabia, Mattitia e Simei, sei, sotto la direzione del loro padre Iedutun, che cantava gli inni sacri con la cetra per lodare e celebrare l’Eterno. Di Eman, i figli di Eman: Bucchiia, Mattania, Uzziel, Sebuel, Ierimot, Anania, Canani, Eliatac, Ghiddalti, Romamti-Ezer, Iosbecasa, Malloti, Otir, Maaziot. Tutti questi erano figli di Eman, veggente del re, secondo la promessa di Dio di accrescere la potenza di Eman. Iddio infatti aveva dato a Eman quattordici figli e tre figlie. Tutti questi erano sotto la direzione dei loro padri per il canto della casa dell’Eterno, e avevano dei cembali, dei saltèri e delle cetre per il servizio della casa di Dio. Erano sotto la direzione del re, di Asaf, di Iedutun e di Eman. Il loro numero, compresi i loro fratelli istruiti nel canto in onore dell’Eterno, tutti quelli cioè che erano esperti in questo, ammontava a duecentottantotto. Tirarono a sorte il loro ordine di servizio, tanto i piccoli quanto i grandi, tanto i maestri quanto i discepoli. Il primo designato dalla sorte per Asaf fu Iosef; il secondo, Ghedalia, con i suoi fratelli e i suoi figli, dodici in tutto; il terzo fu Zaccur, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il quarto fu Iseri, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il quinto fu Netania, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il sesto fu Bucchiia, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il settimo fu Iesarela, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; l’ottavo fu Isaia, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il nono fu Mattania, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il decimo fu Simei, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; l’undicesimo fu Azarel, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il dodicesimo fu Casabia, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il tredicesimo fu Subael, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il quattordicesimo fu Mattitia, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il quindicesimo fu Ieremot, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il sedicesimo fu Anania, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il diciassettesimo fu Iosbecasa, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il diciottesimo fu Canani, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il diciannovesimo fu Malloti, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il ventesimo fu Eliata, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il ventunesimo fu Otir, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il ventiduesimo fu Ghiddalti, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il ventitreesimo fu Maaziot, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto; il ventiquattresimo, fu Romamti-Ezer, con i suoi figli e i suoi fratelli, dodici in tutto. Quanto alle classi dei portinai, c’erano: dei Corachiti: Meselemia, figlio di Core, dei figli di Asaf. Figli di Meselemia: Zaccaria, il primogenito, Iediael il secondo, Zebadia il terzo, Iatniel il quarto, Elam il quinto, Iocanan il sesto, Elioenai il settimo. Figli di Obed-Edom: Semaia, il primogenito, Ieozabad il secondo, Ioa il terzo, Sacar il quarto, Netanel il quinto, Ammiel il sesto, Issacar il settimo, Peulletai l’ottavo; poiché Dio lo aveva benedetto. A Semaia, suo figlio, nacquero dei figli che signoreggiarono sulla casa del loro padre, perché erano uomini forti e valorosi. Figli di Semaia: Otni, Refael, Obed, Elzabad e i suoi fratelli, uomini valorosi, Eliù e Semachia. Tutti questi erano figli di Obed-Edom; essi, i loro figli e i loro fratelli erano uomini valorosi e pieni di forza per il servizio: sessantadue di Obed-Edom. Meselemia ebbe figli e fratelli, uomini valorosi, in numero di diciotto. Cosa, dei figli di Merari, ebbe per figli: Simri il capo, che il padre aveva fatto capo, benché non fosse il primogenito, Chilchia il secondo, Tebalia il terzo, Zaccaria il quarto. Tutti i figli e i fratelli di Cosa erano in numero di tredici. A queste classi di portinai, ai capi di questi uomini, come anche ai loro fratelli, fu affidato l’incarico del servizio della casa dell’Eterno. Tirarono a sorte, per ciascuna porta, i più piccoli come i più grandi, nell’ordine delle loro case patriarcali. Per il lato orientale la sorte designò Selemia. Si tirò poi a sorte per Zaccaria, suo figlio, che era un consigliere di senno; e la sorte designò lui per il lato settentrionale. Per il lato meridionale, la sorte designò Obed-Edom; e per i magazzini designò i suoi figli. Per il lato occidentale, con la porta Sallechet, sulla via che sale, la sorte designò Suppim e Cosa: erano in due posti di guardia, uno di fronte all’altro. A oriente vi erano sei Leviti; a settentrione, quattro per giorno; a meridione, quattro per giorno, e quattro ai magazzini, due per ogni ingresso; al recinto del tempio, a occidente, ve ne erano addetti quattro per la strada, due per il recinto. Queste sono le classi dei portinai, scelti fra i figli di Core e i figli di Merari. I Leviti, loro fratelli, erano preposti ai tesori della casa di Dio e ai tesori delle cose consacrate. I figli di Laedan, i figli dei Ghersoniti discesi da Laedan, i capi delle case patriarcali di Laedan il Ghersonita, cioè Ieieli; e i figli di Ieieli: Zetam e Ioel suo fratello, erano preposti ai tesori della casa dell’Eterno. Fra gli Amramiti, gli Iseariti, gli Ebroniti e gli Uzzieliti, Sebuel, figlio di Ghersom, figlio di Mosè, era sovrintendente dei tesori. Tra i suoi fratelli, tramite Eliezer, che ebbe per figlio Reabia, che ebbe per figlio Isaia, che ebbe per figlio Ioram, che ebbe per figlio Zicri, che ebbe per figlio Selomit, questo Selomit e i suoi fratelli erano preposti a tutti i tesori delle cose sacre, che il re Davide, i capi delle case patriarcali, i capi di migliaia e di centinaia e i capi dell’esercito avevano consacrato (prelevandole dal bottino di guerra per il mantenimento della casa dell’Eterno), e a tutto quello che era stato consacrato da Samuele, il veggente, da Saul, figlio di Chis, da Abner, figlio di Ner, e da Ioab, figlio di Seruia. Chiunque consacrava qualcosa la affidava alle mani di Selomit e dei suoi fratelli. Fra gli Iseariti, Chenania e i suoi figli erano addetti agli affari esterni al tempio, come magistrati e giudici in Israele. Fra gli Ebroniti, Casabia e i suoi fratelli, uomini valorosi, in numero di millesettecento furono preposti alla sorveglianza d’Israele, di qua dal Giordano, a occidente, per tutti gli affari che concernevano l’Eterno, e per il servizio del re. Fra gli Ebroniti, il cui capo era Ieria, il quarantesimo anno del regno di Davide si fecero delle ricerche relative alle loro genealogie, secondo le loro case patriarcali, e si trovarono fra di loro degli uomini forti e valorosi a Iaezer in Galaad. I suoi fratelli, uomini valorosi, erano in numero di duemilasettecento, capi di case patriarcali; il re Davide affidò loro la sorveglianza dei Rubeniti, dei Gaditi, della mezza tribù di Manasse, per tutte le cose che riguardavano Dio e per tutti gli affari del re. Ecco i figli d’Israele, secondo il loro numero, i capi di famiglie patriarcali, i capi di migliaia e di centinaia e i loro ufficiali al servizio del re per tutto quello che concerneva le divisioni che entravano e uscivano di servizio, mese per mese, tutti i mesi dell’anno. Ogni divisione comprendeva ventiquattromila uomini. A capo della prima divisione, per il primo mese, c’era Iasobeam, figlio di Zabdiel, e la sua divisione era di ventiquattromila uomini. Egli era dei figli di Perez, e capo di tutti gli ufficiali dell’esercito, per il primo mese. A capo della divisione del secondo mese c’era Dodai, l’Aoita, con la sua divisione; Miclot era l’ufficiale superiore e la sua divisione era di ventiquattromila uomini. Il capo della terza divisione per il terzo mese era Benaia, figlio del sacerdote Ieoiada; era capo, e la sua divisione contava ventiquattromila uomini. Questo Benaia era un prode fra i trenta, e a capo dei trenta; e suo figlio Ammizabad era l’ufficiale superiore della sua divisione. Il quarto, per il quarto mese, era Asael, fratello di Ioab; e, dopo di lui, Zebadia, suo figlio; aveva una divisione di ventiquattromila uomini. Il quinto, per il quinto mese, era il capo Sameut, l’Izraita, e aveva una divisione di ventiquattromila uomini. Il sesto, per il sesto mese, era Ira, figlio di Icches, il Tecoita, e aveva una divisione di ventiquattromila uomini. Il settimo, per il settimo mese, era Cheles, il Pelonita, dei figli di Efraim, e aveva una divisione di ventiquattromila uomini. L’ottavo, per l’ottavo mese, era Sibbecai, il Cusatita, della famiglia degli Zeraiti, e aveva una divisione di ventiquattromila uomini. Il nono, per il nono mese, era Abiezer da Anatot, dei Beniaminiti, e aveva una divisione di ventiquattromila uomini. Il decimo, per il decimo mese, era Maarai da Netofa, della famiglia degli Zeraiti, e aveva una divisione di ventiquattromila uomini. L’undicesimo, per l’undicesimo mese, era Benaia da Piraton, dei figli di Efraim, e aveva una divisione di ventiquattromila uomini. Il dodicesimo, per il dodicesimo mese, era Cheldai da Netofa, della famiglia di Otniel, e aveva una divisione di ventiquattromila uomini. Questi erano i capi delle tribù d’Israele. Capo dei Rubeniti: Eliezer, figlio di Zicri. Dei Simeoniti: Sefatia, figlio di Maaca. Dei Leviti: Casabia, figlio di Chemuel. Di Aaronne: Sadoc. Di Giuda: Eliù, dei fratelli di Davide. Di Issacar: Omri, figlio di Micael. Di Zabulon: Ismaia, figlio di Obadia. Di Neftali: Ierimot, figlio di Azriel. Dei figli di Efraim: Osea, figlio di Azazia. Della mezza tribù di Manasse: Ioel, figlio di Pedaia. Della mezza tribù di Manasse in Galaad: Iddo, figlio di Zaccaria. Di Beniamino: Iaaziel, figlio di Abner. Di Dan: Azareel, figlio di Ieroam. Questi erano i capi delle tribù d’Israele. Davide non fece il censimento di quelli d’Israele che avevano dai vent’anni in giù, perché l’Eterno aveva detto di moltiplicare Israele come le stelle del cielo. Ioab, figlio di Seruia, aveva cominciato il censimento, ma non lo finì; e l’ira dell’Eterno piombò sopra Israele a causa di questo censimento, che non fu iscritto fra gli altri nelle Cronache del re Davide. Azmavet, figlio di Adiel, era preposto ai tesori del re; Gionatan, figlio di Uzzia, ai tesori che erano nella campagna, nelle città, nei villaggi e nelle torri; Ezri, figlio di Chelub, ai lavoratori della campagna per la coltura del suolo; Simei da Rama, alle vigne; Zabdi da Sefam, al prodotto dei vigneti per fornire le cantine; Baal-Anan da Gheder, agli uliveti e ai sicomori nella pianura; Ioas, alle cantine dell’olio; Sitrai da Saron, al bestiame grosso che pascolava a Saron; Safat, figlio di Adlai, al bestiame grosso delle valli; Obil, l’Ismaelita, ai cammelli; Iedeia da Meronot, agli asini; Iaziz, l’Agarita, al bestiame minuto. Tutti questi erano amministratori dei beni del re Davide. E Gionatan, zio di Davide, era consigliere, uomo intelligente e istruito; Ieiel, figlio di Acmoni, stava presso i figli del re; Aitofel era consigliere del re; Cusai, l’Archita, era amico del re; dopo Aitofel furono consiglieri Ieoiada, figlio di Benaia, e Abiatar; il capo dell’esercito del re era Ioab. Davide convocò a Gerusalemme tutti i capi d’Israele, i capi delle tribù, i capi delle divisioni al servizio del re, i capi di migliaia, i capi di centinaia, gli amministratori di tutti i beni e del bestiame appartenente al re e ai suoi figli, insieme agli ufficiali di corte, agli uomini prodi e a tutti i valorosi. Poi Davide si alzò e stando in piedi, disse: “Ascoltatemi, fratelli miei e popolo mio! Io avevo in cuore di costruire una dimora stabile per l’arca del patto dell’Eterno e per lo sgabello dei piedi del nostro Dio, e avevo fatto dei preparativi per la costruzione. Ma Dio mi disse: ‘Tu non costruirai una casa al mio nome, perché sei un uomo di guerra e hai sparso del sangue’. L’Eterno, l’Iddio d’Israele, ha scelto me, in tutta la casa di mio padre, perché io fossi re d’Israele per sempre; poiché egli ha scelto Giuda, come principe; e, nella casa di Giuda, la casa di mio padre; e tra i figli di mio padre gli è piaciuto di stabilire me come re di tutto Israele; e fra tutti i miei figli - poiché l’Eterno mi ha dato molti figli - egli ha scelto mio figlio Salomone, perché sieda sul trono dell’Eterno, che regna sopra Israele. Egli mi ha detto: ‘Salomone, tuo figlio, sarà colui che costruirà la mia casa e i miei cortili; poiché io l’ho scelto come mio figlio, e io sarò padre per lui. E stabilirò saldamente il suo regno per sempre, se egli sarà perseverante nella pratica dei miei comandamenti e dei miei precetti, come è oggi’. Ora dunque, in presenza di tutto Israele, dell’assemblea dell’Eterno, e davanti al nostro Dio che ci ascolta, io vi esorto a osservare e a prendere a cuore tutti i comandamenti dell’Eterno vostro Dio, affinché possiate rimanere in possesso di questo buon paese, e lasciarlo in eredità ai vostri figli, dopo di voi, per sempre. E tu, Salomone, figlio mio, riconosci l’Iddio di tuo padre, e servilo con cuore integro e con animo volenteroso; poiché l’Eterno scruta tutti i cuori e penetra tutti i disegni e tutti i pensieri. Se tu lo cerchi, egli si lascerà trovare da te; ma, se lo abbandoni, egli ti respingerà per sempre. Considera ora che l’Eterno ha scelto te per costruire una casa, che serva da santuario; sii forte, e mettiti all’opera!”. Allora Davide diede a suo figlio Salomone il piano del portico del tempio e degli edifici, delle stanze dei tesori, delle stanze superiori, delle camere interne e del luogo per il propiziatorio e il piano di tutto quello che aveva in mente relativamente ai cortili della casa dell’Eterno, a tutte le camere intorno, ai tesori della casa di Dio, ai tesori delle cose consacrate, alle classi dei sacerdoti e dei Leviti, a tutto quello che concerneva il servizio della casa dell’Eterno, e a tutti gli utensili che dovevano servire alla casa dell’Eterno. Gli diede il modello degli utensili d’oro, con il relativo peso d’oro per tutti gli utensili di ogni specie di servizi, e il modello di tutti gli utensili d’argento, con il relativo peso d’argento per tutti gli utensili di ogni specie di servizi. Gli diede l’indicazione del peso dei candelabri d’oro e delle loro lampade d’oro, con il peso di ogni candelabro e delle sue lampade, e l’indicazione del peso dei candelabri d’argento, con il peso di ogni candelabro e delle sue lampade, secondo l’uso a cui ogni candelabro era destinato. Gli diede l’indicazione del peso dell’oro necessario per ognuna delle tavole dei pani della presentazione, e del peso dell’argento per le tavole d’argento; gli diede ugualmente l’indicazione del peso dell’oro puro per i forchettoni, per le bacinelle e per i calici; e l’indicazione del peso dell’oro per ciascuna delle coppe d’oro e del peso dell’argento per ciascuna delle coppe d’argento; e l’indicazione del peso necessario d’oro purificato per l’altare dei profumi, e il modello del carro, dei cherubini d’oro che stendevano le ali e coprivano l’arca del patto dell’Eterno. “Tutto questo”, disse Davide, “tutto il piano da eseguire, te lo do per iscritto, poiché la mano dell’Eterno, che è stata su di me, mi ha dato l’intelligenza necessaria”. Davide disse ancora a Salomone, suo figlio: “Sii forte e coraggioso; mettiti all’opera, non temere e non ti spaventare, poiché l’Eterno Iddio, il mio Dio, sarà con te; egli non ti lascerà e non ti abbandonerà fino a quando tutta l’opera per il servizio della casa dell’Eterno sarà compiuta. Ed ecco le classi dei sacerdoti e dei Leviti per tutto il servizio della casa di Dio; e tu hai presso di te, per ogni lavoro, ogni sorta di uomini di buona volontà e abili in ogni specie di servizio; e i capi e tutto il popolo sono pronti a eseguire tutti i tuoi ordini”. Poi il re Davide disse a tutta l’assemblea: “Salomone, mio figlio, il solo che Dio abbia scelto, è ancora giovane e in tenera età, e l’opera è grande; poiché questo palazzo non è destinato a un uomo, ma a Dio, all’Eterno. Ora io ho impiegato tutte le mie forze a preparare per la casa del mio Dio dell’oro per ciò che deve essere d’oro, dell’argento per ciò che deve essere d’argento, del bronzo per ciò che deve essere di bronzo, del ferro per ciò che deve essere di ferro e del legno per ciò che deve essere di legno, delle pietre di onice e delle pietre da incastonare, delle pietre brillanti e di diversi colori, ogni specie di pietre preziose, e del marmo bianco in grande quantità. Inoltre, per l’amore che ho per la casa del mio Dio, siccome io possiedo un personale tesoro d’oro e d’argento, io lo do alla casa del mio Dio, oltre a tutto quello che ho preparato per la casa del santuario: cioè tremila talenti d’oro, d’oro di Ofir, e settemila talenti d’argento purissimo, per rivestirne le pareti delle sale: l’oro per ciò che deve essere d’oro, l’argento per ciò che deve essere d’argento, e per tutti i lavori che devono essere eseguiti dagli artefici. Chi è disposto a fare oggi qualche offerta all’Eterno?”. Allora i capi delle case patriarcali, i capi delle tribù d’Israele, i capi delle migliaia e delle centinaia e gli amministratori degli affari del re fecero delle offerte volontarie; e diedero per il servizio della casa di Dio cinquemila talenti d’oro, diecimila dariche, diecimila talenti d’argento, diciottomila talenti di bronzo e centomila talenti di ferro. Quelli che possedevano delle pietre preziose, le consegnarono a Ieiel, il Ghersonita, perché fossero riposte nel tesoro della casa dell’Eterno. Il popolo si rallegrò di quelle loro offerte volontarie, perché avevano fatto quelle offerte all’Eterno con tutto il cuore; e anche il re Davide se ne rallegrò grandemente. Davide benedisse l’Eterno alla presenza di tutta l’assemblea, e disse: “Sii benedetto, o Eterno, Dio del padre nostro Israele, di eternità in eternità! A te, o Eterno, la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore, la maestà, poiché tutto quello che sta in cielo e sulla terra è tuo! A te, o Eterno, il regno; a te, che ti innalzi come sovrano al di sopra di tutte le cose! Da te vengono la ricchezza e la gloria; tu signoreggi su tutto; nella tua mano sono la forza e la potenza, e sta in tuo potere il fare grande e il rendere forte ogni cosa. Ora dunque, o Dio nostro, noi ti rendiamo grazie, e celebriamo il tuo nome glorioso. Poiché chi sono io, e chi è il mio popolo, che siamo in grado di offrirti volenterosamente così tanto? Poiché tutto viene da te; e noi ti abbiamo dato quello che abbiamo ricevuto dalla tua mano. Noi siamo davanti a te degli stranieri e dei pellegrini, come furono tutti i nostri padri; i nostri giorni sulla terra sono come un’ombra, e non c’è speranza. O Eterno, Dio nostro, tutta questa abbondanza di cose che abbiamo preparato per costruire una casa a te, al tuo santo nome, viene dalla tua mano, e ti appartiene tutta. Io so, o mio Dio, che tu scruti il cuore, e ti compiaci della rettitudine; perciò, nella rettitudine del mio cuore, ti ho fatto tutte queste offerte volontarie, e ho visto ora con gioia il tuo popolo che si trova qui, farti volenterosamente le sue offerte. O Eterno, o Dio di Abraamo, di Isacco e d’Israele nostri padri, mantieni per sempre nel cuore del tuo popolo queste disposizioni, questi pensieri, e rendi saldo il suo cuore in te; e da’ a Salomone, mio figlio, un cuore integro, affinché egli osservi i tuoi comandamenti, i tuoi precetti e le tue leggi, affinché esegua tutti questi miei piani, e costruisca il palazzo per il quale ho fatto i preparativi”. Poi Davide disse a tutta l’assemblea: “Ora benedite l’Eterno, il vostro Dio”. E tutta l’assemblea benedisse l’Eterno, l’Iddio dei loro padri; e si inchinarono, e si prostrarono davanti all’Eterno e davanti al re. Il giorno seguente sacrificarono delle vittime in onore dell’Eterno, e gli offrirono degli olocausti: mille giovenchi, mille montoni, mille agnelli, con le relative libazioni, e altri sacrifici in gran numero, per tutto Israele. Mangiarono e bevvero, in quel giorno, alla presenza dell’Eterno, con grande gioia; proclamarono re, per la seconda volta, Salomone, figlio di Davide, e lo unsero, consacrandolo all’Eterno come conduttore del popolo, e unsero Sadoc come sacerdote. Salomone si sedette dunque sul trono dell’Eterno come re, al posto di Davide suo padre; prosperò, e tutto Israele gli ubbidì. E tutti i capi, gli uomini prodi e anche tutti i figli del re Davide si sottomisero al re Salomone. L’Eterno innalzò enormemente Salomone nel cospetto di tutto Israele, e gli diede uno splendore regale, come nessun re prima di lui ebbe mai in Israele. Davide, figlio di Isai, regnò su tutto Israele. Il tempo che regnò sopra Israele fu quarant’anni: a Ebron regnò sette anni; e a Gerusalemme, trentatré. Morì in prospera vecchiaia, sazio di giorni, di ricchezze e di gloria; e Salomone, suo figlio, regnò al suo posto. Le azioni di Davide, le prime e le ultime, sono scritte nel libro di Samuele, il veggente, nel libro di Natan, il profeta, e nel libro di Gad, il veggente, con tutta la storia del suo regno, delle sue gesta, e di quello che avvenne ai suoi tempi tanto in Israele, quanto in tutti i regni degli altri paesi. Salomone, figlio di Davide, si stabilì saldamente nel suo regno; l’Eterno, il suo Dio, fu con lui e lo elevò a somma grandezza. Salomone parlò a tutto Israele, ai capi delle migliaia e delle centinaia, ai giudici, a tutti i principi capi delle case patriarcali di tutto Israele; e lui, con tutta l’assemblea, si recò all’alto luogo, che era a Gabaon; là, infatti, si trovava la tenda di convegno di Dio, che Mosè, servo dell’Eterno, aveva eretta nel deserto. Quanto all’arca di Dio, Davide l’aveva trasportata da Chiriat-Iearim al luogo che le aveva preparato; infatti aveva eretto per lei una tenda a Gerusalemme. Anche l’altare di bronzo, fatto da Besaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, si trovava a Gabaon, davanti al tabernacolo dell’Eterno. Salomone e l’assemblea andarono là a cercare l’Eterno. Sull’altare di bronzo, che era davanti alla tenda di convegno, Salomone offrì alla presenza dell’Eterno mille olocausti. In quella notte, Iddio apparve a Salomone, e gli disse: “Chiedi quello che vuoi che io ti dia”. Salomone rispose a Dio: “Tu hai trattato con grande benevolenza Davide, mio padre, e hai fatto regnare me al suo posto. Ora, o Eterno Iddio, si avveri la promessa che hai fatto a Davide mio padre, poiché tu mi hai costituito re di un popolo numeroso come la polvere della terra! Dammi dunque saggezza e intelligenza, affinché io sappia come comportarmi di fronte a questo popolo; poiché chi potrebbe mai amministrare la giustizia per questo tuo popolo che è così numeroso?”. E Dio disse a Salomone: “Poiché questo è ciò che hai nel cuore, e non hai chiesto ricchezze, né beni, né gloria, né la morte dei tuoi nemici, e nemmeno una lunga vita, ma hai chiesto per te saggezza e intelligenza per poter amministrare la giustizia per il mio popolo del quale io ti ho costituito re, la saggezza e l’intelligenza ti sono concesse; e, oltre a questo, ti darò ricchezze, beni e gloria, come non ne ebbero mai i re che ti hanno preceduto, e come non ne avrà mai nessuno dei tuoi successori”. Salomone ritornò a Gerusalemme dall’alto luogo che era a Gabaon e dalla tenda di convegno, e regnò sopra Israele. Salomone radunò carri e cavalieri, ed ebbe millequattrocento carri e dodicimila cavalieri, che predispose nelle città dove teneva i carri, e presso il re a Gerusalemme. Il re fece in modo che a Gerusalemme l’argento e l’oro fossero comuni come le pietre, e i cedri tanto abbondanti quanto i sicomori della pianura. I cavalli che Salomone aveva, gli venivano portati dall’Egitto; le carovane di mercanti del re li andavano a prendere a branchi, per un prezzo convenuto; facevano uscire dall’Egitto e giungere a destinazione un equipaggio per il costo di seicento sicli d’argento e un cavallo per il costo di centocinquanta. Nello stesso modo, tramite quei mercanti, se ne facevano venire per tutti i re degli Ittiti e per i re della Siria. Salomone decise di costruire una casa per il nome dell’Eterno e un palazzo reale per sé. Salomone arruolò settantamila uomini per portare pesi, ottantamila per tagliare pietre nella montagna, e tremilaseicento per sorvegliarli. Poi Salomone mandò a dire a Curam, re di Tiro: “Fa’ con me come facesti con Davide mio padre, al quale mandasti dei cedri per costruirsi una casa in cui abitare. Ecco, io sto per costruire una casa per il nome dell’Eterno, del mio Dio, per consacrarla a lui, per bruciare davanti a lui il profumo fragrante, per esporvi permanentemente i pani della presentazione, e per offrirvi gli olocausti del mattino e della sera, dei sabati, dei noviluni, e delle feste dell’Eterno, del nostro Dio. Questa è una legge perenne per Israele. La casa che io sto per costruire sarà grande, perché il nostro Dio è grande sopra tutti gli dèi. Ma chi sarà all’altezza di costruirgli una casa, se i cieli e i cieli dei cieli non lo possono contenere? E chi sono io per costruirgli una casa, anche soltanto per bruciarvi dei profumi davanti a lui? Mandami dunque un uomo abile a lavorare l’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, la porpora, lo scarlatto, il violaceo, che sappia fare ogni sorta di lavori di intaglio, collaborando con gli artisti che sono presso di me in Giuda e a Gerusalemme, e che Davide mio padre aveva preparato. Mandami anche dal Libano del legno di cedro, di cipresso e di sandalo; perché io so che i tuoi servi sono abili nel tagliare il legname del Libano; ed ecco, i miei servi saranno con i tuoi servi, per prepararmi del legno in abbondanza; poiché la casa che io sto per costruire, sarà grande e meravigliosa. E ai tuoi servi che abbatteranno e taglieranno la legna io darò ventimila cori di grano battuto, ventimila cori di orzo, ventimila bati di vino e ventimila bati di olio”. Curam, re di Tiro, rispose così in una lettera, che mandò a Salomone: “Siccome l’Eterno ama il suo popolo, ti ha costituito re su di esso”. Curam aggiunse: “Benedetto sia l’Eterno, l’Iddio d’Israele, che ha fatto i cieli e la terra, perché ha dato al re Davide un figlio saggio, pieno di senno e di intelligenza, il quale costruirà una casa per l’Eterno e un palazzo reale per sé! Io ti mando, dunque, un uomo abile e intelligente, Curam-Abi, figlio di una donna della tribù di Dan e di padre di Tiro, il quale è abile a lavorare l’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, la pietra, il legno, la porpora, il violaceo, il bisso, lo scarlatto, e sa fare anche ogni sorta di lavori di intaglio, ed eseguire qualsiasi lavoro d’arte gli si affidi. Egli collaborerà con i tuoi artisti e con gli artisti del mio signore Davide, tuo padre. Ora dunque il mio signore mandi ai suoi servi il grano, l’orzo, l’olio e il vino, di cui egli ha parlato; e noi, dal canto nostro, taglieremo del legno del Libano, quanto te ne occorrerà; te lo spediremo per mare su zattere fino a Iafo, e tu lo farai trasportare a Gerusalemme”. Salomone fece fare il conto di tutti gli stranieri che si trovavano nel paese d’Israele, e dei quali Davide suo padre aveva già fatto il censimento; e se ne trovarono centocinquantatremilaseicento. Ne prese settantamila per portare pesi, ottantamila per tagliare pietre nella montagna, e tremilaseicento per sorvegliare e fare lavorare il popolo. Salomone cominciò a costruire la casa dell’Eterno a Gerusalemme, sul monte Moria, dove l’Eterno era apparso a Davide suo padre, nel luogo che Davide aveva preparato, nell’aia di Ornan, il Gebuseo. Egli cominciò la costruzione il secondo giorno del secondo mese del quarto anno del suo regno. Ora queste sono le misure delle fondamenta gettate da Salomone per la costruzione della casa di Dio. La lunghezza, in cubiti dell’antica misura, era di sessanta cubiti; la larghezza, di venti cubiti. Il portico, davanti alla casa, aveva venti cubiti di lunghezza, corrispondenti alla larghezza della casa, e centoventi di altezza. Salomone ricoprì d’oro finissimo l’interno della casa. Egli ricoprì la casa maggiore di legno di cipresso, poi la rivestì d’oro finissimo e vi fece scolpire delle palme e delle catenelle. Rivestì questa casa di pietre preziose, per ornamento; e l’oro era quello di Parvaim. Rivestì d’oro anche la casa, le travi, gli stipiti, le pareti e le porte; e sulle pareti fece intagliare dei cherubini. Costruì il luogo santissimo. Esso aveva venti cubiti di lunghezza, corrispondenti alla larghezza della casa, e venti cubiti di larghezza. Lo ricoprì d’oro finissimo, del valore di seicento talenti; e il peso dell’oro per i chiodi ammontava a cinquanta sicli. Rivestì d’oro anche le camere superiori. Nel luogo santissimo fece scolpire due statue di cherubini, che furono ricoperti d’oro. Le ali dei cherubini avevano venti cubiti di lunghezza. L’ala del primo, lunga cinque cubiti, toccava la parete della casa; l’altra ala, pure di cinque cubiti, toccava l’ala del secondo cherubino. L’ala del secondo cherubino, lunga cinque cubiti, toccava la parete della casa; l’altra ala, pure di cinque cubiti, arrivava all’ala dell’altro cherubino. Le ali di questi cherubini, spiegate, misuravano venti cubiti. Essi stavano in piedi, e avevano le facce rivolte verso la sala. Fece la cortina di filo violaceo, porporino, scarlatto e di bisso, e vi fece ricamare dei cherubini. Fece pure davanti alla casa due colonne di trentacinque cubiti di altezza; e il capitello in cima a ciascuna, era di cinque cubiti. Fece delle catenelle, come quelle che erano nel santuario, e le pose in cima alle colonne; e fece cento melagrane, che sospese alle catenelle. Eresse le colonne davanti al tempio: una a destra e l’altra a sinistra; e chiamò quella di destra Iachin, e quella di sinistra Boaz. Poi fece un altare di bronzo lungo venti cubiti, largo venti cubiti e alto dieci cubiti. Fece anche il mare di metallo fuso, che aveva dieci cubiti da un orlo all’altro; era di forma perfettamente rotonda, aveva cinque cubiti di altezza, e una corda di trenta cubiti ne misurava la circonferenza. Sotto l’orlo lo circondavano delle figure di buoi, dieci per cubito, facendo tutto il giro del mare; erano disposti in due ordini ed erano stati fusi insieme con il mare. Questo posava su dodici buoi, dei quali tre guardavano a settentrione, tre a occidente, tre a meridione e tre a oriente: il mare stava su di essi, e le parti posteriori dei buoi erano rivolte verso l’interno. Esso aveva lo spessore di un palmo; il suo orlo, fatto come l’orlo di una coppa, aveva la forma di un fiore di giglio; il mare poteva contenere tremila bati. Fece anche dieci conche, e ne pose cinque a destra e cinque a sinistra, perché servissero alle purificazioni; vi si lavava ciò che serviva agli olocausti. Il mare era destinato alle abluzioni dei sacerdoti. Fece i dieci candelabri d’oro, conformemente alle norme che li concernevano, e li pose nel tempio, cinque a destra e cinque a sinistra. Fece anche dieci tavole, che pose nel tempio, cinque a destra e cinque a sinistra. E fece cento bacinelle d’oro. Fece anche il cortile dei sacerdoti, e il grande cortile con le sue porte, delle quali ricoprì di bronzo i battenti. Pose il mare al lato destro della casa, verso sud-est. Curam fece pure i vasi per le ceneri, le palette e le bacinelle. Così Curam compì l’opera che aveva fatto per il re Salomone nella casa di Dio: le due colonne, le due sfere dei capitelli in cima alle colonne; i due reticolati per coprire le due sfere dei capitelli in cima alle colonne, le quattrocento melagrane per i due reticolati, a due ordini di melagrane per ogni reticolato, da coprire le due sfere dei capitelli in cima alle colonne; e fece le basi e le conche sulle basi, il mare, che era unico, e i dodici buoi sotto il mare, e i vasi per le ceneri, le palette, i forchettoni e tutti gli utensili accessori. Curam-Abi li fece di bronzo lucidato, per il re Salomone e per la casa dell’Eterno. Il re li fece fondere nella pianura del Giordano, in un suolo argilloso, fra Succot e Sereda. Salomone fece tutti questi utensili in così grande quantità, che non si rilevò il peso del bronzo. Salomone fece fabbricare tutti gli arredi della casa di Dio: l’altare d’oro, le tavole sulle quali si mettevano i pani della presentazione; i candelabri d’oro puro, con le loro lampade, da accendere, secondo la norma stabilita, davanti al santuario; i fiori, le lampade, gli smoccolatoi, dell’oro più puro; i coltelli, le bacinelle, le coppe e i bracieri, d’oro fino. Quanto alla porta della casa, i battenti interni, all’ingresso del luogo santissimo, e le porte della casa, all’ingresso del tempio, erano d’oro. Così fu compiuta tutta l’opera che Salomone fece eseguire per la casa dell’Eterno. Salomone fece portare l’argento, l’oro e tutti gli utensili che Davide suo padre aveva consacrato, e li mise nei tesori della casa di Dio. Allora Salomone radunò a Gerusalemme gli anziani d’Israele e tutti i capi delle tribù, i principi delle famiglie patriarcali dei figli d’Israele, per portare su l’arca del patto dell’Eterno, dalla città di Davide, cioè da Sion. Tutti gli uomini d’Israele si radunarono presso il re per la festa che cadeva il settimo mese. Quando furono arrivati tutti gli anziani d’Israele, i Leviti presero l’arca, e portarono su l’arca, la tenda di convegno e tutti gli utensili sacri che erano nella tenda. I sacerdoti e i Leviti eseguirono il trasporto. Il re Salomone e tutta la comunità d’Israele convocata presso di lui, si raccolsero davanti all’arca, e sacrificarono pecore e buoi in una quantità tale da non potersi contare né calcolare. I sacerdoti portarono l’arca del patto dell’Eterno al luogo a essa destinato, nel santuario della casa, nel luogo santissimo, sotto le ali dei cherubini; poiché i cherubini avevano le ali spiegate sopra il sito dell’arca, e coprivano dall’alto l’arca e le sue stanghe. Le stanghe avevano una lunghezza tale che le loro estremità si vedevano sporgere dall’arca, davanti al santuario, ma non si vedevano dall’esterno. Esse sono rimaste là fino al giorno d’oggi. Nell’arca non c’era altro se non le due tavole di pietra che Mosè vi aveva deposte sull’Oreb, quando l’Eterno fece patto con i figli d’Israele, dopo che questi furono usciti dal paese d’Egitto. Mentre i sacerdoti uscivano dal luogo santo - poiché tutti i sacerdoti presenti si erano santificati senza osservare l’ordine delle classi, e tutti i Leviti cantori, Asaf, Eman, Iedutun, i loro figli e i loro fratelli, vestiti di bisso, con cembali, saltèri e cetre stavano in piedi a oriente dell’altare, e con loro centoventi sacerdoti che suonavano la tromba - mentre, dico, quelli che suonavano la tromba e quelli che cantavano, come un sol uomo, fecero udire un’unica voce per celebrare e per lodare l’Eterno, e alzarono la voce al suono delle trombe, dei cembali e degli altri strumenti musicali, e celebrarono l’Eterno dicendo: “Celebrate l’Eterno, perché egli è buono, perché la sua benignità dura in eterno”, avvenne che la casa, la casa dell’Eterno, fu riempita da una nuvola, e i sacerdoti non poterono rimanervi per svolgere il loro servizio a causa della nuvola, poiché la gloria dell’Eterno riempiva la casa di Dio. Allora Salomone disse: “L’Eterno ha dichiarato che avrebbe abitato nella oscurità! E io ti ho costruito una casa come tua abitazione, un luogo dove tu abiterai per sempre!”. Poi il re voltò la faccia, e benedisse tutta la comunità d’Israele; e tutta la comunità d’Israele stava in piedi. E disse: “Sia benedetto l’Eterno, l’Iddio d’Israele, il quale parlò a Davide mio padre di sua propria bocca, e con la sua potenza ha adempiuto ciò che aveva dichiarato dicendo: ‘Dal giorno che feci uscire il mio popolo Israele dal paese d’Egitto, io non scelsi alcuna città, fra tutte le tribù d’Israele, per costruirvi una casa, dove dimorasse il mio nome; e non scelsi nessun uomo perché fosse principe del mio popolo Israele; ma ho scelto Gerusalemme perché il mio nome vi dimori, e ho scelto Davide per regnare sul mio popolo Israele’. Davide, mio padre, ebbe in cuore di costruire una casa al nome dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele; ma l’Eterno disse a Davide mio padre: ‘Quanto all’avere avuto in cuore di costruire una casa al mio nome, hai fatto bene ad avere questo in cuore; però non sarai tu che costruirai la casa, ma tuo figlio che uscirà dalle tue viscere: sarà lui che costruirà la casa al mio nome’. E l’Eterno ha adempiuto la parola che aveva pronunciato; e io sono sorto al posto di Davide mio padre, e mi sono seduto sul trono d’Israele, come l’Eterno aveva annunciato, e ho costruito la casa al nome dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele. Là ho posto l’arca nella quale è il patto dell’Eterno: il patto che egli stabilì con i figli d’Israele”. Poi Salomone si pose davanti all’altare dell’Eterno, in presenza di tutta la comunità d’Israele, e stese le sue mani. Egli, infatti, aveva fatto costruire una tribuna di bronzo, lunga cinque cubiti, larga cinque cubiti e alta tre cubiti, e l’aveva posta in mezzo al cortile; egli vi salì, si mise in ginocchio in presenza di tutta la comunità d’Israele, stese le mani verso il cielo, e disse: “O Eterno, Dio d’Israele! Non c’è Dio che sia simile a te, né in cielo né in terra! Tu mantieni il patto e la misericordia verso i tuoi servi che camminano in tua presenza con tutto il loro cuore. Tu hai mantenuto la promessa da te fatta al tuo servo Davide, mio padre; e ciò che hai dichiarato con la tua propria bocca, la tua mano oggi lo adempie. Ora dunque, o Eterno, Dio d’Israele, mantieni al tuo servo Davide, mio padre, la promessa che gli facesti, dicendo: ‘Non ti mancherà mai qualcuno che sieda nel mio cospetto sul trono d’Israele, purché i tuoi figli veglino sulla loro condotta, e camminino secondo la mia legge, come tu hai camminato in mia presenza’. Ora, o Eterno, Dio d’Israele, si avveri la parola che dicesti al tuo servo Davide! Ma è proprio vero che Dio abiti con gli uomini sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere; quanto meno questa casa che io ho costruito! Tuttavia, o Eterno, Dio mio, abbi riguardo alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, ascoltando il grido e la preghiera che il tuo servo ti rivolge. I tuoi occhi siano giorno e notte aperti su questa casa, sul luogo nel quale dicesti di voler mettere il tuo nome! Ascolta la preghiera che il tuo servo farà, rivolto a questo luogo! Ascolta le suppliche del tuo servo e del tuo popolo Israele quando pregheranno, rivolti a questo luogo; ascoltali dal luogo della tua dimora, dai cieli; ascolta e perdona! Se uno avrà peccato contro il suo prossimo e si esigerà da lui il giuramento per costringerlo a giurare, se egli viene a giurare davanti al tuo altare in questa casa, tu ascoltalo dal cielo, agisci e giudica i tuoi servi; condanna il colpevole, facendo ricadere sul suo capo i suoi atti, e dichiara giusto l’innocente, trattandolo secondo la sua giustizia. Quando il tuo popolo Israele sarà sconfitto dal nemico per aver peccato contro di te, se torna a te, se dà gloria al tuo nome e ti rivolge preghiere e suppliche in questa casa, tu esaudiscilo dal cielo, perdona al tuo popolo Israele il suo peccato, e riconducilo nel paese che desti a lui e ai suoi padri. Quando il cielo sarà chiuso e non ci sarà più pioggia a causa dei loro peccati contro di te, se essi pregano rivolti a questo luogo, se danno gloria al tuo nome e si convertono dai loro peccati perché li avrai afflitti, tu esaudiscili dal cielo, perdona il loro peccato ai tuoi servi e al tuo popolo Israele, ai quali avrai mostrato la buona strada per cui devono camminare; e manda la pioggia sulla terra che hai dato come eredità al tuo popolo. Quando il paese sarà invaso dalla carestia o dalla peste, dalla ruggine o dal carbone, dalle locuste o dai bruchi, quando il nemico assedierà il tuo popolo nel suo paese, nelle sue città, quando scoppierà qualsiasi flagello o epidemia, ogni preghiera, ogni supplica che ti sarà rivolta da un individuo o dall’intero tuo popolo Israele, quando ciascuno avrà riconosciuto la sua piaga e il suo dolore e stenderà le sue mani verso questa casa, tu esaudiscila dal cielo, dal luogo della tua dimora, e perdona; rendi a ciascuno secondo le sue vie, tu che conosci il cuore di ognuno; poiché soltanto tu conosci il cuore dei figli degli uomini; affinché essi ti temano e camminino nelle tue vie tutto il tempo che vivranno nel paese che tu desti ai nostri padri! Anche lo straniero, che non è del tuo popolo Israele, quando verrà da un paese lontano a causa del tuo grande nome, della tua mano potente e del tuo braccio steso, quando verrà a pregarti in questa casa, tu esaudiscilo dal cielo, dal luogo della tua dimora, e concedi a questo straniero tutto quello che ti domanderà, affinché tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome per temerti, come fa il tuo popolo Israele, e sappiano che il tuo nome è invocato su questa casa che io ho costruito! Quando il tuo popolo partirà per fare guerra al suo nemico seguendo la via per la quale tu lo avrai mandato, se ti innalza preghiere, rivolto alla città che tu hai scelto e alla casa che io ho costruito al tuo nome, esaudisci dal cielo le sue preghiere e le sue suppliche, e rendigli giustizia. Quando peccheranno contro di te - poiché non c’è uomo che non pecchi - e tu ti sarai indignato contro di loro e li avrai abbandonati in balìa del nemico che li deporterà in un paese lontano o vicino, se, nel paese dove saranno schiavi, rientrano in sé stessi, se tornano a te e ti rivolgono suppliche nel paese della loro schiavitù, e dicono: ‘Abbiamo peccato, abbiamo operato ingiustamente, siamo stati malvagi’, se tornano a te con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima nel paese dei loro nemici dove sono stati deportati, e ti pregano, rivolti al loro paese, il paese che tu desti ai loro padri, alla città che tu hai scelto, e alla casa che io ho costruito al tuo nome, esaudisci dal cielo, dal luogo della tua dimora, la loro preghiera e le loro suppliche, e rendi loro giustizia; perdona al tuo popolo che ha peccato contro di te! Ora, o Dio mio, i tuoi occhi siano aperti, e le tue orecchie siano attente alla preghiera fatta in questo luogo! E ora, àlzati, o Eterno, o Dio, vieni al luogo del tuo riposo, tu e l’arca della tua forza! I tuoi sacerdoti, o Eterno, o Dio, siano rivestiti di salvezza, e i tuoi fedeli gioiscano nel bene! O Eterno, o Dio, non respingere la faccia del tuo unto; ricordati delle grazie fatte a Davide, tuo servo!”. Quando Salomone ebbe finito di pregare, il fuoco scese dal cielo, consumò l’olocausto e i sacrifici, e la gloria dell’Eterno riempì la casa; e i sacerdoti non potevano entrare nella casa dell’Eterno a causa della gloria dell’Eterno che riempiva la casa dell’Eterno. Tutti i figli d’Israele videro scendere il fuoco e la gloria dell’Eterno sulla casa, e si chinarono con la faccia a terra, si prostrarono sul pavimento, e lodarono l’Eterno, dicendo: “Celebrate l’Eterno, perché egli è buono, perché la sua benignità dura in eterno”. Poi il re e tutto il popolo offrirono dei sacrifici davanti all’Eterno. Il re Salomone offrì in sacrificio ventiduemila buoi e centoventimila pecore. Così il re e tutto il popolo dedicarono la casa di Dio. I sacerdoti stavano in piedi, adempiendo i loro servizi; così pure i Leviti, con gli strumenti musicali consacrati all’Eterno, che il re Davide aveva fatto per lodare l’Eterno, la cui “benignità dura in eterno”, quando anche Davide celebrava con essi l’Eterno; e i sacerdoti suonavano la tromba di fronte ai Leviti, e tutto Israele stava in piedi. Salomone consacrò la parte di mezzo del cortile, che è davanti alla casa dell’Eterno; poiché là offrì gli olocausti e i grassi dei sacrifici di ringraziamento, poiché l’altare di bronzo che Salomone aveva fatto, non poteva contenere gli olocausti, le oblazioni e i grassi. E in quel tempo Salomone celebrò la festa per sette giorni, e tutto Israele con lui. Ci fu una grandissima assemblea di gente, venuta da tutto il paese: dai dintorni di Camat fino al torrente d’Egitto. L’ottavo giorno fecero una riunione solenne; poiché celebrarono la dedicazione dell’altare per sette giorni, e la festa per altri sette giorni. Il ventitreesimo giorno del settimo mese Salomone rimandò alle sue tende il popolo allegro e con il cuore contento per il bene che l’Eterno aveva fatto a Davide, a Salomone e a Israele, suo popolo. Salomone dunque terminò la casa dell’Eterno e il palazzo reale, e portò a felice compimento tutto quello che aveva avuto in cuore di fare nella casa dell’Eterno e nella sua propria casa. E l’Eterno apparve di notte a Salomone, e gli disse: “Io ho esaudito la tua preghiera, e mi sono scelto questo luogo come casa dei sacrifici. Quando io chiuderò il cielo in modo che non ci sarà più pioggia, quando ordinerò alle cavallette di divorare il paese, quando manderò la peste fra il mio popolo, se il mio popolo, sul quale è invocato il mio nome, si umilia, prega, cerca la mia faccia e si converte dalle sue vie malvagie, io lo esaudirò dal cielo, perdonerò i suoi peccati e guarirò il suo paese. Ora i miei occhi saranno aperti e le mie orecchie attente alla preghiera fatta in questo luogo, perché ora ho scelto e santificato questa casa, affinché il mio nome vi rimanga per sempre, i miei occhi e il mio cuore saranno qui per sempre. E quanto a te, se tu cammini davanti a me come camminò Davide tuo padre, facendo tutto quello che ti ho comandato, e se osservi le mie leggi e i miei precetti, io stabilirò il trono del tuo regno, come promisi a Davide tuo padre, dicendo: ‘Non ti mancherà mai qualcuno che regni sopra Israele’. Ma se vi allontanate da me e abbandonate le mie leggi e i miei comandamenti che io ho posti davanti a voi, e andate invece a servire altri dèi e a prostrarvi davanti a loro, io vi sradicherò dal mio paese che vi ho dato; e respingerò dalla mia presenza la casa che ho consacrato al mio nome, e la farò diventare la favola e lo zimbello di tutti i popoli. Chiunque passerà vicino a questa casa, già così eccelsa, si stupirà e dirà: ‘Perché l’Eterno ha trattato così questo paese e questa casa?’ e si risponderà: ‘Perché hanno abbandonato l’Eterno, l’Iddio dei loro padri che li fece uscire dal paese d’Egitto, si sono invaghiti di altri dèi, si sono prostrati davanti a loro e li hanno serviti; ecco perché l’Eterno ha fatto venire tutti questi mali su loro’”. Passati i vent’anni nei quali Salomone costruì la casa dell’Eterno e il proprio palazzo, egli ricostruì le città che Curam gli aveva dato, e vi fece abitare i figli d’Israele. Poi Salomone marciò contro Camat-Soba e se ne impadronì. E ricostruì Tadmor nella parte deserta del paese, e tutte le città di rifornimento in Camat. Ricostruì anche Bet-Oron superiore e Bet-Oron inferiore, città forti, munite di mura, di porte e di sbarre; ricostruì Baalat e tutte le città di rifornimento che appartenevano al re, tutte le città per i suoi carri, le città per i suoi cavalieri, insomma tutto quello che gli piacque di costruire a Gerusalemme, al Libano e in tutto il paese del suo dominio. Di tutta la popolazione che era rimasta degli Ittiti, degli Amorei, dei Ferezei, degli Ivvei e dei Gebusei, che non erano d’Israele, cioè i loro discendenti che erano rimasti dopo di loro nel paese e che gli Israeliti non avevano distrutto, Salomone li impiegò nei lavori forzati; e tali sono rimasti fino a oggi. Ma dei figli d’Israele Salomone non impiegò nessuno come servo per i suoi lavori; essi furono la sua gente di guerra, capi dei suoi condottieri e comandanti dei suoi carri e dei suoi cavalieri. I capi dei prefetti del re Salomone, incaricati di sorvegliare il popolo, erano in numero di duecentocinquanta. Salomone fece salire la figlia del Faraone dalla città di Davide alla casa che egli le aveva fatto costruire, perché disse: “Mia moglie non abiterà nella casa di Davide re d’Israele, perché i luoghi dove è entrata l’arca dell’Eterno sono santi”. Allora Salomone offrì degli olocausti all’Eterno sull’altare dell’Eterno, che egli aveva costruito davanti al portico; offriva quello che bisognava offrire, secondo l’ordine di Mosè, ogni giorno, nei sabati, nei noviluni, e nelle feste solenni, tre volte all’anno: alla festa degli azzimi, alla festa delle settimane e alla festa delle capanne. Stabilì nelle loro funzioni, come le aveva regolate Davide suo padre, le classi dei sacerdoti, i Leviti nel loro compito di celebrare l’Eterno e fare il servizio alla presenza dei sacerdoti giorno per giorno, e i portinai, a ciascuna porta, secondo le loro classi; poiché così aveva ordinato Davide, l’uomo di Dio. E non si deviò in nulla dagli ordini che il re aveva dato riguardo ai sacerdoti e ai Leviti, come anche relativamente ai tesori. Così fu condotta tutta l’opera di Salomone dal giorno in cui fu fondata la casa dell’Eterno, fino a quando fu terminata. La casa dell’Eterno ebbe il suo perfetto compimento. Allora Salomone partì per Esion-Gheber e per Elot, sulla riva del mare, nel paese di Edom. E Curam, per mezzo della sua gente, gli mandò delle navi e degli uomini che conoscevano il mare; i quali andarono con la gente di Salomone a Ofir, vi presero quattrocentocinquanta talenti d’oro, e li portarono al re Salomone. La regina di Seba, avendo udito la fama che circondava Salomone, venne a Gerusalemme per metterlo alla prova con degli enigmi. Giunse con un numerosissimo seguito, con cammelli carichi di aromi, d’oro in grande quantità e di pietre preziose: si recò da Salomone e gli disse tutto quello che aveva in cuore. Salomone rispose a tutte le sue domande, e non ci fu cosa che fosse oscura per il re, e che egli non sapesse spiegare. Quando la regina di Seba ebbe visto la sapienza di Salomone e la casa che egli aveva costruito, le vivande della sua mensa, gli alloggi dei suoi servi, l’ordine di servizio dei suoi ufficiali e le loro vesti, i suoi coppieri e le loro vesti e gli olocausti che egli offriva nella casa dell’Eterno, rimase fuori di sé dalla meraviglia. E disse al re: “Quello che avevo sentito dire nel mio paese sul tuo conto e sulla tua sapienza era dunque vero. Ma non ci ho creduto finché non sono venuta io stessa, e non ho visto con i miei occhi; e ora, ecco, non mi era stata riferita neppure la metà della grandezza della tua sapienza! Tu sorpassi la fama che mi era giunta! Beata la tua gente, beati questi tuoi servi che stanno sempre davanti a te, e ascoltano la tua sapienza! Sia benedetto l’Eterno, il tuo Dio, il quale ti ha gradito, mettendoti sul suo trono, affinché tu regni per l’Eterno, per il tuo Dio! Iddio ti ha stabilito re per esercitare il diritto e la giustizia, perché egli ama Israele e vuole conservarlo per sempre”. Poi lei donò al re centoventi talenti d’oro, una grandissima quantità di aromi e delle pietre preziose. Non ci furono più tali aromi, come quelli che la regina di Seba diede al re Salomone. (I servi di Curam e i servi di Salomone che portavano oro da Ofir, portavano anche del legno di sandalo e delle pietre preziose; e di questo legno di sandalo il re fece delle scale per la casa dell’Eterno e per la casa reale, delle cetre e dei saltèri per i cantori. Del legno come questo non se ne era mai visto prima nel paese di Giuda). Il re Salomone diede alla regina di Seba tutto quello che lei desiderò e chiese, oltre all’equivalente di quello che lei aveva portato al re. Poi lei si rimise in cammino e, con i suoi servi, se ne ritornò al suo paese. Il peso dell’oro che giungeva ogni anno a Salomone era di seicentosessantasei talenti, oltre quello che percepiva dai trafficanti e dai negozianti che gliene portavano, da tutti i re d’Arabia e dai governatori del paese che portavano a Salomone dell’oro e dell’argento. E il re Salomone fece fare duecento scudi grandi d’oro battuto, per ognuno dei quali impiegò seicento sicli d’oro battuto, e trecento altri scudi d’oro battuto, per ognuno dei quali impiegò trecento sicli d’oro; e il re li mise nella casa della “Foresta del Libano”. Il re fece anche un grande trono d’avorio, che rivestì d’oro puro. Questo trono aveva sei gradini e uno sgabello d’oro connessi con il trono; c’erano dei bracci da un lato e dall’altro del sedile, due leoni stavano presso i bracci, e dodici leoni stavano sui sei gradini, da una parte e dall’altra. Niente di simile era ancora stato fatto in nessun altro regno. Tutte le coppe del re Salomone erano d’oro e tutto il vasellame della casa della “Foresta del Libano” era d’oro puro; dell’argento non si faceva nessun conto al tempo di Salomone. Poiché il re aveva delle navi che andavano a Tarsis con la gente di Curam; e una volta ogni tre anni venivano le navi da Tarsis, portando oro, argento, avorio, scimmie e pavoni. Così il re Salomone fu il più grande di tutti i re della terra per ricchezze e per sapienza. E tutti i re della terra cercavano di vedere Salomone per udire la sapienza che Dio gli aveva messo nel cuore. E ognuno di loro gli portava il suo dono: vasi d’argento, vasi d’oro, vesti, armi, aromi, cavalli, muli; e questo avveniva ogni anno. Salomone aveva delle scuderie per quattromila cavalli, dei carri, e dodicimila cavalieri, che distribuiva nelle città dove teneva i suoi carri, e in Gerusalemme presso di sé. Egli dominava su tutti i re, dal fiume fino al paese dei Filistei e fino ai confini d’Egitto. Il re fece in modo che in Gerusalemme l’argento fosse comune come le pietre, e i cedri tanto abbondanti quanto i sicomori della pianura. E si portavano a Salomone dei cavalli dall’Egitto e da tutti i paesi. Il resto delle azioni di Salomone, le prime e le ultime, sono scritte nel libro di Natan, il profeta, nella profezia di Aiia di Silo, e nelle visioni di Ieddo il veggente, relative a Geroboamo, figlio di Nebat. Salomone regnò a Gerusalemme, su tutto Israele, quarant’anni. Poi Salomone si addormentò con i suoi padri e fu sepolto nella città di Davide suo padre; e Roboamo suo figlio regnò al suo posto. Roboamo andò a Sichem, perché tutto Israele era venuto a Sichem per proclamarlo re. Quando Geroboamo, figlio di Nebat, lo venne a sapere, si trovava ancora in Egitto, dove era fuggito per scampare dal re Salomone; e tornò dall’Egitto. Lo mandarono a chiamare, e Geroboamo con tutto Israele vennero a parlare a Roboamo, e gli dissero: “Tuo padre ha reso duro il nostro giogo; ora tu rendi più lieve la dura schiavitù e il giogo pesante che tuo padre ci ha imposti, e noi ti serviremo”. Egli rispose loro: “Tornate da me fra tre giorni”. E il popolo se ne andò. Il re Roboamo si consigliò con gli anziani che erano stati al servizio del re Salomone suo padre mentre era vivo, e disse: “Che cosa mi consigliate di rispondere a questo popolo?”. E quelli gli parlarono così: “Se ti mostri benevolo verso questo popolo, e gli compiaci, e se gli parli con bontà, ti sarà servo per sempre”. Ma Roboamo abbandonò il consiglio datogli dagli anziani, e si consigliò con i giovani che erano cresciuti con lui ed erano stati al suo servizio, e disse loro: “Come consigliate voi che rispondiamo a questo popolo che mi ha parlato dicendo: ‘Allevia il giogo che tuo padre ci ha imposto?’”. E i giovani che erano cresciuti con lui gli parlarono così: “Ecco ciò che dirai a questo popolo che si è rivolto a te dicendo: ‘Tuo padre ha reso pesante il nostro giogo, ma tu rendilo più leggero!’. Gli risponderai così: ‘Il mio dito mignolo è più grosso del corpo di mio padre; mio padre vi ha caricati di un giogo pesante, ma io lo renderò ancora più pesante; mio padre vi ha castigati con la frusta, e io vi castigherò con i flagelli a punte’”. Tre giorni dopo, Geroboamo e tutto il popolo vennero da Roboamo, come aveva ordinato il re dicendo: “Tornate da me fra tre giorni”. Il re rispose loro duramente, abbandonando il consiglio che gli anziani gli avevano dato; e parlò loro secondo il consiglio dei giovani, dicendo: “Mio padre ha reso pesante il vostro giogo, ma io lo renderò ancora più pesante; mio padre vi ha castigati con la frusta, e io vi castigherò con i flagelli a punte”. Così il re non diede ascolto al popolo; perché questa cosa era diretta da Dio, affinché si adempisse la parola che l’Eterno aveva pronunciato per mezzo di Aiia di Silo a Geroboamo, figlio di Nebat. Quando tutto Israele vide che il re non gli dava ascolto, rispose al re, dicendo: “Che parte abbiamo noi con Davide? Noi non abbiamo nulla di comune con il figlio di Isai! Ognuno alle sue tende, o Israele! Provvedi ora alla tua casa, o Davide!”. E tutto Israele se ne andò alle sue tende. Ma sui figli d’Israele che abitavano nelle città di Giuda, regnò Roboamo. Il re Roboamo mandò loro Adoram, preposto ai lavori forzati; ma i figli d’Israele lo lapidarono ed egli morì. Il re Roboamo salì in fretta sopra un carro per fuggire a Gerusalemme. Così Israele si ribellò alla casa di Davide, ed è rimasto ribelle fino a oggi. Giunto a Gerusalemme, Roboamo radunò la casa di Giuda e di Beniamino, centottantamila uomini, guerrieri scelti, per combattere contro Israele e restituire il regno a Roboamo. Ma la parola dell’Eterno fu così rivolta a Semaia, uomo di Dio: “Parla a Roboamo, figlio di Salomone, re di Giuda, e a tutto Israele in Giuda e in Beniamino, e di’ loro: ‘Così parla l’Eterno: Non salite a combattere contro i vostri fratelli! Ognuno se ne torni a casa sua; perché questo è avvenuto per mia volontà’”. Quelli ubbidirono alla parola dell’Eterno, e se ne tornarono indietro rinunciando a marciare contro Geroboamo. Roboamo abitò in Gerusalemme e costruì delle città fortificate in Giuda. Costruì Betlemme, Etam, Tecoa, Bet-Sur, Soco, Adullam, Gat, Maresa, Zif, Adoraim, Lachis, Azeca, Sorea, Aialon ed Ebron, che erano in Giuda e in Beniamino, e ne fece delle città fortificate. Equipaggiò queste città fortificate, vi pose dei comandanti e dei magazzini di viveri, di olio e di vino; in ognuna di queste città mise scudi e lance e le rese straordinariamente forti. E Giuda e Beniamino furono dalla sua parte. I sacerdoti e i Leviti di tutto Israele vennero da tutte le loro contrade per porsi accanto a lui, perché i Leviti abbandonarono le loro campagne e le loro proprietà, e vennero in Giuda e a Gerusalemme; perché Geroboamo, con i suoi figli, li aveva scacciati perché non esercitassero più l’incarico di sacerdoti dell’Eterno, e si era creato dei sacerdoti per gli alti luoghi, per i demòni, e per i vitelli che aveva fatto. E quelli di tutte le tribù d’Israele che avevano in cuore di cercare l’Eterno, l’Iddio d’Israele, seguirono i Leviti a Gerusalemme per offrire sacrifici all’Eterno, all’Iddio dei loro padri; e fortificarono così il regno di Giuda e resero stabile Roboamo, figlio di Salomone, durante tre anni; perché per tre anni seguirono la via di Davide e di Salomone. Roboamo prese per moglie Maalat, figlia di Ierimot, figlio di Davide e di Abiail, figlia di Eliab, figlio di Isai. Lei gli partorì questi figli: Ieus, Semaria e Zaam. Dopo di lei, prese Maaca, figlia di Absalom, la quale gli partorì Abiia, Attai, Ziza e Selomit. Roboamo amò Maaca, figlia di Absalom, più di tutte le sue mogli e di tutte le sue concubine; perché ebbe diciotto mogli e sessanta concubine, e generò ventotto figli e sessanta figlie. Roboamo stabilì Abiia, figlio di Maaca, come capo della famiglia e principe dei suoi fratelli, perché aveva in mente di farlo re. E, con avvedutezza, sparse tutti i suoi figli per tutte le contrade di Giuda e di Beniamino, in tutte le città fortificate, diede loro viveri in abbondanza, e cercò per loro molte mogli. Quando Roboamo fu ben stabilito e fortificato nel regno, egli, e tutto Israele con lui, abbandonò la legge dell’Eterno. Il quinto anno del regno di Roboamo, Sisac re d’Egitto, salì contro Gerusalemme, perché essi erano stati infedeli all’Eterno. Egli aveva milleduecento carri e sessantamila cavalieri; con lui venne dall’Egitto un popolo innumerevole di Libi, di Succhei e di Etiopi; si impadronì delle città fortificate che appartenevano a Giuda, e giunse fino a Gerusalemme. E il profeta Semaia si recò da Roboamo e dai capi di Giuda, che si erano raccolti in Gerusalemme all’avvicinarsi di Sisac, e disse loro: “Così dice l’Eterno: ‘Voi avete abbandonato me, quindi anche io ho abbandonato voi nelle mani di Sisac’”. Allora i principi d’Israele e il re si umiliarono, e dissero: “L’Eterno è giusto”. Quando l’Eterno vide che si erano umiliati, la parola dell’Eterno fu rivolta a Semaia così: “Essi si sono umiliati; io non li distruggerò, ma fra poco concederò loro un mezzo di scampo, e la mia ira non si riverserà su Gerusalemme per mezzo di Sisac. Tuttavia gli saranno sottomessi, e impareranno la differenza che c’è tra servire a me e servire i regni degli altri paesi”. Sisac, re d’Egitto, salì dunque contro Gerusalemme e portò via i tesori della casa dell’Eterno e i tesori della casa del re, portò via ogni cosa; prese anche gli scudi d’oro che Salomone aveva fatti; il re Roboamo, al posto di quelli, fece fare degli scudi di bronzo, e li affidò ai capitani della guardia che custodiva la porta della casa del re. Ogni volta che il re entrava nella casa dell’Eterno, quelli della guardia venivano e li portavano; poi li riportavano nella sala della guardia. Così, perché egli si era umiliato, l’Eterno ritirò la sua ira da lui e non volle distruggerlo del tutto; in Giuda c’erano anche delle cose buone. Il re Roboamo dunque si consolidò in Gerusalemme, e continuò a regnare. Aveva quarantuno anni quando cominciò a regnare e regnò diciassette anni a Gerusalemme, la città che l’Eterno si era scelta fra tutte le tribù d’Israele, per stabilirvi il suo nome. Sua madre si chiamava Naama, l’Ammonita. Ed egli fece il male, perché non applicò il suo cuore alla ricerca dell’Eterno. Le azioni di Roboamo, le prime e le ultime, sono scritte nelle storie del profeta Semaia e di Iddo, il veggente, nei registri genealogici. E ci fu guerra continua fra Roboamo e Geroboamo. Poi Roboamo si addormentò con i suoi padri e fu sepolto nella città di Davide. E Abiia, suo figlio, regnò al suo posto. Il diciottesimo anno del regno di Geroboamo, Abiia cominciò a regnare sopra Giuda. Regnò tre anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Micaia, figlia di Uriel, da Ghibea. E ci fu guerra tra Abiia e Geroboamo. Abiia entrò in guerra con un esercito di prodi guerrieri, quattrocentomila uomini scelti; e Geroboamo si dispose in ordine di battaglia contro di lui con ottocentomila uomini scelti, tutti forti e valorosi. Abiia si alzò dall’alto del monte Semaraim, che è nella regione montuosa di Efraim, e disse: “Geroboamo, e tutto Israele, ascoltatemi! Non dovreste voi sapere che l’Eterno, l’Iddio d’Israele, ha dato per sempre il regno sopra Israele a Davide, a Davide e ai suoi figli, con un patto inviolabile? Eppure, Geroboamo, figlio di Nebat, servo di Salomone, figlio di Davide, è insorto e si è ribellato contro il suo signore; e della gente da nulla, degli uomini perversi, si sono raccolti attorno a lui, e si sono fatti forti contro Roboamo, figlio di Salomone, quando Roboamo era giovane e timido di cuore, e non fu abbastanza forte di fronte a loro. Ora voi credete di poter tenere testa al regno dell’Eterno, che è nelle mani dei figli di Davide; siete una grande moltitudine, e avete con voi i vitelli d’oro che Geroboamo vi ha fatto per vostri dèi. Non avete forse cacciato i sacerdoti dell’Eterno, i figli di Aaronne e i Leviti? e non vi siete forse fatti dei sacerdoti come i popoli di altri paesi? Chiunque è venuto con un giovenco e con sette montoni per essere consacrato, è diventato sacerdote di quelli che non sono dèi. Quanto a noi, l’Eterno è nostro Dio, e non lo abbiamo abbandonato; i sacerdoti al servizio dell’Eterno sono figli di Aaronne, e i Leviti sono quelli che celebrano le funzioni. Ogni mattina e ogni sera essi bruciano gli olocausti e il profumo fragrante in onore dell’Eterno, mettono in ordine i pani della presentazione sulla tavola pura e ogni sera accendono il candelabro d’oro con le sue lampade; poiché noi osserviamo i comandamenti dell’Eterno, del nostro Dio; ma voi lo avete abbandonato. Ed ecco, noi abbiamo con noi, alla nostra testa, Iddio, i suoi sacerdoti e le trombe squillanti, per suonare la carica contro di voi. O figli d’Israele, non combattete contro l’Eterno, che è l’Iddio dei vostri padri, perché non vincerete!”. Intanto Geroboamo li prese alle spalle mediante un’imboscata; in modo che le truppe di Geroboamo stavano di fronte a Giuda, che aveva dietro l’imboscata. Gli uomini di Giuda si voltarono indietro, ed eccoli costretti a combattere davanti e di dietro. Allora gridarono all’Eterno, e i sacerdoti suonarono le trombe. La gente di Giuda lanciò un grido; e avvenne che, al grido della gente di Giuda, Iddio sconfisse Geroboamo e tutto Israele davanti ad Abiia e a Giuda. I figli d’Israele fuggirono davanti a Giuda, e Dio li diede nelle loro mani. Abiia e il suo popolo ne fecero una grande strage; dalla parte d’Israele caddero morti cinquecentomila uomini scelti. Così i figli d’Israele, in quel tempo, furono umiliati e i figli di Giuda ripresero vigore, perché si erano appoggiati sull’Eterno, sull’Iddio dei loro padri. Abiia inseguì Geroboamo, e gli prese delle città: Betel e le città che ne dipendevano, Iesana e le città che ne dipendevano, Efraim e le città che ne dipendevano. Geroboamo, al tempo di Abiia, non ebbe più forza; e morì, colpito dall’Eterno. Ma Abiia divenne potente, prese quattordici mogli, generò ventidue figli e sedici figlie. Il resto delle azioni di Abiia, la sua condotta e le sue parole, si trova scritto nelle memorie del profeta Iddo. Abiia si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto nella città di Davide; e Asa, suo figlio, regnò al suo posto; e al suo tempo il paese ebbe pace per dieci anni. Asa fece ciò che è buono e retto agli occhi dell’Eterno, del suo Dio. Tolse via gli altari degli dèi stranieri e gli alti luoghi; spezzò le statue, abbatté gli idoli di Astarte; e ordinò a Giuda di cercare l’Eterno, l’Iddio dei suoi padri, e di mettere in pratica la sua legge e i suoi comandamenti. Tolse anche via da tutte le città di Giuda gli alti luoghi e le colonne solari; e, sotto di lui, il regno ebbe pace. Egli costruì delle città fortificate in Giuda, poiché il paese era tranquillo, e in quegli anni non c’era nessuna guerra contro di lui, perché l’Eterno gli aveva dato pace. Egli diceva agli abitanti di Giuda: “Costruiamo queste città, e circondiamole di mura, di torri, di porte e di sbarre; il paese è ancora a nostra disposizione, perché abbiamo cercato l’Eterno, il nostro Dio; noi lo abbiamo cercato, ed egli ci ha dato riposo da ogni lato”. Essi dunque si misero a costruire, e prosperarono. Asa aveva un esercito di trecentomila uomini di Giuda che portavano scudo e lancia, e di duecentottantamila di Beniamino che portavano scudo e tiravano d’arco, tutti uomini forti e valorosi. Zera, l’Etiopo, marciò contro di loro con un esercito di un milione di uomini e trecento carri, e avanzò fino a Maresa. Asa gli andò incontro, e si disposero in ordine di battaglia nella valle di Sefata presso Maresa. Allora Asa invocò l’Eterno, il suo Dio, e disse: “O Eterno, per te non c’è differenza tra il dare soccorso a chi è in gran numero, e il darlo a chi è senza forza; soccorrici, o Eterno, o nostro Dio! poiché noi ci appoggiamo su di te, e siamo venuti contro questa moltitudine nel tuo nome. Tu sei l’Eterno, il nostro Dio; non vinca l’uomo contro di te!”. E l’Eterno sconfisse gli Etiopi davanti ad Asa e davanti a Giuda, e gli Etiopi si diedero alla fuga. Asa e la gente che era con lui li inseguirono fino a Gherar; e degli Etiopi ne caddero tanti, che non ne rimase più uno vivo; poiché furono fatti a pezzi davanti all’Eterno e davanti al suo esercito. E Asa e i suoi portarono via un immenso bottino; e attaccarono tutte le città nei dintorni di Gherar, perché lo spavento dell’Eterno si era impadronito di esse; e quelli saccheggiarono tutte le città, perché c’era molto bottino; assalirono anche i recinti delle mandrie, e condussero via un gran numero di pecore e di cammelli. Poi tornarono a Gerusalemme. Allora lo Spirito di Dio si impadronì di Azaria, figlio di Oded, il quale uscì a incontrare Asa, e gli disse: “Asa, e voi tutto Giuda e Beniamino, ascoltatemi! L’Eterno è con voi, quando voi siete con lui; se lo cercate, egli si farà trovare da voi; ma se lo abbandonate, egli vi abbandonerà. Per lungo tempo Israele è stato senza vero Dio, senza sacerdote che lo ammaestrasse, e senza legge; ma nella sua avversità egli si è convertito all’Eterno, all’Iddio d’Israele, lo ha cercato, ed egli si è lasciato trovare da lui. In quel tempo, non c’era pace né per chi andava né per chi veniva; perché fra tutti gli abitanti dei vari paesi c’erano grandi agitazioni, ed essi erano schiacciati, nazione da nazione, e città da città; poiché Iddio li affliggeva con ogni sorta di tribolazioni. Ma voi, siate forti, non vi lasciate indebolire le braccia, perché la vostra opera avrà la sua ricompensa”. Quando Asa ebbe udito queste parole e la profezia del profeta Oded, prese coraggio, e fece sparire gli idoli abominevoli da tutto il paese di Giuda e di Beniamino, e dalle città che aveva preso nella regione montuosa di Efraim; e ristabilì l’altare dell’Eterno, che era davanti al portico dell’Eterno. Poi radunò tutto Giuda e Beniamino, e quelli di Efraim, di Manasse e di Simeone, che abitavano fra loro; poiché tanti tra la gente d’Israele erano passati dalla sua parte, vedendo che l’Eterno, il suo Dio, era con lui. Essi dunque si radunarono a Gerusalemme il terzo mese del quindicesimo anno del regno di Asa. In quel giorno offrirono in sacrificio all’Eterno, della preda che avevano portato, settecento buoi e settemila pecore e si accordarono in un patto a cercare l’Eterno, l’Iddio dei loro padri, con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima; e chiunque non cercasse l’Eterno, l’Iddio d’Israele, doveva essere messo a morte, grande o piccolo che fosse, uomo o donna. Si unirono con un giuramento all’Eterno con grande voce e con acclamazioni, al suono delle trombe e dei corni. Tutto Giuda si rallegrò di questo giuramento; perché avevano giurato con tutto il cuore, avevano cercato l’Eterno con grande ardore ed egli si era lasciato trovare da loro. E l’Eterno diede loro pace da ogni lato. Il re Asa destituì anche dalla dignità di regina sua madre Maaca, perché aveva eretto un’immagine ad Astarte; e Asa abbatté l’immagine, la fece a pezzi e la bruciò presso il torrente Chidron. Tuttavia, gli alti luoghi non furono eliminati da Israele; sebbene il cuore di Asa fosse integro, durante tutta la sua vita. Egli fece portare nella casa dell’Eterno le cose che suo padre aveva consacrato, e quelle che aveva consacrato egli stesso: argento, oro, vasi. E non ci fu più nessuna guerra fino al trentacinquesimo anno del regno di Asa. Il trentaseiesimo anno del regno di Asa, Baasa, re d’Israele, salì contro Giuda, e costruì Rama per impedire che qualcuno andasse e venisse dalla parte di Asa, re di Giuda. Allora Asa tirò fuori dell’argento e dell’oro dai tesori della casa dell’Eterno e della casa del re, e inviò dei messaggeri a Ben-Adad, re di Siria, che abitava a Damasco, per dirgli: “Ci sia alleanza fra me e te, come ci fu tra mio padre e tuo padre. Ecco, io ti mando dell’argento e dell’oro; va’, rompi la tua alleanza con Baasa, re d’Israele, affinché egli si ritiri da me”. Ben-Adad diede ascolto al re Asa; mandò i capi del suo esercito contro le città d’Israele, i quali espugnarono Iion, Dan, Abel-Maim, e tutte le città di approvvigionamento di Neftali. Quando Baasa ebbe udito questo, cessò di costruire Rama, e sospese i suoi lavori. Allora il re Asa convocò tutti quelli di Giuda, ed essi portarono via le pietre e il legname di cui Baasa si era servito per la costruzione di Rama; e con essi Asa costruì Gheba e Mispa. In quel tempo, Canani, il veggente, si recò da Asa, re di Giuda, e gli disse: “Poiché tu ti sei appoggiato sul re di Siria invece di appoggiarti sull’Eterno tuo Dio, l’esercito del re di Siria è sfuggito dalle tue mani. Gli Etiopi e i Libi non formavano forse un grande esercito con una moltitudine immensa di carri e di cavalieri? Eppure l’Eterno, poiché tu ti eri appoggiato su lui, li diede nelle tue mani. Poiché l’Eterno percorre con lo sguardo tutta la terra per spiegare la sua forza in favore di quelli che hanno il cuore integro verso di lui. In questo tu hai agito da insensato; poiché, da ora in poi, avrai delle guerre”. Asa si indignò contro il veggente, e lo fece mettere in prigione, tanto questa cosa lo aveva irritato contro di lui. E, al tempo stesso, Asa divenne crudele anche contro alcuni del popolo. Ora ecco, le azioni di Asa, le prime e le ultime, si trovano scritte nel libro dei re di Giuda e d’Israele. Il trentanovesimo anno del suo regno, Asa ebbe una malattia ai piedi; la sua malattia fu gravissima e, tuttavia, nella sua malattia non ricorse all’Eterno, ma ai medici. Poi Asa si addormentò con i suoi padri; morì il quarantunesimo anno del suo regno, e fu sepolto nel sepolcro che egli aveva fatto scavare per sé nella città di Davide. Fu steso sopra un letto pieno di profumi e di varie specie di aromi composti con arte di profumiere; e ne bruciarono una grandissima quantità in suo onore. Giosafat, figlio di Asa, regnò al suo posto, e si fortificò contro Israele; collocò dei presidî in tutte le città fortificate di Giuda, e pose delle guarnigioni nel paese di Giuda e nelle città di Efraim, che Asa suo padre aveva conquistato. L’Eterno fu con Giosafat, perché egli camminò nelle vie che Davide suo padre aveva seguìto dal principio, e non cercò i Baali, ma l’Iddio di suo padre; e si comportò seguendo i suoi comandamenti, senza imitare quello che faceva Israele. Perciò l’Eterno assicurò il potere del regno nelle mani di Giosafat; tutto Giuda gli portava dei doni, ed egli ebbe ricchezza e gloria in abbondanza. Il suo coraggio crebbe, seguendo le vie dell’Eterno; e fece anche sparire da Giuda gli alti luoghi e gli idoli di Astarte. Il terzo anno del suo regno mandò i suoi capi Ben-Ail, Obadia, Zaccaria, Natanaele e Micaia, a insegnare nelle città di Giuda; e con loro mandò i Leviti Semaia, Netania, Zebadia, Asael, Semiramot, Gionatan, Adonia, Tobia e Tob-Adonia, e i sacerdoti Elisama e Ieoram. Ed essi insegnarono in Giuda, avendo con sé il libro della legge dell’Eterno; percorsero tutte le città di Giuda, e istruirono il popolo. Il terrore dell’Eterno si impadronì di tutti i regni dei paesi che circondavano Giuda, al punto che non mossero guerra a Giosafat. Una parte dei Filistei portò a Giosafat dei doni e un tributo in argento; anche gli Arabi gli portarono del bestiame: settemilasettecento montoni e settemilasettecento capri. Giosafat raggiunse un alto grado di grandezza, e costruì castelli e città di approvvigionamento in Giuda. Fece eseguire molti lavori nelle città di Giuda, ed ebbe a Gerusalemme dei guerrieri, uomini forti e valorosi. Eccone il censimento secondo le loro case patriarcali. Di Giuda, capi di migliaia: Adna, il capo, con trecentomila uomini forti e valorosi; dopo di lui, Iocanan, il capo, con duecentottantamila uomini; dopo questo, Amasia, figlio di Zicri, il quale si era volontariamente consacrato all’Eterno, con duecentomila uomini forti e valorosi. Di Beniamino: Eliada, uomo forte e valoroso, con duecentomila uomini, armati di arco e di scudo; e, dopo di lui, Iozabad con centottantamila uomini pronti per la guerra. Tutti questi erano al servizio del re, senza contare quelli che egli aveva collocato nelle città fortificate, in tutto il paese di Giuda. Giosafat ebbe ricchezze e gloria in abbondanza, e si imparentò con Acab. Dopo qualche anno scese a Samaria da Acab, e Acab fece uccidere per lui e per la gente che era con lui un gran numero di pecore e di buoi, e lo convinse a marciare con lui contro Ramot di Galaad. Acab, re d’Israele, disse a Giosafat, re di Giuda: “Vuoi venire con me a Ramot di Galaad?”: Giosafat gli rispose: “Conta su di me come su te stesso, sulla mia gente come sulla tua, e verremo con te alla guerra”. E Giosafat disse al re d’Israele: “Ti prego, consulta oggi la parola dell’Eterno”. Allora il re d’Israele radunò i profeti, in numero di quattrocento, e disse loro: “Dobbiamo andare a far guerra a Ramot di Galaad, o no?”. Quelli risposero: “Va’, e Dio la darà nelle mani del re”. Ma Giosafat disse: “Non c’è qui nessun altro profeta dell’Eterno da poter consultare?”. Il re d’Israele rispose a Giosafat: “C’è ancora un uomo per mezzo del quale si potrebbe consultare l’Eterno; ma io lo odio perché non mi predice mai nulla di buono, ma sempre del male: è Micaia, figlio di Imla”. E Giosafat disse: “Il re non dica così”. Allora il re d’Israele chiamò un eunuco, e gli disse: “Fa’ venire presto Micaia, figlio di Imla”. Ora il re d’Israele e Giosafat, re di Giuda, sedevano ciascuno sul proprio trono, vestiti dei loro abiti reali, nell’aia che è all’ingresso della porta di Samaria; e tutti i profeti profetizzavano davanti a loro. Sedechia, figlio di Chenaana, si era fatto delle corna di ferro, e disse: “Così dice l’Eterno: ‘Con queste corna colpirai i Siri finché tu non li abbia completamente distrutti’”. E tutti i profeti profetizzavano nello stesso modo, dicendo: “Sali contro Ramot di Galaad, e vincerai; l’Eterno la darà nelle mani del re”. Ora il messaggero che era andato a chiamare Micaia, gli parlò così: “Ecco, tutti i profeti, concordi, predicono del bene al re; ti prego, il tuo parlare sia come quello di ognuno di loro, e predici del bene!”. Ma Micaia rispose: “Com’è vero che l’Eterno vive, io dirò quello che l’Eterno mi dirà”. E, quando giunse davanti al re, il re gli disse: “Micaia, dobbiamo andare a fare guerra a Ramot di Galaad, o no?”. Egli rispose: “Andate pure, e vincerete; i nemici saranno dati nelle vostre mani”. Il re gli disse: “Quante volte dovrò scongiurarti di non dirmi altro che la verità nel nome dell’Eterno?”. Micaia rispose: “Ho visto tutto Israele disperso su per i monti, come pecore che non hanno pastore; e l’Eterno ha detto: ‘Questa gente non ha padrone; se ne torni ciascuno in pace a casa sua’”. Il re d’Israele disse a Giosafat: “Non te l’ho forse detto che costui non mi avrebbe predetto nulla di buono, ma soltanto del male?”. Micaia replicò: “Perciò ascoltate la parola dell’Eterno. Io ho visto l’Eterno che sedeva sul suo trono, e tutto l’esercito celeste che gli stava a destra e a sinistra. E l’Eterno disse: ‘Chi sedurrà Acab, re d’Israele, affinché salga a Ramot di Galaad e vi muoia?’. E uno rispose in un modo e l’altro in un altro. Allora si fece avanti uno spirito, il quale si presentò davanti all’Eterno, e disse: ‘Lo sedurrò io’. L’Eterno gli disse: ‘E come?’. Egli rispose: ‘Io uscirò, e sarò spirito di menzogna in bocca a tutti i suoi profeti’. L’Eterno gli disse: ‘Sì, riuscirai a sedurlo; esci, e fa’ così’. E ora ecco che l’Eterno ha posto uno spirito di menzogna in bocca a questi tuoi profeti; ma l’Eterno ha pronunciato del male contro di te”. Allora Sedechia, figlio di Chenaana, si accostò, diede uno schiaffo a Micaia, e disse: “Per dove è passato lo Spirito dell’Eterno quando è uscito da me per parlare a te?”. Micaia rispose: “Lo vedrai il giorno che andrai di camera in camera per nasconderti!”. E il re d’Israele disse ai suoi servi: “Prendete Micaia, portatelo da Amon, governatore della città, e da Ioas, figlio del re, e dite loro: ‘Così dice il re: Mettete costui in prigione, nutritelo di pane e di acqua di afflizione, finché io non ritorni sano e salvo’”. Micaia disse: “Se tu ritorni sano e salvo, non sarà l’Eterno che avrà parlato per bocca mia”. E aggiunse: “Udite questo, o voi, popoli tutti!”. Il re d’Israele e Giosafat, re di Giuda, marciarono dunque contro Ramot di Galaad. Il re d’Israele disse a Giosafat: “Io mi travestirò per andare in battaglia; ma tu mettiti i tuoi abiti reali”. Il re d’Israele si travestì, e andarono in battaglia. Ora il re di Siria aveva dato quest’ordine ai capitani dei suoi carri: “Non combattete contro nessuno, piccolo o grande, ma soltanto contro il re d’Israele”. Quando i capitani dei carri scorsero Giosafat, dissero: “Quello è il re d’Israele”; e lo circondarono per attaccarlo; ma Giosafat lanciò un grido, e l’Eterno lo soccorse; e Dio li attirò lontano da lui. Quando i capitani dei carri si accorsero che egli non era il re d’Israele, cessarono di inseguirlo. Ora qualcuno scoccò a caso la freccia del suo arco, e ferì il re d’Israele tra la corazza e le falde; così il re disse al suo cocchiere: “Svolta, portami fuori dal campo, perché sono ferito”. Ma la battaglia fu così accanita quel giorno, che il re fu trattenuto sul suo carro di fronte ai Siri fino alla sera, e sul tramontare del sole morì. Giosafat, re di Giuda, tornò sano e salvo a casa sua a Gerusalemme. Il veggente Ieu, figlio di Canani, andò incontro a Giosafat, e gli disse: “Dovevi tu dare aiuto a un empio e amare quelli che odiano l’Eterno? Per questo fatto hai attirato su di te l’ira dell’Eterno. Tuttavia si sono trovate in te delle cose buone, perché hai fatto sparire dal paese gli idoli di Astarte e hai applicato il tuo cuore alla ricerca di Dio”. Giosafat rimase a Gerusalemme; poi fece di nuovo un giro fra il popolo, da Beer-Sceba alla regione montuosa di Efraim, e lo ricondusse all’Eterno, all’Iddio dei suoi padri. Stabilì dei giudici nel paese, in tutte le città fortificate di Giuda, città per città, e disse ai giudici: “Badate bene a quello che fate; poiché voi amministrate la giustizia, non per servire un uomo ma per servire l’Eterno, il quale sarà con voi negli affari della giustizia. Ora dunque il timore dell’Eterno sia in voi; agite con avvedutezza, poiché presso l’Eterno, nostro Dio, non c’è perversità, né favoritismi, né si prendono regali”. Giosafat, tornato a Gerusalemme, stabilì anche là dei Leviti, dei sacerdoti e dei capi delle case patriarcali d’Israele per amministrare la giustizia nel nome dell’Eterno, e per giudicare nelle contese. E diede loro i suoi ordini, dicendo: “Voi farete così, con timore dell’Eterno, con fedeltà e con cuore integro: In qualunque causa che vi sia portata davanti dai vostri fratelli abitanti nelle loro città, sia che si tratti di un omicidio, di una legge, di un comandamento, di uno statuto o di un precetto, istruiteli, affinché non si rendano colpevoli verso l’Eterno, e la sua ira non piombi su di voi e sui vostri fratelli. Così facendo, voi non vi renderete colpevoli. Il sommo sacerdote Amaria vi sarà preposto per tutti gli affari che riguardano l’Eterno; e Zebadia, figlio di Ismaele, capo della casa di Giuda, per tutti gli affari che riguardano il re; e avete a vostra disposizione dei Leviti, come magistrati. Fatevi coraggio, mettetevi all’opera, e l’Eterno sia con l’uomo onesto!”. Dopo queste cose, i figli di Moab, e i figli di Ammon, e con loro dei Maoniti, marciarono contro Giosafat per fargli guerra. Vennero dei messaggeri a informare Giosafat, dicendo: “Una grande moltitudine avanza contro di te dall’altra parte del mare, dalla Siria, ed è giunta ad Asason-Tamar”, che è En-Ghedi. Giosafat ebbe paura, si dispose a cercare l’Eterno, e bandì un digiuno per tutto Giuda. Giuda si radunò per implorare aiuto dall’Eterno, e venivano gli abitanti da tutte quante le città di Giuda per cercare l’Eterno. Giosafat, stando in piedi in mezzo all’assemblea di Giuda e di Gerusalemme, nella casa dell’Eterno, davanti al cortile nuovo, disse: “O Eterno, Dio dei nostri padri, non sei tu l’Iddio dei cieli? Non sei tu che domini su tutti i regni delle nazioni? Non hai tu nelle tue mani la forza e la potenza, in modo che nessuno ti può resistere? O Dio nostro, non sei tu colui che scacciò gli abitanti di questo paese davanti al tuo popolo Israele, e lo desti per sempre alla discendenza di Abraamo, il quale ti amò? E quelli lo hanno abitato e vi hanno costruito un santuario per il tuo nome, dicendo: ‘Quando ci cadrà addosso qualche calamità, spada, giudizio, peste o carestia, noi ci presenteremo davanti a questa casa e davanti a te, poiché il tuo nome è in questa casa; e a te grideremo nella nostra tribolazione, e tu ci udrai e ci salverai’. Ora ecco che i figli di Ammon e di Moab e quelli del monte Seir, nelle cui terre non permettesti a Israele di entrare quando veniva dal paese d’Egitto, ed egli li lasciò da parte e non li distrusse, eccoli che ora ci ricompensano, venendo a scacciarci dalla eredità di cui ci hai dato il possesso. Dio nostro, non giudicherai costoro? Poiché noi siamo senza forza di fronte a questa grande moltitudine che avanza contro di noi; non sappiamo cosa fare, ma i nostri occhi sono su di te!”. E tutto Giuda, perfino i bambini, le mogli, i figli, stavano in piedi davanti all’Eterno. Allora lo Spirito dell’Eterno investì in mezzo all’assemblea Iaaziel, figlio di Zaccaria, figlio di Benaia, figlio di Ieiel, figlio di Mattania, il Levita, tra i figli di Asaf. Iaaziel disse: “Porgete orecchio, voi tutti di Giuda, e voi abitanti di Gerusalemme, e tu, o re Giosafat! Così vi dice l’Eterno: ‘Non temete e non vi spaventate a causa di questa grande moltitudine; poiché questa battaglia non è vostra, ma di Dio. Domani, scendete contro di loro; eccoli che vengono su per la salita di Sis, e voi li troverete all’estremità della valle, di fronte al deserto di Ieruel. Questa battaglia non sarete voi a combatterla: presentatevi, tenetevi fermi, e vedrete la liberazione che l’Eterno vi darà. O Giuda, o Gerusalemme, non temete e non vi spaventate; domani, uscite contro di loro, e l’Eterno sarà con voi’”. Allora Giosafat chinò la faccia a terra, e tutto Giuda e gli abitanti di Gerusalemme si prostrarono davanti all’Eterno e lo adorarono. I Leviti tra i figli dei Cheatiti e tra i figli dei Coraiti si alzarono per lodare ad altissima voce l’Eterno, l’Iddio d’Israele. La mattina seguente si alzarono di buon’ora, e si misero in cammino verso il deserto di Tecoa; e mentre si mettevano in cammino, Giosafat, stando in piedi, disse: “Ascoltatemi, o Giuda, e voi abitanti di Gerusalemme! Credete nell’Eterno, il vostro Dio, e sarete al sicuro; credete ai suoi profeti, e trionferete!”. E dopo aver tenuto consiglio con il popolo, stabilì dei cantori che, vestiti di paramenti sacri, cantassero le lodi dell’Eterno e, camminando alla testa dell’esercito, dicessero: “Celebrate l’Eterno, perché la sua benignità dura in eterno!”. Appena cominciarono i canti di gioia e di lode, l’Eterno tese un’imboscata contro i figli di Ammon e di Moab e contro quelli del monte Seir che erano venuti contro Giuda; e rimasero sconfitti. I figli di Ammon e di Moab assalirono gli abitanti del monte Seir per sterminarli e distruggerli; e quando ebbero annientati gli abitanti di Seir, si diedero a distruggersi a vicenda. Quando quelli di Giuda furono giunti sull’altura da dove si scorge il deserto, rivolsero lo sguardo verso la moltitudine, ed ecco i cadaveri che giacevano a terra: nessuno era sopravvissuto. Allora Giosafat e la sua gente andarono a fare bottino delle loro spoglie e, fra i cadaveri, trovarono abbondanza di ricchezze, di vesti e di oggetti preziosi; ne presero più di quanto ne potessero portare; impiegarono tre giorni a portare via il bottino, tanto era ricco. Il quarto giorno si radunarono nella Valle di Benedizione, dove benedissero l’Eterno; per questo, quel luogo è stato chiamato Valle di Benedizione fino al giorno d’oggi. Tutti gli uomini di Giuda e di Gerusalemme, con a capo Giosafat, partirono con gioia per tornare a Gerusalemme, perché l’Eterno li aveva colmati di gioia, liberandoli dai loro nemici. Ed entrarono in Gerusalemme e nella casa dell’Eterno al suono dei saltèri, delle cetre e delle trombe. Il terrore di Dio si impadronì di tutti i regni degli altri paesi, quando udirono che l’Eterno aveva combattuto contro i nemici d’Israele. E il regno di Giosafat ebbe tranquillità; il suo Dio gli diede pace da ogni lato. Così Giosafat regnò sopra Giuda. Aveva trentacinque anni quando cominciò a regnare, e regnò venticinque anni a Gerusalemme; e il nome di sua madre era Azuba, figlia di Sili. Egli camminò per le vie di Asa suo padre, e non se ne allontanò, facendo ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno. Tuttavia gli alti luoghi non scomparvero, perché il popolo non aveva ancora il cuore fermamente unito all’Iddio dei suoi padri. Ora il resto delle azioni di Giosafat, le prime e le ultime, si trovano scritte nella storia di Ieu, figlio di Canani, inserita nel libro dei re d’Israele. Dopo questo, Giosafat, re di Giuda, si alleò con il re d’Israele Acazia, che aveva una condotta empia; e si alleò a lui per costruire delle navi che andassero a Tarsis; e le costruirono a Esion-Gheber. Allora Eliezer, figlio di Dodava da Maresa, profetizzò contro Giosafat, dicendo: “Perché ti sei alleato con Acazia, l’Eterno ha disperso le tue opere”. E le navi furono sfasciate, e non poterono fare il viaggio verso Tarsis. Giosafat si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto con essi nella città di Davide; e Ieoram, suo figlio, regnò al suo posto. Ieoram aveva dei fratelli, figli di Giosafat: Azaria, Ieiel, Zaccaria, Azaria, Micael e Sefatia; tutti questi erano figli di Giosafat, re d’Israele; e loro padre gli aveva fatto grandi doni d’argento, d’oro e di cose preziose, con delle città fortificate in Giuda, ma aveva lasciato il regno a Ieoram, perché era il primogenito. Quando Ieoram ebbe preso possesso del regno di suo padre e vi si fu saldamente stabilito, fece morire di spada tutti i suoi fratelli, come anche alcuni dei capi d’Israele. Ieoram aveva trentadue anni quando cominciò a regnare, e regnò otto anni in Gerusalemme. Egli camminò per la via dei re d’Israele come aveva fatto la casa di Acab, poiché aveva per moglie una figlia di Acab; e fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno. Tuttavia l’Eterno non volle distruggere la casa di Davide, a causa del patto che aveva stabilito con Davide, e della promessa che aveva fatto di lasciare sempre una lampada a lui e ai suoi figli. Ai suoi tempi, Edom si ribellò, sottraendosi al giogo di Giuda, e si diede un re. Allora Ieoram partì con i suoi capi e con tutti i suoi carri; si alzò di notte, sconfisse gli Edomiti che lo avevano circondato, e i capi dei carri. Così Edom si è ribellato sottraendosi al giogo di Giuda fino al giorno d’oggi. In quel medesimo tempo, anche Libna si ribellò e si sottrasse al dominio di Giuda, perché Ieoram aveva abbandonato l’Eterno, l’Iddio dei suoi padri. Anche Ieoram fece degli alti luoghi sui monti di Giuda, spinse gli abitanti di Gerusalemme alla prostituzione, e sviò Giuda. E gli giunse uno scritto da parte del profeta Elia, che diceva: “Così dice l’Eterno, l’Iddio di Davide tuo padre: ‘Poiché tu non hai camminato per le vie di Giosafat, tuo padre, e per le vie di Asa, re di Giuda, ma hai camminato per la via dei re d’Israele; poiché hai spinto alla prostituzione Giuda e gli abitanti di Gerusalemme; come la casa di Acab vi ha spinto Israele, e poiché hai ucciso i tuoi fratelli, membri della famiglia di tuo padre, che erano migliori di te, ecco, l’Eterno colpirà con una grande piaga il tuo popolo, i tuoi figli, le tue mogli e tutto quello che ti appartiene; e tu avrai una grave malattia, una malattia intestinale, che peggiorerà di giorno in giorno, finché gli intestini non ti usciranno fuori per effetto del male’”. E l’Eterno risvegliò contro Ieoram lo spirito dei Filistei e degli Arabi, che confinano con gli Etiopi; ed essi marciarono contro Giuda, la invasero, e portarono via tutte le ricchezze che si trovavano nella casa del re, e anche i suoi figli e le sue mogli, al punto che non gli rimase altro figlio se non Ioacaz, che era il più piccolo. Dopo tutto questo l’Eterno lo colpì con una malattia intestinale incurabile. E, con il passare del tempo, verso la fine del secondo anno, gli intestini gli uscirono fuori, in seguito alla malattia; e morì, in mezzo ad atroci sofferenze; e il suo popolo non bruciò profumi in suo onore, come aveva fatto per i suoi padri. Aveva trentadue anni quando cominciò a regnare, e regnò otto anni in Gerusalemme. Se ne andò senza essere rimpianto, e fu sepolto nella città di Davide, ma non nei sepolcri dei re. Gli abitanti di Gerusalemme, al posto di Ieoram, proclamarono re Acazia, il più giovane dei suoi figli; poiché la truppa che era entrata con gli Arabi nell’accampamento, aveva ucciso tutti i più grandi di età. Così regnò Acazia, figlio di Ieoram, re di Giuda. Acazia aveva quarantadue anni quando cominciò a regnare, e regnò un anno a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Atalia, figlia di Omri. Anche lui camminò per le vie della casa di Acab, perché sua madre, che era sua consigliera, lo spingeva ad agire empiamente. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, come quelli della casa di Acab, perché, dopo la morte di suo padre, questi furono suoi consiglieri, per la sua rovina. E fu pure dietro loro consiglio che egli andò con Ieoram, figlio di Acab re d’Israele, a combattere contro Azael, re di Siria, a Ramot di Galaad, e i Siri ferirono Ioram; e questi tornò a Izreel per farsi curare delle ferite che aveva ricevuto dai Siri a Rama, quando combatteva contro Azael, re di Siria. E Acazia, figlio di Ieoram re di Giuda, scese a Izreel per vedere Ieoram, figlio di Acab, perché questi era ammalato. Fu volontà di Dio che Acazia, per la sua rovina, si recasse da Ieoram; perché quando fu giunto, uscì con Ieoram contro Ieu, figlio di Nimsi, che l’Eterno aveva unto per sterminare la casa di Acab; e mentre Ieu faceva giustizia della casa di Acab, trovò i capi di Giuda e i figli dei fratelli di Acazia che erano al servizio di Acazia, e li uccise. Poi fece cercare Acazia, che si era nascosto in Samaria; Acazia fu preso, portato da Ieu, messo a morte, e poi seppellito; perché si diceva: “È il figlio di Giosafat, che cercava l’Eterno con tutto il suo cuore”. E nella casa di Acazia non rimase più nessuno che fosse capace di regnare. Quando Atalia, madre di Acazia, vide che suo figlio era morto, insorse e distrusse tutta la stirpe reale della casa di Giuda. Ma Ieosabet, figlia del re, prese Ioas, figlio di Acazia, lo trafugò in mezzo ai figli del re che erano messi a morte, e lo pose con la sua balia nella camera dei letti. Così Ieosabet, figlia del re Ieoram, moglie del sacerdote Ieoiada (era sorella di Acazia), lo nascose dalle ricerche di Atalia, che non lo mise a morte. Ed egli rimase nascosto presso di loro nella casa di Dio per sei anni; intanto, Atalia regnava sul paese. Il settimo anno, Ieoiada, si fece coraggio e fece lega con i capi di centinaia, Azaria figlio di Ieoram, Ismaele figlio di Iocanan, Azaria figlio di Obed, Maaseia figlio di Adaia, ed Elisafat, figlio di Zicri. Essi percorsero Giuda, radunarono i Leviti di tutte le città di Giuda e i capi delle case patriarcali d’Israele, e vennero a Gerusalemme. Tutta l’assemblea strinse alleanza con il re nella casa di Dio. E Ieoiada disse loro: “Ecco, il figlio del re regnerà, come l’Eterno ha promesso relativamente ai figli di Davide. Ecco quello che voi farete: un terzo di quelli tra voi che entrano in servizio il giorno di sabato, sacerdoti e Leviti, starà di guardia alle porte del tempio; un altro terzo starà nella casa del re e l’altro terzo alla porta di Iesod. Tutto il popolo starà nei cortili della casa dell’Eterno. Ma nessuno entri nella casa dell’Eterno, tranne i sacerdoti e i Leviti di servizio; questi entreranno, perché sono consacrati; ma tutto il popolo si atterrà all’ordine dell’Eterno. I Leviti circonderanno il re, da ogni lato, ognuno con le armi alla mano; e chiunque cercherà di penetrare nella casa di Dio, sia messo a morte; e voi starete con il re, quando entrerà e quando uscirà”. I Leviti e tutto Giuda eseguirono tutti gli ordini dati dal sacerdote Ieoiada; ognuno di loro prese i suoi uomini: quelli che entravano in servizio il giorno di sabato, e quelli che smontavano di servizio il giorno di sabato; poiché il sacerdote Ieoiada non aveva licenziato le classi uscenti. Il sacerdote Ieoiada diede ai capi di centinaia le lance, le targhe e gli scudi che erano appartenuti a Davide e si trovavano nella casa di Dio. Dispose tutto il popolo attorno al re, ciascuno con l’arma in mano, dal lato destro al lato sinistro della casa, presso l’altare e presso la casa. Allora condussero fuori il figlio del re, gli posero in testa il diadema, gli consegnarono la legge, e lo proclamarono re; Ieoiada e i suoi figli lo unsero, ed esclamarono: “Viva il re!”. Ora quando Atalia udì il rumore del popolo che accorreva e acclamava il re, andò verso il popolo nella casa dell’Eterno; guardò, ed ecco che il re stava in piedi sul suo palco, all’ingresso; i capitani e i trombettieri erano accanto al re; tutto il popolo del paese era in festa e suonava le trombe; e i cantori, con i loro strumenti musicali, dirigevano i canti di lode. Allora Atalia si stracciò le vesti, e gridò: “Congiura! congiura!”. Ma il sacerdote Ieoiada fece venire fuori i capi di centinaia che comandavano l’esercito, e disse loro: “Fatela uscire tra le file; e chiunque la seguirà sia ucciso con la spada!”. Poiché il sacerdote aveva detto: “Non sia messa a morte nella casa dell’Eterno”. Così quelli le fecero largo, e lei giunse alla casa del re per la strada della porta dei cavalli; e là fu uccisa. Ieoiada stabilì tra sé, tutto il popolo e il re, il patto, per il quale Israele doveva essere il popolo dell’Eterno. Tutto il popolo entrò nel tempio di Baal, e lo demolì; fece interamente in pezzi i suoi altari e le sue immagini, e uccise davanti agli altari Mattan, sacerdote di Baal. Poi Ieoiada affidò la sorveglianza della casa dell’Eterno ai sacerdoti levitici, che Davide aveva suddiviso in classi preposte alla casa dell’Eterno per offrire olocausti all’Eterno, come è scritto nella legge di Mosè, con gioia e con canto di lodi, secondo le disposizioni di Davide. Collocò i portinai alle porte della casa dell’Eterno, affinché non vi entrasse nessuno che fosse impuro per qualsiasi ragione. E prese i capi di centinaia, gli uomini illustri, quelli che avevano autorità sul popolo e tutto il popolo del paese, e fece scendere il re dalla casa dell’Eterno. Entrarono nella casa del re per la porta superiore, e fecero sedere il re sul trono reale. E tutto il popolo del paese fu in festa e la città rimase tranquilla, quando Atalia fu uccisa con la spada. Ioas aveva sette anni quando cominciò a regnare, e regnò quarant’anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Sibia da Beer-Sceba. Ioas fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno durante tutto il tempo che visse il sacerdote Ieoiada. Ieoiada prese per lui due mogli, dalle quali ebbe dei figli e delle figlie. Dopo queste cose venne in cuore a Ioas di restaurare la casa dell’Eterno. Radunò i sacerdoti e i Leviti, e disse loro: “Andate per le città di Giuda, e raccogliete anno per anno in tutto Israele del denaro per restaurare la casa del vostro Dio; e guardate di sollecitare la cosa”. Ma i Leviti non si affrettarono. Allora il re chiamò Ieoiada loro capo e gli disse: “Perché non hai ottenuto che i Leviti portassero da Giuda e da Gerusalemme la tassa che Mosè, servo dell’Eterno, e la comunità d’Israele stabilirono per la tenda della testimonianza?”. Poiché i figli di quella scellerata donna di Atalia avevano saccheggiato la casa di Dio e avevano perfino utilizzato per i Baali tutte le cose consacrate della casa dell’Eterno. Il re dunque comandò che si facesse una cassa e che la si mettesse fuori, alla porta della casa dell’Eterno. Poi fu intimato in Giuda e in Gerusalemme che si portasse all’Eterno la tassa che Mosè, servo di Dio, aveva imposto a Israele nel deserto. E tutti i capi e tutto il popolo se ne rallegrarono e portarono il denaro e lo gettarono nella cassa finché tutti ebbero pagato. Quando era il momento che i Leviti dovevano portare la cassa agli ispettori reali, perché vedevano che c’era molto denaro, il segretario del re e il commissario del sommo sacerdote venivano a svuotare la cassa; la prendevano, poi la riportavano al suo posto; facevano così ogni giorno, e raccolsero denaro in abbondanza. Il re e Ieoiada lo davano a quelli incaricati di eseguire i lavori della casa dell’Eterno; e questi pagavano degli scalpellini e dei falegnami per restaurare la casa dell’Eterno, e anche dei lavoratori di ferro e di bronzo per restaurare la casa dell’Eterno. Così gli incaricati dei lavori si misero all’opera, e con le loro mani furono compiute le riparazioni; essi rimisero la casa di Dio in buono stato, e la consolidarono. Quando ebbero finito, portarono davanti al re e davanti a Ieoiada il rimanente del denaro, con il quale si fecero degli utensili per la casa dell’Eterno: degli utensili per il servizio e per gli olocausti, delle coppe, e altri utensili d’oro e d’argento. E durante tutta la vita di Ieoiada, si offrirono sempre olocausti nella casa dell’Eterno. Ma Ieoiada, vecchio e sazio di giorni, morì; quando morì, aveva centotrent’anni; e fu sepolto nella città di Davide con i re, perché aveva fatto del bene in Israele, per il servizio di Dio e della sua casa. Dopo la morte di Ieoiada, i capi di Giuda vennero dal re e si prostrarono davanti a lui; allora il re diede loro ascolto; ed essi abbandonarono la casa dell’Eterno, dell’Iddio dei loro padri, servirono gli idoli di Astarte e gli altri idoli; e questa loro colpa provocò l’ira dell’Eterno su Giuda e su Gerusalemme. L’Eterno mandò loro dei profeti per ricondurli a sé e questi protestarono contro la loro condotta, ma essi non vollero ascoltarli. Allora lo Spirito di Dio rivestì Zaccaria, figlio del sacerdote Ieoiada, il quale, in piedi, al di sopra del popolo, disse loro: “Così dice Iddio: ‘Perché voi trasgredite i comandamenti dell’Eterno? Voi non prospererete; poiché avete abbandonato l’Eterno, anch’egli vi abbandonerà’”. Ma quelli fecero una congiura contro di lui, e lo lapidarono per ordine del re, nel cortile della casa dell’Eterno. Il re Ioas non si ricordò della benevolenza usata verso di lui da Ieoiada, padre di Zaccaria, e gli uccise il figlio; il quale, morendo, disse: “L’Eterno lo veda e ne chieda conto!”. Trascorso l’anno, l’esercito dei Siri salì contro Ioas, e venne in Giuda e a Gerusalemme. Essi misero a morte tutti i capi fra il popolo, e mandarono tutto il bottino al re di Damasco. Benché l’esercito dei Siri fosse venuto con un piccolo numero di uomini, l’Eterno diede loro nelle mani un esercito grandissimo, perché quelli avevano abbandonato l’Eterno, l’Iddio dei loro padri. Così i Siri fecero giustizia di Ioas. E quando questi furono partiti da lui, lasciandolo in gravi sofferenze, i suoi servi ordirono contro di lui una congiura, perché egli aveva versato il sangue dei figli del sacerdote Ieoiada, e lo uccisero nel suo letto. Così morì, e fu sepolto nella città di Davide, ma non nei sepolcri dei re. Quelli che congiurarono contro di lui furono Zabad, figlio di Simeat, un Ammonita, e Iozabad, figlio di Simrit, un Moabita. Ora per quanto riguarda i suoi figli, il grande numero di tributi che gli furono imposti e il restauro della casa di Dio, si trova scritto nelle memorie del libro dei re. E Amasia, suo figlio, regnò al suo posto. Amasia aveva venticinque anni quando cominciò a regnare, e regnò ventinove anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Ieoaddan ed era di Gerusalemme. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, ma non con tutto il cuore. Quando il regno fu consolidato nelle sue mani, egli fece morire quei suoi servi che avevano ucciso il re suo padre. Ma non fece morire i loro figli, conformandosi a quello che è scritto nella legge, nel libro di Mosè, dove l’Eterno ha dato questo comandamento: “I padri non saranno messi a morte per colpa dei figli, né i figli saranno messi a morte per colpa dei padri; ma ciascuno sarà messo a morte per il proprio peccato”. Poi Amasia radunò quelli di Giuda, e li distribuì secondo le loro case patriarcali sotto capi di migliaia e sotto capi di centinaia, per tutto Giuda e Beniamino; ne fece il censimento dall’età di vent’anni in su, e trovò trecentomila uomini scelti, adatti alla guerra e capaci di maneggiare la lancia e lo scudo. Assoldò anche centomila uomini d’Israele, forti e valorosi, per cento talenti d’argento. Ma un uomo di Dio venne a lui, e gli disse: “O re, l’esercito d’Israele non venga con te, poiché l’Eterno non è con Israele, con tutti questi figli di Efraim! Ma, se vuoi andare, comportati pure valorosamente nella battaglia; ma Iddio ti abbatterà davanti al nemico; perché Dio ha il potere di soccorrere e di abbattere”. Amasia disse all’uomo di Dio: “E che ne sarà di quei cento talenti che ho dato all’esercito d’Israele?”. L’uomo di Dio rispose: “L’Eterno è in grado di darti molto più di questo”. Allora Amasia separò l’esercito che era venuto a lui da Efraim, affinché se ne tornasse al suo paese; ma questa gente fu molto irritata contro Giuda, e se ne tornò a casa, pieni d’ira. Amasia, preso coraggio, si mise alla testa del suo popolo, andò nella valle del Sale, e sconfisse diecimila uomini dei figli di Seir. I figli di Giuda ne catturarono vivi altri diecimila; li condussero in cima alla rupe e li precipitarono giù dall’alto della rupe, così che tutti rimasero sfracellati. Ma gli uomini dell’esercito che Amasia aveva licenziato, perché non andassero con lui alla guerra, piombarono sulle città di Giuda, da Samaria fino a Bet-Oron, ne uccisero tremila abitanti e portarono via molto bottino. Amasia, tornato dalla sconfitta degli Idumei, si fece portare gli dèi dei figli di Seir, li stabilì come suoi dèi, si prostrò davanti a loro, e bruciò dei profumi in loro onore. Perciò l’Eterno si accese d’ira contro Amasia, e gli mandò un profeta per dirgli: “Perché hai cercato gli dèi di questo popolo, che non hanno liberato il loro popolo dalla tua mano?”. E mentre egli parlava al re, questi gli disse: “Ti abbiamo forse fatto consigliere del re? Vattene! Perché vorresti essere ucciso?”. Allora il profeta se ne andò, dicendo: “Io so che Dio ha deciso di distruggerti, perché hai fatto questo e non hai dato ascolto al mio consiglio”. Allora Amasia, re di Giuda, dopo essersi consigliato, inviò dei messaggeri a Ioas, figlio di Ioacaz, figlio di Ieu, re d’Israele, per dirgli: “Vieni, mettiamoci faccia a faccia!”. Ioas, re d’Israele, fece dire ad Amasia, re di Giuda: “Lo spino del Libano mandò a dire al cedro del Libano: ‘Da’ tua figlia per moglie a mio figlio’. Ma le bestie selvagge del Libano passarono, e calpestarono lo spino. Tu hai detto: ‘Ecco, io ho sconfitto gli Idumei!’, e il tuo cuore, inorgoglito, ti ha portato a gloriarti. Stattene a casa tua. Perché impegnarti in un’impresa disgraziata che porterebbe alla rovina te e Giuda con te?”. Ma Amasia non volle dargli retta; perché la cosa era diretta da Dio affinché fossero dati in mano del nemico, perché avevano cercato gli dèi di Edom. Allora Ioas, re d’Israele, salì, e lui e Amasia, re di Giuda, si trovarono a faccia a faccia a Bet-Semes, che apparteneva a Giuda. Giuda fu sconfitto da Israele, e quelli di Giuda fuggirono, ognuno alla sua tenda. Ioas, re d’Israele, fece prigioniero a Bet-Semes Amasia, re di Giuda, figlio di Ioas, figlio di Ioacaz; lo condusse a Gerusalemme, e fece una breccia di quattrocento cubiti nelle mura di Gerusalemme, dalla porta di Efraim alla porta dell’angolo. Prese tutto l’oro e l’argento e tutti i vasi che si trovavano nella casa di Dio in custodia di Obed-Edom, e i tesori della casa del re; prese pure degli ostaggi, e se ne tornò a Samaria. Amasia, figlio di Ioas, re di Giuda, visse ancora quindici anni, dopo la morte di Ioas, figlio di Ioacaz, re d’Israele. Il resto delle azioni di Amasia, le prime e le ultime, si trova scritto nel libro dei re di Giuda e d’Israele. Dopo che Amasia ebbe abbandonato l’Eterno, fu ordita contro di lui una congiura a Gerusalemme, ed egli fuggì a Lachis; ma lo fecero inseguire fino a Lachis, e là fu messo a morte. Di là fu trasportato sopra cavalli, e quindi sepolto con i suoi padri nella città di Giuda. Allora tutto il popolo di Giuda prese Uzzia, che allora aveva sedici anni, e lo fece re al posto di Amasia suo padre. Egli ricostruì Elot e la riconquistò a Giuda, dopo che il re si fu addormentato con i suoi padri. Uzzia aveva sedici anni quando cominciò a regnare, e regnò cinquantadue anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Iecolia, ed era di Gerusalemme. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, interamente come aveva fatto Amasia suo padre. Si diede con diligenza a cercare Iddio mentre visse Zaccaria, che aveva l’intelligenza delle visioni di Dio; e finché cercò l’Eterno, Iddio lo fece prosperare. Egli uscì e mosse guerra ai Filistei, abbatté le mura di Gat, le mura di Iabne e le mura di Asdod, e costruì delle città nel territorio di Asdod e in quello dei Filistei. E Dio gli diede aiuto contro i Filistei, contro gli Arabi che abitavano a Gur-Baal, e contro i Maoniti. Gli Ammoniti pagavano un tributo a Uzzia; e la sua fama si sparse fino ai confini dell’Egitto, perché era diventato potentissimo. Uzzia costruì anche delle torri a Gerusalemme sulla porta dell’Angolo, sulla porta della Valle e sulla Svolta, e le fortificò. Costruì delle torri nel deserto e scavò molte cisterne perché aveva una grande quantità di bestiame; e ne scavò pure nella parte bassa del paese e nella pianura; e aveva dei lavoranti e dei vignaioli per i monti e nelle terre da frutto, perché amava l’agricoltura. Uzzia aveva inoltre un esercito di combattenti che andava alla guerra per schiere, composte secondo il numero del censimento fatto dal segretario Ieiel e dal commissario Maaseia, e poste sotto il comando di Anania, uno dei generali del re. Il numero totale dei capi delle case patriarcali, degli uomini forti e valorosi, era di duemilaseicento. Essi avevano al loro comando un esercito di trecentosettemilacinquecento combattenti, adatti a entrare in guerra con gran valore, per sostenere il re contro il nemico. Uzzia fornì a tutto l’esercito, scudi, lance, elmi, corazze, archi, e fionde per scagliare sassi. E fece fare, a Gerusalemme, delle macchine inventate da ingegneri per collocarle sulle torri e sugli angoli, per scagliare frecce e grosse pietre. La sua fama arrivò lontano, perché fu meravigliosamente soccorso, finché divenne potente. Ma quando divenne potente, il suo cuore, insuperbito, si pervertì, ed egli commise un’infedeltà contro l’Eterno, il suo Dio, entrando nel tempio dell’Eterno per bruciare dell’incenso sull’altare dei profumi. Ma il sacerdote Azaria entrò dopo di lui con ottanta sacerdoti dell’Eterno, uomini coraggiosi, i quali si opposero al re Uzzia, e gli dissero: “Non spetta a te, Uzzia, offrire dei profumi all’Eterno; ma ai sacerdoti, figli di Aaronne, che sono consacrati per offrire i profumi! Esci dal santuario, poiché tu hai commesso un’infedeltà! E questo non tornerà alla tua gloria davanti a Dio, all’Eterno”. Allora Uzzia, che teneva in mano un turibolo per offrire il profumo, si adirò; e mentre si adirava contro i sacerdoti, la lebbra gli scoppiò sulla fronte, in presenza dei sacerdoti, nella casa dell’Eterno, presso l’altare dei profumi. Il sommo sacerdote Azaria e tutti gli altri sacerdoti lo guardarono, ed ecco che aveva la lebbra sulla fronte; lo fecero uscire precipitosamente, ed egli stesso si affrettò ad andarsene fuori, perché l’Eterno lo aveva colpito. Il re Uzzia fu lebbroso fino al giorno della sua morte e stette nell’infermeria come lebbroso, perché era escluso dalla casa dell’Eterno; e Iotam, suo figlio, era a capo della casa reale e rendeva giustizia al popolo del paese. Il resto delle azioni di Uzzia, le prime e le ultime, è stato scritto dal profeta Isaia, figlio di Amos. Uzzia si addormentò con i suoi padri e fu sepolto con i suoi padri nel campo delle sepolture destinato ai re, perché si diceva: “È lebbroso”. E Iotam, suo figlio, regnò al suo posto. Iotam aveva venticinque anni quando cominciò a regnare, e regnò sedici anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Ierusa, figlia di Sadoc. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, interamente come aveva fatto Uzzia suo padre; soltanto non entrò nel tempio dell’Eterno, e il popolo continuava a corrompersi. Egli costruì la porta superiore della casa dell’Eterno, e fece molti lavori sulle mura di Ofel. Costruì anche delle città nella regione montuosa di Giuda, dei castelli e delle torri nelle foreste. Egli mosse guerra al re dei figli di Ammon, e vinse gli Ammoniti. I figli di Ammon gli diedero quell’anno cento talenti d’argento, diecimila cori di grano e diecimila di orzo; e altrettanto gli pagarono il secondo e il terzo anno. Così Iotam divenne potente, perché camminò con costanza alla presenza dell’Eterno, del suo Dio. Il resto delle azioni di Iotam, tutte le sue guerre e le sue imprese si trovano scritte nel libro dei re d’Israele e di Giuda. Aveva venticinque anni quando cominciò a regnare, e regnò sedici anni a Gerusalemme. Iotam si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto nella città di Davide. E Acaz, suo figlio, regnò al suo posto. Acaz aveva vent’anni quando cominciò a regnare, e regnò sedici anni a Gerusalemme. Egli non fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, come aveva fatto Davide suo padre, ma seguì la via dei re d’Israele, e fece perfino delle immagini di metallo fuso per i Baali. Bruciò dei profumi nella valle di Ben-Innom, e arse i suoi figli nel fuoco, seguendo le pratiche abominevoli delle nazioni che l’Eterno aveva scacciato davanti ai figli d’Israele, e offriva sacrifici e profumi sugli alti luoghi, sulle colline, e sotto ogni albero verdeggiante. Perciò l’Eterno, il suo Dio, lo diede nelle mani del re di Siria; e i Siri lo sconfissero, e gli presero un gran numero di prigionieri che deportarono a Damasco. E fu anche dato in mano del re d’Israele, che gli inflisse una grande sconfitta. Infatti Peca, figlio di Remalia, uccise in un giorno, in Giuda, centoventimila uomini, tutta gente valorosa, perché avevano abbandonato l’Eterno, l’Iddio dei loro padri. Zicri, un prode di Efraim, uccise Maaseia, figlio del re, Azricam, maggiordomo del palazzo reale, ed Elcana, che occupava il secondo posto dopo il re. E i figli di Israele condussero via, tra i loro fratelli, duecentomila prigionieri, fra donne, figli e figlie; e ne ricavarono anche un grande bottino, che portarono a Samaria. Là c’era un profeta dell’Eterno, di nome Oded. Egli uscì incontro all’esercito che tornava a Samaria, e disse loro: “Ecco, l’Eterno, l’Iddio dei vostri padri, nella sua ira contro Giuda, ve li ha dati nelle mani; e voi li avete uccisi con un furore tale, che è giunto fino al cielo. E ora, pretendete di sottomettere come schiavi e come schiave i figli e le figlie di Giuda e di Gerusalemme! Ma voi, voi stessi, non siete forse colpevoli verso l’Eterno, il vostro Dio? Ascoltatemi dunque, e rimandate i prigionieri che avete fatto tra i vostri fratelli; poiché l’ira ardente dell’Eterno vi sovrasta”. Allora alcuni tra i capi dei figli di Efraim, Azaria figlio di Iocanan, Berechia figlio di Mesillemot, Ezechia figlio di Sallum e Amasa figlio di Cadlai, insorsero contro quelli che tornavano dalla guerra, e dissero loro: “Voi non porterete qua dentro i prigionieri; perché vi proponete una cosa che ci renderà colpevoli davanti all’Eterno, accrescendo il numero dei nostri peccati e delle nostre colpe; poiché noi siamo già grandemente colpevoli, e l’ira dell’Eterno arde contro Israele”. Allora i soldati abbandonarono i prigionieri e il bottino in presenza dei capi e di tutta l’assemblea. Gli uomini già citati per nome si alzarono e presero i prigionieri; del bottino si servirono per rivestire tutti quelli di loro che erano nudi; li rivestirono, li calzarono, diedero loro da mangiare e da bere, li unsero, condussero sopra degli asini tutti quelli che crollavano dalla fatica e li condussero a Gerico, la città delle palme, dai loro fratelli; poi se ne tornarono a Samaria. In quel tempo, il re Acaz mandò a chiedere soccorso ai re d’Assiria. Gli Edomiti erano venuti di nuovo, avevano sconfitto Giuda e portato via dei prigionieri. Anche i Filistei avevano invaso le città della pianura e del meridione di Giuda, e avevano preso Bet-Semes, Aialon, Ghederot, Soco e le città che ne dipendevano, Timna e le città che ne dipendevano, Ghimzo e le città che ne dipendevano, e vi si erano stabiliti. Poiché l’Eterno aveva umiliato Giuda a causa di Acaz, re d’Israele, perché aveva rotto ogni freno in Giuda, e aveva commesso ogni sorta di infedeltà contro l’Eterno. E Tiglat-Pileser, re d’Assiria, marciò contro di lui, lo ridusse alle strette e non lo sostenne affatto. Poiché Acaz aveva spogliato la casa dell’Eterno, la casa del re e dei capi, e aveva dato tutto al re d’Assiria; ma non gli era giovato a nulla. E nel tempo in cui si trovava alle strette, questo stesso re Acaz continuò più che mai a commettere delle infedeltà contro l’Eterno. Offrì dei sacrifici agli dèi di Damasco, che lo avevano sconfitto, e disse: “Poiché gli dèi dei re di Siria aiutano quelli, io offrirò loro dei sacrifici e aiuteranno anche me”. Ma furono invece la rovina sua e di tutto Israele. Acaz radunò gli utensili della casa di Dio, fece a pezzi gli utensili della casa di Dio, chiuse le porte della casa dell’Eterno, si fece degli altari in tutti gli angoli di Gerusalemme, e stabilì degli alti luoghi in ognuna delle città di Giuda per offrire dei profumi ad altri dèi. Così provocò a ira l’Eterno, l’Iddio dei suoi padri. Il resto delle sue azioni e di tutti i suoi comportamenti, i primi e gli ultimi, si trova scritto nel libro dei re di Giuda e d’Israele. Acaz si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto in città, a Gerusalemme, perché non lo vollero mettere nei sepolcri dei re d’Israele. Ed Ezechia, suo figlio, regnò al suo posto. Ezechia aveva venticinque anni quando cominciò a regnare, e regnò ventinove anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Abiia, figlia di Zaccaria. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, interamente come aveva fatto Davide suo padre. Nel primo anno del suo regno, nel primo mese, riaprì le porte della casa dell’Eterno, e le restaurò. Fece venire i sacerdoti e i Leviti, li radunò sulla piazza orientale, e disse loro: “Ascoltatemi, o Leviti! Ora santificatevi, e santificate la casa dell’Eterno, dell’Iddio dei vostri padri, e portate fuori dal santuario ogni cosa impura. Poiché i nostri padri sono stati infedeli e hanno fatto ciò che è male agli occhi dell’Eterno, del nostro Dio, lo hanno abbandonato, hanno cessato di rivolgere la faccia verso la casa dell’Eterno, e le hanno voltato le spalle. Hanno chiuso le porte del portico, hanno spento le lampade, non hanno più bruciato profumi né offerto olocausti nel santuario all’Iddio d’Israele. Perciò l’ira dell’Eterno ha colpito Giuda e Gerusalemme; ed egli li ha abbandonati alle oppressioni, alla desolazione e agli scherni, come vedete con i vostri occhi. Ed ecco che, a causa di questo, i nostri padri sono morti di spada, e i nostri figli, le nostre figlie e le nostre mogli sono in prigionia. Ora io ho in cuore di fare un patto con l’Eterno, coll’Iddio d’Israele, affinché la sua ira ardente si allontani da noi. Figli miei, non siate negligenti; poiché l’Eterno vi ha scelti affinché stiate davanti a lui per servirlo, per essere suoi ministri, e per offrirgli profumi”. Allora i Leviti si alzarono: Maat, figlio di Amasai, Ioel, figlio di Azaria, dei figli di Cheat. Dei figli di Merari: Chis, figlio di Abdi, e Azaria, figlio di Iealleleel. Dei Ghersoniti: Ioà, figlio di Zimma, e Eden, figlio di Ioa. Dei figli di Elisafan: Simri e Ieiel. Dei figli di Asaf: Zaccaria e Mattania. Dei figli di Eman: Ieiel e Simei. Dei figli di Iedutun: Semaia e Uzziel. Essi riunirono i loro fratelli e, dopo essersi santificati, vennero a purificare la casa dell’Eterno, secondo l’ordine del re, conformemente alle parole dell’Eterno. I sacerdoti entrarono all’interno della casa dell’Eterno per purificarla e portarono fuori, nel cortile della casa dell’Eterno, tutte le cose impure che trovarono nel tempio dell’Eterno; e i Leviti le presero per portarle fuori e gettarle nel torrente Chidron. Cominciarono queste purificazioni il primo giorno del primo mese; e l’ottavo giorno dello stesso mese vennero al portico dell’Eterno, impiegarono otto giorni a purificare la casa dell’Eterno; il sedicesimo giorno del primo mese avevano finito. Allora andarono dal re Ezechia, nel suo palazzo, e gli dissero: “Noi abbiamo purificato tutta la casa dell’Eterno, l’altare degli olocausti con tutti i suoi utensili, la tavola dei pani della presentazione con tutti i suoi utensili; abbiamo anche rimesso in buono stato e purificato tutti gli utensili che il re Acaz aveva profanato durante il suo regno, quando si rese infedele; ed ecco, stanno davanti all’altare dell’Eterno”. Allora Ezechia, si alzò di buon’ora, radunò i capi della città, e salì alla casa dell’Eterno. Essi portarono sette tori, sette montoni, sette agnelli e sette capri come sacrificio per il peccato, in favore del regno, del santuario e di Giuda. E il re ordinò ai sacerdoti, figli di Aaronne, di offrirli sull’altare dell’Eterno. I sacerdoti sgozzarono i giovenchi, ne raccolsero il sangue e lo sparsero sull’altare; sgozzarono i montoni e ne sparsero il sangue sull’altare; e sgozzarono gli agnelli e ne sparsero il sangue sull’altare. Poi portarono i capri del sacrificio per il peccato, davanti al re e all’assemblea, e questi posarono su di essi le loro mani. I sacerdoti li sgozzarono e ne offrirono il sangue sull’altare come sacrificio per il peccato, per fare l’espiazione dei peccati di tutto Israele; poiché il re aveva ordinato che si offrisse l’olocausto e il sacrificio per il peccato, in favore di tutto Israele. Il re stabilì i Leviti nella casa dell’Eterno, con cembali, con saltèri e con cetre, secondo l’ordine di Davide, di Gad, il veggente del re, e del profeta Natan; poiché tale era il comandamento dato dall’Eterno per mezzo dei suoi profeti. E i Leviti presero il loro posto con gli strumenti di Davide; e i sacerdoti, con le trombe. Allora Ezechia ordinò che si offrisse l’olocausto sull’altare; e nel momento in cui si cominciò l’olocausto, iniziò anche il canto dell’Eterno e il suono delle trombe, con l’accompagnamento degli strumenti di Davide, re d’Israele. Tutta l’assemblea si prostrò, e i cantori cominciarono a cantare e le trombe a suonare; e tutto questo continuò fino alla fine dell’olocausto. E quando l’offerta dell’olocausto fu finita, il re e tutti quelli che erano con lui si inchinarono e si prostrarono. Poi il re Ezechia e i capi ordinarono ai Leviti di celebrare le lodi dell’Eterno con le parole di Davide e del veggente Asaf; e quelli le celebrarono con gioia, e s’inchinarono e si prostrarono. Allora Ezechia prese a dire: “Ora che vi siete consacrati all’Eterno, avvicinatevi, e offrite vittime e sacrifici di lode nella casa dell’Eterno”. E l’assemblea condusse vittime e offrì sacrifici di ringraziamento; e tutti quelli che avevano il cuore ben disposto, offrirono olocausti. Il numero degli olocausti offerti dall’assemblea fu di settanta giovenchi, cento montoni, duecento agnelli: tutto per l’olocausto all’Eterno. Furono consacrati anche seicento buoi e tremila pecore. Ma i sacerdoti erano troppo pochi, e non potevano scuoiare tutti gli olocausti; perciò i loro fratelli, i Leviti, li aiutarono finché l’opera fu compiuta, e finché gli altri sacerdoti si furono santificati; perché i Leviti avevano messo più zelo a santificarsi, dei sacerdoti. C’era anche abbondanza di olocausti, oltre ai grassi dei sacrifici di ringraziamento e alle libazioni degli olocausti. Così fu ristabilito il servizio della casa dell’Eterno. Ezechia e tutto il popolo si rallegrarono che Dio avesse ben disposto il popolo, perché la cosa si era fatta senza esitazione. Poi Ezechia inviò dei messaggeri a tutto Israele e a Giuda, e scrisse anche lettere a Efraim e a Manasse, perché venissero alla casa dell’Eterno a Gerusalemme, a celebrare la Pasqua in onore dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele. Il re, i suoi capi e tutta la comunità, in un consiglio tenuto a Gerusalemme, avevano deciso di celebrare la Pasqua il secondo mese; infatti non la potevano celebrare al tempo dovuto, perché i sacerdoti non si erano santificati in numero sufficiente, e il popolo non si era radunato in Gerusalemme. La cosa piacque al re e a tutta l’assemblea; e stabilirono di proclamare un bando per tutto Israele, da Beer-Sceba fino a Dan, perché la gente venisse a Gerusalemme a celebrare la Pasqua in onore dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele; poiché nel passato essa non era stata celebrata in modo generale, secondo quanto è prescritto. I corrieri dunque andarono con le lettere del re e dei suoi capi per tutto Israele e Giuda; e, conformemente all’ordine del re, dissero: “Figli d’Israele, tornate all’Eterno, all’Iddio di Abraamo, di Isacco e di Israele, affinché egli torni al residuo che di voi è scampato dalle mani dei re d’Assiria. E non siate come i vostri padri e come i vostri fratelli, che sono stati infedeli all’Eterno, all’Iddio dei loro padri, al punto che egli li ha dati in preda alla desolazione, come voi vedete. Ora non indurite il vostro collo, come i vostri padri; date la mano all’Eterno, venite al suo santuario che egli ha santificato per sempre, e servite l’Eterno, il vostro Dio, affinché l’ardente sua ira si ritiri da voi. Infatti, se tornate all’Eterno, i vostri fratelli e i vostri figli troveranno pietà presso coloro che li hanno resi schiavi, e ritorneranno in questo paese; poiché l’Eterno, il vostro Dio, è clemente e misericordioso, e non rivolgerà la faccia lontano da voi, se tornate a lui”. Quei corrieri dunque passarono di città in città nel paese di Efraim e di Manasse, e fino a Zabulon; ma la gente si faceva beffe di loro e li derideva. Tuttavia, alcuni uomini di Ascer, di Manasse e di Zabulon si umiliarono, e vennero a Gerusalemme. Anche in Giuda la mano di Dio operò in modo da dare loro un medesimo cuore per mettere a effetto l’ordine del re e dei capi, secondo la parola dell’Eterno. Un grande popolo si riunì a Gerusalemme per celebrare la festa degli azzimi, il secondo mese: fu un’adunanza immensa. Si alzarono e tolsero via gli altari sui quali si offrivano sacrifici a Gerusalemme, tolsero via tutti gli altari sui quali si offrivano profumi, e li gettarono nel torrente Chidron. Poi immolarono l’agnello pasquale, il quattordicesimo giorno del secondo mese. I sacerdoti e i Leviti, i quali, presi da vergogna, si erano santificati, offrirono olocausti nella casa dell’Eterno; e occuparono il posto assegnato loro dalla legge di Mosè, uomo di Dio. I sacerdoti facevano l’aspersione del sangue, che ricevevano dalle mani dei Leviti. Siccome ve ne erano molti, nell’assemblea, che non si erano santificati, i Leviti avevano l’incarico di immolare gli agnelli pasquali, consacrandoli all’Eterno, per tutti quelli che non erano puri. Infatti una grande parte del popolo, molti di Efraim, di Manasse, di Issacar e di Zabulon non si erano purificati, e mangiarono la Pasqua, senza conformarsi a quello che è scritto. Ma Ezechia pregò per loro, dicendo: “L’Eterno, che è buono, perdoni chiunque ha disposto il proprio cuore alla ricerca di Dio, dell’Eterno, che è l’Iddio dei suoi padri, anche senza avere la purificazione richiesta dal santuario”. L’Eterno esaudì Ezechia, e perdonò il popolo. Così i figli d’Israele che si trovarono a Gerusalemme, celebrarono la festa degli azzimi per sette giorni con grande gioia; e ogni giorno i Leviti e i sacerdoti celebravano l’Eterno con gli strumenti consacrati per accompagnare le sue lodi. Ezechia parlò al cuore di tutti i Leviti che mostravano grande intelligenza nel servizio dell’Eterno; e si fecero i pasti della festa durante i sette giorni, offrendo sacrifici di ringraziamento, e lodando l’Eterno, l’Iddio dei loro padri. E tutta l’assemblea deliberò di celebrare la festa per altri sette giorni; e la celebrarono con gioia durante questi sette giorni; poiché Ezechia, re di Giuda, aveva donato all’assemblea mille giovenchi e settemila pecore, e anche i capi avevano donato all’assemblea mille tori e diecimila pecore; e i sacerdoti in gran numero, si erano santificati. Tutta la comunità di Giuda, i sacerdoti, i Leviti, tutta l’adunanza di quelli venuti da Israele e gli stranieri giunti dal paese d’Israele o stabiliti in Giuda furono in festa. Così vi fu grande gioia a Gerusalemme; dal tempo di Salomone, figlio di Davide, re d’Israele, non c’era stato nulla di simile a Gerusalemme. Poi i sacerdoti Leviti si alzarono e benedissero il popolo, e la loro voce fu udita, e la loro preghiera giunse fino al cielo, fino alla santa dimora dell’Eterno. Quando tutte queste cose furono compiute, tutti gli Israeliti che si trovavano là partirono per le città di Giuda, frantumarono le statue, abbatterono gli idoli di Astarte, demolirono gli alti luoghi e gli altari in tutto Giuda e Beniamino, in Efraim e in Manasse, in modo che non ne rimase più nulla. Poi tutti i figli d’Israele se ne tornarono nelle loro città, ciascuno nella sua proprietà. Ezechia ristabilì le classi dei sacerdoti e dei Leviti nelle loro funzioni, ognuno secondo il genere del suo servizio, sacerdoti e Leviti, per gli olocausti e i sacrifici di ringraziamento, per il servizio, per la lode e per il canto, entro le porte del campo dell’Eterno. Stabilì pure la parte che il re avrebbe prelevato dai suoi beni per gli olocausti, per gli olocausti del mattino e della sera, per gli olocausti dei sabati, dei noviluni e delle feste, come sta scritto nella legge dell’Eterno; e ordinò al popolo, agli abitanti di Gerusalemme, di dare ai sacerdoti e ai Leviti la loro parte, affinché potessero dedicarsi all’adempimento della legge dell’Eterno. Non appena questo ordine fu pubblicato, i figli d’Israele diedero in grande quantità le primizie del grano, del vino, dell’olio, del miele e di tutti i prodotti dei campi; e portarono la decima di ogni cosa, in abbondanza. Anche i figli d’Israele e di Giuda che abitavano nelle città di Giuda portarono la decima dei buoi e delle pecore, e la decima delle cose sante che erano consacrate all’Eterno, al loro Dio, e delle quali si fecero tanti ammassi. Cominciarono ad ammassare tutto il terzo mese, e finirono il settimo mese. Ezechia e i capi vennero a vedere quanto era stato accumulato, e benedissero l’Eterno e il suo popolo Israele. Ezechia interrogò i sacerdoti e i Leviti, relativamente a quegli ammassi; e il sommo sacerdote Azaria, della casa di Sadoc, gli rispose: “Da quando si è cominciato a portare le offerte nella casa dell’Eterno, noi abbiamo mangiato, ci siamo saziati, ed è rimasta roba in abbondanza, perché l’Eterno ha benedetto il suo popolo; ed ecco qui la grande quantità che è rimasta”. Allora Ezechia ordinò che si preparassero delle stanze nella casa dell’Eterno; e furono preparate. E vi riposero fedelmente le offerte, la decima e le cose consacrate; Conania, il Levita, ebbe la sovrintendenza, e Simei, suo fratello, veniva dopo di lui. Ieiel, Aazia, Naat, Asael, Ierimot, Iozabad, Eliel, Ismachia, Maat e Benaia erano impiegati sotto la direzione di Conania e di suo fratello Simei, per ordine del re Ezechia e di Azaria, capo della casa di Dio. Il Levita Core, figlio di Imna, guardiano della porta orientale, era preposto ai doni volontari fatti a Dio per distribuire le offerte fatte all’Eterno e le cose santissime. Sotto di lui stavano Eden, Miniamin, Iesua, Semaia, Amaria, Secania, nelle città dei sacerdoti, come uomini di fiducia, per fare le distribuzioni ai loro fratelli grandi e piccoli, secondo le loro classi, a eccezione dei maschi che erano registrati nelle loro genealogie dall’età di tre anni in su, cioè tutti quelli che entravano giornalmente nella casa dell’Eterno per fare il loro servizio secondo le loro funzioni e secondo le loro classi. La registrazione dei sacerdoti si faceva secondo le loro case patriarcali, quella dei Leviti dall’età di vent’anni in su, secondo le loro funzioni e secondo le loro classi. Erano registrati con tutti i loro bambini, con le loro mogli, con i loro figli e con le loro figlie; poiché nel loro incarico si consacravano con fedeltà a ciò che è sacro. Per i sacerdoti, figli di Aaronne, che abitavano in campagna, nelle campagne delle loro città, c’erano in ogni città degli uomini designati per nome per distribuire le porzioni a tutti i maschi tra i sacerdoti, e a tutti i Leviti registrati nelle genealogie. Ezechia fece così per tutto Giuda; fece ciò che è buono, retto e vero davanti all’Eterno, al suo Dio. In tutto quello che prese a fare per il servizio della casa di Dio, per la legge e per i comandamenti, cercando il suo Dio, mise tutto il cuore nella sua opera, e prosperò. Dopo queste cose e questi atti di fedeltà di Ezechia, Sennacherib, re d’Assiria, venne, entrò in Giuda e cinse di assedio le città fortificate, con l’intenzione di impadronirsene. Quando Ezechia vide che Sennacherib era giunto e si proponeva di attaccare Gerusalemme, deliberò con i suoi capi e con i suoi uomini valorosi di otturare le sorgenti d’acqua che erano fuori della città; ed essi gli prestarono aiuto. Si radunò dunque un gran numero di gente e otturarono tutte le sorgenti e il torrente che scorreva attraverso il paese. “Perché”, dicevano essi, “i re d’Assiria, venendo, dovrebbero trovare abbondanza di acqua?”. Ezechia prese coraggio, ricostruì tutte le mura che erano diroccate, rialzò le torri, costruì l’altro muro di fuori, fortificò Millo nella città di Davide, e fece fare una grande quantità di armi e di scudi. Diede dei capi militari al popolo, li riunì presso di sé sulla piazza della porta della città, e parlò al loro cuore, dicendo: “Siate forti e coraggiosi! Non temete e non vi spaventate a causa del re d’Assiria e della moltitudine che lo accompagna; poiché con noi c’è Uno più grande di ciò che è con lui. Con lui c’è un braccio di carne; con noi c’è l’Eterno, il nostro Dio, per aiutarci e combattere le nostre battaglie”. E il popolo fu rassicurato dalle parole di Ezechia, re di Giuda. Dopo questo, Sennacherib, re d’Assiria, mentre stava di fronte a Lachis con tutte le sue forze, mandò i suoi servi a Gerusalemme per dire a Ezechia, re di Giuda, e a tutti quelli di Giuda che si trovavano a Gerusalemme: “Così parla Sennacherib, re degli Assiri: ‘In chi confidate voi per rimanervene così assediati in Gerusalemme? Ezechia vi inganna per ridurvi a morire di fame e di sete, quando dice: L’Eterno, il nostro Dio, ci libererà dalle mani del re di Assiria. Non è lo stesso Ezechia che ha soppresso gli alti luoghi e gli altari dell’Eterno, e che ha detto a Giuda e a Gerusalemme: Voi adorerete davanti a un unico altare e su quello offrirete profumi? Non sapete voi quello che io e i miei padri abbiamo fatto a tutti i popoli degli altri paesi? Gli dèi delle nazioni di quei paesi hanno potuto liberare i loro paesi dalla mia mano? Qual è fra tutti gli dèi di queste nazioni che i miei padri hanno sterminato, quello che abbia potuto liberare il suo popolo dalla mia mano? E potrebbe il vostro Dio liberare voi dalla mia mano? Ora dunque Ezechia non vi inganni e non vi seduca in questa maniera; non prestategli fede! Poiché nessun dio di nessuna nazione o di nessun regno ha potuto liberare il suo popolo dalla mia mano o dalla mano dei miei padri; quantomeno il vostro Dio potrà liberare voi dalla mia mano!’”. I servi di Sennacherib parlarono ancora contro l’Eterno Iddio e contro il suo servo Ezechia. Sennacherib scrisse anche delle lettere, insultando l’Eterno, l’Iddio d’Israele, e parlando contro di lui, in questi termini: “Come gli dèi delle nazioni degli altri paesi non hanno potuto liberare i loro popoli dalla mia mano, così neanche l’Iddio di Ezechia potrà liberare dalla mia mano il suo popolo”. I servi di Sennacherib gridarono ad alta voce, in lingua giudaica, rivolgendosi al popolo di Gerusalemme che stava sulle mura, per spaventarlo e atterrirlo, e potersi così impadronire della città. E parlarono dell’Iddio di Gerusalemme come degli dèi dei popoli della terra, che sono opera di mano di uomo. Allora il re Ezechia e il profeta Isaia, figlio di Amots, pregarono a questo proposito e alzarono fino al cielo il loro grido. L’Eterno mandò un angelo che sterminò nell’accampamento del re d’Assiria tutti gli uomini forti e valorosi, i principi e i capi. E il re se ne tornò svergognato al suo paese. Appena fu entrato nella casa del suo dio, i suoi propri figli lo uccisero là con la spada. Così l’Eterno salvò Ezechia e gli abitanti di Gerusalemme dalla mano di Sennacherib, re d’Assiria, e dalla mano di tutti gli altri, e li protesse da ogni lato. E molti portarono a Gerusalemme delle offerte all’Eterno, e degli oggetti preziosi a Ezechia, re di Giuda, il quale, da allora, acquistò grande considerazione agli occhi di tutte le nazioni. In quel tempo, Ezechia si ammalò di una malattia mortale; egli pregò l’Eterno, e l’Eterno gli parlò, e gli concesse un segno. Ma Ezechia non fu riconoscente del beneficio che aveva ricevuto; poiché il suo cuore si inorgoglì, e l’ira dell’Eterno si volse contro di lui, contro Giuda e contro Gerusalemme. Tuttavia Ezechia si umiliò dell’orgoglio del suo cuore, tanto lui, quanto gli abitanti di Gerusalemme; perciò l’ira dell’Eterno non si riversò sopra di loro durante la vita di Ezechia. Ezechia ebbe immense ricchezze e grandissima gloria: e si fece dei depositi per riporvi argento, oro, pietre preziose, aromi, scudi, ogni sorta di oggetti di valore; dei magazzini per i prodotti di grano, vino, olio; delle stalle per ogni sorta di bestiame, e degli ovili per le pecore. Si costruì delle città ed ebbe greggi e mandrie in abbondanza, perché Dio gli aveva dato dei beni in grande quantità. Ezechia fu colui che chiuse la sorgente superiore delle acque di Ghion, e le convogliò giù direttamente, dal lato occidentale della città di Davide. Ezechia riuscì felicemente in tutte le sue imprese. Tuttavia, quando i capi di Babilonia gli inviarono dei messaggeri per informarsi del prodigio che era avvenuto nel paese, Iddio lo abbandonò, per metterlo alla prova e per conoscere tutto quello che egli aveva nel cuore. Le rimanenti azioni di Ezechia e le sue opere pie si trovano scritte nella visione del profeta Isaia, figlio di Amots, inserita nel libro dei re di Giuda e d’Israele. Ezechia si addormentò con i suoi padri e fu sepolto sulla salita dei sepolcri dei figli di Davide e, alla sua morte, tutto Giuda e gli abitanti di Gerusalemme gli resero onore. Manasse, suo figlio, regnò al suo posto. Manasse aveva dodici anni quando cominciò a regnare, e regnò cinquantacinque anni a Gerusalemme. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, seguendo le abominazioni delle nazioni che l’Eterno aveva scacciato davanti ai figli d’Israele. Ricostruì gli alti luoghi che Ezechia suo padre aveva demolito, eresse altari ai Baali, fece degli idoli di Astarte, e adorò tutto l’esercito del cielo e lo servì. Eresse pure degli altari ad altri dèi nella casa dell’Eterno, riguardo alla quale l’Eterno aveva detto: “In Gerusalemme sarà per sempre il mio nome!”. Costruì altari a tutto l’esercito del cielo nei due cortili della casa dell’Eterno. Fece passare i suoi figli per il fuoco nella valle di Ben-Innom; si diede alla magia, agli incantesimi, alla stregoneria, e istituì gli evocatori di spiriti e quelli che predicevano il futuro; si abbandonò interamente a fare ciò che è male agli occhi dell’Eterno, provocandolo a ira. Mise l’immagine scolpita dell’idolo che aveva fatto, nella casa di Dio, riguardo alla quale Dio aveva detto a Davide e a Salomone suo figlio: “In questa casa, e a Gerusalemme, che io ho scelto fra tutte le tribù d’Israele, metterò il mio nome per sempre; e farò in modo che Israele non muova più il piede dal paese che io ho assegnato ai vostri padri, purché essi abbiano cura di mettere in pratica tutto quello che ho comandato loro, cioè tutta la legge, i precetti e le prescrizioni, dati per mezzo di Mosè”. Ma Manasse indusse Giuda e gli abitanti di Gerusalemme a sviarsi, e a fare peggio delle nazioni che l’Eterno aveva distrutto davanti ai figli d’Israele. L’Eterno parlò a Manasse e al suo popolo, ma essi non ne tennero conto. Allora l’Eterno fece venire contro di loro i capi dell’esercito del re d’Assiria, che presero Manasse con uncini, lo legarono con catene di bronzo e lo condussero a Babilonia. E quando fu angosciato, egli implorò l’Eterno, il suo Dio, e si umiliò profondamente davanti all’Iddio dei suoi padri. A lui rivolse le sue preghiere, e Dio si arrese a esse, esaudì le sue suppliche, e lo ricondusse a Gerusalemme nel suo regno. Allora Manasse riconobbe che l’Eterno è Dio. Dopo questo, Manasse costruì, fuori della città di Davide, a occidente, verso Ghion nella valle, un muro che si prolungava fino alla porta dei Pesci; lo fece girare intorno a Ofel, e lo tirò su a grande altezza; e pose dei capi militari in tutte le città fortificate di Giuda; tolse dalla casa dell’Eterno gli dèi stranieri e l’idolo, abbatté tutti gli altari che aveva costruito sul monte della casa dell’Eterno e a Gerusalemme, e gettò tutto fuori dalla città. Poi ristabilì l’altare dell’Eterno e vi offrì sopra dei sacrifici di ringraziamento e di lode, e ordinò a Giuda che servisse l’Eterno, l’Iddio d’Israele. Tuttavia il popolo continuava a offrire sacrifici sugli alti luoghi; però, soltanto all’Eterno, al suo Dio. Il resto delle azioni di Manasse, la preghiera che rivolse al suo Dio, e le parole che i veggenti gli rivolsero nel nome dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele, sono cose scritte nella storia dei re d’Israele. La sua preghiera, e come Dio si arrese a essa, tutti i suoi peccati e tutte le sue infedeltà, i luoghi dove costruì degli alti luoghi e pose degli idoli di Astarte e delle immagini scolpite, prima che si fosse umiliato, sono cose scritte nel libro di Ozai. Poi Manasse si addormentò con i suoi padri e fu sepolto in casa sua. E Amon, suo figlio, regnò al suo posto. Amon aveva ventidue anni quando cominciò a regnare, e regnò due anni a Gerusalemme. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, come aveva fatto Manasse suo padre; offriva sacrifici a tutte le immagini scolpite fatte da Manasse suo padre, e le serviva. Egli non si umiliò davanti all’Eterno, come si era umiliato Manasse suo padre; anzi Amon si rese sempre più colpevole. E i suoi servi ordirono una congiura contro di lui e lo uccisero in casa sua. Ma il popolo del paese mise a morte tutti quelli che avevano congiurato contro il re Amon, e fece re, al suo posto, Giosia suo figlio. Giosia aveva otto anni quando cominciò a regnare, e regnò trentun anni a Gerusalemme. Egli fece ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno e camminò per le vie di Davide suo padre, senza deviare né a destra né a sinistra. L’ottavo anno del suo regno, mentre era ancora ragazzo, cominciò a cercare l’Iddio di Davide suo padre; e il dodicesimo anno cominciò a purificare Giuda e Gerusalemme dagli alti luoghi, dagli idoli di Astarte, dalle immagini scolpite e dalle immagini fuse. In sua presenza furono demoliti gli altari dei Baali e abbattute le colonne solari che c’erano sopra; e frantumò gli idoli di Astarte, le immagini scolpite e le statue; e le ridusse in polvere, che sparse sui sepolcri di quelli che avevano offerto loro dei sacrifici; e bruciò le ossa dei sacerdoti sui loro altari, e così purificò Giuda e Gerusalemme. Lo stesso fece nelle città di Manasse, di Efraim, di Simeone, fino a Neftali: dappertutto, in mezzo alle loro rovine, demolì gli altari, frantumò e ridusse in polvere gli idoli di Astarte e le immagini scolpite, abbatté tutte le colonne solari in tutto il paese d’Israele, e tornò a Gerusalemme. Il diciottesimo anno del suo regno, dopo aver purificato il paese e la casa dell’Eterno, mandò Safan, figlio di Asalia, Maaseia, governatore della città, e Ioa, figlio di Ioacaz, l’archivista, per restaurare la casa dell’Eterno, del suo Dio. Quelli si recarono dal sommo sacerdote Chilchia, e fu loro consegnato il denaro che era stato portato nella casa di Dio, e che i Leviti custodi dell’ingresso avevano raccolto in Manasse, in Efraim, in tutto il rimanente d’Israele, in tutto Giuda e Beniamino, e fra gli abitanti di Gerusalemme. Ed essi lo rimisero nelle mani dei direttori preposti ai lavori della casa dell’Eterno, e i direttori lo diedero a quelli che lavoravano nella casa dell’Eterno per ripararla e restaurarla. Lo diedero ai falegnami e ai costruttori, per comprare delle pietre da tagliare, e del legno per l’armatura e la travatura delle case che i re di Giuda avevano distrutto. E quegli uomini facevano il loro lavoro con fedeltà; e a essi erano preposti Iaat e Obadia, Leviti tra i figli di Merari, e Zaccaria e Mesullam tra i figli di Cheat, per la direzione, e tutti quelli tra i Leviti che erano abili a suonare strumenti musicali. Questi sorvegliavano pure i portatori di pesi, e dirigevano tutti gli operai occupati nei diversi lavori; e fra i Leviti addetti a quei lavori ce n’erano di quelli che erano segretari, commissari, portinai. Mentre si prelevava il denaro che era stato portato nella casa dell’Eterno, il sacerdote Chilchia trovò il libro della Legge dell’Eterno, data per mezzo di Mosè. Chilchia parlò a Safan, il segretario, e gli disse: “Ho trovato nella casa dell’Eterno il libro della legge”. E Chilchia diede il libro a Safan. Safan portò il libro al re, e gli fece al tempo stesso la sua relazione, dicendo: “I tuoi servi hanno fatto tutto quello che è stato loro ordinato. Hanno versato il denaro che si è trovato nella casa dell’Eterno, e lo hanno consegnato a quelli che sono preposti ai lavori e agli operai”. Safan, il segretario, disse ancora al re: “Il sacerdote Chilchia mi ha dato un libro”. E Safan lo lesse alla presenza del re. Quando il re ebbe udito le parole della legge, si stracciò le vesti. Poi il re diede quest’ordine a Chilchia, ad Aicam, figlio di Safan, ad Abdon, figlio di Mica, a Safan il segretario, e ad Asaia, servo del re: “Andate a consultare l’Eterno per me e per ciò che rimane d’Israele e di Giuda, riguardo alle parole di questo libro che si è trovato; poiché l’ira dell’Eterno che si è riversata su di noi è grande, perché i nostri padri non hanno osservato la parola dell’Eterno, e non hanno messo in pratica tutto quello che è scritto in questo libro”. Chilchia e quelli che il re aveva designato andarono dalla profetessa Culda, moglie di Sallum, figlio di Tocat, figlio di Casra, il guardarobiere. Lei dimorava a Gerusalemme, nel secondo quartiere; e quelli le parlarono nel senso indicato dal re. Lei disse loro: “Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Dite all’uomo che vi ha mandati da me: Così dice l’Eterno: Ecco, io farò venire delle sciagure su questo luogo e sopra i suoi abitanti, farò venire tutte le maledizioni che sono scritte nel libro, che è stato letto in presenza del re di Giuda. Poiché essi mi hanno abbandonato e hanno offerto profumi ad altri dèi per provocarmi a ira con tutte le opere delle loro mani, la mia ira si è riversata su questo luogo e non si estinguerà. Quanto al re di Giuda che vi ha mandati a consultare l’Eterno, gli direte questo: Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele, riguardo alle parole che tu hai udite: Poiché il tuo cuore è stato toccato, poiché ti sei umiliato davanti a Dio, udendo le sue parole contro questo luogo e contro i suoi abitanti, poiché ti sei umiliato davanti a me e ti sei stracciato le vesti e hai pianto davanti a me, anch’io ti ho ascoltato, dice l’Eterno. Ecco, io ti riunirò con i tuoi padri, e sarai raccolto in pace nel tuo sepolcro; e i tuoi occhi non vedranno tutte le sciagure che io farò venire su questo luogo e sopra i suoi abitanti’”. E quelli riferirono al re la risposta. Allora il re mandò a chiamare presso di sé tutti gli anziani di Giuda e di Gerusalemme. Il re salì alla casa dell’Eterno con tutti gli uomini di Giuda, tutti gli abitanti di Gerusalemme, i sacerdoti e i Leviti, e tutto il popolo, grandi e piccoli, e lesse in loro presenza tutte le parole del libro del patto, che era stato trovato nella casa dell’Eterno. Il re, stando in piedi sul palco, fece un patto davanti all’Eterno, impegnandosi a seguire l’Eterno, a osservare i suoi comandamenti, i suoi precetti e le sue leggi con tutto il cuore e con tutta l’anima, per mettere in pratica le parole del patto scritte in quel libro. E fece aderire al patto tutti quelli che si trovavano a Gerusalemme e in Beniamino; e gli abitanti di Gerusalemme si conformarono al patto di Dio, dell’Iddio dei loro padri. Giosia fece sparire tutte le abominazioni da tutti i paesi che appartenevano ai figli d’Israele, e impose a tutti quelli che si trovavano in Israele, di servire l’Eterno, il loro Dio. Durante tutto il tempo della vita di Giosia essi non cessarono di seguire l’Eterno, l’Iddio dei loro padri. Giosia celebrò la Pasqua in onore dell’Eterno a Gerusalemme; e il quattordicesimo giorno del mese fu immolato l’agnello pasquale. Egli stabilì i sacerdoti nei loro uffici, e li incoraggiò a compiere il servizio nella casa dell’Eterno. E disse ai Leviti che ammaestravano tutto Israele ed erano consacrati all’Eterno: “Collocate pure l’arca santa nella casa che Salomone, figlio di Davide, re d’Israele, ha costruito; voi non dovete più portarla sulle spalle; ora servite l’Eterno, il vostro Dio, e il suo popolo Israele; e tenetevi pronti secondo le vostre case patriarcali, secondo le vostre classi, conformemente a quello che hanno disposto per iscritto Davide, re d’Israele e Salomone suo figlio; e statevene nel santuario secondo i rami delle case patriarcali dei vostri fratelli, figli del popolo, e secondo la classificazione della casa paterna dei Leviti. Immolate la Pasqua, santificatevi, e preparatela per i vostri fratelli, conformandovi alla parola dell’Eterno trasmessa per mezzo di Mosè”. Giosia diede alla gente del popolo, a tutti quelli che si trovavano là, del bestiame minuto: agnelli e capretti, in numero di trentamila: tutti per la Pasqua; e tremila buoi; questo proveniva dai beni particolari del re. E anche i suoi principi fecero un dono spontaneo al popolo, ai sacerdoti e ai Leviti. Chilchia, Zaccaria e Ieiel, conduttori della casa di Dio, diedero ai sacerdoti per i sacrifici della Pasqua, duemilaseicento capi di bestiame minuto e trecento buoi. Conania, Semaia e Netaneel suoi fratelli, e Casabia, Ieiel e Iozabad, capi dei Leviti, diedero ai Leviti, per i sacrifici della Pasqua, cinquemila capi di bestiame minuto e cinquecento buoi. Così, dopo aver preparato il servizio, i sacerdoti si misero al loro posto; e così pure i Leviti, secondo le loro classi, conformemente all’ordine del re. Poi fu immolata la Pasqua; i sacerdoti sparsero il sangue ricevuto dalle mani dei Leviti, e questi scuoiarono le vittime. E i Leviti misero da parte quello che doveva essere bruciato, per darlo ai figli del popolo, secondo i rami delle case paterne, perché l’offrissero all’Eterno, secondo quanto è scritto nel libro di Mosè. E lo stesso fecero per i buoi. Poi arrostirono le vittime pasquali sul fuoco, secondo quanto è prescritto; ma le altre vivande consacrate le cossero in pentole, in caldaie e in tegami, e si affrettarono a portarle a tutti i figli del popolo. Poi prepararono la Pasqua per sé stessi e per i sacerdoti, perché i sacerdoti, figli di Aaronne, furono occupati fino alla notte a mettere sull’altare ciò che doveva essere bruciato, e i grassi; perciò i Leviti fecero preparativi per sé stessi e per i sacerdoti, figli di Aaronne. I cantori, figli di Asaf, erano al loro posto, conformemente all’ordine di Davide, di Asaf, di Eman e di Iedutun, il veggente del re; e i portinai stavano a ciascuna porta; essi non ebbero bisogno di allontanarsi dal loro servizio, perché i Leviti, loro fratelli, preparavano la Pasqua per loro. Così, in quel giorno, tutto il servizio dell’Eterno fu preparato per fare la Pasqua e per offrire olocausti sull’altare dell’Eterno, conformemente all’ordine del re Giosia. I figli d’Israele che si trovavano là, celebrarono allora la Pasqua e la festa degli azzimi per sette giorni. Nessuna Pasqua, come quella, era stata celebrata in Israele dai giorni del profeta Samuele; nessuno dei re d’Israele aveva celebrato una Pasqua pari a quella celebrata da Giosia, dai sacerdoti e dai Leviti, da tutto Giuda e Israele che si trovavano là, e dagli abitanti di Gerusalemme. Questa Pasqua fu celebrata il diciottesimo anno del regno di Giosia. Dopo tutto questo, quando Giosia ebbe restaurato il tempio, Neco, re d’Egitto, salì per combattere a Carchemis, sull’Eufrate; e Giosia gli marciò contro. Ma Neco gli inviò dei messaggeri per dirgli: “Che c’è fra me e te, o re di Giuda? Io non salgo oggi contro di te, ma contro una casa con la quale sono in guerra; e Dio mi ha comandato di fare presto; bada dunque di non opporti a Dio, il quale è con me, affinché egli non ti distrugga”. Ma Giosia non volle tornare indietro; anzi, si travestì per assalirlo e non diede ascolto alle parole di Neco, che venivano dalla bocca di Dio. E venne a dare battaglia nella valle di Meghiddo. Gli arcieri tirarono al re Giosia; e il re disse ai suoi servi: “Portatemi via di qui, perché sono ferito gravemente”. I suoi servi lo tolsero dal carro e lo misero sopra un secondo carro che era pure suo, e lo condussero a Gerusalemme. E morì, e fu sepolto nel sepolcreto dei suoi padri. Tutto Giuda e Gerusalemme piansero Giosia. Geremia compose un lamento su Giosia; e tutti i cantori e tutte le cantanti hanno parlato di Giosia nei loro lamenti fino a oggi, e ne hanno stabilito un’usanza in Israele. Essi si trovano scritti tra i lamenti. Il resto delle azioni di Giosia, le sue opere pie secondo i precetti della legge dell’Eterno, le sue azioni prime e ultime, sono cose scritte nel libro dei re d’Israele e di Giuda. Allora il popolo del paese prese Ioacaz, figlio di Giosia, e lo fece re a Gerusalemme, al posto di suo padre. Ioacaz aveva ventitré anni quando cominciò a regnare e regnò tre mesi a Gerusalemme. Il re d’Egitto lo depose a Gerusalemme, e gravò il paese di un tributo di cento talenti d’argento e di un talento d’oro. E il re d’Egitto fece re su Giuda e su Gerusalemme Eliachim, fratello di Ioacaz, e gli cambiò il nome in quello di Ioiachim. Neco prese Ioacaz, suo fratello, e lo condusse in Egitto. Ioiachim aveva venticinque anni quando cominciò a regnare; regnò undici anni a Gerusalemme, e fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, il suo Dio. Nabucodonosor, re di Babilonia, salì contro di lui, e lo legò con catene di bronzo per condurlo a Babilonia. Nabucodonosor portò a Babilonia anche parte degli utensili della casa dell’Eterno e li mise nel suo palazzo a Babilonia. Il resto delle azioni di Ioiachim, le abominazioni che commise e tutto quello di cui si rese colpevole, sono cose scritte nel libro dei re d’Israele e di Giuda. E Ioiachin, suo figlio, regnò al suo posto. Ioiachin aveva otto anni quando cominciò a regnare; regnò tre mesi e dieci giorni a Gerusalemme, e fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno. L’anno seguente il re Nabucodonosor mandò a prenderlo, lo fece condurre a Babilonia con gli utensili preziosi della casa dell’Eterno, e fece re di Giuda e di Gerusalemme Sedechia, fratello di Ioiachin. Sedechia aveva ventun anni quando cominciò a regnare, e regnò a Gerusalemme undici anni. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, del suo Dio, e non si umiliò davanti al profeta Geremia, che gli parlava da parte dell’Eterno. Egli si ribellò pure a Nabucodonosor, che lo aveva fatto giurare nel nome di Dio; e indurì il suo collo e il suo cuore rifiutando di convertirsi all’Eterno, all’Iddio d’Israele. Anche tutti i capi dei sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, seguendo tutte le abominazioni delle nazioni; e contaminarono la casa dell’Eterno, che egli aveva santificato a Gerusalemme. L’Eterno, l’Iddio dei loro padri, mandò loro a più riprese degli ammonimenti, per mezzo dei suoi messaggeri, poiché voleva risparmiare il suo popolo e la sua propria casa: ma quelli si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e derisero i suoi profeti, finché l’ira dell’Eterno contro il suo popolo arrivò al punto che non ci fu più rimedio. Allora egli fece salire contro di loro il re dei Caldei, che uccise con la spada i loro giovani nella casa del loro santuario, e non risparmiò né giovane, né fanciulla, né anziano, né vecchio. L’Eterno gli diede nelle mani ogni cosa. Nabucodonosor portò a Babilonia tutti gli utensili della casa di Dio, grandi e piccoli, i tesori della casa dell’Eterno, e i tesori del re e dei suoi capi. I Caldei incendiarono la casa di Dio, demolirono le mura di Gerusalemme, diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi, e ne distrussero tutti gli oggetti preziosi. E Nabucodonosor deportò a Babilonia quelli che erano scampati dalla spada; ed essi furono assoggettati a lui e ai suoi figli, fino all’avvento del regno di Persia (affinché si adempisse la parola dell’Eterno pronunciata per bocca di Geremia), fino a che il paese avesse goduto dei suoi sabati; infatti esso dovette riposare per tutto il tempo della sua desolazione, finché furono compiuti i settant’anni. Nel primo anno di Ciro, re di Persia, affinché si adempisse la parola dell’Eterno pronunciata per bocca di Geremia, l’Eterno destò lo spirito di Ciro, re di Persia, il quale, a voce e per iscritto, fece pubblicare per tutto il suo regno questo editto: “Così dice Ciro, re di Persia: ‘L’Eterno, l’Iddio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli mi ha comandato di costruirgli una casa in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque tra voi è del suo popolo, l’Eterno, il suo Dio, sia con lui, e parta!’”. Nel primo anno di Ciro, re di Persia, affinché si adempisse la parola dell’Eterno pronunciata per bocca di Geremia, l’Eterno destò lo spirito di Ciro, re di Persia, il quale, a voce e per iscritto, fece pubblicare per tutto il suo regno questo editto: “Così dice Ciro, re di Persia: ‘L’Eterno, l’Iddio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli mi ha comandato di costruirgli una casa a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque tra di voi è del suo popolo, il suo Dio sia con lui, e salga a Gerusalemme, che è in Giuda, e costruisca la casa dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele, dell’Iddio che è a Gerusalemme. Tutti quelli che rimangono ancora del popolo dell’Eterno, in qualunque luogo abitino, siano assistiti dalla gente del luogo con argento, con oro, con doni in natura, bestiame, aggiungendo offerte volontarie per la casa dell’Iddio che è a Gerusalemme’”. Allora i capifamiglia di Giuda e di Beniamino, i sacerdoti e i Leviti, tutti quelli ai quali Iddio aveva destato lo spirito, si mossero per andare a ricostruire la casa dell’Eterno che è a Gerusalemme. E tutti i loro vicini li fornirono di oggetti d’argento, d’oro, di doni in natura, di bestiame, di cose preziose, oltre a tutte le offerte volontarie. Il re Ciro tirò fuori gli utensili della casa dell’Eterno che Nabucodonosor aveva portato via da Gerusalemme e messi nella casa del suo dio. Ciro, re di Persia, li fece ritirare per mezzo di Mitredat, il tesoriere, che li consegnò a Sesbasar, principe di Giuda. Eccone il numero: trenta bacinelle d’oro, mille bacinelle d’argento, ventinove coltelli, trenta coppe d’oro, quattrocentodieci coppe d’argento di secondo ordine, mille altri utensili. Tutti gli oggetti d’oro e d’argento erano cinquemilaquattrocento. Sesbasar li riportò tutti, quando gli esuli furono ricondotti da Babilonia a Gerusalemme. Questi sono gli uomini della provincia che tornarono dalla prigionia, quelli che Nabucodonosor, re di Babilonia, aveva portato schiavi a Babilonia, e che tornarono a Gerusalemme e in Giuda, ognuno nella sua città. Essi giunsero con Zorobabele, Iesua, Neemia, Seraia, Reelaia, Mardocheo, Bisan, Mispar, Bigvai, Reum, Baana. Numero degli uomini del popolo d’Israele. Figli di Paros, duemilacentosettantadue. Figli di Sefatia, trecentosettantadue. Figli di Ara, settecentosettantacinque. Figli di Pacat-Moab, discendenti di Iesua e di Ioab, duemilaottocentododici. Figli di Elam, milleduecentocinquantaquattro. Figli di Zattu, novecentoquarantacinque. Figli di Zaccai, settecentosessanta. Figli di Bani, seicentoquarantadue. Figli di Bebai, seicentoventitré. Figli di Azgad, milleduecentoventidue. Figli di Adonicam, seicentosessantasei. Figli di Bigvai, duemilacinquantasei. Figli di Adin, quattrocentocinquantaquattro. Figli di Ater, della famiglia di Ezechia, novantotto. Figli di Besai, trecentoventitré. Figli di Iorà, centododici. Figli di Casum, duecentoventitré. Figli di Ghibbar, novantacinque. Figli di Betlemme, centoventitré. Gli uomini di Netofa, cinquantasei. Gli uomini di Anatot, centoventotto. Gli uomini di Azmavet, quarantadue. Gli uomini di Chiriat-Arim, di Chefira e di Beerot, settecentoquarantatré. Gli uomini di Rama e di Gheba, seicentoventuno. Gli uomini di Micmas, centoventidue. Gli uomini di Betel e di Ai, duecentoventitré. I figli di Nebo, cinquantadue. I figli di Magbis, centocinquantasei. I figli di un altro Elam, milleduecentocinquantaquattro. I figli di Carim, trecentoventi. I figli di Lod, di Cadid e di Ono, settecentoventicinque. I figli di Gerico, trecentoquarantacinque. I figli di Senaa, tremilaseicentotrenta. Sacerdoti: figli di Iedaia, della casa di Iesua, novecentosettantatré. Figli di Immer, millecinquantadue. Figli di Pasur, milleduecentoquarantasette. Figli di Carim, millediciassette. Leviti: figli di Iesua e di Cadmiel, discendenti di Odavia, settantaquattro. Cantori: figli di Asaf, centoventotto. Figli dei portinai: figli di Sallum, figli di Ater, figli di Talmon, figli di Accub, figli di Catita, figli di Sobai, in tutto, centotrentanove. Netinei: i figli di Sia, i figli di Casufa, i figli di Tabbaot, i figli di Cheros, i figli di Siaa, i figli di Padon, i figli di Lebana, i figli di Agaba, i figli di Accub, i figli di Agab, i figli di Samlai, i figli di Anan, i figli di Ghiddel, i figli di Gaar, i figli di Reaia, i figli di Resin, i figli di Necoda, i figli di Gazzam, i figli di Uzza, i figli di Pasea, i figli di Besai, i figli di Asna, i figli di Meunim, i figli di Nefusim, i figli di Bacbuc, i figli di Acufa, i figli di Carcur, i figli di Baslut, i figli di Meida, i figli di Carsa, i figli di Barcos, i figli di Sisera, i figli di Tama, i figli di Nesia, i figli di Catifa. Figli dei servi di Salomone: i figli di Sotai, i figli di Soferet, i figli di Peruda, i figli di Iaala, i figli di Darcon, i figli di Ghiddel, i figli di Sefatia, i figli di Cattil, i figli di Pocheret-Asebaim, i figli di Ami. Tutti i Netinei e i figli dei servi di Salomone ammontarono a trecentonovantadue. Ed ecco quelli che tornarono da Tel-Mela, da Tel-Arsa, da Cherub-Addan, da Immer, e che non poterono indicare la loro casa patriarcale e la loro discendenza per provare che erano di Israele: i figli di Delaia, i figli di Tobia, i figli di Necoda, in tutto, seicentocinquantadue. E tra i figli dei sacerdoti: i figli di Cabaia, i figli di Accos, i figli di Barzillai, che aveva preso per moglie una delle figlie di Barzillai, il Galaadita, e fu chiamato con il loro nome. Questi cercarono i loro titoli genealogici, ma non li trovarono; furono quindi esclusi, come impuri, dal sacerdozio; e il governatore disse loro di non mangiare cose santissime finché non si presentasse un sacerdote per consultare Dio con l’Urim e il Tummim. La comunità, tutta assieme, contava quarantaduemilatrecentosessanta persone, senza contare i loro servi e le loro serve, che ammontavano a settemilatrecentotrentasette. I cantori e le cantanti che avevano erano duecento. Avevano settecentotrentasei cavalli, duecentoquarantacinque muli, quattrocentotrentacinque cammelli e seimilasettecentoventi asini. Alcuni dei capifamiglia, quando giunsero alla casa dell’Eterno che è a Gerusalemme, offrirono dei doni volontari per la casa di Dio, per ricostruirla dove era prima. Diedero al tesoro dell’opera, secondo i loro mezzi, sessantunomila dracme d’oro, cinquemila mine d’argento e cento vesti sacerdotali. I sacerdoti, i Leviti, la gente del popolo, i cantori, i portinai, i Netinei, si stabilirono nelle loro città; e tutti gli Israeliti, nelle rispettive città. Quando giunse il settimo mese, e i figli d’Israele si furono stabiliti nelle loro città, il popolo si radunò come un sol uomo a Gerusalemme. Allora Iesua, figlio di Iosadac, con i suoi fratelli sacerdoti, e Zorobabele, figlio di Sealtiel, con i suoi fratelli, si alzarono e costruirono l’altare dell’Iddio d’Israele, per offrirvi sopra degli olocausti, com’è scritto nella legge di Mosè, uomo di Dio. Ristabilirono l’altare sulle sue basi, benché avessero paura a causa dei popoli delle terre vicine, e vi offrirono sopra olocausti all’Eterno: gli olocausti del mattino e della sera. Celebrarono la festa delle Capanne, nel modo che è scritto, e offrirono giorno per giorno olocausti, secondo il numero prescritto per ciascun giorno; poi offrirono l’olocausto perenne, gli olocausti dei noviluni e di tutte le solennità sacre dell’Eterno, e quelli di chiunque faceva qualche offerta volontaria all’Eterno. Dal primo giorno del settimo mese cominciarono a offrire olocausti all’Eterno; ma le fondamenta del tempio dell’Eterno non erano ancora state gettate. Diedero del denaro agli scalpellini e ai falegnami, dei viveri, delle bevande e dell’olio ai Sidoni e ai Tiri perché portassero per mare fino a Iafo del legno di cedro del Libano, secondo la concessione che Ciro, re di Persia, aveva fatto loro. Nel secondo mese del secondo anno del loro arrivo alla casa di Dio a Gerusalemme, Zorobabele, figlio di Sealtiel, Iesua, figlio di Iosadac, con gli altri loro fratelli sacerdoti e Leviti, e tutti quelli che erano tornati dall’esilio a Gerusalemme, si misero all’opera; e incaricarono i Leviti dai vent’anni in su di dirigere i lavori della casa dell’Eterno. Iesua, con i suoi figli, e i suoi fratelli, Cadmiel con i suoi figli, figli di Giuda, si presentarono come un sol uomo per dirigere quelli che lavoravano alla casa di Dio; lo stesso fecero i figli di Chenadad con i loro figli e con i loro fratelli Leviti. Quando i costruttori gettarono le fondamenta del tempio dell’Eterno, vi si fecero assistere i sacerdoti vestiti dei loro paramenti, con delle trombe, e i Leviti, figli di Asaf, con dei cembali, per lodare l’Eterno, secondo le direttive date da Davide, re d’Israele. Essi cantavano rispondendosi a vicenda, celebrando e lodando l’Eterno, “perché egli è buono, perché la sua benignità verso Israele dura in eterno”. Tutto il popolo mandava alte grida di gioia, lodando l’Eterno, perché si erano gettate le fondamenta della casa dell’Eterno. Molti sacerdoti, Leviti e capifamiglia anziani che avevano visto la prima casa, piangevano ad alta voce mentre si gettavano le fondamenta della nuova casa. Molti altri invece alzavano le loro voci, gridando di gioia, al punto che non si poteva distinguere il rumore delle grida di gioia da quello del pianto del popolo; perché il popolo gridava forte, e il rumore si udiva da lontano. Quando i nemici di Giuda e di Beniamino vennero a sapere che quelli che erano stati in esilio costruivano un tempio all’Eterno, all’Iddio d’Israele, si avvicinarono a Zorobabele e ai capifamiglia, e dissero loro: “Noi vogliamo costruire con voi, poiché, come voi, anche noi cerchiamo il vostro Dio, e gli offriamo dei sacrifici dal tempo di Esaraddon, re di Assiria, che ci fece salire qui”. Ma Zorobabele, Iesua, e gli altri capifamiglia d’Israele risposero loro: “Non spetta a voi e a noi insieme di costruire una casa al nostro Dio; noi da soli la costruiremo all’Eterno, all’Iddio d’Israele, come Ciro, re di Persia, ci ha comandato”. Allora la gente del paese si mise a scoraggiare il popolo di Giuda, a molestarlo per impedirgli di fabbricare, e ad assoldare dei consiglieri per far fallire il suo piano; e questo durò per tutta la vita di Ciro, re di Persia, e fino al regno di Dario, re di Persia. Sotto il regno di Assuero, al principio del suo regno, scrissero un’accusa contro gli abitanti di Giuda e di Gerusalemme. Poi, al tempo di Artaserse, Bislam, Mitredat, Tabeel e gli altri loro colleghi scrissero ad Artaserse, re di Persia. La lettera era scritta in caratteri aramaici e tradotta in aramaico. Reum il governatore e Simsai il segretario scrissero, al re Artaserse, una lettera contro Gerusalemme, in questi termini: “Reum il governatore, Simsai il segretario, e gli altri loro colleghi di Din, di Afarsatac, di Tarpel, di Afaras, di Erec, di Babilonia, di Susan, di Dea, di Elam, e gli altri popoli che il grande e illustre Osnapar ha trasportati e stabiliti nella città di Samaria, e gli altri che stanno di là dal fiume…” ecc. Ecco la copia della lettera che inviarono al re Artaserse: “I tuoi servi, la gente di oltre il fiume, ecc. Il re sappia che i Giudei che sono partiti da te e giunti fra noi a Gerusalemme, ricostruiscono la città ribelle e malvagia, ne rialzano le mura e ne restaurano le fondamenta. Sappia dunque il re che se questa città si ricostruisce e se le sue mura si rialzano, loro non pagheranno più né tributo né imposta né pedaggio, e il tesoro dei re ne soffrirà. Ora, siccome noi mangiamo il sale del palazzo e non ci sembra conveniente stare a vedere il danno del re, mandiamo al re questa informazione. Si facciano delle ricerche nel libro delle memorie dei tuoi padri; e nel libro delle memorie troverai e apprenderai che questa città è una città ribelle, dannosa a re e a province, e che fin da tempi antichi vi si sono fatte delle rivolte; per queste ragioni la città è stata distrutta. Noi facciamo sapere al re che, se questa città si ricostruisce e le sue mura si rialzano, tu non avrai più proprietà da questo lato del fiume”. Il re mandò questa risposta a Reum il governatore, a Simsai il segretario, e al resto dei loro colleghi che stavano a Samaria e altrove di là dal fiume: “Salute, ecc. La lettera che ci avete mandato è stata accuratamente letta in mia presenza; e io ho dato ordine di fare delle ricerche; e si è trovato che fin da tempi antichi questa città è insorta contro i re e vi si sono fatti dei tumulti e delle rivolte. Ci sono stati a Gerusalemme dei re potenti, che signoreggiarono su tutto il paese che è di là dal fiume, e ai quali si pagavano tributi, imposte e pedaggi. Date dunque ordine che quella gente sospenda i lavori, e che questa città non si ricostruisca prima che sia dato ordine da me. Badate di non essere negligenti in questo, affinché la situazione non peggiori a danno dei re”. Non appena la copia della lettera del re Artaserse fu letta in presenza di Reum, di Simsai il segretario e dei loro colleghi, essi andarono in fretta a Gerusalemme dai Giudei e li obbligarono, a mano armata, a sospendere i lavori. Allora fu sospesa l’opera della casa di Dio a Gerusalemme e rimase sospesa fino al secondo anno del regno di Dario, re di Persia. I profeti Aggeo e Zaccaria, figlio di Iddo, profetizzarono nel nome dell’Iddio d’Israele, ai Giudei che erano in Giuda e a Gerusalemme. Allora Zorobabele, figlio di Sealtiel, e Iesua, figlio di Iosadac, si alzarono e ricominciarono a costruire la casa di Dio a Gerusalemme; e con loro c’erano i profeti di Dio, che li assistevano. In quello stesso tempo giunsero da loro Tattenai, governatore di oltre il fiume, Setar-Boznai e i loro colleghi, e parlarono loro così: “Chi vi ha dato ordine di costruire questa casa e di rialzare queste mura?”. Poi aggiunsero: “Quali sono i nomi degli uomini che costruiscono questo edificio?”. Ma sugli anziani dei Giudei vegliava l’occhio del loro Dio e quelli non gli fecero cessare i lavori, finché la cosa non fosse stata sottoposta a Dario, e da lui fosse giunta una risposta in proposito. Copia della lettera mandata al re Dario da Tattenai, governatore di oltre il fiume, da Setar-Boznai, e dai suoi colleghi, gli Afarsachiti, che erano oltre il fiume. Gli inviarono un rapporto così elaborato: “Al re Dario, perfetta salute! Sappia il re che noi siamo andati nella provincia di Giuda, alla casa del grande Dio. Essa si costruisce con blocchi di pietra, e nelle pareti si inserisce del legname; l’opera viene fatta con cura e progredisce nelle loro mani. Noi abbiamo interrogato quegli anziani, e abbiamo parlato loro così: ‘Chi vi ha dato ordine di costruire questa casa e di rialzare queste mura?’. Abbiamo anche domandato i loro nomi per notificarteli, mettendo per iscritto i nomi degli uomini che sono i loro capi. E questa è la risposta che ci hanno dato: ‘Noi siamo i servi dell’Iddio del cielo e della terra, e ricostruiamo la casa che era stata costruita già molti anni fa: un grande re d’Israele l’aveva costruita e compiuta. Ma poiché i nostri padri hanno provocato a ira l’Iddio del cielo, Iddio li diede in mano di Nabucodonosor, re di Babilonia, il Caldeo, il quale distrusse questa casa, e deportò il popolo a Babilonia. Ma il primo anno di Ciro, re di Babilonia, il re Ciro diede ordine che questa casa di Dio fosse ricostruita. E il re Ciro prese dal tempio di Babilonia gli utensili d’oro e d’argento della casa di Dio, che Nabucodonosor aveva portato via dal tempio di Gerusalemme e trasportato nel tempio di Babilonia; li fece consegnare a uno chiamato Sesbasar, che lui aveva fatto governatore, e gli disse: Prendi questi utensili, va’ a riporli nel tempio di Gerusalemme, e la casa di Dio sia ricostruita dove era. Allora lo stesso Sesbasar venne e gettò le fondamenta della casa di Dio a Gerusalemme; da quel tempo fino a ora essa è in costruzione, ma non è ancora finita’. Dunque, se così piace al re, si facciano delle ricerche nella casa dei tesori del re a Babilonia, per accertare se vi sia stato un ordine dato dal re Ciro per la costruzione di questa casa a Gerusalemme; e ci trasmetta il re la sua decisione a riguardo”. Allora il re Dario ordinò che si facessero delle ricerche nella casa degli archivi dove erano conservati i tesori a Babilonia; e nel castello di Ameta, che è nella provincia di Media, si trovò un rotolo, nel quale stava scritto così: “Memoria. – Il primo anno del re Ciro, il re Ciro ha pubblicato questo editto, che concerne la casa di Dio a Gerusalemme: ‘La casa sia ricostruita per essere un luogo dove si offrono dei sacrifici; e le fondamenta che si getteranno, siano solide. Abbia sessanta cubiti di altezza, sessanta cubiti di larghezza, tre ordini di blocchi di pietra e un ordine di travatura nuova; la spesa sia pagata dalla casa reale e, inoltre, gli utensili d’oro e d’argento della casa di Dio, che Nabucodonosor aveva sottratto dal tempio di Gerusalemme e trasportato a Babilonia, siano restituiti e riportati al tempio di Gerusalemme, nel luogo dove erano prima, e posti nella casa di Dio’”. – “Ora dunque tu, Tattenai, governatore di oltre il fiume, tu, Setar-Boznai, e voi, loro colleghi di Afarsac, che state di là dal fiume, statevene lontani da quel luogo! Lasciate continuare i lavori di quella casa di Dio; il governatore dei Giudei e gli anziani dei Giudei ricostruiscano quella casa di Dio nel sito di prima. Questo è l’ordine che io do relativamente al vostro modo di procedere verso quegli anziani dei Giudei nella ricostruzione di quella casa di Dio: le spese, detratte dalle entrate del re provenienti dai tributi di oltre il fiume, siano puntualmente pagate a quegli uomini, affinché i lavori non siano interrotti. Le cose necessarie per gli olocausti all’Iddio dei cieli: vitelli, montoni, agnelli, frumento, sale, vino, olio, siano forniti ai sacerdoti di Gerusalemme a loro richiesta, giorno per giorno e senza errore, affinché offrano sacrifici di odore soave all’Iddio del cielo, e preghino per la vita del re e dei suoi figli. E anche questo è l’ordine che io do: Se qualcuno contravverrà a questo decreto, si prenda dalla sua casa una trave, la si erga, vi sia egli inchiodato sopra, e la sua casa, per questo motivo, diventi un letamaio. L’Iddio che ha fatto di quel luogo la dimora del suo nome, distrugga ogni re e ogni popolo che stenda la mano per trasgredire la mia parola, per distruggere la casa di Dio che è in Gerusalemme! Io, Dario, ho emanato questo decreto: sia eseguito con prontezza”. Allora Tattenai, governatore di oltre il fiume, Setar-Boznai e i loro colleghi, poiché il re Dario aveva così decretato, eseguirono puntualmente i suoi ordini. E gli anziani dei Giudei andarono avanti e fecero progredire la costruzione, aiutati dalle parole ispirate del profeta Aggeo e di Zaccaria, figlio di Iddo. Finirono i loro lavori di costruzione secondo il comandamento dell’Iddio d’Israele, e secondo gli ordini di Ciro, di Dario e di Artaserse, re di Persia. La casa fu completata il terzo giorno del mese di Adar, il sesto anno del regno di Dario. I figli d’Israele, i sacerdoti, i Leviti e gli altri reduci dalla cattività celebrarono con gioia la dedicazione di questa casa di Dio. Per la dedicazione di questa casa di Dio offrirono cento giovenchi, duecento montoni, quattrocento agnelli; e come sacrificio per il peccato di tutto Israele, dodici capri, secondo il numero delle tribù d’Israele. Stabilirono i sacerdoti secondo le loro classi, e i Leviti secondo le loro divisioni, per il servizio di Dio a Gerusalemme, come sta scritto nel libro di Mosè. Poi, i reduci dall’esilio celebrarono la Pasqua il quattordicesimo giorno del primo mese, poiché i sacerdoti e i Leviti si erano purificati come se non fossero stati che un sol uomo; tutti erano puri; e immolarono la Pasqua per tutti i reduci dall’esilio, per i sacerdoti loro fratelli, e per loro stessi. Così i figli d’Israele che erano tornati dall’esilio e tutti quelli che si erano separati dall’impurità della gente del paese e che si unirono a loro per cercare l’Eterno, l’Iddio d’Israele, mangiarono la Pasqua. E celebrarono con gioia la festa degli azzimi per sette giorni, perché l’Eterno li aveva rallegrati, e aveva piegato in loro favore il cuore del re di Assiria, in modo da fortificare le loro mani nell’opera della casa di Dio, dell’Iddio d’Israele. Dopo queste cose, sotto il regno di Artaserse, re di Persia, giunse Esdra, figlio di Seraia, figlio di Azaria, figlio di Chilchia, figlio di Sallum, figlio di Sadoc, figlio di Aitub, figlio di Amaria, figlio di Azaria, figlio di Meraiot, figlio di Zeraia, figlio di Uzzi, figlio di Bucchi, figlio di Abisua, figlio di Fineas, figlio di Eleazar, figlio di Aaronne, il sommo sacerdote. Questo Esdra veniva da Babilonia; era uno scriba esperto nella legge di Mosè data dall’Eterno, dall’Iddio d’Israele; e siccome la mano dell’Eterno, del suo Dio, era su lui, il re gli concesse tutto quello che domandò. Alcuni dei figli d’Israele e alcuni dei sacerdoti, dei Leviti, dei cantori, dei portinai e dei Netinei salirono anche loro con lui a Gerusalemme, il settimo anno del re Artaserse. Esdra giunse a Gerusalemme il quinto mese, nel settimo anno del re. Infatti, aveva fissato la partenza da Babilonia per il primo giorno del primo mese, e arrivò a Gerusalemme il primo giorno del quinto mese, assistito dalla benefica mano del suo Dio; poiché Esdra aveva dedicato il cuore allo studio e alla pratica della legge dell’Eterno, e a insegnare in Israele le leggi e le prescrizioni divine. Ecco la copia della lettera data dal re Artaserse a Esdra, sacerdote e scriba, scriba esperto nei comandamenti e nelle leggi dati dall’Eterno a Israele: “Artaserse, re dei re, a Esdra, sacerdote, scriba esperto nella legge dell’Iddio del cielo, ecc. Io decreto che nel mio regno, chiunque del popolo d’Israele, dei suoi sacerdoti e dei Leviti sarà disposto a partire con te per Gerusalemme, vada pure; poiché tu sei mandato da parte del re e dei suoi sette consiglieri per informarti in Giuda e in Gerusalemme di come sia osservata la legge del tuo Dio, la quale tu hai nelle mani, e per portare l’argento e l’oro che il re e i suoi consiglieri hanno volontariamente offerto all’Iddio d’Israele, la cui dimora è a Gerusalemme, e tutto l’argento e l’oro che troverai in tutta la provincia di Babilonia, e i doni volontari fatti dal popolo e dai sacerdoti per la casa del loro Dio a Gerusalemme. Tu avrai quindi cura di comprare con questo denaro dei giovenchi, dei montoni, degli agnelli, e ciò che occorre per le relative oblazioni e libazioni, e li offrirai sull’altare della casa del vostro Dio che è a Gerusalemme. Dell’argento e dell’oro rimanente, tu e i tuoi fratelli farete quello che vi sembrerà meglio, conformandovi alla volontà del vostro Dio. Quanto agli utensili che ti sono dati per il servizio della casa del tuo Dio, rimettili davanti all’Iddio di Gerusalemme. E qualunque altra spesa ti sarà necessario fare per la casa del tuo Dio, ne preleverai l’ammontare dal tesoro della casa reale. Io, il re Artaserse, do ordine a tutti i tesorieri di oltre il fiume di consegnare senza indugio a Esdra, sacerdote e scriba, esperto nella legge dell’Iddio del cielo, tutto quello che vi chiederà, fino a cento talenti d’argento, a cento cori di grano, a cento bati di vino, a cento bati di olio, e a una quantità illimitata di sale. Tutto quello che è comandato dall’Iddio del cielo sia puntualmente fatto per la casa dell’Iddio del cielo. Perché l’ira di Dio dovrebbe venire sopra il regno, sopra il re e i suoi figli? Vi facciamo inoltre sapere che non è lecito a nessuno esigere tributo, imposta o pedaggio da nessuno dei sacerdoti, dei Leviti, dei cantori, dei portinai, dei Netinei e dei servi di questa casa di Dio. E tu, Esdra, secondo la sapienza di cui il tuo Dio ti ha dotato, stabilisci dei magistrati e dei giudici che amministrino la giustizia a tutto il popolo di oltre il fiume, a tutti quelli che conoscono le leggi del tuo Dio; e fatele voi conoscere a chi non le conosce. E di chiunque non osserverà la legge del tuo Dio e la legge del re farete pronta giustizia, punendolo con la morte, con il bando, con una multa in denaro o con il carcere”. Sia benedetto l’Eterno, l’Iddio dei nostri padri, che ha così disposto il cuore del re a onorare la casa dell’Eterno, a Gerusalemme, e che mi ha accordato la benevolenza del re, dei suoi consiglieri e di tutti i suoi potenti capi! E io, fortificato dalla mano dell’Eterno, del mio Dio, che era su di me, radunai i capi d’Israele perché partissero con me. Questi sono i capi delle case patriarcali e la lista genealogica di quelli che tornarono con me da Babilonia, sotto il regno di Artaserse. Dei figli di Fineas, Ghersom; dei figli di Itamar, Daniele; dei figli di Davide, Cattus. Dei figli di Secania: dei figli di Paros, Zaccaria, e con lui furono registrati centocinquanta maschi. Dei figli di Paat-Moab, Elioenai, figlio di Zeraia, e con lui duecento maschi. Dei figli di Secania, il figlio di Iaaziel, e con lui trecento maschi. Dei figli di Adin, Ebed, figlio di Ionatan, e con lui cinquanta maschi. Dei figli di Elam, Isaia, figlio di Atalia, e con lui settanta maschi. Dei figli di Sefatia, Zebadia, figlio di Micael, e con lui ottanta maschi. Dei figli di Ioab, Obadia, figlio di Ieiel, e con lui duecentodiciotto maschi. Dei figli di Selomit, il figlio di Iosifia, e con lui centosessanta maschi. Dei figli di Bebai, Zaccaria, figlio di Bebai, e con lui ventotto maschi. Dei figli di Azgad, Iocanan, figlio di Accatan, e con lui centodieci maschi. Dei figli di Adonicam, gli ultimi, dei quali questi sono i nomi: Elifelet, Ieiel, Semaia, e con loro sessanta maschi. E dei figli di Bigvai, Utai e Zabbud, e con lui settanta maschi. Io li radunai presso il fiume che scorre verso Aava, e là rimanemmo accampati tre giorni; e, avendo passato in rassegna il popolo e i sacerdoti, non trovai tra di loro nessun figlio di Levi. Allora feci chiamare i capi Eliezer, Ariel, Semaia, Elnatan, Iarib, Elnatan, Natan, Zaccaria, Mesullam, e i dottori Ioiarib ed Elnatan, e ordinai loro di andare dal capo Iddo, che stava a Casifia, e misi loro in bocca le parole che dovevano dire a Iddo e ai suoi fratelli Netinei che erano a Casifia, perché ci portassero degli uomini per fare il servizio della casa del nostro Dio. E siccome la benefica mano del nostro Dio era su di noi, ci portarono Serebia, uomo intelligente, dei figli di Mali, figlio di Levi, figlio d’Israele, e con lui i suoi figli e i suoi fratelli, in numero di diciotto; Casabia, e con lui Isaia, dei figli di Merari, i suoi fratelli e i suoi figli, in numero di venti; e dei Netinei, che Davide e i capi avevano messo al servizio dei Leviti, duecentoventi Netinei, tutti quanti designati per nome. E là, presso il fiume Aava, io bandii un digiuno per umiliarci davanti al nostro Dio, per chiedergli un buon viaggio per noi, per i nostri bambini, e per tutto quello che ci apparteneva; perché, io mi vergognavo di chiedere al re una scorta armata e dei cavalieri per difenderci lungo il cammino dal nemico, poiché avevamo detto al re: “La mano del nostro Dio assiste tutti quelli che lo cercano; ma la sua potenza e la sua ira sono contro tutti quelli che lo abbandonano”. Così digiunammo e invocammo il nostro Dio a questo proposito, ed egli ci esaudì. Allora io separai dodici dei capi sacerdoti: Serebia, Casabia e dieci dei loro fratelli, e gli pesai l’argento, l’oro, gli utensili, che erano l’offerta fatta per la casa del nostro Dio dal re, dai suoi consiglieri, dai suoi capi, e da tutti quelli d’Israele che si trovavano lì. Misi dunque nelle loro mani seicentocinquanta talenti d’argento, degli utensili d’argento per il valore di cento talenti, cento talenti d’oro, venti coppe d’oro del valore di mille darici, due vasi di bronzo lucente finissimo, prezioso come l’oro, e dissi loro: “Voi siete consacrati all’Eterno; questi utensili sono sacri, e quest’argento e quest’oro sono un’offerta volontaria fatta all’Eterno, all’Iddio dei vostri padri; vigilate e custoditeli, finché li peserete in presenza dei capi sacerdoti, dei Leviti e dei capi delle famiglie d’Israele a Gerusalemme, nelle camere della casa dell’Eterno”. I sacerdoti e i Leviti dunque ricevettero l’argento e l’oro, e gli utensili, pesati per portarli a Gerusalemme nella casa del nostro Dio. E noi partimmo dal fiume di Aava il dodicesimo giorno del primo mese per andare a Gerusalemme; e la mano di Dio fu su di noi, e ci liberò dalla mano del nemico e da ogni insidia, durante il viaggio. Arrivammo a Gerusalemme; e dopo esserci riposati là tre giorni, il quarto giorno pesammo nella casa del nostro Dio l’argento, l’oro e gli utensili, che consegnammo al sacerdote Meremot, figlio di Uria; con lui c’era Eleazar, figlio di Fineas, e con loro c’erano i Leviti Iozabad, figlio di Iesua, e Noadia, figlio di Binnu. Tutto fu contato e pesato, e nello stesso tempo il peso di tutto fu messo per iscritto. Gli esuli, tornati dall’esilio, offrirono in olocausti all’Iddio d’Israele dodici giovenchi per tutto Israele, novantasei montoni, settantasette agnelli; e, come sacrificio per il peccato, dodici capri: tutto questo, in olocausto all’Eterno. E presentarono i decreti del re ai satrapi del re e ai governatori di oltre il fiume, i quali furono ben disposti verso il popolo e la casa di Dio. Terminate queste cose, i capi si avvicinarono a me, dicendo: “Il popolo d’Israele, i sacerdoti e i Leviti non si sono separati dai popoli di questi paesi, ma si conformano alle abominazioni dei Cananei, degli Ittiti, dei Ferezei, dei Gebusei, degli Ammoniti, dei Moabiti, degli Egiziani e degli Amorei. Infatti hanno preso le loro figlie per sé e per i propri figli e hanno mescolata la stirpe santa con i popoli di questi paesi; i capi e i magistrati sono stati i primi a commettere questa infedeltà”. Quando udii questo, mi stracciai le vesti e il mantello, mi strappai i capelli della testa e della barba, e mi misi a sedere, costernato. Allora tutti quelli che tremavano alle parole dell’Iddio d’Israele si radunarono presso di me a causa della infedeltà di quelli che erano tornati dall’esilio; e io rimasi così seduto e costernato, fino al tempo dell’oblazione della sera. Al momento dell’oblazione della sera, mi alzai dalla mia umiliazione, con le vesti e con il mantello stracciati, caddi in ginocchio, stesi le mani verso l’Eterno, il mio Dio, e dissi: “O mio Dio, io sono confuso; e mi vergogno, o mio Dio, di alzare a te la mia faccia; poiché le nostre iniquità si sono moltiplicate fino al di sopra del nostro capo, e la nostra colpa è così grande che arriva al cielo. Dal tempo dei nostri padri fino al giorno d’oggi siamo stati grandemente colpevoli; e a causa delle nostre iniquità, noi, i nostri re, i nostri sacerdoti, siamo stati dati in mano ai re dei paesi stranieri, in balìa della spada, dell’esilio, della rapina e della vergogna, come anche oggi si vede. Ora, per un breve istante, l’Eterno, il nostro Dio, ci ha fatto grazia, lasciandoci alcuni superstiti, e concedendoci un asilo nel suo santo luogo, per illuminare i nostri occhi e darci un po’ di sollievo nella nostra schiavitù. Infatti noi siamo schiavi, ma il nostro Dio non ci ha abbandonati nella nostra schiavitù. Anzi, ha fatto in modo che trovassimo benevolenza presso i re di Persia, i quali ci hanno dato tanto sollievo da poter rialzare la casa del nostro Dio e restaurarne le rovine, e ci hanno concesso un rifugio in Giuda e in Gerusalemme. Ora, o Dio nostro, che possiamo dire dopo questo? Poiché noi abbiamo abbandonato i tuoi comandamenti, quelli che ci hai dato per mezzo dei tuoi servi i profeti, dicendo: ‘Il paese nel quale entrate per prenderne possesso, è un paese reso impuro dalla impurità dei popoli di questi paesi, dalle abominazioni con le quali lo hanno riempito da un capo all’altro con le loro contaminazioni. Ora dunque non date le vostre figlie ai loro figli, e non prendete le loro figlie per i vostri figli, e non cercate mai la loro prosperità né il loro benessere, e così diventerete forti, mangerete i prodotti migliori del paese, e lo lascerete in eredità perenne ai vostri figli’. Ora, dopo tutto quello che ci è avvenuto a causa delle nostre azioni malvagie e delle nostre grandi colpe, poiché tu, o Dio nostro, ci hai puniti meno severamente di quanto le nostre colpe avrebbero meritato, e hai conservato di noi un residuo come questo, dovremmo tornare di nuovo a violare i tuoi comandamenti e a imparentarci con i popoli che commettono queste abominazioni? La tua ira non si infiammerebbe forse contro di noi fino a consumarci e a non lasciare più né residuo né superstite? O Eterno, Dio d’Israele, tu sei giusto, e perciò noi siamo oggi ridotti a un residuo di scampati. Ed eccoci davanti a te a riconoscere la nostra colpa; poiché, a causa di essa, noi non potremmo resistere alla tua presenza!”. Mentre Esdra pregava e faceva questa confessione piangendo e prostrato davanti alla casa di Dio, si radunò intorno a lui una grandissima moltitudine di gente d’Israele, uomini, donne e bambini; e il popolo piangeva a dirotto. Allora Secania, figlio di Ieiel, uno dei figli di Elam, disse a Esdra: “Noi siamo stati infedeli al nostro Dio, sposando donne straniere prese dai popoli di questo paese; tuttavia, rimane ancora, a questo riguardo, una speranza a Israele. Facciamo un patto con il nostro Dio impegnandoci a rimandare tutte queste donne e i figli nati da loro, come consigliano il mio signore e quelli che tremano davanti ai comandamenti del nostro Dio. E si faccia quello che vuole la legge. Àlzati, poiché questo è compito tuo, e noi saremo con te. Fatti coraggio, e agisci!”. Allora Esdra si alzò, fece giurare ai capi dei sacerdoti, dei Leviti, e di tutto Israele che avrebbero fatto come era stato detto. E quelli giurarono. Poi Esdra si alzò davanti alla casa di Dio, e andò nella camera di Iocanan, figlio di Eliasib; e quando fu entrato, non mangiò pane né bevve acqua, perché faceva cordoglio per la infedeltà di quelli che erano stati in esilio. E si proclamò in Giuda e a Gerusalemme che tutti quelli dell’esilio si radunassero a Gerusalemme; e che a chiunque non fosse venuto entro tre giorni, seguendo il consiglio dei capi e degli anziani, gli sarebbero stati confiscati tutti i suoi beni, ed egli stesso sarebbe stato escluso dall’assemblea dei reduci dall’esilio. Così tutti gli uomini di Giuda e di Beniamino si radunarono a Gerusalemme entro i tre giorni. Era il ventesimo giorno del nono mese. Tutto il popolo stava sulla piazza della casa di Dio, tremante a causa di questa cosa e a causa della grande pioggia. E il sacerdote Esdra si alzò e disse loro: “Voi avete commesso una infedeltà, sposando donne straniere, e avete accresciuto la colpa d’Israele. Ma ora rendete omaggio all’Eterno, all’Iddio dei vostri padri, e fate quello che piace a lui! Separatevi dai popoli di questo paese e dalle donne straniere!”. Allora tutta l’assemblea rispose e disse ad alta voce: “Sì, dobbiamo fare come tu hai detto! Ma il popolo è molto numeroso, e il tempo è molto piovoso e non possiamo stare allo scoperto; e questa non è una faccenda di un giorno o due, poiché siamo stati in molti a commettere questo peccato. I capi di tutta la comunità rimangano dunque qui; e tutti quelli che nelle nostre città hanno sposato donne straniere vengano in tempi determinati, con gli anziani e i giudici di ogni città, finché non sia allontanata da noi l’ardente ira del nostro Dio, per questa infedeltà”. Ionatan, figlio di Asael, e Iazia, figlio di Ticva, appoggiati da Mesullam e dal Levita Sabtai, furono i soli a opporsi a questo; ma quelli dell’esilio fecero in quel modo; e furono scelti il sacerdote Esdra e alcuni capifamiglia secondo le loro case patriarcali, tutti designati per nome, i quali cominciarono a riunirsi il primo giorno del decimo mese, per esaminare i fatti. Il primo giorno del primo mese avevano terminato quanto concerneva tutti quelli che avevano sposato donne straniere. Tra i figli dei sacerdoti si trovarono questi che avevano sposato donne straniere: dei figli di Iesua, figlio di Iosadac, e tra i suoi fratelli: Maaseia, Eliezer, Iarib e Ghedalia, i quali promisero, dando la mano, di mandare via le loro mogli, e offrirono un montone come sacrificio per la loro colpa. Dei figli di Immer: Canani e Zebadia. Dei figli di Carim: Maaseia, Elia, Semaia, Ieiel e Uzzia. Dei figli di Pasur: Elioenai, Maaseia, Ismael, Netaneel, Iozabad, Elasa. Dei Leviti: Iozabad, Simei, Chelaia, detto anche Chelita, Petaia, Giuda, ed Eliezer. Dei cantori: Eliasib. Dei portinai: Sallum, Telem e Uri. E degli Israeliti: dei figli di Paros: Ramia, Izzia, Malchia, Miiamin, Eleazar, Malchia e Benaia. Dei figli di Elam: Mattania, Zaccaria, Ieiel, Abdi, Ieremot ed Elia. Dei figli di Zattu: Elioenai, Eliasib, Mattania, Ieremot, Zabad e Aziza. Dei figli di Bebai: Iocanan, Anania, Zabbai, Atlai. Dei figli di Bani: Mesullam, Malluc, Adaia, Iasub, Seal, e Ramot. Dei figli di Paat-Moab: Adna, Chelal, Benaia, Maaseia, Mattania, Besaleel, Binnui e Manasse. Dei figli di Carim: Eliezer, Isiia, Malchia, Semaia, Simeone, Beniamino, Malluc, Semaria. Dei figli di Casum: Mettenai, Mattatta, Zabad, Elifelet, Ieremai, Manasse, Simei. Dei figli di Bani: Maadai, Amram, Uel, Benaia, Bedia, Cheluu, Vania, Meremot, Eliasib, Mattania, Mattenai, Iaasai, Bani, Binnui, Simei, Selemia, Natan, Adaia, Macnadbai, Sasai, Sarai, Azareel, Selemia, Semaria, Sallum, Amaria, Giuseppe. Dei figli di Nebo: Ieiel, Mattitia, Zabad, Zebina, Iaddai, Ioel, Benaia. Tutti questi avevano preso delle mogli straniere; e ce n’erano di quelli che da queste mogli avevano avuto dei figli. Parole di Neemia, figlio di Acalia. Nel mese di Chisleu del ventesimo anno, mentre mi trovavo nel castello di Susa, Anani, uno dei miei fratelli, e alcuni altri uomini arrivarono da Giuda. Io li interrogai riguardo ai Giudei scampati, superstiti della deportazione, e riguardo a Gerusalemme. E quelli mi dissero: “I superstiti della deportazione sono là, nella provincia, in grande miseria e nell’umiliazione; le mura di Gerusalemme restano piene di brecce e le sue porte consumate dal fuoco”. Quando udii queste parole, mi misi a sedere, piansi, feci cordoglio per parecchi giorni, digiunai e pregai davanti all’Iddio del cielo. E dissi: “O Eterno, Dio del cielo, Dio grande e tremendo; che mantieni il patto, e la misericordia con quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti, le tue orecchie siano attente, i tuoi occhi aperti, per ascoltare la preghiera del tuo servo, che rivolgo adesso davanti a te, giorno e notte, per i figli d’Israele, tuoi servi, confessando i peccati dei figli d’Israele: peccati, che noi abbiamo commessi contro di te; sì, che io e la casa di mio padre abbiamo peccato! Noi ci siamo comportati malvagiamente contro di te, e non abbiamo osservato i comandamenti, le leggi e le prescrizioni che tu desti a Mosè, tuo servo. Ricordati della parola che ordinasti a Mosè, tuo servo, di pronunciare: ‘Se sarete infedeli, io vi disperderò fra i popoli; ma se tornerete a me e osserverete i miei comandamenti e li metterete in pratica, anche se i vostri dispersi fossero agli estremi confini del mondo, io li raccoglierò di là e li ricondurrò al luogo che ho scelto per farne la dimora del mio nome’. Ora questi sono tuoi servi, tuo popolo; tu li hai redenti con la tua grande potenza e con la tua mano forte. O Signore, ti prego, le tue orecchie siano attente alla preghiera del tuo servo e alla preghiera dei tuoi servi, che hanno a cuore di temere il tuo nome; e concedi oggi, ti prego, buon successo al tuo servo, e fa’ che egli trovi pietà agli occhi di quest’uomo”. Allora io ero coppiere del re. Nel mese di Nisan, il ventesimo anno del re Artaserse, appena il vino fu davanti al re, io presi il vino e glielo porsi. Ora io non ero mai stato triste in sua presenza. Il re mi disse: “Perché hai l’aspetto triste? eppure non sei malato; non può essere altro che un’afflizione del cuore”. Allora ebbi grandissima paura, e dissi al re: “Viva il re per sempre! Come potrebbe il mio aspetto non essere triste quando la città dove sono i sepolcri dei miei padri è distrutta e le sue porte sono consumate dal fuoco?”. E il re mi disse: “Che cosa domandi?”. Allora io pregai l’Iddio del cielo; poi risposi al re: “Se questo piace al re e il tuo servo ha incontrato il tuo favore, mandami in Giudea, nella città dove sono i sepolcri dei miei padri, perché io la ricostruisca”. Il re, che aveva la regina seduta accanto, mi disse: “Quanto durerà il tuo viaggio? e quando ritornerai?”. La cosa piacque al re, egli mi lasciò andare, e io gli fissai un termine di tempo. Poi dissi al re: “Se questo piace al re, mi si diano delle lettere per i governatori di oltre il fiume affinché mi lascino passare ed entrare in Giuda, e una lettera per Asaf, guardiano del parco del re, affinché mi dia del legname per costruire le porte della fortezza annessa alla casa dell’Eterno, per le mura della città, e per la casa che abiterò io”. E il re mi diede le lettere, perché la benefica mano del mio Dio era su di me. Io giunsi presso i governatori di oltre il fiume, e diedi loro le lettere del re. Il re aveva mandato con me dei capi dell’esercito e dei cavalieri. Quando Samballat, il Coronita, e Tobia, il servo Ammonita, furono informati del mio arrivo, ebbero grande dispiacere della venuta di un uomo che procurava il bene dei figli d’Israele. Così giunsi a Gerusalemme e, trascorsi tre giorni, mi alzai di notte, presi con me pochi uomini, e non dissi nulla a nessuno di quello che Dio mi aveva messo in cuore di fare per Gerusalemme; non avevo con me altra cavalcatura oltre quella che montavo. Uscii di notte per la porta della Valle, e mi diressi verso la sorgente del Dragone e la porta del Letame, osservando le mura di Gerusalemme, come erano rovinate e come le sue porte erano consumate dal fuoco. Passai presso la porta della Sorgente e il serbatoio del Re, ma non c’era posto per cui la mia cavalcatura potesse passare. Allora risalii di notte la valle, sempre osservando le mura; poi, rientrato per la porta della Valle, me ne tornai a casa. I magistrati non sapevano né dove fossi andato né cosa facessi. Fino a quel momento, io non avevo detto nulla né ai Giudei, né ai sacerdoti, né alle autorità né ai magistrati né a nessuno di quelli che si occupavano dei lavori. Allora io dissi loro: “Voi vedete la misera condizione nella quale ci troviamo; Gerusalemme è distrutta, e le sue porte sono consumate dal fuoco! Venite, ricostruiamo le mura di Gerusalemme, e non saremo più nella vergogna!”. E raccontai loro come la benefica mano del mio Dio era stata su di me, senza omettere le parole che il re mi aveva detto. E quelli dissero: “Alziamoci, e mettiamoci a costruire!”. E si fecero coraggio per mettere mano alla buona impresa. Ma quando Samballat, il Coronita, e Tobia, il servo Ammonita, e Ghesem, l’Arabo, seppero la cosa, si fecero beffe di noi, e ci disprezzarono dicendo: “Che cosa state facendo? Vi volete forse ribellare contro il re?”. Allora io risposi e dissi loro: “L’Iddio del cielo è colui che ci darà buon successo. Noi, suoi servi, ci alzeremo e costruiremo; ma voi non avete né parte né diritto né memoria a Gerusalemme”. Eliasib, sommo sacerdote, si mise con i suoi fratelli sacerdoti a costruire la porta delle Pecore; la consacrarono e vi misero i suoi battenti; continuarono a costruire fino alla torre di Mea, che consacrarono, e fino alla Torre di Cananeel. Accanto a Eliasib lavorarono gli uomini di Gerico, e accanto a loro lavorò Zaccur, figlio di Imri. I figli di Senaa costruirono la porta dei Pesci, ne fecero l’intelaiatura, e vi misero i battenti, le serrature e le sbarre. Accanto a loro lavorò alle riparazioni Meremot, figlio di Uria, figlio di Accos; accanto a loro lavorò alle riparazioni Mesullam, figlio di Berechia, figlio di Mesezabeel; accanto a loro lavorò alle riparazioni Sadoc, figlio di Baana; accanto a loro lavorarono alle riparazioni i Tecoiti; ma i principali fra loro non piegarono il collo a lavorare all’opera del loro signore. Ioiada, figlio di Pasea, e Mesullam, figlio di Besodeia, restaurarono la porta Vecchia; ne fecero l’intelaiatura, e vi misero i battenti, le serrature e le sbarre. Accanto a loro lavorarono alle riparazioni Melatia, il Gabaonita, Iadon, il Meronotita, e gli uomini di Gabaon e di Mispa, che dipendevano dalla sede del governatore d’oltre il fiume; accanto a loro lavorò alle riparazioni Uzziel, figlio di Caraia, tra gli orefici, e accanto a lui lavorò Anania, tra i profumieri. Essi lasciarono stare Gerusalemme come era, fino al muro largo. Accanto a loro lavorò alle riparazioni Refaia, figlio di Cur, capo della metà del distretto di Gerusalemme. Accanto a loro lavorò alle riparazioni di fronte alla sua casa, Iedaia, figlio di Carumaf, e accanto a lui lavorò Cattus, figlio di Casabneia. Malchia, figlio di Carim e Cassub, figlio di Paat-Moab, restaurarono un’altra parte delle mura e la torre dei Forni. Accanto a loro lavorò alle riparazioni, con le sue figlie, Sallum, figlio di Alloches, capo della metà del distretto di Gerusalemme. Canun e gli abitanti di Zanoà restaurarono la porta della Valle; la costruirono, vi misero i battenti, le serrature e le sbarre. Fecero inoltre mille cubiti di muro fino alla porta del Letame. Malchia, figlio di Recab, capo del distretto di Bet-Accherem restaurò la porta del Letame; la costruì, vi mise le serrature, i battenti, le sbarre. Sallum, figlio di Col-Oze, capo del distretto di Mispa, restaurò la porta della Sorgente; la costruì, la coprì, vi mise i battenti, le serrature e le sbarre. Fece inoltre il muro del serbatoio di Siloe, presso il giardino del re, fino alla scalinata per cui si scende dalla città di Davide. Dopo di lui Neemia, figlio di Azbuc, capo della metà del distretto di Bet-Zur, lavorò alle riparazioni fino di fronte ai sepolcri di Davide, fino al serbatoio che era stato costruito, e fino alla casa dei prodi. Dopo di lui lavorarono alle riparazioni i Leviti, sotto Reum, figlio di Bani; e accanto a lui lavorò per il suo distretto Casabia, capo della metà del distretto di Cheila. Dopo di lui lavorarono alle riparazioni i loro fratelli, sotto Bavvai, figlio di Chenadad, capo della metà del distretto di Cheila; e accanto a lui Ezer, figlio di Iesua, capo di Mispa, restaurò un’altra parte delle mura, di fronte alla salita dell’arsenale, all’angolo. Dopo di lui Baruc, figlio di Zaccai, ne restaurò con ardore un’altra parte, dall’angolo fino alla porta della casa di Eliasib, il sommo sacerdote. Dopo di lui Meremot, figlio di Uria, figlio di Accoz, ne restaurò un’altra parte, dalla porta della casa di Eliasib fino all’estremità della casa di Eliasib. Dopo di lui lavorarono i sacerdoti che abitavano la campagna circostante. Dopo di loro Beniamino e Cassub lavorarono di fronte alla loro casa. Dopo di loro Azaria, figlio di Maaseia, figlio di Anania, lavorò presso la sua casa. Dopo di lui Binnui, figlio di Chenadad, restaurò un’altra parte delle mura, dalla casa di Azaria fino alla svolta, e fino all’angolo. Palal, figlio di Uzai, lavorò di fronte alla svolta e alla torre sporgente dalla casa superiore del re, che dà sul cortile della prigione. Dopo di lui lavorò Pedaia, figlio di Paros. I Netinei, che abitavano sulla collina, lavorarono fino di fronte alla porta delle Acque, verso oriente, e di fronte alla torre sporgente. Dopo di loro i Tecoiti ne restaurarono un’altra parte, di fronte alla grande torre sporgente e fino al muro della collina. I sacerdoti lavorarono alle riparazioni al di sopra della porta dei Cavalli, ciascuno di fronte alla propria casa. Dopo di loro Sadoc, figlio di Immer, lavorò di fronte alla sua casa. Dopo di lui lavorò Semaia, figlio di Secania, guardiano della porta orientale. Dopo di lui Anania, figlio di Selemia, e Canun, sesto figlio di Salaf, restaurarono un’altra parte delle mura. Dopo di loro Mesullam, figlio di Berechia, lavorò di fronte alla sua camera. Dopo di lui Malchia, uno degli orefici, lavorò fino alle case dei Netinei e dei mercanti, di fronte alla porta di Ammifcad e fino alla salita dell’angolo. Gli orefici e i mercanti lavorarono alle riparazioni fra la salita dell’angolo e la porta delle Pecore. Quando Samballat udì che noi costruivamo le mura, si adirò, si indignò moltissimo, si fece beffe dei Giudei, e disse in presenza dei suoi fratelli e dei soldati di Samaria: “Che fanno questi Giudei indeboliti? Li lasceremo fare? Offriranno sacrifici? Finiranno in un giorno? Faranno rivivere delle pietre sepolte sotto mucchi di polvere e consumate dal fuoco?”. Tobia l’Ammonita, che gli stava accanto, disse: “Costruiscano pure! Se una volpe vi salta sopra farà crollare il loro muro di pietra!”. Ascolta, o Dio nostro, come siamo disprezzati! Fa’ ricadere sul loro capo le loro offese, e abbandonali al saccheggio in un paese di schiavitù! Non coprire la loro iniquità, e non sia cancellato dal tuo cospetto il loro peccato; poiché ti hanno provocato a ira alla presenza dei costruttori. Noi dunque ricostruimmo le mura, che furono compiute dappertutto fino alla metà della loro altezza; e il popolo aveva preso a cuore il lavoro. Ma quando Samballat, Tobia, gli Arabi, gli Ammoniti e gli Asdodei ebbero udito che la riparazione delle mura di Gerusalemme progrediva, e che le brecce cominciavano a chiudersi, si adirarono moltissimo, e tutti quanti insieme congiurarono di venire ad attaccare Gerusalemme e a crearvi del disordine. Allora noi pregammo il nostro Dio e mettemmo delle sentinelle di giorno e di notte per difenderci dai loro attacchi. Quelli di Giuda dicevano: “Le forze dei portatori di pesi vengono meno, e le macerie sono molte; noi non potremo costruire le mura!”. E i nostri avversari dicevano: “Essi non sapranno e non vedranno nulla, finché noi giungiamo in mezzo a loro; allora li uccideremo, e faremo cessare i lavori”. E siccome i Giudei che abitavano vicino a loro vennero dieci volte a riferirci la cosa da tutti i luoghi di loro provenienza, io disposi il popolo per famiglie, con le loro spade, le loro lance e i loro archi, nelle parti più basse del posto, dietro le mura, in luoghi aperti. Dopo aver bene esaminato tutto, mi alzai, e dissi ai notabili, ai magistrati e al resto del popolo: “Non li temete! Ricordatevi del Signore, grande e tremendo; e combattete per i vostri fratelli, per i vostri figli e figlie, per le vostre mogli e per le vostre case!”. Quando i nostri nemici udirono che eravamo informati della cosa, Iddio vanificò il loro progetto, e noi tutti tornammo alle mura, ognuno al proprio lavoro. Da quel giorno, la metà dei miei servi lavorava, e l’altra metà stava armata di lance, di scudi, di archi, di corazze; e i capi erano dietro a tutta la casa di Giuda. Quelli che costruivano le mura e quelli che portavano o caricavano i pesi, con una mano lavoravano e con l’altra tenevano la loro arma; e tutti i costruttori, lavorando, portavano ciascuno la spada cinta ai fianchi. Il trombettiere stava accanto a me. Io dissi ai notabili, ai magistrati e al resto del popolo: “L’opera è grande ed estesa, e noi siamo sparsi sulle mura, e distanti l’uno dall’altro. Dovunque udrete il suono della tromba, là radunatevi presso di noi; il nostro Dio combatterà per noi”. Così continuavamo i lavori, mentre la metà della mia gente teneva impugnata la lancia, dallo spuntare dell’alba all’apparire delle stelle. In quello stesso tempo, io dissi al popolo: “Ciascuno di voi resti la notte dentro Gerusalemme con i suoi servi, per fare con noi la guardia durante la notte e riprendere il lavoro di giorno”. Inoltre, io, i miei fratelli, i miei servi e gli uomini di guardia che mi seguivano, non ci spogliavamo; ognuno aveva l’arma a portata di mano. Si diffuse un grande lamento tra gli uomini del popolo e le loro mogli contro i Giudei, loro fratelli. Alcuni dicevano: “Noi, i nostri figli e le nostre figlie siamo numerosi; dateci del grano perché possiamo mangiare e vivere!”. Altri dicevano: “Ipotechiamo i nostri campi, le nostre vigne e le nostre case per assicurarci del grano durante la carestia!”. Altri ancora dicevano: “Noi abbiamo preso del denaro in prestito sui nostri campi e sulle nostre vigne per pagare il tributo del re. Ora la nostra carne è come la carne dei nostri fratelli, i nostri figli sono come i loro figli; ed ecco che dobbiamo sottoporre i nostri figli e le nostre figlie alla schiavitù, e alcune delle nostre figlie sono già ridotte schiave; e noi non possiamo farci nulla, poiché i nostri campi e le nostre vigne sono in mano ad altri”. Quando udii i loro lamenti e queste parole, io mi irritai fortemente. Dopo una lunga riflessione, ripresi aspramente i notabili e i magistrati, e dissi loro: “Come! voi prestate a interesse ai vostri fratelli?”. E convocai contro di loro una grande assemblea, e dissi loro: “Noi, secondo la nostra possibilità, abbiamo riscattato i nostri fratelli Giudei che si erano venduti ai pagani; e voi stessi vendereste i vostri fratelli, ed essi dovrebbero vendersi a noi!”. Allora quelli tacquero, e non seppero che cosa rispondere. Io dissi anche: “Quello che voi fate non è ben fatto. Non dovreste voi camminare nel timore del nostro Dio per non essere ingiuriati dai nostri nemici pagani? Anch’io e i miei fratelli e i miei servi abbiamo dato loro in prestito denaro e grano. Vi prego, condoniamo loro questo debito. Restituite oggi i loro campi, le loro vigne, i loro uliveti e le loro case, e la percentuale del denaro, del grano, del vino e dell’olio, che avete riscosso da loro come interesse”. Quelli risposero: “Restituiremo tutto, e non domanderemo più nulla da loro; faremo come dici tu”. Allora chiamai i sacerdoti, e in loro presenza li feci giurare che avrebbero mantenuto la promessa. Poi scossi il mio mantello, e dissi: “Così Iddio scuota dalla sua casa e dai suoi beni chiunque non avrà mantenuto questa promessa, e così egli sia scosso e resti senza nulla!”. Tutta l’assemblea disse: “Amen!”, poi celebrarono l’Eterno. E il popolo mantenne la promessa. Inoltre, dal giorno che il re mi stabilì loro governatore nel paese di Giuda, dal ventesimo anno fino al trentaduesimo anno del re Artaserse, durante dodici anni, io e i miei fratelli non mangiammo della provvigione assegnata al governatore. I governatori che mi avevano preceduto avevano gravato il popolo, ricevendone pane e vino, oltre a quaranta sicli d’argento; perfino i loro servi opprimevano il popolo; ma io non ho fatto così, perché ho avuto timore di Dio. Anzi ho messo mano ai lavori di riparazione di queste mura, e non abbiamo comprato nessun campo, e tutta la mia gente si è radunata là a lavorare. Avevo alla mia mensa centocinquanta uomini, Giudei e magistrati, oltre a quelli che venivano da noi dalle nazioni circostanti. Ogni giorno venivano preparati per me un bue, sei montoni scelti dal gregge, e degli uccelli; e ogni dieci giorni si preparava ogni sorta di vini in abbondanza; tuttavia, io non ho mai chiesto la provvigione assegnata al governatore, perché il popolo era già gravato abbastanza a causa dei lavori. Mio Dio, ricòrdati, per farmi del bene, di tutto quello che ho fatto per questo popolo. Quando Samballat, Tobia e Ghesem, l’Arabo, e gli altri nostri nemici ebbero udito che io avevo ricostruito le mura e che non era rimasta più nessuna breccia - sebbene allora io non avessi ancora messo i battenti alle porte - Samballat e Ghesem mi mandarono a dire: “Vieni, e incontriamoci in uno dei villaggi della valle di Ono”. Essi pensavano di farmi del male. Allora io inviai loro dei messaggeri per dire: “Sto facendo un grande lavoro, e non posso scendere. Perché dovrebbe interrompersi il lavoro mentre lo lascio per scendere da voi?”. Essi mandarono a dirmi la stessa cosa quattro volte, e io risposi loro nello stesso modo. Allora Samballat mi mandò a dire la stessa cosa una quinta volta per mezzo del suo servo che aveva in mano una lettera aperta, nella quale stava scritto: “Corre voce fra queste nazioni, e Gasmu lo afferma, che tu e i Giudei meditate di ribellarvi; perciò tu ricostruisci le mura e, stando a ciò che si dice, tu dovresti diventare loro re, e avresti perfino stabilito dei profeti per fare la tua proclamazione a Gerusalemme, dicendo: ‘C’è un re in Giuda!’. Ora questi discorsi saranno riferiti al re. Vieni dunque, e consultiamoci assieme”. Ma io gli feci rispondere: “Le cose non stanno come tu dici, ma sei tu che le inventi!”. Perché tutta quella gente ci voleva spaventare e diceva: “Le loro mani si rilasseranno e il lavoro non si farà più”. Ma tu, o Dio, fortifica ora le mie mani! Io andai a casa di Semaia, figlio di Delaia, figlio di Metabeel, che si era rinchiuso là; ed egli mi disse: “Incontriamoci nella casa di Dio, dentro al tempio, e chiudiamo le porte del tempio; poiché essi verranno a ucciderti, e verranno a ucciderti di notte”. Ma io risposi: “Un uomo come me può darsi alla fuga? Un uomo come me potrebbe entrare nel tempio e vivere? No, io non vi entrerò”. Io compresi che egli non era mandato da Dio, ma aveva pronunciato quella profezia contro di me, perché Tobia e Samballat lo avevano pagato. Lo avevano pagato per spaventarmi, indurmi ad agire in quel modo e a peccare, allo scopo di avere argomenti per farmi una cattiva reputazione e coprirmi di vergogna. O mio Dio, ricordati di Tobia, di Samballat e di queste loro opere! Ricordati anche della profetessa Noadia e degli altri profeti che hanno cercato di spaventarmi! Le mura furono portate a termine il venticinquesimo giorno di Elul, in cinquantadue giorni. E quando tutti i nostri nemici lo vennero a sapere, tutte le nazioni circostanti furono prese da timore e furono grandemente umiliate, perché riconobbero che quest’opera si era compiuta con l’aiuto del nostro Dio. In quei giorni, anche dei notabili di Giuda mandavano frequenti lettere a Tobia, e ne ricevevano da Tobia, poiché molti in Giuda erano legati a lui con giuramento, perché egli era genero di Secania figlio di Ara, e Iocanan, suo figlio, aveva sposato la figlia di Mesullam, figlio di Berechia. Essi parlavano bene di lui perfino in mia presenza, e gli riferivano le mie parole. E Tobia mandava lettere per spaventarmi. Quando le mura furono ricostruite e io ebbi messo a posto le porte e i portinai, i cantori e i Leviti furono stabiliti nei loro uffici, io diedi il comando di Gerusalemme a Canàni, mio fratello, e ad Anania governatore della fortezza, perché era un uomo fedele e timorato di Dio più di tanti altri. E dissi loro: “Le porte di Gerusalemme non si aprano finché il sole non scotti; e mentre le guardie saranno ancora al loro posto, si chiudano e si sbarrino le porte; e si stabiliscano per fare la guardia, gli abitanti di Gerusalemme, ciascuno al proprio turno e ciascuno davanti alla propria casa”. La città era grande e spaziosa; ma dentro c’era poca gente, e non si erano costruite case. Il mio Dio mi mise in cuore di radunare i notabili, i magistrati e il popolo, per farne il censimento. E trovai il registro genealogico di quelli che erano tornati dall’esilio la prima volta, e vi trovai scritto quanto segue: Questi sono quelli della provincia che tornarono dalla deportazione; quelli che Nabucodonosor, re di Babilonia, aveva portato in esilio, e che tornarono a Gerusalemme e in Giuda, ciascuno nella sua città. Essi tornarono con Zorobabele, Iesua, Neemia, Azaria, Raamia, Naamani, Mardocheo, Bilsan, Misperet, Bigvai, Neum e Baana. Censimento degli uomini del popolo d’Israele: Figli di Paros, duemilacentosettantadue. Figli di Sefatia, trecentosettantadue. Figli di Ara, seicentocinquantadue. Figli di Paat-Moab, dei figli di Iesua e di Ioab, duemilaottocentodiciotto. Figli di Elam, milleduecentocinquantaquattro. Figli di Zattu, ottocentoquarantacinque. Figli di Zaccai, settecentosessanta. Figli di Binnui, seicentoquarantotto. Figli di Bebai, seicentoventotto. Figli di Azgad, duemilatrecentoventidue. Figli di Adonicam, seicentosessantasette. Figli di Bigvai, duemilasessantasette. Figli di Adin, seicentocinquantacinque. Figli di Ater, della famiglia di Ezechia, novantotto. Figli di Casum, trecentoventotto. Figli di Bezai, trecentoventiquattro. Figli di Carif, centododici. Figli di Gabaon, novantacinque. Uomini di Betlemme e di Netofa, centottantotto. Uomini di Anatot, centoventotto. Uomini di Bet-Azmavet, quarantadue. Uomini di Chiriat-Iearim, di Chefira e di Beerot, settecentoquarantatré. Uomini di Rama e di Gheba, seicentoventuno. Uomini di Micmas, centoventidue. Uomini di Betel e di Ai, centoventitré. Uomini di un altro Nebo, cinquantadue. Figli di un altro Elam, milleduecentocinquantaquattro. Figli di Carim, trecentoventi. Figli di Gerico, trecentoquarantacinque. Figli di Lod, di Cadid e di Ono, settecentoventuno. Figli di Senaa, tremilanovecentotrenta. Sacerdoti: figli di Iedaia, della casa di Iesua, novecentosessantatré. Figli di Immer, millecinquantadue. Figli di Pascur, milleduecentoquarantasette. Figli di Carim, millediciassette. Leviti: figli di Iesua e di Cadmiel, dei figli di Odeva, settantaquattro. Cantori: figli di Asaf, centoquarantotto. Portinai: figli di Sallum, figli di Ater, figli di Talmon, figli di Accub, figli di Catita, figli di Sobai, centotrentotto. Netinei: figli di Sica, figli di Casufa, figli di Tabbaot, figli di Cheros, figli di Sia, figli di Padon, figli di Lebana, figli di Agaba, figli di Salmai, figli di Anan, figli di Ghiddel, figli di Gaar, figli di Reaia, figli di Resin, figli di Necoda, figli di Gazzam, figli di Uzza, figli di Pasea, figli di Besai, figli di Meunim, figli di Nefiscesim, figli di Bacbuc, figli di Acufa, figli di Carur, figli di Bazlit, figli di Meida, figli di Carsa, figli di Barco, figli di Sisera, figli di Tema, figli di Nesia, figli di Catifa. Figli dei servi di Salomone: figli di Sotai, figli di Soferet, figli di Perida, figli di Iala, figli di Darcon, figli di Ghiddel, figli di Sefatia, figli di Cattil, figli di Pocheret-Asebaim, figli di Amon. Totale dei Netinei e dei figli dei servi di Salomone, trecentonovantadue. Ed ecco quelli che tornarono da Tel-Mela, da Tel-Arsa, da Cherub-Addon e da Immer, e che non avevano potuto stabilire la loro genealogia patriarcale per dimostrare che erano Israeliti: figli di Delaia, figli di Tobia, figli di Necoda, seicentoquarantadue. Tra i sacerdoti: figli di Cabaia, figli di Accos, figli di Barzillai, il quale aveva sposato una delle figlie di Barzillai, il Galaadita, e fu chiamato con il loro nome. Questi cercarono i loro titoli genealogici, ma non li trovarono, e furono quindi esclusi, come impuri, dal sacerdozio; e il governatore disse loro di non mangiare cose santissime finché non si presentasse un sacerdote per consultare Dio con l’Urim e il Tummim. La comunità, tutta insieme, comprendeva quarantaduemilatrecentosessanta persone, senza contare i loro servi e le loro serve, che ammontavano a settemilatrecentotrentasette. I cantori e le cantanti erano duecentoquarantacinque. Avevano settecentotrentasei cavalli, duecentoquarantacinque muli, quattrocentotrentacinque cammelli, seimilasettecentoventi asini. Alcuni dei capifamiglia offrirono dei doni per l’opera. Il governatore diede al tesoro mille dracme d’oro, cinquanta coppe, cinquecentotrenta vesti sacerdotali. Tra i capifamiglia ce ne furono alcuni che diedero al tesoro dell’opera ventimila dracme d’oro e duemiladuecento mine d’argento. Il resto del popolo diede ventimila dracme d’oro, duemila mine d’argento e sessantasette vesti sacerdotali. I sacerdoti, i Leviti, i portinai, i cantori, la gente del popolo, i Netinei e tutti gli Israeliti si stabilirono nelle loro città. Quando giunse il settimo mese, i figli d’Israele erano stabiliti nelle loro città. Tutto il popolo si radunò come un sol uomo sulla piazza che è davanti alla porta delle Acque, e disse a Esdra, lo scriba, che portasse il libro della legge di Mosè che l’Eterno aveva dato a Israele. Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea, composta di uomini, di donne e di tutti quelli che erano capaci di intendere. E lesse il libro sulla piazza che è davanti alla porta delle Acque, dalla mattina presto fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne, e di quelli che erano capaci di intendere; e tutto il popolo tendeva l’orecchio per ascoltare il libro della legge. Esdra, lo scriba, stava sopra una tribuna di legno, che era stata fatta apposta, e accanto a lui stavano, a destra, Mattitia, Sema, Anania, Uria, Chilchia e Maaseia; a sinistra, Pedaia, Misael, Malchia, Casum, Casbaddana, Zaccaria e Mesullam. Esdra aprì il libro alla presenza di tutto il popolo, poiché stava in un posto più elevato; e, appena ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse l’Eterno, l’Iddio grande, e tutto il popolo rispose: “Amen, amen”, alzando le mani; si inchinarono, e si prostrarono con la faccia a terra davanti all’Eterno. Iesua, Bani, Serebia, Iamin, Accub, Sabbetai, Odia, Maaseia, Chelita, Azaria, Iozabad, Anan, Pelaia e gli altri Leviti spiegavano la legge al popolo, e il popolo stava in piedi al suo posto. Essi leggevano nel libro della legge di Dio distintamente e ne spiegavano il senso, per far capire al popolo quello che leggevano. Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i Leviti che ammaestravano il popolo, dissero a tutto il popolo: “Questo giorno è consacrato all’Eterno, al vostro Dio; non fate cordoglio e non piangete!”. Poiché tutto il popolo piangeva, ascoltando le parole della legge. Poi Neemia disse loro: “Andate, mangiate vivande grasse e bevete vini dolci, e mandate delle porzioni a quelli che non hanno nulla di preparato per loro; perché questo giorno è consacrato al nostro Signore; non vi rattristate; perché la gioia dell’Eterno è la vostra forza”. I Leviti facevano fare silenzio a tutto il popolo, dicendo: “Tacete, perché questo giorno è santo; non vi rattristate!”. E tutto il popolo se ne andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni ai poveri, e a fare grande festa, perché avevano compreso le parole che erano state loro spiegate. Il secondo giorno, i capifamiglia di tutto il popolo, i sacerdoti e i Leviti si radunarono presso Esdra, lo scriba, per esaminare le parole della legge. Trovarono scritto nella legge che l’Eterno aveva dato per mezzo di Mosè, che i figli d’Israele dovevano abitare in capanne durante la festa del settimo mese, e che in tutte le loro città e in Gerusalemme si doveva pubblicare questo bando: “Andate al monte e portate rami di olivo, rami di olivastro, rami di mirto, rami di palma e rami di alberi ombrosi, per fare delle capanne, come sta scritto”. Allora il popolo andò fuori, portò i rami, e si fecero ciascuno la sua capanna sul tetto della propria casa, nei loro cortili, nei cortili della casa di Dio, sulla piazza della porta delle Acque e sulla piazza della porta di Efraim. Così tutta l’assemblea di quelli che erano tornati dalla deportazione si fece delle capanne, e abitò nelle capanne. Dal tempo di Giosuè, figlio di Nun, fino a quel giorno, i figli d’Israele non avevano più fatto nulla di simile. E ci fu una grandissima gioia. Esdra fece la lettura del libro della legge di Dio ogni giorno, dal primo all’ultimo; la festa si celebrò durante sette giorni, e l’ottavo ci fu una solenne assemblea, com’è prescritto. Il ventiquattresimo giorno dello stesso mese, i figli d’Israele si radunarono, vestiti di sacco e coperti di polvere, per celebrare un digiuno. Quelli che appartenevano alla discendenza d’Israele si separarono da tutti gli stranieri, si presentarono davanti a Dio, e confessarono i loro peccati e le iniquità dei loro padri. Si alzarono in piedi nel posto dove si trovavano, e fu fatta la lettura del libro della legge dell’Eterno, del loro Dio, per un quarto del giorno; e per un altro quarto essi fecero la confessione dei peccati, e si prostrarono davanti all’Eterno, al loro Dio. Iesua, Bani, Cadmiel, Sebania, Bunni, Serebia, Bani e Chenani salirono sulla tribuna dei Leviti e gridarono ad alta voce all’Eterno, al loro Dio. E i Leviti Iesua, Cadmiel, Bani, Casabneia, Serebia, Odia, Sebania e Petaia dissero: “Alzatevi e benedite l’Eterno, il vostro Dio, di eternità in eternità! Si benedica il tuo nome glorioso, che è esaltato al di sopra di ogni benedizione e di ogni lode! Tu, tu solo sei l’Eterno! tu hai fatto i cieli, i cieli dei cieli e tutto il loro esercito, la terra e tutto ciò che sta su di essa, i mari e tutto ciò che è in essi, tu fai vivere tutte queste cose, e l’esercito dei cieli ti adora. Tu sei l’Eterno, l’Iddio che hai scelto Abramo, lo hai fatto uscire da Ur dei Caldei e gli hai dato il nome di Abraamo; tu hai trovato il suo cuore fedele davanti a te, e hai stabilito con lui un patto, promettendogli di dare alla sua discendenza il paese dei Cananei, degli Ittiti, degli Amorei, dei Ferezei, dei Gebusei e dei Ghirgasei; tu hai mantenuto la tua parola, perché sei giusto. Tu hai visto l’afflizione dei nostri padri in Egitto e hai udito il loro grido presso il Mar Rosso; e hai operato miracoli e prodigi contro Faraone, contro tutti i suoi servi, contro tutto il popolo del suo paese, perché sapevi che loro avevano trattato i nostri padri con prepotenza; e ti sei fatto un nome come è quello che hai al giorno d’oggi. Hai diviso il mare davanti a loro, così sono passati in mezzo al mare sull’asciutto; e quelli che li inseguivano tu li hai gettati nell’abisso, come una pietra in fondo ad acque impetuose. E li hai guidati di giorno con una colonna di nuvola, e di notte con una colonna di fuoco per illuminare loro la via per la quale dovevano camminare. Sei sceso sul monte Sinai, hai parlato con loro dal cielo e hai dato loro prescrizioni giuste e leggi di verità, buoni precetti e buoni comandamenti: hai fatto loro conoscere il tuo santo sabato, e hai dato loro comandamenti, precetti e una legge per mezzo di Mosè, tuo servo. Hai dato loro pane dal cielo quando erano affamati, hai fatto scaturire acqua dalla roccia quando erano assetati e hai detto loro che andassero a prendere possesso del paese che avevi giurato di dargli. Ma loro, i nostri padri, si sono comportati con superbia, hanno indurito il loro collo, e non hanno ubbidito ai tuoi comandamenti; hanno rifiutato di ubbidire, e non si sono ricordati delle meraviglie che tu avevi fatto in loro favore; hanno indurito il loro collo e, nella loro ribellione, si sono voluti dare un capo per tornare alla loro schiavitù. Ma tu sei un Dio pronto a perdonare, misericordioso, pieno di compassione, lento all’ira e di grande benignità, e non li hai abbandonati. Neppure quando si sono fatti un vitello di metallo fuso e hanno detto: ‘Ecco il tuo Dio che ti ha fatto uscire dall’Egitto!’ e ti hanno gravemente offeso, tu nella tua immensa misericordia, non li hai abbandonati nel deserto: la colonna di nuvola che stava su loro non ha cessato di guidarli durante il giorno per il loro cammino, e la colonna di fuoco non ha cessato di illuminare loro la via per la quale dovevano camminare. Hai dato loro il tuo buono Spirito per istruirli, e non hai rifiutato la tua manna alle loro bocche, e hai dato loro dell’acqua quando erano assetati. Per quarant’anni li hai sostenuti nel deserto, e non è mancato loro nulla; le loro vesti non si sono logorate e i loro piedi non si sono gonfiati. Hai dato loro regni e popoli, e li hai divisi fra loro per regioni; ed essi hanno posseduto il paese di Sicon, cioè il paese del re di Chesbon, e il paese di Og re di Basan. Hai moltiplicato i loro figli come le stelle del cielo, e li hai introdotti nel paese in cui avevi promesso ai loro padri di farli entrare per possederlo. E i loro figli sono entrati e hanno preso possesso del paese; tu hai umiliato davanti a loro i Cananei che abitavano il paese, e li hai dati nelle loro mani con i loro re e con i popoli del paese, perché li trattassero come a loro piaceva. Essi si sono impadroniti di città fortificate e di una terra fertile, e hanno posseduto case piene di ogni bene, cisterne già scavate, vigne, uliveti, alberi fruttiferi in abbondanza; hanno mangiato, si sono saziati, sono ingrassati e sono vissuti in delizie, per la tua grande bontà. Ma sono stati disubbidienti, si sono ribellati contro di te, si sono gettati la tua legge dietro le spalle, hanno ucciso i tuoi profeti che li scongiuravano di tornare a te, e ti hanno gravemente offeso. Perciò tu li hai dati nelle mani dei loro nemici, che li hanno oppressi; ma al tempo della loro afflizione essi hanno gridato a te, e tu li hai esauditi dal cielo; e, nella tua immensa misericordia, tu hai dato loro dei liberatori, che li hanno salvati dalle mani dei loro nemici. Ma quando avevano riposo, ricominciavano a fare il male davanti a te; perciò tu li abbandonavi nelle mani dei loro nemici, i quali diventavano loro dominatori; poi, quando ricominciavano a gridare a te, tu li esaudivi dal cielo; e così, nella tua misericordia, più volte li hai salvati. Tu li scongiuravi per farli tornare alla tua legge; ma essi si inorgoglivano e non ubbidivano ai tuoi comandamenti, peccavano contro le tue prescrizioni che fanno vivere chi le mette in pratica; la loro spalla rifiutava il giogo, essi indurivano il loro collo e non volevano ubbidire. Hai pazientato con loro molti anni, e li hai scongiurati per mezzo del tuo Spirito e per bocca dei tuoi profeti; ma essi non hanno voluto prestare orecchio, e tu li hai dati nelle mani dei popoli dei paesi stranieri. Però, nella tua immensa compassione, tu non li hai sterminati del tutto, e non li hai abbandonati, perché sei un Dio clemente e misericordioso. Ora dunque, o Dio nostro, Dio grande, potente e tremendo, che mantieni il patto e la misericordia, non sembrino poca cosa ai tuoi occhi tutte queste afflizioni che sono piombate addosso a noi, ai nostri re, ai nostri capi, ai nostri sacerdoti, ai nostri profeti, ai nostri padri, a tutto il tuo popolo, dal tempo dei re di Assiria al giorno d’oggi. Tu sei stato giusto in tutto quello che ci è avvenuto, poiché tu hai agito fedelmente, mentre noi ci siamo comportati da malvagi. I nostri re, i nostri capi, i nostri sacerdoti, i nostri padri non hanno messo in pratica la tua legge e non hanno ubbidito né ai comandamenti né agli avvertimenti con i quali tu li scongiuravi. Ed essi, mentre godevano del loro regno, dei grandi benefici che tu elargivi loro e del vasto e fertile paese che tu avevi messo a loro disposizione, non ti hanno servito e non hanno abbandonato le loro opere malvagie. E oggi eccoci schiavi! eccoci schiavi nel paese che tu hai dato ai nostri padri, perché ne mangiassero i frutti e ne godessero i beni. Esso moltiplica i suoi prodotti per i re ai quali tu ci hai sottoposti a causa dei nostri peccati, e che sono padroni dei nostri corpi e del nostro bestiame a loro piacere; e noi siamo in grande angoscia. A causa di tutto questo, noi abbiamo fatto un patto stabile e lo abbiamo messo per iscritto; e i nostri capi, i nostri Leviti e i nostri sacerdoti vi hanno posto il loro sigillo. Quelli che posero il loro sigillo furono i seguenti: Neemia, il governatore, figlio di Acalia, e Sedechia, Seraia, Azaria, Geremia, Pascur, Amaria, Malchia, Cattus, Sebania, Malluc, Carim, Meremot, Obadia, Daniele, Ghinneton, Baruc, Mesullam, Abiia, Miiamin, Maazia, Bilgai, Semaia. Questi erano sacerdoti. Leviti: Iesua, figlio di Azania, Binnui dei figli di Chenadad, Cadmiel, e i loro fratelli Sebania, Odia, Chelita, Pelaia, Anan, Mica, Reob, Casabia, Zaccur, Serebia, Sebania, Odia, Bani, Beninu. Capi del popolo: Paros, Paat-Moab, Elam, Zattu, Bani, Bunni, Azgad, Bebai, Adonia, Bigvai, Adin, Ater, Ezechia, Azzur, Odia, Casum, Besai, Carif, Anatot, Nebai, Magpias, Mesullam, Chezir, Mesezabeel, Sadoc, Iaddua, Pelatia, Anan, Anaia, Osea, Anania, Cassub, Alloches, Pila, Sobec, Reum, Casabna, Maaseia, Achia, Canan, Anan, Malluc, Carim, Baana. Il resto del popolo, i sacerdoti, i Leviti, i portinai, i cantori, i Netinei e tutti quelli che si erano separati dai popoli dei paesi stranieri per aderire alla legge di Dio, le loro mogli, i loro figli e le loro figlie, tutti quelli che avevano discernimento e intelligenza, si unirono ai loro fratelli più ragguardevoli tra loro, e si impegnarono con esecrazione e giuramento a camminare nella legge di Dio data per mezzo di Mosè, servo di Dio, a osservare e mettere in pratica tutti i comandamenti dell’Eterno, del Signore nostro, le sue prescrizioni e le sue leggi, a non dare le nostre figlie ai popoli del paese e a non prendere le figlie loro per i nostri figli, a non comprare nulla in giorno di sabato o in altro giorno sacro, dai popoli che portassero a vendere in giorno di sabato qualsiasi sorta di merci o di alimenti, a lasciare a riposo la terra ogni settimo anno, e a non esigere il pagamento di nessun debito. Ci imponemmo anche per legge di dare ogni anno il terzo di un siclo per il servizio della casa del nostro Dio, per i pani della presentazione, per l’oblazione perenne, per l’olocausto continuo dei sabati, dei noviluni, delle feste, per le cose consacrate, per i sacrifici di espiazione a favore d’Israele, e per tutta l’opera della casa del nostro Dio. Noi sacerdoti, i Leviti e il popolo, tirando a sorte, regolammo quello che concerne l’offerta della legna, per portarla, secondo le nostre case patriarcali, alla casa del nostro Dio, a tempi fissati, anno per anno, perché bruciasse sull’altare dell’Eterno, del nostro Dio, come sta scritto nella legge; e ci impegnammo a portare ogni anno nella casa dell’Eterno le primizie del nostro suolo e le primizie di ogni frutto di qualunque albero, come anche i primogeniti dei nostri figli e del nostro bestiame, secondo quanto sta scritto nella legge, e i primogeniti delle nostre mandrie e delle nostre greggi per presentarli nella casa del nostro Dio ai sacerdoti che fanno il servizio nella casa del nostro Dio. E ci impegnammo anche a portare ai sacerdoti nelle camere della casa del nostro Dio, le primizie della nostra pasta, le nostre offerte prelevate, le primizie dei frutti di qualunque albero, del vino e dell’olio, e a dare la decima delle rendite del nostro suolo ai Leviti, i quali devono prelevare essi stessi queste decime in tutti i luoghi da noi coltivati. E un sacerdote, figlio di Aaronne, sarà con i Leviti quando preleveranno le decime; e i Leviti porteranno la decima della decima alla casa del nostro Dio, nelle stanze che servono da magazzino, poiché in quelle stanze i figli d’Israele e i figli di Levi devono portare l’offerta prelevata sul frumento, sul vino e sull’olio; là sono gli utensili del santuario, i sacerdoti che fanno il servizio, i portinai e i cantori. Noi ci impegnammo così a non abbandonare la casa del nostro Dio”. I capi del popolo si stabilirono a Gerusalemme; il resto del popolo tirò a sorte perché uno su dieci venisse ad abitare Gerusalemme, la città santa; gli altri nove dovevano rimanere nelle altre città. E il popolo benedisse tutti quelli che si offrirono volontariamente di abitare in Gerusalemme. Ecco i capi della provincia che si stabilirono a Gerusalemme, mentre nelle città di Giuda, ognuno si stabilì nella sua proprietà, nella sua città: Israeliti, Sacerdoti, Leviti, Netinei, e figli dei servi di Salomone. A Gerusalemme dunque si stabilirono dei figli di Giuda, e dei figli di Beniamino. Dei figli di Giuda: Ataia, figlio di Uzzia, figlio di Zaccaria, figlio di Amaria, figlio di Sefatia, figlio di Maalaleèl, dei figli di Perez, e Maaseia, figlio di Baruc, figlio di Col-Oze, figlio di Azaia, figlio di Adaia, figlio di Ioiarib, figlio di Zaccaria, figlio dello Silonita. Totale dei figli di Perez che si stabilirono a Gerusalemme: quattrocentosessantotto uomini valorosi. Dei figli di Beniamino, questi: Sallu, figlio di Mesullam, figlio di Ioed, figlio di Pedaia, figlio di Colaia, figlio di Maaseia, figlio di Itiel, figlio di Isaia; e, dopo lui, Gabbai, Sallai: in tutto, novecentoventotto. Gioele, figlio di Zicri, era loro capo, e Giuda, figlio di Assenua, era il secondo capo della città. Dei sacerdoti: Iedaia, figlio di Ioiarib, Iachin, Seraia, figlio di Chilchia, figlio di Mesullam, figlio di Sadoc, figlio di Meraiot, figlio di Aitub, preposto alla casa di Dio, e i loro fratelli addetti all’opera della casa, in numero di ottocentoventidue; e Adaia, figlio di Ieroam, figlio di Pelalia, figlio di Amsi, figlio di Zaccaria, figlio di Pascur, figlio di Malchia, e i suoi fratelli, capi delle case patriarcali, in numero di duecentoquarantadue; e Amassai, figlio di Azareel, figlio di Azai, figlio di Mesillemot, figlio di Immer, e i loro fratelli, uomini valorosi, in numero di centoventotto. Zabdiel, figlio di Ghedolim, era loro capo. Dei Leviti: Semaia, figlio di Cassub, figlio di Azricam, figlio di Casabia, figlio di Bunni, Sabbetai e Iozabad, preposti al servizio esterno della casa di Dio, di fra i capi dei Leviti; e Mattania, figlio di Mica, figlio di Zabdi, figlio di Asaf, il capo cantore che intonava le lodi al momento della preghiera, Bacbuchia che era il secondo tra i suoi fratelli, e Abda figlio di Sammua, figlio di Galal, figlio di Iedutun. Totale dei Leviti nella città santa: duecentottantaquattro. I portinai: Accub, Talmon e i loro fratelli, custodi delle porte, centosettantadue. Il resto d’Israele, i sacerdoti, i Leviti, si stabilirono in tutte le città di Giuda, ciascuno nella sua proprietà. I Netinei si stabilirono sulla collina, e Sica e Ghispa erano a capo dei Netinei. Il capo dei Leviti a Gerusalemme era Uzzi, figlio di Bani, figlio di Casabia, figlio di Mattania, figlio di Mica, dei figli di Asaf, che erano i cantori addetti al servizio della casa di Dio; poiché c’era un ordine del re che riguardava i cantori, e c’era una provvigione assicurata loro giorno per giorno. E Petaia, figlio di Mesezabeel, dei figli di Zerac, figlio di Giuda, era commissario del re per tutti gli affari del popolo. Quanto ai villaggi con le loro campagne, alcuni dei figli di Giuda si stabilirono in Chiriat-Arba e nei villaggi circostanti, in Dibon e nei villaggi circostanti, in Iecabseel e nei villaggi circostanti, in Iesua, in Molada, in Bet-Palet, in Asar-Sual, in Beer-Sceba e nei villaggi circostanti, in Siclag, in Mecona e nei villaggi circostanti, in En-Rimmon, in Sora, in Iarmut, in Zanoà, in Adullam e nei loro villaggi, in Lachis e nelle sue campagne, in Azeca e nei villaggi circostanti. Si stabilirono da Beer-Sceba fino alla valle di Innom. I figli di Beniamino si stabilirono da Gheba in là, a Micmas, ad Aia, a Betel e nei villaggi circostanti, ad Anatot, a Nob, ad Anania, ad Asor, a Rama, a Ghittaim, a Cadid, a Seboim, a Neballat, a Lod e a Ono, valle degli artigiani. Dei Leviti alcune classi appartenenti a Giuda furono unite a Beniamino. Questi sono i sacerdoti e i Leviti che tornarono con Zorobabele, figlio di Sealtiel, e con Iesua: Seraia, Geremia, Esdra, Amaria, Malluc, Cattus, Secania, Reum, Meremot, Iddo, Ghinnetoi, Abiia, Miiamin, Maadia, Bilga, Semaia, Ioiarib, Iedaia, Sallu, Amoc, Chilchia, Iedaia. Questi erano i capi dei sacerdoti e dei loro fratelli al tempo di Iesua. Leviti: Iesua, Binnui, Cadmiel, Serebia, Giuda, Mattania, che dirigeva con i suoi fratelli il canto di lode. Bacbuchia e Unni, loro fratelli, si alternavano con loro secondo il loro turno. Iesua generò Ioiachim; Ioiachim generò Eliasib; Eliasib generò Ioiada; Ioiada generò Ionatan; Ionatan generò Iaddua. Ecco quali erano, al tempo di Ioiachim, i capi di famiglie sacerdotali: della famiglia di Seraia, Meraia; di quella di Geremia, Anania; di quella di Esdra, Mesullam; di quella di Amaria, Iocanan; di quella di Melicu, Ionatan; di quella di Sebania, Giuseppe; di quella di Carim, Adna; di quella di Meraiot, Chelcai; di quella di Iddo, Zaccaria; di quella di Ghinneton, Mesullam; di quella di Abiia, Zicri; di quella di Miniamin… di quella di Moadia, Piltai; di quella di Bilga, Sammua; di quella di Semaia, Ionatan; di quella di Ioiarib, Mattenai; di quella di Iedaia, Uzzi; di quella di Sallai, Callai; di quella di Amoc, Eber; di quella di Chilchia, Casabia; di quella di Iedaia, Netaneel. Quanto ai Leviti, i capifamiglia furono iscritti al tempo di Eliasib, di Ioiada, di Iocanan e di Iaddua; e i sacerdoti, sotto il regno di Dario, il Persiano. I capi delle famiglie levitiche furono iscritti nel libro delle Cronache fino al tempo di Iocanan, figlio di Eliasib. I capi dei Leviti Casabia, Serebia, Iesua, figlio di Cadmiel, e i loro fratelli si alternavano con loro per lodare e celebrare l’Eterno, secondo l’ordine di Davide, uomo di Dio, per gruppi, secondo il loro turno. Mattania, Bacbuchia, Obadia, Mesullam, Talmon, Accub erano portinai, e facevano la guardia ai magazzini delle porte. Questi vivevano al tempo di Ioiachim, figlio di Iesua, figlio di Iosadac e al tempo di Neemia, il governatore, e di Esdra, sacerdote e scriba. Per la dedicazione delle mura di Gerusalemme si mandarono a cercare i Leviti in tutti i luoghi dove si trovavano, per farli venire a Gerusalemme allo scopo di fare la dedicazione con gioia, con lodi e cantici e al suono di cembali, saltèri e cetre. I figli dei cantori si radunarono dalla regione intorno a Gerusalemme, dai villaggi dei Netofatiti, da Bet-Ghilgal e dal territorio di Gheba e di Azmavet; poiché i cantori si erano costruiti dei villaggi nei dintorni di Gerusalemme. I sacerdoti e i Leviti si purificarono e purificarono il popolo, le porte e le mura. Poi feci salire sulle mura i capi di Giuda, e formai due grandi cori con i relativi cortei. Il primo s’incamminò dal lato destro, sulle mura, verso la porta del Letame; e dietro questo coro camminavano Osaia, la metà dei capi di Giuda, Azaria, Esdra, Mesullam, Giuda, Beniamino, Semaia, Geremia, dei figli dei sacerdoti con le trombe; Zaccaria, figlio di Ionatan, figlio di Semaia, figlio di Mattania, figlio di Micaia, figlio di Zaccur, figlio di Asaf, e i suoi fratelli Semaia, Azareel, Milalai, Ghilalai, Maai, Netaneel, Giuda, Canani, con gli strumenti musicali di Davide, uomo di Dio. Esdra, lo scriba, camminava alla loro testa. Quando furono giunti alla porta della Sorgente, salirono davanti a loro, per la scalinata della città di Davide, là dove le mura salgono al di sopra del livello della casa di Davide, e giunsero alla porta delle Acque, a oriente. Il secondo coro si incamminò nel senso opposto; e io gli andavo dietro, con l’altra metà del popolo, sopra le mura. Passando al di sopra della torre dei Forni, esso andò fino alle mura larghe; poi al di sopra della porta di Efraim, della porta Vecchia, della porta dei Pesci, della torre di Cananeel, della torre di Mea, fino alla porta delle Pecore; e il coro si fermò alla porta della Prigione. I due cori si fermarono nella casa di Dio; e così feci io, con la metà dei magistrati che era con me, e i sacerdoti Eliachim, Maaseia, Miniamin, Micaia, Elioenai, Zaccaria, Anania con le trombe, e Maaseia, Semaia, Eleazar, Uzzi, Iocanan, Malchia, Elam, Ezer. E i cantori fecero risuonare forte le loro voci, diretti da Izraia. In quel giorno il popolo offrì numerosi sacrifici, e si rallegrò perché Iddio gli aveva concesso una grande gioia. Anche le donne e i bambini si rallegrarono; e la gioia di Gerusalemme si sentiva da lontano. In quel tempo, alcuni uomini furono preposti alle stanze che servivano da magazzini delle offerte, delle primizie e delle decime, affinché raccogliessero dalle campagne delle città le parti assegnate dalla legge ai sacerdoti e ai Leviti; poiché i Giudei gioivano a vedere i sacerdoti e i Leviti ai loro posti. Questi compivano ciò che si riferiva al servizio del loro Dio e alle purificazioni; come facevano, dal canto loro, i cantori e i portinai secondo l’ordine di Davide e di Salomone suo figlio. Poiché, anticamente, al tempo di Davide e di Asaf c’erano dei capi dei cantori e dei canti di lode e di ringraziamento a Dio. Tutto Israele, al tempo di Zorobabele e di Neemia, dava giorno per giorno le porzioni assegnate ai cantori e ai portinai; dava ai Leviti le cose consacrate, e i Leviti davano ai figli di Aaronne le cose consacrate che spettavano loro. In quel tempo si lesse in presenza del popolo il libro di Mosè, e vi si trovò scritto che l’Ammonita e il Moabita non dovevano mai entrare nell’assemblea di Dio, perché non erano venuti incontro ai figli d’Israele con del pane e dell’acqua, e perché avevano assoldato contro di loro Balaam, per maledirli; ma il nostro Dio convertì la maledizione in benedizione. Quando il popolo udì la legge, separò da Israele ogni elemento straniero. Ora prima di questo, il sacerdote Eliasib, che era preposto alle camere della casa del nostro Dio ed era parente di Tobia, aveva messo a disposizione di quest’ultimo una camera grande là dove, prima di allora, si riponevano le offerte, l’incenso, gli utensili, la decima del grano, del vino e dell’olio, tutto ciò che spettava per legge ai Leviti, ai cantori, ai portinai, e la parte che se ne prelevava per i sacerdoti. Ma quando si faceva tutto questo, io non ero a Gerusalemme; perché il trentaduesimo anno di Artaserse, re di Babilonia, ero tornato presso il re; e dopo qualche tempo avendo ottenuto un congedo dal re, tornai a Gerusalemme, e mi accorsi del male che Eliasib aveva fatto per amore di Tobia, mettendo a sua disposizione una camera nei cortili della casa di Dio. La cosa mi dispiacque molto, e feci gettare fuori dalla camera tutte le masserizie appartenenti a Tobia; poi ordinai che si purificassero quelle camere, e vi feci ricollocare gli utensili della casa di Dio, le offerte e l’incenso. Seppi pure che le porzioni dovute ai Leviti non erano state date, e che i Leviti e i cantori, incaricati del servizio, se ne erano fuggiti, ciascuno alla sua terra. Io ammonii i magistrati, e dissi loro: “Perché la casa di Dio è stata abbandonata?”. Poi radunai i Leviti e i cantori e li ristabilii nei loro compiti. Allora tutto Giuda portò nei magazzini le decime del frumento, del vino e dell’olio; e affidai la sorveglianza dei magazzini al sacerdote Selemia, allo scriba Sadoc, e a Pedaia uno dei Leviti; ai quali aggiunsi Anan, figlio di Zaccur, figlio di Mattania, perché erano reputati uomini fedeli. Il loro compito era di fare le ripartizioni tra i loro fratelli. Ricòrdati per questo di me, o Dio mio, e non cancellare le buone opere che ho fatte per la casa del mio Dio e per il suo servizio! In quei giorni osservai in Giuda alcuni che pigiavano l’uva in giorno di sabato, altri che portavano, caricandolo sugli asini, del grano o anche del vino, dell’uva, dei fichi, e ogni sorta di cose, che facevano venire a Gerusalemme in giorno di sabato; io li rimproverai a causa del giorno in cui vendevano le loro merci. Vi erano anche dei Siri, stabiliti a Gerusalemme, che portavano del pesce e ogni sorta di cose e le vendevano ai figli di Giuda e in Gerusalemme, in giorno di sabato. Allora io ammonii i notabili di Giuda, e dissi loro: “Che significa questa cattiva azione che fate, profanando il giorno del sabato? I nostri padri non fecero così? e per questo il nostro Dio fece cadere su di noi e su questa città tutti questi mali. E voi accrescete l’ira ardente contro Israele, profanando il sabato!”. E non appena le porte di Gerusalemme cominciarono a essere nell’ombra, prima del sabato, io ordinai che le porte fossero chiuse, e che non si riaprissero fino a dopo il sabato; e collocai alcuni dei miei servi alle porte, affinché nessun carico entrasse in città durante il sabato. Così i mercanti e i venditori di ogni sorta di cose una o due volte passarono la notte fuori di Gerusalemme. Allora io li rimproverai, e dissi loro: “Perché passate la notte davanti alle mura? Se lo rifate, vi farò arrestare”. Da quel momento non vennero più il sabato. Io ordinai anche ai Leviti di purificarsi e di venire a custodire le porte per santificare il giorno del sabato. Anche per questo ricordati di me, o mio Dio, e abbi pietà di me secondo la grandezza della tua misericordia! In quei giorni vidi pure dei Giudei che avevano sposato donne di Asdod, di Ammon e di Moab; e la metà dei loro figli parlava l’asdodeo, ma non sapeva parlare la lingua dei Giudei; conosceva soltanto la lingua di questo o quest’altro popolo. Li rimproverai, li maledissi, ne picchiai alcuni, strappai loro i capelli, e li feci giurare nel nome di Dio che non avrebbero dato le loro figlie ai figli di costoro, e non avrebbero preso le figlie di quelli per i loro figli né per loro stessi. E dissi: “Salomone, re d’Israele, non peccò forse proprio in questo? e, certo, fra le molte nazioni, non ci fu re simile a lui; era amato dal suo Dio, e Dio lo aveva fatto re di tutto Israele; tuttavia, le donne straniere fecero peccare anche lui. Si dovrà dunque dire di voi che commettete questo grande male, che siete infedeli al nostro Dio, prendendo mogli straniere?”. Uno dei figli di Ioiada, figlio di Eliasib, il sommo sacerdote, era genero di Samballat, il Coronita; e io lo cacciai lontano da me. Ricordati di loro, o mio Dio, poiché hanno contaminato il sacerdozio e il patto stabilito dal sacerdozio e dai Leviti! Così purificai il popolo da ogni elemento straniero, e ristabilii i vari servizi dei sacerdoti e dei Leviti, assegnando a ciascuno il suo lavoro. Diedi pure disposizioni riguardo l’offerta della legna ai tempi stabiliti, e riguardo le primizie. Ricordati di me, mio Dio, per farmi del bene! Al tempo di Assuero, di quell’Assuero che regnava dall’India fino all’Etiopia su centoventisette province, in quel tempo, mentre il re Assuero sedeva sul trono del suo regno a Susa, la residenza reale, il terzo anno del suo regno, fece un convito per tutti i suoi principi e per i suoi servi; l’esercito di Persia e di Media, i nobili e i governatori delle province furono riuniti in sua presenza, ed egli mostrò le ricchezze e la gloria del suo regno e il fasto magnifico della sua grandezza per molti giorni, per centottanta giorni. Trascorsi questi giorni, il re fece un altro convito di sette giorni, nel cortile del giardino del palazzo reale, per tutto il popolo che si trovava a Susa, la residenza reale, dal più grande al più piccolo. Arazzi di cotone finissimo, bianchi e viola, stavano sospesi con cordoni di bisso e di scarlatto a degli anelli d’argento e a delle colonne di marmo. Vi erano dei divani d’oro e d’argento sopra un pavimento di porfido, di marmo bianco, di madreperla e di pietre nere. Si offriva da bere in vasi d’oro di svariate forme, e il vino reale era abbondante, grazie alla generosità del re. Era stato dato ordine di non forzare nessuno a bere, infatti il re aveva comandato a tutti i principali della sua casa che lasciassero fare a ciascuno secondo la propria volontà. Anche la regina Vasti fece un convito per le donne nella reggia del re Assuero. Il settimo giorno, il re, che aveva il cuore reso allegro dal vino, ordinò a Meuman, a Bizta, a Carbona, a Bigta, ad Abagta, a Zetar e a Carcas, i sette eunuchi che servivano alla presenza del re Assuero, che portassero davanti a lui la regina Vasti con la corona reale, per far vedere ai popoli e ai grandi la sua bellezza; infatti lei era di bell’aspetto. Ma la regina Vasti rifiutò di venire secondo l’ordine che il re le aveva dato per mezzo degli eunuchi; e il re ne fu irritatissimo, e l’ira divampò dentro di lui. Allora il re interrogò i saggi che avevano la conoscenza dei tempi, poiché gli affari del re si trattavano così alla presenza di tutti quelli che conoscevano la legge e il diritto. I più vicini a lui erano Carsena, Setar, Admata, Tarsis, Meres, Marsena e Memucan, sette principi di Persia e di Media che vedevano la faccia del re e occupavano i primi posti nel regno. Il re chiese: “In base alla legge, che cosa si deve fare alla regina Vasti per non aver eseguito l’ordine datole dal re Assuero per mezzo degli eunuchi?”. Memucan rispose in presenza del re e dei principi: “La regina Vasti ha mancato non soltanto verso il re, ma anche verso tutti i principi e tutti i popoli che sono in tutte le province del re Assuero. Infatti quello che ha fatto la regina lo verranno a sapere tutte le donne, e ciò le indurrà a disprezzare i propri mariti; poiché diranno: ‘Il re Assuero aveva ordinato che si portasse in sua presenza la regina Vasti, e lei non è andata’. Da ora in avanti le principesse di Persia e di Media che avranno udito il fatto della regina ne parleranno a tutti i principi del re, e ne nascerà un grande disprezzo e molto sdegno. Se il re è d’accordo, emani un editto reale e sia iscritto fra le leggi di Persia e di Media in modo che sia irrevocabile, per il quale Vasti non possa più comparire in presenza del re Assuero, e il re conferisca la dignità reale a una sua compagna migliore di lei. E quando l’editto che il re avrà emanato sarà conosciuto in tutto il suo regno, che è vasto, tutte le donne renderanno onore ai loro mariti, dal più grande al più piccolo”. La cosa piacque al re e ai principi, e il re fece come aveva detto Memucan; e inviò lettere a tutte le province del regno, a ogni provincia secondo il suo modo di scrivere e a ogni popolo secondo la sua lingua; attraverso queste lettere ogni uomo doveva essere padrone in casa propria, e parlare la lingua del suo popolo. Dopo queste cose, quando l’ira del re si calmò, egli si ricordò di Vasti, di ciò che lei aveva fatto, e di quanto era stato deciso a suo riguardo. E quelli che stavano al servizio del re dissero: “Si cerchino per il re delle fanciulle vergini e di bell’aspetto; il re stabilisca in tutte le province del suo regno dei commissari, i quali radunino tutte le ragazze vergini e belle alla residenza reale di Susa, nella casa delle donne, sotto la sorveglianza di Egai, eunuco del re, guardiano delle donne, che darà loro i cosmetici di cui hanno bisogno; e la ragazza che piacerà al re diventi regina al posto di Vasti”. La cosa piacque al re, e così si fece. Ora nella residenza reale di Susa c’era un Giudeo di nome Mardocheo, figlio di Iair, figlio di Simei, figlio di Chis, un Beniaminita, che era stato portato via da Gerusalemme fra gli schiavi deportati con Ieconia, re di Giuda, da Nabucodonosor, re di Babilonia. Egli aveva allevato la figlia di suo zio, Adassa, cioè Ester, perché lei non aveva né padre né madre; la ragazza era avvenente e di bell’aspetto; e alla morte del padre e della madre, Mardocheo l’aveva adottata come figlia. E quando l’ordine del re e il suo editto furono divulgati, un gran numero di ragazze furono radunate nella residenza reale di Susa sotto la sorveglianza di Egai. Anche Ester fu condotta nella casa del re, sotto la sorveglianza di Egai, guardiano delle donne. La ragazza piacque a Egai ed entrò nelle sue grazie; lui si affrettò a fornirle i cosmetici di cui aveva bisogno e il vitto, le diede sette ancelle scelte nel palazzo del re, e assegnò a lei e alle sue ancelle l’appartamento migliore della casa riservata alle donne. Ester non aveva detto nulla né del suo popolo né della sua famiglia, perché Mardocheo le aveva proibito di parlarne. Mardocheo passeggiava tutti i giorni davanti al cortile della casa delle donne per sapere se Ester stava bene e che cosa ne sarebbe stato di lei. Quando veniva il turno per una ragazza di andare dal re Assuero alla fine dei dodici mesi prescritti alle donne per i loro preparativi - perché tanto durava il tempo dei loro preparativi: sei mesi per profumarsi con olio di mirra e sei mesi con aromi e altri cosmetici usati dalle donne, - la ragazza andava dal re, e le si permetteva di portare con sé, dalla casa delle donne alla casa del re, tutto quello che chiedeva. Ci andava la sera, e la mattina dopo passava nella seconda casa delle donne, sotto la sorveglianza di Saasgaz, eunuco del re, guardiano delle concubine. Lei non tornava più dal re, a meno che il re la desiderasse e lei fosse chiamata per nome. Quando venne il turno di Ester - la figlia di Abiail, zio di Mardocheo che l’aveva adottata come figlia - di andare dal re, lei non domandò altro che quello che le fu indicato da Egai, eunuco del re, guardiano delle donne. Ed Ester si guadagnava il favore di tutti quelli che la vedevano. Ester fu dunque condotta dal re Assuero, nella casa reale, il decimo mese, che è il mese di Tebet, il settimo anno del suo regno. E il re amò Ester più di tutte le altre donne, e lei trovò grazia e favore ai suoi occhi più di tutte le altre vergini. Egli le pose in testa la corona reale e la fece regina al posto di Vasti. Il re fece un grande convito in onore di Ester per tutti i suoi principi e per i suoi servi; concesse sgravi alle province, e fece doni con generosità regale. La seconda volta che si radunavano delle ragazze, Mardocheo stava seduto alla porta del re. Ester non aveva detto nulla né della sua famiglia né del suo popolo, secondo l’ordine che Mardocheo le aveva dato, perché lei faceva quello che Mardocheo le diceva, come quando era sotto la sua tutela. In quei giorni, mentre Mardocheo stava seduto alla porta del re, Bigtana e Teres, due eunuchi del re fra le guardie dell’ingresso, si irritarono contro il re Assuero e cercarono di attentare alla sua vita. Mardocheo, avuto sentore della cosa, ne informò la regina Ester, ed Ester ne parlò al re in nome di Mardocheo. Dopo che furono svolte indagini e verificato il fatto, i due eunuchi furono impiccati a una forca; e la cosa fu registrata nel libro delle Cronache, alla presenza del re. Dopo queste cose, il re Assuero promosse Aman, figlio di Ammedata, l’Agaghita, alla più alta dignità, e pose il suo seggio al di sopra di quelli di tutti i principi che erano con lui. Tutti i servi del re che stavano alla porta del re si inchinavano e si prostravano davanti ad Aman, perché così aveva ordinato il re a suo riguardo. Ma Mardocheo non si inchinava né si prostrava. I servi del re che stavano alla porta del re dissero a Mardocheo: “Perché trasgredisci l’ordine del re?”. Ma, sebbene glielo ripetessero tutti i giorni, egli non dava loro ascolto. Quelli riferirono la cosa ad Aman, per vedere se Mardocheo avrebbe persistito nel suo atteggiamento; perché egli aveva detto loro che era Giudeo. Aman vide che Mardocheo non si inchinava né si prostrava davanti a lui, e ne fu pieno di ira; ma si rifiutò di mettere le mani addosso soltanto a Mardocheo, poiché gli avevano detto a quale popolo Mardocheo apparteneva; e cercò di distruggere il popolo di Mardocheo, tutti i Giudei che si trovavano in tutto il regno di Assuero. Il primo mese che è il mese di Nisan, il dodicesimo anno del re Assuero, si tirò il Pur, vale a dire si tirò a sorte, in presenza di Aman, un giorno dopo l’altro e un mese dopo l’altro, finché fu sorteggiato il dodicesimo mese, che è il mese di Adar. E Aman disse al re Assuero: “C’è un popolo separato e disperso fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo, e che non osserva le leggi del re; non conviene quindi che il re lo tolleri. Se piace al re, si decreti che sia distrutto; e io pagherò diecimila talenti d’argento nelle mani di quelli che fanno gli affari del re, perché siano portati nel tesoro reale”. Allora il re si tolse di mano l’anello e lo diede ad Aman l’Agaghita figlio di Ammedata, nemico dei Giudei. Il re disse ad Aman: “Il denaro è tuo e anche il popolo; fagli quello che vuoi”. Il tredicesimo giorno del primo mese furono chiamati i segretari del re, e fu scritto, seguendo in tutto gli ordini di Aman, ai satrapi del re, ai governatori di ogni provincia e ai capi di ogni popolo, a ogni provincia secondo il suo modo di scrivere, e a ogni popolo nella sua lingua. Lo scritto fu redatto in nome del re Assuero e sigillato con il sigillo reale. Furono mandate delle lettere, per mezzo di corrieri, in tutte le province del re perché si distruggessero, si uccidessero, si sterminassero tutti i Giudei, giovani e vecchi, bambini e donne, in uno stesso giorno, il tredici del dodicesimo mese, che è il mese di Adar, e si abbandonassero al saccheggio i loro beni. Queste lettere contenevano una copia del decreto che doveva essere pubblicato in ogni provincia, e invitavano tutti i popoli a tenersi pronti per quel giorno. I corrieri partirono in tutta fretta per ordine del re, e il decreto fu promulgato nella residenza reale di Susa; e mentre il re e Aman se ne stavano seduti a bere, la città di Susa era costernata. Quando Mardocheo seppe tutto quello che era stato fatto, si stracciò le vesti, si coprì di un sacco, si cosparse di cenere, e uscì per la città, mandando alte e amare grida; e giunse davanti alla porta del re, poiché a nessuno che fosse coperto di sacco era permesso di passare per la porta del re. In ogni provincia, dovunque giungevano l’ordine del re e il suo decreto, ci fu grande desolazione fra i Giudei: digiunavano, piangevano, si lamentavano, e a molti fecero da letto il sacco e la cenere. Le ancelle di Ester e i suoi eunuchi vennero a riferirle la notizia. La regina fu molto angosciata e mandò delle vesti a Mardocheo, perché se le mettesse e si togliesse di dosso il sacco; ma egli non le accettò. Allora Ester chiamò Atac, uno degli eunuchi che il re aveva messo al suo servizio, e gli ordinò di andare da Mardocheo per domandargli che cosa questo significasse, e perché agisse così. Atac dunque si recò da Mardocheo sulla piazza della città, di fronte alla porta del re. Mardocheo gli raccontò tutto quello che gli era avvenuto, e gli indicò la somma di denaro che Aman aveva promesso di versare al tesoro reale per far distruggere i Giudei; e gli diede anche una copia del testo del decreto che era stato promulgato a Susa per il loro sterminio, affinché lo mostrasse a Ester, la informasse di tutto, e le ordinasse di presentarsi al re per chiedergli grazia e per intercedere in favore del suo popolo. Atac tornò da Ester, e le riferì le parole di Mardocheo. Allora Ester ordinò ad Atac di andare a dire a Mardocheo: “Tutti i servi del re e il popolo delle sue province sanno che se qualcuno, uomo o donna che sia, entra dal re nel cortile interno, senza essere stato chiamato, per una legge che è la stessa per tutti, egli deve essere messo a morte, a meno che il re non stenda verso di lui il suo scettro d’oro; in tal caso, ha salva la vita. E sono già trenta giorni che io non sono stata chiamata per andare dal re”. Le parole di Ester furono riferite a Mardocheo; e Mardocheo fece dare questa risposta a Ester: “Non metterti in mente che tu sola scamperai fra tutti i Giudei perché sei nella casa del re. Poiché se oggi tu taci, soccorso e liberazione sorgeranno per i Giudei da qualche altra parte; ma tu e la casa di tuo padre perirete; e chi sa se non sei diventata regina appunto per un tempo come questo?”. Allora Ester ordinò che si rispondesse a Mardocheo: “Va’, raduna tutti i Giudei che si trovano a Susa, e digiunate per me; state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno. Anch’io con le mie ancelle digiunerò nello stesso modo; e dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge; e se devo morire che io muoia!”. Mardocheo se ne andò, e fece tutto quello che Ester gli aveva ordinato. Il terzo giorno, Ester si mise la veste reale, e si presentò nel cortile interno della casa del re, di fronte all’appartamento del re. Il re era seduto sul trono reale nel palazzo reale, di fronte alla porta della casa. E quando il re vide la regina Ester in piedi nel cortile, lei si guadagnò la sua grazia; il re stese verso Ester lo scettro d’oro che teneva in mano; ed Ester si avvicinò, e toccò la punta dello scettro. Allora il re le disse: “Che hai, regina Ester? che cosa domandi? Anche se tu chiedessi la metà del regno, ti sarà data”. Ester rispose: “Se così piace al re, venga oggi il re con Aman al convito che gli ho preparato”. Il re disse: “Fate venire subito Aman, per fare ciò che Ester ha detto”. Così il re e Aman giunsero al convito che Ester aveva preparato. E mentre si beveva il vino, il re disse a Ester: “Qual è la tua richiesta? Ti sarà concessa. Che cosa desideri? Fosse anche la metà del regno, l’avrai”. Ester rispose: “Ecco la mia richiesta, e ciò che desidero: se ho trovato grazia agli occhi del re, e se piace al re di concedermi quello che chiedo e di soddisfare il mio desiderio, venga il re con Aman al convito che io preparerò loro, e domani farò come il re ha detto”. Aman quel giorno uscì tutto allegro e con il cuore contento, ma quando vide, alla porta del re, Mardocheo che non si alzava né si muoveva per lui, fu pieno d’ira contro Mardocheo. Tuttavia Aman si contenne, se ne andò a casa, e mandò a chiamare i suoi amici e Zeres, sua moglie. Aman parlò loro della magnificenza delle sue ricchezze, del gran numero dei suoi figli, di tutto quello che il re aveva fatto per renderlo grande, e di come lo aveva innalzato al di sopra dei capi e dei servi del re. E aggiunse: “Anche la regina Ester non ha fatto venire con il re nessun altro se non me al convito che ha dato; e anche per domani sono invitato da lei con il re. Ma tutto questo non mi soddisfa finché vedrò quel Giudeo, Mardocheo, sedere alla porta del re”. Allora Zeres sua moglie, e tutti i suoi amici gli dissero: “Si prepari una forca alta cinquanta cubiti; e domattina di’ al re che vi si impicchi Mardocheo; poi vattene allegro al convito con il re”. E la cosa piacque ad Aman, che fece preparare la forca. Quella notte il re, non potendo prendere sonno, ordinò che gli si portasse il libro delle Memorie, le Cronache; e ne fu fatta la lettura in presenza del re. Vi si trovò scritto che Mardocheo aveva denunciato Bigtana e Teres, i due eunuchi del re di fra i guardiani dell’ingresso, i quali avevano cercato di attentare alla vita del re Assuero. Allora il re chiese: “Quale onore e quale distinzione si sono dati a Mardocheo per questo?”. Quelli che servivano il re risposero: “Non si è fatto nulla per lui”. E il re disse: “Chi c’è nel cortile?”. Aman era venuto nel cortile esterno della casa del re, per dire al re di fare impiccare Mardocheo alla forca che egli aveva preparato per lui. I servi del re gli risposero: “Ecco, c’è Aman nel cortile”. E il re: “Fatelo entrare”. Aman entrò, e il re gli disse: “Che cosa bisogna fare a un uomo che il re vuole onorare?”. Aman disse in cuor suo: “Chi altri vorrebbe onorare il re, se non me?”. E Aman rispose al re: “All’uomo che il re vuole onorare? Si prenda la veste reale che il re è solito indossare, e il cavallo che il re è solito montare, e sulla cui testa è posta una corona reale; si consegni la veste e il cavallo a uno dei prìncipi più nobili del re; si rivesta di quella veste l’uomo che il re vuole onorare, lo si faccia percorrere a cavallo le vie della città, e si gridi davanti a lui: ‘Così si fa all’uomo che il re vuole onorare!’”. Allora il re disse ad Aman: “Fa’ presto e prendi la veste e il cavallo, come hai detto, e fa’ in quel modo a Mardocheo, a quel Giudeo che siede alla porta del re; e non tralasciare nulla di quello che hai detto”. Aman prese la veste e il cavallo, rivestì della veste Mardocheo, lo fece percorrere a cavallo le vie della città, e gridava davanti a lui: “Così si fa all’uomo che il re vuole onorare!”. Poi Mardocheo tornò alla porta del re, ma Aman si affrettò ad andare a casa sua, tutto addolorato, e con il capo coperto. Aman raccontò a Zeres sua moglie e a tutti i suoi amici tutto quello che gli era accaduto. I suoi saggi e Zeres sua moglie gli dissero: “Se Mardocheo davanti al quale tu hai cominciato a cadere è della razza dei Giudei, tu non potrai nulla contro di lui e cadrai completamente davanti a lui”. Mentre essi parlavano ancora con lui, giunsero gli eunuchi del re, i quali si affrettarono a condurre Aman al convito che Ester aveva preparato. Il re e Aman andarono dunque al convito con la regina Ester. Anche in questo secondo giorno il re disse a Ester, mentre si beveva il vino: “Qual è la tua richiesta, o regina Ester? Ti sarà concessa. Che desideri? Fosse anche la metà del regno, l’avrai”. Allora la regina Ester rispose dicendo: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, o re, e se così piace al re, la mia richiesta è che mi sia donata la vita; e il mio desiderio, che mi sia donato il mio popolo. Perché io e il mio popolo siamo stati venduti per essere distrutti, uccisi, sterminati. Ora se fossimo stati venduti per diventare schiavi e schiave, avrei taciuto; ma il nostro avversario non potrebbe riparare al danno fatto al re con la nostra morte”. Il re Assuero prese a dire alla regina Ester: “Chi è, e dov’è colui che ha tanta presunzione da fare questo?”. Ester rispose: “L’avversario, il nemico, è quel malvagio di Aman”. Allora Aman fu preso da terrore alla presenza del re e della regina. Il re, tutto adirato si alzò, e dal luogo del convito andò nel giardino del palazzo; ma Aman rimase per chiedere la grazia della vita alla regina Ester, perché vedeva bene che nel cuore del re la sua rovina era decisa. Poi il re tornò dal giardino del palazzo nel luogo del convito; intanto Aman si era gettato sul divano sul quale si trovava Ester; e il re esclamò: “Vuole fare anche violenza alla regina, davanti a me, in casa mia?”. Appena questa parola fu uscita dalla bocca del re, coprirono la faccia ad Aman; e Carbona, uno degli eunuchi, disse in presenza del re: “Ecco, è perfino rizzata, in casa di Aman, la forca alta cinquanta cubiti che Aman ha fatto preparare per Mardocheo, il quale aveva parlato per il bene del re”. E il re disse: “Impiccateci lui!”. Così Aman fu impiccato alla forca che lui aveva preparato per Mardocheo, e l’ira del re si calmò. In quello stesso giorno il re Assuero donò alla regina Ester la casa di Aman, il nemico dei Giudei. E Mardocheo si presentò al re, al quale Ester aveva dichiarato la parentela che li univa. Il re si tolse l’anello che aveva fatto togliere ad Aman, e lo diede a Mardocheo. Ed Ester diede a Mardocheo il governo della casa di Aman. Poi Ester parlò di nuovo in presenza del re, si gettò ai suoi piedi, e lo supplicò con le lacrime agli occhi di impedire gli effetti della malvagità di Aman, l’Agaghita, e delle trame che egli aveva ordito contro i Giudei. Allora il re stese lo scettro d’oro verso Ester; ed Ester si alzò, rimase in piedi davanti al re, e disse: “Se così piace al re, se io ho trovato grazia ai suoi occhi, se la cosa gli sembra giusta, e se io gli sono gradita, si scriva per revocare le lettere scritte da Aman, figlio di Ammedata, l’Agaghita, con il perfido disegno di fare morire i Giudei che sono in tutte le province del re. Perché come potrei resistere a vedere la calamità che colpirebbe il mio popolo? Come potrei resistere a vedere la distruzione della mia razza?”. Allora il re Assuero disse alla regina Ester e a Mardocheo, il Giudeo: “Ecco, io ho dato a Ester la casa di Aman, e questi è stato appeso alla forca, perché voleva stendere la sua mano contro i Giudei. Scrivete dunque, in favore dei Giudei, come vi sembrerà meglio, nel nome del re, e sigillate con l’anello reale; perché ciò che è scritto in nome del re e sigillato con l’anello reale è irrevocabile”. Senza perdere tempo, il ventitreesimo giorno del terzo mese, che è il mese di Sivan, furono chiamati i segretari del re e, seguendo in tutto l’ordine di Mardocheo, fu scritto ai Giudei, ai satrapi, ai governatori e ai capi delle centoventisette province, dall’India all’Etiopia, a ogni provincia secondo il suo modo di scrivere, a ogni popolo nella sua lingua, e ai Giudei secondo il loro modo di scrivere e nella loro lingua. Fu dunque scritto in nome del re Assuero, si sigillarono le lettere con l’anello reale, e si mandarono per mezzo di corrieri che cavalcavano cavalli veloci usati per il servizio del re, nati da stalloni reali. In esse il re permetteva ai Giudei, in qualunque città si trovassero, di radunarsi e di difendere la loro vita, di distruggere, uccidere, sterminare, compresi i bambini e le donne, tutta la gente armata, di qualunque popolo e di qualunque provincia fosse, che li assalisse, e di abbandonare al saccheggio i suoi beni; e ciò, in uno stesso giorno, in tutte le province del re Assuero: il tredici del dodicesimo mese, che è il mese di Adar. Queste lettere contenevano una copia del decreto che doveva essere bandito in ogni provincia e pubblicato fra tutti i popoli, perché i Giudei si tenessero pronti per quel giorno a vendicarsi dei loro nemici. Così i corrieri che cavalcavano cavalli veloci, usati per il servizio del re, partirono immediatamente, in tutta fretta, per ordine del re; e il decreto fu promulgato nella residenza reale di Susa. Mardocheo uscì dalla presenza del re con una veste reale di porpora e di lino bianco, con una grande corona d’oro, e un mantello di bisso e di scarlatto; la città di Susa mandava grida di gioia, ed era in festa. I Giudei poi erano raggianti di gioia, di esultanza, di gloria. E in ogni provincia, in ogni città, dovunque giungevano l’ordine del re e il suo decreto, vi furono, tra i Giudei, gioia ed esultanza, banchetti e giorni lieti. E molti appartenenti ai popoli del paese si fecero Giudei, perché il timore dei Giudei si era impadronito di loro. Il dodicesimo mese, cioè il mese di Adar, il tredicesimo giorno del mese, quando l’ordine del re e il suo decreto dovevano essere eseguiti, il giorno che i nemici dei Giudei speravano di averli in loro potere, avvenne invece tutto il contrario; poiché furono i Giudei che ebbero in loro potere i loro nemici. I Giudei si radunarono nelle loro città, in tutte le province del re Assuero, per mettere le mani su quelli che cercavano di fare loro del male; e nessuno poté resister loro, perché il timore dei Giudei si era impadronito di tutti i popoli. Tutti i capi delle province, i satrapi, i governatori e quelli che facevano gli affari del re diedero manforte ai Giudei, perché il timore di Mardocheo si era impadronito di loro. Infatti Mardocheo era grande nel palazzo del re, e la sua fama si spandeva in tutte le province, perché quest’uomo, Mardocheo, diventava sempre più potente. I Giudei dunque colpirono tutti i loro nemici, passandoli a fil di spada, uccidendoli e sterminandoli; fecero dei loro nemici quello che vollero. Nella residenza reale di Susa i Giudei uccisero e sterminarono cinquecento uomini, e misero a morte Parsandata, Dalfon, Aspata, Porata, Adalia, Aridata, Parmasta, Arisai, Aridai, e Vaizata, i dieci figli di Aman, figlio di Ammedata, il nemico dei Giudei, ma non si diedero al saccheggio. Quel giorno stesso il numero di quelli che erano stati uccisi alla residenza reale di Susa fu portato a conoscenza del re. Il re disse alla regina Ester: “Nella residenza reale di Susa i Giudei hanno ucciso, hanno sterminato cinquecento uomini e dieci figli di Aman; che avranno mai fatto nelle altre province del re? Ora che cosa chiedi tu ancora? Ti sarà dato. Che altro desideri? Lo avrai”. Allora Ester disse: “Se così piace al re, sia permesso ai Giudei che sono a Susa di fare anche domani quello che era stato decretato per oggi; e siano appesi alla forca i dieci figli di Aman”. E il re ordinò che così fosse fatto. Il decreto fu promulgato a Susa, e i dieci figli di Aman furono impiccati. I Giudei che erano a Susa si radunarono ancora il quattordicesimo giorno del mese di Adar e uccisero a Susa trecento uomini; ma non si diedero al saccheggio. Anche gli altri Giudei che erano nelle province del re si radunarono, difesero la loro vita, ed ebbero riposo dagli attacchi dei loro nemici; uccisero settantacinquemila di quelli che li odiavano, ma non si diedero al saccheggio. Questo avvenne il tredicesimo giorno del mese di Adar; il quattordicesimo giorno si riposarono, e ne fecero un giorno di conviti e di gioia. Ma i Giudei che erano a Susa si radunarono il tredicesimo e il quattordicesimo giorno di quel mese; il quindicesimo giorno si riposarono, e ne fecero un giorno di conviti e di gioia. Perciò i Giudei della campagna che abitano in città non murate fanno del quattordicesimo giorno del mese di Adar un giorno di gioia, di conviti e di festa, nel quale gli uni mandano dei regali agli altri. Mardocheo scrisse queste cose, e mandò delle lettere a tutti i Giudei che erano in tutte le province del re Assuero, vicini e lontani, ordinando loro di celebrare ogni anno il quattordicesimo e il quindicesimo giorno del mese di Adar, come i giorni nei quali i Giudei ebbero riposo dagli attacchi dei loro nemici, e il mese in cui il loro dolore era stato cambiato in gioia, il loro lutto in festa, e di fare di questi giorni dei giorni di conviti e di gioia, nei quali gli uni avrebbero mandato dei regali agli altri, e si sarebbero fatti dei doni ai bisognosi. I Giudei si impegnarono a continuare quello che avevano già cominciato a fare, e che Mardocheo aveva scritto loro; poiché Aman, figlio di Ammedata, l’Agaghita, il nemico di tutti i Giudei, aveva tramato contro i Giudei per distruggerli, e aveva gettato il Pur, vale a dire la sorte, per sgominarli e farli perire; ma quando Ester si presentò davanti al re, questi ordinò per iscritto che la perversa macchinazione che Aman aveva ordito contro i Giudei fosse fatta ricadere sul suo capo, e che lui e i suoi figli fossero appesi alla forca. Perciò quei giorni furono detti Purim, dal termine Pur. Secondo tutto il contenuto di quella lettera, in seguito a tutto quello che avevano visto a questo proposito e che era loro avvenuto, i Giudei stabilirono e presero per sé, per la loro discendenza e per tutti quelli che si sarebbero aggiunti a loro, l’impegno inviolabile di celebrare ogni anno quei due giorni secondo quanto prescritto e al tempo fissato. Quei giorni dovevano essere commemorati e celebrati di generazione in generazione, in ogni famiglia, in ogni provincia, in ogni città; e quei giorni di Purim non dovevano cessare mai di essere celebrati fra i Giudei, e il loro ricordo non doveva mai essere cancellato fra i loro discendenti. La regina Ester, figlia di Abiail, e il Giudeo Mardocheo riscrissero con ogni autorità, per dare peso a questa loro seconda lettera relativa ai Purim. E si mandarono delle lettere a tutti i Giudei nelle centoventisette province del regno di Assuero: lettere contenenti parole di pace e di fedeltà, per fissare bene quei giorni di Purim nelle loro date precise, come li avevano ordinati il Giudeo Mardocheo e la regina Ester, e come loro stessi li avevano stabiliti per sé e per i loro discendenti, in occasione del loro digiuno e del loro grido. Così l’ordine di Ester stabilì l’istituzione dei Purim, e ciò fu scritto in un libro. Il re Assuero impose un tributo al paese e alle isole del mare. Quanto a tutti i fatti concernenti la potenza e il valore di Mardocheo e quanto alla completa descrizione della sua grandezza e del come il re lo rese grande, sono cose scritte nel libro delle Cronache dei re di Media e di Persia. Infatti, il Giudeo Mardocheo era il secondo dopo il re Assuero: grande fra i Giudei, e amato dalla moltitudine dei suoi fratelli; cercò il bene del suo popolo, e parlò per la pace di tutta la sua razza. C’era nel paese di Uz un uomo che si chiamava Giobbe. Quest’uomo era integro e retto; temeva Iddio e fuggiva il male. Gli erano nati sette figli e tre figlie; possedeva settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia di buoi, cinquecento asine e una servitù molto numerosa. Quest’uomo era il più grande di tutti gli Orientali. I suoi figli erano soliti andare gli uni dagli altri e fare un banchetto, ciascuno nel suo giorno: e mandavano a chiamare le loro tre sorelle perché venissero a mangiare e a bere con loro. Quando la serie dei giorni di banchetto era finita, Giobbe li faceva venire per purificarli; si alzava di buon mattino, e offriva un olocausto per ciascuno di loro, perché diceva: “Può darsi che i miei figli abbiano peccato e abbiano rinnegato Iddio nel loro cuore”. Giobbe faceva sempre così. Un giorno accadde che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all’Eterno, e anche Satana venne in mezzo a loro. L’Eterno disse a Satana: “Da dove vieni?”. Satana rispose all’Eterno: “Dal percorrere la terra e dal passeggiare per essa”. L’Eterno disse a Satana: “Hai notato il mio servo Giobbe? Non ce n’è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male”. Satana rispose all’Eterno: “È forse per nulla che Giobbe teme Iddio? Non lo hai circondato di un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l’opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese. Ma stendi un po’ la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia”. L’Eterno disse a Satana: “Ecco, tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stendere la mano sulla sua persona”. E Satana si ritirò dalla presenza dell’Eterno. Un giorno, mentre i suoi figli e le sue figlie mangiavano e bevevano del vino in casa del loro fratello maggiore, giunse a Giobbe un messaggero a dirgli: “I buoi stavano arando e le asine pascolavano lì vicino, quando ecco i Sabei sono piombati loro addosso e li hanno portati via; hanno passato a fil di spada i servi, e solo io sono potuto scampare per venire a dirtelo”. Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: “Il fuoco di Dio è caduto dal cielo, ha colpito le pecore e i servitori, e li ha divorati; e io solo sono potuto scampare per venire a dirtelo”. Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: “I Caldei hanno formato tre bande, si sono gettati sui cammelli e li hanno portati via; hanno passato a fil di spada i servitori, e solo io sono potuto scampare per venire a dirtelo”. Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: “I tuoi figli e le tue figlie mangiavano e bevevano del vino in casa del loro fratello maggiore; ed ecco che un grande vento, venuto dall’altra parte del deserto, ha investito i quattro canti della casa, che è caduta sui giovani, ed essi sono morti; solo io sono potuto scampare per venire a dirtelo”. Allora Giobbe si alzò, si stracciò il mantello, si rase il capo, si prostrò a terra, adorò e disse: “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; l’Eterno ha dato, l’Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell’Eterno”. In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto. Un giorno i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all’Eterno, e anche Satana venne in mezzo a loro a presentarsi davanti all’Eterno. L’Eterno disse a Satana: “Da dove vieni?”. E Satana rispose all’Eterno: “Dal percorrere la terra e dal passeggiare per essa”. L’Eterno disse a Satana: “Hai notato il mio servo Giobbe? Non ce n’è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità nonostante tu mi abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza nessun motivo”. Satana rispose all’Eterno: “Pelle per pelle! L’uomo dà tutto quello che possiede per la sua vita; ma stendi un po’ la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia”. L’Eterno disse a Satana: “Ecco, egli è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita”. Satana si ritirò dalla presenza dell’Eterno e colpì Giobbe con un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi alla sommità del capo; Giobbe prese un coccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere. Sua moglie gli disse: “Ancora stai saldo nella tua integrità? Ma lascia stare Iddio, e muori!”. Giobbe a lei: “Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?”. In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra. Intanto, tre amici di Giobbe, Elifaz di Teman, Bildad di Suac e Zofar di Naama, avendo udito tutti questi mali che gli erano piombati addosso, partirono, ciascuno dal suo paese e si misero d’accordo per andare a confortarlo e a consolarlo. Alzàti gli occhi da lontano, essi non lo riconobbero, e piansero ad alta voce; si stracciarono i mantelli e si cosparsero il capo di polvere gettandola verso il cielo. Rimasero seduti a terra, vicino a lui, sette giorni e sette notti; e nessuno di loro gli rivolse la parola, perché vedevano che il suo dolore era molto grande. Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita. E prese a dire così: “Scompaia il giorno che io nacqui e la notte in cui si disse: ‘È stato concepito un maschio!’. Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall’alto, né splenda su di esso un raggio di luce! Se lo riprendano le tenebre e l’ombra di morte, resti su di esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura! Quella notte diventi preda di un buio cupo, non abbia la gioia di essere contata tra i giorni dell’anno, non entri nel novero dei mesi! Quella notte sia notte sterile e non vi si oda grido di gioia. La maledicano quelli che maledicono i giorni e sono esperti nell’evocare il drago. Si oscurino le stelle del suo crepuscolo, aspetti la luce e la luce non venga, e non contempli le palpebre dell’alba, poiché non chiuse la porta del grembo che mi portava, e non nascose l’affanno ai miei occhi. Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dal suo grembo? Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da allattare? Adesso giacerei tranquillo, dormirei, e avrei così riposo con i re e con i consiglieri della terra che si costruirono mausolei, con i principi che possedevano dell’oro e che riempirono d’argento le loro case; o, come l’aborto nascosto, non esisterei, sarei come i feti che non videro la luce. Là gli empi cessano di tormentare gli altri, là riposano gli stanchi; là i prigionieri hanno pace tutti insieme, senza udire voce di carceriere. Piccoli e grandi sono là insieme, e lo schiavo è libero dal suo padrone. Perché dare la luce all’infelice e la vita a chi ha l’amarezza nell’anima, i quali aspettano la morte che non viene, e la ricercano più dei tesori nascosti, e si rallegrerebbero fino a giubilarne, esulterebbero se trovassero una tomba? Perché dare vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio? Io sospiro anche quando prendo il mio cibo, e i miei gemiti si spandono come acqua. Non appena temo un male, esso mi colpisce; e quello che mi spaventa, mi piomba addosso. Non trovo tranquillità, né riposo, né pace, il tormento è continuo!”. Allora Elifaz di Teman rispose e disse: “Se provassimo a rivolgerti una parola ti darebbe fastidio? Ma chi potrebbe trattenere le parole? Ecco tu ne hai ammaestrati molti, hai fortificato le mani stanche; le tue parole hanno rialzato chi stava cadendo, hai rafforzato le ginocchia vacillanti; e ora che il male piomba su di te, ti lasci abbattere; ora che è giunto fino a te, sei tutto smarrito. La tua pietà non è forse la tua fiducia, e l’integrità della tua vita la tua speranza? Ricorda: quale innocente morì mai? e dove furono mai distrutti gli uomini retti? Da parte mia ho visto che quelli che arano iniquità e seminano tormenti, ne raccolgono i frutti. Al soffio di Dio essi muoiono, sono consumati dal vento del suo sdegno. Il ruggito del leone è spento, i denti dei leoncelli sono spezzati. Il forte leone muore per mancanza di preda e i piccoli della leonessa restano dispersi. Una parola mi è giunta furtivamente, e il mio orecchio ne ha colto il lieve sussurro. Fra i pensieri delle visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, mi prese uno spavento, un tremore che mi fece tremare tutte le ossa. Uno spirito mi passò davanti, e i peli mi si rizzarono addosso. Si fermò, ma non riconobbi il suo sembiante; una figura mi stava davanti agli occhi e udii una voce sommessa che diceva: ‘Può il mortale essere giusto davanti a Dio? Può l’uomo essere puro davanti al suo creatore? Ecco, Iddio non si fida dei suoi servi, e trova difetti nei suoi angeli; quanto più in quelli che stanno in case di argilla, che hanno per fondamento la polvere e sono schiacciati al pari delle tarme! Tra la mattina e la sera sono infranti; muoiono per sempre, senza che nessuno se ne accorga. La corda della loro tenda è strappata, e muoiono senza possedere la sapienza’. Chiama pure! C’è forse chi ti risponda? E a quale dei santi vorrai rivolgerti? No, l’ira non uccide che l’insensato e l’irritazione non fa morire che lo stolto. Io ho visto l’insensato prendere radice, ma ben presto ho dovuto maledire la sua casa. I suoi figli vanno privi di soccorso, sono oppressi alla porta, e non c’è chi li difenda. L’affamato gli divora il raccolto, glielo ruba perfino tra le spine; e l’assetato gli divora i beni. Poiché la sventura non spunta dalla terra né il dolore germoglia dal suolo; ma l’uomo nasce per soffrire, come la scintilla per volare in alto. Io però vorrei cercare Dio e a Dio vorrei esporre la mia causa: a lui, che fa cose grandi, imperscrutabili, meraviglie senza numero; che sparge la pioggia sopra la terra e manda l’acqua sui campi; che innalza quelli che erano abbassati e pone gli afflitti in salvo in luogo elevato; che sventa i disegni degli astuti in modo che le loro mani non riescano a eseguirli: che prende gli abili nella loro astuzia, in modo che il consiglio degli scaltri vada in rovina. Di giorno essi incorrono nelle tenebre, a mezzogiorno brancolano come di notte; ma Iddio salva l’oppresso dalla spada della loro bocca, e il povero dalla mano del potente. Così per il misero c’è speranza, mentre l’iniquità ha la bocca chiusa. Beato l’uomo che Dio corregge! Tu non disprezzare la correzione dell’Onnipotente; poiché egli fa la piaga, poi la fascia; egli ferisce, ma le sue mani guariscono. In sei sciagure egli sarà il tuo liberatore e in sette il male non ti toccherà. In tempo di carestia ti scamperà dalla morte, in tempo di guerra dai colpi della spada. Sarai sottratto al flagello della lingua, non temerai quando verrà il disastro. In mezzo al disastro e alla fame riderai, non temerai le belve della terra; perché avrai per alleate le pietre del suolo, e gli animali dei campi saranno con te in pace. Saprai al sicuro la tua tenda e, visitando i tuoi pascoli, vedrai che non ti manca nulla. Saprai che la tua progenie moltiplica, che i tuoi rampolli crescono come l’erba dei campi. Scenderai maturo nella tomba, come i covoni di grano che si ammucchiano a suo tempo. Ecco ciò che abbiamo trovato, riflettendo. Così è. Tu ascolta, e fanne profitto”. Allora Giobbe rispose e disse: “Ah, se il mio dolore si pesasse, se le mie sciagure si mettessero tutte insieme sulla bilancia! Sarebbero trovate più pesanti della sabbia del mare. Ecco perché le mie parole sono audaci. Perché le saette dell’Onnipotente mi trafiggono, lo spirito mio ne succhia il veleno; i terrori di Dio si schierano in battaglia contro di me. L’asino selvatico raglia forse quando ha l’erba davanti? muggisce forse il bue davanti alla pastura? Si può forse mangiare ciò che è insipido e senza sale? c’è qualche gusto in un chiaro d’uovo? L’anima mia rifiuta di toccare una cosa simile, essa è per me come un cibo ripugnante. Oh, mi avvenisse pure quello che chiedo, e mi desse Iddio quello che spero! Volesse pure Iddio schiacciarmi, stendere la mano e tagliare il filo dei miei giorni! Questo sarebbe un conforto per me, esulterei nei dolori che egli non mi risparmia; poiché non ho rinnegato le parole del Santo. Che è mai la mia forza perché io speri ancora? Che fine mi aspetta perché io sia paziente? La mia forza è come la forza delle pietre? e la mia carne come carne di bronzo? Non sono io ridotto senza energia, e non mi è forse tolta ogni speranza di guarire? Pietà deve l’amico a colui che soccombe, anche se abbandonasse il timore dell’Onnipotente. Ma i miei fratelli si sono mostrati infidi come un torrente, come l’acqua di torrenti che passano. Il ghiaccio li rende torbidi, e la neve vi si scioglie; ma passato il tempo delle piene, svaniscono; quando sentono il caldo, spariscono dal loro luogo. Le carovane che si dirigono là cambiano strada, si inoltrano nel deserto, e vi muoiono. Le carovane di Tema li cercavano con lo sguardo, i viandanti di Seba vi contavano su, ma furono delusi nella loro fiducia; giunti sul luogo, rimasero confusi. Così siete diventati voi per me: vedete uno che fa orrore, e vi prende la paura. Vi ho forse detto: ‘Datemi qualcosa’, oppure: ‘Con i vostri beni fate un dono in mio favore’, oppure: ‘Liberatemi dalla stretta del nemico’, oppure: ‘Salvatemi dalla mano dei prepotenti’? Ammaestratemi, e starò in silenzio; fatemi capire in che cosa ho sbagliato. Quanto sono efficaci le parole rette! Ma la vostra riprensione che vale? Volete dunque biasimare delle parole? Ma le parole di un disperato se le porta il vento! Voi sareste capaci di tirare a sorte l’orfano, e di vendere il vostro amico! Ma ora degnatevi di guardarmi, e vedete se io vi mento in faccia. Ricredetevi! Non vi sia in voi iniquità! Ricredetevi, la mia giustizia sussiste. C’è qualche iniquità sulla mia lingua? Il mio palato non distingue più ciò che è male? La vita dell’uomo sulla terra è una milizia; i suoi giorni sono simili ai giorni di un operaio. Come lo schiavo desidera l’ombra e come l’operaio aspetta il suo salario, così a me toccano mesi di sciagura, e mi sono assegnate notti di dolore. Appena mi corico, dico: ‘Quando mi alzerò?’. Ma la notte si prolunga, e mi sazio di agitazioni fino all’alba. La mia carne è coperta di vermi e di croste polverose, la mia pelle si richiude, poi riprende a suppurare. I miei giorni se ne vanno più veloci della spola, si consumano senza speranza. Ricordati, che la mia vita è un soffio! Il mio occhio non vedrà più il bene. Lo sguardo di chi ora mi vede non mi potrà più scorgere; i tuoi occhi mi cercheranno, ma io non sarò più. La nuvola svanisce e si dilegua; così chi scende nel soggiorno dei morti non ne risalirà; non tornerà più nella sua casa, e il luogo dove stava non lo riconoscerà più. Io, perciò, non terrò chiusa la bocca; nell’angoscia del mio spirito parlerò, mi lamenterò nell’amarezza della mia anima. Sono io forse il mare o un mostro marino che tu ponga intorno a me una guardia? Quando dico: ‘Il mio letto mi darà sollievo, il mio giaciglio allevierà la mia pena’, tu mi atterrisci con sogni, e mi spaventi con visioni; così che l’anima mia preferisce soffocare, preferisce la morte a queste ossa. Io mi sto consumando; non vivrò sempre; ti prego, lasciami stare; i giorni miei non sono che un soffio. Che cosa è l’uomo che tu ne faccia tanto caso, che tu ponga mente a lui, lo visiti ogni mattina e lo metta alla prova ogni istante? Quando cesserai di tenere lo sguardo fisso su di me? Quando mi darai tempo di inghiottire la mia saliva? Se ho peccato, che ho fatto a te, o guardiano degli uomini? Perché hai fatto di me il tuo bersaglio? A tal punto che sono diventato un peso a me stesso? E perché non perdoni le mie trasgressioni e non cancelli la mia iniquità? Poiché presto giacerò nella polvere; e tu mi cercherai, ma io non sarò più”. Allora Bildad di Suac rispose e disse: “Fino a quando terrai questi discorsi e le parole della tua bocca saranno come un vento impetuoso? Iddio corrompe il giudizio? L’Onnipotente perverte la giustizia? Se i tuoi figli hanno peccato contro di lui, egli li ha dati in balìa del loro misfatto; ma tu, se ricorri a Dio e implori grazia all’Onnipotente, se proprio sei puro e integro, certo egli sorgerà in tuo favore e restaurerà la dimora della tua giustizia. Così sarà stato piccolo il tuo principio, ma la tua fine sarà grande oltre misura. Interroga le passate generazioni, rifletti sull’esperienza dei padri; poiché noi siamo di ieri e non sappiamo nulla; i nostri giorni sulla terra non sono che un’ombra; ma quelli certo ti insegneranno, ti parleranno, e dal loro cuore trarranno discorsi. Può il papiro crescere dove non c’è limo? Il giunco viene forse su senz’acqua? Mentre sono ancora verdi, e senza che si taglino, prima di tutte le erbe, si seccano. Questa è la sorte di tutti quelli che dimenticano Dio, e la speranza dell’empio perirà. La sua baldanza è troncata, la sua fiducia è come una tela di ragno. Egli si appoggia alla sua casa, ma essa non regge; vi si aggrappa, ma quella non sta salda. Egli verdeggia al sole e i suoi rami si protendono sul suo giardino; le sue radici si intrecciano sul mucchio delle macerie, penetra fra le pietre della casa. Ma se è strappato dal suo luogo, questo lo rinnega e gli dice: ‘Non ti ho mai visto!’. Ecco la gioia che gli procura il suo comportamento! Dalla polvere germoglieranno altri dopo di lui. No, Iddio non respinge l’uomo integro, né porge aiuto a quelli che fanno il male. Egli restituirà ancora il sorriso alla tua bocca, e sulle tue labbra metterà canti di esultanza. Quelli che ti odiano saranno coperti di vergogna, e la tenda degli empi sparirà”. Allora Giobbe rispose e disse: “Sì, certo, io so che è così; e come potrebbe il mortale essere giusto davanti a Dio? Se all’uomo piacesse disputare con Dio, non potrebbe rispondergli su un punto fra mille. Dio è saggio di cuore, è grande in potenza; chi gli ha tenuto fronte e se n’è trovato bene? Egli trasporta le montagne senza che se ne accorgano, nel suo furore le sconvolge. Egli scuote la terra dalle sue fondamenta, e le sue colonne tremano. Comanda al sole, ed esso non sorge; mette un sigillo sulle stelle. Da solo spiega i cieli, e cammina sulle più alte onde del mare. È il creatore dell’Orsa, di Orione, delle Pleiadi, e delle misteriose regioni del cielo australe. Egli fa cose grandi e imperscrutabili, meraviglie innumerevoli. Ecco, egli mi passa vicino, e io non lo vedo; mi scivola accanto e non me ne accorgo. Ecco afferra la preda, e chi si opporrà? Chi oserà dirgli: ‘Che fai?’. Iddio non ritira la sua collera; sotto di lui si curvano i campioni della superbia. E io, come farei a rispondergli, a scegliere le mie parole per discutere con lui? Avessi anche ragione, non gli replicherei, ma chiederei misericordia al mio giudice. Se io lo invocassi ed egli mi rispondesse, non per questo crederei che avesse dato ascolto alla mia voce; egli mi piomba addosso dal seno della tempesta, moltiplica senza motivo le mie piaghe, non mi lascia riprendere fiato, e mi sazia di amarezza. Se si tratta di forza, ecco, egli è potente; se di diritto, egli dice: ‘Chi mi fisserà un giorno per comparire?’. Anche se fossi giusto, la mia stessa bocca mi condannerebbe; anche se fossi innocente, mi dichiarerebbe colpevole. Innocente! Sì, lo sono! di me non mi interessa, io disprezzo la mia vita! Per me è la stessa cosa! perciò dico: ‘Egli distrugge ugualmente l’innocente e il colpevole’. Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello spavento degli innocenti. La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque? E i miei giorni se ne vanno più veloci di un corriere; fuggono via senza avere visto il bene; passano rapidi come navi di giunchi, come l’aquila che piomba sulla preda. Se dico: ‘Voglio dimenticare il mio lamento, abbandonare questa aria triste e rasserenarmi’, ma sono spaventato per tutti i miei dolori, so che non mi considererai innocente. Io sarò condannato; perché dunque affaticarmi invano? Anche se mi lavassi con la neve e mi pulissi le mani con il sapone, tu mi immergeresti nel fango di una fossa, le mie stesse vesti mi avrebbero in orrore. Dio non è un uomo come me, perché io gli risponda e che possiamo comparire in giudizio assieme. Non c’è fra noi un arbitro che posi la mano su tutti e due! Iddio allontani da me la sua verga; smetta di spaventarmi con il suo terrore; allora io parlerò senza temerlo, poiché sento di non essere quel colpevole che sembro. Io provo disgusto della mia vita; voglio dare libero sfogo al mio lamento, voglio parlare nell’amarezza della mia anima! Io dirò a Dio: ‘Non condannarmi! Fammi sapere perché contendi con me! Ti sembra ben fatto opprimere, disprezzare l’opera delle tue mani e favorire i disegni dei malvagi? Hai tu occhi di carne? Vedi tu come vede l’uomo? I tuoi giorni sono come i giorni del mortale, i tuoi anni sono come gli anni degli umani, che tu investighi tanto la mia iniquità, che ti informi così del mio peccato, pur sapendo che io non sono colpevole, e che non c’è chi mi liberi dalla tua mano? Le tue mani mi hanno formato, mi hanno fatto tutto quanto, e mi distruggi! Ricòrdati che mi hai plasmato come argilla, e tu mi fai ritornare in polvere! Non mi hai tu colato forse come il latte e fatto rapprendere come il formaggio? Tu mi hai rivestito di pelle e di carne, e mi hai intessuto di ossa e di nervi. Mi hai concesso vita e grazia, la tua provvidenza ha vegliato sul mio spirito, ed ecco quello che nascondevi in cuore! Sì, lo so, questo meditavi: se avessi peccato, lo avresti tenuto bene a mente e non mi avresti assolto dalla mia iniquità. Se fossi stato malvagio, guai a me! Se giusto, non avrei osato alzare la fronte, sazio d’infamia, spettatore della mia miseria. Se l’avessi alzata, mi avresti dato la caccia come a un leone e avresti rinnovato contro di me le tue meraviglie; mi avresti messo di fronte nuovi testimoni e avresti raddoppiato il tuo sdegno contro di me; legioni su legioni mi avrebbero assalito. E allora, perché mi hai fatto uscire dal grembo di mia madre? Sarei morto senza che occhio mi vedesse! Sarei stato come se non fossi mai esistito, mi avrebbero portato dal grembo materno alla tomba!’. Non sono forse pochi i giorni che mi restano? Smetta egli dunque, mi lasci stare, affinché io mi rassereni un poco, prima che io me ne vada, per non tornare mai più, nella terra delle tenebre e dell’ombra di morte: terra oscura come la notte profonda, dove regnano l’ombra di morte e il disordine, il cui chiarore è come notte oscura”. Allora Zofar di Naama rispose e disse: “Questa abbondanza di parole rimarrà forse senza risposta? Basterà essere loquace per avere ragione? Varranno le tue chiacchiere a fare tacere la gente? Farai il sarcastico, senza che nessuno ti svergogni? Tu dici a Dio: ‘Ciò che sostengo è giusto, e io sono puro in tua presenza’. Ma, se Iddio volesse parlare e aprire la bocca per risponderti e rivelarti i segreti della sua sapienza - poiché la sua intelligenza è infinita - vedresti allora come Iddio dimentichi parte della tua colpa. Puoi tu misurare le profondità di Dio? arrivare a conoscere appieno l’Onnipotente? Si tratta di cose più alte del cielo; tu che faresti? di cose più profonde del soggiorno dei morti; come le conosceresti? La loro misura è più lunga della terra, più larga del mare. Se Dio passa, se incarcera, se chiama in giudizio, chi si opporrà? Poiché egli conosce gli uomini perversi, scopre senza sforzo l’iniquità. Ma l’insensato diventerà saggio quando un puledro di onagro diventerà uomo. Tu, però, se disponi bene il cuore, e stendi le mani verso Dio, se allontani il male che è nelle tue mani, e non fai abitare l’iniquità nelle tue tende, allora alzerai la fronte senza macchia, sarai incrollabile, e non avrai paura di nulla; dimenticherai i tuoi affanni; te ne ricorderai come di acqua passata; la tua vita sorgerà più splendente del giorno pieno, l’oscurità sarà come la luce del mattino. Sarai fiducioso perché avrai speranza; ti guarderai bene intorno e ti coricherai sicuro. Ti metterai a giacere e nessuno ti spaventerà; e molti cercheranno il tuo favore. Ma gli occhi degli empi verranno meno; non ci sarà più rifugio per loro, e non avranno altra speranza che di esalare l’ultimo respiro”. Allora Giobbe rispose e disse: “Voi, certo, valete quanto un popolo, e con voi morirà la sapienza. Ma di senno ne ho anch’io quanto voi, non vi sono affatto inferiore; e cose come queste chi non le sa? Io dunque dovrei essere lo zimbello degli amici! Io che invocavo Iddio, ed egli mi rispondeva; lo zimbello io, l’uomo giusto, integro! Il disprezzo per la sventura altrui è nel pensiero di chi vive contento; esso è sempre pronto per quelli a cui vacilla il piede. Sono invece tranquille le tende dei ladri; chi provoca Iddio, chi si fa un dio della propria forza, se ne sta al sicuro. Ma interroga un po’ gli animali e te lo insegneranno; gli uccelli del cielo e te lo mostreranno; o parla alla terra ed essa te lo insegnerà, e i pesci del mare te lo racconteranno. Chi non sa, fra tutte queste creature, che la mano dell’Eterno ha fatto ogni cosa, che egli tiene in mano l’anima di tutto ciò che vive, e lo spirito di ogni essere umano? L’orecchio non discerne forse le parole, come il palato assaggia le pietanze? Nei vecchi si trova la sapienza e la lunghezza di giorni dà intelligenza. Ma in Dio stanno la saggezza e la potenza, a lui appartengono il consiglio e l’intelligenza. Ecco, egli abbatte, e nessuno può ricostruire; chiude un uomo in prigione, e non c’è chi gli apra. Ecco, egli trattiene le acque, e tutto inaridisce; le lascia andare, ed esse sconvolgono la terra. Egli possiede la forza e l’abilità; da lui dipendono chi erra e chi fa errare. Egli manda scalzi i consiglieri, colpisce di demenza i giudici. Scioglie i legami dell’autorità dei re e cinge i loro fianchi di catene. Manda scalzi i sacerdoti, e rovescia i potenti. Priva della parola i più eloquenti, e toglie il discernimento ai vecchi. Sparge il disprezzo sui nobili, e allenta la cintura ai forti. Rivela le cose nascoste, facendole uscire dalle tenebre, e porta alla luce ciò che è avvolto in ombra di morte. Rende grandi i popoli e li annienta, amplia le nazioni e le riconduce nei loro confini; toglie il senno ai capi della terra, e li fa errare in solitudini senza sentiero. Vanno brancolando nelle tenebre, senza nessuna luce, e li fa barcollare come ubriachi. Ecco, il mio occhio tutto questo lo ha visto; il mio orecchio lo ha udito e lo ha compreso. Quello che sapete voi lo so anch’io, non vi sono per nulla inferiore. Ma io vorrei parlare con l’Onnipotente, gradirei ragionare con Dio; poiché voi siete dei fabbricanti di menzogne, siete tutti quanti dei medici da nulla. Oh, se faceste silenzio! esso vi sarebbe contato come saggezza. Ascoltate, vi prego, ciò che ho da rimproverarvi; state attenti alle ragioni delle mie labbra! Volete dunque difendere Iddio parlando ingiustamente? sostenere la sua causa con parole ingannevoli? Volete avere riguardo alla sua persona? e costituirvi difensori di Dio? Sarà un bene per voi quando egli vi scruterà a fondo? credete di ingannarlo come si inganna un uomo? Certo egli vi riprenderà severamente se nel vostro segreto avete dei riguardi personali. La sua maestà non vi farà spavento? Il suo terrore non piomberà su di voi? I vostri detti memorabili sono massime di cenere; i vostri baluardi sono baluardi di argilla. Tacete! lasciatemi stare! voglio parlare io, e succeda quel che succeda! Perché dovrei prendere la mia carne con i denti e mettere la mia vita nelle mie mani? Anche se dovesse uccidermi, continuerò a sperare; ma io difenderò di fronte a lui il mio comportamento. Anche questo servirà alla mia salvezza; poiché un empio non ardirebbe presentarsi a lui. Ascoltate attentamente il mio discorso, porgete orecchio a quanto sto per dichiararvi. Ecco, io ho preparato ogni cosa per la causa, so che sarò riconosciuto giusto. C’è qualcuno che voglia farmi opposizione? Se c’è io mi taccio e sarò pronto a morire. Ma, o Dio, concedimi soltanto due cose, e non mi nasconderò dalla tua presenza: ritira da me la tua mano, e fa’ che i tuoi terrori non mi spaventino più. Poi interrogami, e io risponderò; o parlerò io, e tu replicherai. Quante sono le mie iniquità, quanti i miei peccati? Fammi conoscere la mia trasgressione, il mio peccato! Perché nascondi il tuo volto, e mi consideri un nemico? Vuoi tu atterrire una foglia portata via dal vento? Vuoi tu perseguitare una pagliuzza inaridita? tu che mi condanni a pene così amare, e mi fai espiare gli sbagli della mia gioventù, tu che metti i miei piedi nei ceppi; che spii tutti i miei movimenti, e tracci una linea intorno alla pianta dei miei piedi? Intanto questo mio corpo si disfa come legno tarlato, come un abito roso dalle tarme. L’uomo, nato di donna, vive pochi giorni ed è sazio di affanni. Spunta come un fiore, poi è reciso; fugge come un’ombra, e non dura. E sopra un essere così, tu tieni gli occhi aperti e mi fai comparire con te in giudizio! Chi può trarre una cosa pura da una impura? Nessuno. Poiché i suoi giorni sono fissati, il numero dei suoi mesi dipende da te, e tu gli hai posto un termine che egli non può oltrepassare, distogli da lui lo sguardo, in modo che egli abbia un po’ di riposo, e possa godere come un operaio la fine della sua giornata. Per l’albero almeno c’è speranza; se è tagliato, rigermoglia e continua a mettere germogli. Quando la sua radice è invecchiata sotto terra e il suo tronco muore nel suolo, a sentire l’acqua, rinverdisce e mette rami come una pianta nuova. Ma l’uomo muore e perde ogni forza; il mortale spira, e dov’è? Le acque del lago se ne vanno, il fiume viene meno e si prosciuga; così l’uomo giace, e non risorge più; finché non vi siano più cieli, egli non si risveglierà né sarà più destato dal suo sonno. Oh, volessi tu nascondermi nel soggiorno dei morti, occultarmi finché la tua ira sia passata, fissarmi un termine, e poi ricordarti di me! Se l’uomo, dopo essere morto, potesse ritornare in vita, aspetterei tutti i giorni della mia milizia, finché arrivi per me l’ora del cambio; tu mi chiameresti e io risponderei, tu desidereresti rivedere l’opera delle tue mani. Ma ora tu conti i miei passi, tu osservi i miei peccati; le mie trasgressioni sono sigillate in un sacco, e alle mie iniquità, ne aggiungi altre. La montagna frana e scompare, la rupe è divelta dal suo luogo, le acque consumano la pietra, le loro inondazioni trascinano via la terra: così tu distruggi la speranza dell’uomo. Tu lo sopraffai una volta per sempre, ed egli se ne va; gli cambi la sembianza, e lo mandi via. Se i suoi figli salgono in onore, egli lo ignora; se cadono in disprezzo, egli non lo vede; questo solo sente: che il suo corpo soffre, che la sua anima è in lutto”. Allora Elifaz di Teman rispose e disse: “Il saggio risponde forse con vana scienza? si gonfia il petto di vento? Si difende con chiacchiere inutili e con parole che non giovano nulla? Tu, poi, distruggi il timor di Dio, sminuisci la preghiera che gli è dovuta. La tua iniquità ti detta le parole, e adoperi il linguaggio degli astuti. Non io, la tua bocca stessa ti condanna; le tue labbra depongono contro di te. Sei tu il primo uomo che nacque? Fosti tu formato prima dei monti? Hai tu sentito ciò che si è detto nel Consiglio di Dio? Hai accaparrato tutta la sapienza solo per te? Che sai tu che noi non sappiamo? Che conoscenza hai tu che non sia anche nostra? Ci sono fra noi degli uomini canuti e anche dei vecchi più attempati di tuo padre. Fai tu così poco caso delle consolazioni di Dio e delle dolci parole che ti abbiamo rivolte? Dove ti trascina il cuore, e che vogliono dire queste occhiate feroci? Come! tu rivolgi la tua collera contro Dio, e ti lasci uscire di bocca tali parole? Che cos’è mai l’uomo per essere puro, il nato di donna per essere giusto? Ecco, Iddio non si fida nemmeno dei suoi santi, i cieli non sono puri ai suoi occhi; quanto meno questo essere abominevole e corrotto, l’uomo, che tracanna iniquità come l’acqua! Io voglio ammaestrarti; porgimi ascolto e ti racconterò quello che ho visto, quello che i saggi hanno riferito senza nascondere nulla di quello che sapevano dai padri, ai quali soltanto è stato dato il paese; e in mezzo ai quali non è passato lo straniero. L’empio è tormentato tutti i suoi giorni, e gli anni riservati al prepotente sono pochi. Ha sempre negli orecchi rumori spaventosi, e in piena pace gli piomba addosso il distruttore. Non ha speranza di uscire dalle tenebre, e si sente destinato alla spada. Va errando in cerca di pane; dove trovarne? Egli sa che vicino a lui è pronto il giorno tenebroso. Le difficoltà e l’angoscia lo riempiono di paura, lo assalgono come un re pronto alla battaglia, perché ha steso la mano contro Dio, ha sfidato l’Onnipotente, gli si è slanciato audacemente contro, sotto il folto dei suoi scudi ricurvi. Aveva la faccia coperta di grasso, i fianchi carichi di pinguedine; si era stabilito in città distrutte, in case disabitate, destinate a diventare mucchi di sassi. Egli non si arricchirà, la sua fortuna non sarà stabile; né le sue proprietà si estenderanno sulla terra. Non potrà liberarsi dalle tenebre, il vento infuocato farà seccare i suoi rampolli, e sarà portato via dal soffio della bocca di Dio. Non confidi nella vanità; è un’illusione; poiché avrà la vanità per ricompensa. La sua fine verrà prima del tempo, e i suoi rami non rinverdiranno più. Sarà come una vigna da cui si strappi l’uva ancora acerba, come l’ulivo da cui si scuota il fiore; poiché la famiglia del profano è sterile, e il fuoco divora le tende dell’uomo venale. L’empio concepisce malizia e partorisce rovina; egli cova in seno l’inganno”. Allora Giobbe rispose e disse: “Di cose come queste, ne ho udite tante! Siete tutti dei consolatori molesti! Non ci sarà una fine alle parole vane? Che cosa ti provoca a rispondere? Anch’io potrei parlare come voi, se voi foste al posto mio; potrei mettere assieme delle parole contro di voi e scrollare su di voi il capo; potrei farvi coraggio con la bocca; e il conforto delle mie labbra vi calmerebbe. Se parlo, il mio dolore non ne sarà lenito; e se cesso di parlare, che sollievo ne avrò? Ora, purtroppo, Dio mi ha ridotto senza forze, ha desolato tutta la mia casa; mi ha coperto di rughe e questo testimonia contro di me, la mia magrezza mi accusa apertamente. La sua ira mi lacera, mi perseguita, digrigna i denti contro di me. Il mio nemico aguzza gli occhi su di me. Spalancano contro di me la bocca, mi percuotono per disonore le guance, si mettono tutti insieme a darmi addosso. Iddio mi dà in balìa degli empi, mi getta in mano ai malvagi. Vivevo in pace, ed egli mi ha scosso con violenza, mi ha preso per la nuca, mi ha frantumato, mi ha posto come suo bersaglio. I suoi arcieri mi circondano, egli mi trafigge le reni senza pietà, sparge a terra il mio fiele. Apre sopra di me breccia su breccia, mi corre addosso come un guerriero. Mi sono cucito un cilicio sulla pelle, ho prostrato la mia fronte nella polvere. Il mio viso è rosso di pianto e sulle mie palpebre si stende l’ombra di morte. Eppure, le mie mani non commisero mai violenza, e la mia preghiera fu sempre pura. O terra, non coprire il mio sangue, e non vi sia luogo dove si fermi il mio grido! Già fin da ora, ecco, il mio Testimone è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi. Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgono piangenti i miei occhi. Sostenga egli le ragioni dell’uomo presso Dio, le ragioni del figlio d’uomo contro i suoi compagni! Poiché, pochi anni ancora, e me ne andrò per una via senza ritorno. Il mio soffio vitale si spegne, i miei giorni si estinguono, il sepolcro mi aspetta! Sono circondato da schernitori e non posso chiudere occhio a causa delle loro parole amare. O Dio, dammi un pegno, sii tu il mio garante presso di te; se no, chi altro vorrebbe porgermi la mano? Poiché tu hai chiuso il cuore di costoro alla ragione, perciò non li farai trionfare. Chi denuncia un amico perché diventi preda altrui, vedrà venire meno gli occhi dei suoi figli. Egli mi ha reso la favola dei popoli, e sono diventato un essere a cui si sputa in faccia. Il mio occhio si oscura per il dolore, tutte le mie membra non sono più che un’ombra. Gli uomini retti sono colpiti di stupore e l’innocente insorge contro l’empio, ma il giusto si attiene saldo alla sua via, e chi ha le mani pure si fortifica sempre di più. Quanto a voi tutti, tornate pure, fatevi avanti, ma fra voi non troverò alcun saggio. I miei giorni passano, i miei disegni, i disegni cari al mio cuore, sono distrutti, e costoro pretendono che la notte sia giorno, che la luce sia vicina, quando tutto è buio! Se aspetto come casa mia il soggiorno dei morti, se già mi sono fatto il letto nelle tenebre, se ormai dico al sepolcro: ‘Tu sei mio padre’ e ai vermi: ‘Siete mia madre e mia sorella’, dov’è dunque la mia speranza? questa speranza mia chi la può scorgere? Essa scenderà alle porte del soggiorno dei morti, quando nella polvere troveremo riposo assieme”. Allora Bildad di Suac rispose e disse: “Quando porrete fine alle parole? Ragionate, e poi parleremo. Perché siamo considerati come bestie e perché siamo ai vostri occhi degli esseri impuri? O tu, che nella tua amarezza laceri te stesso, dovrà la terra, a causa tua, essere abbandonata e la roccia essere rimossa dal suo luogo? Sì, la luce dell’empio si spegne, e la fiamma del suo fuoco non brilla. La luce si oscura nella sua tenda, e la lampada che gli sta sopra si spegne. I passi che faceva nella sua forza si accorciano, e i suoi disegni lo conducono alla rovina. Poiché i suoi piedi lo traggono nel tranello, e va camminando sulle reti. Il laccio lo afferra per il tallone, e la trappola lo cattura. Sta nascosta in terra per lui un’insidia, e sul sentiero lo aspetta un agguato. Paure lo atterriscono tutto intorno, lo inseguono, gli stanno alle calcagna. La sua forza viene meno dalla fame, la calamità gli sta pronta al fianco. Gli divora pezzo dopo pezzo la pelle, il primogenito della morte gli divora le membra. Egli è strappato dalla sua tenda che credeva sicura, e fatto scendere verso il re degli spaventi. Nella sua tenda abita chi non è dei suoi, e la sua casa è cosparsa di zolfo. In basso si inaridiscono le sue radici, in alto sono tagliati i suoi rami. La sua memoria scompare dal paese, non si ode più il suo nome per le campagne. È scacciato dalla luce nelle tenebre, ed è bandito dal mondo. Non lascia tra il suo popolo né figli, né nipoti, nessun superstite dove egli soggiornava. Quelli di occidente sono stupiti della sua sorte, e quelli di oriente ne sono inorriditi. Certo sono queste le dimore dei perversi e questo è il luogo di chi non conosce Iddio”. Allora Giobbe rispose e disse: “Fino a quando affliggerete la mia anima e mi tormenterete con i vostri discorsi? Sono già dieci volte che m’insultate, e non vi vergognate di maltrattarmi. Ammesso pure che io abbia sbagliato, il mio errore riguarda solo me. Ma se proprio vi volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo, allora sappiatelo: chi mi ha fatto torto e mi ha avvolto nelle sue reti è Dio. Ecco, io grido: ‘Violenza!’ e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c’è giustizia! Dio mi ha sbarrato la via e non posso passare, ha coperto di tenebre il mio cammino. Mi ha spogliato della mia gloria, mi ha tolto dal capo la corona. Mi ha demolito pezzo per pezzo, e io me ne vado! Ha sradicato come un albero la mia speranza. Ha acceso la sua ira contro di me e mi ha considerato come suo nemico. Le sue schiere sono venute tutte insieme, si sono spianate la via fino a me e si sono accampate intorno alla mia tenda. Egli ha allontanato da me i miei fratelli, i miei conoscenti si sono del tutto estraniati da me. Mi hanno abbandonato i miei parenti, i miei intimi mi hanno dimenticato. I miei domestici e le mie serve mi trattano da straniero; ai loro occhi io sono un estraneo. Chiamo il mio servo, e non risponde, devo supplicarlo con la mia bocca. Il mio fiato è ripugnante per mia moglie, faccio pietà a chi nacque dal grembo di mia madre. Perfino i bimbi mi disprezzano; se cerco di alzarmi, mi deridono. Tutti gli amici più stretti mi hanno in orrore, e quelli che amavo mi si sono rivoltati contro. Le mie ossa stanno attaccate alla mia pelle, alla mia carne non è rimasta che la pelle dei denti. Pietà, pietà di me, voi, amici miei! perché la mano di Dio mi ha colpito. Perché perseguitarmi come fa Dio? Perché non siete mai sazi della mia carne? Oh, se le mie parole fossero scritte! se fossero impresse in un libro! se con lo scalpello di ferro e con il piombo fossero incise nella roccia per sempre! Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, questo corpo sarà distrutto, senza la mia carne, vedrò Iddio. Lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno i miei occhi, non quelli di un altro; il cuore, dal desiderio, mi si scioglie! Se voi dite: ‘Come lo perseguiteremo?’ - se la radice del mio male già si trova in me - Temete per voi stessi la spada, perché i castighi della spada sono furiosi, affinché sappiate che c’è una giustizia”. Allora Zofar di Naama rispose e disse: “Per questo i miei pensieri mi spingono a risponderti, e perciò c’è questa fretta dentro di me. Ho udito rimproveri che mi offendono; ma il mio spirito darà una risposta assennata. Non lo sai tu che in ogni tempo, da quando l’uomo è stato posto sulla terra, il trionfo dei malvagi è breve e la gioia degli empi non dura che un istante? Anche se la sua altezza giungesse fino al cielo e il suo capo toccasse le nubi, l’empio perirà per sempre come il suo sterco; quelli che lo vedevano diranno: ‘Dov’è?’. Se ne volerà via come un sogno, e non si troverà più; si dileguerà come una visione notturna. L’occhio che lo guardava, smetterà di vederlo, e la sua dimora non lo scorgerà più. I suoi figli si raccomanderanno ai poveri, e le sue mani restituiranno la sua ricchezza. Il vigore giovanile che gli riempiva le ossa giacerà nella polvere con lui. Il male è dolce alla sua bocca, se lo nasconde sotto la lingua, lo risparmia, non lo lascia andare giù, lo trattiene sotto al suo palato: ma il cibo gli si trasforma nelle viscere, e diventa nel suo corpo veleno di aspide. Ha divorato ricchezze e le vomiterà; Iddio stesso gliele farà uscire dal ventre. Ha succhiato veleno di aspide, la lingua della vipera lo ucciderà. Non godrà più la vista di acque perenni, né di rivi fluenti di miele e di latte. Restituirà il frutto delle sue fatiche, senza poterlo mangiare. Quello che restituirà sarà pari alla sua ricchezza, e così non godrà dei suoi beni. Perché ha oppresso e abbandonato il povero, si è impadronito di case che non aveva costruite; perché la sua ingordigia non conobbe riposo, egli non salverà nulla di ciò che ha tanto desiderato. La sua voracità non risparmiava nulla, perciò il suo benessere non durerà. Nel colmo dell’abbondanza, si troverà in penuria; la mano di tutti quelli che soffrono tormenti si alzerà contro lui. Quando starà per riempirsi il ventre, ecco Iddio manderà contro di lui l’ardore della sua ira; gliela farà piovere addosso per servirgli da cibo. Se scampa alle armi di ferro, lo trafigge l’arco di bronzo. Si strappa la freccia, essa gli esce dal corpo, la punta sfolgorante gli viene fuori dal fiele, lo assalgono i terrori della morte. Buio profondo è riservato ai suoi tesori; lo consumerà un fuoco non acceso dall’uomo, che divorerà ciò che resta nella sua tenda. Il cielo rivelerà la sua iniquità, e la terra insorgerà contro di lui. Le rendite della sua casa se ne andranno, portate via nel giorno dell’ira di Dio. Tale è la parte che Dio riserva all’empio, questa è l’eredità che Dio gli destina”. Allora Giobbe rispose e disse: “Porgete bene ascolto alle mie parole, e sia questa la consolazione che mi date. Sopportatemi, lasciate che io parli, e quando avrò parlato tu mi potrai deridere. Mi lamento forse di un uomo? E come farei a non perdere la pazienza? Guardatemi, stupite, e mettetevi la mano sulla bocca. Quando ci penso, ne sono smarrito, e la mia carne è presa da un brivido. Perché mai vivono gli empi? Perché arrivano alla vecchiaia e anche crescono di forze? La loro discendenza prospera, sotto i loro sguardi intorno a essi, e i loro germogli fioriscono sotto i loro occhi. La loro casa è in pace, al sicuro da spaventi, e la verga di Dio non li colpisce. Il loro toro monta e non sbaglia, la loro vacca figlia senza abortire. Mandano fuori come un gregge i loro piccini, e i loro figli saltano e ballano. Cantano al suono del timpano e della cetra, e si rallegrano al suono della zampogna. Passano felici i loro giorni, poi scendono in un attimo nel soggiorno dei morti. Eppure, dicevano a Dio: ‘Ritirati da noi! Noi non ci curiamo di conoscere le tue vie! Che cos’è l’Onnipotente perché lo serviamo? che guadagneremo a pregarlo?’. Ecco, non hanno essi in mano la loro felicità? (lungi da me il consiglio degli empi!) Quando mai si spegne la lampada degli empi, e piomba loro addosso la rovina, e Dio, nella sua ira, li retribuisce con castighi? Quando mai sono come paglia al vento, come pula portata via dall’uragano? ‘Iddio’, mi dite, ‘tiene in serbo il castigo per i figli dell’empio’. Ma punisca lui stesso! che lo senta lui, che veda con i propri occhi la sua rovina, e beva egli stesso l’ira dell’Onnipotente! E che importa all’empio della sua famiglia dopo di lui, quando il numero dei suoi mesi è ormai compiuto? Si insegnerà forse a Dio la scienza? a lui che giudica quelli di lassù? L’uno muore in mezzo al suo benessere, quando è pienamente tranquillo e felice, ha i secchi pieni di latte, e fresco il midollo dell’ossa. L’altro muore con l’amarezza nell’anima, senza avere mai gustato il bene. Entrambi giacciono ugualmente nella polvere e i vermi li ricoprono. Ah! li conosco i vostri pensieri, e i piani che formate per abbattermi! Voi dite: ‘Dov’è la casa del prepotente? dov’è la tenda che ospitava gli empi?’. Non avete dunque interrogato quelli che hanno viaggiato? Voi non vorrete negare quello che attestano; che, cioè, il malvagio è risparmiato nel giorno della rovina, che nel giorno dell’ira egli sfugge. Chi gli rimprovera in faccia il suo comportamento? Chi gli rende quello che ha fatto? Egli è portato alla sepoltura con onore e veglia egli stesso sulla sua tomba. Lievi gli sono le zolle della valle; dopo, tutta la gente segue le sue orme; e, anche prima, una folla immensa fu come lui. Perché dunque mi offrite consolazioni vane? Delle vostre risposte altro non resta che falsità”. Allora Elifaz di Teman rispose e disse: “Può l’uomo recare qualche vantaggio a Dio? No; il saggio non reca vantaggio che a sé stesso. Se sei giusto, ne viene forse qualche piacere all’Onnipotente? Se sei integro nella tua condotta, ne ricava egli un guadagno? È forse per la paura che ha di te che egli ti castiga o viene con te in giudizio? La tua malvagità non è forse grande e le tue iniquità non sono forse infinite? Tu, per un nulla, prendevi pegno dai tuoi fratelli, spogliavi delle loro vesti gli ignudi. Allo stanco non davi da bere dell’acqua, all’affamato rifiutavi del pane. La terra apparteneva al più forte, e l’uomo influente vi piantava la sua casa. Rimandavi a vuoto le vedove e le braccia degli orfani erano spezzate. Ecco perché sei circondato di lacci e spaventato da improvvisi terrori. O non vedi le tenebre che ti avvolgono e la piena di acque che ti sommerge? Iddio non è forse lassù nei cieli? Guarda lassù le stelle eccelse, come stanno in alto! E tu dici: ‘Iddio che sa? Può egli giudicare attraverso il buio? Fitte nubi lo coprono e non vede nulla; egli passeggia sulla volta dei cieli’. Vuoi tu dunque seguire l’antica via per cui camminarono gli uomini iniqui, che furono portati via prima del tempo, e il cui fondamento fu come un torrente che scorre? Essi dicevano a Dio: ‘Allontanati da noi! Che ci può fare l’Onnipotente?’. Eppure Iddio aveva riempito le loro case di beni! Ah, lungi da me il consiglio degli empi! I giusti, vedendo la loro rovina, ne gioiscono e l’innocente si fa beffe di loro: ‘Vedete se non sono distrutti i nostri avversari! La loro abbondanza l’ha divorata il fuoco!’. Riconciliati dunque con Dio; avrai pace, e ti sarà resa la prosperità. Ricevi istruzioni dalla sua bocca e riponi le sue parole nel tuo cuore. Se torni all’Onnipotente, se allontani l’iniquità dalle tue tende, sarai ristabilito. Getta l’oro nella polvere e l’oro d’Ofir tra i ciottoli del fiume e l’Onnipotente sarà il tuo oro, egli sarà per te come l’argento acquistato con fatica. Allora farai dell’Onnipotente la tua delizia, e alzerai la faccia verso Dio. Lo pregherai, egli ti esaudirà, e tu scioglierai i voti che avrai fatto. Quello che intraprenderai, ti riuscirà; sul tuo cammino risplenderà la luce. Se ti umiliano, tu dirai: ‘In alto!’ e Dio soccorrerà chi ha gli occhi a terra; libererà anche chi non è innocente, egli sarà salvo per la purezza delle tue mani”. Allora Giobbe rispose e disse: “Anche oggi il mio lamento è una rivolta, per quanto io cerchi di contenere il mio gemito. Oh, sapessi dove trovarlo! potessi arrivare fino al suo trono! Esporrei la mia causa davanti a lui, riempirei di argomenti la mia bocca. Saprei quello che mi risponderebbe, e capirei quello che avrebbe da dirmi. Contenderebbe egli con me con la sua grande potenza? No! invece, mi presterebbe attenzione. Là troverebbe un uomo retto a discutere con lui, e sarei assolto per sempre dal mio giudice. Ma, ecco, se vado a oriente, egli non c’è; se a occidente, non lo trovo; se a settentrione, quando vi opera, io non lo vedo; egli si nasconde nel meridione, io non lo scorgo. Ma la via che io percorro egli la conosce; se mi mettesse alla prova, ne uscirei come l’oro. Il mio piede ha seguito fedelmente le sue orme, mi sono tenuto sulla sua via senza deviare; non mi sono scostato dai comandamenti delle sue labbra, ho custodito nel mio cuore le parole della sua bocca. Ma la sua decisione è una; chi lo farà cambiare? Quello che egli desidera, lo fa; egli eseguirà quello che di me ha decretato; e di cose come queste ne ha molte in mente. Perciò davanti a lui io sono atterrito; quando ci penso, ho paura di lui. Iddio mi ha tolto il coraggio, l’Onnipotente mi ha spaventato. Questo mi annienta: non le tenebre, non la fitta oscurità che mi ricopre. Perché non sono fissati dall’Onnipotente dei tempi in cui renda la giustizia? Perché quelli che lo conoscono non vedono quei giorni? Gli empi spostano i confini, rapiscono greggi e li conducono al pascolo; portano via l’asino dell’orfano, prendono in pegno il bue della vedova; mandano via dalla strada i bisognosi, i poveri del paese si nascondono tutti insieme. Eccoli, che come onagri del deserto escono al loro lavoro in cerca di cibo; soltanto il deserto dà pane ai loro figli. Raccolgono nei campi la loro pastura, racimolano nella vigna dell’empio; passano la notte nudi, senza vestito, senza una coperta che li ripari dal freddo. Bagnati dagli acquazzoni di montagna, per mancanza di rifugio, si stringono alle rocce. Ce ne sono di quelli che strappano l’orfano dalla mammella, che prendono pegni dai poveri! E questi se ne vanno, nudi, senza vestiti; hanno fame, e portano i covoni. Fanno l’olio nel recinto dell’empio; pigiano l’uva nel tino e soffrono la sete. Dalle città sale il gemito dei moribondi; l’anima dei feriti implora aiuto, e Dio non si cura di queste infamie! Ce ne sono di quelli che si ribellano alla luce, non ne conoscono le vie, non ne percorrono i sentieri. L’assassino si alza sul far del giorno, ammazza il misero e il povero; la notte fa il ladro. L’occhio dell’adultero spia il crepuscolo, dicendo: ‘Nessuno mi vedrà!’ e si copre la faccia con un velo. I ladri, di notte, sfondano le case; di giorno si tengono rinchiusi, non conoscono la luce. Il mattino è per essi come ombra di morte: appena lo scorgono provano i terrori del buio. Voi dite: ‘L’empio è un fuscello sulla faccia dell’acque; la sua parte sulla terra è maledetta: non prenderà più la via delle vigne. Come la siccità e il calore assorbono le acque della neve, così il soggiorno dei morti ingoia chi ha peccato. Il grembo che lo portò, lo dimentica; i vermi ne fanno il loro pasto delizioso, nessuno più lo ricorda. L’iniquo sarà troncato come un albero: egli che divorava la sterile, priva di figli, e non faceva del bene alla vedova!’. Invece, Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quando ormai disperavano della vita. Dà loro sicurezza, fiducia, e i suoi occhi vegliano sul loro cammino. Salgono in alto, poi scompaiono a un tratto; cadono, sono mietuti come gli altri mortali; sono falciati come le spighe del grano maturo. Se così non è, chi mi smentirà, chi annullerà le mie parole?”. Allora Bildad di Suac rispose e disse: “A Dio appartiene il dominio e il terrore: egli fa regnare la pace nei suoi luoghi altissimi. Le sue legioni si possono forse contare? Su chi non si eleva la sua luce? Come può dunque l’uomo essere giusto davanti a Dio? Come può essere puro il nato di donna? Ecco, la luna stessa manca di chiarore, e le stelle non sono pure ai suoi occhi; quanto meno l’uomo, che è un verme, il figlio d’uomo che è un vermiciattolo!”. Allora Giobbe rispose e disse: “Come hai bene aiutato il debole! Come hai sorretto il braccio senza forza! Come hai ben consigliato chi è privo di saggezza! E che abbondanza di sapere gli hai comunicato! Ma a chi ti credi di aver parlato? E di chi è lo spirito che parla per mezzo tuo? Davanti a Dio tremano le ombre sotto le acque e i loro abitanti. Davanti a lui il soggiorno dei morti è nudo, l’abisso è senza velo. Egli distende il settentrione sul vuoto, sospende la terra sul nulla. Rinchiude le acque nelle sue nubi, e le nubi non scoppiano per il peso. Nasconde l’aspetto del suo trono, vi distende sopra le sue nuvole. Ha tracciato un cerchio sulla superficie delle acque, là dove la luce confina con le tenebre. Le colonne del cielo sono scosse, e tremano alla sua minaccia. Con la sua forza egli solleva il mare, con la sua intelligenza ne abbatte l’orgoglio. Al suo soffio il cielo torna sereno, la sua mano trafigge il serpente sinuoso. Ecco, questi non sono che gli estremi lembi della sua azione. Non ce ne giunge all’orecchio che un breve sussurro; ma il tuono delle sue potenti opere chi può comprenderlo?”. Giobbe riprese il suo discorso e disse: “Come vive Iddio che mi nega giustizia, come vive l’Onnipotente che mi amareggia l’anima, finché avrò fiato e il soffio di Dio sarà nelle mie narici, le mie labbra, no, non diranno nulla di ingiusto e la mia lingua non proferirà falsità. Lungi da me l’idea di darvi ragione! Fino all’ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità. Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni. Sia trattato da malvagio il mio nemico e da perverso chi si alza contro di me! Quale speranza rimane mai all’empio quando Iddio gli toglie, gli rapisce la vita? Iddio presterà forse orecchio al suo grido, quando verrà su di lui la sventura? Potrà egli trovare piacere nell’Onnipotente? invocare Iddio in ogni tempo? Io vi mostrerò il modo di agire di Dio, non vi nasconderò i disegni dell’Onnipotente. Ma queste cose voi tutti le avete osservate e perché dunque vi perdete in vani discorsi? Ecco la parte che Dio riserva all’empio, l’eredità che l’uomo violento riceve dall’Onnipotente. Se ha un gran numero di figli, sono per la spada; la sua progenie non avrà pane per saziarsi. I superstiti sono sepolti dalla morte, e le loro vedove non li piangono. Se accumula l’argento come polvere, se ammucchia vestiti come fango; li ammucchia, sì, ma se ne vestirà il giusto, e l’argento lo spartirà l’innocente. La casa che egli si costruisce è come quella della tarma, come il capanno che fa il guardiano della vigna. Va a letto ricco, ma per l’ultima volta; apre gli occhi e non è più. Terrori lo sorprendono come acque; nel cuore della notte lo rapisce un uragano. Il vento orientale lo porta via, ed egli se ne va; lo spazza in un turbine dal suo posto. Iddio gli scaglia addosso le sue frecce, senza pietà, per quanto egli tenti di scampare ai suoi colpi. La gente batte le mani quando cade, e fischia dietro di lui quando lascia il luogo dove stava. L’argento ha una miniera, e l’oro un luogo dove lo si affina. Il ferro si cava dal suolo, e la pietra fusa dà il rame. L’uomo ha posto fine alle tenebre, egli esplora i più profondi recessi, per trovare le pietre che sono nel buio, nell’ombra di morte. Scava un pozzo lontano dall’abitato; il piede non serve più a quelli che vi lavorano; sono sospesi, oscillano lontano dai mortali. Dalla terra esce il pane, ma, nelle sue viscere, è sconvolta come dal fuoco. Le sue rocce sono la dimora dello zaffiro, e vi si trova della polvere d’oro. L’uccello rapace non conosce il sentiero che vi conduce, né lo ha mai scorto l’occhio del falco. Le bestie feroci non vi hanno messo piede, e il leone non vi è mai passato. L’uomo stende la mano sul granito, rovescia dalle radici le montagne. Pratica trafori dentro le rocce, e il suo occhio scorge quanto vi è di prezioso. Frena le acque perché non fuoriescano, e trae fuori alla luce le cose nascoste. Ma la sapienza, dove trovarla? Dov’è il luogo dell’intelligenza? L’uomo non ne conosce la via, non la si trova sulla terra dei viventi. L’abisso dice: ‘Non è in me’; il mare dice: ‘Non sta da me’. Non la si ottiene in cambio d’oro, né la si compra a peso d’argento. Non la si acquista con l’oro di Ofir, con l’onice prezioso o con lo zaffiro. L’oro e il vetro non reggono al suo confronto, non la si dà in cambio di vasi d’oro fino. Non si parli di corallo, di cristallo; la sapienza vale più delle perle. Il topazio d’Etiopia non può reggere il confronto, l’oro puro non ne bilancia il valore. Da dove viene dunque la sapienza? Dov’è il luogo dell’intelligenza? Essa è nascosta agli occhi di ogni vivente, è celata agli uccelli del cielo. L’abisso e la morte dicono: ‘Ne abbiamo avuto qualche sentore’. Dio solo conosce la via che vi conduce, egli solo sa il luogo dove abita, perché il suo sguardo giunge sino alle estremità della terra, perché egli vede tutto quello che è sotto i cieli. Quando regolò il peso del vento e fissò la misura delle acque, quando diede una legge alla pioggia e tracciò la strada al lampo dei tuoni, allora la vide e la rivelò, la stabilì e anche la investigò. E disse all’uomo: ‘Ecco: temere il Signore: questa è la sapienza, e fuggire il male è l’intelligenza’”. Giobbe riprese il suo discorso e disse: “Oh potessi tornare come nei mesi di una volta, come nei giorni in cui Dio mi proteggeva, quando la sua lampada mi risplendeva sul capo, e alla sua luce io camminavo nelle tenebre! Oh fossi come ero ai giorni della mia maturità, quando Iddio vegliava amico sulla mia tenda, quando l’Onnipotente stava ancora con me e avevo i miei figli intorno; quando mi lavavo i piedi nel latte e la roccia versava per me ruscelli di olio! Quando uscivo per andare alla porta della città e mi facevo preparare il seggio sulla piazza, i giovani, vedendomi, si ritiravano, i vecchi si alzavano e rimanevano in piedi; i notabili cessavano di parlare e si mettevano la mano sulla bocca; la voce dei capi diventava muta, la lingua si attaccava al loro palato. L’orecchio che mi udiva, mi diceva beato; l’occhio che mi vedeva mi rendeva testimonianza, perché salvavo il misero che gridava aiuto, e l’orfano che non aveva chi lo soccorresse. Scendeva su di me la benedizione di chi stava per morire e facevo esultare il cuore della vedova. La giustizia era il mio vestito e io il suo; la rettitudine era come il mio mantello e il mio turbante. Ero l’occhio del cieco, il piede dello zoppo; ero il padre dei poveri e studiavo a fondo la causa dello sconosciuto. Spezzavo la mascella al malvagio, e gli facevo lasciare la preda che aveva fra i denti. Dicevo: ‘Morirò nel mio nido, e moltiplicherò i miei giorni come la sabbia; le mie radici si stenderanno verso le acque, la rugiada passerà la notte sui miei rami; la mia gloria si rinnoverà sempre, e l’arco rinverdirà nella mia mano’. Gli astanti mi ascoltavano fiduciosi, tacevano per udire il mio parere. Quando avevo parlato, non replicavano; la mia parola scendeva su di loro come una rugiada. Mi aspettavano come si aspetta la pioggia; spalancavano la bocca come a un acquazzone di primavera. Io sorridevo loro quando erano sfiduciati; e non potevano oscurare la luce del mio volto. Quando andavo da loro, mi sedevo come capo, ed ero come un re fra le sue schiere, come un consolatore in mezzo agli afflitti. Ora servo da zimbello ai più giovani di me, i cui padri non avrei degnato di mettere fra i cani del mio gregge! A che mi sarebbe servita la forza delle loro mani? Gente incapace a raggiungere l’età matura, pallida dalla miseria e dalla fame, ridotta a brucare nel deserto, la terra da tempo nuda e desolata, strappando erba amara vicino ai cespugli, e avendo per pane radici di ginestra. Sono scacciati di mezzo agli uomini, la gente grida dietro a loro come dietro al ladro, abitano in burroni orrendi, nelle caverne della terra e fra le rocce; urlano fra i cespugli, si sdraiano alla rinfusa sotto i rovi; gente da nulla, razza senza nome, cacciata via dal paese a bastonate. Ora io sono il tema delle loro canzoni, il soggetto dei loro discorsi. Mi detestano, mi schivano, non si trattengono dallo sputarmi in faccia. Non hanno più ritegno, mi umiliano, rompono ogni freno in mia presenza. Questa gentaglia insorge alla mia destra, mi incalzano, e si appianano le vie contro di me per distruggermi. Hanno sovvertito il mio cammino, lavorano alla mia rovina, loro che nessuno vorrebbe soccorrere! Avanzano come attraverso un’ampia breccia, si precipitano davanti in mezzo alle rovine. Terrori mi si rovesciano addosso; il mio onore è portato via come dal vento, la mia felicità è passata come una nube. Ora l’anima mia si strugge in me, mi hanno colto i giorni dell’afflizione. La notte mi trafigge, mi stacca le ossa, e i dolori che mi rodono non hanno posa. Per la grande violenza del mio male la mia veste si deforma, mi si stringe addosso come la tunica. Iddio mi ha gettato nel fango, e rassomiglio alla polvere e alla cenere. Io grido a te, e tu non mi rispondi; ti sto davanti, e tu non mi consideri! Ti sei trasformato in nemico crudele verso di me; mi perseguiti con la potenza della tua mano. Mi alzi per aria, mi fai portare via dal vento, e mi annienti nella tempesta. Infatti, lo so, tu mi conduci alla morte, alla casa di convegno di tutti i viventi. Ma chi sta per morire non stende la mano? e nella sua angoscia non grida aiuto? Non piangevo io forse per chi era nell’avversità? la mia anima non era forse afflitta per il povero? Speravo il bene, ma è venuto il male; aspettavo la luce, ma è venuta l’oscurità! Le mie viscere ribollono e non hanno riposo, sono venuti per me giorni di afflizione. Me ne vado tutto annerito, ma non dal sole; mi alzo in mezzo all’assemblea, e grido aiuto; sono diventato fratello degli sciacalli, compagno degli struzzi. La mia pelle è nera e cade a pezzi; le mie ossa sono calcinate dall’arsura. La mia cetra non dà più che accenti di lutto, e la mia zampogna voce di pianto. Io avevo stretto un patto con i miei occhi: non avrei fissato lo sguardo sopra una vergine. Che parte mi avrebbe assegnato Iddio dall’alto e quale eredità mi avrebbe dato l’Onnipotente dai luoghi eccelsi? La sventura non è forse per il perverso e le sciagure per quelli che fanno il male? Iddio non vede forse le mie vie? non conta tutti i miei passi? Se ho camminato insieme alla menzogna, se il mio piede si è affrettato dietro alla frode (Iddio mi pesi con la bilancia giusta e riconoscerà la mia integrità), se i miei passi sono usciti dalla retta via, se il mio cuore è andato dietro ai miei occhi, se qualche sozzura mi si è attaccata alle mani, che io semini e un altro mangi, e quello che è cresciuto nei miei campi sia sradicato! Se il mio cuore si è lasciato sedurre per amore di una donna, se ho spiato la porta del mio prossimo, che mia moglie giri la macina a un altro e che altri abusino di lei! Poiché quella è una scelleratezza, un misfatto punito dai giudici, un fuoco che consuma fino alla perdizione e che avrebbe distrutto fin dalle radici ogni mia fortuna. Se ho rinnegato il diritto del mio servo e della mia serva, quando erano in lite con me, che farei se Iddio si alzasse per giudicarmi, e che risponderei se mi esaminasse? Chi fece me nel grembo di mia madre non fece anche lui? non ci ha formati nel grembo materno uno stesso Iddio? Se ho rifiutato ai poveri quello che desideravano, se ho fatto languire gli occhi della vedova, se ho mangiato da solo il mio pezzo di pane senza che l’orfano ne mangiasse la sua parte, io che fin da giovane l’ho allevato come un padre, io che fin dal grembo di mia madre sono stato guida della vedova, se ho visto uno morire per mancanza di vestiti o il povero senza una coperta, se non mi hanno benedetto i suoi fianchi, ed egli non si è riscaldato con la lana dei miei agnelli, se ho alzato la mano contro l’orfano perché mi sapevo sostenuto alla porta della città, che la mia spalla si stacchi dalla sua giuntura, il mio braccio si spezzi e cada! Infatti mi spaventava il castigo di Dio, ed ero trattenuto dalla sua maestà. Se ho riposto la mia fiducia nell’oro, se all’oro fino ho detto: ‘Tu sei la mia speranza’, se mi sono rallegrato che le mie ricchezze fossero grandi e la mia mano avesse accumulato molto, se, contemplando il sole che risplendeva e la luna che procedeva lucente nel suo corso, il mio cuore, in segreto, si è lasciato sedurre e la mia bocca ha posato un bacio sulla mano (misfatto anche questo punito dai giudici perché avrei difatti rinnegato l’Iddio che è in alto), se mi sono rallegrato della sciagura del mio nemico e ho esultato quando lo ha colpito la sventura (io, che non ho permesso alle mie labbra di peccare chiedendo la sua morte con imprecazione), se la gente della mia tenda non ha detto: ‘Chi è che non si sia saziato della carne delle sue bestie?’, (lo straniero non passava la notte fuori; le mie porte erano aperte al viaggiatore), se, come fanno gli uomini, ho coperto i miei errori nascondendo nel petto la mia iniquità, perché avevo paura della folla e del disprezzo delle famiglie al punto da starmene tranquillo e non uscire di casa… Oh, avessi pure chi mi ascoltasse!… ecco qua la mia firma! l’Onnipotente mi risponda! Il mio avversario scriva la sua querela e io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema! Gli renderò conto di tutti i miei passi, mi avvicinerò a lui come un principe! Se la mia terra mi grida contro, se tutti i suoi solchi piangono, se ne ho mangiato il frutto senza pagarla, se ho fatto sospirare chi la coltivava, che invece di grano mi nascano spine, invece di orzo mi crescano zizzanie!”. Qui finiscono i discorsi di Giobbe. Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto. Allora l’ira di Eliù, figlio di Baracheel il Buzita, della tribù di Ram, si accese; si accese contro Giobbe, perché riteneva giusto sé stesso anziché Dio; si accese anche contro i tre amici di lui perché non avevano trovato di che rispondere, sebbene condannassero Giobbe. Ora, siccome quelli erano più anziani di lui, Eliù aveva aspettato a parlare a Giobbe; ma quando vide che dalla bocca di quei tre uomini non usciva più risposta, si accese di ira. Allora Eliù, figlio di Baracheel il Buzita, rispose e disse: “Io sono giovane di età e voi siete vecchi; perciò mi sono tenuto indietro e non ho osato esporvi il mio pensiero. Dicevo: ‘Parleranno i giorni, e il gran numero degli anni insegnerà la saggezza’. Ma quello che rende intelligente l’uomo è lo spirito, è il soffio dell’Onnipotente. Non sono saggi quelli di lunga età, né sono i vecchi quelli che comprendono il giusto. Perciò dico: ‘Ascoltatemi; vi esporrò anche io il mio pensiero’. Ecco, ho aspettato i vostri discorsi, ho ascoltato i vostri argomenti, mentre andavate cercando altre parole. Vi ho seguito attentamente, ed ecco, nessuno di voi ha convinto Giobbe, nessuno ha risposto alle sue parole. Non avete dunque ragione di dire: ‘Abbiamo trovato la saggezza! Dio soltanto lo farà cedere; non l’uomo!’. Egli non ha diretto i suoi discorsi contro di me, e io non gli risponderò con le vostre parole. Eccoli sconcertati! non rispondono più, non trovano più parole. Ho aspettato che non parlassero più, che tacessero e non rispondessero più. Ma ora risponderò anch’io per conto mio, esporrò anch’io il mio pensiero! Perché sono pieno di parole, e lo spirito che è dentro di me mi stimola. Ecco, dentro di me c’è come vino rinchiuso, come otri pieni di vino nuovo, che stanno per scoppiare. Parlerò dunque e mi solleverò, aprirò le labbra e risponderò! Lasciate che io parli senza riguardi personali, senza adulare nessuno; poiché io non so adulare; se lo facessi, il mio Creatore mi toglierebbe subito di mezzo. Ascolta dunque, o Giobbe, il mio parlare, porgi orecchio a tutte le mie parole! Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato. Nelle mie parole c’è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diranno sinceramente quello che so. Lo Spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell’Onnipotente mi dà la vita. Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti! Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch’io fui tratto dall’argilla. Paura di me non potrà quindi coglierti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare. Davanti a me tu dunque hai detto (e ho udito bene il suono delle tue parole): ‘Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c’è iniquità in me; ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi considera suo nemico; mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti’. E io ti rispondo: ‘In questo non hai ragione’; poiché Dio è più grande dell’uomo. Perché contendi con lui? poiché egli non rende conto di nessuno dei suoi atti. Iddio parla, una volta e anche due, ma l’uomo non ci bada; parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti; allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti, per distogliere l’uomo dal suo modo di agire e tenere lontano da lui la superbia; per salvargli l’anima dalla fossa, la vita dalla freccia mortale. L’uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall’agitazione incessante delle sue ossa; quando egli ha in disgusto il pane, e l’anima sua disprezza i cibi più succulenti; la carne gli si consuma e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escono fuori, l’anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte. Ma se, presso di lui, c’è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all’uomo il suo dovere, Iddio ha pietà di lui e dice: ‘Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto’. Allora la sua carne diventa più fresca di quella di un bimbo; egli torna ai giorni della sua gioventù; implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto. Ed egli va cantando fra la gente e dice: ‘Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo. Iddio ha riscattato la mia anima, affinché non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!’. Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all’uomo, per allontanare l’anima sua dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita. Sta’ attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, e io parlerò. Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, perché io vorrei poterti dare ragione. Se no, tu dammi ascolto, taci, e ti insegnerò la saggezza”. Eliù riprese a parlare e disse: “Voi saggi, ascoltate le mie parole! Voi che siete intelligenti, prestatemi orecchio! Poiché l’orecchio giudica i discorsi, come il palato assapora le vivande. Scegliamo quello che è giusto, riconosciamo fra noi quello che è buono. Giobbe ha detto: ‘Sono giusto, ma Dio mi nega giustizia; ho ragione, e passo da bugiardo; la mia ferita è incurabile, e sono senza peccato’. Dov’è l’uomo che, come Giobbe, beva gli insulti cattivi come l’acqua, cammini in compagnia dei malfattori, e vada assieme agli scellerati? Infatti ha detto: ‘Non giova nulla all’uomo avere il suo diletto in Dio’. Ascoltatemi dunque, o uomini di senno! Lungi da Dio il male, lungi dall’Onnipotente l’iniquità! Poiché egli rende all’uomo secondo le sue opere, e fa trovare a ognuno il salario del suo comportamento. No, di certo Iddio non commette ingiustizie! l’Onnipotente non perverte il diritto. Chi gli ha dato il governo della terra? Chi ha affidato l’universo alla sua cura? Se egli non si curasse che di sé stesso, se ritirasse a sé il suo Spirito e il suo soffio, ogni carne perirebbe all’improvviso, e l’uomo ritornerebbe in polvere. Se tu sei intelligente, ascolta questo, porgi orecchio alla voce delle mie parole. Uno che odiasse la giustizia potrebbe governare? Osi tu condannare il Giusto, il Potente, che chiama i re ‘uomini da nulla’ e i prìncipi ‘scellerati’, che non porta rispetto all’apparenza dei grandi, che non considera il ricco più del povero, perché sono tutti opera delle sue mani? In un attimo essi muoiono; nel cuore della notte la gente del popolo è scossa e scompare, i potenti sono portati via, senza mano d’uomo. Perché Iddio tiene gli occhi aperti sulle vie dei mortali, e vede tutti i loro passi. Non ci sono tenebre, non c’è ombra di morte, dove possa nascondersi chi opera ingiustamente. Dio non ha bisogno di osservare a lungo un uomo per portarlo davanti a lui in giudizio. Egli fiacca i potenti, senza inchiesta, e ne stabilisce altri al loro posto; poiché egli conosce le loro azioni; li abbatte nella notte, e sono fiaccati; li colpisce come dei malvagi, in presenza di tutti, perché si sono sviati da lui e non hanno posto mente a nessuna delle sue vie; hanno fatto salire a lui il gemito del povero, ed egli ha dato ascolto al gemito degli infelici. Quando Iddio dà riposo chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione oppure a un individuo, per impedire all’empio di regnare, per allontanare dal popolo le insidie? Quell’empio ha forse detto a Dio: ‘Io porto la mia pena, non farò più il male, mostrami tu quello che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più’? Dovrà forse Iddio rendere la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: ‘Scegli tu, non io, quello che sai, dillo’? La gente assennata e ogni uomo saggio che mi ascolta, mi diranno: ‘Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono prive di senno’. Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte sono quelle degli iniqui, poiché al suo peccato aggiunge la ribellione, batte le mani in mezzo a noi e moltiplica le sue parole contro Dio”. Poi Eliù riprese il discorso e disse: “Credi tu di avere ragione quando dici: ‘La mia giustizia è superiore a quella di Dio?’. Infatti hai detto: ‘Che mi giova? che guadagno io di più a non peccare?’. Io ti darò la risposta: a te e ai tuoi amici. Considera i cieli, e vedi! guarda le nuvole, come sono più in alto di te! Se pecchi, che torto gli fai? Se moltiplichi i tuoi misfatti, che danno gli rechi? Se sei giusto, che gli dai? Che riceve egli dalla tua mano? La tua malvagità non nuoce che al tuo simile, e la tua giustizia non giova che ai figli degli uomini. Si grida per le molte oppressioni, si alzano lamenti per la violenza dei grandi; ma nessuno dice: ‘Dov’è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia, che ci fa più intelligenti delle bestie dei campi e più saggi degli uccelli del cielo?’. Si grida, sì, ma egli non risponde, a causa della superbia dei malvagi. Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l’Onnipotente non ne fa nessun caso. E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta davanti; sappilo aspettare! Ma ora, perché la sua ira non punisce, perché egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni, Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza senno”. Poi Eliù proseguendo disse: “Aspetta un po’, io ti istruirò; perché c’è altro da dire in favore di Dio. Io trarrò la mia conoscenza da lontano e renderò giustizia a colui che mi ha fatto. Per certo, le mie parole non sono bugiarde; ti sta davanti un uomo dotato di conoscenza perfetta. Ecco, Iddio è potente, ma non respinge nessuno; è potente per la forza della sua intelligenza. Egli non lascia vivere l’empio, e rende giustizia agli afflitti. Non distoglie il suo sguardo dai giusti, ma li pone con i re sul trono, ve li fa sedere per sempre, e così li esalta. Se gli uomini sono talvolta stretti da catene, se sono presi nei legami dell’afflizione, Dio fa loro conoscere il loro comportamento, le loro trasgressioni, poiché si sono insuperbiti; egli apre così i loro orecchi ai suoi ammonimenti e li esorta ad abbandonare il male. Se lo ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e i loro anni nella gioia; ma, se non lo ascoltano, muoiono trafitti dalle sue frecce, muoiono per mancanza di intelligenza. Gli empi di cuore si abbandonano alla collera, non implorano Iddio quando egli li incatena; così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti; ma Dio libera l’afflitto mediante l’afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura. Egli vuole liberare anche te dalle fauci della calamità, metterti al largo, dove non c’è più angustia, e coprire la tua mensa di cibi succulenti. Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il suo giudizio e la sua sentenza ti piomberanno addosso. Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non ti induca a deviare! Farebbe egli caso alle tue ricchezze? Non hanno valore per lui, né l’oro, né tutta l’abbondanza della ricchezza. Non anelare a quella notte che porta via i popoli dal loro luogo. Bada bene di non volgerti all’iniquità, tu che sembri preferirla all’afflizione! Ecco, Iddio è eccelso nella sua potenza; chi può insegnare come lui? Chi gli prescrive la via da seguire? Chi osa dirgli: ‘Tu hai fatto male’? Pensa piuttosto a magnificare le sue opere; gli uomini le celebrano nei loro canti, tutti le ammirano, il mortale le contempla da lontano. Sì, Dio è grande e noi non lo possiamo conoscere; incalcolabile è il numero dei suoi anni. Egli attira in alto le gocce dell’acqua; dai vapori che egli ha formato stilla la pioggia. Le nubi la spandono, la rovesciano sulla folla dei mortali. E chi può capire lo spiegamento delle nubi, i fragori che scoppiano nel suo padiglione? Ecco, ora egli diffonde intorno a sé la sua luce, ora prende come coperta le profondità del mare. Con questi mezzi punisce i popoli e dà loro del cibo in abbondanza. Si riempie di fulmini le mani e li lancia contro gli avversari. Il rombo del tuono annuncia che egli viene, gli animali lo sentono vicino. A tale spettacolo il mio cuore trema e balza fuori dal suo posto. Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca! Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino alle estremità della terra. Dopo il lampo, una voce ruggisce; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando si ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano. Iddio tuona con la sua voce meravigliosamente; egli fa grandi cose che noi non comprendiamo. Dice alla neve: ‘Cadi sulla terra!’, lo dice alla pioggia, alla pioggia torrenziale. Rende inoperosa ogni mano d’uomo, affinché tutti i mortali, che sono opera sua, imparino a conoscerlo. Le bestie selvagge vanno nel covo e rimangono accovacciate dentro le loro tane. Dal sud viene l’uragano, dal nord il freddo. Al soffio di Dio si forma il ghiaccio e si restringe la distesa delle acque. Egli carica pure le nubi di umidità, disperde lontano le nuvole che portano i suoi lampi ed esse, da lui guidate, vanno vagando nei loro giri per eseguire quanto egli comanda loro sopra la faccia di tutta la terra; le manda come flagello, oppure come beneficio alla sua terra, o come prova della sua bontà. Porgi l’orecchio a questo, o Giobbe; fermati e considera le meraviglie di Dio! Sai tu come Iddio le diriga e faccia guizzare il lampo dalle sue nubi? Conosci tu l’equilibrio delle nuvole, le meraviglie di colui la cui scienza è perfetta? Sai tu come mai i tuoi abiti sono caldi quando la terra si assopisce sotto il soffio dello scirocco? Puoi tu, come lui, distendere i cieli e farli solidi come uno specchio di metallo? Insegnaci tu che dirgli! Nelle nostre tenebre, noi non abbiamo parole. Gli si annuncerà forse che io voglio parlare? Ma chi mai può bramare di essere inghiottito? Nessuno può fissare il sole che sfolgora nei cieli quando è passato il vento a renderlo limpido. Dal settentrione viene l’oro; ma Dio è circondato da una maestà terribile; l’Onnipotente noi non lo possiamo scoprire. Egli è grande in forza, in equità, in perfetta giustizia; egli non opprime nessuno. Perciò gli uomini lo temono; egli non degna di uno sguardo chi si ritiene saggio”. Allora l’Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse: “Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno? Cingiti i fianchi come un prode; io ti farò delle domande e tu insegnami! Dov’eri tu quando io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza. Chi ne fissò le dimensioni? se lo sai! O chi tirò su di essa la corda da misurare? Su che cosa furono poggiate le sue fondamenta, o chi ne pose la pietra angolare quando le stelle del mattino cantavano tutte assieme e tutti i figli di Dio alzavano grida di gioia? Chi chiuse con porte il mare balzante fuori dal grembo materno, quando gli diedi le nubi come vestito e per fasce l’oscurità, quando gli tracciai dei confini, gli misi sbarre e porte? E dissi: ‘Fin qui tu verrai, e non oltre; qui si fermerà l’orgoglio delle tue onde’. Hai tu mai, in vita tua, comandato al mattino? o insegnato il suo luogo all’aurora, perché essa afferri le estremità della terra, e ne scuota via i malvagi? La terra si trasfigura come creta sotto il sigillo, e appare come vestita di un ricco manto; i malfattori sono privati della loro luce e il braccio, alzato già, è spezzato. Sei tu penetrato fino alle sorgenti del mare? hai tu passeggiato in fondo all’abisso? Ti sono state mostrate le porte della morte? Hai tu visto le porte dell’ombra di morte? Hai tu abbracciato con lo sguardo l’ampiezza della terra? Parla, se la conosci tutta! Dov’è la via che guida al soggiorno della luce? E dov’è la dimora delle tenebre? Le puoi tu guidare verso i loro domini, e conosci bene i sentieri per ricondurle a casa? Lo sai di sicuro! perché, allora, tu eri già nato e il numero dei tuoi giorni è grande! Sei tu entrato nei depositi della neve? Li hai visti i depositi della grandine, che io tengo in serbo per i tempi della calamità, per il giorno della battaglia e della guerra? Per quali vie si diffonde la luce e si sparge il vento orientale sulla terra? Chi ha aperto i canali all’acquazzone e segnato la via al lampo dei tuoni, perché la pioggia cada sulla terra inabitata, sul deserto dove non c’è nessun uomo, e disseti le solitudini desolate, in modo che vi germogli e cresca l’erba? Ha forse la pioggia un padre? Chi genera le gocce della rugiada? Dal seno di chi esce il ghiaccio, e la brina del cielo chi la dà alla luce? Le acque, diventate come pietra, si nascondono, e la superficie dell’abisso si congela. Sei tu che stringi i legami delle Pleiadi, o potresti tu sciogliere le catene di Orione? Sei tu che, a suo tempo, fai apparire le costellazioni e guidi l’Orsa maggiore insieme ai suoi piccini? Conosci le leggi del cielo? regoli il suo dominio sulla terra? Puoi alzare la voce fino alle nubi, e fare in modo che abbondanza di pioggia ti ricopra? I fulmini partono forse al tuo comando? Ti dicono essi: ‘Eccoci qua’? Chi ha messo negli strati delle nubi sapienza, o chi ha dato intelletto alla meteora? Chi conta con sapienza le nubi? Chi versa gli otri del cielo, quando la polvere stemperata diventa come una massa in fusione e le zolle dei campi si saldano fra loro? Sei tu che cacci la preda per la leonessa, che sazi la fame dei leoncelli quando si accovacciano nelle tane e si mettono in agguato nella macchia? Chi provvede il pasto al corvo quando i suoi piccini gridano a Dio e vanno errando senza cibo? Sai tu quando figliano le capre selvatiche? Hai tu osservato quando le cerve partoriscono? Conti tu i mesi della loro gravidanza e conosci il momento in cui devono partorire? Si curvano, fanno i loro piccoli, e sono subito liberate delle loro doglie; i loro piccoli si fanno forti, crescono all’aperto, se ne vanno e non tornano più alle madri. Chi manda libero l’onagro, e chi scioglie i legami all’asino selvatico, al quale ho dato per dimora il deserto, e la terra salata per abitazione? Egli si beffa del frastuono della città, e non ode grida di padrone. Percorre le montagne della sua pastura, e va in cerca di ogni filo di verde. Il bufalo vorrà forse servirti o passare la notte presso la tua mangiatoia? Legherai tu il bufalo con una corda perché faccia il solco? erpicherà le valli dietro a te? Ti fiderai di lui perché la sua forza è grande? Lascerai a lui il tuo lavoro? Conterai su di lui perché ti porti a casa la raccolta e ti ammassi il grano sull’aia? Lo struzzo batte allegramente le ali; ma le sue penne e le sue piume sono forse come quelle della cicogna? No, poiché esso abbandona sulla terra le proprie uova e le lascia scaldare sopra la sabbia. Egli dimentica che un piede le potrà schiacciare, che le bestie dei campi le potranno calpestare. Tratta duramente i suoi piccini, quasi non fossero suoi; la sua fatica sarà vana, ma ciò non lo turba, perché Iddio lo ha privato di saggezza, e non gli ha impartito intelligenza. Ma quando si alza e prende lo slancio, si beffa del cavallo e di chi lo cavalca. Sei tu che dai al cavallo il coraggio? che gli vesti il collo di una fremente criniera? Sei tu che lo fai saltare come la locusta? Il suo fiero nitrito incute spavento. Scava la terra nella valle ed esulta della sua forza; si lancia incontro alle armi. Disprezza la paura, non trema, non indietreggia davanti alla spada. Gli risuona addosso la faretra, la lancia folgorante e la freccia. Con furia fremente divora la terra. Non sta più fermo quando suona la tromba. Appena ode lo squillo, dice: ‘Aha!’, fiuta da lontano la battaglia, la voce tonante dei capi e il grido di guerra. È la tua intelligenza che fa spiccare il volo allo sparviero e spiegare le ali verso il sud? È forse al tuo comando che l’aquila si eleva in alto e fa il suo nido nei luoghi elevati? Abita nelle rocce e vi pernotta; sta sulla punta delle rupi, sulle vette scoscese; di là spia la preda e i suoi occhi scrutano lontano. I suoi piccoli si abbeverano di sangue, e dove sono dei corpi morti, là essa si trova”. L’Eterno continuò a rispondere a Giobbe e disse: “Il censore dell’Onnipotente vuole ancora contendere con lui? Colui che censura Dio ha forse una risposta a tutto questo?”. Allora Giobbe rispose all’Eterno e disse: “Ecco, io sono troppo meschino; che ti potrei rispondere? mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non riprenderò la parola; due volte, ma non lo farò più”. L’Eterno allora rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse: “Cingiti i fianchi come un prode; ti farò delle domande e tu insegnami! Vuoi proprio annullare il mio giudizio? condannare me per giustificare te stesso? Hai tu un braccio pari a quello di Dio? o una voce che tuoni come la sua? Adornati, dunque, di maestà, di grandezza, rivestiti di splendore, di magnificenza! Da’ libero sfogo ai furori della tua ira; scruta tutti i superbi e abbassali! Scruta tutti i superbi e umiliali! schiaccia gli empi ovunque si trovino! Seppelliscili tutti assieme nella polvere, copri di bende la loro faccia nel buio della tomba! Allora anch’io ti loderò, perché la tua destra ti avrà dato la vittoria. Guarda l’ippopotamo che ho fatto al pari di te; esso mangia l’erba come il bue. Ecco, la sua forza è nei suoi lombi e il suo vigore nei muscoli del ventre. Stende la coda rigida come un cedro; i nervi delle sue cosce sono intrecciati insieme. Le sue ossa sono tubi di bronzo; le sue membra sbarre di ferro. Esso è il capolavoro di Dio; colui che lo fece lo ha fornito di falce, perché i monti gli producono la pastura; e là tutte le bestie dei campi gli scherzano intorno. Si sdraia sotto i loti, nel folto dei canneti, in mezzo alle paludi. I loti lo coprono della loro ombra, i salici del torrente lo circondano. Straripi pure il fiume, egli non trema; rimane calmo, anche se avesse un Giordano alla gola. Potrebbe qualcuno impadronirsene assalendolo di fronte? o prenderlo con le reti per forargli il naso? Prenderai tu il coccodrillo all’amo? Gli assicurerai la lingua con la corda? Gli passerai un giunco per le narici? Gli forerai le mascelle con l’uncino? Ti rivolgerà esso molte suppliche? Ti dirà delle parole dolci? Farà con te un patto perché tu lo prenda per sempre al tuo servizio? Scherzerai tu con lui come fosse un uccello? Lo attaccherai a un filo per divertire le tue ragazze? Ne trafficheranno forse i pescatori? Lo spartiranno essi fra i negozianti? Gli coprirai tu la pelle di frecce e la testa di ramponi? Mettigli un po’ le mani addosso! Ti ricorderai del combattimento e non ci tornerai! Ecco, vana è la speranza di chi lo assale; basta scorgerlo e si è atterrati. Nessuno è tanto audace da provocarlo. E chi dunque oserà starmi di fronte? Chi mi ha anticipato qualcosa perché io glielo debba restituire? Sotto tutti i cieli, ogni cosa è mia. E non voglio tacere delle sue membra, della sua grande forza, della bellezza della sua armatura. Chi lo ha mai spogliato della sua corazza? Chi è penetrato fra la doppia fila dei suoi denti? Chi gli ha aperto i due battenti della gola? Intorno alla chiusura dei suoi denti sta il terrore. Superbe sono le file dei suoi scudi, strettamente uniti come da un sigillo. Uno tocca l’altro, e tra di loro non passa l’aria. Sono saldati assieme, si tengono stretti, sono inseparabili. I suoi starnuti danno sprazzi di luce; i suoi occhi sono come le palpebre dell’aurora. Dalla sua bocca partono vampate, ne sprizzano fuori scintille di fuoco. Dalle sue narici esce un fumo, come da una pentola che bolle o da una caldaia. Il suo alito accende i carboni, e una fiamma gli esce dalla gola. Nel suo collo risiede la forza, davanti a lui si fugge presi dal terrore. Compatte sono in lui le parti molli della carne, gli stanno salde addosso, non si muovono. Il suo cuore è duro come il sasso, duro come la macina di sotto. Quando si solleva, tremano i più forti, e dalla paura sono fuori di sé. Invano lo si attacca con la spada; a nulla valgono lancia, giavellotto e corazza. Il ferro è per lui come paglia; il bronzo, come legno tarlato. La figlia dell’arco non lo mette in fuga; le pietre della fionda si trasformano per lui in stoppia. Stoppia gli sembra la mazza e ride del vibrare della lancia. Il suo ventre è armato di punte acute e lascia come tracce di erpice sul fango. Fa bollire l’abisso come una caldaia, del mare fa come un grande vaso da profumi. Si lascia dietro una scia di luce; l’abisso sembra coperto di bianca chioma. Non c’è sulla terra chi lo domi; è stato fatto per non avere paura. Guarda in faccia tutto ciò che è eccelso, è re su tutte le belve più superbe”. Allora Giobbe rispose all’Eterno e disse: “Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti di eseguire un tuo disegno. Chi è colui che senza intelligenza offusca il tuo disegno? Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; sono cose per me troppo meravigliose e io non le conosco. Ti prego, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami! Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora il mio occhio ti ha visto. Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere”. Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l’Eterno disse a Elifaz di Teman: “La mia ira è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe. Ora dunque prendete sette tori e sette montoni, venite a trovare il mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi stessi. Il mio servo Giobbe pregherà per voi; e io avrò riguardo a lui per non punire la vostra follia; poiché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe”. Elifaz di Teman e Bildad di Suac e Zofar di Naama se ne andarono e fecero come l’Eterno aveva loro ordinato; e l’Eterno ebbe riguardo a Giobbe. Quando Giobbe ebbe pregato per i suoi amici, l’Eterno lo ristabilì nella condizione di prima e gli rese il doppio di tutto quello che gli era già appartenuto. Tutti i suoi fratelli, tutte le sue sorelle e tutte le sue conoscenze di prima vennero a trovarlo, mangiarono con lui in casa sua, lo confortarono e lo consolarono di tutti i mali che l’Eterno gli aveva fatto cadere addosso; e ognuno di loro gli diede un pezzo d’argento e un anello d’oro. L’Eterno benedisse gli ultimi anni di Giobbe più dei primi; ed egli ebbe quattordicimila pecore, seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie; e chiamò la prima, Colomba; la seconda, Cassia; la terza, Cornustibia. In tutto il paese non c’erano donne così belle come le figlie di Giobbe; e il padre assegnò loro un’eredità tra i loro fratelli. Giobbe, dopo questo, visse centoquarant’anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli fino alla quarta generazione. Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni. Beato l’uomo che non cammina secondo il consiglio degli empi, che non si ferma nella via dei peccatori; né si siede sul banco degli schernitori; ma il cui diletto è nella legge dell’Eterno, e su quella legge medita giorno e notte. Egli sarà come un albero piantato presso a rivi d’acqua, il quale dà il suo frutto nella sua stagione, e la cui fronda non appassisce; e tutto quello che fa, prospererà. Non così gli empi; anzi sono come pula che il vento porta via. Perciò gli empi non reggeranno davanti al giudizio, né i peccatori nell’assemblea dei giusti. Poiché l’Eterno conosce la via dei giusti, ma la via degli empi conduce alla rovina. Perché questo tumulto fra le nazioni, e perché i popoli meditano cose vane? I re della terra si ritrovano e i principi si consigliano insieme contro l’Eterno e contro il suo Unto, dicendo: “Spezziamo i loro legami e gettiamo via da noi le loro funi”. Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si befferà di loro. Allora parlerà loro nella sua ira, e nel suo furore li renderà smarriti: “Eppure”, dirà, “io ho stabilito il mio re sopra Sion, il mio monte santo. Io annuncerò il decreto”. L’Eterno mi disse: “Tu sei mio figlio, oggi io ti ho generato. Chiedimi, io ti darò le nazioni per la tua eredità e le estremità della terra per tuo possesso. Tu le spezzerai con uno scettro di ferro; tu le frantumerai come un vaso di vasellaio”. Ora dunque, o re, siate saggi; lasciatevi correggere, o giudici della terra. Servite l’Eterno con timore, e gioite con tremore. Rendete omaggio al figlio, che talora l’Eterno non si adiri e voi non periate nella vostra via, perché d’un tratto l’ira sua può divampare. Beati tutti quelli che confidano in lui! Salmo di Davide, composto quando fuggiva da suo figlio Absalom. O Eterno, quanto numerosi sono i miei nemici! Molti sono quelli che insorgono contro di me, molti quelli che dicono dell’anima mia: “Non c’è salvezza per lui presso Dio!”. Ma tu, o Eterno, sei uno scudo attorno a me, sei la mia gloria, colui che mi rialza il capo. Con la mia voce io grido all’Eterno, ed egli mi risponde dal suo monte santo. Io mi sono coricato e ho dormito, poi mi sono risvegliato, perché l’Eterno mi sostiene. Io non temo le miriadi di popolo che si sono accampate contro di me tutt’intorno. Ergiti, o Eterno, salvami, Dio mio; giacché tu hai percosso tutti i miei nemici sulla guancia, hai rotto i denti degli empi. All’Eterno appartiene la salvezza; la tua benedizione riposi sul tuo popolo! Per il Maestro del coro. Per strumenti a corda. Salmo di Davide. Quand’io grido, rispondimi, o Dio della mia giustizia; quand’ero in pericolo, tu mi hai liberato; abbi pietà di me ed esaudisci la mia preghiera! Figli degli uomini, fino a quando sarà la mia gloria coperta d’obbrobrio? Fino a quando amerete la vanità e andrete dietro alla menzogna? Sappiate che l’Eterno si è appartato uno che egli ama; l’Eterno mi esaudirà quando griderò a lui. Tremate e non peccate; ragionate sui vostri letti, in cuor vostro, e tacete. Offrite sacrifici di giustizia e confidate nell’Eterno. Molti van dicendo: “Chi ci farà vedere la prosperità?”. O Eterno, fa’ risplendere su noi la luce del tuo volto! Tu mi hai messo più gioia nel cuore che non provino essi quando il loro grano e il loro mosto abbondano. In pace mi coricherò e in pace dormirò, perché tu solo, o Eterno, mi fai abitare al sicuro. Per il Maestro del coro. Per strumenti a fiato. Salmo di Davide. Porgi l’orecchio alle mie parole, o Eterno, sii attento ai miei sospiri. Ascolta la voce del mio grido, o mio Re e mio Dio, perché a te rivolgo la mia preghiera. O Eterno, al mattino tu ascolti la mia voce; al mattino ti offro la mia preghiera e aspetto; poiché tu non sei un Dio che prenda piacere nell’empietà; presso di te il malvagio non trova dimora. Quelli che si gloriano non sussisteranno davanti agli occhi tuoi; tu detesti tutti gli operatori d’iniquità. Tu farai perire quelli che dicono menzogne; l’Eterno disprezza l’uomo sanguinario e disonesto. Ma io, per la tua grande bontà, potrò entrare nella tua casa; rivolto al tuo tempio santo, adorerò con timore. O Eterno, guidami per la tua giustizia, a causa dei miei nemici; che io veda diritta innanzi a me la tua via; poiché nella loro bocca non c’è sincerità, il loro cuore è pieno di malizia; la loro gola è un sepolcro aperto, lusingano con la loro lingua. Condannali, o Dio! non riescano nei loro disegni! Scacciali per la moltitudine dei loro misfatti, poiché si sono ribellati contro di te. Si rallegreranno tutti quelli che in te confidano; manderanno grida di gioia per sempre. Tu li proteggerai, e quelli che amano il tuo nome si rallegreranno in te, perché tu, o Eterno, benedirai il giusto; tu lo circonderai con il tuo favore, come con uno scudo. Per il Maestro del coro. Per strumenti a corda. Sull’ottava. Salmo di Davide. O Eterno, non correggermi nella tua ira, e non castigarmi nel tuo sdegno. Abbi pietà di me, o Eterno, perché sono tutto fiacco; sanami, o Eterno, perché le mie ossa sono tutte tremanti. Anche l’anima mia è tutta tremante; e tu, o Eterno, fino a quando? Ritorna, o Eterno, libera l’anima mia; salvami, per la tua misericordia. Poiché nella morte non c’è memoria di te; chi ti celebrerà nel soggiorno dei morti? Io sono esausto a forza di gemere; ogni notte inondo di pianto il mio letto e bagno delle mie lacrime il mio giaciglio. L’occhio mio si consuma dal dolore, invecchia a causa di tutti i miei nemici. Ritraetevi da me, voi tutti malfattori; poiché l’Eterno ha udito la voce del mio pianto. L’Eterno ha udita la mia supplicazione, l’Eterno accoglie la mia preghiera. Tutti i miei nemici saranno confusi e grandemente smarriti; volteranno le spalle e saranno svergognati in un attimo. Lamento di Davide, che egli cantò all’Eterno, a proposito delle parole di Cus, il beniaminita. O Eterno, Dio mio, io confido in te; salvami da tutti quelli che mi perseguitano, e liberami; che talora il nemico, come un leone, non sbrani l’anima mia lacerandola, senza che alcuno mi liberi. O Eterno, Dio mio, se ho fatto questo, se c’è perversità nelle mie mani, se ho reso male per bene a chi viveva in pace con me (io che ho liberato chi mi era nemico senza motivo), il mio nemico perseguiti pure l’anima mia e la raggiunga, calpesti al suolo la mia vita, e stenda la mia gloria nella polvere. Ergiti, o Eterno, nell’ira tua, innalzati contro i furori dei miei nemici, e dèstati in mio favore. Tu hai ordinato il giudizio. Ti circondi l’assemblea dei popoli, e poniti a sedere al di sopra di essa, in luogo elevato. L’Eterno giudica i popoli; giudica me, o Eterno, secondo la mia giustizia e la mia integrità. Ti prego, fa che cessi la malvagità dei malvagi, ma stabilisci il giusto; poiché sei il giusto Dio che prova i cuori e le reni. Il mio scudo è in Dio, che salva i retti di cuore. Dio è un giusto giudice, un Dio che s’indigna ogni giorno; se il malvagio non si converte, egli affila la sua spada, tende il suo arco e lo tiene pronto; dispone contro di lui strumenti di morte; e rende infocate le sue frecce. Ecco, il malvagio è in doglie per produrre iniquità. Egli ha concepito malizia e partorisce menzogna. Ha scavato una fossa e l’ha fatta profonda, ma è caduto nella fossa che ha fatta. La sua malizia gli ritornerà sul capo, e la sua violenza gli ricadrà sulla testa. Io loderò l’Eterno per la sua giustizia, e salmeggerò al nome dell’Eterno, dell’Altissimo. Per il Maestro del coro. Sulla Ghittea. Salmo di Davide. O Eterno, Signore nostro, quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra! Tu hai posto la tua maestà nei cieli. Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti tu hai tratto una forza, a causa dei tuoi nemici, per ridurre al silenzio l’avversario e il vendicatore. Quand’io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos’è l’uomo che tu ne abbia memoria? e il figlio dell’uomo che tu ne prenda cura? Eppure tu l’hai fatto di poco inferiore a Dio, e l’hai coronato di gloria e d’onore. Tu l’hai fatto signoreggiare sulle opere delle tue mani; hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi: pecore e buoi tutti quanti e anche le fiere della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, tutto quello che percorre i sentieri dei mari. O Eterno, Signore nostro, quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra! Per il Maestro del coro. Su “Muori per il figlio”. Salmo di Davide. Io celebrerò l’Eterno con tutto il mio cuore, narrerò tutte le tue meraviglie. Io mi rallegrerò e festeggerò in te, salmeggerò al tuo nome, o Altissimo, poiché i miei nemici voltano le spalle, cadono e periscono davanti al tuo cospetto. Poiché tu hai sostenuto il mio diritto e la mia causa; ti sei assiso sul trono come giusto giudice. Tu hai rimproverato le nazioni, hai fatto perire l’empio, hai cancellato il loro nome per sempre. È finita per il nemico! Sono rovine perenni! Delle città che hai distrutte si è perso perfino il ricordo. Ma l’Eterno siede come re in eterno; egli ha preparato il suo trono per il giudizio. Ed egli giudicherà il mondo con giustizia, giudicherà i popoli con rettitudine. L’Eterno sarà un rifugio sicuro per l’oppresso, un rifugio sicuro in tempo d’angoscia; e quelli che conoscono il tuo nome confideranno in te, perché, o Eterno, tu non abbandoni quelli che ti cercano. Salmeggiate all’Eterno che abita in Sion, raccontate tra i popoli le sue gesta. Perché colui che domanda ragione del sangue, si ricorda dei miseri e non ne dimentica il grido. Abbi pietà di me, o Eterno! Vedi l’afflizione che soffro da quelli che mi odiano, o tu che mi fai risalire dalle porte della morte, affinché io racconti tutte le tue lodi. Nelle porte della figlia di Sion, io festeggerò per la tua salvezza. Le nazioni sono sprofondate nella fossa che avevano fatta; il loro piede è stato preso nella rete che avevano nascosta. L’Eterno si è fatto conoscere, ha fatto giustizia; l’empio è stato preso al laccio, opera delle sue mani. [Interludio. Pausa] Gli empi se ne andranno al soggiorno dei morti, sì, tutte le nazioni che dimenticano Dio. Poiché il povero non sarà dimenticato per sempre, né la speranza dei miseri sarà delusa in eterno. Ergiti, o Eterno! Non lasciare che prevalga il mortale; siano giudicate le nazioni in tua presenza. O Eterno, infondi spavento in loro; le nazioni sappiano che non sono altro che mortali. O Eterno, perché te ne stai lontano? Perché ti nascondi in tempo d’angoscia? L’empio nella sua superbia perseguita con furore i poveri; essi rimangono presi nelle macchinazioni che gli empi hanno ordite; poiché l’empio si gloria delle brame dell’anima sua, benedice il rapace e disprezza l’Eterno. L’empio, nell’alterezza della sua faccia, dice: “L’Eterno non farà inchieste”. Tutti i suoi pensieri sono: “Non c’è Dio!”. Le sue vie sono prospere in ogni tempo; cosa troppo alta per lui sono i tuoi giudizi; egli soffia contro tutti i suoi nemici. Egli dice nel suo cuore: “Non sarò mai smosso; d’età in età non m’accadrà male alcuno”. La sua bocca è piena di maledizione, di frodi e di oppressione; sotto la sua lingua c’è malizia e iniquità. Egli sta negli agguati dei villaggi; uccide l’innocente in luoghi nascosti; i suoi occhi spiano il misero. Sta in agguato nel suo nascondiglio come un leone nella sua tana; sta in agguato per sorprendere l’afflitto; egli sorprende l’infelice traendolo nella sua rete. Se ne sta quatto e chino, e gli afflitti sono sopraffatti dalla sua forza. Egli dice in cuor suo: “Dio dimentica, nasconde la sua faccia, non lo vedrà mai”. Ergiti o Eterno! o Dio, alza la mano! Non dimenticare i mansueti. Perché l’empio disprezza Dio? perché dice in cuor suo: “Non ne farai ricerca?”. Ma tu hai visto; poiché tu osservi i travagli e le pene per prendere la cosa in mano. A te si affida il misero; tu sei colui che aiuta l’orfano. Fiacca il braccio dell’empio, cerca l’empietà del malvagio finché tu non ne trovi più. L’Eterno è re in eterno; le nazioni sono state sterminate dalla sua terra. O Eterno, tu esaudisci il desiderio degli umili; tu fortifichi il loro cuore, inclinerai il tuo orecchio per rendere giustizia all’orfano e all’oppresso, affinché l’uomo, che è della terra, cessi dall’incutere spavento. Per il Maestro del coro. Di Davide. Io mi confido nell’Eterno. Come potete voi dire all’anima mia: “Fuggi al tuo monte come un uccello?”. Poiché, ecco, gli empi tendono l’arco, aggiustano le loro frecce sulla corda per tirarle nell’oscurità contro i retti di cuore. Quando le fondamenta sono rovinate che può fare il giusto? L’Eterno è nel suo tempio santo; l’Eterno ha il suo trono nei cieli; i suoi occhi vedono, le sue pupille scrutano i figli degli uomini. L’Eterno scruta il giusto, ma l’anima sua odia l’empio e colui che ama la violenza. Egli farà piovere sull’empio carboni accesi; zolfo e vento infuocato sarà la parte del loro calice. Poiché l’Eterno è giusto; egli ama la giustizia; gli uomini retti contempleranno il suo volto. Per il Maestro del coro. Sull’ottava. Salmo di Davide. Salva, o Eterno, poiché l’uomo pio viene meno, e i fedeli vengono a mancare tra i figli degli uomini. Ciascuno mente parlando con il prossimo; parlano con labbro lusinghiero e con cuore doppio. L’Eterno recida tutte le labbra lusinghiere, la lingua che parla con arroganza, quelli che dicono: “Con le nostre lingue prevarremo; le nostre labbra sono per noi; chi sarà signore su di noi?”. “Per l’oppressione dei miseri, per il grido d’angoscia dei bisognosi, ora mi ergerò”, dice l’Eterno; “darò loro la salvezza alla quale anelano”. Le parole dell’Eterno sono parole pure, sono argento affinato in un crogiuolo di terra, purificato sette volte. Tu, o Eterno, li proteggerai, li preserverai da questa generazione per sempre. Gli empi vanno attorno da tutte le parti quando la bassezza siede in alto tra i figli degli uomini. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. Fino a quando, o Eterno, mi dimenticherai? sarà egli per sempre? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando avrò l’ansia nell’anima e l’affanno nel cuore tutto il giorno? Fino a quando si innalzerà il mio nemico su di me? Guarda, rispondimi, o Eterno, Dio mio! Illumina i miei occhi che talora io non m’addormenti del sonno della morte, che talora il mio nemico non dica: “L’ho vinto!”, e i miei avversari non festeggino se io vacillo. Quanto a me, io confido nella tua bontà; il mio cuore gioirà per la tua salvezza; io canterò all’Eterno perché mi ha fatto del bene. Per il Maestro del coro. Di Davide. Lo stolto ha detto nel suo cuore: “Non c’è Dio”. Si sono corrotti, si sono resi abominevoli nella loro condotta; non c’è nessuno che faccia il bene. L’Eterno ha riguardato dal cielo sui figli degli uomini per vedere se vi fosse qualcuno che avesse intelletto, che cercasse Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti, non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno. Sono dunque senza conoscenza tutti questi malvagi, che divorano il mio popolo il mio popolo come se fosse pane e non invocano l’Eterno? Ma ecco, sono presi da grande spavento perché Dio è con la gente giusta. Voi cercate di confondere le speranze del misero, perché l’Eterno è il suo rifugio. Oh, chi recherà da Sion la salvezza d’Israele? Quando l’Eterno ricondurrà dalla cattività il suo popolo, Giacobbe festeggerà, Israele si rallegrerà. Salmo di Davide. O Eterno, chi dimorerà nella tua tenda? chi abiterà sul tuo monte santo? Colui che è puro e agisce con giustizia, e dice la verità come l’ha nel cuore; che non calunnia con la sua lingua, né fa male alcuno al suo vicino, né insulta il suo prossimo. Agli occhi suoi è spregevole il malvagio, ma onora quelli che temono l’Eterno. Se ha giurato, fosse anche a suo danno, non muta; non dà il suo denaro a usura, né accetta regali a danno dell’innocente. Chi fa queste cose non sarà mai smosso. Inno di Davide. Preservami, o Dio, perché io confido in te. Io ho detto all’Eterno: “Tu sei il mio Signore; io non ho altro bene all’infuori di te”; e quanto ai santi che sono in terra essi sono la gente onorata in cui ripongo tutto il mio affetto. I dolori di quelli che corrono dietro ad altri dèi saranno moltiplicati; io non offrirò le loro libazioni di sangue, né le mie labbra proferiranno i loro nomi. L’Eterno è la mia parte di eredità e il mio calice; tu mantieni quel che m’è toccato in sorte. La sorte è caduta per me in luoghi dilettevoli; una bella eredità mi è pur toccata! Io benedirò l’Eterno che mi consiglia; anche la notte le mie reni mi ammaestrano. Io ho sempre posto l’Eterno davanti agli occhi miei; poiché egli è alla mia destra, io non sarò affatto smosso. Perciò il mio cuore si rallegra e l’anima mia festeggia; anche la mia carne dimorerà al sicuro; poiché tu non abbandonerai l’anima mia in potere della morte, né permetterai che il tuo santo veda la fossa. Tu mi mostrerai il sentiero della vita; vi sono gioie a sazietà alla tua presenza; vi sono diletti alla tua destra in eterno. Preghiera di Davide. O Eterno, ascolta ciò che è giusto, sii attento al mio grido; porgi orecchio alla mia preghiera che non viene da labbra ingannatrici. Dalla tua presenza venga alla luce il mio diritto, gli occhi tuoi riconoscano la rettitudine. Tu hai scrutato il mio cuore, l’hai visitato nella notte; mi hai provato e non hai trovato nulla; la mia bocca non va oltre il mio pensiero. Quanto alle opere degli uomini, io, per ubbidire alla parola delle tue labbra, mi sono guardato dalle vie dei violenti. I miei passi si sono tenuti saldi sui tuoi sentieri, i miei piedi non hanno vacillato. Io t’invoco, perché tu m’esaudisci, o Dio; inclina verso me il tuo orecchio, ascolta le mie parole! Spiega le meraviglie della tua bontà, o tu che con la tua destra salvi quelli che cercano un rifugio dai loro avversari. Preservami come la pupilla dell’occhio, nascondimi all’ombra delle tue ali dagli empi che vogliono la mia rovina, dai mortali nemici che mi circondano. Sono duri di cuore a causa delle loro ricchezze, la loro bocca parla con arroganza. Ora ci accerchiano, seguendo i nostri passi; ci spiano per abbatterci. Il mio nemico somiglia a un leone che brama lacerare, a un leoncello che sta in agguato nei nascondigli. Ergiti, o Eterno, vagli incontro, abbattilo; libera l’anima mia dall’empio con la tua spada; liberami, con la tua mano, dagli uomini, o Eterno, dagli uomini del mondo la cui parte è soltanto in questa vita, e il cui ventre tu riempi con i tuoi beni; di questi i loro figli si saziano in abbondanza, e lasciano il resto dei loro averi ai loro fanciulli. Quanto a me, per la mia giustizia, contemplerò il tuo volto, mi sazierò, al mio risveglio, della tua presenza. Per il Maestro del coro. Di Davide, servo dell’Eterno, il quale rivolse all’Eterno le parole di questo cantico, quando l’Eterno l’ebbe liberato dalla mano di tutti i suoi nemici e dalla mano di Saul. Egli disse: Io t’amo, o Eterno, mia forza! L’Eterno è la mia ròcca, la mia fortezza, il mio liberatore; il mio Dio, la mia rupe, in cui mi rifugio, il mio scudo, il mio potente salvatore, il mio alto rifugio. Io invocai l’Eterno che è degno d’ogni lode e fui salvato dai miei nemici. I legami della morte mi avevano circondato e i torrenti della distruzione mi avevano spaventato. I legami del soggiorno dei morti mi avevano attorniato, i lacci della morte mi avevano sorpreso. Nella mia angoscia invocai l’Eterno e gridai al mio Dio. Egli udì la mia voce dal suo tempio e il mio grido giunse a lui, ai suoi orecchi. Allora la terra fu scossa e tremò, le fondamenta dei monti furono smosse e scrollate; perché egli era colmo di sdegno. Un fumo saliva dalle sue narici; un fuoco consumante gli usciva dalla bocca, e ne procedevano carboni accesi. Egli abbassò i cieli e discese, avendo sotto i piedi una densa caligine. Cavalcava sopra un cherubino e volava; volava veloce sulle ali del vento; aveva fatto delle tenebre la sua stanza nascosta, aveva posto intorno a sé, per suo padiglione, l’oscurità delle acque, le dense nubi dei cieli. Per lo splendore che lo precedeva, le dense nubi si sciolsero con grandine e con carboni accesi. L’Eterno tuonò nei cieli e l’Altissimo fece udire la sua voce con grandine e con carboni accesi. Scagliò le sue saette e disperse i nemici; lanciò folgori in gran numero e li mise in fuga. Allora apparve il letto delle acque, e le fondamenta del mondo furono scoperte al tuo rimprovero, o Eterno, al soffio del vento delle tue narici. Egli distese dall’alto la mano e mi prese, mi tirò fuori delle grandi acque. Mi riscosse dal mio potente nemico, e da quelli che mi odiavano perché erano più forti di me. Essi mi erano piombati addosso nel giorno della mia calamità, ma l’Eterno fu il mio sostegno. Egli mi trasse fuori al largo, mi liberò, perché mi gradisce. L’Eterno mi ha ricompensato secondo la mia giustizia, mi ha reso secondo la purezza delle mie mani, poiché ho osservato le vie dell’Eterno e non mi sono empiamente sviato dal mio Dio. Poiché ho tenuto tutte le sue leggi davanti a me, e non ho rimosso da me i suoi statuti. E sono stato integro verso lui, e mi sono guardato dalla mia iniquità. Perciò l’Eterno mi ha reso secondo la mia giustizia, secondo la purezza delle mie mani nel suo cospetto. Tu ti mostri pietoso verso il pio, integro verso l’uomo integro; ti mostri puro con il puro e ti mostri astuto con il perverso; poiché tu sei colui che salva la gente afflitta e fai abbassare gli occhi alteri. Sì, tu fai risplendere la mia lampada; l’Eterno, il mio Dio, è colui che illumina le mie tenebre. Con te io assalgo tutta una schiera e con il mio Dio salgo sulle mura. La via di Dio è perfetta; la parola dell’Eterno è purificata con il fuoco; egli è lo scudo di tutti quelli che sperano in lui. Poiché chi è Dio all’infuori dell’Eterno? E chi è Ròcca all’infuori del nostro Dio, il Dio che mi cinge di forza e rende la mia via perfetta? Egli rende i miei piedi simili a quelli delle cerve, e mi rende saldo sui miei alti luoghi; ammaestra le mie mani alla battaglia e le mie braccia tendono un arco di bronzo. Tu mi hai anche dato lo scudo della tua salvezza, la tua destra mi ha sostenuto e la tua bontà mi ha reso grande. Tu hai allargato la via davanti ai miei passi; e i miei piedi non hanno vacillato. Io ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti; e non sono tornato indietro prima di averli distrutti. Io li ho abbattuti e non sono potuti risorgere; sono caduti sotto i miei piedi. Tu mi hai cinto di forza per la guerra; tu hai fatto piegare sotto di me i miei avversari; hai fatto voltare le spalle davanti a me ai miei nemici, e ho distrutto quelli che mi odiavano. Hanno gridato, ma non vi fu chi li salvasse; hanno gridato all’Eterno, ma egli non rispose loro. Io li ho tritati come polvere al vento, li ho spazzati via come il fango delle strade. Tu mi hai liberato dalle contese del popolo, mi hai costituito capo di nazioni; un popolo che non conoscevo mi è stato sottomesso. Al solo udir parlare di me, mi hanno ubbidito; i figli degli stranieri mi hanno reso omaggio. I figli degli stranieri sono venuti meno, sono usciti tremanti dai loro ripari. Vive l’Eterno! Sia benedetta la mia ròcca! E sia esaltato il Dio della mia salvezza! Il Dio che fa la mia vendetta e mi sottomette i popoli, che mi libera dai miei nemici. Sì, tu mi innalzi sopra i miei avversari, mi salvi dall’uomo violento. Perciò, o Eterno, ti loderò fra le nazioni, e salmeggerò al tuo nome. Grandi liberazioni egli accorda al suo re, e usa benevolenza verso il suo unto, verso Davide e la sua discendenza in eterno. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani. Un giorno sgorga parole all’altro, una notte comunica conoscenza all’altra. Non hanno favella, né parole; la loro voce non si ode. Ma il loro suono esce fuori per tutta la terra, e i loro accenti vanno fino all’estremità del mondo. Là Dio ha posto una tenda per il sole, ed egli è simile a uno sposo che esce dalla sua camera nuziale; gioisce come un prode che corre la sua gara. La sua uscita è da una estremità dei cieli, e il suo giro arriva fino all’altra estremità; e niente è nascosto al suo calore. La legge dell’Eterno è perfetta, essa ristora l’anima; la testimonianza dell’Eterno è verace, rende saggio il semplice. I precetti dell’Eterno sono giusti, rallegrano il cuore; il comandamento dell’Eterno è puro, illumina gli occhi. Il timore dell’Eterno è puro, sussiste per sempre; i giudizi dell’Eterno sono verità, tutti quanti sono giusti, sono più desiderabili dell’oro, anzi, più di molto oro finissimo, sono più dolci del miele, anzi, di quello che stilla dai favi. Anche il tuo servitore è da essi ammaestrato; v’è gran ricompensa a osservarli. Chi conosce i suoi errori? Purificami da quelli che mi sono occulti. Trattieni pure il tuo servitore dai peccati volontari, e fa’ che non signoreggino su me; allora sarò integro, e puro di grandi trasgressioni. Siano gradite nel tuo cospetto le parole della mia bocca e la meditazione del mio cuore, o Eterno, mia ròcca e mio redentore! Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. L’Eterno ti risponda nel giorno dell’avversità; il nome del Dio di Giacobbe ti tragga in alto, in salvo; ti mandi soccorso dal santuario, e ti sostenga da Sion; si ricordi di tutte le tue offerte e accetti il tuo olocausto. Ti dia egli quel che il tuo cuore desidera, e faccia riuscire ogni tuo progetto. Noi canteremo d’allegrezza per la tua vittoria, e alzeremo le nostre bandiere nel nome del nostro Dio. L’Eterno esaudisca tutte le tue richieste. Già io so che l’Eterno ha salvato il suo unto, e gli risponderà dal suo santo cielo, con le potenti liberazioni della sua destra. Gli uni confidano in carri, e gli altri in cavalli; ma noi ricorderemo il nome dell’Eterno, del nostro Dio. Quelli si piegano e cadono; ma noi restiamo in piedi e siamo saldi. O Eterno, salva il re! L’Eterno ci risponda nel giorno che noi lo invochiamo! Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. O Eterno, il re si rallegra nella tua forza; e, oh, quanto esulta per la tua salvezza! Tu gli hai concesso il desiderio del suo cuore e non gli hai rifiutato la richiesta delle sue labbra. Poiché tu gli sei venuto incontro con benedizioni eccellenti, gli hai posto in capo una corona d’oro finissimo. Egli ti aveva chiesto vita, e tu gliel’hai data: lunghi giorni in eterno. Grande è la sua gloria per la tua salvezza. Tu lo rivesti di maestà e di magnificenza; poiché lo ricolmi delle tue benedizioni per sempre, lo riempi di gioia alla tua presenza. Perché il re si confida nell’Eterno, e, per la benevolenza dell’Altissimo, non sarà smosso. La tua mano raggiungerà tutti i tuoi nemici; la tua destra colpirà quelli che ti odiano. Tu li metterai come in una fornace ardente, quando apparirai; l’Eterno, nel suo cruccio, li inabisserà, e il fuoco li divorerà. Tu farai sparire il loro frutto dalla terra e la loro discendenza di tra i figli degli uomini; perché hanno ordito del male contro di te; hanno ideato disegni malvagi, che non potranno attuare; poiché tu farai loro voltare le spalle, con il tuo arco mirerai diritto alla loro faccia. Innàlzati, o Eterno, con la tua forza; noi canteremo e celebreremo la tua potenza. Per il Maestro del coro. Su “Cerva dell’aurora”. Salmo di Davide. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito? Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi; di notte ancora, senza alcuna posa. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d’Israele. I nostri padri confidarono in te; confidarono e tu li liberasti. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono delusi. Ma io sono un verme e non un uomo; l’infamia degli uomini e il disprezzato dal popolo. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo: “Egli si affida all’Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!”. Sì, tu mi hai tratto dal grembo materno; mi hai fatto riposare fiducioso sul seno di mia madre. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre. Non t’allontanare da me, perché l’angoscia è vicina, e non c’è nessuno che m’aiuti. Grandi tori mi hanno circondato; potenti tori di Basan mi hanno attorniato; aprono la loro gola contro di me, come un leone rapace e ruggente. Io sono come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere. Il mio vigore si inaridisce come terra cotta, e la lingua mi si attacca al palato; tu mi hai posto nella polvere della morte. Poiché cani mi hanno circondato; una folla di malfattori mi ha attorniato; mi hanno forato le mani e i piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e mi osservano; spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, affrettati a soccorrermi. Libera l’anima mia dalla spada, l’unica mia, dalla zampa del cane; salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali. Io annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. O voi che temete l’Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi tutti, discendenti di Giacobbe, e voi tutti, stirpe d’Israele, abbiate timore di lui! Poiché non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del sofferente, non gli ha nascosto il suo volto; ma quando ha gridato a lui, egli l’ha esaudito. Tu sei l’argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quelli che cercano l’Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in eterno. Tutte le estremità della terra si ricorderanno dell’Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno alla tua presenza. Poiché all’Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni. Tutti i potenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendono nella polvere e non possono mantenersi in vita s’inginocchieranno davanti a lui. La discendenza lo servirà; si parlerà del Signore alla generazione futura. Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato. Salmo di Davide. L’Eterno è il mio pastore, nulla mi mancherà. Egli mi fa giacere in verdeggianti pascoli, mi guida lungo le acque calme. Egli mi ristora l’anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome. Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano. Tu prepari davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca. Certo, beni e bontà m’accompagneranno tutti i giorni della mia vita; e io abiterò nella casa dell’Eterno per lunghi giorni. Salmo di Davide. All’Eterno appartiene la terra e tutto ciò che è in essa, il mondo e i suoi abitanti. Poiché egli l’ha fondata sui mari e l’ha stabilita sui fiumi. Chi salirà al monte dell’Eterno? e chi potrà stare nel luogo suo santo? L’uomo innocente di mani e puro di cuore, che non eleva l’animo a vanità e non giura con il proposito di ingannare. Egli riceverà benedizione dall’Eterno, e giustizia dal Dio della sua salvezza. Tale è la generazione di quelli che lo cercano, di quelli che cercano il tuo volto, o Dio di Giacobbe. O porte, alzate i vostri frontoni; e voi, porte eterne, alzatevi; e il Re di gloria entrerà. Chi è questo Re di gloria? È l’Eterno, forte e potente, l’Eterno potente in battaglia. O porte, alzate i vostri frontoni; alzatevi, o porte eterne, e il Re di gloria entrerà. Chi è questo Re di gloria? È l’Eterno degli eserciti; egli è il Re di gloria. Di Davide. A te, o Eterno, io elevo l’anima mia. Dio mio, in te mi confido; fa’ che io non sia confuso, che i miei nemici non trionfino su me. Nessuno di quelli che sperano in te sia confuso; siano confusi quelli che si comportano slealmente senza motivo. O Eterno, fammi conoscere le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua verità e ammaestrami; poiché tu sei il Dio della mia salvezza: io spero in te ogni giorno. Ricordati, o Eterno, delle tue compassioni e della tua bontà; perché sono eterne. Non ricordarti dei peccati della mia gioventù, né delle mie trasgressioni; ricòrdati di me nella tua clemenza, per amore della tua bontà, o Eterno. L’Eterno è buono e giusto; perciò insegnerà la via ai peccatori. Guiderà i mansueti nella giustizia, insegnerà ai mansueti la sua via. Tutti i sentieri dell’Eterno sono bontà e verità per quelli che osservano il suo patto e le sue testimonianze. Per amor del tuo nome, o Eterno, perdona la mia iniquità, perché essa è grande. Chi è l’uomo che tema l’Eterno? Egli gli insegnerà la via che deve scegliere. L’anima sua dimorerà nel benessere, e la sua discendenza erediterà la terra. Il segreto dell’Eterno è per quelli che lo temono ed egli fa loro conoscere il suo patto. I miei occhi sono sempre rivolti all’Eterno, perché egli è quel che trarrà i miei piedi dalla rete. Volgiti a me, e abbi pietà di me, perché io sono solo e afflitto. Le angosce del mio cuore sono aumentate; tirami fuori delle mie angustie. Vedi la mia afflizione e il mio affanno, e perdona tutti i miei peccati. Guarda i miei nemici, perché sono molti, e mi odiano di un odio violento. Proteggimi e salvami; fa’ che io non sia confuso, perché confido in te. L’integrità e la rettitudine mi proteggano, perché spero in te. O Dio, libera Israele da tutte le sue tribolazioni. Di Davide. Fammi giustizia, o Eterno, perché io cammino nell’integrità, e confido nell’Eterno senza vacillare. Scrutami o Eterno, e sperimentami; prova le mie reni e il mio cuore. Poiché ho davanti agli occhi la tua benevolenza e cammino nella tua verità. Io non siedo con uomini bugiardi, e non vado con gente che simula. Io odio l’assemblea dei malvagi, e non mi siedo con gli empi. Io lavo le mie mani nell’innocenza, e così faccio il giro del tuo altare, o Eterno, per far risuonare voci di lode, e per raccontare tutte le tue meraviglie. O Eterno, io amo il soggiorno della tua casa e il luogo dove risiede la tua gloria. Non mettere l’anima mia in un fascio con i peccatori, né la mia vita con gli uomini di sangue, nelle cui mani è scelleratezza, e la cui destra è colma di regali. Quanto a me, io cammino nella mia integrità; liberami e abbi pietà di me. Il mio piede sta fermo in luogo piano. Io benedirò l’Eterno nelle assemblee. Di Davide. L’Eterno è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò? L’Eterno è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura? Quando i malvagi che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorare la mia carne, essi stessi hanno vacillato e sono caduti. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso. Una cosa ho chiesto all’Eterno, e quella ricerco: che io dimori nella casa dell’Eterno tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza dell’Eterno e meditare nel suo tempio. Poiché egli mi nasconderà nella sua tenda nel giorno dell’avversità, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia. Già fin d’ora il mio capo si eleva sui miei nemici che mi accerchiano. Io offrirò nel suo padiglione sacrifici con giubilo; canterò e salmeggerò all’Eterno. O Eterno, ascolta la mia voce quando t’invoco; abbi pietà di me e rispondimi. Il mio cuore mi dice da parte tua: “Cercate il mio volto!”. Io cerco il tuo volto, o Eterno. Non mi nascondere il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo; tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza! Quand'anche mio padre e mia madre m’avessero abbandonato, pure l’Eterno mi accoglierà. O Eterno, insegnami la tua via, e guidami per un sentiero diritto, a motivo dei miei nemici. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza. Ah! se non avessi avuto fede di vedere la bontà dell’Eterno sulla terra dei viventi! Spera nell’Eterno! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi, sì, spera nell’Eterno! Di Davide. Io grido a te, o Eterno; Ròcca mia, non essere sordo alla mia voce, perché se ti allontani senza rispondermi, io sarò simile a quelli che scendono nella fossa. Ascolta la voce delle mie suppliche quando grido a te, quando alzo le mani verso il tuo tempio santo. Non trascinarmi via con gli empi e con i malfattori, i quali parlano di pace con il prossimo ma hanno la malizia nel cuore. Ripagali secondo le loro opere, secondo la malvagità dei loro atti; retribuiscili secondo l’opera delle loro mani; da’ loro ciò che si meritano. Perché non considerano gli atti dell’Eterno, né l’opera delle sue mani, egli li abbatterà e non li rialzerà. Benedetto sia l’Eterno, poiché ha udito la voce delle mie suppliche. L’Eterno è la mia forza e il mio scudo; in lui si è confidato il mio cuore, e sono stato soccorso; perciò il mio cuore festeggia, e io lo celebrerò con il mio cantico. L’Eterno è la forza del suo popolo; egli è un baluardo di salvezza per il suo unto. Salva il tuo popolo e benedici la tua eredità; pascili e sostienili in eterno. Salmo di Davide. Date all’Eterno, o figli di Dio, date all’Eterno gloria e forza! Date all’Eterno la gloria dovuta al suo nome; adorate l’Eterno con santa magnificenza. La voce dell’Eterno è sulle acque; il Dio di gloria tuona; l’Eterno è sulle grandi acque. La voce dell’Eterno è potente, la voce dell’Eterno è piena di maestà. La voce dell’Eterno rompe i cedri; l’Eterno spezza i cedri del Libano. Fa saltellare i monti come vitelli, il Libano e il Sirio come giovani bufali. La voce dell’Eterno fa guizzare fiamme di fuoco. La voce dell’Eterno fa tremare il deserto; l’Eterno fa tremare il deserto di Cades. La voce dell’Eterno fa partorire le cerve e sfronda le selve. E nel suo tempio tutto esclama: “Gloria!”. L’Eterno sedeva sovrano sul diluvio, anzi l’Eterno siede re per sempre. L’Eterno darà forza al suo popolo; l’Eterno benedirà il suo popolo dandogli pace. Salmo. Cantico per la dedicazione della Casa. Di Davide. Io ti esalto, o Eterno, perché mi hai tratto in alto, e non hai permesso che i miei nemici si rallegrassero di me. O Eterno, Dio mio, io ho gridato a te, e tu mi hai guarito. O Eterno, tu hai fatto risalire l’anima mia dal soggiorno dei morti, tu mi hai ridato la vita perché io non scendessi nella fossa. Salmeggiate all’Eterno, voi suoi fedeli, e celebrate la memoria della sua santità. Poiché l’ira sua è solo per un momento, ma la sua benevolenza è per tutta una vita. La sera alberga da noi il pianto; ma la mattina viene il giubilo. Quanto a me, nella mia prosperità, dicevo: “Non sarò mai smosso”. O Eterno, per il tuo favore, avevi reso forte il mio monte; tu nascondesti il tuo volto, e io fui smarrito. Io ho gridato a te, o Eterno; ho supplicato l’Eterno, dicendo: “Che profitto avrai dal mio sangue se io scendo nella fossa? Forse la polvere ti celebrerà? predicherà essa la tua verità?”. Ascolta, o Eterno, e abbi pietà di me; o Eterno, sii tu il mio aiuto! Tu hai mutato il mio dolore in danza; hai sciolto il mio cilicio e mi hai cinto d’allegrezza, perché l’anima mia possa salmeggiare a te, senza mai tacere. O Eterno, Dio mio, io ti celebrerò per sempre. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. O Eterno, io mi sono confidato in te, fa’ che io non sia mai confuso; liberami per la tua giustizia. Inclina a me il tuo orecchio; affrettati a liberarmi; sii per me una forte ròcca, una fortezza dove tu mi salvi. Poiché tu sei la mia ròcca e la mia fortezza; per amore del tuo nome guidami e conducimi. Tirami fuori dalla rete che mi hanno tesa di nascosto; poiché tu sei il mio baluardo. Io rimetto il mio spirito nelle tue mani; tu mi hai riscattato, o Eterno, Dio di verità. Detesto quelli che si affidano alle vanità ingannatrici e, quanto a me, confido nell’Eterno. Festeggerò e mi rallegrerò per la tua benevolenza; poiché tu hai visto la mia afflizione, hai conosciuto le angosce dell’anima mia, e non mi hai dato in mano al nemico; tu mi hai messo i piedi in luogo favorevole. Abbi pietà di me, o Eterno, perché sono tribolato; l’occhio mio, l’anima mia, le mie viscere sono rose dal cordoglio. Poiché la mia vita viene meno dal dolore e i miei anni per il sospirare; la forza m’è venuta a mancare per la mia afflizione, e le mie ossa si consumano. A causa di tutti i miei nemici sono diventato un obbrobrio, un grande obbrobrio ai miei vicini e uno spavento ai miei conoscenti. Quelli che mi vedono fuori fuggono lontano da me. Io sono del tutto dimenticato come un morto; sono simile a un vaso rotto. Perché odo le calunnie di molti, tutto m’incute spavento intorno a me, mentre essi si consigliano a mio danno e meditano di togliermi la vita. Ma io mi confido in te, o Eterno; io ho detto: “Tu sei il mio Dio”. I miei giorni sono in mano tua; liberami dalla mano dei miei nemici e dai miei persecutori. Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servitore; salvami per la tua benevolenza. O Eterno, fa’ che io non sia confuso, perché io t’invoco; siano confusi gli empi, siano ridotti al silenzio nel soggiorno dei morti. Ammutoliscano le labbra bugiarde che parlano con arroganza contro il giusto con alterigia e con disprezzo. Quant’è grande la bontà che tu riservi a quelli che ti temono, e di cui dai prova in presenza dei figli degli uomini, verso quelli che si confidano in te! Tu li nascondi all’ombra della tua presenza, lontano dalle macchinazioni degli uomini; tu li custodisci in una tenda, al riparo dagli attacchi delle lingue. Sia benedetto l’Eterno! Poiché egli ha reso mirabile la sua benevolenza per me, ponendomi come in una città fortificata. Quanto a me, nel mio smarrimento, dicevo: “Io sono respinto dalla tua presenza”; ma tu hai udita la voce delle mie suppliche, quand’ho gridato a te. Amate l’Eterno, voi tutti i suoi santi! L’Eterno preserva i fedeli, e rende ampia retribuzione a chi agisce con orgoglio. Siate saldi e il vostro cuore si fortifichi, o voi tutti che sperate nell’Eterno! Di Davide. Cantico. Beato l’uomo a cui la trasgressione è perdonata e il cui peccato è coperto! Beato l’uomo a cui l’Eterno non imputa l’iniquità e nel cui spirito non c’è inganno! Mentre io ho taciuto le mie ossa si sono consumate mentre gemevo tutto il giorno. Poiché giorno e notte la tua mano si aggravava su me, il mio vigore inaridiva come per arsura d’estate. Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Io ho detto: “Confesserò le mie trasgressioni all’Eterno”; e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato. Perciò ogni uomo pio t’invochi nel tempo che puoi essere trovato; e quando straripino le grandi acque, esse, per certo, non giungeranno fino a lui. Tu sei il mio rifugio, tu mi proteggerai nelle avversità, tu mi circonderai di canti di liberazione. Io ti ammaestrerò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare; io ti consiglierò e avrò gli occhi su te. Non siate come il cavallo e come il mulo che non hanno intelletto, la cui bocca bisogna frenare con morso e con briglia, altrimenti non ti si accostano! Molti dolori aspettano l’empio; ma chi confida nell’Eterno, la sua grazia lo circonderà. Rallegratevi nell’Eterno, e fate festa, o giusti! Giubilate voi tutti che siete retti di cuore! Giubilate, o giusti, nell’Eterno; la lode si addice agli uomini retti. Celebrate l’Eterno con la cetra; salmeggiate a lui con il salterio a dieci corde. Cantategli un cantico nuovo, suonate maestrevolmente con gioia. Poiché la parola dell’Eterno è retta e tutta l’opera sua è fatta con fedeltà. Egli ama la giustizia e l’equità; la terra è piena della benevolenza dell’Eterno. I cieli furono fatti dalla parola dell’Eterno, e tutto il loro esercito dal soffio della sua bocca. Egli raccolse le acque del mare come in un mucchio; egli ammassò gli abissi in serbatoi. Tutta la terra tema l’Eterno; abbiano timore tutti gli abitanti del mondo. Poiché egli parlò, e la cosa fu; egli comandò e la cosa sorse. L’Eterno dissipa il consiglio delle nazioni, egli annulla i disegni dei popoli. Il consiglio dell’Eterno sussiste per sempre, i disegni del suo cuore durano d’età in età. Beata la nazione il cui Dio è l’Eterno; beato il popolo che egli ha scelto per sua eredità. L’Eterno guarda dal cielo; egli vede tutti i figli degli uomini: dal luogo della sua dimora osserva tutti gli abitanti della terra; egli, che ha formato il cuore di loro tutti, che considera tutte le opere loro. Il re non è salvato per grandezza d’esercito; il prode non scampa per la sua gran forza. Il cavallo è incapace di salvare, esso non può liberare nessuno con il suo gran vigore. Ecco, l’occhio dell’Eterno è su quelli che lo temono, su quelli che sperano nella sua benevolenza, per liberare l’anima loro dalla morte e per conservarli in vita in tempo di fame. L’anima nostra aspetta l’Eterno; egli è il nostro aiuto e il nostro scudo. In lui, certo, si rallegrerà il nostro cuore, perché abbiamo confidato nel suo santo nome. La tua benevolenza, o Eterno, sia sopra noi, poiché abbiamo sperato in te. Di Davide, quando si finse pazzo davanti ad Abimelec e, cacciato da lui, se ne andò. Io benedirò l’Eterno in ogni tempo; la sua lode sarà sempre nella mia bocca. L’anima mia si glorierà nell’Eterno; gli umili l’udranno e si rallegreranno. Magnificate con me l’Eterno, ed esaltiamo il suo nome tutti insieme. Io ho cercato l’Eterno, ed egli mi ha risposto e mi ha liberato da tutti i miei spaventi. Quelli che riguardano a lui sono illuminati, e le loro facce non sono svergognate. Questo afflitto ha gridato, e l’Eterno l’ha esaudito e l’ha salvato da tutte le sue difficoltà. L’Angelo dell’Eterno si accampa intorno a quelli che lo temono, e li libera. Provate e vedrete quanto l’Eterno è buono! Beato l’uomo che confida in lui. Temete l’Eterno, voi suoi santi, poiché nulla manca a quelli che lo temono. I leoncelli soffrono penuria e fame, ma quelli che cercano l’Eterno non mancano d’alcun bene. Venite, figlioli, ascoltatemi; io v’insegnerò il timore dell’Eterno. Qual è l’uomo che prenda piacere nella vita, e ami lunghezza di giorni per gioire del bene? Trattieni la tua lingua dal male e le tue labbra da parole bugiarde. Allontànati dal male e fa’ il bene; cerca la pace e procacciala. Gli occhi dell’Eterno sono sui giusti e le sue orecchie sono attente al loro grido. Il volto dell’Eterno è contro quelli che fanno il male per cancellare dalla terra la loro memoria. I giusti gridano e l’Eterno li esaudisce liberandoli da tutte le loro difficoltà. L’Eterno è vicino a quelli che hanno il cuore rotto, e salva quelli che hanno lo spirito contrito. Molte sono le afflizioni del giusto; ma l’Eterno lo libera da tutte. Egli preserva tutte le ossa di lui, non uno ne è rotto. La malvagità farà perire il malvagio, e quelli che odiano il giusto saranno condannati. L’Eterno riscatta l’anima dei suoi servitori, e nessuno di quelli che confidano in lui sarà condannato. Di Davide. O Eterno, contendi con quelli che mi aggrediscono, combatti con quelli che mi combattono. Prendi lo scudo e la targa e vieni in mio aiuto. Tira fuori la lancia e chiudi il passo ai miei persecutori; di’ all’anima mia: “Io sono la tua salvezza”. Siano confusi e svergognati quelli che cercano di togliermi la vita; si ritirino e siano umiliati quelli che meditano la mia rovina. Siano come pula al vento e l’angelo dell’Eterno li scacci. Sia la loro via tenebrosa e sdrucciolevole, e l’angelo dell’Eterno li insegua. Poiché, senza motivo, mi hanno teso di nascosto la loro rete, senza motivo hanno scavato una fossa per togliermi la vita. Li colga una rovina improvvisa e siano presi nella rete che essi hanno nascosta; scendano nella rovina preparata per me. Allora l’anima mia festeggerà nell’Eterno, e si rallegrerà nella sua salvezza. Tutte le mie ossa diranno: “O Eterno, chi è pari a te che liberi il misero da chi è più forte di lui, il misero e il bisognoso da chi lo spoglia?”. Perfidi testimoni si alzano contro di me; mi domandano cose delle quali non so nulla. Mi rendono male per bene; l’anima mia è desolata. Eppure io, quando erano malati, vestivo il cilicio, affliggevo l’anima mia con il digiuno, e pregavo con il capo curvo sul petto. Camminavo triste come per la perdita di un amico, di un fratello, andavo chino, scuro in volto, come uno che pianga sua madre. Ma, quando io vacillo, essi si rallegrano, si radunano assieme; si raduna contro di me gente abietta che io non conosco; mi lacerano senza posa. Come profani buffoni da mensa, digrignano i denti contro di me. O Signore, fino a quando vedrai tu questo? allontana l’anima mia dalla loro malvagità, l’unica mia, da quelle belve. Io ti celebrerò nella grande assemblea, ti loderò in mezzo a un popolo numeroso. Non si rallegrino di me quelli che a torto mi sono nemici, né ammicchino quelli che mi odiano senza motivo. Poiché non parlano di pace, anzi meditano inganni contro la gente pacifica del paese. Aprono larga la bocca contro di me e dicono: “Ah, ah! l’occhio nostro l’ha visto”. Anche tu hai visto, o Eterno; non tacere! O Signore, non allontanarti da me. Risvègliati, dèstati, per farmi ragione, o mio Dio, mio Signore, per difendere la mia causa. Giudicami secondo la tua giustizia, o Eterno, Dio mio, e fa’ che essi non si rallegrino di me; che non dicano in cuor loro: “Ah, ecco il nostro desiderio!”, che non dicano: “L’abbiamo inghiottito”. Siano tutti svergognati e confusi quelli che si rallegrano del mio male; siano ricoperti di vergogna e disonore quelli che si innalzano superbi contro di me. Cantino e si rallegrino quelli che si compiacciono della mia giustizia, e dicano sempre: “Glorificato sia l’Eterno che vuole la pace del suo servitore!”. La mia lingua parlerà della tua giustizia, e proclamerà sempre la tua lode. Per il Maestro del coro. Di Davide, servo dell’Eterno. L’iniquità parla all’empio nell’intimo del suo cuore; non c’è timor di Dio davanti ai suoi occhi. Essa lo lusinga che la sua empietà non sarà scoperta né presa in odio. Le parole della sua bocca sono iniquità e inganno; egli ha cessato di essere saggio e di fare il bene. Egli medita iniquità sul suo letto; si pone nella via che non è buona; non odia il male. O Eterno, la tua benevolenza giunge fino al cielo e la tua fedeltà fino alle nuvole. La tua giustizia è come le montagne più alte, i tuoi giudizi sono un grande abisso. O Eterno, tu preservi uomini e bestie. O Dio, com’è preziosa la tua benevolenza! Perciò i figli degli uomini si rifugiano all’ombra delle tue ali, sono saziati dell’abbondanza della tua casa e tu li disseti al torrente delle tue delizie. Poiché in te è la fonte della vita e per la tua luce noi vediamo la luce. Fa’ giungere la tua benevolenza a quelli che ti conoscono, la tua giustizia ai retti di cuore. Non mi raggiunga il piede dei superbi, la mano degli empi non mi metta in fuga. Ecco, quelli che fanno il male sono caduti; sono atterrati, e non possono risorgere. Di Davide. Non adirarti a causa dei malvagi; non portare invidia a quelli che operano perversamente; perché saranno presto falciati come il fieno e appassiranno come l’erba verde. Confida nell’Eterno e fa’ il bene; abita il paese e coltiva la fedeltà. Prendi il tuo diletto nell’Eterno ed egli ti darà quel che il tuo cuore domanda. Rimetti la tua sorte nell’Eterno; confida in lui ed egli opererà. Egli farà risplendere la tua giustizia come la luce, il tuo diritto come il sole di mezzogiorno. Sta’ in silenzio davanti all’Eterno e aspettalo; non adirarti per colui che prospera nella sua via, per l’uomo che riesce nei suoi progetti malvagi. Cessa dall’ira e lascia lo sdegno; non irritarti, ciò non conduce che a fare del male. Poiché i malvagi saranno sterminati, ma quelli che sperano nell’Eterno possederanno la terra. Ancora un poco e l’empio non sarà più; tu osserverai il suo luogo ed egli non vi sarà più. Ma i mansueti erediteranno la terra e godranno abbondanza di pace. L’empio macchina contro il giusto e digrigna i denti contro di lui. Il Signore ride di lui, perché vede avvicinarsi il suo giorno. Gli empi hanno tratto la spada e teso il loro arco per abbattere il misero e il bisognoso, per sgozzare quelli che vanno per la retta via. La loro spada entrerà nel loro cuore e i loro archi saranno spezzati. Vale meglio il poco del giusto che l’abbondanza di molti empi. Perché le braccia degli empi saranno rotte, ma l’Eterno sostiene i giusti. L’Eterno conosce i giorni degli uomini integri; la loro eredità durerà in eterno. Essi non saranno confusi nel tempo dell’avversità, ma saranno saziati in tempo di fame. Gli empi periranno; i nemici dell’Eterno, come grasso d’agnelli, saranno consumati e andranno in fumo. L’empio prende in prestito e non restituisce: ma il giusto è pietoso e dona. Poiché quelli che Dio benedice erediteranno la terra, ma quelli che egli maledice saranno sterminati. I passi dell’uomo onesto sono diretti dall’Eterno ed egli gradisce le vie di lui. Se cade, non è però atterrato, perché l’Eterno lo sostiene per la mano. Io sono stato giovane e sono anche divenuto vecchio, ma non ho mai visto il giusto abbandonato, né la sua discendenza mendicare il pane. Tutti i giorni è pietoso e dà in prestito, la sua discendenza è benedetta. Ritirati dal male e fa’ il bene e dimorerai nel paese per sempre. Poiché l’Eterno ama la giustizia e non abbandona i suoi santi; essi sono conservati in eterno; ma la discendenza degli empi sarà sterminata. I giusti erediteranno la terra e l’abiteranno per sempre. La bocca del giusto proferisce sapienza e la sua lingua parla con giustizia. La legge del suo Dio è nel suo cuore; i suoi passi non vacilleranno. L’empio spia il giusto e cerca di farlo morire. L’Eterno non l’abbandonerà nelle sue mani, e non lo condannerà quando verrà in giudizio. Aspetta l’Eterno e osserva la sua via; egli t’innalzerà perché tu possieda la terra; e vedrai quando gli empi saranno sterminati. Io ho visto il malvagio prepotente distendersi come albero verde sul suolo natìo; ma poi è passato via, ed ecco, non c’è più; io l’ho cercato, ma non si è più trovato. Osserva l’uomo integro e considera l’uomo retto; perché per l’uomo di pace c’è una discendenza. Mentre i trasgressori saranno tutti distrutti; la discendenza degli empi sarà sterminata. Ma la salvezza dei giusti procede dall’Eterno; egli è la loro difesa in tempo d’angoscia. L’Eterno li aiuta e li libera: li libera dagli empi e li salva, perché si sono rifugiati in lui. Salmo di Davide. Per far ricordare. O Eterno, non mi correggere nella tua ira, non punirmi nel tuo furore! Poiché le tue frecce mi hanno trafitto e la tua mano mi è venuta addosso. Non c’è nulla d’intatto nella mia carne a causa della tua ira; non c’è requie per le mie ossa a motivo del mio peccato. Poiché le mie iniquità sorpassano il mio capo; sono come un grave carico, troppo pesante per me. Le mie piaghe sono fetide e purulenti per la mia follia. Sono curvo e abbattuto, vado in giro triste tutto il giorno. Poiché i miei fianchi sono pieni d’infiammazione, e non c’è nulla d’intatto nella mia carne. Sono tutto fiacco e rotto; ruggisco per il fremito del mio cuore. Signore, ogni mio desiderio è al tuo cospetto, e i miei sospiri non ti sono nascosti. Il mio cuore palpita, la mia forza mi lascia; anche la luce dei miei occhi m’è venuta meno. I miei amici e i miei compagni stanno lontani dalla mia piaga, i miei parenti si fermano a distanza. Quelli che cercano la mia vita mi tendono dei lacci, quelli che procurano il mio male proferiscono cose maligne e tutto il giorno meditano inganni. Ma io, come un sordo, non odo: sono come un muto che non apre la bocca. Sono come un uomo che non ascolta, e nella cui bocca non c’è replica di sorta. Perché io spero in te, o Eterno; tu risponderai, o Signore, Dio mio! Io ho detto: “Non si rallegrino di me; e quando il mio piede vacilla, non si innalzino superbi contro di me”. Perché io sto per cadere, e il mio dolore è sempre davanti a me. Io confesso le mie colpe, e sono angosciato per il mio peccato. Ma quelli che senza motivo mi sono nemici sono forti, e quelli che a torto mi odiano si sono moltiplicati. Anche quelli che mi rendono male per bene sono miei avversari, perché seguo il bene. O Eterno, non abbandonarmi; Dio mio, non allontanarti da me; affrettati in mio aiuto, o Signore, mia salvezza! Per il Maestro del coro. Per Iedutun. Salmo di Davide. Io dicevo: “Vigilerò sulla mia condotta, per non peccare con la mia lingua; metterò un freno alla mia bocca, finché l’empio mi starà davanti”. Sono stato muto, in silenzio, ho taciuto senz’averne bene; anzi il mio dolore si è inasprito. Il mio cuore s’infiammava dentro di me; mentre meditavo, un fuoco s’è acceso; allora la mia lingua ha parlato. O Eterno, fammi conoscere la mia fine e qual è la misura dei miei giorni. Fa’ che io sappia quanto sono fragile. Ecco, tu hai ridotto i miei giorni alla lunghezza di qualche palmo, e la mia durata è come nulla davanti a te; certo, ogni uomo, benché saldo in piedi, non è che vanità. Certo, l’uomo va e viene come un’ombra; egli si affanna, ma per ciò che è vanità: egli accumula, senza sapere chi raccoglierà. E ora, o Signore, che aspetto? La mia speranza è in te. Liberami da tutti i miei peccati; non abbandonarmi agli scherni dello stolto. Io me ne sto in silenzio, non aprirò bocca, perché sei tu che hai agito. Toglimi di dosso il tuo flagello! Io mi consumo sotto i colpi della tua mano. Quando, castigando la sua iniquità, tu correggi l’uomo, distruggi come la tignola quel che ha di più caro; certo, ogni uomo non è che vanità. O Eterno, ascolta la mia preghiera, e porgi l’orecchio al mio grido; non essere sordo alle mie lacrime; poiché io sono uno straniero presso di te, un pellegrino, come tutti i miei padri. Distogli da me il tuo sguardo affinché mi rianimi, prima che io me ne vada e più non sia. Per il Maestro del coro. Di Davide. Salmo. Io ho pazientemente aspettato l’Eterno, egli si è chinato su di me e ha ascoltato il mio grido. Egli mi ha fatto uscire da una fossa di perdizione, dal pantano fangoso; ha fatto posare i miei piedi sulla roccia, e ha stabilito i miei passi. Egli ha messo nella mia bocca un cantico nuovo a lode del nostro Dio. Molti vedranno questo e temeranno e confideranno nell’Eterno. Beato l’uomo che ripone nell’Eterno la sua fiducia, e non riguarda ai superbi né a quelli che si sviano dietro alla menzogna! O Eterno, Dio mio, hai moltiplicato le tue meraviglie e i tuoi pensieri in nostro favore; nessuno è pari a te. Vorrei narrarli e parlarne, ma sono così tanti che non si possono contare. Tu non gradisci né sacrificio né offerta; mi hai aperto gli orecchi. Tu non domandi né olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: “Eccomi, vengo! Sta scritto di me nel rotolo del libro. Dio mio, io prendo piacere a fare la tua volontà, la tua legge è dentro il mio cuore”. Io ho proclamato la tua giustizia nella grande assemblea; ecco, io non tengo chiuse le mie labbra, tu lo sai, o Eterno. Non ho tenuta nascosta la tua giustizia nel mio cuore; ho raccontato la tua fedeltà e la tua salvezza; non ho celato la tua benevolenza né la tua verità alla grande assemblea. Tu, o Eterno, non rifiutarmi la tua misericordia; la tua bontà e la tua verità mi custodiscano sempre! Poiché mali innumerevoli mi circondano; le mie iniquità mi hanno raggiunto, e non posso abbracciarle con lo sguardo. Sono in maggior numero dei capelli del mio capo, e il mio cuore viene meno! Piacciati, o Eterno, di liberarmi! O Eterno, affrettati in mio aiuto! Siano confusi e svergognati tutti quelli che cercano l’anima mia per farla perire! Voltino le spalle e siano coperti di disonore quelli che desiderano il mio male! Restino muti di stupore per la loro vergogna quelli che mi dicono: Ah, ah! Gioiscano e si rallegrino in te, tutti quelli che ti cercano; quelli che amano la tua salvezza dicano sempre: “L’Eterno è grande!”. Quanto a me, io sono misero e povero, ma il Signore ha cura di me. Tu sei il mio aiuto e il mio liberatore; o Dio mio, non tardare! Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. Beato chi si dà pensiero del povero! nel giorno della sventura l’Eterno lo libererà. L’Eterno lo proteggerà e lo manterrà in vita; egli sarà felice sulla terra e tu non lo darai in balìa dei suoi nemici. L’Eterno lo sosterrà quando sarà a letto, ammalato; tu trasformerai interamente il suo letto di malattia. Io ho detto: “O Eterno, abbi pietà di me; sana l’anima mia, perché ho peccato contro di te”. I miei nemici mi augurano del male, dicendo: “Quando morrà? e quando perirà il suo nome?”. E se uno di loro viene a vedermi, parla con menzogna: il suo cuore intanto accumula malvagità dentro di sé e, appena uscito, egli ne parla in giro. Tutti quelli che mi odiano bisbigliano tra loro contro di me; contro di me tramano il male. “Un male incurabile”, essi dicono, “gli si è attaccato addosso; ora che giace, non si rialzerà mai più”. Perfino l’uomo con il quale vivevo in pace, nel quale confidavo, che mangiava il mio pane, ha alzato il calcagno contro di me. Ma tu, o Eterno, abbi pietà di me e rialzami, e io renderò loro quel che si meritano. Da questo io riconoscerò che tu mi gradisci: se il mio nemico non trionferà su di me. Tu mi sosterrai nella mia integrità e mi accoglierai alla tua presenza per sempre. Sia benedetto l’Eterno, il Dio d’Israele, ora e sempre. Amen! Amen! Per il Maestro del coro. Cantico dei figli di Core. Come la cerva anela i rivi dell’acque, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente: Quando verrò e comparirò al cospetto di Dio? Le mie lacrime sono diventate il mio cibo giorno e notte, da che mi dicono continuamente: “Dov’è il tuo Dio?”. Ricordo con profonda commozione il tempo in cui procedevo con la folla e la guidavo alla casa di Dio, tra i canti di giubilo e di lode di una moltitudine in festa. Perché ti abbatti anima mia? perché ti commuovi in me? Spera in Dio, perché io lo celebrerò ancora; egli è la mia salvezza e il mio Dio. L’anima mia è abbattuta in me; perciò io ripenso a te dal paese del Giordano, dai monti dell’Ermon, dal monte Misar. Un abisso chiama un altro abisso al fragore delle tue cascate; tutte le tue onde e i tuoi flutti mi sono passati addosso. L’Eterno, di giorno, concedeva la sua grazia, e io la notte innalzavo cantici per lui come preghiera al Dio che mi dà vita. Io dirò a Dio, che è la mia ròcca: “Perché mi hai dimenticato? Perché vado vestito a lutto per l’oppressione del nemico?”. Le mie ossa sono trafitte dagli insulti dei miei nemici che mi dicono continuamente: “Dov’è il tuo Dio?”. Perché ti abbatti anima mia? perché ti commuovi in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è la mia salvezza e il mio Dio. Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente malvagia; liberami dall’uomo falso e perverso. Tu sei il Dio che mi dà forza; perché mi hai abbandonato? Perché devo andare vestito a lutto per l’oppressione del nemico? Manda la tua luce e la tua verità; mi guidino esse, mi conducano al tuo monte santo, e alle tue dimore. Allora andrò all’altare di Dio, al Dio, che è la mia gioia e il mio giubilo; e ti celebrerò con la cetra, o Dio, Dio mio! Perché ti abbatti anima mia? perché ti commuovi in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è la mia salvezza e il mio Dio. Per il Maestro del coro. Dei figli di Core. Cantico. O Dio, noi abbiamo udito con i nostri orecchi, i nostri padri ci hanno raccontato l’opera che hai compiuta ai loro giorni, nei tempi antichi. Tu con la tua mano hai scacciato le nazioni e hai stabilito i nostri padri; hai distrutto dei popoli per fare posto a loro. Poiché essi non conquistarono il paese con la loro spada, né fu il loro braccio che li salvò, ma la tua destra, il tuo braccio, la luce del tuo volto, perché li gradivi. Tu sei il mio re, o Dio, ordina la salvezza di Giacobbe! Con te noi abbatteremo i nostri nemici, nel tuo nome annienteremo quelli che si alzano contro di noi. Poiché non è nel mio arco che io confido, e non è la mia spada che mi salverà; ma sei tu che ci salvi dai nostri nemici e rendi confusi quelli che ci odiano. In Dio noi ci glorieremo ogni giorno, e celebreremo il tuo nome in eterno. Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna e non esci più con i nostri eserciti. Tu ci fai voltare le spalle davanti al nemico e quelli che ci odiano ci depredano. Ci hai dati via come pecore da macello, ci hai dispersi fra le nazioni. Tu vendi il tuo popolo per un nulla e non ti sei tenuto alto nel fissarne il prezzo. Tu ci fai oggetto d’obbrobrio per i nostri vicini, di beffe e di scherno per quelli che ci stanno intorno. Tu ci rendi la favola delle nazioni, e i popoli scuotono il capo, quando si tratta di noi. Il mio disonore mi sta sempre davanti, la vergogna mi copre la faccia a causa delle parole di chi m’insulta e mi oltraggia, a causa del nemico e di quanti vogliono vendicarsi. Tutto questo ci è avvenuto. Eppure non ti abbiamo dimenticato e non siamo stati infedeli al tuo patto. Il nostro cuore non si è rivolto indietro, e i nostri passi non si sono sviati dal tuo sentiero, ma tu ci hai fiaccati, cacciandoci in dimore di sciacalli, e hai steso su di noi l’ombra della morte. Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio e avessimo teso le mani verso un dio straniero, Dio non l’avrebbe scoperto? Poiché egli conosce i segreti del cuore. Anzi è a causa tua che siamo ogni giorno messi a morte, e reputati come pecore da macello. Risvegliati! Perché dormi, o Signore? Dèstati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto e dimentichi la nostra afflizione e la nostra oppressione? Poiché l’anima nostra è abbattuta nella polvere; il nostro corpo giace a terra. Ergiti in nostro aiuto, e liberaci, per amore della tua bontà. Per il Maestro del coro. Sopra “I gigli”. Dei figli di Core. Cantico. Inno nuziale. Mi ferve in cuore una parola soave; io dico: “L’opera mia è per il re; la mia lingua sarà come la penna di un veloce scrittore”. Tu sei bello, più bello di tutti i figli degli uomini; la grazia è sparsa sulle tue labbra; perciò Dio ti ha benedetto in eterno. Cingiti la spada al fianco, o prode; vestiti della tua gloria e della tua magnificenza. Nella tua magnificenza avanza sul carro, per la causa della verità, della clemenza e della giustizia; e la tua destra ti farà vedere cose tremende. Le tue frecce sono aguzze; i popoli cadranno sotto di te; esse penetreranno nel cuore dei nemici del re. Il tuo trono, o Dio, dura in eterno; lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia. Tu ami la giustizia e detesti l’empietà. Perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto d’olio di letizia a preferenza dei tuoi compagni. Le tue vesti sanno di mirra, d’aloe, di cassia; dai palazzi d’avorio la musica degli strumenti ti rallegra. Figlie di re sono fra le tue dame d’onore, alla tua destra sta la regina, adorna d’oro d’Ofir. Ascolta, o fanciulla, guarda e porgi l’orecchio; dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, e il re s’innamorerà della tua bellezza. Poiché egli è il tuo signore, prostrati davanti a lui. La figlia di Tiro ti porterà dei doni, e i ricchi del popolo ricercheranno il tuo favore. Tutta splendore è la figlia del re, nelle sue stanze; la sua veste è tutta trapunta d’oro. Lei sarà condotta al re in vesti ricamate; seguìta dalle vergini sue compagne, che gli saranno presentate; saranno condotte con gioia ed esultanza ed esse entreranno nel palazzo del re. I tuoi figli prenderanno il posto dei tuoi padri; tu li costituirai prìncipi per tutta la terra. Io renderò il tuo nome celebre per ogni età; perciò i popoli ti loderanno in eterno. Per il Maestro del coro. Dei figli di Core. Per voci di fanciulle. Canto. Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà. Perciò noi non temiamo, anche quando la terra è sconvolta, quando i monti sono smossi in mezzo ai mari, quando le acque del mare rumoreggiano e schiumano e, per il loro gonfiarsi, fanno tremare i monti. C’è un fiume, i cui rivi rallegrano la città di Dio, il luogo santo della dimora dell’Altissimo. Dio è in mezzo a lei; essa non sarà smossa. Dio la soccorrerà allo schiarire del mattino. Le nazioni rumoreggiano, i regni si commuovono; egli fa udire la sua voce, la terra si strugge. L’Eterno degli eserciti è con noi, il Dio di Giacobbe è il nostro alto rifugio. Venite, guardate le opere dell’Eterno, il quale compie sulla terra cose stupende. Egli fa cessare le guerre fino all’estremità della terra; rompe gli archi e spezza le lance, arde i carri nel fuoco. “Fermatevi”, egli dice, “e riconoscete che io sono Dio. Io sarò esaltato fra le nazioni, sarò glorificato sulla terra”. L’Eterno degli eserciti è con noi; il Dio di Giacobbe è il nostro alto rifugio. Per il Maestro del coro. Dei figli di Core. Salmo. Battete le mani, o popoli tutti; acclamate Dio con grida d’allegrezza! Poiché l’Eterno, l’Altissimo, è tremendo, re supremo su tutta la terra. Egli sottomette i popoli a noi, e mette le nazioni sotto i nostri piedi. Egli ha scelto per noi la nostra eredità, gloria di Giacobbe che egli ama. Dio è salito in mezzo alle acclamazioni, l’Eterno è salito al suono delle trombe. Cantate a Dio, cantate; cantate al nostro re, cantate! Poiché Dio è re di tutta la terra; cantategli un bell’inno. Dio regna sulle nazioni; Dio siede sul suo trono santo. I prìncipi dei popoli si radunano insieme al popolo del Dio d’Abraamo: perché a Dio appartengono i potenti della terra; egli è sommamente esaltato. Canto. Salmo dei figli di Core. Grande è l’Eterno e degno di lode nella città del nostro Dio, sul suo monte santo. Bello si erge, gioia di tutta la terra, il monte di Sion, dalle parti del settentrione, bella è la città del gran re. Nei suoi palazzi Dio si è fatto conoscere come una fortezza inespugnabile. Quando i re si erano radunati, e avanzavano insieme. Appena la videro, rimasero attoniti, furono smarriti e si misero in fuga. Là li colse un tremore, e doglie come di donna che partorisce. Con il vento orientale tu spezzi le navi di Tarsis. Quel che avevamo udito l’abbiamo visto nella città dell’Eterno degli eserciti, nella città del nostro Dio. Dio la renderà stabile per sempre. Dentro il tuo tempio, o Dio, noi ricordiamo la tua bontà. O Dio, qual è il tuo nome, tale è la tua lode fino alle estremità della terra; la tua destra è piena di giustizia. Si rallegri il monte di Sion, festeggino le figlie di Giuda per i tuoi giudizi! Fate il giro di Sion, marciatele attorno, contatene le torri, osservatene i bastioni, considerate i suoi palazzi, perché possiate parlarne alla futura generazione. Poiché questo Dio è il nostro Dio in eterno: egli sarà la nostra guida fino alla morte. Per il Maestro del coro. Dei figli di Core. Salmo. Udite questo, popoli tutti; porgete orecchio, voi tutti gli abitanti del mondo! Plebei e nobili, ricchi e poveri tutti insieme. La mia bocca pronuncerà cose sagge, e la meditazione del mio cuore sarà piena di senno. Io presterò orecchio al proverbio, spiegherò il mio enigma al suon della cetra. Perché temere nei giorni dell’avversità quando mi circonda l’iniquità dei miei avversari? Essi confidano nei loro grandi averi e si gloriano della grandezza delle loro ricchezze, ma nessuno può in alcun modo redimere il fratello, né dare a Dio il prezzo del suo riscatto. Il riscatto dell’anima dell’uomo è troppo alto e il denaro sarà sempre insufficiente, perché essa viva in eterno ed eviti di vedere la tomba. Infatti la vedrà: i sapienti muoiono; lo stolto e l’ignorante periscono tutti e lasciano ad altri le loro ricchezze. Pensano che le loro case dureranno per sempre e che le loro abitazioni siano eterne, perciò danno i loro nomi alle terre. Ma anche l’uomo che è in onore non dura; egli è simile alle bestie che periscono. Questo loro modo di comportarsi è follia; eppure i loro successori approvano i loro discorsi. Sono cacciati come pecore nel soggiorno dei morti; la morte è il loro pastore e al mattino gli uomini retti li calpestano. La loro gloria deve consumarsi nel soggiorno dei morti e non avrà altra dimora. Ma Dio riscatterà l’anima mia dal potere del soggiorno dei morti, perché mi prenderà con sé. Non temere quando uno si arricchisce, quando si accresce la gloria della sua casa. Perché, quando morrà, non porterà nulla con sé; la sua gloria non scenderà con lui. Benché tu, mentre vivi, ti reputi felice e la gente ti lodi per i successi che ti procuri, tu te ne andrai alla generazione dei tuoi padri, che non vedranno mai più la tua luce. L’uomo che è in onore e non ha intendimento è simile alle bestie che periscono. Salmo di Asaf. Il Potente, Dio, l’Eterno ha parlato e ha convocato la terra da oriente a occidente. Da Sion, perfetta in bellezza, Dio è apparso nel suo fulgore. Il nostro Dio viene e non se ne starà in silenzio: lo precede un fuoco divorante, lo circonda una fiera tempesta. Egli convoca i cieli dall’alto e la terra per assistere al giudizio del suo popolo: “Radunatemi”, dice, “i miei fedeli che hanno fatto con me un patto mediante sacrificio”. I cieli proclameranno la sua giustizia; perché Dio stesso sta per giudicare. “Ascolta, popolo mio, e io parlerò; ascolta, o Israele, e io ti farò le mie rimostranze. Io sono Dio, il tuo Dio. Io non ti riprenderò a causa dei tuoi sacrifici; i tuoi olocausti stanno sempre davanti a me. Io non prenderò giovenchi dalla tua casa né capri dai tuoi ovili; perché tutte le bestie della foresta sono mie, mio è il bestiame che sta sui monti a migliaia. Io conosco tutti gli uccelli dei monti, e quel che si muove per la campagna è a mia disposizione. Se avessi fame, non te lo direi, perché il mondo, con tutto quel che contiene, è mio. Mangio io carne di tori, o bevo io sangue di capri? Offri a Dio il sacrificio della lode, e mantieni le promesse fatte all’Altissimo; poi invocami nel giorno della sventura: io te ne trarrò fuori e tu mi glorificherai”. Ma quanto all’empio, Dio gli dice: “Spetta a te di parlare dei miei statuti, e di avere sulle labbra il mio patto? A te che detesti la correzione e ti getti dietro alle spalle le mie parole? Se vedi un ladro, ti diletti della sua compagnia, e sei compagno degli adulteri. Tu abbandoni la tua bocca al male, e la tua lingua intesse frodi. Ti siedi e parli contro tuo fratello, diffami il figlio di tua madre. Tu hai fatto queste cose e io ho taciuto, e tu hai pensato che io fossi del tutto come te; ma io ti riprenderò, e ti metterò tutto davanti agli occhi. Intendete questo, voi che dimenticate Dio, affinché io non vi laceri e non vi sia chi vi liberi. Chi mi offre il sacrificio della lode mi glorifica, e a chi regola bene la sua condotta, io farò vedere la salvezza di Dio”. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide, quando il profeta Natan venne da lui, dopo che Davide era stato da Bat-Sceba. Abbi pietà di me, o Dio, per la tua bontà; nella tua grande misericordia cancella i miei misfatti. Lavami del tutto della mia iniquità e purificami dal mio peccato! Poiché riconosco le mie colpe, e il mio peccato è sempre davanti a me. Io ho peccato contro te, contro te solo, e ho fatto ciò che è male agli occhi tuoi; affinché tu sia riconosciuto giusto quando parli, e irreprensibile quando giudichi. Ecco, io sono stato formato nell’iniquità, e mia madre mi ha concepito nel peccato. Tu ami la sincerità nell’intimo; insegnami dunque la sapienza nel segreto del cuore. Purificami con l’issopo, e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve. Fammi udire gioia e allegrezza, e quelle ossa che hai spezzate esulteranno. Distogli lo sguardo dai miei peccati, e cancella tutte le mie colpe. O Dio, crea in me un cuore puro e rinnova dentro di me uno spirito ben saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non togliermi il tuo santo Spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza e fa’ che uno spirito volonteroso mi sostenga. Io insegnerò le tue vie ai trasgressori, e i peccatori si convertiranno a te. Liberami dal sangue versato, o Dio, Dio della mia salvezza, e la mia lingua celebrerà la tua giustizia. Signore, aprimi le labbra e la mia bocca proclamerà la tua lode. Poiché tu non prendi piacere nei sacrifici, altrimenti li offrirei; tu non gradisci olocausto. I sacrifici graditi a Dio sono lo spirito rotto; o Dio, tu non disprezzi il cuore affranto e umiliato. Fa’ del bene a Sion, per la tua benevolenza; edifica le mura di Gerusalemme. Allora prenderai piacere in sacrifici di giustizia, olocausti e vittime arse per intero; allora si offriranno giovenchi sul tuo altare. Per il Maestro del coro. Cantico di Davide, quando Doeg l’Edomita venne a riferire a Saul che Davide era entrato in casa di Aimelec. Perché ti vanti del male, uomo prepotente? La bontà di Dio dura per sempre. La tua lingua medita rovine; essa è simile a un rasoio affilato, o artefice d’inganni. Tu ami il male più che il bene, e la menzogna più che il parlare secondo giustizia. Tu ami ogni parola che causa distruzione, o lingua ingannatrice! Perciò Dio ti distruggerà per sempre; ti afferrerà, ti strapperà dalla tua tenda e ti sradicherà dalla terra dei viventi. I giusti lo vedranno e temeranno e si rideranno di quel tale, dicendo: “Ecco l’uomo che non aveva fatto di Dio la sua fortezza, ma confidava nell’abbondanza delle sue ricchezze, e si faceva forte della sua perversità!”. Ma io sono come un ulivo verdeggiante nella casa di Dio; io confido per sempre nella bontà di Dio. Io ti celebrerò sempre per quel che tu avrai operato, e, nel cospetto dei tuoi fedeli, spererò nel tuo nome, perché esso è buono. Per il Maestro del coro. Mestamente. Cantico di Davide. Lo stolto ha detto nel suo cuore: “Non c’è Dio”. Si sono corrotti, si sono resi abominevoli con la loro malvagità, non c’è nessuno che faccia il bene. Dio ha riguardato dal cielo sui figli degli uomini per vedere se vi fosse qualcuno che avesse intelletto, che cercasse Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti, non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno. Sono dunque senza conoscenza questi malvagi, che divorano il mio popolo come se fosse pane e non invocano Dio? Ecco, sono presi da grande spavento, dove prima non c’era spavento; poiché Dio ha disperse le ossa di quelli che ti assediavano; tu li hai coperti di confusione, perché Dio li respinge. Oh, chi recherà da Sion la salvezza d’Israele? Quando Dio farà ritornare gli esuli del suo popolo, Giacobbe festeggerà, Israele si rallegrerà. Per il Maestro del coro. Per strumenti a corda. Cantico di Davide quando gli Zifei vennero a dire a Saul: “Davide non è forse nascosto fra noi?”. O Dio, salvami per amore del tuo nome, e fammi giustizia per la tua potenza. O Dio, ascolta la mia preghiera, porgi orecchio alle parole della mia bocca! Poiché degli stranieri sono insorti contro di me e dei violenti cercano l’anima mia. Essi non tengono Dio presente davanti a loro. Ecco, Dio è il mio aiuto; il Signore sostiene l’anima mia. Egli farà ricadere il male sui miei nemici. Nella tua fedeltà, distruggili! Con animo volonteroso io ti offrirò sacrifici; celebrerò il tuo nome, o Eterno, perché esso è buono; perché mi hai liberato da ogni disgrazia, e l’occhio mio ha visto sui miei nemici quello che desideravo. Per il Maestro del coro. Per strumenti a corda. Cantico di Davide. Porgi orecchio alla mia preghiera, o Dio, e non respingere la mia supplica. Dammi ascolto e rispondimi; mi lamento senza posa e gemo, per la voce del nemico, per l’oppressione dell’empio; poiché mi riversano addosso iniquità e mi perseguitano con furore. Il mio cuore freme dentro di me e spaventi mortali mi sono caduti addosso. Paura e tremito mi hanno assalito, e il terrore mi ha sopraffatto. E ho detto: “Oh, avessi io delle ali come la colomba! me ne volerei via e troverei riposo. Ecco, fuggirei lontano e andrei ad abitare nel deserto; mi affretterei a ripararmi dal vento impetuoso e dalla tempesta”. Annientali, Signore, confondi il loro linguaggio, poiché io vedo violenza e risse nella città. Giorno e notte si aggirano sulle sue mura; dentro di essa ci sono iniquità e soprusi. La malvagità è in mezzo a lei, violenza e insidie non cessano nelle sue piazze. Se mi avesse offeso un nemico, l’avrei sopportato; se un avversario avesse cercato di sopraffarmi, mi sarei nascosto da lui; ma sei stato tu, l’uomo che io stimavo come mio pari, il mio compagno e il mio intimo amico. Insieme eravamo in dolce compagnia, insieme ce ne andavamo tra la folla alla casa di Dio. Li sorprenda la morte! Scendano vivi nel soggiorno dei morti! Poiché nelle loro case e in cuor loro non v’è che malvagità. Quanto a me: io invocherò Dio, e l’Eterno mi salverà. La sera, la mattina e sul mezzodì mi lamenterò e gemerò, ed egli udrà la mia voce. Egli darà pace all’anima mia, liberandomi dai loro assalti, perché sono in molti contro di me. Dio ascolterà e li umilierà, egli che siede sul trono da sempre; poiché essi non vogliono cambiare, e non temono Dio. Il nemico ha steso la mano contro quelli che erano in pace con lui, ha violato il patto sancito. La sua bocca è più untuosa del burro, ma nel cuore ha la guerra; le sue parole sono più soffici dell’olio, ma sono spade sguainate. Getta sull’Eterno il tuo peso, ed egli ti sosterrà; egli non permetterà mai che il giusto sia smosso. Ma tu, o Dio, farai scendere costoro nella tomba; gli uomini sanguinari e fraudolenti non arriveranno alla metà dei loro giorni; ma io confiderò in te. Per il Maestro del coro. Su: “Colomba dei terebinti lontani”. Inno di Davide quando i Filistei lo presero a Gat. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini cercano di divorarmi; mi opprimono e mi combattono tutti i giorni. I miei nemici mi perseguitano continuamente, poiché sono molti quelli che mi assalgono con superbia. Nel giorno della paura, io confiderò in te. In Dio, di cui celebro la parola; in Dio confido e non temerò; che mi può fare il mortale? Fraintendono sempre le mie parole; tutti i loro pensieri sono vòlti a farmi del male. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole togliermi la vita. Retribuiscili secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira! Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime nell’otre tuo; non sono registrate nel tuo libro? Nel giorno che griderò a te, i miei nemici indietreggeranno. Questo so: Dio è per me. Con l’aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l’aiuto dell’Eterno celebrerò la sua parola. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l’uomo? Io manterrò le promesse che ti ho fatte, o Dio; io ti offrirò sacrifici di lode, perché tu hai salvato l’anima mia dalla morte, hai preservato i miei piedi da caduta, perché io cammini, davanti a Dio, nella luce dei viventi. Per il Maestro del coro. “Non distruggere”. Inno di Davide, quando, perseguitato da Saul, fuggì nella caverna. Abbi pietà di me, o Dio, abbi pietà di me, perché l’anima mia cerca rifugio in te; e all’ombra delle tue ali io mi rifugio, finché sia passato il pericolo. Io griderò a Dio, l’Altissimo, a Dio che opera in mio favore. Egli manderà dal cielo a salvarmi. Mentre colui che anela a divorarmi mi oltraggia. Dio manderà la sua grazia e la sua fedeltà. L’anima mia è in mezzo a leoni; dimoro tra gente che vomita fiamme, in mezzo a uomini, i cui denti sono lance e frecce, e la cui lingua è una spada affilata. Innàlzati, o Dio, al di sopra dei cieli, risplenda la tua gloria su tutta la terra! Essi avevano teso una rete sui miei passi; l’anima mia era abbattuta; avevano scavato una fossa davanti a me, ma essi vi sono caduti dentro. Il mio cuore è ben disposto, o Dio, il mio cuore è ben disposto; io canterò e salmeggerò. Dèstati, o gloria mia, destatevi, salterio e cetra, io voglio risvegliare l’alba. Io ti celebrerò fra i popoli, o Signore, a te salmeggerò fra le nazioni, perché grande fino al cielo è la tua bontà, e la tua fedeltà fino alle nuvole. Innàlzati, o Dio, al di sopra dei cieli, risplenda su tutta la terra la tua gloria! Per il Maestro del coro. “Non distruggere”. Inno di Davide. È proprio secondo giustizia che voi parlate, o potenti? Giudicate voi rettamente i figli degli uomini? Anzi, nel cuore voi commettete delle iniquità; nel paese, voi gettate nella bilancia la violenza delle vostre mani. Gli empi sono sviati fin dal grembo materno, i bugiardi sono traviati fin dalla nascita. Hanno veleno simile al veleno del serpente, sono come l’aspide sordo che si tura le orecchie, che non ascolta la voce degli incantatori, del mago esperto nell’ammaliare. O Dio, spezza loro i denti in bocca; o Eterno, fracassa le mascelle dei leoni! Si dissolvano come acqua che scorre via; quando scoccano le loro frecce, siano come spuntate. Siano essi come una lumaca che si scioglie mentre striscia; come l’aborto di una donna, non vedano il sole. Prima che le vostre pentole sentano il fuoco del pruno, verde o acceso che sia il legno, lo porti via la bufera. Il giusto si rallegrerà quando avrà visto la vendetta; si laverà i piedi nel sangue dell’empio; e la gente dirà: “Certo, vi è una ricompensa per il giusto; certo c’è un Dio che giudica sulla terra!”. Per il Maestro del coro. “Non distruggere”. Inno di Davide, quando Saul mandò a sorvegliargli la casa per ucciderlo. Liberami dai miei nemici, o mio Dio; ponimi in luogo alto, al sicuro dai miei aggressori. Liberami da quanti compiono il male e salvami dagli uomini sanguinari. Perché, ecco, essi pongono agguati all’anima mia; uomini potenti si radunano contro di me, senza che in me vi sia misfatto né peccato, o Eterno! Senza che in me vi sia colpa, essi corrono e si preparano. Dèstati, vieni a me, e vedi! Tu, o Eterno, che sei il Dio degli eserciti, il Dio d’Israele, àlzati a giudicare tutte le genti! Non fare grazia ad alcuno dei perfidi malfattori! Ogni sera, ritornano e urlano come cani e vanno attorno per la città. Ecco, vomitano ingiurie dalla loro bocca; hanno delle spade sulle labbra. “Tanto”, dicono, “chi ci ascolta?”. Ma tu, o Eterno, ti riderai di loro; ti farai beffe di tutte le genti. O mia forza, a te io riguarderò, perché tu, o Dio, sei il mio alto rifugio. Il mio Dio mi verrà incontro con la sua bontà, Dio mi farà vedere sui miei nemici quel che desidero. Non ucciderli, che talora il mio popolo non dimentichi; falli andare, per la tua potenza, vagando e abbattili, o Signore, nostro scudo. Ogni parola delle loro labbra è un peccato della loro bocca; siano dunque presi nel laccio della loro superbia, per le maledizioni e le menzogne che proferiscono. Distruggili nel tuo furore, distruggili e non siano più; e si conoscerà, fino alle estremità della terra, che Dio signoreggia su Giacobbe. Ritornano la sera, ringhiano come cani e vanno attorno per la città. Vanno vagando per trovare da mangiare, e, se non trovano da saziarsi, passano la notte latrando. Ma io canterò la tua potenza, e al mattino loderò ad alta voce la tua bontà, perché tu sei stato per me una fortezza, un rifugio nel giorno dell’avversità. O mia forza, a te salmeggerò, perché Dio è il mio alto rifugio, il Dio benigno per me. Per il Maestro del coro. Su “Il giglio della testimonianza”. Inno di Davide da insegnare; quand’egli mosse guerra ai Siri di Mesopotamia e ai Siri di Soba, e Ioab tornò, sconfiggendo dodicimila Idumei nella valle del sale. O Dio, tu ci hai respinti, ci hai dispersi, ti sei sdegnato; ristabiliscici ora! Hai fatto tremare la terra, tu l’hai spezzata; ripara le sue brecce, perché barcolla. Tu hai fatto vedere al tuo popolo cose dure; tu ci hai dato da bere un vino che stordisce. Ma tu hai dato a quelli che ti temono una bandiera, perché si alzino in favore della verità. Perché i tuoi diletti siano liberati, salvaci con la tua destra e rispondici. Dio ha parlato nella sua santità: “Io trionferò, spartirò Sichem e misurerò la valle di Succot. Mio è Galaad e mio è Manasse, ed Efraim è la forte difesa del mio capo; Giuda è il mio scettro. Moab è il bacino dove mi lavo; sopra Edom getterò il mio sandalo; o Filistia, fammi delle acclamazioni!”. Chi mi condurrà nella città forte? Chi mi condurrà fino a Edom? Non sarai forse tu, o Dio, che ci hai respinti e non esci più, o Dio, con i nostri eserciti? Dacci aiuto per superare le difficoltà, poiché vano è il soccorso dell’uomo. Con Dio noi faremo prodezze, ed egli schiaccerà i nostri nemici. Per il Maestro del coro. Per strumenti a corda. Di Davide. O Dio, ascolta il mio grido, sii attento alla mia preghiera. Dall’estremità della terra io grido a te, mentre il mio cuore viene meno; conducimi alla ròcca che è troppo alta per me; poiché tu sei stato per me un rifugio, una forte torre davanti al nemico. Io dimorerò nella tua tenda per sempre, mi riparerò all’ombra delle tue ali. Poiché tu, o Dio, hai esaudito i miei voti, mi hai dato l’eredità di quelli che temono il tuo nome. Aggiungi dei giorni ai giorni del re, siano i suoi anni come molte età! Sieda sul trono alla presenza di Dio per sempre! Ordina alla bontà e alla verità di custodirlo; così loderò il tuo nome per sempre, e adempirò ogni giorno le promesse che ti ho fatto. Per il Maestro del coro. Per Iedutun. Salmo di Davide. L’anima mia trova riposo in Dio solo; da lui viene la mia salvezza. Lui solo è la mia rocca e la mia salvezza, il mio alto rifugio; io non sarò smosso. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo e cercherete tutti insieme di abbatterlo come una parete che pende, come un muricciolo che cede? Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza; prendono piacere nella menzogna; benedicono con la bocca, ma internamente maledicono. Anima mia, riposa in Dio solo, poiché da lui viene la mia speranza. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza; egli è il mio alto rifugio; io non sarò smosso. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio. Confida in lui in ogni tempo, o popolo; spandi il tuo cuore nel suo cospetto; Dio è il nostro rifugio. Gli uomini del volgo non sono che vanità, e i nobili non sono che menzogna; messi sulla bilancia vanno su, tutti assieme sono più leggeri della vanità. Non confidate nell’oppressione, e non mettete vane speranze nella rapina; se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore. Dio ha parlato una volta, due volte ho udito questo: Che la potenza appartiene a Dio; e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia; perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere. Salmo di Davide: quando era nel deserto di Giuda. O Dio, tu sei il mio Dio, io ti cerco dall’alba; l’anima mia è assetata di te, la mia carne ti brama in una terra arida, che langue, senz’acqua. Così ti ho contemplato nel santuario per vedere la tua forza e la tua gloria. Poiché la tua bontà vale più della vita; le mie labbra ti loderanno. Così ti benedirò finché io viva, e alzerò le mani invocando il tuo nome. L’anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso, e la mia bocca ti loderà con labbra giubilanti. Quand’io mi ricordo di te sul mio letto, medito di te nelle veglie della notte. Poiché tu sei stato il mio aiuto, io giubilo all’ombra delle tue ali. L’anima mia si stringe a te per seguirti; la tua destra mi sostiene. Ma quelli che cercano la rovina dell’anima mia, entreranno nelle parti più basse della terra. Saranno dati in balìa della spada, saranno preda degli sciacalli. Ma il re si rallegrerà in Dio; chiunque giura per lui si glorierà, perché la bocca di quelli che dicono menzogne sarà turata. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. O Dio, ascolta la voce del mio lamento! Proteggi la mia vita dallo spavento del nemico. Mettimi al riparo dalle trame dei malvagi, dalla schiera rumorosa dei malfattori. Essi hanno aguzzato la loro lingua come una spada e hanno scoccato come frecce le loro parole amare, per colpire da luoghi nascosti l’uomo innocente; lo colpiscono all’improvviso, e non hanno paura. Si incoraggiano a vicenda in un’impresa malvagia; si accordano per camuffare tranelli; e dicono: “Chi se ne accorgerà?”. Meditano pensieri malvagi e dicono: “Abbiamo attuato il nostro piano”. I pensieri e il cuore dell’uomo sono un abisso. Ma Dio scaglierà le sue frecce contro di loro, e all’improvviso saranno coperti di ferite; saranno atterrati, e il male fatto dalle loro lingue ricadrà su loro. Tutti quelli che li vedranno scrolleranno il capo. Allora tutti gli uomini temeranno, racconteranno l’opera di Dio e considereranno quello che egli avrà fatto. Il giusto si rallegrerà nell’Eterno e in lui cercherà rifugio; e tutti i retti di cuore si glorieranno. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. Canto. A te, o Dio, nel raccoglimento, sale la lode in Sion, a te l’omaggio per le promesse che si compiono. A te, che esaudisci la preghiera, verrà ogni creatura. Le iniquità mi hanno sopraffatto, ma tu farai l’espiazione dei nostri peccati. Beato colui che tu scegli e fai accostare a te perché abiti nei tuoi cortili! Noi saremo saziati dei beni della tua casa, della santità del tuo tempio. In modi tremendi tu ci rispondi nella tua giustizia, o Dio della nostra salvezza, speranza di tutte le estremità della terra e dei mari lontani. Con la sua potenza egli rende stabili i monti, essendo cinto di forza. Egli calma il fragore dei mari, il rumore dei loro flutti e il tumulto dei popoli. Perciò quelli che abitano alle estremità della terra temono alla vista dei tuoi prodigi; tu fai sgorgare canti di gioia dall’oriente all’occidente. Tu visiti la terra e la irrighi, tu l’arricchisci grandemente. I ruscelli di Dio sono pieni d’acqua; tu prepari agli uomini il grano, quando prepari così la terra; tu irrighi abbondantemente i suoi solchi, ne pareggi le zolle, l’ammorbidisci con le piogge e ne benedici i germogli. Tu coroni l’annata dei tuoi beni, e dove passa il tuo carro stilla il grasso. Esso stilla sui pascoli del deserto e i colli sono cinti di gioia. I pascoli si rivestono di greggi e le valli si coprono di frumento; prorompono con grida di allegrezza e cantano. Per il Maestro del coro. Canto. Salmo. Fate acclamazioni a Dio, voi tutti abitanti della terra! Cantate la gloria del suo nome, rendete gloriosa la sua lode! Dite a Dio: “Come sono tremende le opere tue! Per la grandezza della tua forza i tuoi nemici ti aduleranno. Tutta la terra si prostrerà davanti a te e a te canterà, canterà al tuo nome”. Venite e ammirate le opere di Dio; egli è tremendo nei suoi atti verso i figli degli uomini. Egli cambiò il mare in terra asciutta; il popolo passò il fiume a piedi; perciò, rallegriamoci in lui. Egli, con la sua potenza, signoreggia in eterno; i suoi occhi osservano le nazioni; i ribelli non si ribellino a lui! Benedite il nostro Dio, o popoli, e fate risuonare la voce della sua lode! Egli ha conservato in vita l’anima nostra, e non ha permesso che il nostro piede vacillasse. Poiché tu ci hai messi alla prova, o Dio, ci hai passati al crogiuolo come l’argento. Ci hai fatti cadere nella rete, hai posto un grave peso sulle nostre reni. Hai fatto cavalcare degli uomini sul nostro capo; siamo entrati nel fuoco e nell’acqua, ma poi ci hai tratti fuori in un luogo di refrigerio. Io entrerò nella tua casa con olocausti, adempirò le mie promesse, le promesse che le mie labbra hanno proferito, che la mia bocca ha pronunciato nel momento della difficoltà. Io ti offrirò olocausti di bestie grasse, con profumo di montoni; sacrificherò buoi e capri. Venite e ascoltate, o voi tutti che temete Dio! Io vi racconterò quello che egli ha fatto per l’anima mia. Io gridai a lui con la mia bocca, ed egli fu esaltato dalla mia lingua. Se nel mio cuore avessi ordito il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato. Ma certo Dio mi ha ascoltato; egli è stato attento alla voce della mia preghiera. Benedetto sia Dio, che non ha respinto la mia preghiera e non mi ha negato la sua grazia. Per il Maestro del coro. Per strumenti a corda. Salmo. Canto. Dio abbia pietà di noi e ci benedica, Dio faccia risplendere il suo volto su noi; affinché la tua via sia conosciuta sulla terra, e la tua salvezza fra tutte le genti. Ti celebrino i popoli, o Dio, tutti quanti i popoli ti celebrino! Le nazioni si rallegrino e giubilino, perché tu giudichi i popoli con equità, e sei la guida delle nazioni sulla terra. Ti celebrino i popoli, o Dio, tutti quanti i popoli ti celebrino! La terra ha prodotto il suo frutto; Dio, il nostro Dio, ci benedirà. Dio ci benedirà, e tutte le estremità della terra lo temeranno. Per il Maestro del coro. Di Davide. Salmo. Canto. Si alzi Dio, e i suoi nemici saranno dispersi, e quelli che l’odiano fuggiranno davanti a lui. Tu li dissolverai come si dissolve il fumo; come la cera si scioglie davanti al fuoco, così periranno gli empi davanti a Dio. Ma i giusti si rallegreranno, giubileranno alla presenza di Dio, ed esulteranno di gioia. Cantate a Dio, salmeggiate al suo nome, preparate la via a colui che cavalca attraverso i deserti; il suo nome è l’Eterno; esultate davanti a lui. Dio è padre degli orfani e difensore delle vedove nella sua santa dimora; Dio dona al solitario una famiglia, libera i prigionieri e dà loro prosperità; soltanto i ribelli risiedono in terra arida. O Dio, quando tu uscisti davanti al tuo popolo, quando avanzasti attraverso il deserto, la terra tremò; anche i cieli si sciolsero in pioggia alla presenza di Dio; lo stesso Sinai tremò alla presenza di Dio, del Dio d’Israele. O Dio, tu spandesti una pioggia benefica e ristorasti la tua eredità quand’era sfinita. Il tuo popolo abitò nel paese che tu avevi benevolmente preparato, o Dio, per i miseri. Il Signore dà un ordine: le messaggere di buone novelle sono una grande schiera. I re degli eserciti fuggono, fuggono, e quelle rimaste a casa si spartiscono il bottino. Anche per voi, che vi siete riposati tra gli ovili, le ali della colomba si sono coperte d’argento, e le sue penne di oro risplendente. Quando l’Onnipotente disperse i re nel paese, il Salmon si coperse di neve. O monte di Dio, monte di Basan, o monte dalle vette numerose, monte di Basan, perché, o monti dalle molte cime, guardate con invidia al monte che Dio si è scelto per sua dimora? Sì, l’Eterno vi abiterà per sempre. I carri di Dio si contano a miriadi e miriadi, a migliaia di migliaia; il Signore viene dal Sinai nel santuario. Tu sei salito in alto portando dei prigionieri, hai ricevuto doni dagli uomini, anche dai ribelli, per fare qui la tua dimora, o Eterno Dio. Sia benedetto il Signore! Giorno per giorno porta per noi il nostro peso; il Dio della nostra salvezza. Dio è per noi il Dio delle liberazioni e all’Eterno, al Signore, appartiene il preservare dalla morte. Ma Dio schiaccerà il capo dei suoi nemici, la testa chiomata di colui che cammina nel peccato. Il Signore ha detto: “Li farò ritornare da Basan, li farò ritornare dalle profondità del mare, affinché tu affondi il piede nel sangue dei tuoi nemici, e la lingua dei tuoi cani ne abbia la sua parte”. Essi hanno visto il tuo corteo, o Dio, il corteo del mio Dio, del mio Re, nel santuario. Precedevano i cantori, dietro venivano i suonatori, in mezzo le fanciulle che battevano i tamburelli. Benedite Dio nelle assemblee, benedite il Signore, voi che siete della stirpe d’Israele! Ecco il piccolo Beniamino, che domina gli altri; i principi di Giuda e la loro schiera, i principi di Zabulon, i principi di Neftali. Il tuo Dio ha ordinato la tua forza; rafferma, o Dio, ciò che hai operato per noi! Nel tuo tempio, che sovrasta Gerusalemme, i re ti porteranno doni. Minaccia le bestie dei canneti, il branco dei tori con i giovenchi dei popoli, che si prostrano portando verghe d’argento. Disperdi i popoli che si dilettano in guerre. Gran signori verranno dall’Egitto, l’Etiopia si affretterà a tendere le mani verso Dio. O regni della terra, cantate a Dio, salmeggiate al Signore, a colui che cavalca sui cieli dei cieli eterni! Ecco, egli fa risuonare la sua voce, la sua voce potente. Riconoscete la potenza di Dio; la sua maestà è sopra Israele, e la sua potenza è nei cieli. O Dio, tu sei tremendo dal tuo santuario! Il Dio d’Israele dà forza e potenza al suo popolo. Benedetto sia Dio! Per il Maestro del coro. Sopra “I gigli”. Di Davide. Salvami, o Dio, poiché le acque mi sono giunte fino alla gola. Sono affondato in un pantano profondo, dove non posso poggiare il piede; sono giunto in acque profonde e la corrente mi travolge. Sono stanco di gridare, la mia gola è riarsa; gli occhi mi vengono meno, mentre aspetto il mio Dio. Quelli che mi odiano senza motivo sono più numerosi dei capelli del mio capo; sono potenti quelli che vogliono distruggermi e che a torto mi sono nemici; ho dovuto restituire perfino quello che non avevo rubato. O Dio, tu conosci la mia follia, e le mie colpe non ti sono nascoste. Non siano confusi, a causa mia, quelli che sperano in te, o Signore, Eterno degli eserciti! Non siano svergognati a causa mia, quelli che ti cercano, o Dio d’Israele! Per amor tuo io sopporto gli insulti, la vergogna mi copre la faccia. Sono divenuto un estraneo per i miei fratelli, e un forestiero, per i figli di mia madre. Poiché mi divora lo zelo per la tua casa, gli insulti di chi ti oltraggia sono caduti su di me. Io ho pianto, ho afflitto l’anima mia con il digiuno, ma ciò è stato motivo di scherno. Ho indossato un cilicio come vestito, ma sono diventato il loro zimbello. Quelli che siedono alla porta sparlano di me e sono deriso dagli ubriaconi. Ma, quanto a me, o Eterno, la mia preghiera si eleva a te nel tempo accettevole; o Dio, rispondimi nella grandezza della tua misericordia e secondo la verità della tua salvezza. Tirami fuori dal pantano, che io non affondi! Liberami da quelli che mi odiano, e dalle acque profonde. Non mi sommerga la corrente delle acque, non mi inghiottisca il gorgo, e non chiuda il pozzo la sua bocca su di me! Rispondimi, o Eterno, perché la tua grazia è benefica; vòlgiti a me secondo la grandezza delle tue compassioni. Non nascondere il tuo volto dal tuo servo, perché sono in pericolo; affrettati a rispondermi. Avvicinati all’anima mia e redimila; riscattami a causa dei miei nemici. Tu conosci la mia vergogna, il mio disonore e la mia infamia; i miei nemici sono tutti davanti a te. L’oltraggio mi ha spezzato il cuore e sono tutto dolente; ho aspettato chi mi confortasse, ma invano; ho atteso dei consolatori, ma non ne ho trovati. Anzi mi hanno dato del fiele al posto del cibo, e, nella mia sete, mi hanno dato a bere dell’aceto. Sia la mensa che sta davanti a loro come un laccio; e, quando si credono sicuri, sia per loro un tranello! Gli occhi loro si offuschino, e non vedano più, e indebolisci continuamente i loro fianchi. Riversa su di loro la tua ira, e li colga l’ardore del tuo furore. La loro dimora sia desolata, nessuno abiti nelle loro tende. Poiché perseguitano colui che hai percosso, e si raccontano i dolori di quelli che tu hai ferito. Aggiungi iniquità alla loro iniquità, e non abbiano parte alcuna nella tua giustizia. Siano cancellati dal libro della vita, e non siano iscritti con i giusti. Quanto a me, io sono misero e addolorato; il tuo soccorso, o Dio, mi porti in salvo. Io celebrerò il nome di Dio con un canto, e lo esalterò con le mie lodi. All’Eterno ciò sarà accettevole più di un bue, più di un giovenco con corna e unghie. I mansueti lo vedranno e si rallegreranno; o voi che cercate Dio, il vostro cuore riviva! Poiché l’Eterno ascolta i bisognosi, e non disprezza i suoi prigionieri. Lo lodino i cieli e la terra, i mari e tutto ciò che si muove in essi! Poiché Dio salverà Sion, e ricostruirà le città di Giuda; il suo popolo abiterà in Sion e la possederà. Anche la discendenza dei suoi servitori l’avrà in eredità, e quelli che amano il suo nome vi abiteranno. Per il Maestro del coro. Di Davide; per far ricordare. Affrèttati, o Dio, a liberarmi! O Eterno, affrèttati in mio aiuto! Siano confusi e svergognati quelli che cercano l’anima mia! Voltino le spalle e siano coperti d’ignominia quelli che vogliono il mio male! Indietreggino, sotto il peso della loro infamia, quelli che mi deridono. Gioiscano e si rallegrino in te, tutti quelli che ti cercano; e quelli che amano la tua salvezza dicano sempre: “Dio è grande!”. Quanto a me sono misero e bisognoso; o Dio, affrettati a soccorrermi; tu sei il mio aiuto e il mio liberatore, o Eterno, non tardare! In te mi confido, o Eterno, fa’ che io non sia mai confuso. Per la tua giustizia, liberami, mettimi al sicuro! Inchina a me il tuo orecchio, e salvami! Sii per me una rocca in cui trovo scampo, una fortezza dove io possa sempre rifugiarmi! Tu hai ordinato che io sia salvato, perché sei la mia rupe e la mia fortezza. O mio Dio, liberami dalla mano dell’empio, dalla mano del perverso e del violento! Poiché tu sei la mia speranza, o Signore, o Eterno, la mia fiducia fin dalla mia fanciullezza. Tu sei stato il mio sostegno fin dal grembo materno, sei tu che mi hai tratto dal seno di mia madre; tu sei continuamente l’oggetto della mia lode. Io sono per molti come un prodigio, ma tu sei il mio rifugio sicuro. Sia la mia bocca ripiena della tua lode, e celebri ogni giorno la tua gloria! Non respingermi nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando le mie forze declinano. Perché i miei nemici sparlano di me, e quelli che spiano l’anima mia cospirano assieme, dicendo: “Dio l’ha abbandonato; inseguitelo e prendetelo, perché non c’è nessuno che lo liberi”. O Dio, non allontanarti da me, mio Dio, affrettati a soccorrermi! Siano confusi, siano annientati gli avversari dell’anima mia, siano coperti di vergogna e disonore quelli che desiderano il mio male! Ma io spererò sempre, e a tutte le tue lodi ne aggiungerò delle altre. La mia bocca racconterà ogni giorno la tua giustizia e le tue liberazioni, perché sono innumerevoli. Io mi farò avanti per proclamare i prodigi del Signore, dell’Eterno, ricorderò la tua giustizia, la tua soltanto. O Dio, tu mi hai ammaestrato dalla mia infanzia, e io, fino a oggi, ho annunciato le tue meraviglie. E ora, giunto alla vecchiaia e alla canizie, o Dio, non abbandonarmi, finché non abbia fatto conoscere il tuo braccio a questa generazione, e la tua potenza a quelli che verranno. Anche la tua giustizia, o Dio, è eccelsa; tu hai fatto cose grandi; o Dio, chi è simile a te? Tu, che ci hai fatto vedere molte e gravi difficoltà, ci darai di nuovo la vita e ci farai risalire dagli abissi della terra; tu accrescerai la mia grandezza, e tornerai a consolarmi. Allora ti celebrerò con il saltèrio, celebrerò la tua verità, o mio Dio! A te salmeggerò con la cetra, o Santo d’Israele! Le mie labbra gioiranno, quando salmeggerò a te, e l’anima mia pure, che tu hai riscattata. Anche la mia lingua parlerà tutto il giorno della tua giustizia, perché sono stati svergognati, sono stati confusi, quelli che cercavano il mio male. Di Salomone. O Dio, da’ i tuoi giudizi al re, e la tua giustizia al figlio del re; ed egli giudicherà il tuo popolo con giustizia, e i tuoi poveri con equità! I monti porteranno pace al popolo, e le colline giustizia! Egli farà giustizia agli afflitti del popolo, salverà i figli del bisognoso, e stroncherà l’oppressore! Ti temeranno finché duri il sole, finché duri la luna, per ogni età! Egli scenderà come pioggia sull’erba tagliata, come acquazzone che bagna la terra. Nei suoi giorni il giusto fiorirà, e vi sarà abbondanza di pace finché non vi sia più luna. Egli dominerà da un mare all’altro e dal fiume fino all’estremità della terra. Davanti a lui si inchineranno gli abitanti del deserto e i suoi nemici leccheranno la polvere. I re di Tarsis e le isole gli pagheranno il tributo, i re di Seba e di Saba gli offriranno doni; tutti i re gli si prostreranno davanti, tutte le nazioni lo serviranno. Poiché egli libererà il bisognoso che grida, e il misero che non ha chi lo aiuti. Egli avrà compassione dell’infelice e del bisognoso, e salverà l’anima dei poveri. Egli riscatterà l’anima loro dall’oppressione e dalla violenza, e il loro sangue sarà prezioso agli occhi suoi. Egli vivrà; e a lui sarà dato oro di Seba, la gente pregherà per lui tutto il giorno, lo benedirà sempre. Vi sarà abbondanza di grano nel paese, sulle cime dei monti. Ondeggeranno le spighe come fanno gli alberi del Libano, e gli abitanti delle città fioriranno come l’erba della terra! Il suo nome durerà in eterno, il suo nome si conserverà quanto il sole; e gli uomini si benediranno a vicenda in lui; tutte le nazioni lo proclameranno beato. Sia benedetto Dio, l’Eterno, il Dio d’Israele, egli solo opera prodigi! Sia benedetto in eterno il suo nome glorioso e tutta la terra sia piena della sua gloria! Amen! Amen! Qui finiscono le preghiere di Davide, figlio d’Isai. Salmo di Asaf. Certo, Dio è buono verso Israele, verso quelli che sono puri di cuore. Ma quasi inciamparono i miei piedi; poco mancò che i miei passi non scivolassero. Poiché invidiavo gli orgogliosi, vedendo la prosperità dei malvagi. Poiché per loro non vi sono dolori, il loro corpo è sano e pingue. Non sono tribolati come gli altri mortali, né sono colpiti come gli altri uomini. Perciò la superbia li cinge come una collana, la violenza li avvolge come un manto. I loro occhi gli escono dalle orbite per il grasso; dal loro cuore traboccano pensieri malvagi. Sbeffeggiano e tramano malvagiamente di opprimere; parlano altezzosamente, con arroganza. Alzano la loro bocca contro il cielo, e la loro lingua percorre la terra. Perciò il popolo si volge dalla loro parte, beve abbondantemente alla loro sorgente e dice: “Com’è possibile che Dio sappia ogni cosa, che vi sia conoscenza nell’Altissimo?”. Ecco, costoro sono empi; eppure, tranquilli sempre, essi accrescono i loro averi. Invano dunque ho purificato il mio cuore, e ho lavato le mie mani nell’innocenza! Poiché sono colpito ogni giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina. Se avessi detto: “Parlerò come loro”, avrei tradito la generazione dei tuoi figli. Ho voluto riflettere per comprendere questo, ma la cosa mi è parsa molto ardua, finché non sono entrato nel santuario di Dio, e non ho considerata la fine di costoro. Certo, tu li metti in luoghi sdrucciolevoli, tu li fai cadere in rovina. Come sono stati distrutti in un momento, travolti e portati via in circostanze terribili! Come avviene di un sogno quando uno si sveglia, così tu, o Signore, quando ti desterai, disprezzerai la loro vana apparenza. Quando il mio cuore si inacerbiva e io mi sentivo trafitto internamente, ero insensato e senza intendimento; io ero davanti a te come una bestia. Ma pure, io resto sempre con te; tu mi hai preso per la mano destra; tu mi guiderai con il tuo consiglio, e poi mi riceverai in gloria. Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra non desidero che te. La mia carne e il mio cuore possono venire meno, ma Dio è la ròcca del mio cuore e la mia parte in eterno. Poiché, ecco, quelli che si allontanano da te periranno; tu distruggi chiunque ti è infedele. Ma quanto a me, il mio bene è stare vicino a Dio; io ho fatto del Signore, dell’Eterno, il mio rifugio, per raccontare, o Dio, tutte le opere tue. Cantico di Asaf. O Dio, perché ci hai respinti per sempre? Perché arde l’ira tua contro il gregge del tuo pascolo? Ricòrdati del tuo popolo che acquistasti nei tempi antichi, che riscattasti perché fosse la tribù di tua proprietà; ricòrdati del monte Sion, di cui hai fatto la tua dimora! Dirigi i tuoi passi verso le rovine eterne; il nemico ha devastato tutto nel tuo santuario. I tuoi avversari hanno ruggito nel luogo delle tue assemblee; vi hanno posto le loro insegne per emblemi. Parevano come chi agita la scure nel folto di un bosco. Con l’ascia e con il martello, hanno spezzato tutte le sculture della tua casa. Hanno appiccato il fuoco al tuo santuario, hanno profanato la dimora del tuo nome, radendola al suolo. Hanno detto in cuor loro: “Distruggiamo tutto!”. Hanno arso tutti i luoghi delle assemblee divine nel paese. Noi non vediamo alcun segno; non c’è più profeta, né c’è chi fra noi sappia fino a quando. Fino a quando, o Dio, oltraggerà l’avversario? Il nemico disprezzerà il tuo nome per sempre? Perché ritiri la tua mano, la tua destra? Tirala fuori dal tuo seno, e distruggili! Ma Dio è il mio Re dai tempi antichi, colui che opera salvezza in mezzo alla terra. Tu, con la tua forza, dividesti il mare, tu spezzasti la testa ai mostri marini sulle acque, tu spezzasti la testa del leviatano, tu lo desti in pasto al popolo del deserto. Tu facesti sgorgare fonti e torrenti, tu asciugasti fiumi perenni. Tuo è il giorno, anche la notte è tua; tu hai stabilito la luna e il sole. Tu hai fissato tutti i confini della terra, tu hai fatto l’estate e l’inverno. Ricordati che il nemico ha oltraggiato l’Eterno, e che un popolo stolto ha disprezzato il tuo nome. Non lasciare alle belve la vita della tua tortora, non dimenticare per sempre il gregge dei tuoi poveri afflitti! Abbi riguardo al patto, poiché i luoghi tenebrosi della terra sono pieni di covi di violenza. L’oppresso non se ne torni svergognato; fa’ che il misero e il bisognoso lodino il tuo nome. Ergiti, o Dio, difendi la tua causa! Ricordati dell’oltraggio che ti è continuamente fatto dallo stolto. Non dimenticare il grido dei tuoi nemici, lo strepito incessante di quelli che si innalzano contro di te. Per il Maestro del coro. “Non distruggere”. Salmo di Asaf. Canto. Noi ti ringraziamo, o Dio, ti ringraziamo; quelli che invocano il tuo nome raccontano le tue meraviglie. Quando verrà il tempo che avrò fissato, io giudicherò con giustizia. Si dissolva la terra con tutti i suoi abitanti, io ne rendo stabili le colonne. Io dico agli orgogliosi: “Non vi gloriate!” e agli empi: “Non alzate il corno! Non alzate il vostro corno in alto, non parlate irrigidendo il collo!”. Poiché non è dal levante né dal ponente, né dal mezzogiorno che viene l’innalzamento; ma è Dio che giudica; egli abbassa l’uno e innalza l’altro. L’Eterno ha in mano una coppa piena di vino spumeggiante, pieno di mistura. Egli ne versa; certo tutti gli empi della terra lo scoleranno fino alle fecce. Ma io proclamerò sempre queste cose, salmeggerò al Dio di Giacobbe; schiaccerò la potenza degli empi, ma la potenza dei giusti sarà accresciuta. Per il Maestro del coro. Per strumenti a corda. Salmo di Asaf. Canto. Dio è conosciuto in Giuda; il suo nome è grande in Israele. Il suo tabernacolo è in Salem, e la sua dimora in Sion. Qua egli ha spezzato le frecce dell’arco, lo scudo, la spada e le armi da guerra. Tremendo sei tu, o Potente, quando ritorni dalle montagne della preda. I valorosi sono stati spogliati del loro bottino, colti da un sonno profondo; tutti gli uomini prodi sono stati ridotti all’impotenza. Alla tua minaccia, o Dio di Giacobbe, carri e cavalli sono stati presi da torpore. Tu, tu sei tremendo; e chi può resistere davanti a te quando ti adiri? Dal cielo facesti udire la tua sentenza; la terra ebbe paura e tacque, quando Dio si alzò per giudicare, per salvare tutti gli infelici della terra. Certo, il furore degli uomini ritornerà a lode tua; ti cingerai degli ultimi avanzi dei loro furori. Fate voti all’Eterno, al vostro Dio, e adempiteli; tutti quelli che gli stanno attorno portino doni al Tremendo, colui che recide lo spirito dei prìncipi, colui che è temuto dai re della terra. Per il Maestro del coro. Secondo Iedutun. Salmo di Asaf. La mia voce si eleva a Dio e io grido; la mia voce si eleva a Dio ed egli mi porge l’orecchio. Nel giorno della mia afflizione ho cercato il Signore, la mia mano è stata tesa durante la notte senza stancarsi, l’anima mia ha rifiutato di essere consolata. Io mi ricordo di Dio, e gemo; medito, e il mio spirito è abbattuto. Tu tieni desti gli occhi miei, sono turbato e non posso parlare. Ripenso ai giorni antichi, agli anni da lungo tempo passati. Mi ricordo dei miei canti durante la notte, medito nel mio cuore, e il mio spirito investiga: “Il Signore ci respinge forse per sempre? Non mostrerà più la sua bontà? La sua misericordia è venuta a mancare per sempre? La sua parola ha cessato per ogni generazione? Dio ha forse dimenticato di aver pietà? Ha egli nell’ira posto fine alle sue compassioni?”. Allora ho detto: “La mia afflizione sta in questo, che la destra dell’Altissimo è mutata”. Io rievocherò le opere dell’Eterno; sì, ricorderò le tue meraviglie antiche, mediterò su tutte le opere tue, e ripenserò alle tue gesta. O Dio, la tua via è santa; quale dio è grande come il nostro Dio? Tu sei il Dio che compie meraviglie; tu hai fatto conoscere la tua forza fra i popoli. Tu hai, con il tuo braccio, redento il tuo popolo, i figli di Giacobbe e di Giuseppe. Le acque ti videro, o Dio; le acque ti videro e furono spaventate; anche gli abissi tremarono. Le nubi versarono diluvi d’acqua; i cieli tuonarono; e anche le tue saette guizzarono da ogni parte. Il fragore del tuo tuono era nel turbine; i lampi illuminarono il mondo; la terra fu scossa e tremò. Apristi la tua via in mezzo al mare, i tuoi sentieri in mezzo alle grandi acque, e le tue orme non furono visibili. Tu guidasti il tuo popolo come un gregge, per mano di Mosè e di Aaronne. Cantico di Asaf. Ascolta, popolo mio, il mio insegnamento; porgi orecchio alle parole della mia bocca! Io aprirò la mia bocca in parabole, esporrò i misteri dei tempi antichi. Quel che abbiamo udito e conosciuto, e che i nostri padri ci hanno raccontato, non lo nasconderemo ai loro figli; diremo alla generazione futura le lodi dell’Eterno, la sua potenza e le meraviglie che egli ha operato. Egli stabilì una testimonianza in Giacobbe, e pose una legge in Israele, che egli ordinò ai nostri padri di far conoscere ai loro figli, perché fossero note alla generazione futura, ai figli che sarebbero nati, i quali, a loro volta, le avrebbero raccontate ai loro figli, perché ponessero in Dio la loro speranza e non dimenticassero le opere di Dio, ma osservassero i suoi comandamenti; e non fossero come i loro padri, una generazione caparbia e ribelle, una generazione dal cuore incostante, e il cui spirito non fu fedele a Dio. I figli di Efraim, gente di guerra, buoni arcieri, voltarono le spalle il giorno della battaglia. Non osservarono il patto di Dio, e rifiutarono di camminare secondo la sua legge; dimenticarono le sue opere e i prodigi che aveva mostrati loro. Egli aveva compiuto meraviglie in presenza dei loro padri, nel paese d’Egitto, nelle campagne di Soan. Divise il mare e li fece passare, e fermò le acque come in un mucchio. Di giorno li guidò con una nuvola, e per tutta la notte con una luce di fuoco. Fendé le rocce nel deserto, e li dissetò copiosamente, come da sorgenti profonde. Fece scaturire ruscelli dalla roccia e ne fece scendere dell’acqua come dei fiumi. Ma essi continuarono a peccare contro di lui, a ribellarsi contro l’Altissimo, nel deserto; tentarono Dio in cuor loro, chiedendo cibo secondo le proprie voglie. Parlarono contro Dio, dicendo: “Potrebbe Dio imbandirci una mensa nel deserto? Ecco, egli percosse la roccia e ne scaturì acqua, ne traboccarono torrenti; potrebbe darci anche del pane, e provvedere carne per il suo popolo?”. Perciò l’Eterno, avendoli uditi, si adirò aspramente, e un fuoco si accese contro Giacobbe, e l’ira sua si infuriò contro Israele, perché non avevano creduto in Dio, né avevano avuto fiducia nella sua salvezza. Eppure egli comandò alle nuvole di sopra, e aprì le porte del cielo, fece piovere su loro manna come cibo e diede loro il frumento del cielo. L’uomo mangiò del pane dei potenti; egli mandò loro del cibo a sazietà. Fece alzare in cielo il vento orientale, e con la sua potenza scatenò il vento del mezzogiorno; fece piovere su loro carne come polvere, degli uccelli alati, numerosi come la sabbia del mare; li fece cadere in mezzo al loro campo, tutt’intorno alle loro tende. Così essi mangiarono e furono saziati, e Dio mandò loro quel che avevano bramato. La loro avidità non era ancora stata soddisfatta, avevano ancora il cibo in bocca, quando l’ira di Dio si scatenò contro di loro, ne uccise i più vigorosi e abbatté i giovani d’Israele. A dispetto di tutto ciò peccarono ancora, e non credettero alle sue meraviglie. Perciò egli consumò i loro giorni in un niente e i loro anni con un terrore improvviso. Quando li faceva perire, essi lo ricercavano e ritornavano desiderosi di ritrovare Dio; e si ricordavano che Dio era la loro rocca, e il Dio altissimo il loro redentore. Essi però lo lusingavano con la bocca, e gli mentivano con la lingua. Il loro cuore non era sincero con lui, e non erano fedeli al suo patto. Ma egli, che è pietoso, che perdona l’iniquità e non distrugge il peccatore, più volte trattenne la sua ira, e non lasciò divampare tutto il suo furore. Egli si ricordò che essi erano carne, un fiato che passa e non ritorna. Quante volte si ribellarono a lui nel deserto, e lo rattristarono in quella solitudine! Ricominciarono a tentare Dio e a provocare il Santo d’Israele. Non si ricordarono più della sua mano, del giorno in cui egli li liberò dal nemico, quando operò i suoi miracoli in Egitto, e i suoi prodigi nelle campagne di Soan. Egli mutò i loro fiumi e i loro ruscelli in sangue, perché non vi potessero più bere. Mandò contro di loro mosche velenose per divorarli e rane per distruggerli. Diede il loro raccolto ai bruchi e la loro fatica alle locuste. Distrusse le loro vigne con la grandine e i loro sicomori con i grossi chicchi d’essa. Abbandonò il loro bestiame alla grandine e le loro greggi ai fulmini. Scatenò su di loro la sua ira ardente, collera, indignazione e tribolazione, una schiera di messaggeri di sventure. Dette libero corso alla sua ira; non preservò dalla morte la loro anima, ma abbandonò la loro vita alla peste. Percosse tutti i primogeniti d’Egitto, le primizie del vigore nelle tende di Cam; ma fece partire il suo popolo come un gregge e lo condusse attraverso il deserto come una mandria. Li condusse sicuri e senza paura; mentre il mare inghiottiva i loro nemici. Li fece arrivare alla sua terra santa, alla montagna che la sua destra aveva conquistato. Scacciò le nazioni davanti a loro, assegnò loro a sorte il paese come eredità, e fece abitare le tribù d’Israele nelle loro tende. Nondimeno tentarono il Dio altissimo, si ribellarono e non osservarono le sue testimonianze. Si trassero indietro e furono sleali come i loro padri; si rivoltarono come un arco fallace; lo provocarono a ira con i loro alti luoghi, lo mossero a gelosia con i loro idoli. Dio udì, si adirò e prese Israele in grande avversione; abbandonò il tabernacolo di Silo, la tenda in cui aveva abitato fra gli uomini; lasciò condurre la sua forza in schiavitù e lasciò cadere la sua gloria in mano al nemico. Abbandonò il suo popolo alla spada e si adirò contro la sua eredità. Il fuoco consumò i loro giovani e le loro vergini non ebbero canto nuziale. I loro sacerdoti caddero di spada e le loro vedove non fecero lamento. Poi il Signore si risvegliò come dal sonno, simile a un prode che grida eccitato dal vino. Colpì i suoi nemici alle spalle, li coprì di eterna vergogna. Ripudiò la tenda di Giuseppe, non scelse la tribù di Efraim; ma elesse la tribù di Giuda, il monte di Sion che egli amava. Costruì il suo santuario come i luoghi altissimi, come la terra che egli ha fondata per sempre. Scelse Davide, suo servo, lo prese dagli ovili, dalle pecore che allattavano, per pascere Giacobbe, suo popolo, e Israele, sua eredità. Egli li pasturò secondo l’integrità del suo cuore e li guidò con mano sapiente. Salmo di Asaf. O Dio, le nazioni sono entrate nella tua eredità, hanno contaminato il tuo santo tempio, hanno ridotto Gerusalemme in un mucchio di rovine; hanno dato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi santi alle bestie della terra. Hanno sparso il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme, e non c’è stato alcuno che li seppellisse. Noi siamo diventati oggetto di derisione per i nostri vicini, oggetto di scherno e di beffa per quelli che ci circondano. Fino a quando, o Eterno? Sarai tu adirato per sempre? La tua gelosia arderà come un fuoco? Riversa la tua ira sulle nazioni che non ti conoscono e sui regni che non invocano il tuo nome, poiché hanno divorato Giacobbe e hanno devastato la sua dimora. Non ricordare contro di noi le iniquità dei nostri antenati; affrèttati, ci vengano incontro le tue compassioni, poiché siamo molto angosciati. Soccorrici, o Dio della nostra salvezza, per la gloria del tuo nome, liberaci e perdona i nostri peccati, per amore del tuo nome. Perché direbbero le nazioni: “Dov’è il loro Dio?”. Fa’ che la vendetta del sangue sparso dei tuoi servitori sia nota fra le nazioni, davanti agli occhi nostri. Giunga davanti a te il gemito dei prigionieri; secondo la potenza del tuo braccio, scampa quelli che sono condannati a morte. Restituisci ai nostri vicini sette volte tanto l’oltraggio che ti hanno fatto, o Signore! E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti celebreremo in eterno, proclameremo la tua lode per ogni età. Per il Maestro del coro. Sopra “I gigli della testimonianza”. Salmo di Asaf. Porgi orecchio, o Pastore d’Israele, che guidi Giuseppe come un gregge; o tu che siedi sopra i cherubini, fa’ risplendere la tua gloria! Davanti a Efraim, a Beniamino e a Manasse, risveglia la tua potenza e vieni a salvarci! O Dio, ristoraci, fa’ risplendere il tuo volto e saremo salvati. O Eterno, Dio degli eserciti, fino a quando sarai tu irritato contro la preghiera del tuo popolo? Tu li hai cibati con il pane di pianto, e li hai abbeverati di lacrime in abbondanza. Tu fai di noi un oggetto di contesa per i nostri vicini, e i nostri nemici ridono di noi. O Dio degli eserciti, ristoraci, fa’ risplendere il tuo volto e saremo salvati. Tu trasportasti dall’Egitto una vite; cacciasti le nazioni e la piantasti; sgombrasti il terreno davanti a lei, essa mise radici e riempì la terra. I monti furono coperti della sua ombra, e i suoi tralci furono come cedri altissimi. Stese i suoi rami fino al mare, e i suoi germogli sino al fiume. Perché hai rotto le sue mura di cinta, cosicché tutti i passanti la spogliano? Il cinghiale del bosco la devasta e le bestie della campagna ne fanno il loro pascolo. O Dio degli eserciti, ritorna; guarda dal cielo, vedi e visita questa vigna; proteggi quello che la tua destra ha piantato, e il germoglio che hai fatto crescere forte per te. Essa è arsa dal fuoco, è recisa; il popolo perisce alla minaccia del tuo volto. Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che hai reso forte per te, e noi non ci allontaneremo da te. Facci rivivere, e noi invocheremo il tuo nome. O Eterno, Dio degli eserciti, ristoraci, fa’ risplendere il tuo volto e saremo salvati. Per il Maestro del coro. Sulla Ghittea. Salmo di Asaf. Cantate con gioia a Dio, nostra forza; mandate grida di allegrezza al Dio di Giacobbe! Intonate un salmo e fate risuonare il cembalo, l’arpa melodiosa e la cetra. Suonate la tromba alla luna nuova, alla luna piena, al giorno della nostra festa. Poiché questo è uno statuto per Israele, una legge del Dio di Giacobbe. Egli lo stabilì come testimonianza in Giuseppe, quando uscì contro il paese d’Egitto. Allora udii un linguaggio sconosciuto: “Io ho sottratto le tue spalle ai pesi, e le tue mani hanno lasciato la cesta. Nell’angoscia gridasti a me e io ti liberai; ti risposi nascosto in mezzo ai tuoni, ti misi alla prova alle acque di Meriba”. Ascolta, o popolo mio, e io ti darò degli ammonimenti; o Israele, se tu mi ascoltassi! Non vi sia in mezzo a te alcun dio straniero, e non adorare alcun dio estraneo: Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che ti fece risalire dal paese d’Egitto; allarga la tua bocca, e io la riempirò. Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha ubbidito. Perciò li abbandonai alla durezza del loro cuore, perché camminassero secondo il loro consiglio. Oh, se il mio popolo volesse ascoltarmi, se Israele volesse camminare nelle mie vie! Subito assoggetterei i loro nemici, e rivolgerei la mia mano contro i loro avversari. Quelli che odiano l’Eterno striscerebbero davanti a lui, e la loro sorte sarebbe decisa per sempre. Io li nutrirei del fior di frumento, e li sazierei di miele che stilla dalla roccia. Salmo di Asaf. Dio sta nell’assemblea divina; egli giudica in mezzo agli dèi. “Fino a quando giudicherete ingiustamente, e avrete riguardo agli empi? Difendete il debole e l’orfano, rendete giustizia all’afflitto e al povero! Liberate il misero e il bisognoso, salvatelo dalla mano degli empi! Essi non conoscono né capiscono nulla; camminano nelle tenebre; tutte le fondamenta della terra sono scosse. Io ho detto: ‘Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo’. Nondimeno morrete come gli altri uomini, e cadrete come qualunque altro principe”. Sorgi, o Dio, giudica la terra, poiché tutte le nazioni sono la tua eredità. Canto. Salmo di Asaf. O Dio, non tacere; non restare in silenzio e inerte, o Dio! Poiché, ecco, i tuoi nemici si agitano rumorosamente, e quelli che ti odiano alzano la testa. Complottano contro il tuo popolo e ordiscono trame contro quelli che tu proteggi. Dicono: “Venite, distruggiamoli come nazione, e il nome d’Israele non sia più ricordato”. Poiché si sono accordati con uno stesso sentimento, fanno un patto contro di te: le tende di Edom e gli Ismaeliti; Moab e gli Agareni; Ghebal, Ammon e Amalec; la Filistia con gli abitanti di Tiro; anche l’Assiria si è aggiunta a loro; prestano il loro braccio ai figli di Lot. Fa’ a loro come facesti a Madian, a Sisera, a Iabin presso al torrente di Chison, i quali furono distrutti a En-Dor, e servirono di concime alla terra. Rendi i loro capi simili a Oreb e Zeeb, e tutti i loro prìncipi simili a Zeba e Salmunna; poiché dicono: “Impossessiamoci delle dimore di Dio”. Dio mio, rendili simili al turbine, simili a stoppia dispersa dal vento. Come il fuoco brucia la foresta, e come la fiamma incendia i monti, così inseguili con la tua tempesta, e spaventali con il tuo uragano. Copri la loro faccia di vergogna, perché cerchino il tuo nome, o Eterno! Siano delusi e confusi per sempre, siano svergognati e periscano! E conoscano che tu, il cui nome è l’Eterno, tu solo sei l’Altissimo su tutta la terra. Per il Maestro del coro. Sulla Ghittea. Salmo dei figli di Core. Oh, quanto sono amabili le tue dimore, o Eterno degli eserciti! L’anima mia langue e viene meno, bramando i cortili dell’Eterno; il mio cuore e la mia carne mandano grida di gioia al Dio vivente. Anche il passero si trova una casa e la rondine un nido dove posare i suoi piccini, presso i tuoi altari, o Eterno degli eserciti, Re mio, Dio mio! Beati quelli che abitano nella tua casa, e ti lodano del continuo! Beati quelli che trovano in te la loro forza, che hanno il cuore alle vie del Santuario! Quando attraversano la valle di Baca, essi la trasformano in luogo di fonti; e la pioggia d’autunno la ricopre di benedizioni. Essi vanno di forza in forza e compaiono infine davanti a Dio in Sion. O Eterno, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera; porgi l’orecchio, o Dio di Giacobbe! O Dio, scudo nostro, vedi e riguarda il volto del tuo unto! Poiché un giorno nei tuoi cortili val meglio che mille altrove. Io preferirei piuttosto starmene sulla soglia della casa del mio Dio, che abitare nelle tende degli empi. Perché l’Eterno Dio è sole e scudo; l’Eterno concederà grazia e gloria. Egli non rifiuterà alcun bene a quelli che camminano nell’integrità. O Eterno degli eserciti, beato l’uomo che confida in te! Per il Maestro del coro. Salmo dei figli di Core. O Eterno, tu sei stato propizio alla tua terra, tu hai ricondotto Giacobbe dalla schiavitù. Tu hai perdonato l’iniquità del tuo popolo, hai coperto tutti i loro peccati. Tu hai placato il tuo cruccio, hai messo fine alla tua ira ardente. Ristoraci, o Dio della nostra salvezza, fa’ cessare la tua indignazione contro di noi. Sarai adirato con noi per sempre? Prolungherai la tua ira d’età in età? Non tornerai tu a ravvivarci, perché il tuo popolo si rallegri in te? Mostraci la tua bontà, o Eterno, e concedici la tua salvezza. Io ascolterò quel che dirà Dio, l’Eterno, poiché egli parlerà di pace al suo popolo e ai suoi fedeli; purché non ritornino più alla follia! Certo, la sua salvezza è vicina a quelli che lo temono, affinché la gloria abiti nel nostro paese. La bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate. La verità germoglia dalla terra, e la giustizia guarda dal cielo. Anche l’Eterno largirà ogni bene, e la nostra terra produrrà il suo frutto. La giustizia camminerà davanti a lui, e seguirà la via dei suoi passi. Preghiera di Davide. Inclina l’orecchio, o Eterno, e rispondimi, perché io sono povero e afflitto. Proteggi l’anima mia, perché sono di quelli che t’amano. Dio mio, salva il tuo servitore che confida in te! Abbi pietà di me, o Signore, perché io grido a te tutto il giorno. Rallegra l’anima del tuo servitore, perché a te, o Signore, io elevo l’anima mia. Poiché tu, o Signore, sei buono, pronto a perdonare, e misericordioso verso quanti t’invocano. Porgi orecchio alla mia preghiera, o Eterno, e sii attento alla voce delle mie suppliche. Io t’invoco nel giorno della mia angustia, perché tu mi risponderai. Non c’è nessuno pari a te fra gli dèi, o Signore, né vi sono alcune opere pari alle tue. Tutte le nazioni che tu hai fatte verranno ad adorare nel tuo cospetto, o Signore, e glorificheranno il tuo nome. Poiché tu sei grande e fai meraviglie; tu solo sei Dio. O Eterno, insegnami la tua via; io camminerò nella tua verità; unisci il mio cuore al timore del tuo nome. Io ti celebrerò, Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo nome in eterno. Perché grande è la tua bontà verso di me: tu hai salvato l’anima mia dal soggiorno dei morti. O Dio, gente superba è insorta contro di me, e una schiera di violenti cerca l’anima mia, e non pongono te davanti agli occhi loro. Ma tu, Signore, sei un Dio pietoso e misericordioso, lento all’ira e grande in bontà e in verità. Volgiti a me, e abbi pietà di me; da’ la tua forza al tuo servitore, e salva il figlio della tua serva. Mostrami un segno del tuo favore, così quelli che mi odiano lo vedano e siano confusi, perché tu, o Eterno, mi avrai soccorso e consolato. Salmo dei figli di Core. Canto. L’Eterno ha fondato la sua città sui monti santi. Egli ama le porte di Sion più di tutte le dimore di Giacobbe. Cose gloriose sono dette di te, o città di Dio! “Menzionerò l’Egitto e Babilonia fra quelli che mi conoscono: Ecco la Filistia e Tiro con l’Etiopia: ciascuno d’essi è nato in Sion!”. E si dirà di Sion: “Questo qui e quello là sono nati in lei; e l’Altissimo stesso la renderà stabile”. L’Eterno iscriverà, passando in rassegna i popoli: “Questo è nato là”. E cantando e danzando diranno: “Tutte le fonti della mia gioia sono in te”. Canto. Salmo dei figli di Core. Per il Maestro del coro. Da cantarsi mestamente. Cantico di Eman, l’Ezraita. O Eterno, Dio della mia salvezza, io grido giorno e notte nel tuo cospetto. Giunga fino a te la mia preghiera, inclina il tuo orecchio al mio grido; poiché l’anima mia è sazia di mali, e la mia vita è giunta vicina al soggiorno dei morti. Io sono contato fra quelli che scendono nella tomba; sono come un uomo che non ha più forza. Sono prostrato, fra i morti, come gli uccisi che giacciono nella tomba, dei quali tu non ti ricordi più, e che sono fuori dalla portata della tua mano. Tu mi hai messo nella fossa più profonda, in luoghi tenebrosi, negli abissi. L’ira tua pesa su di me, tu mi hai abbattuto con tutti i tuoi flutti. Hai allontanato da me i miei amici, mi hai reso un’abominazione per loro. Io sono imprigionato e non posso uscire. I miei occhi si consumano per l’afflizione; io t’invoco ogni giorno, o Eterno, tendo le mie mani verso di te. Farai tu qualche miracolo per i morti? I defunti risorgeranno per celebrarti? La tua bontà sarà narrata nel sepolcro? O la tua fedeltà nel luogo della distruzione? Le tue meraviglie saranno esse note nelle tenebre, e la tua giustizia nella terra dell’oblìo? Ma, quanto a me, o Eterno, io grido a te, e la mattina la mia preghiera ti viene incontro. Perché, o Eterno, respingi l’anima mia? Perché nascondi il tuo volto da me? Io sono afflitto, e morente fin da giovane; io porto il peso dei tuoi terrori e sono smarrito. Il tuo furore è passato sopra di me, i tuoi spaventi mi hanno annientato, mi circondano come acque ogni giorno, mi circondano tutti assieme. Hai allontanato da me amici e conoscenti; le tenebre sono la mia compagnia. Cantico di Etan l’Ezraita. Io canterò per sempre la bontà dell’Eterno; la mia bocca annuncerà la tua fedeltà d’età in età. Poiché ho detto: “La tua bontà sussiste in eterno; nei cieli è fondata la tua fedeltà”. “Io”, dice l’Eterno, “ho fatto un patto con il mio eletto; ho fatto questo giuramento a Davide, mio servitore: Io stabilirò la tua discendenza in eterno, ed edificherò il tuo trono per ogni età”. Anche i cieli celebrano le tue meraviglie, o Eterno, e la tua fedeltà nell’assemblea dei santi. Poiché chi, nei cieli, è paragonabile all’Eterno? Chi è simile all’Eterno tra i figli di Dio? Dio è temuto nell’assemblea dei santi, e tremendo tra tutti quelli che lo circondano. O Eterno, Dio degli eserciti, chi è potente come te, o Eterno? La tua fedeltà ti circonda da ogni parte. Tu domi l’orgoglio del mare; quando le sue onde si innalzano, tu le plachi. Tu hai infranto l’Egitto, ferendolo a morte; con braccio potente, hai disperso i tuoi nemici. I cieli sono tuoi, tua pure è la terra; tu hai fondato il mondo e tutto ciò che è in esso. Hai creato il settentrione e il meridione; il Tabor e l’Ermon mandano grida di gioia al tuo nome. Tu hai un braccio potente; la tua mano è forte, alta è la tua destra. Giustizia e diritto sono la base del tuo trono, bontà e verità vanno davanti al tuo cospetto. Beato il popolo che conosce il grido di giubilo; esso cammina, o Eterno, alla luce del tuo volto; festeggia tutto il giorno nel tuo nome ed esulterà nella tua giustizia. Perché tu sei la gloria della loro forza; e con il tuo favore accresci la nostra potenza. Poiché il nostro scudo appartiene all’Eterno, e il nostro re al Santo d’Israele. Tu parlasti già in visione al tuo diletto, e dicesti: “Ho prestato aiuto a un prode, ho innalzato un eletto fra il popolo. Ho trovato Davide, mio servitore, l’ho unto con l’olio mio santo; la mia mano sarà salda nel sostenerlo, e il mio braccio lo fortificherà. Il nemico non lo sorprenderà, e il perverso non l’opprimerà. Annienterò davanti a lui i suoi nemici, e sconfiggerò quelli che l’odiano. La mia fedeltà e la mia bontà saranno con lui, e nel mio nome la sua potenza sarà esaltata. Stenderò la sua mano sul mare, e la sua destra sui fiumi. Egli m’invocherà, dicendo: ‘Tu sei il mio Padre, il mio Dio, e la ròcca della mia salvezza’. Inoltre, lo costituirò mio primogenito, il più eccelso dei re della terra. Gli conserverò la mia grazia per sempre, il mio patto con lui rimarrà stabile. Renderò eterna la sua discendenza, e il suo trono simile ai giorni dei cieli. Se i suoi figli abbandonano la mia legge e non camminano secondo i miei ordini, se violano i miei statuti e non osservano i miei comandamenti, io punirò il loro peccato con la verga e la loro colpa con percosse; ma non gli ritirerò la mia grazia, e non verrò meno alla mia fedeltà. Io non violerò il mio patto, e non muterò la mia promessa. Una cosa ho giurato per la mia santità, e non mentirò a Davide: La sua discendenza durerà in eterno e il suo trono sarà davanti a me come il sole, sarà stabile per sempre come la luna; e il testimone che è nei cieli è fedele. Eppure ti sei adirato contro il tuo unto, l’hai respinto e disprezzato. Tu hai rinnegato il patto stretto con il tuo servitore, hai profanato la sua corona gettandola a terra. Tu hai rotto i suoi ripari, hai ridotto in rovine le sue fortezze. Tutti i passanti l’hanno saccheggiato, è diventato lo scherno dei vicini. Tu hai esaltato la destra dei suoi avversari, hai rallegrato tutti i suoi nemici. Tu hai smussato il filo della sua spada, e non l’hai sostenuto nella battaglia. Tu hai fatto cessare il suo splendore, e hai gettato a terra il suo trono. Tu hai abbreviato i giorni della sua giovinezza, l’hai coperto di vergogna. Fino a quando, o Eterno, ti nasconderai continuamente, e l’ira tua arderà come un fuoco? Ricòrdati quanto è fugace la mia vita, e per quale vanità tu hai creato tutti i figli degli uomini! Qual è l’uomo che viva senza vedere la morte? che scampi l’anima sua dal potere del soggiorno dei morti? Signore, dov’è la tua antica bontà che giurasti a Davide nella tua fedeltà? Ricorda, Signore, l’oltraggio fatto ai tuoi servi; ricòrdati che io porto in cuore quello di tutti i grandi popoli, l’oltraggio di cui ti hanno ricoperto i tuoi nemici, o Eterno, l’oltraggio che hanno gettato sui passi del tuo unto. Benedetto sia l’Eterno per sempre. Amen! Amen! Preghiera di Mosè, uomo di Dio. O Signore, tu sei stato per noi un rifugio d’età in età. Prima che i monti fossero nati, e che tu avessi formato la terra e il mondo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio. Tu fai tornare i mortali in polvere e dici: “Ritornate, o figli degli uomini”. Perché mille anni, agli occhi tuoi, sono come il giorno di ieri che è passato, e come una veglia nella notte. Tu li porti via come in una piena; sono come un sogno. Sono come l’erba che verdeggia la mattina; la mattina essa fiorisce e verdeggia, la sera è segata e si secca. Poiché noi siamo consumati per la tua ira, e siamo atterriti per il tuo cruccio. Tu metti le nostre iniquità davanti a te, e i nostri peccati nascosti, alla luce del tuo volto. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo cruccio; noi finiamo gli anni nostri come un soffio. I giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni; o, per i più forti, a ottant’anni; e quel che ne fa l’orgoglio, non è che travaglio e vanità; perché passa presto, e noi ce ne voliamo via. Chi conosce la forza della tua ira e il tuo cruccio secondo il timore che ti è dovuto? Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio. Ritorna, o Eterno; fino a quando? e muoviti a pietà dei tuoi servitori. Saziaci al mattino della tua grazia, e noi esulteremo, gioiremo tutti i nostri giorni. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti, e degli anni che abbiamo sofferto il male. Appaia l’opera tua in favore dei tuoi servitori, e la tua gloria ai loro figli. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi, e rendi stabile l’opera delle nostre mani; sì, l’opera delle nostre mani rendila stabile. Chi abita al riparo dell’Altissimo riposa all’ombra dell’Onnipotente. Io dico all’Eterno: “Tu sei il mio rifugio e la mia fortezza, il mio Dio, in cui confido!”. Certo egli ti libererà dal laccio dell’uccellatore e dalla peste mortifera. Egli ti coprirà con le sue penne e sotto le sue ali troverai rifugio. La sua fedeltà ti è scudo e corazza. Tu non temerai lo spavento notturno, né la saetta che vola di giorno, né la peste che vaga nelle tenebre, né lo sterminio che infierisce in pieno mezzogiorno. Mille te ne cadranno al fianco e diecimila alla destra; ma tu non ne sarai colpito. Solo contemplerai con i tuoi occhi e vedrai il castigo degli empi. Poiché tu hai detto: “O Eterno, tu sei il mio rifugio”; tu hai fatto dell’Altissimo il tuo asilo, male alcuno non ti colpirà, né piaga alcuna si accosterà alla tua tenda. Poiché egli comanderà ai suoi angeli di proteggerti in tutte le tue vie. Essi ti porteranno sulla palma della mano, perché il tuo piede non inciampi in nessuna pietra. Tu camminerai sul leone e sull’aspide, calpesterai il leoncello e il serpente. Poiché egli ha posto in me il suo affetto, io lo salverò; lo proteggerò, perché conosce il mio nome. Egli m’invocherà, e io gli risponderò; sarò con lui nei momenti difficili; lo libererò, e lo glorificherò. Lo sazierò di lunga vita, e gli farò vedere la mia salvezza. Salmo. Canto per il giorno del sabato. È bello celebrare l’Eterno, e cantare lodi al tuo nome, o Altissimo; proclamare la mattina la tua bontà, e la tua fedeltà ogni notte, sulla lira a dieci corde e sulla cetra, con l’accordo solenne dell’arpa! Poiché tu mi rallegri con le tue meraviglie, o Eterno, io celebro con giubilo le opere delle tue mani. Come sono grandi le tue opere, o Eterno, quanto sono profondi i tuoi pensieri! L’uomo insensato non conosce e lo stolto non intende questo: che gli empi germogliano come l’erba e i malfattori fioriscono, per essere distrutti in eterno. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno, ecco, i tuoi nemici periranno, e i malfattori saranno dispersi. Ma tu mi dai la forza del bufalo; io sono unto d’olio fresco. I miei occhi hanno visto la rovina di quelli che mi insidiano, i miei orecchi hanno udito quel che avviene ai malvagi che mi assalgono. Il giusto fiorirà come la palma, crescerà come il cedro del Libano. Quelli che sono piantati nella casa dell’Eterno fioriranno nei cortili del nostro Dio. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia; saranno pieni di vigore e verdeggianti, per annunciare che l’Eterno è giusto; egli è la mia rocca, e non v’è ingiustizia in lui. L’Eterno regna; egli si è rivestito di maestà; l’Eterno si è rivestito, si è cinto di forza; il mondo quindi è stabile, e non sarà smosso. Il tuo trono è saldo dai tempi antichi, tu sei dall’eternità. I fiumi hanno elevato, o Eterno, i fiumi hanno elevato la loro voce; i fiumi elevano il loro fragore. Più delle voci delle grandi, delle potenti acque, più dei flutti del mare, l’Eterno è potente nei luoghi altissimi. I tuoi statuti sono perfettamente stabili; la santità si addice alla tua casa, o Eterno, per sempre. Dio delle vendette, o Eterno, Dio delle vendette, rivelati nel tuo fulgore! Ergiti, o giudice della terra, rendi ai superbi quanto si meritano! Fino a quando gli empi, o Eterno, fino a quando gli empi trionferanno? Fanno discorsi arroganti, tutti i malfattori si vantano. Schiacciano il tuo popolo, o Eterno, e opprimono la tua eredità. Uccidono la vedova e lo straniero, ammazzano gli orfani e dicono: “L’Eterno non vede, il Dio di Giacobbe non se ne cura”. Abbiate intendimento, o insensati! E voi, stolti, quando sarete saggi? Chi ha formato l’orecchio forse non sente? Chi ha fatto l’occhio forse non vede? Colui che corregge le nazioni non le punirà, lui che impartisce all’uomo la conoscenza? L’Eterno conosce i pensieri dell’uomo, sa che sono vanità. Beato l’uomo che tu correggi, o Eterno, e ammaestri con la tua legge per dargli sollievo nei giorni dell’avversità, finché la fossa sia scavata per l’empio. Poiché l’Eterno non respingerà il suo popolo, e non abbandonerà la sua eredità. Il giudizio sarà di nuovo fondato sulla giustizia, e tutti i retti di cuore lo seguiranno. Chi sorgerà per me contro i malvagi? Chi sarà al mio fianco contro i malfattori? Se l’Eterno non fosse stato il mio aiuto, a quest’ora l’anima mia abiterebbe il luogo del silenzio. Quand’ho detto: “Il mio piede vacilla”, la tua bontà, o Eterno, mi ha sostenuto. Quando ero turbato da grandi preoccupazioni, le tue consolazioni hanno confortato l’anima mia. Il trono dell’ingiustizia ti avrà forse per complice? esso, che trama oppressioni in nome della legge? Essi si lanciano assieme contro l’anima del giusto, e condannano il sangue innocente. Ma l’Eterno è il mio riparo, e il mio Dio è la ròcca in cui mi rifugio. Egli farà ricadere su di essi la loro iniquità e li distruggerà per la loro malizia; l’Eterno, il nostro Dio, li distruggerà. Venite, cantiamo con giubilo all’Eterno, mandiamo grida di gioia alla ròcca della nostra salvezza! Presentiamoci a lui con lodi, celebriamolo con salmi! Poiché l’Eterno è un Dio grande, e un gran Re sopra tutti gli dèi. Nelle sue mani stanno le profondità della terra, e le altezze dei monti sono sue. Suo è il mare perché egli l’ha fatto, e le sue mani hanno formato la terra asciutta. Venite, adoriamo e inchiniamoci, inginocchiamoci davanti all’Eterno che ci ha fatti! Poiché egli è il nostro Dio, e noi siamo il popolo che egli pasce, e il gregge che la sua mano conduce. Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, quando i vostri padri mi tentarono, mi misero alla prova sebbene avessero visto le mie opere. Quarant’anni ebbi in disgusto quella generazione, e dissi: “È un popolo sviato di cuore, e non hanno conosciute le mie vie”. Perciò giurai nell’ira mia: “Non entreranno nel mio riposo!”. Cantate all’Eterno un cantico nuovo, cantate all’Eterno, abitanti di tutta la terra! Cantate all’Eterno, benedite il suo nome, annunciate di giorno in giorno la sua salvezza! Raccontate la sua gloria fra le nazioni e le sue meraviglie fra tutti i popoli! Perché l’Eterno è grande e degno di sovrana lode; egli è tremendo sopra tutti gli dèi. Poiché tutti gli dèi dei popoli sono idoli vani, ma l’Eterno ha fatto i cieli. Splendore e maestà stanno davanti a lui, forza e bellezza stanno nel suo santuario. Date all’Eterno, o famiglie dei popoli, date all’Eterno gloria e forza. Date all’Eterno la gloria dovuta al suo nome, portategli offerte e venite nei suoi cortili. Prostratevi davanti all’Eterno vestiti di sacri ornamenti, tremate davanti a lui, o abitanti di tutta la terra! Dite fra le nazioni: “L’Eterno regna; il mondo quindi è stabile e non sarà smosso; l’Eterno giudicherà i popoli con rettitudine”. Si rallegrino i cieli e gioisca la terra; risuoni il mare e quanto contiene; esultino i campi e quanto contengono; tutti gli alberi delle foreste emettano grida di gioia nel cospetto dell’Eterno; poiché egli viene, viene a giudicare la terra. Egli giudicherà il mondo con giustizia e i popoli secondo la sua fedeltà. L’Eterno regna, gioisca la terra, la moltitudine delle isole si rallegri. Nuvole e oscurità lo circondano; giustizia ed equità sono le basi del suo trono. Un fuoco lo precede e consuma i suoi nemici tutt’intorno. I suoi lampi illuminano il mondo; la terra lo vede e trema. I monti si sciolgono come cera alla presenza dell’Eterno, davanti al Signore di tutta la terra. I cieli annunciano la sua giustizia, e tutti i popoli vedono la sua gloria. Sono confusi tutti quelli che adorano le immagini, che si gloriano degli idoli; si prostrano davanti a lui tutti gli dèi. Sion l’ha udito e si è rallegrata, e le figlie di Giuda hanno esultato per i tuoi giudizi, o Eterno! Poiché tu, o Eterno, sei l’Altissimo su tutta la terra; tu sei sommamente elevato sopra tutti gli dèi. O voi che amate l’Eterno, odiate il male! Egli custodisce le anime dei suoi fedeli, li libera dalla mano degli empi. La luce è spuntata per il giusto, e la gioia per i retti di cuore. Rallegratevi nell’Eterno, o giusti, e lodate il santo suo nome! Salmo. Cantate all’Eterno un cantico nuovo, perché egli ha compiuto meraviglie; la sua destra e il braccio suo santo l’hanno reso vittorioso. L’Eterno ha fatto conoscere la sua salvezza, ha manifestato la sua giustizia nel cospetto delle nazioni. Si è ricordato della sua bontà e della sua fedeltà verso la casa d’Israele; tutte le estremità della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio. Acclamate l’Eterno, abitanti di tutta la terra, date in canti di giubilo e di lode, salmeggiate all’Eterno con la cetra, con la cetra e la voce del canto. Con trombe e con il suono del corno, fate acclamazioni al Re, all’Eterno. Risuoni il mare e tutto ciò che è in esso; il mondo e i suoi abitanti. I fiumi battano le mani, i monti cantino assieme di gioia, davanti all’Eterno. Poiché egli viene a giudicare la terra; egli giudicherà il mondo con giustizia, e i popoli con rettitudine. L’Eterno regna; tremino i popoli; egli siede sui cherubini, la terra sia scossa. L’Eterno è grande in Sion, eccelso sopra tutti i popoli. Lodino essi il tuo nome grande e tremendo. Egli è santo. Lodino la forza del Re che ama la giustizia; sei tu che hai stabilito ciò che è giusto, che hai esercitato in Giacobbe il diritto e la giustizia. Esaltate l’Eterno, il nostro Dio, e prostratevi davanti allo sgabello dei suoi piedi. Egli è santo. Mosè e Aaronne fra i suoi sacerdoti, e Samuele fra quelli che invocavano il suo nome; invocarono l’Eterno ed egli rispose loro. Parlò loro dalla colonna della nuvola; essi osservarono le sue testimonianze e gli statuti che diede loro. Tu li esaudisti, o Eterno, Dio nostro! Fosti per loro un Dio clemente, benché tu punissi le loro cattive azioni. Esaltate l’Eterno, il nostro Dio, e adorate sul suo monte santo; perché l’Eterno, il nostro Dio, è santo. Salmo di lode. Mandate grida di gioia all’Eterno, o abitanti di tutta la terra! Servite l’Eterno con gioia, venite al suo cospetto con canti! Riconoscete che l’Eterno è Dio; è lui che ci ha fatti, e noi siamo suoi; siamo il suo popolo e il gregge che egli pasce. Entrate nelle sue porte con ringraziamento, e nei suoi cortili con lode; celebratelo, benedite il suo nome. Poiché l’Eterno è buono; la sua bontà dura in eterno e la sua fedeltà per ogni età. Salmo di Davide. Io canterò la bontà e la giustizia; a te, o Eterno, salmeggerò. Avrò cura di seguire la via perfetta; quando verrai a me? Camminerò con integrità di cuore, dentro la mia casa. Non mi proporrò alcuna cosa malvagia; detesto il comportamento di chi fa il male; non mi lascerò contagiare. Il cuore perverso si allontanerà da me; il malvagio non lo conoscerò. Distruggerò chi sparla del suo prossimo in segreto; chi ha l’occhio altero e il cuore gonfio non lo sopporterò. Avrò gli occhi sui fedeli del paese perché restino vicini a me; chi cammina nell’integrità sarà mio servitore. Chi agisce con inganno non abiterà nella mia casa; chi dice menzogne non potrà restare davanti ai miei occhi. Ogni mattina distruggerò tutti gli empi del paese per estirpare dalla città dell’Eterno tutti i malfattori. Preghiera dell’afflitto quand’è abbattuto e spande il suo lamento davanti all’Eterno. O Eterno, ascolta la mia preghiera e giunga fino a te il mio grido! Non nascondermi il tuo volto nel giorno della mia sventura; inclina a me il tuo orecchio; nel giorno che io grido, affrèttati a rispondermi. Poiché i miei giorni svaniscono come fumo e le mie ossa si consumano come un tizzone. Il mio cuore affranto si secca come l’erba; ho perfino dimenticato di mangiare il mio pane. A forza di gemere, la mia pelle si attacca alle mie ossa. Sono simile al pellicano del deserto, sono come il gufo dei luoghi desolati. Veglio e sono come il passero solitario sul tetto. I miei nemici mi oltraggiano ogni giorno; quelli che mi odiano imprecano contro di me, si servono del mio nome per bestemmiare. Io mangio cenere come fosse pane, mescolo con lacrime la mia bevanda a causa della tua indignazione e del tuo cruccio; perché mi hai sollevato in alto e gettato via. I miei giorni sono come l’ombra che si allunga e io inaridisco come l’erba. Ma tu, o Eterno, regni per sempre, e il tuo ricordo dura per ogni generazione. Tu sorgerai e avrai compassione di Sion, poiché è tempo di averne pietà; il tempo fissato è giunto. Perché i tuoi servi amano le sue pietre, e hanno pietà della sua polvere. Allora le nazioni temeranno il nome dell’Eterno, e tutti i re della terra la tua gloria, quando l’Eterno avrà riedificata Sion e sarà apparso nella sua gloria. Egli darà ascolto alla preghiera dei desolati e non disprezzerà la loro supplica. Questo sarà scritto per la generazione futura e il popolo che sarà creato loderà l’Eterno, perché egli guarda dall’alto del suo santuario; dal cielo l’Eterno osserva la terra per ascoltare i gemiti dei prigionieri, per liberare i condannati a morte, affinché proclamino il nome dell’Eterno in Sion e la sua lode in Gerusalemme, quando i popoli e i regni si raduneranno insieme per servire l’Eterno. Egli ha ridotto le mie forze durante il cammino; ha abbreviato i miei giorni. Io ho detto: “Dio mio, non portarmi via nel mezzo dei miei giorni”. I tuoi anni durano per ogni età; nel passato tu fondasti la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu rimani; tutti quanti si logoreranno come un vestito; tu li muterai come una veste e saranno mutati. Ma tu sei sempre lo stesso, e i tuoi anni non avranno mai fine. I figli dei tuoi servitori avranno una dimora, e la loro discendenza sarà stabile davanti a te. Di Davide. Benedici, anima mia, l’Eterno; e tutto quello che è in me, benedica il suo santo nome. Benedici, anima mia, l’Eterno, e non dimenticare nessuno dei suoi benefici. Egli perdona tutte le tue iniquità, sana tutte le tue infermità, redime la tua vita dalla fossa e ti corona di bontà e di compassioni; sazia di beni la tua bocca e ti fa ringiovanire come l’aquila. L’Eterno agisce con giustizia e difende la causa degli oppressi. Egli fece conoscere a Mosè le sue vie e ai figli d’Israele le sue opere. L’Eterno è pietoso e clemente, lento all’ira e ricco di bontà. Egli non contende in eterno, né serba l’ira sua per sempre. Egli non ci ha trattati secondo i nostri peccati, né ci ha retribuiti secondo le nostre iniquità. Poiché quanto i cieli sono alti al di sopra della terra, tanto è grande la sua bontà verso quelli che lo temono. Come è lontano l’oriente dall’occidente, così egli ha allontanato da noi le nostre colpe. Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso l’Eterno verso quelli che lo temono. Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere. I giorni dell’uomo sono come l’erba; egli fiorisce come il fiore del campo; se un vento gli passa sopra egli non è più, e il luogo dov’era non lo riconosce più. Ma la bontà dell’Eterno è senza fine per quelli che lo temono, e la sua misericordia per i figli dei figli di quelli che osservano il suo patto, e si ricordano dei suoi comandamenti per metterli in pratica. L’Eterno ha stabilito il suo trono nei cieli, e il suo regno signoreggia su tutto. Benedite l’Eterno, voi suoi angeli, potenti e forti, che fate ciò che egli dice, ubbidendo alla voce della sua parola! Benedite l’Eterno, voi tutti gli eserciti suoi, che siete suoi ministri, e fate ciò che gli piace! Benedite l’Eterno, voi tutte le opere sue, in tutti i luoghi della sua signoria! Anima mia, benedici l’Eterno! Anima mia, benedici l’Eterno! o Eterno, mio Dio, tu sei sommamente grande; sei vestito di splendore e di maestà. Egli si ammanta di luce come di una veste; distende i cieli come una tenda; egli costruisce le sue alte stanze sulle acque; fa delle nuvole il suo carro, avanza sulle ali del vento; fa dei venti i suoi messaggeri, delle fiamme di fuoco i suoi ministri. Egli ha fondato la terra sulle sue basi; non sarà mai smossa. Tu l’avevi avvolta dell’oceano come di una veste, le acque si erano fermate sui monti. Alla tua minaccia esse si ritirarono, alla voce del tuo tuono fuggirono spaventate. Le montagne sorsero, le valli si abbassarono nel luogo che tu avevi stabilito per loro. Tu hai posto alle acque un limite che non oltrepasseranno; esse non torneranno a coprire la terra. Egli manda fonti nelle valli, ed esse scorrono fra le montagne; abbeverano tutte le bestie della campagna, gli asini selvatici vi si dissetano. Presso a quelle si riparano gli uccelli del cielo; in mezzo alle fronde fanno udire la loro voce. Egli irriga i monti dall’alto delle sue stanze, la terra è saziata con il frutto delle tue opere. Egli fa germogliare l’erba per il bestiame e le piante per il servizio dell’uomo, facendo uscire dalla terra il nutrimento: il vino che rallegra il cuore dell’uomo, l’olio che gli fa risplendere il volto e il pane che sostenta il cuore dei mortali. Gli alberi dell’Eterno sono saziati, i cedri del Libano che egli ha piantati. Gli uccelli vi fanno i loro nidi; la cicogna fa dei cipressi la sua dimora; le alte montagne sono per i camosci, le rocce sono il rifugio degli iràci. Egli ha fatto la luna per le stagioni; il sole conosce il suo tramonto. Tu mandi le tenebre e viene la notte, nella quale si muovono tutte le bestie delle foreste. I leoncelli ruggiscono dietro la preda e chiedono il loro pasto a Dio. Sorge il sole, esse si ritirano e si accovacciano nelle loro tane. L’uomo esce all’opera sua e al suo lavoro fino alla sera. Quanto sono numerose le tue opere, o Eterno! Tu le hai fatte tutte con sapienza; la terra è piena delle tue ricchezze. Ecco il mare, grande e vasto, dove si muovono creature senza numero, animali piccoli e grandi. Lo percorrono le navi e quel leviatano che hai creato per scherzare in esso. Tutti quanti sperano in te perché tu dia loro il cibo a suo tempo. Tu lo dai loro ed essi lo raccolgono; tu apri la mano ed essi sono saziati di beni. Tu nascondi il tuo volto, essi sono smarriti; tu ritiri il loro fiato ed essi muoiono e tornano nella loro polvere. Tu mandi il tuo spirito, essi sono creati, e tu rinnovi la faccia della terra. Duri per sempre la gloria dell’Eterno, si rallegri l’Eterno nelle opere sue! Egli guarda la terra ed essa trema; egli tocca i monti ed essi fumano. Io canterò all’Eterno finché vivrò; salmeggerò al mio Dio finché esisterò. Possa la mia meditazione essergli gradita! Io mi rallegrerò nell’Eterno. Spariscano i peccatori dalla terra, e gli empi non siano più! Anima mia, benedici l’Eterno. Alleluia. Celebrate l’Eterno, invocate il suo nome; fate conoscere le sue gesta fra i popoli. Cantate e salmeggiate a lui, meditate su tutte le sue meraviglie. Gloriatevi del suo santo nome; gioisca il cuore di chi cerca l’Eterno! Cercate l’Eterno e la sua forza, cercate sempre il suo volto! Ricordatevi dei prodigi che ha compiuto, dei suoi miracoli e dei giudizi della sua bocca, voi, figli di Abraamo, suo servitore, discendenza di Giacobbe, suoi eletti! Egli, l’Eterno, è il nostro Dio; i suoi giudizi si esercitano su tutta la terra. Egli si ricorda per sempre del suo patto, della parola da lui data per mille generazioni, del patto che fece con Abraamo, del giuramento che fece a Isacco, e che confermò a Giacobbe come uno statuto, a Israele come un patto eterno, dicendo: “Io ti darò il paese di Canaan come vostra eredità”. Non erano allora che poca gente, pochissimi e stranieri nel paese, e andavano da una nazione all’altra, da un regno a un altro popolo. Egli non permise che alcuno li opprimesse; anzi, per amor loro, castigò dei re, dicendo: “Non toccate i miei unti, e non fate alcun male ai miei profeti”. Poi chiamò la fame sul paese, e fece mancare del tutto il pane che li sostentava. Mandò davanti a loro un uomo. Giuseppe fu venduto come schiavo. I suoi piedi furono serrati nei ceppi, fu messo in catene di ferro, fino al tempo che avvenne quello che aveva detto. La parola dell’Eterno, nella prova, lo affinò. Allora il re lo fece slegare, il dominatore di popoli lo liberò; lo costituì signore della sua casa e governatore di tutti i suoi beni per legare i prìncipi a suo giudizio, e insegnare ai suoi anziani la sapienza. Allora Israele venne in Egitto, e Giacobbe soggiornò nel paese di Cam. Dio fece moltiplicare grandemente il suo popolo e lo rese più potente dei suoi avversari. Poi mutò il loro cuore perché odiassero il suo popolo, e tramassero inganni contro i suoi servitori. Egli mandò Mosè, suo servitore, e Aaronne, che aveva eletto. Essi compirono fra loro i miracoli da lui ordinati, fecero dei prodigi nella terra di Cam. Mandò le tenebre e fece oscurare l’aria, eppure non osservarono le sue parole. Cambiò le acque in sangue e fece morire i loro pesci. La terra brulicò di rane, fin nelle camere dei loro re. Egli parlò, e vennero mosche velenose e zanzare in tutto il loro territorio. Mandò loro grandine invece di pioggia, fiamme di fuoco sul loro paese. Percosse le loro vigne e i loro fichi e fracassò gli alberi del loro territorio. Egli parlò e vennero le locuste e i bruchi innumerevoli, che divorarono tutta l’erba del paese e mangiarono il frutto della terra. Poi percosse tutti i primogeniti del paese, le primizie della loro forza. Fece uscire gli Israeliti con argento e oro, e, nelle sue tribù, nessuno vacillò. L’Egitto si rallegrò della loro partenza, poiché erano terrorizzati a causa loro. Egli distese una nuvola per ripararli, e accese un fuoco per rischiararli di notte. A loro richiesta fece venire delle quaglie e li saziò con il pane del cielo. Egli fendé la roccia e ne scaturirono acque: esse scorrevano come un fiume nel deserto. Poiché egli si ricordò della sua parola santa e di Abraamo, suo servitore. Trasse fuori il suo popolo con allegrezza, i suoi eletti con giubilo. Diede loro i paesi delle nazioni ed essi presero possesso della fatica dei popoli, perché osservassero i suoi statuti e ubbidissero alle sue leggi. Alleluia. Alleluia! Celebrate l’Eterno, perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno. Chi può raccontare le gesta dell’Eterno, o proclamare tutta la sua lode? Beati coloro che osservano ciò che è giusto, e praticano il diritto in ogni tempo! O Eterno, ricordati di me, con la benevolenza che usi verso il tuo popolo; visitami con la tua salvezza, affinché io veda il bene dei tuoi eletti, gioisca dell’allegrezza della tua nazione e mi glorî con la tua eredità. Noi e i nostri padri abbiamo peccato, abbiamo commesso l’iniquità, abbiamo fatto il male. I nostri padri in Egitto non compresero i tuoi prodigi; non si ricordarono dei tuoi numerosi benefici e si ribellarono presso il mare, il Mar Rosso. Nondimeno egli li salvò per amore del suo nome, per far conoscere la sua potenza. Sgridò il Mar Rosso ed esso si prosciugò; li condusse attraverso gli abissi come attraverso un deserto. Li salvò dalla mano di chi li odiava, e li redense dalla mano del nemico. Le acque coprirono i loro avversari; non ne scampò neppur uno. Allora credettero alle sue parole, e cantarono la sua lode. Ben presto, però, dimenticarono le sue opere; non aspettarono fiduciosi l’esecuzione dei suoi propositi, ma furono presi da cupidigia nel deserto, e tentarono Dio nella solitudine. Egli diede loro quel che chiedevano, ma mandò contro di loro una piaga consumante. Furono mossi d’invidia contro Mosè nel campo, e contro Aaronne, il santo dell’Eterno. La terra si aprì, inghiottì Datan e seppellì quanti avevano seguito Abiram. Un fuoco si accese nella loro assemblea, la fiamma consumò gli empi. Fecero un vitello in Oreb, e adorarono un’immagine di metallo fuso; così sostituirono la gloria di Dio nella figura di un bue che mangia erba. Dimenticarono Dio, loro salvatore, che aveva fatto cose grandi in Egitto, cose meravigliose nel paese di Cam, cose tremende al Mar Rosso. Egli parlò di sterminarli; tuttavia Mosè, suo eletto, stette sulla breccia davanti a lui per impedire all’ira sua di distruggerli. Essi disprezzarono il paese delizioso, non credettero alla sua parola, mormorarono nelle loro tende e non diedero ascolto alla voce dell’Eterno. Perciò, egli alzò la mano su di loro, giurando di farli cadere nel deserto, di far perire la loro discendenza fra le nazioni e di disperderli per tutti i paesi. Si misero sotto il giogo di Baal-Peor e mangiarono dei sacrifici dei morti. Così irritarono Dio con le loro azioni, e una pestilenza scoppiò fra loro. Ma Fineas si alzò e fece giustizia, e il flagello cessò. E ciò gli fu messo in conto di giustizia per ogni generazione, per sempre. Lo provocarono anche presso le acque di Meriba, e venne del male a Mosè per causa loro; perché inasprirono il suo spirito ed egli parlò sconsideratamente. Essi non distrussero i popoli, come l’Eterno aveva loro comandato; ma si mescolarono con le nazioni, e impararono le loro opere: servirono i loro idoli, i quali divennero per essi un laccio, sacrificarono i loro figli e le loro figlie ai demòni, e sparsero il sangue innocente, il sangue dei loro figli e delle loro figlie, che sacrificarono agli idoli di Canaan; e il paese fu profanato dal sangue versato. Essi si contaminarono con le loro opere, e si prostituirono con le loro azioni. L’ira dell’Eterno si accese contro il suo popolo, ed egli ebbe in abominio la sua eredità. Li diede nelle mani delle nazioni, e furono signoreggiati da quelli che li odiavano. I loro nemici li oppressero e furono umiliati sotto la loro mano. Molte volte li liberò, ma essi furono ribelli nei loro propositi, e si rovinarono per la loro iniquità. Tuttavia, volse a loro lo sguardo quando furono in angoscia, quando udì il loro grido; si ricordò del suo patto con loro e, nella sua grande misericordia, si pentì. Fece anche trovare loro compassione presso tutti quelli che li avevano condotti in cattività. Salvaci, o Eterno, Dio nostro, e raccoglici fra le nazioni, affinché celebriamo il tuo santo nome, e ci gloriamo nel lodarti. Benedetto sia l’Eterno, il Dio d’Israele, d’eternità in eternità! E tutto il popolo dica: “Amen!”. Alleluia. Celebrate l’Eterno, perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno! Così dicano i riscattati dall’Eterno, che egli ha liberati dalla mano dell’avversario e raccolti da tutti i paesi, da oriente e da occidente, dal settentrione e dal meridione. Essi vagavano nel deserto per vie desolate; non trovavano città da abitare. Affamati e assetati, l’anima veniva meno in loro. Allora gridarono all’Eterno nella loro angoscia, ed egli li liberò dalle loro tribolazioni. Li condusse per la diritta via perché giungessero a una città da abitare. Celebrino l’Eterno per la sua bontà e per i suoi prodigi in favore degli uomini! Poiché egli ha saziato l’anima assetata, e ha colmato di beni l’anima affamata. Altri dimoravano in tenebre e in ombra di morte, prigionieri nell’afflizione e in catene, perché si erano ribellati alle parole di Dio e avevano disprezzato il consiglio dell’Altissimo; perciò egli umiliò i loro cuori nella sofferenza, caddero e nessuno li soccorse. Allora gridarono all’Eterno nella loro angoscia, ed egli li salvò dalle loro tribolazioni; li trasse fuori dalle tenebre, dall’ombra di morte e ruppe i loro legami. Celebrino l’Eterno per la sua bontà, e per i suoi prodigi in favore degli uomini! Poiché egli ha infranto le porte di bronzo, e ha spezzato le sbarre di ferro. Degli stolti erano afflitti per la loro condotta ribelle e per le loro iniquità. L’anima loro abborriva ogni cibo, ed erano giunti fino alle porte della morte. Allora gridarono all’Eterno nella loro angoscia, ed egli li salvò dalle loro tribolazioni. Mandò la sua parola e li guarì, li salvò dalla distruzione. Celebrino l’Eterno per la sua bontà e per i suoi prodigi in favore degli uomini! Offrano sacrifici di lode, e raccontino le sue opere con gioia! Ecco quelli che scendono in mare su navi, che trafficano sulle grandi acque; essi vedono le opere dell’Eterno e le sue meraviglie nell’abisso. Poiché egli comanda e fa alzare il vento di tempesta, che solleva le onde del mare. Salgono al cielo, scendono negli abissi; l’anima loro viene meno per l’angoscia. Traballano e barcollano come un ubriaco, e tutta la loro saggezza svanisce. Ma, gridando all’Eterno nella loro angoscia, egli li tira fuori dalle loro tribolazioni. Egli trasforma la tempesta in quiete, e le onde si calmano. Allora essi si rallegrano perché si sono calmate, ed egli li conduce al porto da loro desiderato. Celebrino l’Eterno per la sua bontà e per i suoi prodigi in favore degli uomini. Lo esaltino nell’assemblea del popolo e lo lodino nel consiglio degli anziani! Egli cambia i fiumi in deserto, e le fonti dell’acqua in luogo arido; la terra fertile in pianura di sale, per la malvagità dei suoi abitanti. Egli cambia il deserto in un lago, e la terra arida in fonti d’acqua. Là egli fa abitare gli affamati ed essi fondano una città da abitare. Vi seminano campi e vi piantano vigne, e ne raccolgono frutti abbondanti. Egli li benedice perché moltiplichino grandemente, ed egli non lascia diminuire il loro bestiame. Ma poi sono ridotti a pochi, umiliati per l’oppressione, per l’avversità e gli affanni. Egli riversa il disprezzo sui prìncipi, e li fa vagare per deserti senza una via; ma rialza il povero dall’afflizione, e fa moltiplicare le famiglie come greggi. Gli uomini retti lo vedono e si rallegrano, ma ogni malvagio ha la bocca chiusa. Chi è saggio osservi queste cose e consideri la bontà dell’Eterno. Canto. Salmo di Davide. Il mio cuore è ben disposto, o Dio, io canterò e salmeggerò con tutta la mia forza. Destatevi, saltèrio e cetra, io voglio risvegliare l’alba. Io ti celebrerò fra i popoli, o Eterno, e a te salmeggerò fra le nazioni. Perché la tua bontà giunge fino ai cieli e la tua fedeltà fino alle nuvole. Innàlzati, o Dio, al di sopra dei cieli, risplenda su tutta la terra la tua gloria! Affinché i tuoi diletti siano liberati, salvaci con la tua destra e rispondici. Dio ha parlato nella sua santità: “Io trionferò, spartirò Sichem e misurerò la valle di Succot. Mio è Galaad e mio è Manasse, Efraim è la forte difesa del mio capo e Giuda è il mio scettro. Moab è il bacino dove mi lavo; sopra Edom getterò il mio sandalo; sulla Filistia manderò grida di trionfo”. Chi mi guiderà alla città forte? Chi mi condurrà fino a Edom? Non sei forse tu, o Dio, che ci hai respinti, e non esci più, o Dio, con i nostri eserciti? Aiutaci a uscire dalle difficoltà, poiché vano è il soccorso dell’uomo. Con Dio noi faremo prodezze, ed egli schiaccerà i nostri nemici. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. O Dio della mia lode, non tacere, perché la bocca dell’empio e la bocca del disonesto si sono aperte contro di me; parlano contro di me con lingua bugiarda. Mi assediano con parole d’odio, e mi hanno fatto guerra senza motivo. In cambio dell’amore che mostro loro, mi accusano, e io non faccio che pregare. Essi mi hanno reso male per bene, e odio in cambio del mio amore. Suscita un empio contro di lui, e un accusatore stia alla sua destra. Quando sarà giudicato, esca condannato, e la sua preghiera gli sia imputata come peccato. Siano pochi i suoi giorni: un altro prenda il suo ufficio. Siano i suoi figli orfani e la sua moglie vedova. I suoi figli siano vagabondi e mendicanti, e cerchino il pane lontano dalle loro case in rovina. L’usuraio divori tutto il suo patrimonio ed estranei lo spoglino del frutto delle sue fatiche. Nessuno sia misericordioso con lui e nessuno abbia pietà dei suoi orfani. La sua discendenza sia distrutta; nella seconda generazione sia cancellato il loro nome! L’iniquità dei suoi padri sia ricordata dall’Eterno, e il peccato di sua madre non sia cancellato. Siano quei peccati sempre davanti all’Eterno, e faccia egli sparire dalla terra la sua memoria, Infatti non si è ricordato di fare il bene, ma ha perseguitato il misero, il povero, e chi ha il cuore spezzato, per farlo morire. Egli ha amato la maledizione, e questa gli è venuta addosso; non si è compiaciuto nella benedizione, ed essa si tiene lontana da lui. Si è avvolto di maledizione come se fosse la sua veste, ed essa è penetrata come acqua, dentro di lui e come olio nelle sue ossa. Sia per lui come vestito che lo ricopre, come cintura che lo lega per sempre! Tale sia, da parte dell’Eterno, la ricompensa per i miei avversari, e per quelli che proferiscono del male contro l’anima mia. Ma tu, o Eterno, o Signore, opera in mio favore, per amor del tuo nome; liberami, poiché la tua misericordia è buona. Io sono misero e povero e il mio cuore è piagato dentro di me. Me ne vado come un’ombra che si allunga, sono cacciato via come la locusta. Le mie ginocchia vacillano per i digiuni e il mio corpo è scarno e deperisce. Sono diventato un obbrobrio per loro; quando mi vedono, scuotono il capo. Aiutami, o Eterno, mio Dio, salvami per la tua grazia, e sappiano che questo è opera della tua mano, che sei tu, o Eterno, che l’hai fatto. Essi malediranno, ma tu benedirai; si innalzeranno e resteranno confusi, ma il tuo servitore si rallegrerà. I miei avversari saranno coperti d’infamia e avvolti nella loro vergogna come in un mantello! Io celebrerò grandemente l’Eterno con la mia bocca, lo loderò in mezzo alla moltitudine; poiché egli sta alla destra del povero per salvarlo da quelli che lo condannano a morte. Salmo di Davide. L’Eterno ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi”. L’Eterno stenderà da Sion lo scettro della sua potenza: Signoreggia in mezzo ai tuoi nemici! Il tuo popolo si offre volenteroso nel giorno che raduni il tuo esercito. Parata di santità, dal seno dell’alba, la tua gioventù viene a te come la rugiada. L’Eterno l’ha giurato e non si pentirà: “Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec”. Il Signore, alla tua destra, schiaccerà dei re nel giorno della sua ira, giudicherà le nazioni, e le riempirà di cadaveri, schiaccerà il capo ai nemici sopra un vasto paese. Berrà dal torrente lungo la via, e perciò alzerà il capo. Alleluia. Io celebrerò l’Eterno con tutto il cuore nel consiglio degli uomini retti e nell’assemblea. Grandi sono le opere dell’Eterno, ricercate da quelli che si dilettano in esse. Le sue opere sono splendore e magnificenza e la sua giustizia dura in eterno. Egli ha fatto sì che le sue meraviglie fossero ricordate; l’Eterno è misericordioso e pieno di compassione. Egli provvede il cibo a quelli che lo temono e si ricorda in eterno del suo patto. Egli ha fatto conoscere al suo popolo la potenza delle sue opere, dandogli l’eredità delle nazioni. Le opere delle sue mani sono verità e giustizia; tutti i suoi precetti sono fermi, stabili in eterno, fatti con verità e rettitudine. Egli ha mandato la redenzione al suo popolo, ha stabilito il suo patto per sempre; santo e tremendo è il suo nome. Il timore dell’Eterno è il principio della sapienza; hanno buon senno tutti quelli che mettono in pratica la sua legge. La sua lode dura in eterno. Alleluia. Beato l’uomo che teme l’Eterno, e trova grande gioia nei suoi comandamenti. Forte sulla terra sarà la sua discendenza; la generazione degli uomini retti sarà benedetta. Abbondanza e ricchezze sono nella sua casa, e la sua giustizia dura per sempre. La luce si eleva nelle tenebre per quelli che sono retti, per chi è misericordioso, pietoso e giusto. Felice l’uomo che ha compassione, dà in prestito e amministra i suoi affari con giustizia, poiché non sarà mai smosso; il giusto sarà ricordato per sempre. Egli non temerà alcuna cattiva notizia; il suo cuore è fermo, fiducioso nell’Eterno. Il suo cuore è saldo, privo di timori e, alla fine, vedrà sui suoi nemici quello che desidera. Egli ha donato generosamente ai bisognosi, la sua giustizia dura per sempre e la sua potenza si alza gloriosa. L’empio lo vede e si adira, digrigna i denti e si consuma; il desiderio degli empi fallirà. Alleluia. Lodate, o servi dell’Eterno, lodate il nome dell’Eterno! Sia benedetto il nome dell’Eterno ora e sempre! Dal sol levante fino al ponente sia lodato il nome dell’Eterno! L’Eterno è eccelso sopra tutte le nazioni, e la sua gloria è al di sopra dei cieli. Chi è simile all’Eterno, al nostro Dio, che siede sul trono in alto, che si abbassa a guardare nei cieli e sulla terra? Egli solleva il misero dalla polvere, e rialza il povero dal letame per farlo sedere con i prìncipi, con i prìncipi del suo popolo. Fa abitare la sterile in famiglia quale madre felice tra i suoi figli. Alleluia. Quando Israele uscì dall’Egitto e la casa di Giacobbe da un popolo di lingua straniera, Giuda divenne il santuario dell’Eterno, Israele il suo dominio. Il mare lo vide e fuggì, il Giordano tornò indietro. I monti saltarono come montoni e i colli come agnelli. Che avevi, o mare, che fuggisti? E tu, Giordano, che tornasti indietro? E voi, monti, che saltaste come montoni e voi, colli, come agnelli? Trema, o terra, alla presenza del Signore, alla presenza del Dio di Giacobbe, che mutò la roccia in lago, il macigno in sorgente d’acqua. Non a noi, o Eterno, non a noi, ma al tuo nome da’ gloria, per la tua bontà e per la tua fedeltà! Perché direbbero le nazioni: “Dov’è il loro Dio?”. Ma il nostro Dio è nei cieli; egli fa tutto ciò che gli piace. I loro idoli sono argento e oro, opera di mano d’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno naso e non odorano, hanno mani e non toccano, hanno piedi e non camminano, la loro gola non emette alcun suono. Come loro siano quelli che li fanno, tutti quelli che in essi confidano. O Israele, confida nell’Eterno! - Egli è il loro aiuto e il loro scudo. O casa d’Aaronne, confida nell’Eterno! - Egli è il loro aiuto e il loro scudo. O voi che temete l’Eterno, confidate nell’Eterno! - Egli è il loro aiuto e il loro scudo. L’Eterno si è ricordato di noi; egli benedirà, sì, benedirà la casa d’Israele, benedirà la casa di Aaronne, benedirà quelli che temono l’Eterno, piccoli e grandi. L’Eterno moltiplichi le sue grazie a voi e ai vostri figli. Siate benedetti dall’Eterno, che ha fatto il cielo e la terra. I cieli sono i cieli dell’Eterno, ma la terra l’ha data ai figli degli uomini. Non sono i morti che lodano l’Eterno, né alcuno di quelli che scendono nel luogo del silenzio; ma noi benediremo l’Eterno ora e sempre. Alleluia. Io amo l’Eterno perché egli ha udito la mia voce e le mie suppliche. Poiché egli ha inclinato verso di me il suo orecchio, io lo invocherò per tutto il corso dei miei giorni. I legami della morte mi avevano circondato, le angosce del soggiorno dei morti mi avevano colto; mi aveva raggiunto la disgrazia e il dolore. Ma io invocai il nome dell’Eterno: “O Eterno, libera l’anima mia!”. L’Eterno è pietoso e giusto e il nostro Dio è misericordioso. L’Eterno protegge i semplici; io ero ridotto in misero stato ed egli mi ha salvato. Ritorna, anima mia, al tuo riposo, perché l’Eterno t’ha colmata di beni. Poiché tu hai liberato l’anima mia dalla morte, gli occhi miei dalle lacrime e i miei piedi dalle cadute. Io camminerò alla presenza dell’Eterno, sulla terra dei viventi. Io ho creduto, perciò parlerò. Io ero grandemente afflitto. Io dicevo nel mio smarrimento: “Ogni uomo è bugiardo”. Che potrò ricambiare all’Eterno per tutti i benefici che mi ha fatti? Io prenderò il calice della salvezza e invocherò il nome dell’Eterno. Adempirò i miei voti all’Eterno, e lo farò in presenza di tutto il suo popolo. Cosa di gran momento è agli occhi dell’Eterno la morte dei suoi diletti. Sì, o Eterno, io sono tuo servitore, sono tuo servitore, figlio della tua serva; tu hai sciolto i miei legami. Io ti offrirò un sacrificio di lode e invocherò il nome dell’Eterno. Adempirò le mie promesse all’Eterno, e lo farò in presenza di tutto il suo popolo, nei cortili della casa dell’Eterno, in mezzo a te, o Gerusalemme. Alleluia. Lodate l’Eterno, voi nazioni tutte! Celebratelo, voi tutti i popoli! Poiché la sua bontà verso di noi è grande, e la fedeltà dell’Eterno dura per sempre. Alleluia. Celebrate l’Eterno, poiché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno. Sì, dica Israele: “La sua bontà dura in eterno”. Sì, dica la casa d’Aaronne: “La sua bontà dura in eterno”. Sì, dicano quelli che temono l’Eterno: “La sua bontà dura in eterno”. Dal fondo della mia angoscia invocai l’Eterno; l’Eterno mi rispose e mi portò in salvo. L’Eterno è per me; io non temerò; che cosa mi può fare l’uomo? L’Eterno è per me, fra quelli che mi soccorrono; e io vedrò quel che desidero su quelli che mi odiano. È meglio rifugiarsi nell’Eterno che confidare nell’uomo; è meglio rifugiarsi nell’Eterno che confidare nei prìncipi. Tutte le nazioni mi hanno circondato; nel nome dell’Eterno, eccole da me sconfitte. Mi hanno circondato, sì, mi hanno accerchiato; nel nome dell’Eterno, eccole da me sconfitte. Mi hanno circondato come api, ma sono state spente come fuoco di spine; nel nome dell’Eterno io le ho sconfitte. Tu mi hai spinto con violenza per farmi cadere, ma l’Eterno mi ha soccorso. L’Eterno è la mia forza e il mio cantico, ed è stato la mia salvezza. Un grido d’esultanza e di vittoria risuona nelle tende dei giusti: “La destra dell’Eterno fa prodezze”. La destra dell’Eterno si è alzata, la destra dell’Eterno fa prodezze. Io non morirò, anzi vivrò, e racconterò le opere dell’Eterno. Certo, l’Eterno mi ha castigato, ma non mi ha dato in balìa della morte. Apritemi le porte della giustizia; io entrerò per esse e celebrerò l’Eterno. Questa è la porta dell’Eterno; i giusti entreranno per essa. Io ti celebrerò perché tu mi hai risposto e sei stato la mia salvezza. La pietra che i costruttori avevano disprezzata è divenuta la pietra angolare. Questa è opera dell’Eterno, è cosa meravigliosa agli occhi nostri. Questo è il giorno che l’Eterno ha fatto; festeggiamo e rallegriamoci in esso. O Eterno, salvaci! O Eterno, facci prosperare! Benedetto colui che viene nel nome dell’Eterno! Noi vi benediciamo dalla casa dell’Eterno. L’Eterno è Dio e ha fatto risplendere la sua luce su di noi; legate la vittima della solennità con le corde e conducetela ai corni dell’altare. Tu sei il mio Dio, io ti celebrerò; tu sei il mio Dio, io ti esalterò. Celebrate l’Eterno, perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno. Beati quelli che sono integri nelle loro vie, che camminano secondo la legge dell’Eterno. Beati quelli che osservano le sue testimonianze, che lo cercano con tutto il cuore, e non compiono il male, ma camminano nelle sue vie. Tu hai stabilito i tuoi precetti perché siano osservati con cura. Siano le mie vie dirette all’osservanza dei tuoi statuti! Allora non sarò svergognato quando considererò tutti i tuoi comandamenti. Ti celebrerò con cuore retto quando avrò imparato i tuoi giusti decreti. Osserverò i tuoi statuti, non abbandonarmi mai. Come renderà il giovane la sua via pura? Con il badare a essa secondo la tua parola. Io ti ho cercato con tutto il mio cuore; non lasciarmi deviare dai tuoi comandamenti. Io ho riposto la tua parola nel mio cuore per non peccare contro di te. Tu sei benedetto, o Eterno; insegnami i tuoi statuti. Ho raccontato con le mie labbra tutti i giudizi della tua bocca. Gioisco seguendo le tue testimonianze, come se possedessi tutte le ricchezze. Io mediterò sui tuoi precetti e considererò i tuoi sentieri. Mi diletterò nei tuoi statuti e non dimenticherò la tua parola. Fa’ del bene al tuo servitore perché io viva e osservi la tua parola. Apri i miei occhi e contemplerò le meraviglie della tua legge. Io sono straniero sulla terra; non nascondermi i tuoi comandamenti. L’anima mia si consuma per il desiderio dei tuoi giudizi in ogni tempo. Tu ammonisci i superbi, i maledetti, che si allontanano dai tuoi comandamenti. Togli via da me l’insulto e il disprezzo perché ho osservato le tue testimonianze. Anche quando i potenti si siedono e parlano contro di me, il tuo servitore medita i tuoi statuti. Sì, le tue testimonianze sono il mio diletto; esse sono i miei consiglieri. L’anima mia è attaccata alla polvere; vivificami secondo la tua parola. Io ti ho narrato le mie vie e tu mi hai risposto; insegnami i tuoi statuti. Fammi comprendere la via dei tuoi precetti, e io mediterò le tue meraviglie. L’anima mia, dal dolore, si consuma in lacrime; rafforzami secondo la tua parola. Tieni lontana da me la via della menzogna e, nella tua grazia, fammi comprendere la tua legge. Io ho scelto la via della fedeltà, mi sono posto i tuoi giudizi davanti agli occhi. Sono legato alle tue testimonianze; o Eterno, non permettere che io sia confuso. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti, quando mi avrai allargato il cuore. Insegnami, o Eterno, la via dei tuoi statuti e io la seguirò sino alla fine. Dammi intelligenza e osserverò la tua legge; la praticherò con tutto il cuore. Conducimi per il sentiero dei tuoi comandamenti, poiché io mi diletto in esso. Inclina il mio cuore alle tue testimonianze e non alla cupidigia. Distogli gli occhi miei dal contemplare la vanità, e vivificami nelle tue vie. Mantieni la parola data al tuo servitore, che inculca il tuo timore. Allontana da me il disprezzo che mi avvilisce, perché i tuoi giudizi sono buoni. Ecco, io bramo i tuoi precetti, vivificami nella tua giustizia. Mi raggiunga la tua bontà, o Eterno, e la tua salvezza, secondo la tua parola; e avrò di che rispondere a chi mi offende, perché confido nella tua parola. Non mi togliere mai dalla bocca la parola della verità, perché spero nei tuoi giudizi. Io osserverò sempre la tua legge, per l’eternità. Camminerò nella libertà, perché ho cercato i tuoi precetti. Parlerò delle tue testimonianze davanti ai re e non sarò svergognato. Gioirò nei tuoi comandamenti, perché li amo. Alzerò le mie mani verso i tuoi comandamenti che amo, e mediterò i tuoi statuti. Ricordati della parola detta al tuo servitore; su di essa mi hai fatto sperare. Questo è il mio conforto nell’afflizione, che la tua parola mi vivifica. I superbi mi coprono di scherno, ma io non devìo dalla tua legge. Ricordo i tuoi giudizi antichi, o Eterno, e mi consolo. Un’ira ardente mi prende a causa degli empi che abbandonano la tua legge. I tuoi statuti sono i miei cantici, nella casa del mio pellegrinaggio. La notte io mi ricordo del tuo nome, o Eterno, e osservo la tua legge. Questo bene mi è toccato, di osservare i tuoi precetti. L’Eterno è la mia parte; ho promesso di osservare le tue parole. Ho cercato il tuo favore con tutto il cuore: “Abbi pietà di me, secondo la tua parola”. Ho riflettuto sulle mie vie e ho rivolto i miei passi verso le tue testimonianze. Mi sono affrettato, non ho indugiato a osservare i tuoi comandamenti. I lacci degli empi mi hanno avviluppato, ma io non ho dimenticato la tua legge. A mezzanotte mi alzo per lodarti a motivo dei tuoi giusti giudizi. Io sono amico di tutti quelli che ti temono e di quelli che osservano i tuoi precetti. O Eterno, la terra è piena della tua bontà; insegnami i tuoi statuti. Tu hai fatto del bene al tuo servitore, o Eterno, secondo la tua parola. Dammi buon senno e intelligenza, perché ho creduto nei tuoi comandamenti. Prima che fossi afflitto, andavo errando; ma ora osservo la tua parola. Tu sei buono e fai del bene; insegnami i tuoi statuti. I superbi hanno ordito menzogne contro di me, ma io osservo i tuoi precetti con tutto il cuore. Il loro cuore è insensibile come il grasso, ma io mi diletto nella tua legge. È stato un bene per me essere afflitto, perché imparassi i tuoi statuti. La legge della tua bocca per me val meglio di migliaia di monete d’oro e d’argento. Le tue mani mi hanno fatto e formato; dammi intelligenza e imparerò i tuoi comandamenti. Quelli che ti temono mi vedranno e si rallegreranno, perché ho sperato nella tua parola. Io so, o Eterno, che i tuoi giudizi sono giusti e che mi hai afflitto nella tua fedeltà. La tua bontà sia il mio conforto, secondo la parola data al tuo servo. Venga su di me la tua compassione e vivrò, perché la tua legge è la mia gioia. Siano confusi i superbi, perché, mentendo, pervertono la mia causa; ma io medito i tuoi precetti. Si rivolgano a me quelli che ti temono e quelli che conoscono le tue testimonianze. Sia il mio cuore integro nei tuoi statuti perché io non sia confuso. L’anima mia viene meno bramando la tua salvezza; io spero nella tua parola. Gli occhi miei vengono meno bramando la tua parola, mentre dico: “Quando mi consolerai?”. Poiché io sono divenuto come un otre al fumo; ma non dimentico i tuoi statuti. Quanti sono i giorni del tuo servitore? Quando farai giustizia di quelli che mi perseguitano? I superbi mi hanno scavato delle fosse; essi, che non agiscono secondo la tua legge. Tutti i tuoi comandamenti sono fedeltà; costoro mi perseguitano a torto; soccorrimi! Mi hanno fatto quasi sparire dalla terra; ma io non ho abbandonato i tuoi precetti. Vivificami secondo la tua bontà, e io osserverò la testimonianza della tua bocca. Per sempre, o Eterno, la tua parola è stabile nei cieli. La tua fedeltà dura per ogni età; tu hai fondato la terra ed essa sussiste. Tutto sussiste anche oggi secondo i tuoi ordini, perché ogni cosa è al tuo servizio. Se la tua legge non fosse stata il mio diletto, sarei già perito nella mia afflizione. Non dimenticherò mai i tuoi precetti, perché per essi tu mi hai vivificato. Io sono tuo, salvami, perché ho cercato i tuoi precetti. Gli empi mi hanno aspettato per farmi perire, ma io considero le tue testimonianze. Io ho visto che ogni cosa perfetta ha un limite, ma il tuo comandamento ha una estensione infinita. Oh, quanto amo la tua legge! è la mia meditazione di tutto il giorno. I tuoi comandamenti mi rendono più saggio dei miei nemici; perché sono sempre con me. Ho maggiore comprensione di tutti i miei maestri, perché le tue testimonianze sono la mia meditazione. Ho più intelligenza dei vecchi, perché ho osservato i tuoi precetti. Ho trattenuto i miei piedi da ogni sentiero malvagio, per osservare la tua parola. Non mi sono scostato dai tuoi giudizi, perché tu mi hai ammaestrato. Oh, come sono dolci le tue parole al mio palato! Sono più dolci del miele alla mia bocca. Mediante i tuoi precetti io divento intelligente; perciò odio ogni sentiero di falsità. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi. Io sono grandemente afflitto; o Eterno, vivificami secondo la tua parola. O Eterno, gradisci le offerte volontarie della mia bocca, e insegnami i tuoi giudizi. La vita mia è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono sviato dai tuoi precetti. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, perché sono la gioia del mio cuore. Io ho inclinato il mio cuore a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine. Io odio gli uomini dal cuore doppio, ma amo la tua legge. Tu sei il mio rifugio e il mio scudo; io spero nella tua parola. Allontanatevi da me, malvagi; io osserverò i comandamenti del mio Dio. Sostienimi secondo la tua parola, perché io viva, e non rendermi confuso nella mia speranza. Sii il mio sostegno e sarò salvo, terrò sempre i tuoi statuti davanti agli occhi. Tu disprezzi quanti si sviano dai tuoi statuti, perché il loro inganno è perfidia. Tu togli via come schiuma tutti gli empi dalla terra; perciò amo le tue testimonianze. La mia carne trema per la paura che ho di te, e io temo i tuoi giudizi. Io ho fatto ciò che è retto e giusto; non abbandonarmi ai miei oppressori. Dona sicurezza al tuo servitore, e non lasciare che i superbi mi opprimano. Gli occhi miei vengono meno, bramando la tua salvezza e la parola della tua giustizia. Opera verso il tuo servitore secondo la tua bontà, e insegnami i tuoi statuti. Io sono tuo servitore; dammi intelligenza, perché possa conoscere le tue testimonianze. È tempo che l’Eterno operi; essi hanno annullato la tua legge. Perciò io amo i tuoi comandamenti più dell’oro, più dell’oro finissimo. Perciò ritengo giusti tutti i tuoi precetti, e odio ogni sentiero di menzogna. Le tue testimonianze sono meravigliose, perciò l’anima mia le osserva. La dichiarazione delle tue parole illumina, dà intelletto ai semplici. Ho aperto la bocca e sospirato, perché ho bramato i tuoi comandamenti. Volgiti a me e abbi pietà di me, com’è giusto che tu faccia con chi ama il tuo nome. Rafferma i miei passi nella tua parola, e non lasciare che alcuna iniquità mi domini. Liberami dall’oppressione degli uomini, e io osserverò i tuoi precetti. Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servitore, e insegnami i tuoi statuti. Rivi di lacrime mi scendono dagli occhi, perché la tua legge non è osservata. Tu sei giusto, o Eterno, e retti sono i tuoi giudizi. Tu hai prescritto le tue testimonianze con giustizia e con grande fedeltà. Il mio zelo mi consuma perché i miei nemici hanno dimenticato le tue parole. La tua parola è pura d’ogni scoria; perciò il tuo servitore l’ama. Io sono piccolo e disprezzato, ma non dimentico i tuoi precetti. La tua giustizia è una giustizia eterna, e la tua legge è verità. Affanno e tribolazione mi hanno colto, ma i tuoi comandamenti sono la mia gioia. Le tue testimonianze sono giuste in eterno; dammi intelletto e io vivrò. Io grido con tutto il cuore; rispondimi, o Eterno! Osserverò i tuoi statuti. Io t’invoco; salvami e osserverò le tue testimonianze. Io mi alzo prima dell’alba e grido; io spero nella tua parola. Gli occhi miei prevengono le vigilie della notte, per meditare la tua parola. Ascolta la mia voce secondo la tua bontà; o Eterno, vivificami secondo la tua giustizia. Si accostano a me quelli che vanno dietro alla scelleratezza: essi sono lontani dalla tua legge. Tu sei vicino, o Eterno, e tutti i tuoi comandamenti sono verità. Da lungo tempo so dalle tue testimonianze che tu le hai stabilite in eterno. Considera la mia afflizione e liberami, perché non ho dimenticato la tua legge. Difendi tu la mia causa e riscattami; vivificami secondo la tua parola. La salvezza è lontana dagli empi, perché non cercano i tuoi statuti. Le tue compassioni sono grandi, o Eterno; vivificami secondo i tuoi giudizi. I miei persecutori e i miei avversari sono molti, ma io non devìo dalle tue testimonianze. Io ho visto gli sleali e ne ho provato orrore; perché non osservano la tua parola. Considera quanto amo i tuoi precetti! O Eterno, vivificami secondo la tua bontà. La somma della tua parola è verità; e tutti i tuoi giusti giudizi durano in eterno. I prìncipi mi hanno perseguitato senza ragione, ma il mio cuore ha timore delle tue parole. Mi rallegro della tua parola, come uno che trova un grande bottino. Odio e detesto la menzogna, ma amo la tua legge. Io ti lodo sette volte al giorno per i tuoi giusti giudizi. Grande pace hanno quelli che amano la tua legge, e non c’è nulla che possa farli cadere. Ho sperato nella tua salvezza, o Eterno, e ho messo in pratica i tuoi comandamenti. L’anima mia ha osservato le tue testimonianze, e io le amo grandemente. Ho osservato i tuoi precetti e le tue testimonianze, perché tutte le mie vie ti stanno davanti. Giunga il mio grido davanti a te, o Eterno; dammi intelletto secondo la tua parola. Giunga la mia supplicazione in tua presenza; liberami secondo la tua parola. Le mie labbra esprimeranno la tua lode, perché tu m’insegni i tuoi statuti. La mia lingua celebrerà la tua parola, perché tutti i tuoi comandamenti sono giustizia. La tua mano mi aiuti, perché ho scelto i tuoi precetti. Io bramo la tua salvezza, o Eterno, e la tua legge è la mia gioia. L’anima mia viva, ed essa ti loderà; mi soccorrano i tuoi giudizi. Io vado errando come pecora smarrita; cerca il tuo servitore, perché io non dimentico i tuoi comandamenti. Canto dei pellegrinaggi. Nella mia angoscia ho invocato l’Eterno, ed egli mi ha risposto. O Eterno, libera l’anima mia dalle labbra bugiarde, dalla lingua ingannatrice. Che ti sarà dato e che ti sarà aggiunto, o lingua ingannatrice? Frecce di guerriero, acute, con carboni di ginepro. Misero me che soggiorno in Mesec, e dimoro fra le tende di Chedar! L’anima mia troppo a lungo ha dimorato con colui che odia la pace! Io sono per la pace; ma, non appena parlo, essi sono per la guerra. Canto dei pellegrinaggi. Io alzo gli occhi ai monti… Da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dall’Eterno che ha fatto il cielo e la terra. Egli non permetterà che il tuo piede vacilli; colui che ti protegge non sonnecchierà. Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà. L’Eterno è colui che ti protegge; l’Eterno è la tua ombra; egli sta alla tua destra. Di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte. L’Eterno ti proteggerà da ogni male; egli proteggerà l’anima tua. L’Eterno proteggerà il tuo uscire e il tuo entrare da ora e in eterno. Canto dei pellegrinaggi. Di Davide. Io mi sono rallegrato quando mi hanno detto: “Andiamo alla casa dell’Eterno”. I nostri passi si sono fermati entro le tue porte, o Gerusalemme; Gerusalemme, che sei costruita come una città ben compatta, dove salgono le tribù, le tribù dell’Eterno, secondo il decreto imposto a Israele, per celebrare il nome dell’Eterno. Perché qua sono posti i troni per il giudizio, i troni della casa di Davide. Pregate per la pace di Gerusalemme! Possano prosperare quelli che ti amano! Pace sia entro i tuoi bastioni, e tranquillità nei tuoi palazzi! Per amore dei miei fratelli e dei miei amici, io dirò adesso: “La pace sia in te!”. Per amore della casa dell’Eterno, del nostro Dio, io cercherò il tuo bene. Canto dei pellegrinaggi. A te io alzo gli occhi miei, a te che siedi nei cieli! Ecco, come gli occhi dei servi guardano la mano del loro padrone, come gli occhi della serva guardano la mano della sua padrona, così gli occhi nostri guardano all’Eterno, al nostro Dio, finché egli abbia pietà di noi. Abbi pietà di noi, o Eterno, abbi pietà di noi, perché siamo più che sazi di disprezzo. L’anima nostra è più che sazia dello scherno della gente agiata e del disprezzo dei superbi. Canto dei pellegrinaggi. Di Davide. Se l’Eterno non fosse stato per noi, lo dica pure ora Israele, se l’Eterno non fosse stato per noi, quando gli uomini si sollevarono contro di noi, allora ci avrebbero inghiottiti vivi, quando l’ira loro ardeva contro di noi; allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull’anima nostra; allora le acque tempestose sarebbero passate sull’anima nostra. Benedetto sia l’Eterno che non ci ha dato in preda ai loro denti! L’anima nostra è scampata, come un uccello dal laccio degli uccellatori; il laccio è stato rotto e noi siamo scampati. Il nostro aiuto è nel nome dell’Eterno, che ha fatto il cielo e la terra. Canto dei pellegrinaggi. Quelli che confidano nell’Eterno sono come il monte di Sion, che non può essere smosso, ma sta saldo in eterno. Gerusalemme è circondata dai monti; e così l’Eterno circonda il suo popolo, ora e per sempre. Poiché lo scettro dell’empio non rimarrà per sempre sull’eredità dei giusti, affinché i giusti non mettano mano all’iniquità. O Eterno, fa’ del bene a quelli che sono buoni, e a quelli che sono retti di cuore. Ma quanti deviano per sentieri tortuosi, l’Eterno li disperderà insieme ai malfattori. Pace sia sopra Israele. Canto dei pellegrinaggi. Quando l’Eterno fece tornare i reduci di Sion, ci pareva di sognare. Allora la nostra bocca fu piena di sorrisi e la nostra lingua di canti d’allegrezza. Allora fu detto fra le nazioni: “L’Eterno ha fatto cose grandi per loro”. L’Eterno ha fatto cose grandi per noi, e noi siamo nella gioia. O Eterno, fa’ tornare i nostri che sono in schiavitù, come i ruscelli nella terra del Neghev. Quelli che seminano con lacrime, mieteranno con canti di gioia. Ben va piangendo colui che porta il seme da spargere, ma tornerà con canti di gioia quando porterà i suoi covoni. Canto dei pellegrinaggi. Di Salomone. Se l’Eterno non edifica la casa, invano vi si affaticano gli edificatori; se l’Eterno non protegge la città, invano vegliano le guardie. Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare e mangiate pane tribolato; egli dà altrettanto ai suoi diletti, mentre essi dormono. Ecco, i figli sono un dono che viene dall’Eterno; il frutto del grembo materno è un premio. Quali le frecce in mano di un prode, tali sono i figli della giovinezza. Beati quanti ne hanno la faretra piena! Non saranno confusi quando parleranno con i loro nemici alla porta. Canto dei pellegrinaggi. Beato chiunque teme l’Eterno e cammina nelle sue vie! Allora mangerai della fatica delle tue mani; sarai felice e prospererai. La tua moglie sarà come una vigna fruttifera all’interno della tua casa; i tuoi figli, come piante d’ulivo intorno alla tua tavola. Ecco, così sarà benedetto l’uomo che teme l’Eterno. L’Eterno ti benedica da Sion! Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita e vedere i figli dei tuoi figli. Pace sia sopra Israele. Canto dei pellegrinaggi. Molte volte mi hanno oppresso fin dalla mia giovinezza! Lo dica pure Israele: Molte volte mi hanno oppresso fin dalla mia giovinezza, ma non hanno potuto vincermi. Degli aratori hanno arato sul mio dorso, vi hanno tracciato i loro lunghi solchi. L’Eterno è giusto; egli ha tagliato le funi degli empi. Siano confusi e voltino le spalle tutti quelli che odiano Sion! Siano come l’erba dei tetti, che secca prima di crescere! Non se ne riempie la mano il mietitore, né le braccia chi lega i covoni; e i passanti non dicono: “La benedizione dell’Eterno sia sopra di voi; noi vi benediciamo nel nome dell’Eterno!”. Canto dei pellegrinaggi. O Eterno, io grido a te da luoghi profondi! Signore, ascolta il mio grido; siano le tue orecchie attente alla voce delle mie suppliche! O Eterno, se tu poni mente alle iniquità, Signore, chi potrà reggere? Ma presso di te c’è perdono affinché tu sia temuto. Io aspetto l’Eterno, l’anima mia l’aspetta, e io spero nella sua parola. L’anima mia anela al Signore più che le guardie non anelino al mattino, più che le guardie al mattino. O Israele, spera nell’Eterno, poiché presso l’Eterno vi è misericordia e la redenzione abbonda presso di lui. Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe. Canto dei pellegrinaggi. Di Davide. O Eterno, il mio cuore non è orgoglioso, e i miei occhi non sono altèri; non aspiro a cose troppo grandi e troppo alte per me. In verità l’anima mia è calma e tranquilla. Come un bimbo svezzato sul seno di sua madre, così è tranquilla in me l’anima mia. O Israele, spera nell’Eterno, ora e per sempre. Canto dei pellegrinaggi. Ricordati, o Eterno, di Davide, di tutte le sue fatiche: com’egli giurò all’Eterno e fece voto al Potente di Giacobbe, dicendo: “Certo, non entrerò nella tenda della mia casa, né salirò sul letto dove mi corico, non darò sonno ai miei occhi, né riposo alle mie palpebre, finché abbia trovato un luogo per l’Eterno, una dimora per il Potente di Giacobbe”. Ecco abbiamo udito che l’arca era in Efrata; l’abbiamo trovata nei campi di Iaar. Andiamo nella dimora dell’Eterno, adoriamo davanti allo sgabello dei suoi piedi! Àlzati, o Eterno, vieni al luogo del tuo riposo, tu e l’arca della tua forza. I tuoi sacerdoti siano rivestiti di giustizia, e gioiscano i tuoi fedeli. Per amore di Davide tuo servitore, non respingere il volto del tuo unto. L’Eterno ha fatto a Davide questo giuramento di verità, e non lo revocherà: “Io metterò sul tuo trono un frutto delle tue viscere. Se i tuoi figli osserveranno il mio patto e la testimonianza che insegnerò loro, anche i loro figli staranno seduti sul tuo trono per sempre”. Poiché l’Eterno ha scelto Sion, l’ha desiderata per sua dimora. “Questo è il mio luogo di riposo in eterno; qui abiterò, perché l’ho desiderata. Io benedirò largamente i suoi viveri, sazierò di pane i suoi poveri. Vestirò di salvezza i suoi sacerdoti e i suoi fedeli esulteranno di gran gioia. Qui farò crescere la potenza di Davide, e qui terrò accesa una lampada al mio unto. Coprirò di vergogna i suoi nemici, ma su di lui fiorirà la sua corona”. Canto dei pellegrinaggi. Di Davide. Ecco, quant’è buono e quant’è piacevole che fratelli dimorino insieme! È come l’olio profumato che, sparso sul capo, scende sulla barba, sulla barba d’Aaronne, che scende fino all’orlo della sua veste; è come la rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion; perché là l’Eterno ha ordinato che vi sia la benedizione, la vita in eterno. Canto dei pellegrinaggi. Ecco, benedite l’Eterno, voi tutti servitori dell’Eterno, che state nella casa dell’Eterno durante la notte! Alzate le vostre mani verso il santuario, e benedite l’Eterno! L’Eterno ti benedica da Sion, egli che ha fatto il cielo e la terra. Alleluia. Lodate il nome dell’Eterno. Lodatelo o servi dell’Eterno, che state nella casa dell’Eterno, nei cortili della casa del nostro Dio. Lodate l’Eterno, perché l’Eterno è buono; salmeggiate al suo nome, perché è amabile. Poiché l’Eterno ha scelto per sé Giacobbe, ha scelto Israele per suo speciale possesso. Sì, io conosco che l’Eterno è grande e che il nostro Signore è al di sopra di tutti gli dèi. L’Eterno fa tutto ciò che gli piace, in cielo e in terra, nei mari e in tutti gli abissi. Egli fa salire le nuvole dalle estremità della terra, manda i lampi per la pioggia, fa uscire il vento dai suoi depositi. Egli percosse i primogeniti d’Egitto, così degli uomini come degli animali. Mandò segni e prodigi in mezzo a te, o Egitto, su Faraone e su tutti i suoi servitori. Egli percosse grandi nazioni, e uccise re potenti: Sicon, re degli Amorei, e Og, re di Basan, e tutti i regni di Canaan. E diede il loro paese in eredità, in eredità a Israele, suo popolo. O Eterno, il tuo nome dura per sempre; la memoria di te, o Eterno, dura per ogni generazione. Poiché l’Eterno farà giustizia al suo popolo, e avrà compassione dei suoi servitori. Gli idoli delle nazioni sono argento e oro, opera di mano d’uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono e non hanno respiro alcuno nella loro bocca. Simili a essi siano quelli che li fanno, tutti quelli che in essi confidano. Casa d’Israele, benedite l’Eterno! Casa d’Aaronne, benedite l’Eterno! Casa di Levi, benedite l’Eterno! Voi che temete l’Eterno, benedite l’Eterno! Sia benedetto l’Eterno da Sion, che abita in Gerusalemme! Alleluia. Celebrate l’Eterno, perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno. Celebrate il Dio degli dèi, perché la sua bontà dura in eterno. Celebrate il Signore dei signori, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che solo opera grandi meraviglie, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che ha fatto con intendimento i cieli, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che ha steso la terra sopra le acque, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che ha fatto i grandi luminari, perché la sua bontà dura in eterno: il sole per regnare sul giorno, perché la sua bontà dura in eterno; e la luna e le stelle per regnare sulla notte, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che percosse gli Egizi nei loro primogeniti, perché la sua bontà dura in eterno; e trasse fuori Israele dal mezzo di loro, perché la sua bontà dura in eterno; con mano potente e con braccio steso, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che divise il Mar Rosso in due, perché la sua bontà dura in eterno; e fece passare Israele in mezzo ad esso, perché la sua bontà dura in eterno; e travolse Faraone e il suo esercito nel Mar Rosso, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che condusse il suo popolo attraverso il deserto, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che percosse re grandi, perché la sua bontà dura in eterno; e uccise re potenti, perché la sua bontà dura in eterno: Sicon, re degli Amorei, perché la sua bontà dura in eterno, e Og, re di Basan, perché la sua bontà dura in eterno; e diede il loro paese in eredità, perché la sua bontà dura in eterno, in eredità a Israele, suo servitore, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che nella nostra umiliazione si ricordò di noi, perché la sua bontà dura in eterno; e ci ha liberati dai nostri nemici, perché la sua bontà dura in eterno. Colui che dà il cibo a ogni creatura, perché la sua bontà dura in eterno. Celebrate il Dio dei cieli, perché la sua bontà dura in eterno. Là presso i fiumi di Babilonia, sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici delle sponde avevamo appese le nostre cetre. Poiché là quelli che ci avevano condotti in schiavitù ci chiedevano dei canti, e i nostri oppressori delle canzoni d’allegrezza, dicendo: “Cantateci delle canzoni di Sion!”. Come potremmo noi cantare le canzoni dell’Eterno in terra straniera? Se ti dimentico, o Gerusalemme, dimentichi la mia destra le sue funzioni; resti la mia lingua attaccata al palato se io non mi ricordo di te, se non metto Gerusalemme al di sopra d’ogni mia più grande gioia. Ricordati, o Eterno, dei figli di Edom, che nel giorno di Gerusalemme dicevano: “Spianatela, spianatela fin dalle fondamenta!”. O figlia di Babilonia, che devi essere distrutta, beato chi ti darà la retribuzione del male che ci hai fatto! Beato chi prenderà i tuoi piccoli bambini e li sbatterà contro la roccia! Salmo di Davide. Io ti celebrerò con tutto il mio cuore, davanti agli dèi salmeggerò a te. Adorerò vòlto al tempio della tua santità, e celebrerò il tuo nome per la tua bontà e per la tua fedeltà; poiché tu hai magnificato la tua parola oltre ogni tua rinomanza. Nel giorno che ho gridato a te, tu mi hai risposto, mi hai riempito di coraggio, dando forza all’anima mia. Tutti i re della terra ti celebreranno, o Eterno, quando avranno udito le parole della tua bocca; e canteranno le vie dell’Eterno, perché grande è la gloria dell’Eterno. Sì, eccelso è l’Eterno, eppure ha riguardo agli umili, e da lontano conosce il superbo. Se io cammino in mezzo alle difficoltà, tu mi ridai la vita; tu stendi la mano contro l’ira dei miei nemici e la tua destra mi salva. L’Eterno compirà in mio favore l’opera sua; la tua bontà, o Eterno, dura per sempre; non abbandonare le opere delle tue mani. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. O Eterno tu mi hai investigato e mi conosci. Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero. Tu mi scruti quando cammino e quando mi giaccio, e conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che tu, o Eterno, già la conosci appieno. Tu mi cingi di dietro e davanti, e poni la tua mano su di me. Una tale conoscenza è troppo meravigliosa per me, tanto alta che io non posso arrivarci. Dove me ne andrò lontano dal tuo spirito? e dove fuggirò dal tuo cospetto? Se salgo in cielo tu vi sei; se mi metto a giacere nel soggiorno dei morti, eccoti là. Se prendo le ali dell’alba e vado ad abitare all’estremità del mare, anche là mi condurrà la tua mano, e mi afferrerà la tua destra. Se dico: “Certo le tenebre mi nasconderanno, e la luce diventerà notte intorno a me”, le tenebre stesse non possono nasconderti nulla, e la notte risplende come il giorno; le tenebre e la luce sono uguali per te. Poiché sei tu che hai formato le mie reni, che mi hai intessuto nel seno di mia madre. Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo meraviglioso, stupendo. Meravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene. Le mie ossa non ti erano nascoste, quand’io fui formato in segreto e intessuto nelle parti più basse della terra. I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo; e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano destinati, quando nessuno d’essi era sorto ancora. Oh, quanto mi sono preziosi i tuoi pensieri, o Dio! Quant’è grande la somma d’essi! Se li voglio contare, sono più numerosi della sabbia; quando mi sveglio sono ancora con te. Certo, tu ucciderai l’empio, o Dio; perciò allontanatevi da me uomini sanguinari. Essi parlano contro di te malvagiamente; i tuoi nemici usano il tuo nome per sostenere la menzogna. O Eterno, non odio forse quelli che ti odiano? E non detesto io quelli che insorgono contro di te? Io li odio di un odio perfetto; li tengo per miei nemici. Investigami, o Dio, e conosci il mio cuore. Provami e conosci i miei pensieri. Vedi se c’è in me qualche via iniqua e guidami per la via eterna. Per il Maestro del coro. Salmo di Davide. Liberami, o Eterno, dall’uomo malvagio; proteggimi dall’uomo violento, da tutti quelli che tramano malvagità nel loro cuore e sono sempre pronti a fare la guerra. Aguzzano la loro lingua come il serpente, hanno un veleno d’aspide sotto le loro labbra. Preservami, o Eterno, dalle mani dell’empio, difendimi dall’uomo violento: hanno tramato per farmi cadere. I superbi hanno nascosto per me un laccio e delle funi, mi hanno teso una rete ai bordi del sentiero, vi hanno messo delle trappole. Io ho detto all’Eterno: “Tu sei il mio Dio”; porgi l’orecchio, o Eterno, al grido delle mie suppliche. O Eterno, o Signore, che sei la forza della mia salvezza, tu hai riparato il mio capo nel giorno della battaglia. Non concedere agli empi quel che desiderano, o Eterno; non dare compimento ai loro disegni, che talora non si esaltino. Sulla testa di quelli che mi attorniano ricada la perversità delle loro labbra! Cadano loro addosso dei carboni accesi! Siano gettati nel fuoco, in fosse profonde, da cui non possano risorgere. Il maldicente non sarà reso stabile sulla terra; il male darà senza posa la caccia all’uomo violento. Io so che l’Eterno sosterrà la causa dell’afflitto e renderà giustizia ai poveri. Certo i giusti celebreranno il tuo nome; gli uomini retti abiteranno alla tua presenza. Salmo di Davide. O Eterno io t’invoco; affrettati a rispondermi. Porgi orecchio alla mia voce quando grido a te. La mia preghiera sia davanti a te come l’incenso, l’elevazione delle mie mani come il sacrificio della sera. O Eterno, poni una guardia davanti alla mia bocca, guarda l’uscio delle mie labbra. Non inclinare il mio cuore ad alcuna cosa malvagia, per commettere azioni malvagie con i malfattori; e fa’ che io non mangi delle loro delizie. Mi percuota pure il giusto, sarà un favore; mi riprenda pure, sarà come olio sul capo; il mio capo non lo rifiuterà; anzi, malgrado la loro malvagità, continuerò a pregare. I loro giudici saranno precipitati per il fianco delle rocce, e si darà ascolto alle mie parole, perché sono piacevoli. Come quando si ara e si rompe la terra, le nostre ossa sono sparse all’ingresso del soggiorno dei morti. Poiché a te sono rivolti gli occhi miei, o Eterno, o Signore; in te mi rifugio, non abbandonare l’anima mia. Salvami dal laccio che mi hanno teso e dalle insidie dei malfattori. Cadano gli empi nelle loro stesse reti, mentre io passerò oltre. Cantico di Davide, quando era nella grotta. Preghiera. Io grido con la mia voce all’Eterno; con la mia voce supplico l’Eterno. Effondo il mio lamento davanti a lui, espongo davanti a lui la mia tribolazione. Quando lo spirito mio è abbattuto in me, tu conosci il mio sentiero. Sulla via per la quale io cammino, essi hanno teso un laccio per me. Guarda alla mia destra e vedi; non c’è alcuno che mi riconosca. Ogni rifugio mi è venuto a mancare; nessuno si prende cura dell’anima mia. Io grido a te, o Eterno. Io dico: “Tu sei il mio rifugio, la mia parte nella terra dei viventi”. Sii attento al mio grido, perché sono ridotto in misero stato. Liberami da quelli che mi perseguitano, perché sono più forti di me. Libera l’anima mia dalla prigione, perché io celebri il tuo nome. I giusti trionferanno con me, perché mi avrai colmato di beni. Salmo di Davide. O Eterno, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alle mie suppliche; nella tua fedeltà e nella tua giustizia, rispondimi, e non venire in giudizio con il tuo servitore, perché nessun vivente sarà trovato giusto nel tuo cospetto. Poiché il nemico perseguita l’anima mia; egli calpesta al suolo la mia vita; mi fa abitare in luoghi tenebrosi come quelli che sono morti già da lungo tempo. Il mio spirito è abbattuto in me, il mio cuore è tutto smarrito dentro di me. Ricordo i giorni antichi; medito su tutto ciò che hai fatto; io rifletto sull’opera delle tue mani. Tendo le mie mani verso te; l’anima mia è assetata di te come terra asciutta. Affrèttati a rispondermi, o Eterno; il mio spirito viene meno; non nascondermi il tuo volto, che talora io non diventi simile a quelli che scendono nella fossa. Fammi sentire la mattina la tua bontà, poiché in te confido; fammi conoscere la via per la quale devo camminare, poiché io elevo l’anima mia a te. Liberami dai miei nemici, o Eterno; io cerco rifugio presso di te. Insegnami a fare la tua volontà, poiché tu sei il mio Dio; il tuo buono Spirito mi guidi in terra piana. O Eterno, vivificami, per amore del tuo nome; nella tua giustizia, ritrai l’anima mia dalla tribolazione! Nella tua bontà distruggi i miei nemici, e fa’ perire tutti quelli che affliggono l’anima mia; perché io sono tuo servitore. Salmo di Davide. Benedetto sia l’Eterno, la mia rocca, che ammaestra le mie mani al combattimento e le mie dita alla battaglia; egli è il mio benefattore e la mia fortezza, il mio alto riparo e il mio liberatore, il mio scudo, colui nel quale mi rifugio, che mi rende soggetto il mio popolo. O Eterno, che cos’è l’uomo, che tu ne prenda conoscenza? o il figlio dell’uomo che tu ne tenga conto? L’uomo è simile a un soffio, i suoi giorni sono come l’ombra che passa. O Eterno, abbassa i tuoi cieli e scendi; tocca i monti e fa’ che fumino. Fa’ guizzare il lampo e disperdi i miei nemici. Lancia le tue saette e mettili in fuga. Stendi le tue mani dall’alto, salvami e liberami dalle grandi acque, dalla mano degli stranieri, la cui bocca dice menzogne e la cui destra giura il falso. O Dio, a te canterò un cantico nuovo; sul saltèrio a dieci corde a te salmeggerò, che dai la vittoria ai re, che liberi Davide tuo servitore dalla spada micidiale. Salvami e liberami dalla mano degli stranieri, la cui bocca dice menzogne e la cui destra giura il falso. I nostri figli, nella loro giovinezza, siano come piante novelle che crescono e le nostre figlie come colonne scolpite nella struttura di un palazzo. I nostri granai siano pieni e forniscano ogni specie di beni. Le nostre greggi moltiplichino a migliaia e a decine di migliaia nelle nostre campagne. Le nostre giovenche siano feconde; e non vi sia né breccia, né fuga, né grido nelle nostre piazze. Beato il popolo che è in tale stato, beato il popolo il cui Dio è l’Eterno. Salmo di lode. Di Davide. Io ti esalterò, o mio Dio, mio Re, e benedirò il tuo nome in eterno. Ogni giorno ti benedirò e loderò il tuo nome per sempre. L’Eterno è grande e degno di somma lode, e la sua grandezza non si può investigare. Un’età dirà all’altra le lodi delle tue opere, e farà conoscere le tue gesta. Io mediterò sul glorioso splendore della tua maestà e sulle tue opere meravigliose. Gli uomini diranno la potenza dei tuoi atti tremendi, e io racconterò la tua grandezza. Essi proclameranno il ricordo della tua gran bontà, e canteranno con gioia la tua giustizia. L’Eterno è misericordioso e pieno di compassione, lento all’ira e di gran bontà. L’Eterno è buono verso tutti, e le sue compassioni si estendono a tutte le sue opere. Tutte le tue opere ti celebreranno, o Eterno, e i tuoi fedeli ti benediranno. Diranno la gloria del tuo regno, e narreranno la tua potenza per far conoscere ai figli degli uomini le tue prodezze e la gloria della maestà del tuo regno. Il tuo regno è un regno eterno, e la tua signoria dura per ogni età. L’Eterno sostiene tutti quelli che cadono e rialza tutti quelli che sono depressi. Gli occhi di tutti sono rivolti a te, e tu dai loro il loro cibo a suo tempo. Tu apri la tua mano e soddisfi il desiderio di tutto ciò che vive. L’Eterno è giusto in tutte le sue vie e benigno in tutte le sue opere. L’Eterno è vicino a tutti quelli che lo invocano, a tutti quelli che lo invocano in verità. Egli adempie il desiderio di quelli che lo temono, ode il loro grido e li salva. L’Eterno protegge tutti quelli che l’amano, ma distruggerà tutti gli empi. La mia bocca proclamerà la lode dell’Eterno, e ogni carne benedirà il suo nome santo per sempre. Alleluia. Anima mia, loda l’Eterno. Io loderò l’Eterno finché vivrò, salmeggerò al mio Dio, finché esisterò. Non confidate nei prìncipi, né in alcun figlio d’uomo, che non può salvare. Il suo fiato se ne va, ed egli torna alla sua terra; in quel giorno periscono i suoi disegni. Beato colui che ha il Dio di Giacobbe per suo aiuto, e la cui speranza è nell’Eterno, suo Dio, che ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi; che mantiene la fedeltà in eterno, che fa ragione agli oppressi, che dà del cibo agli affamati. L’Eterno libera i prigionieri, l’Eterno apre gli occhi ai ciechi, l’Eterno rialza gli oppressi, l’Eterno ama i giusti, l’Eterno protegge i forestieri, solleva l’orfano e la vedova, ma sovverte la via degli empi. L’Eterno regna per sempre; il tuo Dio, o Sion, regna per ogni età. Alleluia. Lodate l’Eterno, perché è cosa buona salmeggiare al nostro Dio; perché è cosa dolce, e la lode gli si addice. L’Eterno edifica Gerusalemme, raccoglie i dispersi d’Israele; egli guarisce chi ha il cuore infranto, e fascia le loro piaghe. Egli conta il numero delle stelle, le chiama tutte per nome. Grande è il nostro Signore, e immenso è il suo potere; la sua intelligenza è infinita. L’Eterno sostiene gli umili, ma abbassa i malvagi fino a terra. Cantate all’Eterno inni di lode, salmeggiate con la cetra al nostro Dio, che copre il cielo di nuvole, prepara la pioggia per la terra, e fa germogliare l’erba sui monti. Egli dà la pastura al bestiame e ai piccini dei corvi che gridano. Egli non si compiace della forza del cavallo, né prende piacere nelle gambe dell’uomo. L’Eterno si compiace di quelli che lo temono, di quelli che sperano nella sua bontà. Celebra l’Eterno, o Gerusalemme! Loda il tuo Dio, o Sion! Perché egli ha rinforzato le sbarre delle tue porte, ha benedetto i tuoi figli in mezzo a te. Egli mantiene la pace entro i tuoi confini, ti sazia con il frumento più fino. Egli manda i suoi ordini sulla terra, la sua parola corre velocissima. Egli manda la neve come lana, sparge la brina come cenere. Egli getta il suo ghiaccio come a pezzi; e chi può reggere davanti al suo freddo? Egli manda la sua parola e li fa sciogliere; fa soffiare il suo vento e le acque corrono. Egli fa conoscere la sua parola a Giacobbe, i suoi statuti e i suoi decreti a Israele. Egli non ha fatto così con tutte le nazioni; e i suoi decreti esse non li conoscono. Alleluia. Alleluia. Lodate l’Eterno dai cieli, lodatelo nei luoghi altissimi. Lodatelo, voi tutti gli angeli suoi, lodatelo, voi tutti i suoi eserciti! Lodatelo, sole e luna, lodatelo voi tutte stelle lucenti! Lodatelo, cieli dei cieli, e voi acque al di sopra dei cieli! Tutte queste cose lodino il nome dell’Eterno, perché egli comandò, e furono create; ed egli le ha stabilite in eterno; ha dato loro una legge che non passerà. Lodate l’Eterno dalla terra, voi mostri marini e abissi tutti, fuoco e grandine, neve e vapori, vento impetuoso che esegui la sua parola; monti e colli tutti, alberi fruttiferi e cedri tutti; fiere e tutto il bestiame, rettili e uccelli alati; re della terra e popoli tutti, prìncipi e tutti i giudici della terra; giovani e anche fanciulle, vecchi e bambini! Lodino il nome dell’Eterno; perché solo il nome suo è esaltato; la sua maestà è al di sopra della terra e del cielo. Egli ha ridato forza al suo popolo, motivo di lode per tutti i suoi fedeli, ai figli d’Israele, al popolo che gli sta vicino. Alleluia. Alleluia. Cantate all’Eterno un cantico nuovo, cantate la sua lode nell’assemblea dei fedeli. Si rallegri Israele in colui che lo ha fatto, esultino i figli di Sion nel loro re. Lodino il suo nome con danze, salmeggino a lui con il timpano e la cetra, perché l’Eterno prende piacere nel suo popolo, egli adorna di salvezza gli umili. Esultino i fedeli nella gloria, cantino di gioia sui loro letti. Abbiano in bocca le alte lodi di Dio, e una spada a due tagli in mano per fare vendetta delle nazioni e infliggere castighi ai popoli; per legare i loro re con catene e i loro nobili con ceppi di ferro, per eseguire su loro il giudizio scritto. Questo è l’onore che hanno tutti i suoi fedeli. Alleluia. Alleluia. Lodate Dio nel suo santuario, lodatelo nella distesa dove risplende la sua potenza. Lodatelo per le sue gesta, lodatelo secondo la sua somma grandezza. Lodatelo con il suono della tromba, lodatelo con il saltèrio e la cetra. Lodatelo con il timpano e le danze, lodatelo con gli strumenti a corda e con il flauto. Lodatelo con cembali risonanti, lodatelo con cembali squillanti. Ogni cosa che respira lodi l’Eterno. Alleluia Proverbi di Salomone, figlio di Davide, re d’Israele; perché l’uomo conosca la sapienza e l’istruzione, e comprenda i detti sensati; perché riceva istruzione riguardo al buon senso, la giustizia, l’equità, la rettitudine; per dare accorgimento ai semplici e conoscenza e riflessione al giovane. Il saggio ascolterà e accrescerà il suo sapere; l’uomo intelligente ne trarrà buone direttive per capire i proverbi e le allegorie, le parole dei saggi e i loro enigmi. Il timore dell’Eterno è il principio della scienza; gli stolti disprezzano la sapienza e l’istruzione. Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre e non rifiutare l’insegnamento di tua madre; poiché saranno un fregio di grazia sul tuo capo, e monili al tuo collo. Figlio mio, se i peccatori ti vogliono sedurre, non dare loro retta. Se ti dicono: “Vieni con noi, mettiamoci in agguato per uccidere; tendiamo insidie, senza motivo, all’innocente; inghiottiamoli vivi, come il soggiorno dei morti, e tutti interi come quelli che scendono nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottino; tu estrarrai a sorte la tua parte con noi, non ci sarà fra noi tutti che una borsa sola”, figlio mio, non ti incamminare con loro; trattieni il tuo piede lontano dal loro sentiero; poiché i loro piedi corrono al male ed essi si affrettano a spargere il sangue. Si tende invano la rete davanti a ogni sorta di uccelli; ma costoro pongono agguati al loro proprio sangue, e tendono insidie alla loro stessa vita. Questa è la sorte di chiunque è avido di guadagno; esso toglie la vita a chi lo possiede. La sapienza grida per le vie, fa udire la sua voce per le piazze; negli incroci affollati essa chiama, all’ingresso delle porte, in città, pronuncia i suoi discorsi: “Fino a quando, o ingenui, amerete l’ingenuità? Fino a quando gli schernitori prenderanno gusto a schernire e gli stolti avranno in odio la scienza? Volgetevi ad ascoltare la mia riprensione; ecco, io farò sgorgare su di voi il mio spirito, vi farò conoscere le mie parole. Ma poiché quando ho chiamato avete rifiutato di ascoltare, quando ho steso la mano nessun vi ha badato, anzi avete respinto ogni mio consiglio e della mia correzione non ne avete voluto sapere, anche io riderò delle vostre sventure, mi farò beffe quando lo spavento vi piomberà addosso; quando lo spavento vi piomberà addosso come una tempesta, quando la sventura vi investirà come un uragano, e vi cadranno addosso la distretta e l’angoscia. Allora mi chiameranno, ma io non risponderò; mi cercheranno con premura ma non mi troveranno. Poiché hanno odiato la scienza, non hanno scelto il timore dell’Eterno e non hanno voluto sapere dei miei consigli e hanno disprezzato ogni mia riprensione, si nutriranno del frutto della loro condotta, e saranno saziati dei loro propri consigli. Poiché lo sviamento degli insensati li uccide e la compiacenza degli stolti li fa morire; ma chi mi ascolta se ne starà al sicuro, vivrà tranquillo, senza paura di alcun male”. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti, prestando orecchio alla sapienza e inclinando il cuore all’intelligenza; sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all’intelligenza, se la cerchi come l’argento e ti dai a scavarla come un tesoro, allora comprenderai il timore dell’Eterno, e troverai la conoscenza di Dio. Poiché l’Eterno dà la sapienza; dalla sua bocca procedono la scienza e l’intelligenza. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano integramente, per proteggere i sentieri dell’equità e di custodire la via dei suoi fedeli. Allora comprenderai la giustizia, l’equità, la rettitudine, tutte le vie del bene. Perché la sapienza ti entrerà nel cuore, e la scienza sarà la delizia della tua anima; la riflessione veglierà su te, e l’intelligenza ti proteggerà; ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse, da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nella via delle tenebre, che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio, i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose. Ti salverà dalla donna adultera, dall’infedele che usa parole seducenti, che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio. Poiché la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti. Nessuno di quelli che vanno da lei fa ritorno, nessuno riprende i sentieri della vita. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti. Perché gli uomini retti abiteranno la terra e quelli che sono integri vi rimarranno, ma gli empi saranno sterminati dalla terra e gli sleali ne saranno strappati via. Figlio mio, non dimenticare il mio insegnamento e il tuo cuore osservi i miei comandamenti, perché ti procureranno lunghi giorni, anni di vita e di prosperità. Bontà e verità non ti abbandonino; legatele al collo, scrivile sulla tavola del tuo cuore; troverai così grazia e buon senno agli occhi di Dio e degli uomini. Confida nell’Eterno con tutto il cuore, e non ti appoggiare sul tuo discernimento. Riconoscilo in tutte le tue vie, ed egli appianerà i tuoi sentieri. Non ti stimare saggio da te stesso; temi l’Eterno e allontanati dal male; questo sarà la salute del tuo corpo e un refrigerio alle tue ossa. Onora l’Eterno con i tuoi beni e con le primizie di ogni tua rendita; i tuoi granai saranno ripieni di abbondanza e i tuoi tini traboccheranno di mosto. Figlio mio, non disprezzare la correzione dell’Eterno e non ti ripugni la sua riprensione, perché l’Eterno riprende colui che egli ama, come un padre il figlio che gradisce. Beato l’uomo che ha trovato la sapienza e l’uomo che ottiene l’intelligenza! Poiché il guadagno che essa procura è preferibile a quello dell’argento e il profitto che se ne trae vale più dell’oro fino. Essa è più pregiata delle perle, quanto hai di più prezioso non la equivale. Lunghezza di vita è nella sua destra, ricchezza e gloria nella sua sinistra. Le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri sono pace. Essa è un albero di vita per quelli che l’afferrano, e quelli che la tengono stretta sono beati. Con la sapienza l’Eterno fondò la terra, con l’intelligenza rese stabili i cieli. Per la sua scienza gli abissi furono aperti, e le nuvole stillano la rugiada. Figlio mio, queste cose non si allontanino mai dai tuoi occhi! Conserva la saggezza e la riflessione! Esse saranno la vita della tua anima e un ornamento al tuo collo. Allora camminerai sicuro per la tua via, e il tuo piede non inciamperà. Quando ti coricherai non avrai paura; riposerai, e il sonno tuo sarà dolce. Non temerai gli spaventi improvvisi, né la rovina degli empi, quando verrà; perché l’Eterno sarà la tua sicurezza e preserverà il tuo piede da ogni insidia. Non rifiutare un beneficio a chi ne ha diritto, quando è in tuo potere di farlo. Non dire al tuo prossimo: “Va’ e torna” e “Te lo darò domani”, quando hai di che dare. Non tramare il male contro il tuo prossimo, mentre egli abita fiducioso con te. Non fare causa a nessuno senza motivo, se non ti è stato fatto nessun torto. Non portare invidia all’uomo violento, e non scegliere nessuna delle sue vie; poiché l’Eterno ha in abominio l’uomo perverso, ma la sua amicizia è per gli uomini retti. La maledizione dell’Eterno è nella casa dell’empio, ma egli benedice la casa dei giusti. Se schernisce gli schernitori, fa grazia agli umili. I saggi erediteranno la gloria, ma l’infamia è la parte degli stolti. Figlioli, ascoltate l’istruzione di un padre e state attenti a imparare il discernimento; perché io vi do una buona dottrina; non abbandonate il mio insegnamento. Quando ero ancora bambino presso mio padre, tenero e unico presso mia madre, egli mi ammaestrava e mi diceva: “Il tuo cuore conservi le mie parole; osserva i miei comandamenti, e vivrai. Acquista sapienza, acquista intelligenza; non dimenticare le parole della mia bocca, e non te ne sviare; non abbandonare la sapienza, ed essa ti custodirà; amala, ed essa ti proteggerà. Il principio della sapienza è: Acquista la sapienza. Sì, a costo di quanto possiedi, acquista l’intelligenza. Esaltala, ed essa ti innalzerà; essa ti coprirà di gloria, quando l’avrai abbracciata. Essa ti metterà sul capo un fregio di grazia, ti farà dono di un magnifico diadema”. Ascolta, figlio mio, ricevi le mie parole, e anni di vita ti saranno moltiplicati. Io ti mostro la via della sapienza, ti guido per i sentieri della rettitudine. Se cammini, i tuoi passi non saranno intralciati; e se corri, non inciamperai. Afferra saldamente l’istruzione, non lasciarla andare; custodiscila, perché essa è la tua vita. Non entrare nel sentiero degli empi, e non ti inoltrare per la via dei malvagi; schivala, non passare per essa, allontanatene, e va’ oltre. Poiché essi non possono dormire se non hanno fatto del male, e il sonno è loro tolto se non hanno fatto cadere qualcuno. Essi mangiano il pane dell’empietà, e bevono il vino della violenza; ma il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va sempre più risplendendo, finché sia giorno perfetto. La via degli empi è come il buio; essi non scorgono ciò che li farà cadere. Figlio mio, sta’ attento alle mie parole, inclina l’orecchio ai miei detti; non si allontanino mai dai tuoi occhi, serbali nel fondo del cuore; poiché sono vita per quelli che li trovano, e salute per tutto il loro corpo. Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso procedono le sorgenti della vita. Rimuovi da te la perversità della bocca, e allontana da te la falsità delle labbra. I tuoi occhi guardino bene in faccia, e le tue palpebre si dirigano dritto davanti a te. Appiana il sentiero dei tuoi piedi, e tutte le tue vie siano ben preparate. Non deviare né a destra né a sinistra; ritira il tuo piede dal male. Figlio mio, sta’ attento alla mia sapienza, inclina l’orecchio alla mia intelligenza, affinché tu conservi la riflessione, e le tue labbra ritengano la scienza. Poiché le labbra dell’adultera stillano miele, e la sua bocca è più morbida dell’olio; ma la fine cui conduce è amara come l’assenzio, è acuta come una spada a doppio taglio. I suoi piedi scendono alla morte, i suoi passi portano al soggiorno dei morti. Lungi dal prendere il sentiero della vita, le sue vie sono erranti, e non sa dove va. Ora dunque, figlioli, ascoltatemi e non allontanatevi dalle parole della mia bocca. Tieni lontana da lei la tua via, e non ti accostare alla porta della sua casa, per non dare ad altri il fiore della tua gioventù, e i tuoi anni al tiranno crudele; perché degli stranieri non si sazino dei tuoi beni, e le tue fatiche non vadano in casa di altri; perché tu non debba gemere quando verrà la tua fine, quando la tua carne e il tuo corpo saranno consumati, e tu non dica: “Come ho fatto a odiare la correzione e come ha potuto il mio cuore disprezzare la riprensione? come ho fatto a non ascoltare la voce di chi mi ammaestrava, e a non porgere l’orecchio a chi mi insegnava? mancò poco che non mi trovassi immerso in ogni male, in mezzo al popolo e all’assemblea”. Bevi l’acqua della tua cisterna, l’acqua viva del tuo pozzo. Le tue fonti devono forse spargersi al di fuori? e i tuoi ruscelli devono forse scorrere per le strade? Siano solo per te, e non per degli stranieri con te. Sia benedetta la tua fonte, e vivi felice con la sposa della tua gioventù. Cerva d’amore, capriola di grazia, le sue carezze ti inebrino in ogni tempo, e sii sempre rapito nel suo amore. Perché, figlio mio, ti dovresti invaghire di un’estranea, e dovresti abbracciare il seno della donna altrui? Infatti le vie dell’uomo stanno davanti agli occhi dell’Eterno, il quale osserva tutti i suoi sentieri. L’empio sarà preso nelle proprie iniquità, e tenuto stretto dalle funi del suo peccato. Egli morirà per mancanza di correzione, andrà vacillando per la grandezza della sua follia. Figlio mio, se ti sei reso garante per il tuo prossimo, se ti sei impegnato per un estraneo, sei colto nel laccio dalle parole della tua bocca, sei preso dalle parole della tua bocca. Fa’ questo, figlio mio; disimpegnati, perché sei caduto in mano del tuo prossimo. Va’, gettati ai suoi piedi, insisti, non concedere sonno ai tuoi occhi né riposo alle tue palpebre; disimpegnati come il capriolo dalla mano del cacciatore, come l’uccello dalla mano dell’uccellatore. Va’, pigro, alla formica; considera il suo fare e diventa saggio! Essa non ha né capo, né sorvegliante, né padrone; prepara il suo cibo nell’estate, e accumula il suo mangiare durante la raccolta. Fino a quando, o pigro, riposerai? quando ti sveglierai dal tuo sonno? Dormire un po’, sonnecchiare un po’, incrociare un po’ le mani per riposare… e la tua povertà verrà come un ladro, e la tua miseria, come un uomo armato. L’uomo da nulla, l’uomo iniquo cammina con la falsità sulle labbra; ammicca con gli occhi, parla con i piedi, fa segni con le dita; ha la perversità nel cuore, trama il male in ogni tempo, semina discordie; perciò la sua rovina verrà a un tratto, in un attimo sarà distrutto, senza rimedio. Sei cose odia l’Eterno, anzi sette gli sono in abominio: gli occhi alteri, la lingua bugiarda, le mani che spargono sangue innocente, il cuore che medita disegni iniqui, i piedi che corrono frettolosi al male, il falso testimone che dice menzogne, e chi semina discordie tra fratelli. Figlio mio, osserva i precetti di tuo padre e non trascurare gli insegnamenti di tua madre; tienili sempre legati sul cuore e attaccati al collo. Quando camminerai, ti guideranno; quando dormirai, veglieranno su te; quando ti risveglierai, ragioneranno con te. Poiché il precetto è una lampada, l’insegnamento una luce e le correzioni della disciplina sono la via della vita, per guardarti dalla donna malvagia, dalle parole seducenti della straniera. Non bramare nel tuo cuore la sua bellezza, e non ti lasciare prendere dalle sue palpebre; perché per una donna corrotta uno si riduce a un pezzo di pane, e la donna adultera sta in agguato contro un’anima preziosa. Uno si metterà forse del fuoco in seno senza che i suoi abiti si brucino? camminerà forse sui carboni accesi senza scottarsi i piedi? Così è di chi va dalla moglie del prossimo; chi la tocca non rimarrà impunito. Non si disprezza il ladro che ruba per saziarsi quando ha fame; se è sorpreso, restituirà anche sette volte, darà tutti i beni della sua casa. Ma chi commette un adulterio è privo di senno; chi fa questo vuole rovinare sé stesso. Troverà ferite e disonore, e la sua vergogna non sarà mai cancellata; perché la gelosia rende furioso il marito, il quale sarà senza pietà nel giorno della vendetta; non accetterà nessun tipo di riscatto, e anche se tu moltiplichi i regali, non sarà soddisfatto. Figlio mio, custodisci le mie parole, e fa’ tesoro dei miei comandamenti. Osserva i miei comandamenti e vivrai; custodisci il mio insegnamento come la pupilla degli occhi. Legali alle dita, scrivili sulla tavola del tuo cuore. Di’ alla sapienza: “Tu sei mia sorella”, e chiama l’intelligenza amica tua, affinché ti preservino dalla donna altrui, dall’estranea che usa parole seducenti. Ero alla finestra della mia casa e, dietro alla mia persiana, stavo guardando, quando vidi, tra gli sciocchi, scorsi, tra i giovani, un ragazzo privo di senno, che passava per la strada, presso l’angolo dove lei abitava, e si dirigeva verso la sua casa, al crepuscolo, sul declinare del giorno, quando la notte si faceva nera, oscura. Ed ecco farglisi incontro una donna in abito da prostituta e astuta di cuore, turbolenta e insolente, che non teneva piede in casa: ora in strada, ora per le piazze, e in agguato presso ogni angolo. Lei lo prese, lo baciò, e sfacciatamente gli disse: “Dovevo fare un sacrificio di ringraziamento; oggi ho sciolto i miei voti; perciò ti sono venuta incontro per cercarti, e ti ho trovato. Ho adornato il mio letto con morbidi tappeti, con coperte ricamate con filo d’Egitto; l’ho profumato di mirra, di aloe e di cinnamomo. Vieni inebriamoci d’amore fino al mattino, deliziamoci in amorosi piaceri; poiché mio marito non è in casa; è andato in viaggio lontano; ha preso con sé un sacchetto di denaro, non tornerà a casa che al plenilunio”. Lei lo sedusse con le sue molte lusinghe, lo trascinò con la dolcezza delle sue labbra. Egli le andò dietro subito, come un bue va al macello, come uno stolto è condotto ai ceppi che lo castigheranno, come un uccello si affretta al laccio, senza sapere che è teso contro la sua vita, finché una freccia gli trapassi il fegato. Ora dunque, figlioli, ascoltatemi e state attenti alle parole della mia bocca. Il tuo cuore non si lasci trascinare nelle vie di una tale donna; non ti sviare per i suoi sentieri; perché molti ne ha fatti cadere feriti a morte, e grande è la moltitudine di quelli che ha uccisi. La sua casa è la via del soggiorno dei morti, la strada che scende alle camere interne della morte. La sapienza non chiama forse? l’intelligenza non fa udire la sua voce? Essa sta in piedi in cima ai luoghi elevati, sulla strada, agli incroci; grida presso le porte della città, all’ingresso, sulla soglia delle porte: “Chiamo voi, o uomini principali, e la mia voce si rivolge ai figli del popolo. Imparate, o semplici, l’accorgimento, e voi, stolti, diventate assennati! Ascoltate, perché dirò cose eccellenti, e le mie labbra si apriranno per insegnare cose rette. Poiché la mia bocca esprime la verità, e le mie labbra detestano la malvagità. Tutte le parole della mia bocca sono conformi a giustizia, non c’è nulla di ambiguo o di perverso in esse. Sono tutte rette per l’uomo intelligente, e giuste per quelli che hanno trovato la scienza. Ricevete la mia istruzione anziché l’argento, e la scienza invece dell’oro scelto; poiché la sapienza vale più delle perle e tutti gli oggetti preziosi non la equivalgono. Io, la sapienza, sto con l’accorgimento e trovo la scienza della riflessione. Il timore dell’Eterno è odiare il male; io odio la superbia, l’arroganza, la via del male e la bocca perversa. A me appartiene il consiglio e il successo; io sono l’intelligenza, a me appartiene la forza. Per mezzo mio regnano i re, e i prìncipi decretano ciò che è giusto. Per mezzo mio governano i capi, i nobili, tutti i giudici della terra. Io amo quelli che mi amano, e quelli che mi cercano mi trovano. Con me sono ricchezze e gloria, i beni duraturi e la giustizia. Il mio frutto è migliore dell’oro fino, e il mio prodotto vale più dell’argento scelto. Io cammino per la via della giustizia, per i sentieri dell’equità, per far ereditare beni reali a quelli che mi amano, e per riempire i loro tesori. L’Eterno mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna delle sue opere più antiche. Fui stabilita fin dall’eternità, dal principio, prima che la terra fosse. Fui generata quando non vi erano ancora abissi, quando ancora non vi erano sorgenti straripanti di acqua. Fui generata prima che i monti fossero fondati, prima che esistessero le colline, quando egli ancora non aveva fatto né la terra né i campi né le prime zolle della terra coltivabile. Quando egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un cerchio sulla superficie dell’abisso, quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell’abisso, quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il suo cenno, quando poneva i fondamenti della terra, io ero presso di lui come un artefice, ero sempre esuberante di gioia, mi rallegravo in ogni tempo nel suo cospetto; mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, e trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini. E ora, figlioli, ascoltatemi; beati quelli che osservano le mie vie! Ascoltate l’istruzione, siate saggi, e non la respingete! Beato l’uomo che mi ascolta, che veglia ogni giorno alle mie porte, che vigila alla soglia della mia casa! Poiché chi trova me trova la vita e ottiene il favore dall’Eterno. Ma chi pecca contro di me fa torto alla sua anima; tutti quelli che mi odiano amano la morte”. La sapienza ha fabbricato la sua casa, ha lavorato le sue sette colonne; ha ammazzato i suoi animali, ha preparato il suo vino e ha anche apparecchiato la sua mensa. Ha mandato fuori le sue ancelle; dall’alto dei luoghi elevati della città essa chiama: “Chi è sciocco venga qua!”. A quelli che sono privi di senno dice: “Venite, mangiate del mio pane e bevete del vino che ho preparato! Lasciate, o sciocchi, la stoltezza e vivrete, e camminate per la via dell’intelligenza!”. Chi corregge il beffardo si attira insulti, e chi riprende l’empio riceve affronto. Non riprendere il beffardo, perché ti odierà; riprendi il saggio, e ti amerà. Istruisci il saggio e diventerà più saggio che mai; ammaestra il giusto e accrescerà il suo sapere. Il principio della sapienza è il timore dell’Eterno, e conoscere il Santo è l’intelligenza. Poiché per mio mezzo ti saranno moltiplicati i giorni, e ti saranno aumentati anni di vita. Se sei saggio, sei saggio per te stesso; se sei beffardo tu solo ne porterai la pena. La follia è una donna turbolenta, sciocca, che non sa nulla. Siede alla porta di casa, sopra una sedia, nei luoghi elevati della città, per chiamare quelli che passano per la via, che vanno diritti per la loro strada: “Chi è sciocco venga qua!”. E a chi è privo di senno dice: “Le acque rubate sono dolci, e il pane mangiato di nascosto è gustoso”. Ma egli non sa che là ci sono i defunti, che i suoi convitati sono nel fondo del soggiorno dei morti. Proverbi di Salomone. Un figlio saggio rallegra suo padre, ma un figlio stolto è il dolore di sua madre. I tesori di empietà non giovano, ma la giustizia libera dalla morte. L’Eterno non permette che il giusto soffra la fame, ma respinge insoddisfatta l’avidità degli empi. Chi lavora con mano pigra impoverisce, ma la mano dei diligenti fa arricchire. Chi raccoglie d’estate è un figlio prudente, ma chi dorme durante la raccolta è un figlio che fa vergogna. Benedizioni vengono sul capo dei giusti, ma la violenza copre la bocca degli empi. La memoria del giusto è in benedizione, ma il nome degli empi marcisce. Il cuore saggio accetta i precetti, ma le labbra stolte vanno in rovina. Chi cammina nell’integrità cammina sicuro, ma chi va per vie tortuose sarà scoperto. Chi ammicca con l’occhio causa dolore, e chi ha le labbra stolte va in rovina. La bocca del giusto è una fonte di vita, ma la bocca degli empi nasconde violenza. L’odio provoca liti, ma l’amore copre ogni errore. Sulle labbra dell’uomo intelligente si trova la sapienza, ma il bastone è per il dorso di chi è privo di senno. I saggi tengono in serbo la scienza, ma la bocca dello stolto è una rovina imminente. I beni del ricco sono la sua città forte; la rovina dei poveri è la loro povertà. Il salario del giusto serve alla vita, le entrate dell’empio servono al peccato. Chi tiene conto della correzione, segue il cammino della vita; ma chi non fa caso della riprensione si smarrisce. Chi maschera l’odio ha labbra bugiarde, e chi sparge la calunnia è uno stolto. Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente. La lingua del giusto è argento scelto; il cuore degli empi vale poco. Le labbra del giusto nutrono molti, ma gli stolti muoiono per mancanza di senno. Ciò che fa ricchi è la benedizione dell’Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla. Commettere un delitto, per lo stolto, è come uno spasso; così è la sapienza per l’uomo accorto. All’empio succede quello che teme, ma ai giusti è concesso quello che desiderano. Come tempesta che passa, l’empio non è più, ma il giusto ha un fondamento eterno. Come l’aceto ai denti e il fumo agli occhi, così è il pigro per chi lo manda. Il timore dell’Eterno accresce i giorni, ma gli anni degli empi saranno accorciati. L’attesa dei giusti è gioia, ma la speranza degli empi perirà. La via dell’Eterno è una fortezza per l’uomo integro, ma una rovina per i malfattori. Il giusto non sarà mai smosso, ma gli empi non abiteranno la terra. La bocca del giusto sgorga sapienza, ma la lingua perversa sarà soppressa. Le labbra del giusto conoscono ciò che è gradito, ma la bocca degli empi è piena di perversità. La bilancia falsa è un abominio per l’Eterno, ma il peso giusto gli è gradito. Venuta la superbia, viene anche il disonore; ma la sapienza è con gli umili. L’integrità degli uomini retti li guida, ma la perversità dei perfidi è la loro rovina. Le ricchezze non servono a nulla nel giorno dell’ira, ma la giustizia salva da morte. La giustizia dell’uomo integro gli appiana la via, ma l’empio cade per la sua empietà. La giustizia degli uomini retti li libera, ma i perfidi restano presi nella loro malizia. Quando un empio muore, la sua speranza perisce, e l’attesa degli empi è annientata. Il giusto è tratto fuori dall’avversità, e l’empio ne prende il posto. Con la sua bocca l’ipocrita rovina il suo prossimo, ma i giusti sono liberati dalla loro scienza. Quando i giusti prosperano, la città gioisce, ma quando periscono gli empi sono grida di giubilo. Con la benedizione degli uomini giusti si innalza una città, ma con la bocca degli empi va in rovina. Chi disprezza il prossimo è privo di senno, ma l’uomo avveduto tace. Chi va sparlando svela i segreti, ma chi ha lo spirito leale tiene celata la cosa. Quando manca una saggia direzione, il popolo cade, ma nel grande numero dei consiglieri sta la salvezza. Chi si fa garante per un estraneo ne soffre danno, ma chi odia stringere la mano come garanzia è tranquillo. La donna gentile riceve onore, e gli uomini forti ottengono la ricchezza. L’uomo buono fa del bene a sé stesso, ma il crudele tortura la sua propria carne. L’empio realizza un guadagno illusorio, ma chi semina giustizia ha una ricompensa sicura. Così la giustizia conduce alla vita, ma chi va dietro al male si avvia verso la morte. I perversi di cuore sono un abominio per l’Eterno, ma gli integri nella loro condotta gli sono graditi. No, certo, il malvagio non rimarrà impunito, ma la discendenza dei giusti scamperà. Una donna bella, ma senza giudizio, è un anello d’oro nel grugno di un porco. Il desiderio dei giusti è il bene soltanto, ma la prospettiva degli empi è l’ira. C’è chi spande generosamente e diventa più ricco, e c’è chi risparmia più del dovuto e non fa che impoverire. L’anima benefica sarà nell’abbondanza, e chi annaffia sarà egli pure annaffiato. Chi fa incetta di grano è maledetto dal popolo, ma la benedizione è sul capo di chi lo vende. Chi cerca il bene si attira benevolenza, ma chi cerca il male, male lo colpirà. Chi confida nelle sue ricchezze cadrà, ma i giusti rinverdiranno come foglie. Chi getta lo scompiglio in casa sua erediterà vento, e lo stolto sarà lo schiavo di chi ha il cuore saggio. Il frutto del giusto è un albero di vita, e il saggio fa conquista di anime. Ecco, il giusto riceve la sua retribuzione sulla terra, quanto più l’empio e il peccatore! Chi ama la correzione ama la scienza, ma chi odia la riprensione è uno stupido. L’uomo buono ottiene il favore dell’Eterno, ma l’Eterno condanna l’uomo pieno di malizia. L’uomo non diventa stabile con l’empietà, ma la radice dei giusti non sarà mai smossa. La donna virtuosa è la corona del marito, ma quella che fa vergogna gli è un tarlo nelle ossa. I pensieri dei giusti sono equità, ma i disegni degli empi sono frode. Le parole degli empi insidiano la vita, ma la bocca degli uomini retti procura liberazione. Gli empi, una volta rovesciati, non sono più, ma la casa dei giusti rimane in piedi. L’uomo è lodato in proporzione del suo senno, ma chi ha il cuore pervertito sarà disprezzato. È meglio essere in umile stato e avere un servo, che fare il superbo e mancare di pane. Il giusto ha cura della vita del suo bestiame, ma il cuore degli empi è crudele. Chi coltiva la sua terra avrà pane da saziarsi, ma chi va dietro ai fannulloni è privo di senno. L’empio desidera la preda dei malvagi, ma la radice dei giusti porta il suo frutto. Nel peccato delle labbra sta un’insidia funesta, ma il giusto sfuggirà a tale avversità. Per il frutto della sua bocca l’uomo è saziato di beni, e a ognuno è reso secondo l’opera delle sue mani. La via dello stolto è diritta ai suoi occhi, ma chi ascolta i consigli è saggio. Lo stolto lascia scorgere subito il suo cruccio, ma chi maschera un’offesa è uomo prudente. Chi dice la verità proclama ciò che è giusto, ma il falso testimone parla con inganno. C’è chi, parlando senza riflettere, trafigge come spada, ma la lingua dei saggi procura guarigione. Il labbro veritiero è stabile per sempre, ma la lingua bugiarda non dura che un istante. L’inganno è nel cuore di chi trama il male, ma per chi nutre propositi di pace c’è gioia. Nessun male colpisce il giusto, ma gli empi sono pieni di guai. Le labbra bugiarde sono un abominio per l’Eterno, ma quelli che agiscono con sincerità gli sono graditi. L’uomo prudente nasconde quello che sa, ma il cuore degli stolti proclama la loro follia. La mano dei diligenti dominerà, ma la pigra sarà per il lavoro forzato. Il dolore che è nel cuore dell’uomo lo abbatte, ma la parola buona lo rallegra. Il giusto indica la strada al suo compagno, ma la via degli empi li fa smarrire. Il pigro non arrostisce la sua caccia, ma la solerzia è per l’uomo un tesoro prezioso. Nel sentiero della giustizia sta la vita, e nella via che essa traccia non c’è morte. Il figlio saggio ascolta l’istruzione di suo padre, ma il beffardo non ascolta rimproveri. Per il frutto delle sue labbra uno gode del bene, ma il desiderio dei perfidi è la violenza. Chi custodisce la sua bocca preserva la propria vita; chi apre troppo le labbra va incontro alla rovina. L’anima del pigro desidera, e non ha nulla, ma l’anima dei diligenti sarà soddisfatta pienamente. Il giusto odia la menzogna, ma l’empio getta sugli altri calunnie e vergogna. La giustizia protegge l’uomo che cammina nell’integrità, ma l’empietà abbatte il peccatore. C’è chi fa il ricco e non ha nulla; c’è chi fa il povero e ha grandi beni. La ricchezza di un uomo serve come riscatto della sua vita, ma il povero non ode mai minacce. La luce dei giusti è gaia, ma la lampada degli empi si spegne. Dall’orgoglio non viene che contesa, ma la sapienza è con chi dà retta ai consigli. La ricchezza male acquistata va diminuendo, ma chi accumula a poco a poco la aumenta. La speranza insoddisfatta fa languire il cuore, ma il desiderio adempiuto è un albero di vita. Chi disprezza la parola si costituisce, di fronte a essa, debitore, ma chi rispetta il comandamento sarà ricompensato. L’insegnamento del saggio è una fonte di vita per schivare le insidie della morte. Buon senno procura favore, ma il procedere dei perfidi è nocivo. Ogni uomo accorto agisce con conoscenza, ma l’insensato fa sfoggio di follia. Il messo malvagio cade in sciagure, ma l’ambasciatore fedele porta guarigione. Miseria e vergogna a chi rifiuta la correzione, ma chi dà retta alla riprensione è onorato. Il desiderio adempiuto è dolce all’anima, ma agli insensati fa orrore evitare il male. Chi va con i saggi diventa saggio, ma il compagno degli insensati diventa cattivo. Il male perseguita i peccatori, ma il giusto è ricompensato con il bene. L’uomo buono lascia un’eredità ai figli dei suoi figli, ma la ricchezza del peccatore è riservata al giusto. Il campo lavorato dal povero dà cibo in abbondanza, ma c’è chi perisce per mancanza di equità. Chi risparmia la verga odia suo figlio, ma chi lo ama, lo corregge per tempo. Il giusto ha di che mangiare a sazietà, ma il ventre degli empi manca di cibo. La donna saggia costruisce la sua casa, ma la stolta l’abbatte con le proprie mani. Chi cammina nella rettitudine teme l’Eterno, ma chi è pervertito nelle sue vie lo disprezza. Nella bocca dello stolto germoglia la superbia, ma le labbra dei saggi sono la loro custodia. Dove mancano i buoi il granaio è vuoto, ma l’abbondanza della raccolta sta nella forza del bue. Il testimone fedele non mente, ma il testimone falso spaccia menzogne. Il beffardo cerca la sapienza e non la trova, ma per l’uomo intelligente la scienza è cosa facile. Vattene lontano dallo stolto; sulle sue labbra certo non hai trovato scienza. La sapienza dell’uomo accorto sta nel discernere la propria strada, ma la follia degli stolti non è che inganno. Gli insensati si burlano delle colpe commesse, ma il favore dell’Eterno sta fra gli uomini retti. Il cuore conosce la propria amarezza e alla sua gioia non può prendere parte un estraneo. La casa degli empi sarà distrutta, ma la tenda degli uomini retti fiorirà. C’è una via che all’uomo sembra dritta, ma finisce per condurre alla morte. Anche ridendo, il cuore può essere triste; e la gioia può finire in dolore. Lo sviato di cuore avrà la ricompensa del suo modo di vivere, l’uomo onesto quella delle sue opere. L’ingenuo crede tutto quello che si dice, ma l’uomo prudente bada ai suoi passi. Il saggio teme ed evita il male, ma lo stolto è arrogante e presuntuoso. Chi è pronto all’ira commette follie, e l’uomo pieno di malizia diventa odioso. Gli sciocchi ereditano stoltezza, ma i prudenti si incoronano di scienza. I malvagi si inchinano davanti ai buoni, e gli empi alle porte dei giusti. Il povero è odiato anche dal suo compagno, ma gli amici del ricco sono molti. Chi disprezza il prossimo pecca, ma beato chi ha pietà dei miseri! Quelli che meditano il male non sono forse traviati? ma quelli che meditano il bene trovano grazia e fedeltà. In ogni fatica c’è profitto, ma il chiacchierare conduce alla povertà. La corona dei saggi è la loro ricchezza, ma la follia degli stolti non è che follia. Il testimone veritiero salva delle vite, ma chi spaccia bugie non fa che ingannare. C’è grande sicurezza nel timore dell’Eterno; egli sarà un rifugio per i figli di chi lo teme. Il timore dell’Eterno è fonte di vita e fa evitare le insidie della morte. La moltitudine del popolo è la gloria del re, ma la scarsezza dei sudditi è la rovina del principe. Chi è lento all’ira ha un grande buon senso, ma chi è pronto ad andare in collera mostra la sua follia. Un cuore calmo è la vita del corpo, ma l’invidia è la carie delle ossa. Chi opprime il povero oltraggia colui che lo ha fatto, ma chi ha pietà del bisognoso, lo onora. L’empio è travolto dalla sua sventura, ma il giusto spera anche nella morte. La sapienza riposa nel cuore dell’uomo intelligente, ma in mezzo agli stolti si riconosce subito. La giustizia innalza una nazione, ma il peccato è la vergogna dei popoli. Il favore del re è per il servo prudente, ma la sua ira è per chi lo disonora. La risposta dolce calma il furore, ma la parola dura eccita l’ira. La lingua dei saggi è ricca di scienza, ma la bocca degli stolti sgorga follia. Gli occhi dell’Eterno sono in ogni luogo, osservano i cattivi e i buoni. La lingua che calma è un albero di vita, ma la lingua perversa strazia lo spirito. L’insensato disprezza l’istruzione di suo padre, ma chi tiene conto della riprensione diventa avveduto. Nella casa del giusto c’è grande abbondanza, ma nelle entrate dell’empio c’è agitazione. Le labbra dei saggi diffondono scienza, ma non così il cuore degli stolti. Il sacrificio degli empi è in abominio all’Eterno, ma la preghiera degli uomini retti gli è gradita. La via dell’empio è in abominio all’Eterno, ma egli ama chi segue la giustizia. Una dura correzione aspetta chi lascia la retta via; chi odia la riprensione morirà. Il soggiorno dei morti e l’abisso stanno davanti all’Eterno; quanto più i cuori dei figli degli uomini! Il beffardo non ama che un altro lo riprenda; egli non va dai saggi. Il cuore allegro rende raggiante il volto, ma quando il cuore è triste lo spirito è abbattuto. Il cuore dell’uomo intelligente cerca la scienza, ma la bocca degli stolti si nutre di follia. Tutti i giorni sono brutti per l’afflitto, ma per il cuore contento è sempre festa. Meglio poco con il timore dell’Eterno, che grande tesoro con turbamento. Meglio un piatto di erbe, dove c’è l’amore, che un bue ingrassato, dove c’è l’odio. L’uomo irascibile fa nascere contese, ma chi è lento all’ira calma le liti. La via del pigro è come una siepe di spine, ma il sentiero degli uomini retti è piano. Il figlio saggio rallegra il padre, ma l’uomo stolto disprezza sua madre. La follia è una gioia per chi è privo di senno, ma l’uomo prudente cammina diritto per la sua via. I disegni falliscono, dove mancano i consigli; ma riescono, dove sono molti i consiglieri. Uno prova gioia quando risponde bene; e quanto è buona una parola detta a suo tempo! Per l’uomo sagace la via della vita conduce in alto, e gli fa evitare il soggiorno dei morti, situato in basso. L’Eterno abbatte la casa dei superbi, ma rende stabili i confini della vedova. I pensieri malvagi sono in abominio all’Eterno, ma le parole buone sono pure ai suoi occhi. Chi è avido di lucro turba la sua casa, ma chi odia i regali vivrà. Il cuore del giusto medita la sua risposta, ma la bocca degli empi sgorga cose malvagie. L’Eterno è lontano dagli empi, ma ascolta la preghiera dei giusti. Uno sguardo luminoso rallegra il cuore; una buona notizia fortifica le ossa. L’orecchio attento alla riprensione che conduce alla vita, abiterà fra i saggi. Chi rifiuta l’istruzione disprezza la sua anima, ma chi dà retta alla riprensione acquista senno. Il timore dell’Eterno è scuola di sapienza, e l’umiltà precede la gloria. All’uomo spettano i disegni del cuore, ma la risposta della lingua viene dall’Eterno. Tutte le vie dell’uomo a lui sembrano pure, ma l’Eterno pesa gli spiriti. Affida all’Eterno le tue opere, e i tuoi progetti riusciranno. L’Eterno ha fatto ogni cosa per uno scopo; anche l’empio, per il giorno della sventura. Chi ha il cuore superbo è in abominio all’Eterno; certo è che non rimarrà impunito. Con la bontà e con la fedeltà si espia la colpa, e con il timore dell’Eterno si evita il male. Quando l’Eterno gradisce le vie di un uomo, riconcilia con lui anche i suoi nemici. Meglio poco con giustizia che grandi entrate senza equità. Il cuore dell’uomo medita la sua via, ma l’Eterno dirige i suoi passi. Sulle labbra del re sta una sentenza divina; quando pronuncia il giudizio la sua bocca non sbaglia. La stadera e le bilance giuste appartengono all’Eterno, tutti i pesi del sacchetto sono opera sua. I re hanno orrore di fare il male, perché il trono è reso stabile con la giustizia. Le labbra giuste sono gradite ai re; essi amano chi parla rettamente. Ira del re vuol dire messaggeri di morte, ma l’uomo saggio la placherà. La serenità del volto del re dà la vita, il suo favore è come una nuvola di pioggia primaverile. L’acquisto della sapienza è migliore di quello dell’oro, l’acquisto dell’intelligenza preferibile a quello dell’argento! La strada maestra dell’uomo retto è evitare il male; chi bada alla sua via preserva la sua anima. La superbia precede la rovina, e lo spirito altero precede la caduta. Meglio essere umile di spirito con i miseri, che dividere la preda con i superbi. Chi presta attenzione alla Parola se ne troverà bene, e beato colui che confida nell’Eterno! Il saggio di cuore è chiamato intelligente, la dolcezza delle labbra aumenta il sapere. Il senno, per chi lo possiede, è fonte di vita, ma la stoltezza è il castigo degli stolti. Il cuore del saggio gli rende assennata la bocca e aumenta il sapere sulle sue labbra. Le parole gentili sono un favo di miele: dolcezza all’anima, salute al corpo. C’è una via che all’uomo sembra diritta, ma finisce con il condurre alla morte. La fame del lavoratore lavora per lui, perché la sua bocca lo stimola. L’uomo cattivo va scavando il male ad altri; sulle sue labbra c’è come un fuoco divorante. L’uomo perverso semina contese, il maldicente disunisce gli amici migliori. L’uomo violento trascina il compagno e lo conduce per una via non buona. Chi chiude gli occhi per tramare cose perverse, chi si morde le labbra, ha già compiuto il male. I capelli bianchi sono una corona d’onore, la si trova sulla via della giustizia. Chi è lento all’ira vale più del prode guerriero; chi ha autocontrollo vale più di chi espugna città. Si getta la sorte nel grembo, ma ogni decisione viene dall’Eterno. È meglio un tozzo di pane secco con la pace, che una casa piena di carni con la discordia. Il servo intelligente dominerà sul figlio che fa vergogna, e avrà parte all’eredità insieme con i fratelli. Il crogiuolo è per l’argento e il fornello per l’oro, ma chi prova i cuori è l’Eterno. Il malvagio dà ascolto alle labbra inique, e il bugiardo dà retta alla cattiva lingua. Chi deride il povero oltraggia colui che lo ha fatto; chi si rallegra della sventura degli altri non rimarrà impunito. I figli dei figli sono la corona dei vecchi, e i padri sono la gloria dei loro figli. Un parlare solenne non si addice all’uomo da nulla; quanto meno si addicono a un principe labbra bugiarde! Il regalo è una pietra preziosa agli occhi di chi lo possiede; dovunque si volga, egli riesce. Chi copre gli sbagli si procura amore, ma chi ci torna sempre su, disunisce gli amici migliori. Un rimprovero fa più impressione all’uomo intelligente, che cento percosse allo stolto. Il malvagio non cerca che ribellione, ma un messaggero crudele gli sarà mandato contro. Meglio imbattersi in un’orsa derubata dei suoi piccoli, che in un insensato nella sua follia. Il male non si allontanerà dalla casa di chi rende male per bene. Cominciare una contesa è dare la stura all’acqua; perciò ritirati prima che la lite si inasprisca. Chi assolve il colpevole e chi condanna il giusto sono entrambi in abominio all’Eterno. A che serve il denaro in mano allo stolto? Ad acquistare saggezza? Ma se non ha senno. L’amico ama in ogni tempo, è nato per essere un fratello nella sventura. L’uomo privo di senno dà la mano e si fa garante per altri davanti al suo prossimo. Chi ama le liti ama il peccato; chi alza troppo la sua porta, cerca la rovina. Chi ha il cuore falso non trova bene, e chi ha la lingua perversa cade nella sciagura. Chi genera uno stolto ne avrà dolore, il padre dell’uomo da nulla non avrà gioia. Un cuore allegro è un buon rimedio, ma uno spirito abbattuto fiacca le ossa. L’empio accetta regali di nascosto per pervertire le vie della giustizia. La sapienza sta davanti a chi ha intelligenza, ma gli occhi dello stolto vagano agli estremi confini della terra. Il figlio stolto è il dolore del padre e l’amarezza di colei che lo ha partorito. Non è bene condannare il giusto, fosse anche a un’ammenda, né colpire i principi per la loro onestà. Chi modera le sue parole possiede la scienza e chi ha lo spirito calmo è un uomo prudente. Anche lo stolto, quando tace, passa per saggio; chi tiene chiuse le labbra è un uomo intelligente. Chi si separa dagli altri cerca la propria soddisfazione e si arrabbia contro tutto ciò che è giusto. Lo stolto prende piacere, non nella prudenza, ma soltanto nel manifestare ciò che ha nel cuore. Quando viene l’empio, viene anche il disprezzo e, con la vergogna, viene il disonore. Le parole della bocca di un uomo sono acque profonde; la fonte di sapienza è un ruscello che scorre perenne. Non è bene avere dei riguardi personali per l’empio, per fare torto al giusto nel giudizio. Le labbra dello stolto causano liti, e la sua bocca attira percosse. La bocca dello stolto è la sua rovina, e le sue labbra, sono un laccio per la sua anima. Le parole del maldicente sono come ghiottonerie, e penetrano fino nell’intimo delle viscere. Anche colui che è pigro nel suo lavoro è fratello del dissipatore. Il nome dell’Eterno è una forte torre; il giusto vi corre e vi trova un alto rifugio. I beni del ricco sono la sua città forte; sono come un’alta muraglia, nella sua immaginazione. Prima della rovina, il cuore dell’uomo s’innalza, ma l’umiltà precede la gloria. Chi risponde prima di avere ascoltato, mostra la sua follia, e rimane confuso. Lo spirito dell’uomo lo sostiene quando egli è infermo; ma lo spirito abbattuto chi lo solleverà? Il cuore dell’uomo intelligente acquista la scienza, e l’orecchio dei saggi la cerca. I regali che uno fa gli aprono la strada e gli danno accesso ai grandi. Il primo a perorare la propria causa sembra che abbia ragione; ma viene l’altra parte, e lo mette alla prova. La sorte fa cessare le liti e decide fra i grandi. Un fratello offeso è più inespugnabile di una città forte; e le liti tra fratelli sono come le sbarre di un castello. Con il frutto della sua bocca l’uomo sazia il corpo; si sazia con il prodotto delle sue labbra. Morte e vita sono in potere della lingua; chi la ama ne mangerà i frutti. Chi ha trovato moglie ha trovato un bene e ha ottenuto un favore dall’Eterno. Il povero parla supplicando, e il ricco risponde con durezza. Chi ha molti amici li ha per sua disgrazia; ma c’è un amico che è più affezionato di un fratello. Meglio un povero che cammina nella sua integrità, di chi è perverso di labbra e anche stolto. Lo zelo, senza conoscenza, non è cosa buona: chi cammina in fretta sbaglia strada. La stoltezza dell’uomo ne perverte la via, ma il suo cuore si irrita contro l’Eterno. Le ricchezze procurano numerosi amici, ma il povero è abbandonato anche dal suo compagno. Il falso testimone non rimarrà impunito, e chi spaccia menzogne non avrà scampo. Molti corteggiano l’uomo generoso, e tutti sono amici dell’uomo che fa doni. Tutti i fratelli del povero lo odiano; quanto più i suoi amici si allontaneranno da lui! Egli li supplica con parole, ma già sono scomparsi. Chi acquista senno ama la sua anima; e chi serba con cura la prudenza troverà del bene. Il falso testimone non rimarrà impunito, e chi spaccia menzogne perirà. Vivere in delizie non si addice allo stolto; quanto meno si addice allo schiavo dominare sui principi! Il senno rende l’uomo lento all’ira, ed egli stima sua gloria passare sopra le offese. L’ira del re è come il ruggito di un leone, ma il suo favore è come rugiada sull’erba. Un figlio stolto è una grande sciagura per suo padre, e le risse di una moglie sono il gocciolare continuo di un tetto. Casa e ricchezze sono un’eredità dei padri, ma una moglie giudiziosa è un dono dell’Eterno. La pigrizia fa cadere nel torpore, e l’anima indolente patirà la fame. Chi osserva il comandamento ha cura della sua anima, ma chi trascura la propria condotta morirà. Chi ha pietà del povero presta all’Eterno, che gli ricambierà l’opera buona. Castiga tuo figlio, mentre c’è ancora speranza, ma non ti lasciare andare fino a farlo morire. L’uomo dalla collera violenta deve essere punito; perché, se lo risparmi, dovrai tornare daccapo. Ascolta il consiglio e ricevi l’istruzione, affinché tu diventi saggio per il resto della vita. Ci sono molti disegni nel cuore dell’uomo, ma il piano dell’Eterno è quello che sussiste. Ciò che rende caro l’uomo è la bontà, e un povero vale più di un bugiardo. Il timore dell’Eterno conduce alla vita; chi lo possiede si sazia, e passa la notte senza essere visitato da alcun male. Il pigro tuffa la mano nel piatto, e non fa neppure tanto da portarla alla bocca. Percuoti il beffardo, e il semplice si farà accorto; riprendi l’intelligente e imparerà la scienza. Il figlio che fa vergogna e disonore rovina suo padre e scaccia sua madre. Cessa, figlio mio, di ascoltare l’istruzione, se ti vuoi allontanare dalle parole della scienza. Il testimone iniquo ride della giustizia, e la bocca degli empi ingoia l’iniquità. I giudizi sono preparati per i beffardi e le percosse per il dorso degli stolti. Il vino è schernitore, la bevanda alcolica è turbolenta, e chiunque se ne lascia sopraffare non è saggio. Il terrore che incute il re è come il ruggito di un leone; chi lo irrita pecca contro la propria vita. È una gloria per l’uomo l’astenersi dalle contese, ma chiunque è insensato mostra i denti. Il pigro non ara a causa del freddo; alla raccolta verrà a cercare, ma non ci sarà nulla. I disegni nel cuore dell’uomo sono acque profonde, ma l’uomo intelligente saprà attingervi. Molta gente vanta la propria bontà; ma un uomo fedele chi lo troverà? I figli del giusto, che cammina nella sua integrità, saranno beati dopo di lui. Il re, seduto sul trono dove rende giustizia, dissipa ogni male con il suo sguardo. Chi può dire: “Ho purificato il mio cuore, sono puro dal mio peccato?”. Doppio peso e doppia misura sono entrambi in abominio all’Eterno. Anche il fanciullo dimostra con i suoi atti se la sua condotta sarà pura e retta. L’orecchio che ascolta e l’occhio che vede, li ha fatti entrambi l’Eterno. Non amare il sonno, perché tu non impoverisca; tieni gli occhi aperti e avrai pane da saziarti. “Cattivo! cattivo!” dice il compratore; ma, andandosene, si vanta dell’acquisto. C’è dell’oro e abbondanza di perle, ma le labbra ricche di scienza sono cosa più preziosa. Prendigli il vestito, poiché ha dato garanzia per altri; fatti dare dei pegni, poiché si è reso garante di stranieri. Il pane frodato è dolce all’uomo, ma, dopo, avrà la bocca piena di ghiaia. I disegni sono resi stabili dal consiglio; fa’ dunque la guerra con una saggia direzione. Chi va sparlando palesa i segreti, perciò non associarti con chi apre troppo le labbra. Chi maledice suo padre e sua madre, la sua lampada si spegnerà nelle tenebre più fitte. L’eredità acquistata troppo presto all’inizio, alla fine non sarà benedetta. Non dire: “Ricambierò il male”, spera nell’Eterno, ed egli ti salverà. Il peso doppio è in abominio all’Eterno, e la bilancia falsa non è cosa buona. I passi dell’uomo li dirige l’Eterno, come può quindi l’uomo capire la propria via? È pericoloso per l’uomo prendere alla leggera un impegno sacro e riflettere soltanto dopo aver fatto un voto. Il re saggio passa gli empi al vaglio dopo aver fatto passare la ruota su di loro. Lo spirito dell’uomo è una lampada dell’Eterno che scruta tutti i recessi del cuore. La bontà e la fedeltà custodiscono il re; con la bontà egli rende stabile il suo trono. La bellezza dei giovani sta nella loro forza, e l’onore dei vecchi nella loro canizie. Le battiture che feriscono guariscono il male, così le percosse che vanno in fondo al cuore. Il cuore del re, nella mano dell’Eterno, è come un corso d’acqua; egli lo dirige dovunque gli piace. Tutte le vie dell’uomo gli sembrano diritte, ma l’Eterno pesa i cuori. Praticare la giustizia e l’equità è cosa che l’Eterno preferisce ai sacrifici. Gli occhi alteri e il cuore superbo, lampada degli empi, sono peccato. I disegni dell’uomo diligente conducono sicuramente all’abbondanza, ma chi si affretta troppo non fa che cadere in miseria. I tesori acquistati con lingua bugiarda sono un soffio fugace di gente che cerca la morte. La violenza degli empi li porta via, perché rifiutano di praticare l’equità. La via del colpevole è tortuosa, ma l’innocente opera con rettitudine. Meglio abitare sul canto di un tetto, che in una casa grande con una moglie rissosa. L’empio desidera il male; il suo stesso amico non trova pietà ai suoi occhi. Quando il beffardo è punito, il semplice diventa saggio; quando si istruisce il saggio, egli acquista scienza. Il Giusto tiene d’occhio la casa dell’empio e precipita gli empi nelle sciagure. Chi chiude l’orecchio al grido del povero griderà anch’egli, e non gli sarà risposto. Un dono fatto in segreto placa la collera, e un regalo dato di nascosto, l’ira violenta. Fare ciò che è retto è una gioia per il giusto, ma è una rovina per i malfattori. L’uomo che smarrisce la via del buon senso riposerà nell’assemblea dei defunti. Chi ama godere sarà bisognoso, chi ama il vino e l’olio non arricchirà. L’empio serve di riscatto al giusto; il perfido, agli uomini retti. Meglio abitare in un deserto, che con una donna rissosa e stizzosa. In casa del saggio ci sono dei tesori preziosi e dell’olio, ma l’uomo stolto dà fondo a tutto. Chi ricerca la giustizia e la bontà troverà vita, giustizia e gloria. Il saggio dà la scalata alla città dei forti, e abbatte il baluardo in cui essa confidava. Chi custodisce la sua bocca e la sua lingua preserva la sua anima dalle avversità. Il nome dell’insolente superbo è: beffardo; egli fa ogni cosa con furore di superbia. I desideri del pigro lo uccidono perché le sue mani rifiutano di lavorare. C’è chi da mattina a sera desidera avidamente, ma il giusto dona senza mai rifiutare. Il sacrificio dell’empio è cosa abominevole; quanto più se lo offre con intento malvagio! Il testimone bugiardo perirà, ma l’uomo che ascolta potrà sempre parlare. L’empio fa la faccia tosta, ma l’uomo retto rende ferma la sua condotta. Non c’è sapienza, né intelligenza, né consiglio che valga contro l’Eterno. Il cavallo è pronto per il giorno della battaglia, ma la vittoria appartiene all’Eterno. La buona reputazione è da preferirsi alle molte ricchezze; la stima, all’argento e all’oro. Il ricco e il povero s’incontrano; l’Eterno li ha fatti tutti e due. L’uomo accorto vede venire il male, e si nasconde; ma i semplici vanno avanti e ne subiscono le conseguenze. Il frutto dell’umiltà e del timore dell’Eterno è ricchezza, gloria e vita. Spine e lacci sono sulla via del perverso; chi ha cura della sua anima se ne tiene lontano. Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere, anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà. Il ricco domina sui poveri, e chi prende in prestito è schiavo di chi presta. Chi semina iniquità miete sciagura, e la verga della sua collera è infranta. L’uomo dallo sguardo benevolo sarà benedetto, perché dà del suo pane al povero. Caccia via il beffardo, se ne andranno le contese, cesseranno le liti e gli oltraggi. Chi ama la purezza del cuore e ha la grazia sulle labbra, ha il re per amico. Gli occhi dell’Eterno proteggono la scienza, ma egli rende vane le parole del perfido. Il pigro dice: “Là fuori c’è un leone; sarò ucciso per la strada”. La bocca delle donne corrotte è una fossa profonda; chi è in abominio all’Eterno vi cadrà dentro. La follia è legata al cuore del fanciullo, ma la verga della correzione l’allontanerà da lui. Chi opprime il povero, lo arricchisce; chi dona al ricco, non fa che impoverirlo. Porgi l’orecchio e ascolta le parole dei saggi e applica il cuore alla mia scienza. Ti sarà dolce custodirle in cuore e averle tutte pronte sulle tue labbra. Ho voluto istruirti oggi, sì, proprio te, perché la tua fiducia sia posta nell’Eterno. Non ho io già da tempo scritto per te consigli e insegnamenti per farti conoscere cose certe, parole vere, affinché tu possa rispondere parole vere a chi ti interroga? Non derubare il povero perché è povero, e non opprimere il misero alla porta, perché l’Eterno difenderà la loro causa, e spoglierà della vita chi avrà spogliato loro. Non fare amicizia con l’uomo irascibile e non andare con l’uomo violento, perché tu non impari le sue vie ed esponga la tua anima a un’insidia. Non essere di quelli che danno la mano, che si fanno garanti per debiti. Se non hai di che pagare, perché esporti a farti portare via il letto? Non spostare il confine antico, che fu messo dai tuoi padri. Hai tu visto un uomo veloce nelle sue faccende? Egli starà al servizio dei re; non starà al servizio della gente oscura. Quando ti siedi a mensa con un principe, rifletti bene su chi ti sta davanti; mettiti un coltello alla gola, se tu sei ingordo. Non desiderare i suoi bocconi delicati, sono un cibo ingannatore. Non ti affannare per diventare ricco, smetti di applicarvi la tua intelligenza. Vuoi fissare lo sguardo su ciò che scompare? Poiché la ricchezza si fa delle ali, come l’aquila che vola verso il cielo. Non mangiare il pane di chi ha l’occhio maligno e non desiderare i suoi cibi delicati; poiché, nel suo intimo, egli è calcolatore. “Mangia e bevi!”, ti dirà, ma il suo cuore non è con te. Vomiterai il boccone che avrai mangiato e avrai perso le tue belle parole. Non rivolgere la parola allo stolto, perché disprezzerà il senno dei tuoi discorsi. Non spostare il confine antico e non entrare nei campi degli orfani, perché il loro vendicatore è potente; egli difenderà la loro causa contro di te. Applica il tuo cuore all’istruzione e gli orecchi alle parole della scienza. Non risparmiare la correzione al bambino; se lo batti con la verga, non morirà; lo batterai con la verga, ma salverai l’anima sua dal soggiorno dei morti. Figlio mio, se il tuo cuore è saggio, anche il mio cuore si rallegrerà; il mio cuore esulterà quando le tue labbra diranno cose rette. Il tuo cuore non porti invidia ai peccatori, ma perseveri sempre nel timore dell’Eterno; poiché c’è un avvenire, e la tua speranza non sarà delusa. Ascolta, figlio mio, sii saggio, e dirigi il cuore per la retta via. Non essere di quelli che sono bevitori di vino, che sono ghiotti mangiatori di carne; perché l’ubriacone e il ghiottone impoveriranno e i dormiglioni se ne andranno vestiti di stracci. Da’ retta a tuo padre che ti ha generato, e non disprezzare tua madre quando sarà vecchia. Acquista verità e non la vendere, acquista sapienza, istruzione e intelligenza. Il padre del giusto esulta grandemente; chi ha generato un saggio, ne avrà gioia. Possano tuo padre e tua madre rallegrarsi, e possa gioire colei che ti ha partorito! Figlio mio, dammi il tuo cuore, e gli occhi tuoi prendano piacere nelle mie vie; perché la prostituta è una fossa profonda, e la straniera, un pozzo stretto. Anche lei sta in agguato come un ladro, e accresce fra gli uomini il numero dei traditori. Per chi sono gli “ahi”? per chi gli “ahimè”? per chi le liti? per chi i lamenti? per chi le ferite senza ragione? per chi gli occhi rossi? Per chi indugia a lungo presso il vino, per quelli che vanno a gustare il vino tagliato. Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nel calice e va giù così facilmente! Alla fine, esso morde come un serpente e punge come una vipera. I tuoi occhi vedranno cose strane, e il tuo cuore farà dei discorsi pazzi. Sarai come chi giace in mezzo al mare, come chi giace in cima all’albero della nave. Dirai: “Mi hanno picchiato e non mi hanno fatto male; mi hanno percosso e non me ne sono accorto; quando mi sveglierò? tornerò a cercarne ancora!”. Non portare invidia ai malvagi e non desiderare di stare con loro, perché il loro cuore medita violenza e le loro labbra parlano di nuocere. La casa si costruisce con la sapienza, e si rende stabile con la prudenza; mediante la scienza se ne riempiono le stanze di ogni specie di beni preziosi e gradevoli. L’uomo saggio è pieno di forza, e chi ha conoscenza accresce la sua potenza; infatti, con sagge direttive potrai condurre bene la guerra, e la vittoria sta nel gran numero dei consiglieri. La sapienza è troppo in alto per lo stolto; egli non apre mai la bocca alla porta della città. Chi pensa a fare il male sarà chiamato esperto in malizia. I disegni dello stolto sono peccato e il beffardo è l’abominio degli uomini. Se ti scoraggi nel giorno dell’avversità, la tua forza è poca. Libera quelli che sono condotti a morte, e salva quelli che, vacillando, vanno al supplizio. Se dici: “Ma noi non ne sapevamo nulla!”, colui che pesa i cuori, non lo vede forse? Colui che veglia sulla tua anima non lo sa forse? E non renderà egli a ciascuno secondo le sue opere? Figlio mio, mangia del miele perché è buono; un favo di miele sarà dolce al tuo palato. Così conosci la sapienza per il bene dell’anima tua! Se la trovi, c’è un avvenire, e la tua speranza non sarà delusa. O empio, non tendere insidie alla casa del giusto! non devastare il luogo dove riposa! perché il giusto cade sette volte e si rialza, ma gli empi sono travolti dalla sventura. Quando il tuo nemico cade, non ti rallegrare; quando è rovesciato, il tuo cuore non ne gioisca, affinché l’Eterno non lo veda e gli dispiaccia e non distolga la sua ira da lui. Non ti irritare a causa di chi fa il male, e non portare invidia agli empi; perché non c’è avvenire per il malvagio; la lampada degli empi sarà spenta. Figlio mio, temi l’Eterno e il re, e non associarti con chi vuole cambiare; la loro calamità sopraggiungerà improvvisa, e chi sa la triste fine dei loro anni? Anche queste sono massime dei saggi. Non è bene, in giudizio, avere dei riguardi personali. Chi dice all’empio: “Tu sei giusto”, i popoli lo malediranno, lo odieranno le nazioni. Ma quelli che sanno punire se ne troveranno bene, su loro scenderanno benedizioni e prosperità. Dà un bacio sulle labbra chi dà una risposta giusta. Metti in buon ordine i tuoi affari di fuori, metti a posto i tuoi campi, poi ti costruirai la casa. Non testimoniare, senza motivo, contro il tuo prossimo; non farti ingannatore con le tue parole. Non dire: “Come ha fatto a me così farò a lui; renderò a costui secondo la sua opera”. Passai presso il campo del pigro e presso la vigna dell’uomo privo di senno; ed ecco le spine vi crescevano dappertutto, i rovi ne coprivano il suolo, e il muro di cinta era in rovina. Considerai la cosa, e mi misi a riflettere; da quel che vidi, trassi una lezione: Dormire un po’, sonnecchiare un po’, incrociare un po’ le mani per riposare e la tua povertà verrà come un ladro, la tua miseria come un uomo armato. Ecco altri proverbi di Salomone, raccolti dalla gente di Ezechia, re di Giuda. È gloria di Dio nascondere le cose, ma la gloria dei re sta nell’investigarle. L’altezza del cielo, la profondità della terra e il cuore dei re non si possono investigare. Togli le scorie dall’argento e ne uscirà un vaso per l’artefice, togli l’empio dalla presenza del re e il suo trono sarà reso stabile dalla giustizia. Non fare il presuntuoso alla presenza del re, e non ti mettere nel luogo dei grandi, poiché è meglio che ti sia detto: “Sali qui”, anziché essere abbassato davanti al principe che i tuoi occhi hanno visto. Non ti affrettare a intentare processi, perché alla fine tu non sappia che fare, quando il tuo prossimo ti avrà svergognato. Difendi la tua causa contro il tuo prossimo, ma non rivelare il segreto di un altro, affinché chi ti ascolta non ti disprezzi e la tua vergogna non si cancelli più. Le parole dette a tempo sono come frutti d’oro in vasi d’argento cesellato. Per un orecchio docile, chi riprende con saggezza è un anello d’oro, un ornamento d’oro fino. Il messaggero fedele, per quelli che lo mandano, è come il fresco della neve al tempo della mietitura; egli ristora l’anima del suo padrone. Nuvole e vento, ma senza pioggia; ecco l’uomo che si vanta falsamente della sua generosità. Con la pazienza si piega un principe, e la lingua dolce spezza le ossa. Se trovi del miele, mangiane quanto ti basta; perché, mangiandone troppo, tu non debba poi vomitarlo. Metti di rado il piede in casa del prossimo, perché egli, stufandosi di te, non abbia a odiarti. L’uomo che attesta il falso contro il suo prossimo è un martello, una spada, una freccia acuminata. La fiducia in un perfido, nel giorno della difficoltà, è un dente spezzato, un piede slogato. Cantare delle canzoni a un cuore sofferente è come togliersi l’abito in giorno di freddo, o mettere aceto sulla soda. Se il tuo nemico ha fame, dagli del pane da mangiare; se ha sete, dagli dell’acqua da bere; perché, così, radunerai dei carboni accesi sul suo capo, e l’Eterno ti ricompenserà. Il vento del nord porta la pioggia, e la lingua che sparla di nascosto fa oscurare il viso. Meglio abitare sul canto di un tetto, che in una grande casa con una moglie rissosa. Una buona notizia da un paese lontano è come acqua fresca a una persona stanca e assetata. Il giusto che vacilla davanti all’empio è come una fontana torbida e una sorgente inquinata. Mangiare troppo miele non è bene, ma scrutare cose difficili è un onore. L’uomo che non ha autocontrollo è una città smantellata, priva di mura. Come la neve all’estate, la pioggia al tempo della mietitura, così non si addice la gloria allo stolto. Come il passero vaga qua e là e la rondine vola, così la maledizione senza motivo non raggiunge il suo effetto. La frusta per il cavallo, la briglia per l’asino e il bastone per il dorso degli stolti. Non rispondere allo stolto secondo la sua follia, perché tu non gli debba somigliare. Rispondi allo stolto secondo la sua follia, perché non si creda saggio. Chi affida messaggi a uno stolto si taglia i piedi e si abbevera di sofferenze. Come le gambe dello zoppo sono senza forza, così è una massima nella bocca degli stolti. Chi onora uno stolto fa come chi getta una gemma in un mucchio di sassi. Una massima in bocca agli stolti è come un ramo spinoso in mano a un ubriaco. Chi impiega lo stolto e il primo che capita è come un arciere che ferisce tutti. Lo stolto che ricade nella sua follia è come il cane che torna al suo vomito. Hai tu visto un uomo che si crede saggio? C’è più da sperare da uno stolto che da lui. Il pigro dice: “C’è un leone nella strada, c’è un leone per le vie!”. Come la porta si gira sui cardini, così il pigro sul suo letto. Il pigro tuffa la mano nel piatto e gli sembra faticoso riportarla alla bocca. Il pigro si crede più saggio di sette uomini che danno risposte sensate. Il passante che si riscalda per una contesa che non lo riguarda, è come chi afferra un cane per le orecchie. Come un pazzo che scaglia tizzoni, frecce e morte, così è colui che inganna il prossimo, e dice: “L’ho fatto per ridere!”. Quando manca la legna, il fuoco si spegne; e quando non c’è maldicente, cessano le contese. Come il carbone dà la brace, e la legna dà la fiamma, così l’uomo rissoso accende le liti. Le parole del maldicente sono come ghiottonerie, e penetrano fino nell’intimo delle viscere. Labbra ardenti e un cuore malvagio sono come schiuma d’argento spalmata sopra un vaso di terra. Chi odia, parla con finzione; ma, dentro, cova l’inganno; quando parla con voce graziosa, non ti fidare, perché ha sette abominazioni nel cuore. Il suo odio si nasconde sotto la finzione, ma la sua malvagità si rivelerà nell’assemblea. Chi scava una fossa vi cadrà, e la pietra torna addosso a chi la rotola. La lingua bugiarda odia quelli che ha ferito, e la bocca adulatrice produce rovina. Non ti vantare del domani, poiché non sai quello che un giorno possa produrre. Un altro ti lodi, non la tua bocca; un estraneo, non le tue labbra. La pietra è grave e la sabbia pesante, ma l’irritazione dello stolto pesa più dell’uno e dell’altra. L’ira è crudele e la collera impetuosa; ma chi può resistere alla gelosia? Meglio riprensione aperta che amore nascosto. Fedeli sono le ferite di chi ama, frequenti i baci di chi odia. Chi è sazio calpesta il favo di miele, ma per chi ha fame ogni cosa amara è dolce. Come l’uccello vaga lontano dal nido, così è l’uomo che vaga lontano da casa. L’olio e il profumo rallegrano il cuore; così fa la dolcezza di un amico con i suoi consigli cordiali. Non abbandonare il tuo amico né l’amico di tuo padre, e non andare in casa di tuo fratello nel giorno della tua sventura; una persona a te vicina vale più di un fratello lontano. Figlio mio, sii saggio e rallegrami il cuore, così potrò rispondere a chi mi offende. L’uomo accorto vede il male e si nasconde, ma gli scempi passano oltre e ne portano la pena. Prendigli il vestito poiché ha garantito per altri; fatti dare dei pegni, poiché si è reso garante di stranieri. Chi benedice il prossimo ad alta voce, di buon mattino, sarà considerato come se lo maledicesse. Un gocciolare continuo in giorno di grande pioggia e una donna rissosa sono cose che si somigliano. Chi la vuole trattenere vuole trattenere il vento e stringere l’olio nella sua destra. Il ferro forbisce il ferro; così un uomo ne forbisce un altro. Chi ha cura del fico ne mangerà il frutto; e chi veglia sul suo padrone sarà onorato. Come il viso si riflette nell’acqua, così il cuore dell’uomo rivela l’uomo. Il soggiorno dei morti e l’abisso sono insaziabili, e insaziabili sono gli occhi degli uomini. Il crogiuolo è per l’argento, il fornello per l’oro, e l’uomo è provato dalla bocca di chi lo loda. Anche se tu pestassi lo stolto in un mortaio in mezzo al grano con il pestello, la sua follia non lo lascerebbe. Guarda di conoscere bene lo stato delle tue pecore, abbi gran cura delle tue mandrie; perché le ricchezze non durano sempre e neanche una corona dura di generazione in generazione. Quando è tolto il fieno, subito rispunta l’erba fresca e le erbe dei monti sono raccolte. Gli agnelli ti danno da vestire, i capri di che comprarti un campo, e il latte delle capre basta a nutrire te, a nutrire la tua famiglia e a far vivere le tue serve. L’empio fugge senza che nessuno lo perseguiti, ma il giusto se ne sta sicuro come un leone. Quando un paese è pieno di misfatti, i suoi capi sono numerosi, ma, con un uomo intelligente e pratico delle cose, l’ordine dura. Un povero che opprime i miseri è come una pioggia che devasta e non dà pane. Quelli che abbandonano la legge, lodano gli empi; ma quelli che la osservano, fanno loro la guerra. Gli uomini malvagi non comprendono ciò che è giusto, ma quelli che cercano l’Eterno comprendono ogni cosa. Meglio il povero che cammina nella sua integrità, del perverso che cammina nella doppiezza ed è ricco. Chi osserva la legge è un figlio intelligente, ma il compagno dei ghiottoni fa vergogna a suo padre. Chi accresce i suoi beni con gli interessi e l’usura, li raccoglie per chi ha pietà dei poveri. Se uno volge gli orecchi altrove per non udire la legge, la sua stessa preghiera è un abominio. Chi spinge i giusti a percorrere una cattiva strada cadrà egli stesso nella fossa che ha scavato, ma gli uomini integri erediteranno il bene. Il ricco si reputa saggio, ma il povero che è intelligente, lo scruta. Quando i giusti trionfano la gloria è grande, ma quando gli empi si innalzano la gente si nasconde. Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia. Beato l’uomo che è sempre timoroso, ma chi indurisce il suo cuore cadrà nella sventura. Un empio che domina un popolo povero è un leone ruggente, un orso affamato. Il principe senza prudenza fa molte estorsioni, ma chi odia il guadagno disonesto prolunga i suoi giorni. L’uomo su cui pesa un omicidio fuggirà fino alla fossa: nessuno lo fermi! Chi cammina integramente sarà salvato, ma il perverso che percorre vie tortuose cadrà all’improvviso. Chi lavora la sua terra avrà abbondanza di pane, ma chi va dietro ai fannulloni avrà abbondanza di miseria. L’uomo fedele sarà colmato di benedizioni, ma chi ha fretta di arricchire non rimarrà impunito. Avere dei riguardi personali non è bene; per un pezzo di pane l’uomo talvolta diventa peccatore. L’uomo invidioso ha fretta di arricchire, non sa che gli piomberà addosso la miseria. Chi riprende qualcuno gli sarà, alla fine, più gradito di chi lo lusinga con le sue parole. Chi ruba a suo padre e a sua madre e dice: “Non è un delitto!”, è compagno del dissipatore. Chi ha l’animo avido fa nascere contese, ma chi confida nell’Eterno sarà saziato. Chi confida nel proprio cuore è uno stolto, ma chi cammina saggiamente scamperà. Chi dona al povero non sarà mai nel bisogno, ma chi chiude gli occhi sarà coperto di maledizioni. Quando gli empi si innalzano la gente si nasconde; ma quando periscono, si moltiplicano i giusti. L’uomo che, dopo essere stato spesso ripreso, irrigidisce il collo, sarà abbattuto all’improvviso e senza rimedio. Quando i giusti sono numerosi il popolo si rallegra, ma quando domina l’empio il popolo geme. L’uomo che ama la sapienza rallegra suo padre, ma chi frequenta le prostitute sperpera i suoi beni. Il re, con la giustizia, rende stabile il paese; ma chi ama i regali, lo rovina. L’uomo che lusinga il prossimo gli tende una rete davanti ai piedi. Nella trasgressione del malvagio c’è un’insidia, ma il giusto canta e si rallegra. Il giusto conosce la causa dei poveri, ma l’empio non ha intendimento né conoscenza. I beffardi soffiano nel fuoco delle discordie cittadine, ma i saggi calmano le ire. Se un saggio viene a contesa con uno stolto, quello va in collera e ride, e non c’è da intendersi. Gli uomini sanguinari odiano chi è integro, ma gli uomini retti proteggono la sua vita. Lo stolto dà sfogo a tutta la sua ira, ma il saggio trattiene la propria. Quando il sovrano dà retta alle parole bugiarde, tutti i suoi ministri sono malvagi. Il povero e l’oppressore s’incontrano, l’Eterno illumina gli occhi di entrambi. Il re che fa giustizia ai miseri secondo verità, avrà il trono stabile per sempre. La verga e la riprensione danno sapienza, ma il fanciullo lasciato a sé stesso fa vergogna a sua madre. Quando abbondano gli empi, abbondano le trasgressioni, ma i giusti ne vedranno la rovina. Correggi tuo figlio; egli ti darà conforto e procurerà gioie alla tua anima. Quando non c’è visione, il popolo è senza freno, ma beato colui che osserva la legge! Uno schiavo non si corregge a parole; anche se comprende, non ubbidisce. Hai tu visto un uomo precipitoso nel suo parlare? C’è più da sperare da uno stolto che da lui. Se uno alleva delicatamente da bambino il suo servo, questo finirà per volere essere figlio. L’uomo irascibile fa nascere contese, e l’uomo collerico abbonda in trasgressioni. L’orgoglio abbassa l’uomo, ma chi è umile di spirito ottiene gloria. Chi fa società con il ladro odia la sua anima; egli ode la maledizione e non dice nulla. La paura degli uomini costituisce una trappola, ma chi confida nell’Eterno è al sicuro. Molti cercano il favore del principe, ma l’Eterno fa giustizia a ognuno. L’uomo iniquo è un abominio per i giusti, e chi cammina rettamente è un abominio per gli empi. Parole di Agur, figlio di Iaché. Massime pronunciate da quest’uomo per Itiel, per Itiel e Ucal. Certo, io sono più ignorante di ogni altro, e non ho l’intelligenza di un uomo. Non ho imparato la sapienza, e non ho la conoscenza del Santo. Chi è salito in cielo e ne è sceso? Chi ha raccolto il vento nel suo pugno? Chi ha racchiuso le acque nella sua veste? Chi ha stabilito tutti i confini della terra? Qual è il suo nome e il nome di suo figlio? Lo sai tu? Ogni parola di Dio è affinata con il fuoco. Egli è uno scudo per chi confida in lui. Non aggiungere nulla alle sue parole, perché egli non ti debba rimproverare e tu sia trovato bugiardo. Io ti ho chiesto due cose: non me le rifiutare, prima che io muoia: allontana da me vanità e parola bugiarda; non mi dare né povertà né ricchezze, cibami del pane che mi è necessario, affinché io, essendo sazio, non arrivi a rinnegarti e a dire: “Chi è l’Eterno?” oppure, diventato povero, non rubi e profani il nome del mio Dio. Non calunniare il servo presso il suo padrone, perché egli non ti maledica e tu debba subirne la pena. C’è una razza di gente che maledice suo padre e non benedice sua madre. C’è una razza di gente che si crede pura e non è lavata dalla sua lordura. C’è una razza di gente che ha gli occhi molto alteri e le palpebre superbe. C’è una razza di gente i cui denti sono spade e i molari coltelli, per divorare del tutto i miseri sulla terra, e i bisognosi fra gli uomini. La sanguisuga ha due figlie che dicono: “Dammi, dammi!”. Ci sono tre cose che non si saziano mai, anzi quattro, che non dicono mai: “Basta!”. Il soggiorno dei morti, il grembo sterile, la terra che non si sazia di acqua e il fuoco che non dice mai: “Basta!”. L’occhio di chi si fa beffe del padre e non si degna di ubbidire alla madre, lo caveranno i corvi del torrente, lo divoreranno gli aquilotti. Ci sono tre cose per me troppo meravigliose; anzi quattro, che io non capisco: la traccia dell’aquila nell’aria, la traccia del serpente sulla roccia, la traccia della nave in mezzo al mare, la traccia dell’uomo nella giovane. Tale è la condotta della donna adultera: essa mangia, si pulisce la bocca, e dice: “Non ho fatto nulla di male!”. Per tre cose la terra trema, anzi per quattro, che non può sopportare: per un servo quando diventa re, per un uomo da nulla quando ha pane a sazietà, per una donna, mai chiesta, quando giunge a maritarsi e per una serva quando diventa erede della padrona. Ci sono quattro animali fra i più piccoli della terra, e tuttavia pieni di saggezza: le formiche, popolo senza forze, che si preparano il cibo durante l’estate; gli iràci, popolo non potente, che fissano la loro dimora nelle rocce; le locuste, che non hanno re, e procedono tutte divise per schiere; la lucertola, che puoi prendere con le mani, eppure si trova nei palazzi dei re. Queste tre creature hanno una bella andatura, anche queste quattro hanno un passo magnifico: il leone, che è il più forte degli animali e non indietreggia davanti a nessuno; il cavallo dai fianchi serrati, il capro, e il re alla testa dei suoi eserciti. Se hai agito follemente cercando di innalzarti, o se hai pensato del male, mettiti la mano sulla bocca; perché, come chi sbatte la panna ne fa uscire il burro, chi schiaccia il naso ne fa uscire il sangue, così chi spreme l’ira ne fa uscire contese. Parole del re Lemuel. Massime con le quali sua madre lo ammaestrò. Che ti dirò, figlio mio? che ti dirò, figlio del mio grembo? che ti dirò, o figlio dei miei voti? Non dare il tuo vigore alle donne, né i tuoi costumi a quelle che corrompono i re. Non si addice ai re, o Lemuel, non si addice ai re bere del vino, né ai principi desiderare bevande inebrianti: ché a volte, avendo bevuto, non dimentichino la legge e rinneghino i diritti di tutti gli afflitti. Date della bevanda inebriante a chi sta per morire, e del vino a chi ha l’anima amareggiata; affinché bevano, dimentichino la loro miseria e non si ricordino più dei loro travagli. Apri la tua bocca in favore del muto, per sostenere la causa di tutti gli abbandonati; apri la tua bocca, giudica con giustizia, fa’ giustizia al misero e al bisognoso. Una donna forte e virtuosa chi la troverà? il suo pregio sorpassa di molto quello delle perle. Il cuore del suo marito confida in lei, ed egli non mancherà mai di provviste. Lei gli fa del bene, e non del male, tutti i giorni della sua vita. Si procura della lana e del lino e lavora volentieri con le proprie mani. È simile alle navi dei mercanti: fa venire il suo cibo da lontano. Si alza quando ancora è notte, distribuisce il cibo alla famiglia e il compito alle sue donne di servizio. Posa gli occhi sopra un campo e lo acquista; con il guadagno delle sue mani pianta una vigna. Si cinge di forza i fianchi, e fa robuste le sue braccia. Si accorge che il suo lavoro rende bene; la sua lampada non si spegne la notte. Mette la mano alla rocca, e le sue dita maneggiano il fuso. Tende le palme al misero, e porge le mani al bisognoso. Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutta la sua famiglia è vestita di lana scarlatta. Si fa dei tappeti, ha delle vesti di lino finissimo e di porpora. Suo marito è rispettato alle porte, quando si siede fra gli anziani del paese. Fa delle tuniche e le vende, e delle cinture che dà al mercante. Forza e dignità sono il suo manto e non teme l’avvenire. Apre la bocca con sapienza e ha sulla lingua insegnamenti di bontà. Sorveglia l’andamento della sua casa e non mangia il pane di pigrizia. I suoi figli si alzano e la proclamano beata, e suo marito la loda, dicendo: “Molte donne si sono comportate da virtuose, ma tu le superi tutte!”. La grazia è ingannevole e la bellezza è cosa vana; ma la donna che teme l’Eterno è quella che sarà lodata. Datele del frutto delle sue mani, e le sue opere la lodino alle porte! Parole dell’Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme. “Vanità delle vanità”, dice l’Ecclesiaste; “vanità delle vanità; tutto è vanità”. Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole? Una generazione se ne va, un’altra viene, e la terra sussiste per sempre. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, tornano a dirigersi sempre. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l’uomo possa dire; l’occhio non si sazia mai di vedere e l’orecchio non è mai stanco di udire. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c’è nulla di nuovo sotto il sole. C’è forse qualcosa della quale si possa dire: “Guarda questo è nuovo?”. Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto. Non rimane ricordo delle cose di altri tempi; e di ciò che succederà in seguito non rimarrà ricordo fra quelli che verranno più tardi. Io, l’Ecclesiaste, sono stato re d’Israele a Gerusalemme, e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con sapienza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha dato ai figli degli uomini perché vi si affatichino. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole; ed ecco tutto è vanità e un correre dietro al vento. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato. Io ho detto, parlando in cuor mio: “Ecco io ho acquistato maggiore sapienza di tutti quelli che hanno regnato prima di me in Gerusalemme”; sì, il mio cuore ha posseduto molta sapienza e molta scienza. Ho applicato il cuore a conoscere la sapienza e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento. Poiché dove c’è molta sapienza c’è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore. Io ho detto in cuor mio: “Andiamo! Io ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!”. Ma ecco che anche questo è vanità. Io ho detto del riso: “È una follia”; e della gioia: “A che giova?”. Io presi in cuor mio la decisione di abbandonare la mia carne alle attrazioni del vino e, pur lasciando che il mio cuore mi guidasse saggiamente, di attenermi alla follia, per vedere ciò che è bene che gli uomini facciano sotto il cielo, durante il numero dei giorni della loro vita. Io intrapresi grandi lavori: mi costruii delle case, mi piantai delle vigne, mi feci dei giardini e dei parchi e vi piantai degli alberi da frutto di ogni specie, mi costruii degli stagni per irrigare con essi il bosco dove crescevano gli alberi. Comprai servi e serve, ed ebbi dei servi nati in casa; ebbi pure greggi e armenti in gran numero, più di tutti quelli che erano stati prima di me a Gerusalemme. Accumulai argento, oro, e le ricchezze dei re e delle province; mi procurai dei cantanti e delle cantanti, e ciò che fa la gioia dei figli degli uomini: donne in gran numero. Così diventai grande, superai tutti quelli che erano stati prima di me a Gerusalemme, e la mia sapienza rimase sempre con me. Di tutto quello che i miei occhi desideravano io non rifiutai loro nulla, non privai il cuore di nessuna gioia, poiché il mio cuore si rallegrava di ogni mia fatica, ed è la ricompensa che mi è toccata di ogni mia fatica. Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatto, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità e un correre dietro al vento, e che non se ne trae nessun profitto sotto il sole. Allora mi misi a esaminare la sapienza, la follia e la stoltezza. - Che farà l’uomo che succederà al re? Quello che è già stato fatto. - E vidi che la sapienza ha un vantaggio sulla stoltezza, come la luce ha un vantaggio sulle tenebre. Il saggio ha gli occhi in testa, mentre lo stolto cammina nelle tenebre; ma ho pure riconosciuto che entrambi hanno la stessa sorte. Perciò ho detto in cuor mio: “La sorte che tocca allo stolto toccherà anche a me; perché dunque essere stato così saggio?”. E ho detto in cuor mio che anche questo è vanità. Poiché, tanto del saggio quanto dello stolto, non rimane ricordo eterno; infatti, nei giorni futuri, tutto sarà da tempo dimenticato. Purtroppo, il saggio muore al pari dello stolto! Perciò io ho odiato la vita, perché tutto ciò che si fa sotto il sole è diventato per me odioso, poiché tutto è vanità e un correre dietro al vento. E ho odiato ogni fatica che ho sostenuto sotto il sole, e di cui devo lasciare il godimento a colui che verrà dopo di me. E chi sa se egli sarà saggio o stolto? Eppure sarà padrone di tutto il lavoro che io ho compiuto con fatica e con saggezza sotto il sole. Anche questo è vanità. Così sono arrivato a far perdere al mio cuore ogni speranza riguardo tutta la fatica che ho sostenuto sotto il sole. Poiché, ecco un uomo che ha lavorato con saggezza, con intelligenza e con successo, e lascia il frutto del suo lavoro in eredità a un altro, che non vi si è per nulla affaticato! Anche questo è vanità, e un male grande. Infatti, che profitto trae l’uomo da tutto il suo lavoro, dalle preoccupazioni del suo cuore, da tutto ciò che gli è costato tanta fatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolore, la sua occupazione non è che fastidio; perfino la notte il suo cuore non ha riposo. Anche questo è vanità. Non c’è nulla di meglio per l’uomo del mangiare, del bere e del far godere alla sua anima il benessere in mezzo alla fatica che egli sostiene; ma anche questo ho visto che viene dalla mano di Dio. Infatti, chi, senza di lui, può mangiare o godere? Poiché Dio dà, all’uomo che egli gradisce, sapienza, intelligenza e gioia; ma al peccatore dà il compito di raccogliere, di accumulare, per lasciare poi tutto a chi è gradito agli occhi di Dio. Anche questo è vanità e un correre dietro al vento. Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato; un tempo per uccidere e un tempo per guarire; un tempo per demolire e un tempo per costruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per fare cordoglio e un tempo per ballare; un tempo per gettare via pietre e un tempo per raccoglierle; un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci; un tempo per cercare e un tempo per perdere; un tempo per conservare e un tempo per buttare via; un tempo per strappare e un tempo per cucire; un tempo per tacere e un tempo per parlare; un tempo per amare e un tempo per odiare; un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che profitto trae dalla sua fatica colui che lavora? Io ho visto le occupazioni che Dio dà agli uomini perché vi si affatichino. Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo, egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità, sebbene l’uomo non possa comprendere dal principio alla fine l’opera che Dio ha fatto. Io ho riconosciuto che non c’è nulla di meglio per loro del rallegrarsi e del procurarsi del benessere durante la loro vita, ma che se uno mangia, beve e gode del benessere in mezzo a tutto il suo lavoro, è un dono di Dio. Io ho riconosciuto che tutto quello che Dio fa è per sempre; niente c’è da aggiungervi, niente da togliervi; e che Dio fa così perché gli uomini lo temano. Ciò che è, è già stato prima, e ciò che sarà è già stato, e Dio riconduce ciò che è passato. Ho anche visto sotto il sole che nel luogo stabilito per giudicare c’è dell’empietà, e che nel luogo stabilito per la giustizia c’è dell’empietà, e ho detto in cuor mio: “Iddio giudicherà il giusto e l’empio poiché c’è un tempo per il giudizio di qualsiasi azione e, nel luogo fissato, sarà giudicata ogni opera”. Io ho detto in cuor mio: “Così è, a causa dei figli degli uomini, perché Dio li metta alla prova, ed essi stessi riconoscano che non sono che bestie”. Infatti, la sorte dei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte; come muore l’uno, così muore l’altra; hanno tutti uno stesso soffio e l’uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poiché tutto è vanità. Tutti vanno in un medesimo luogo; tutti vengono dalla polvere e tutti ritornano alla polvere. Chi sa se il soffio dell’uomo sale in alto e se il soffio della bestia scende in basso nella terra? Io ho dunque visto che non c’è nulla di meglio per l’uomo del rallegrarsi nel compiere il suo lavoro; questa è la sua parte; poiché chi lo farà tornare per godere di ciò che verrà dopo di lui? Mi sono messo poi a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole; ed ecco, le lacrime degli oppressi, i quali non hanno chi li consoli: da parte dei loro oppressori c’è violenza, mentre quelli non hanno chi li consoli. Perciò ho stimato i morti, che sono già morti, più felici dei vivi che sono tuttora vivi; più felice degli uni e degli altri è colui che non è ancora venuto all’esistenza, e non ha ancora visto le azioni malvagie che si commettono sotto il sole. Ho anche visto che ogni fatica e ogni buona riuscita nel lavoro provocano invidia dell’uno contro l’altro. Anche questo è vanità e un correre dietro al vento. Lo stolto incrocia le braccia e divora la sua carne. Vale più una mano piena, con riposo, che entrambe le mani piene con travaglio e corsa dietro al vento. Inoltre, ho visto un’altra vanità sotto il sole: un tale è solo, senza nessuno che gli stia vicino; non ha né figlio né fratello, e tuttavia si affatica senza fine, e i suoi occhi non si saziano mai di ricchezze. E non riflette: “Ma per chi dunque mi affatico e privo la mia anima di ogni bene?”. Anche questa è una vanità e un’ingrata occupazione. Due valgono più di uno solo, perché sono ben ricompensati della loro fatica. Poiché, se l’uno cade, l’altro rialza il suo compagno; ma guai a chi è solo e cade senza avere un altro che lo rialzi! Così pure, se due dormono assieme, si riscaldano, ma chi è solo come farà a riscaldarsi? E se uno tenta di sopraffare chi è solo, due gli terranno testa; una corda a tre capi non si rompe così presto. Meglio un ragazzo povero e saggio, di un re vecchio e stolto che non sa più ascoltare consigli. È uscito di prigione per essere re: egli, che era nato povero nel suo futuro regno. Ho visto tutti i viventi che vanno e vengono sotto il sole unirsi al ragazzo che doveva succedere al re e regnare al suo posto. Era una moltitudine immensa quella di cui egli era alla testa; eppure, quelli che verranno in seguito non si rallegreranno di lui! Anche questo è vanità e un correre dietro al vento. Bada ai tuoi passi quando vai alla casa di Dio, e avvicinati per ascoltare, anziché per offrire il sacrificio degli stolti, i quali non sanno neppure che fanno male. Non essere precipitoso nel parlare, e il tuo cuore non si affretti a proferire parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; le tue parole siano dunque poche, poiché con la moltitudine delle occupazioni vengono i sogni, e con la moltitudine delle parole i ragionamenti insensati. Quando hai fatto un voto a Dio, non esitare ad adempierlo; poiché egli non si compiace degli stolti; adempi il voto che hai fatto. Meglio è per te non fare voti, che farne e poi non adempierli. Non permettere alla tua bocca di renderti colpevole; non dire davanti al messaggero di Dio: “È stato uno sbaglio”. Dio dovrebbe forse adirarsi per le tue parole e distruggere l’opera delle tue mani? Poiché, se vi sono delle vanità nella moltitudine dei sogni, ve ne sono anche nella moltitudine delle parole; perciò temi Dio! Se vedi nella provincia l’oppressione del povero e la violazione del diritto e della giustizia, non ti meravigliare; poiché sopra un uomo in alto veglia uno che sta più in alto, e sopra di loro c’è un Altissimo. Ma per un paese è vantaggioso, in ogni caso, un re che si faccia servo dei campi. Chi ama l’argento non è saziato con l’argento e chi ama le ricchezze non ne trae profitto di sorta. Anche questo è vanità. Quando abbondano i beni, abbondano anche quelli che li mangiano; e quale vantaggio ne viene ai possessori, se non di vedere quei beni con i loro occhi? Dolce è il sonno del lavoratore, abbia egli poco o molto da mangiare; ma la sazietà del ricco non lo lascia dormire. C’è un male grave che io ho visto sotto il sole; delle ricchezze conservate dal loro possessore, per sua sventura. Queste ricchezze vanno perdute per qualche avvenimento funesto; e se ha generato un figlio, questi resta con nulla in mano. Uscito nudo dal seno di sua madre, quel possessore se ne va come era venuto; e di tutta la sua fatica non può prendere nulla da portare con sé in mano. Anche questo è un male grave: che egli se ne vada tale e quale era venuto; e quale profitto gli viene dall’aver faticato per il vento? Per di più, durante tutta la vita, egli mangia nelle tenebre e ha molti fastidi, malanni e crucci. Ecco quello che ho visto: cosa buona e bella è per l’uomo mangiare, bere, godere del benessere in mezzo a tutta la fatica che egli sostiene sotto il sole, tutti i giorni di vita che Dio gli ha dato; poiché questa è la sua parte. E ancora, se Dio ha dato a un uomo delle ricchezze e dei tesori, e gli ha dato potere di goderne, di prenderne la sua parte e di gioire della sua fatica, questo è un dono di Dio; poiché un tale uomo non si ricorderà troppo dei giorni della sua vita, poiché Dio gli concede gioia nel cuore. C’è un male che ho visto sotto il sole e che grava di frequente sugli uomini: eccone uno a cui Dio dà ricchezze, tesori e gloria, al punto che nulla manca alla sua anima di tutto ciò che può desiderare, ma Dio non gli dà il potere di goderne; ne gode uno straniero. Ecco una vanità e un male grave. Se uno generasse cento figli, vivesse molti anni tanto che i giorni dei suoi anni si moltiplicassero, se l’anima sua non si sazia di beni ed egli non ha sepoltura, io dico che un aborto è più felice di lui; poiché l’aborto nasce invano, se ne va nelle tenebre, e il suo nome resta coperto di tenebre; non ha neppure visto né conosciuto il sole, e tuttavia ha più riposo di quell’altro. Anche se questi vivesse due volte mille anni, se non gode benessere, che vantaggio ne avrebbe? Non va tutto a finire in uno stesso luogo? Tutta la fatica dell’uomo è per la sua bocca, tuttavia il suo appetito non è mai sazio. Che vantaggio ha il saggio sullo stolto? O che vantaggio ha il povero che sa come comportarsi alla presenza dei viventi? Vedere con gli occhi vale più di lasciare vagare i propri desideri. Anche questo è vanità e un correre dietro al vento. Ciò che esiste è già stato chiamato per nome da tempo, ed è noto che cosa l’uomo è, e che non può contendere con colui che è più forte di lui. Moltiplicare le parole vuol dire moltiplicare la vanità; che vantaggio ne viene all’uomo? Infatti, chi può sapere ciò che è buono per l’uomo nella sua vita, durante tutti i giorni della sua vita vana, che egli passa come un’ombra? E chi sa dire all’uomo ciò che sarà dopo di lui sotto il sole? Una buona reputazione vale più dell’olio profumato; il giorno della morte è meglio del giorno della nascita. È meglio andare in una casa di lutto, che andare in una casa di festa; poiché là è la fine di ogni uomo, e colui che vive vi porrà mente. La tristezza vale più del riso; poiché quando il viso è triste, il cuore diventa migliore. Il cuore del saggio è nella casa del lutto; ma il cuore degli stolti è nella casa della gioia. È meglio udire la riprensione del saggio, che udire la canzone degli stolti. Poiché come è lo scoppiettio dei pruni sotto una pentola, così è il riso dello stolto. Anche questo è vanità. Certo, l’oppressione rende insensato il saggio, e il dono fa perdere il senno. Vale più la fine di una cosa, che il suo principio; e lo spirito paziente vale più dello spirito altero. Non ti affrettare a irritarti nel tuo spirito, perché l’irritazione riposa in seno agli stolti. Non dire: “Come mai i giorni di prima erano migliori di questi?”, poiché non è saggio chiedersi questo. La sapienza è buona quanto un’eredità, e anche di più, per quelli che vedono il sole. Poiché la sapienza offre un riparo, come lo offre il denaro; ma l’eccellenza della scienza sta in questo: la sapienza fa vivere quelli che la possiedono. Considera l’opera di Dio; chi potrà raddrizzare ciò che egli ha reso curvo? Nel giorno della prosperità godi del bene, e nel giorno dell’avversità rifletti. Dio ha fatto l’uno come l’altro, affinché l’uomo non scopra nulla di ciò che sarà dopo di lui. Io ho visto tutto questo nei giorni della mia vanità. C’è un tale, giusto, che perisce per la sua giustizia e c’è un tale, empio, che prolunga la sua vita con la sua malvagità. Non essere troppo giusto e non ti fare troppo saggio, perché vorresti rovinarti? Non essere troppo empio e non essere stolto; perché dovresti morire prima del tempo? È bene che tu ti attenga fermamente a questo e che non ritiri la mano da quello; chi teme Iddio, infatti, evita tutte queste cose. La sapienza dà al saggio più forza che non facciano dieci capi in una città. Certo, non c’è sulla terra nessun uomo giusto che faccia il bene e non pecchi mai. Non porre dunque mente a tutte le parole che si dicono, per non sentirti maledire dal tuo servo; poiché il tuo cuore sa che spesso anche tu hai maledetto altri. Io ho esaminato tutto questo con sapienza. Ho detto: “Voglio acquistare sapienza”; ma la sapienza è rimasta lontano da me. Una cosa che è tanto lontana e tanto profonda chi la potrà trovare? Io mi sono applicato in cuor mio a riflettere, a investigare, a cercare la sapienza e la ragione delle cose, e a riconoscere che l’empietà è una follia e la stoltezza una pazzia; e ho trovato una cosa più amara della morte: la donna che è tutta tranelli, il cui cuore non è altro che reti e le cui mani sono catene; colui che è gradito a Dio le sfugge, ma il peccatore rimane preso da lei. Ecco, questo ho trovato, dice l’Ecclesiaste, dopo avere esaminato le cose una a una per afferrarne la ragione; ecco quello che l’anima mia cerca ancora, senza che io l’abbia trovato: un uomo fra mille l’ho trovato, ma una donna fra tutte non l’ho trovata. Questo soltanto ho trovato: che Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi. Chi è come il saggio? e chi conosce la spiegazione delle cose? La sapienza di un uomo gli fa risplendere il volto, e la durezza del suo volto ne è cambiata. Io ti dico: “Osserva gli ordini del re”; e questo a causa del giuramento che hai fatto davanti a Dio. Non ti affrettare ad allontanarti dalla sua presenza, e non persistere in una cosa cattiva; poiché egli può fare tutto quello che gli piace, perché la parola del re è potente; e chi gli può dire: “Che fai?”. Chi osserva il comandamento non conosce disgrazia, e il cuore dell’uomo saggio sa che c’è un tempo e un giudizio; perché per ogni cosa c’è un tempo e un giudizio; poiché la malvagità dell’uomo pesa gravemente addosso a lui. L’uomo, infatti, non sa quello che avverrà; poiché chi gli dirà come andranno le cose? Non c’è uomo che abbia potere sul vento per poterlo trattenere, o che abbia potere sul giorno della morte; non c’è congedo in tempo di guerra, e l’iniquità non può salvare chi la commette. Io ho visto tutto questo, e ho posto mente a tutto quello che si fa sotto il sole, quando l’uomo domina sugli uomini per loro disgrazia. Ho visto allora degli empi ricevere sepoltura ed entrare nel loro riposo, e di quelli che si erano comportati con rettitudine andarsene lontano dal luogo santo ed essere dimenticati nella città. Anche questo è vanità. Siccome la sentenza contro una cattiva azione non si esegue prontamente, il cuore dei figli degli uomini è pieno della voglia di fare il male. Sebbene il peccatore faccia cento volte il male e prolunghi i suoi giorni, tuttavia io so che il bene è per quelli che temono Dio, che provano timore in sua presenza. Ma non c’è bene per l’empio, ed egli non prolungherà i suoi giorni come fa l’ombra che si allunga; perché non prova timore in presenza di Dio. C’è una vanità che avviene sulla terra: ci sono dei giusti i quali sono trattati come se avessero fatto l’opera degli empi, e ci sono degli empi i quali sono trattati come se avessero fatto l’opera dei giusti. Io ho detto che anche questo è vanità. Così io ho lodato la gioia, perché non c’è per l’uomo altro bene sotto il sole, all’infuori del mangiare, del bere e del gioire; questo è quello che lo accompagnerà in mezzo al suo lavoro, durante i giorni di vita che Dio gli dà sotto il sole. Quando ho applicato il mio cuore a conoscere la sapienza e a considerare le cose che si fanno sulla terra, perché gli occhi dell’uomo non godono sonno né giorno né notte, allora ho osservato tutta l’opera di Dio, e ho visto che l’uomo è impotente a spiegare quello che si fa sotto il sole; egli ha un bell’affaticarsi a cercarne la spiegazione, ma non riesce a trovarla; e anche se il saggio pretende di saperla, non può tuttavia trovarla. Sì, io ho applicato a tutto questo il mio cuore e ho cercato di chiarirlo: che, cioè, i giusti e i saggi e le loro opere sono nelle mani di Dio; l’uomo non sa neppure se amerà o se odierà; tutto è possibile. Tutto succede ugualmente a tutti; la stessa sorte attende il giusto e l’empio, il buono e puro e l’impuro, chi offre sacrifici e chi non li offre; come è il buono così il peccatore, come è colui che giura così chi teme di giurare. Questo è un male fra tutto quello che si fa sotto il sole: che tutti abbiano una stessa sorte; così il cuore dei figli degli uomini è pieno di malvagità e hanno la follia nel cuore mentre vivono; poi se ne vanno ai morti. Per chi è associato a tutti gli altri viventi c’è speranza; perché un cane vivo vale più di un leone morto. Infatti i viventi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla e per loro non c’è più alcun salario, perché la loro memoria è dimenticata. Il loro amore, come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai nessuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole. Va’, mangia il tuo pane con gioia e bevi il tuo vino con cuore allegro, perché Dio ha già gradito le tue opere. Siano le tue vesti bianche in ogni tempo, e l’olio non manchi mai sul tuo capo. Godi la vita con la moglie che ami, durante tutti i giorni della vita della tua vanità, che Dio ti ha data sotto il sole per tutto il tempo della tua vanità; poiché questa è la tua parte nella vita, in mezzo a tutta la fatica che sostieni sotto il sole. Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; poiché nel soggiorno dei morti dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza. Io mi sono messo a considerare che, sotto il sole, per correre non basta essere agili, né basta per combattere essere valorosi, né essere saggi per avere del pane, né essere intelligenti per avere delle ricchezze, né essere abili per ottenere favore; poiché tutti dipendono dal tempo e dalle circostanze. Poiché l’uomo non conosce la sua ora; come i pesci che sono presi nella rete fatale, e come gli uccelli che sono colti nel laccio, così i figli degli uomini sono presi nel laccio al tempo dell’avversità, quando essa piomba su di loro improvvisa. Ho visto, sotto il sole, anche questo esempio di sapienza che mi è sembrata grande. C’era una piccola città, con dentro pochi uomini; un grande re le marciò contro, la assediò e le costruì contro dei grandi bastioni. In essa, però, si trovava un uomo povero e saggio che, con la sua sapienza, salvò la città; eppure nessuno conservò ricordo di quell’uomo povero. Allora io dissi: “La sapienza vale più della forza”; ma la sapienza del povero è disprezzata, e le sue parole non sono ascoltate. Le parole dei saggi, udite nella quiete, valgono più delle grida di chi domina fra gli stolti. La sapienza vale più degli strumenti di guerra; ma un solo peccatore distrugge un gran bene. Le mosche morte fanno puzzare e imputridire l’olio del profumiere; un po’ di follia guasta il pregio della sapienza e della gloria. Il saggio ha il cuore alla sua destra, ma lo stolto lo ha alla sua sinistra. Anche quando lo stolto va per la via, il senno gli manca e mostra a tutti che è uno stolto. Se il sovrano si adira contro di te, non lasciare il tuo posto; perché la calma previene grandi peccati. C’è un male che ho visto sotto il sole, un errore che procede da chi governa: che, cioè, la stoltezza occupa posti altissimi e i ricchi siedono in luoghi bassi. Ho visto degli schiavi a cavallo e dei principi camminare a piedi come degli schiavi. Chi scava una fossa vi cadrà dentro, e chi demolisce un muro sarà morso dalla serpe. Chi smuove le pietre ne rimarrà contuso, e chi spacca la legna corre un pericolo. Se il ferro perde il taglio e uno non lo arrota, bisogna che raddoppi la forza; ma la sapienza ha il vantaggio di riuscire sempre. Se il serpente morde prima di essere incantato, l’incantatore diventa inutile. Le parole della bocca del saggio sono piene di grazia; ma le labbra dello stolto sono causa della sua rovina. Il principio delle parole della sua bocca è stoltezza, e la fine del suo dire è malvagia pazzia. Lo stolto moltiplica le parole; eppure l’uomo non sa quello che gli avverrà; e chi gli dirà quello che succederà dopo di lui? La fatica dello stolto lo stanca, perché egli non sa neppure la via della città. Guai a te, o paese il cui re è un bambino, e i cui principi mangiano fin dal mattino! Beato te, o paese, il cui re è di nobile stirpe, e i cui principi si mettono a tavola al tempo convenevole, per ristorare le forze e non per ubriacarsi! Per la pigrizia sprofonda il soffitto; per la rilassatezza delle mani piove in casa. Il convito è fatto per gioire, il vino rende gaia la vita, e il denaro risponde a tutto. Non maledire il re, neppure con il pensiero; e non maledire il ricco nella camera dove tu dormi; poiché un uccello del cielo potrebbe spargerne la voce, e un messaggero alato pubblicare la cosa. Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai. Fanne parte a sette, e anche a otto, perché tu non sai che male può avvenire sulla terra. Quando le nuvole sono piene di pioggia, la riversano sulla terra; se un albero cade verso il sud o verso il nord, dove cade, là rimane. Chi bada al vento non seminerà; chi guarda alle nuvole non mieterà. Come tu non conosci la via del vento, né come si formino le ossa in grembo alla donna incinta, così non conosci l’opera di Dio, che fa tutto. Fin dal mattino semina la tua semenza, e la sera non dare riposo alle tue mani; poiché tu non sai quale dei due lavori riuscirà meglio: se questo o quello, o se entrambi saranno ugualmente buoni. La luce è dolce, ed è cosa piacevole agli occhi vedere il sole. Se dunque un uomo vive molti anni, si rallegri tutti questi anni, e pensi ai giorni delle tenebre, che saranno molti; tutto quello che avverrà è vanità. Rallegrati pure, o giovane, durante la tua adolescenza, e gioisca pure il tuo cuore durante i giorni della tua giovinezza; cammina pure nelle vie dove ti conduce il cuore e seguendo gli sguardi dei tuoi occhi; ma sappi che, per tutte queste cose, Iddio ti chiamerà in giudizio! Bandisci dal tuo cuore la tristezza, e allontana dalla tua carne la sofferenza; poiché la giovinezza e l’aurora sono vanità. Ma ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i cattivi giorni e giungano gli anni dei quali dirai: “Io non ho più alcun piacere”; prima che il sole, la luce, la luna e le stelle si oscurino, e le nuvole tornino dopo la pioggia; prima dell’età in cui i guardiani della casa tremano, gli uomini forti si curvano, le macinatrici si fermano perché sono ridotte a poche, quelli che guardano dalle finestre si oscurano, e i due battenti della porta si chiudono sulla strada perché diminuisce il rumore della macina; in cui l’uomo si alza al canto dell’uccello, tutte le figlie del canto si affievoliscono, in cui uno ha paura delle alture, ha degli spaventi mentre cammina, in cui fiorisce il mandorlo, la locusta si fa pesante e il cappero non fa più effetto, perché l’uomo se ne va alla sua dimora eterna e i piagnoni percorrono le strade; prima che il cordone d’argento si stacchi, il vaso d’oro si spezzi, la brocca si rompa sulla fonte, la ruota infranta cada nel pozzo; prima che la polvere torni alla terra come era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato. “Vanità delle vanità”, dice l’Ecclesiaste, “tutto è vanità”. L’Ecclesiaste, oltre a essere un saggio, ha anche insegnato al popolo la scienza, e ha ponderato, scrutato e messo in ordine un grande numero di sentenze. L’Ecclesiaste si è applicato a trovare delle parole gradevoli; esse sono state scritte con rettitudine e sono parole di verità. Le parole dei saggi sono come degli stimoli e le collezioni delle sentenze sono come dei chiodi ben piantati; esse sono date da un solo pastore. Del resto, figlio mio, sta’ in guardia: si fanno dei libri in numero infinito; e molto studiare è una fatica per il corpo. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo”. Poiché Dio farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male. Il Cantico dei Cantici di Salomone. Mi baci egli dei baci della sua bocca, poiché le tue carezze sono migliori del vino. I tuoi profumi hanno un odore soave; il tuo nome è un profumo che si spande; perciò ti amano le fanciulle! Attirami a te! Noi ti correremo dietro! Il re mi ha condotta nei suoi appartamenti. Noi gioiremo, ci rallegreremo a causa tua; noi celebreremo le tue carezze più del vino! A ragione sei amato! Io sono nera ma sono bella, o figlie di Gerusalemme, come le tende di Chedar, come i padiglioni di Salomone. Non guardate se sono nera; è il sole che mi ha bruciata; i figli di mia madre si sono adirati contro di me; mi hanno fatta guardiana delle vigne, ma io la mia vigna non l’ho custodita. O tu che il mio cuore ama, dimmi dove conduci a pascolare il tuo gregge, e dove lo fai riposare sul mezzogiorno. Perché sarei come una donna sperduta, presso le greggi dei tuoi compagni? Se non lo sai, o la più bella delle donne, esci e segui le tracce delle pecore, e fa’ pascolare i tuoi capretti presso le tende dei pastori. Amica mia, io ti assomiglio alla mia cavalla che si attacca ai carri del Faraone. Le tue guance sono belle in mezzo alle collane, e il tuo collo è bello tra i filari di perle. Noi ti faremo delle collane d’oro con dei punti d’argento. Mentre il re è nel suo convito, il mio nardo esala il suo profumo. Il mio amico è per me come un sacchetto di mirra, che passa la notte sul mio seno. Il mio amico è per me come un grappolo di cipro delle vigne di En-Ghedi. Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi sono come quelli dei colombi. Come sei bello, amico mio, come sei amabile! Anche il nostro letto è verdeggiante. Le travi delle nostre case sono di cedro, i nostri soffitti sono di cipresso. Io sono la rosa di Saron, il giglio delle valli. Come un giglio tra le spine, così è l’amica mia tra le fanciulle. Come è un melo fra gli alberi del bosco, così è l’amico mio fra i giovani. Io desidero sedermi alla sua ombra, e il suo frutto è dolce al mio palato. Egli mi ha condotta nella casa del convito, e l’insegna che stende su di me è Amore. Fortificatemi con delle schiacciate d’uva, sostentatemi con delle mele, perché io sono malata d’amore. La sua sinistra sia sotto il mio capo, e la sua destra mi abbracci! O figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro per le gazzelle, per le cerve dei campi, non svegliate, non svegliate l’amore mio, finché non lo desideri! Ecco la voce del mio amico! Eccolo che viene, saltando per i monti, balzando per i colli. L’amico mio è simile a una gazzella o a un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro al nostro muro, e guarda per la finestra, lancia occhiate attraverso le persiane. Il mio amico parla e mi dice: “Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, poiché, ecco, l’inverno è passato, il tempo delle piogge è finito, se n’è andato; i fiori appaiono sulla terra, il tempo del canto è giunto, e la voce della tortora si fa udire nelle nostre campagne. Il fico ha messo i suoi frutti, e le viti fiorite esalano il loro profumo. Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni”. O mia colomba, che stai nelle fessure delle rocce, nel nascondiglio dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi udire la tua voce; poiché la tua voce è soave, e il tuo viso è bello. Prendeteci le volpi, le piccole volpi che guastano le vigne, poiché le nostre vigne sono in fiore! Il mio amico è mio, e io sono sua: di lui, che pastura il gregge fra i gigli. Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano, torna, amico mio, come la gazzella o il cerbiatto sui monti che si separano! Sul mio letto, durante la notte, ho cercato colui che il mio cuore ama; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Ora mi alzerò, e andrò attorno per la città, per le strade e per le piazze; cercherò colui che il mio cuore ama; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Le guardie che vanno attorno per la città mi hanno incontrata; e ho chiesto loro: “Avete visto colui che il mio cuore ama?”. Da poco le avevo passate, quando trovai colui che il mio cuore ama; io l’ho preso, e non lo lascerò, finché non lo abbia condotto in casa di mia madre, nella camera di colei che mi ha concepito. Io vi scongiuro, o figlie di Gerusalemme, per le gazzelle, per le cerve dei campi, non svegliate, non svegliate l’amor mio, finché non lo desideri! Chi è colei che sale dal deserto, simile a colonne di fumo, profumata di mirra e d’incenso e di ogni aroma dei mercanti? Ecco la lettiga di Salomone, intorno alla quale stanno sessanta prodi, fra i più prodi d’Israele. Tutti maneggiano la spada, sono esperti nelle armi; ciascuno ha la sua spada al fianco, per gli spaventi notturni. Il re Salomone si è fatto una lettiga di legno del Libano. Ne ha fatto le colonne d’argento, la spalliera d’oro, il sedile di porpora; in mezzo c’è un ricamo, lavoro d’amore delle figlie di Gerusalemme. Uscite, figlie di Sion, ammirate il re Salomone con la corona di cui l’ha incoronato sua madre, il giorno delle sue nozze, il giorno della gioia del suo cuore. Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi, dietro al tuo velo, somigliano a quelli delle colombe; i tuoi capelli sono come un gregge di capre, sospese ai fianchi del monte di Galaad. I tuoi denti sono come un branco di pecore tosate che tornano dal lavatoio; tutte hanno dei gemelli, non ce n’è nessuna che sia sterile. Le tue labbra somigliano a un filo di scarlatto e la tua bocca è graziosa; le tue gote, dietro il tuo velo, sono come un pezzo di melagrana. Il tuo collo è come la torre di Davide, costruita per essere un’armeria; mille scudi vi sono appesi, tutte le targhe dei prodi. I tuoi seni sono due gemelli di gazzella, che pascolano fra i gigli. Prima che spiri la brezza del giorno e che le ombre fuggano, io me ne andrò al monte della mirra e al colle dell’incenso. Tu sei tutta bella, amica mia, e non c’è nessun difetto in te. Vieni con me dal Libano, o mia sposa, vieni con me dal Libano! Guarda dalla cima dell’Amana, dalla cima del Senir e dell’Ermon, dalle spelonche dei leoni, dai monti dei leopardi. Tu mi hai rapito il cuore, o mia sorella, o sposa mia! Tu mi hai rapito il cuore con un solo dei tuoi sguardi, con uno solo dei monili del tuo collo. Quanto sono dolci le tue carezze, o mia sorella, o sposa mia! Come le tue carezze sono migliori del vino, come l’odore dei tuoi profumi è più soave di tutti gli aromi! O sposa mia, le tue labbra stillano miele, miele e latte sono sotto la tua lingua, e l’odore delle tue vesti è come l’odore del Libano. O mia sorella, o sposa mia, tu sei un giardino serrato, una sorgente chiusa, una fonte sigillata. I tuoi germogli sono un giardino di melograni e di alberi di frutti deliziosi, di piante di cipro e di nardo; di nardo e di croco, di canna odorosa e di cinnamomo, e di ogni albero da incenso; di mirra e di aloe, e di ogni più squisito aroma. Tu sei una fontana di giardino, una sorgente di acqua viva, un ruscello che scende giù dal Libano. Sorgi, vento del nord, e vieni, o vento del sud! Soffiate sul mio giardino, in modo che se ne spandano gli aromi! Venga l’amico mio nel suo giardino, e ne mangi i frutti deliziosi! Sono venuto nel mio giardino, o mia sorella, o sposa mia; ho colto la mia mirra e i miei aromi; ho mangiato il mio favo di miele; ho bevuto il mio vino e il mio latte. Amici, mangiate, bevete, inebriatevi d’amore! Io dormivo, ma il mio cuore vegliava. Sento la voce del mio amico, che bussa e dice: “Aprimi, sorella mia, amica mia, colomba mia, o mia perfetta! Poiché il mio capo è coperto di rugiada e le mie chiome sono piene di gocce della notte”. Io mi sono tolta la gonna; come me la rimetterei ancora? Mi sono lavata i piedi; come li sporcherei ancora? L’amico mio ha passato la mano per il buco della porta, e le mie viscere si sono commosse per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amico, e le mie mani hanno stillato mirra, le mie dita mirra liquida, sulla maniglia della serratura. Ho aperto all’amico mio, ma l’amico mio si era ritirato, era partito. Ero fuori di me mentre lui parlava; l’ho cercato, ma non l’ho trovato; l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Le guardie che vanno attorno per la città mi hanno incontrata, mi hanno battuta, mi hanno ferita; le guardie delle mura mi hanno strappato il velo. Io vi scongiuro, o figlie di Gerusalemme, se trovate il mio amico, che gli direte? Che sono malata di amore. Che è dunque l’amico tuo, più di un altro amico, o più bella fra le donne? Che è dunque l’amico tuo, più di un altro amico, che così ci scongiuri? L’amico mio è bianco e vermiglio, e si distingue fra diecimila. Il suo capo è oro finissimo, le sue chiome sono crespe, nere come il corvo. I suoi occhi assomigliano a colombe in riva a dei ruscelli, lavati nel latte, montati nei castoni di un anello. Le sue gote sono come un’aia di aromi, come aiuole di fiori profumati; le sue labbra sono gigli, e stillano mirra liquida. Le sue mani sono anelli d’oro, incastonati di berilli; il suo corpo è di avorio lucente, coperto di zaffiri. Le sue gambe sono colonne di marmo, fondate su basi d’oro puro. Il suo aspetto è come il Libano, superbo come i cedri; il suo palato è tutto dolcezza, tutta la sua persona è un incanto. Tale è l’amor mio, tale è l’amico mio, o figlie di Gerusalemme. Dov’è andato il tuo amico, o più bella fra le donne? Da che parte si è diretto l’amico tuo? Noi lo cercheremo con te. Il mio amico è sceso nel suo giardino, nelle aie degli aromi a pasturare le greggi nei giardini, e cogliere gigli. Io sono dell’amico mio; e l’amico mio, che pastura il gregge fra i gigli, è mio. Amica mia, tu sei bella come Tirsa, vaga come Gerusalemme, tremenda come un esercito a bandiere spiegate. Distogli da me i tuoi occhi, che mi turbano. I tuoi capelli sono come un gregge di capre, sospese ai fianchi di Galaad. I tuoi denti sono come un branco di pecore, che tornano dal lavatoio; tutte hanno dei gemelli, non ce n’è nessuna che sia sterile; le tue gote, dietro al tuo velo, sono come un pezzo di melagrana. Ci sono sessanta regine, ottanta concubine, e fanciulle senza numero; ma la mia colomba, la perfetta mia, è unica; è l’unica di sua madre, la prescelta di colei che l’ha partorita. Le fanciulle la vedono, e la proclamano beata; la vedono pure le regine e le concubine, e la lodano. Chi è colei che appare come l’alba, bella come la luna, pura come il sole, tremenda come un esercito a bandiere spiegate? Io sono scesa nel giardino dei noci a vedere le piante verdi della valle, a vedere se le viti mettevano le loro gemme, se i melograni erano in fiore. Non so come, ma l’anima mia mi ha posta sui carri di Ammi-Nadìb. Torna, torna, o Sulamita, torna, torna che ti ammiriamo. Perché ammirate la Sulamita come una danza a due schiere? Come sono belli i tuoi piedi nei loro calzari, o figlia di principe! I contorni dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mano d’artefice. Il tuo seno è una tazza rotonda, dove non manca mai vino profumato. Il tuo corpo è un mucchio di grano, circondato di gigli. I tuoi seni sembrano due gemelli di gazzella. Il tuo collo è come una torre di avorio; i tuoi occhi sono come le piscine di Chesbon presso la porta di Bat-Rabbim. Il tuo naso è come la torre del Libano, che guarda verso Damasco. Il tuo capo si eleva come il Carmelo, e la chioma del tuo capo sembra di porpora; un re è incatenato dalle tue trecce! Quanto sei bella, quanto sei piacevole, o amore mio, in mezzo alle delizie! La tua statura è simile alla palma e i tuoi seni a dei grappoli d’uva. Ho detto: “Io salirò sulla palma, e mi appiglierò ai suoi rami”. Siano i tuoi seni come grappoli di vite, il profumo del tuo fiato come quello delle mele, e la tua bocca come un vino generoso che cola dolcemente per il mio amico e scivola fra le labbra di quelli che dormono. Io sono del mio amico, e verso me va il suo desiderio. Vieni, amico mio, usciamo ai campi, passiamo la notte nei villaggi! Fin dal mattino andremo nelle vigne; vedremo se la vite ha sbocciato, se il suo fiore si apre, se i melograni fioriscono. Là ti darò le mie carezze. Le mandragole mandano profumo e sulle nostre porte stanno frutti deliziosi di ogni specie, nuovi e vecchi, che ho serbati per te, amico mio. Oh, perché non sei tu come un mio fratello, allattato al seno di mia madre! Trovandoti fuori, ti bacerei, e nessuno mi disprezzerebbe. Ti condurrei, ti introdurrei in casa di mia madre, tu mi ammaestreresti e io ti darei da bere del vino aromatico, del succo del mio melograno. La sua sinistra sia sotto il mio capo, e la sua destra mi abbracci! O figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro, non svegliate, non svegliate l’amore mio, finché lei non lo desideri! Chi è colei che sale dal deserto appoggiata all’amico suo? Io t’ho svegliato sotto il melo, dove tua madre ti ha partorito, dove colei che ti ha partorito, si è sgravata di te. Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio; perché l’amore è forte come la morte, la gelosia è dura come il soggiorno dei morti. I suoi ardori sono ardori di fuoco, fiamma dell’Eterno. Le grandi acque non potrebbero spegnere l’amore, e dei fiumi non potrebbero sommergerlo. Se uno desse tutti i beni di casa sua in cambio dell’amore, sarebbe del tutto disprezzato. Noi abbiamo una piccola sorella, che non ha ancora seni; che faremo della nostra sorella, quando si tratterà di lei? Se è un muro, costruiremo su di lei una torretta d’argento; se è un uscio, la chiuderemo con una tavola di cedro. Io sono un muro e i miei seni sono come torri; io sono stata ai suoi occhi come colei che ha trovato pace. Salomone aveva una vigna a Baal-Amon; egli affidò la vigna a dei guardiani, ognuno dei quali portava, come frutto, mille sicli d’argento. La mia vigna, che è mia, la guardo io; tu, Salomone, tieni pure per te i tuoi mille sicli, e ne abbiano duecento quelli che guardano il frutto della tua! O tu che dimori nei giardini, dei compagni stanno attenti alla tua voce! Fammela udire! Fuggi, amico mio, come una gazzella o un cerbiatto, sui monti degli aromi! La visione che Isaia, figlio di Amots, ebbe riguardo a Giuda e a Gerusalemme ai giorni di Uzzia, di Iotam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda. Udite, o cieli! e tu, terra, presta orecchio! poiché l’Eterno parla: “Ho nutrito dei figli e li ho allevati, ma essi si sono ribellati a me. Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone; ma Israele non ha conoscenza, il mio popolo non ha discernimento”. Guai a te nazione peccatrice, popolo carico d’iniquità, razza di malvagi, figli corrotti! Hanno abbandonato l’Eterno, hanno disprezzato il Santo d’Israele, hanno voltato le spalle e si sono allontanati. Perché colpirvi ancora? Aggiungereste altre rivolte. Tutto il capo è malato, tutto il cuore è languente. Dalla pianta del piede fino alla testa non c’è nulla di sano in esso: non ci sono che ferite, contusioni, piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né lenite con olio. Il vostro paese è desolato, le vostre città sono consumate dal fuoco, i vostri campi li divorano degli stranieri, sotto i vostri occhi; tutto è devastato, come per un sovvertimento di barbari. La figlia di Sion è rimasta come un riparo di frasche in una vigna, come una capanna in un campo di cocomeri, come una città assediata. Se l’Eterno degli eserciti non ci avesse lasciato un piccolo residuo, saremmo come Sodoma, somiglieremmo a Gomorra. Ascoltate la parola dell’Eterno, capi di Sodoma! Prestate orecchio alla legge del nostro Dio, o popolo di Gomorra! “Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici?” dice l’Eterno; “io sono sazio di olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate; il sangue dei torelli, degli agnelli e dei capri, io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi davanti a me, chi vi ha chiesto di calpestare i miei cortili? Smettete di portare oblazioni inutili; l’incenso è un abominio per me; e quanto ai noviluni, ai sabati, al convocare riunioni, io non posso sopportare l’iniquità unita all’assemblea solenne. I vostri noviluni e le vostre feste stabilite, l’anima mia le odia, sono per me un peso che sono stanco di portare. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi; anche quando moltiplicate le preghiere, io non ascolto; le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male; imparate a fare il bene, cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova!”. “Poi venite, e discutiamo assieme”, dice l’Eterno, “anche se i vostri peccati fossero come lo scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come la porpora, diventeranno come la lana. Se siete disposti a ubbidire, mangerete i prodotti migliori del paese; ma se rifiutate e siete ribelli, sarete divorati dalla spada”, poiché la bocca dell’Eterno ha parlato. Come mai la città fedele è diventata una prostituta? Era piena di rettitudine, vi abitava la giustizia e ora è un covo di assassini! Il tuo argento si è cambiato in scorie, il tuo vino è stato tagliato con acqua. I tuoi prìncipi sono ribelli e compagni di ladri; tutti amano i regali e corrono dietro alle ricompense; non fanno ragione all’orfano e la causa della vedova non giunge davanti a loro. Perciò il Signore, l’Eterno degli eserciti, il Potente d’Israele, dice: “Ah, io avrò soddisfazione dai miei avversari, e mi vendicherò dei miei nemici! Ti rimetterò la mano addosso, ti purificherò delle tue scorie come fa la potassa, e toglierò da te ogni particella di piombo. Ristabilirò i tuoi giudici come erano anticamente e i tuoi consiglieri come erano al principio. Dopo questo, sarai chiamata la città della giustizia, la città fedele”. Sion sarà salvata mediante la rettitudine, e quelli che in lei si convertiranno saranno redenti mediante la giustizia; ma i ribelli e i peccatori saranno fiaccati insieme e quelli che abbandonano l’Eterno saranno distrutti. Allora avrete vergogna dei terebinti che avete amato e arrossirete dei giardini che vi siete scelti. Perché sarete come un terebinto dalle foglie appassite, come un giardino senza acqua. L’uomo forte sarà come stoppa e la sua opera come una scintilla: entrambe bruceranno assieme e non vi sarà chi spenga. Parola che Isaia, figlio di Amots, ebbe in visione riguardo a Giuda e a Gerusalemme. Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa dell’Eterno si ergerà sulla vetta dei monti e sarà elevato al di sopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno a esso. Molti popoli vi accorreranno, e diranno: “Venite, saliamo al monte dell’Eterno, alla casa dell’Iddio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola dell’Eterno. Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l’arbitro fra molti popoli; essi, con le loro spade, costruiranno vomeri di aratro e, con le loro lance, falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra e non impareranno più la guerra. Casa di Giacobbe, venite, e camminiamo alla luce dell’Eterno! Infatti tu, o Eterno, hai abbandonato il tuo popolo, la casa di Giacobbe, perché sono pieni di pratiche divinatorie; praticano le arti occulte come i Filistei e fanno alleanza con i figli degli stranieri. Il suo paese è pieno d’argento e d’oro e ha tesori senza fine; il suo paese è pieno di cavalli e ha carri senza fine. Il suo paese è pieno di idoli: si prostrano davanti all’opera delle sue mani, davanti a ciò che le sue dita hanno fatto. Perciò l’uomo comune è umiliato, i grandi sono abbassati e tu non li perdoni. Entra nella roccia, nasconditi nella polvere per sottrarti al terrore dell’Eterno e allo splendore della sua maestà. Lo sguardo altero dell’uomo comune sarà abbassato e l’orgoglio dei grandi sarà umiliato; l’Eterno solo sarà esaltato in quel giorno. Poiché l’Eterno degli eserciti ha un giorno contro tutto ciò che è orgoglioso e altero, e contro chiunque si innalza, per abbassarlo; contro tutti i cedri del Libano, alti, elevati, e contro tutte le querce di Basan; contro tutti i monti alti, e contro tutti i colli elevati; contro ogni torre eccelsa, e contro ogni muro fortificato; contro tutte le navi di Tarsis e contro tutto ciò che piace allo sguardo. La superbia dell’uomo comune sarà abbassata, e l’orgoglio dei grandi sarà umiliato; l’Eterno solo sarà esaltato in quel giorno. Gli idoli scompariranno del tutto. Gli uomini entreranno nelle caverne delle rocce e negli antri della terra per sottrarsi al terrore dell’Eterno e allo splendore della sua maestà, quando egli sorgerà per far tremare la terra. In quel giorno gli uomini getteranno ai topi e ai pipistrelli gli idoli d’argento e gli idoli d’oro, che si erano fatti per adorarli; ed entreranno nelle fessure delle rocce e nei crepacci delle rupi per sottrarsi al terrore dell’Eterno e allo splendore della sua maestà, quando egli sorgerà per far tremare la terra. Smettete di confidarvi nell’uomo, nelle cui narici non c’è che un soffio; poiché in quale conto si può tenere? Ecco, il Signore, l’Eterno degli eserciti, sta per togliere a Gerusalemme e a Giuda ogni risorsa e ogni appoggio, ogni risorsa di pane e ogni risorsa di acqua, il prode e il guerriero, il giudice e il profeta, l’indovino e l’anziano, il capo di cinquantina e il notabile, il consigliere, l’artefice esperto e l’abile incantatore. Io darò loro dei ragazzi come prìncipi, e dei bambini domineranno su di essi. Il popolo sarà oppresso, uomo da uomo, ciascuno dal suo prossimo; il giovane tratterà con arroganza il vecchio, l’infame contro colui che è onorato. Quando uno prenderà il fratello nella sua casa paterna e gli dirà: “Tu hai un mantello, sii nostro capo, prendi in mano queste rovine”, egli, in quel giorno, alzerà la voce, dicendo: “Io non sarò vostro medico, e nella mia casa non c’è né pane né mantello; non fatemi capo del popolo!”. Poiché Gerusalemme vacilla e Giuda crolla, perché la loro lingua e le loro opere sono contro l’Eterno, al punto da provocare l’ira del suo sguardo maestoso. L’aspetto del loro volto testimonia contro di loro, pubblicano il loro peccato, come Sodoma, e non lo nascondono. Guai all’anima loro! perché fanno del male a sé stessi. Ditelo che il giusto avrà del bene, perché egli mangerà il frutto delle sue opere! Guai all’empio! il male lo colpirà, perché gli sarà reso quello che le sue mani hanno fatto. Il mio popolo ha per oppressori dei bambini, e lo dominano delle donne. O popolo mio, quelli che ti guidano ti sviano e distruggono il sentiero per cui devi passare! L’Eterno si presenta per discutere la causa, e sta in piedi per giudicare i popoli. L’Eterno entra in giudizio con gli anziani del suo popolo e con i suoi principi: “Voi siete quelli che avete devastato la vigna! Le spoglie del povero sono nelle vostre case! Con quale diritto voi opprimete il mio popolo e pestate la faccia dei poveri?”, dice il Signore, l’Eterno degli eserciti. L’Eterno dice ancora: “Poiché le figlie di Sion sono altere, camminano con il collo teso, lanciando sguardi provocanti, camminando a piccoli passi e facendo tintinnare gli anelli dei loro piedi, il Signore colpirà con la tigna il capo alle figlie di Sion, e l’Eterno metterà a nudo le loro vergogne”. In quel giorno, il Signore toglierà via il lusso degli anelli dei piedi, delle reti e delle mezzelune; gli orecchini, i braccialetti e i veli; i diademi, le catenelle dei piedi, le cinture, i vasetti di profumo e gli amuleti; gli anelli, i cerchietti da naso; gli abiti da festa, le mantelline, gli scialli e le borse; gli specchi, le camicie finissime, le tiare e le mantiglie. Invece del profumo si avrà marciume; invece della cintura, una corda; invece di riccioli, calvizie; invece di un ampio mantello, un sacco stretto; un marchio di fuoco invece di bellezza. I tuoi uomini cadranno di spada, e i tuoi prodi in battaglia. Le porte di Sion gemeranno e saranno in lutto; tutta desolata, siederà per terra’. In quel giorno, sette donne afferreranno un uomo e diranno: “Noi mangeremo il nostro pane, ci vestiremo delle nostre vesti; facci soltanto portare il tuo nome! togli via da noi la vergogna!”. In quel giorno, il germoglio dell’Eterno sarà lo splendore e la gloria degli scampati d’Israele, e il frutto della terra sarà il loro orgoglio e il loro ornamento. E avverrà che i sopravvissuti di Sion e i superstiti di Gerusalemme saranno chiamati santi: chiunque, cioè, in Gerusalemme, sarà iscritto tra i vivi, una volta che il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion, e avrà purificato Gerusalemme dal sangue che è in mezzo a lei, con il soffio di giustizia, e con il soffio dello sterminio. L’Eterno creerà su tutta la distesa del monte Sion e sulle sue assemblee una nuvola di fumo durante il giorno, e uno splendore di fuoco fiammeggiante durante la notte; poiché, su tutta questa gloria ci sarà un padiglione. Ci sarà una tenda per fare ombra di giorno e proteggere dal caldo, e per servire di rifugio e di asilo durante la tempesta e la pioggia. Io voglio cantare per il mio diletto il cantico del mio amico per la sua vigna. Il mio diletto aveva una vigna sopra una fertile collina. La dissodò, tolse via le pietre, vi piantò delle viti scelte, vi fabbricò in mezzo una torre e vi scavò uno strettoio. Egli si aspettava che facesse dell’uva, invece fece uva selvatica. Ora dunque, o abitanti di Gerusalemme, e voi, uomini di Giuda, giudicate voi fra me e la mia vigna! Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di ciò che io ho fatto per essa? Perché, mentre io mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica? Perciò, ora io vi farò conoscere quello che sto per fare alla mia vigna: le toglierò la siepe e vi pascoleranno le bestie; abbatterò il suo muro di cinta e sarà calpestata. Ne farò un deserto; non sarà più né potata né zappata, vi cresceranno i rovi e le spine e darò ordine alle nuvole che su di essa non lascino cadere pioggia. Infatti la vigna dell’Eterno degli eserciti è la casa d’Israele e gli uomini di Giuda sono la sua piantagione prediletta; egli si era aspettato rettitudine, ed ecco spargimento di sangue; giustizia, ed ecco grida di angoscia! Guai a quelli che aggiungono casa a casa, che uniscono campo a campo, finché non rimanga più spazio, e voi restiate soli ad abitare nel paese! Questo mi ha detto all’orecchio l’Eterno degli eserciti: “In verità queste case numerose saranno desolate, queste case grandi e belle saranno private di abitanti; dieci iugeri di vigna non daranno che un bato, e un omer di seme non darà che un efa”. Guai a quelli che la mattina si alzano presto per correre dietro alle bevande alcoliche, e fanno tardi la sera, finché il vino li infiammi! Nei loro banchetti ci sono la cetra, il saltèro, il tamburello, il flauto e il vino! ma non prestano attenzione a quello che fa l’Eterno e non considerano l’opera delle sue mani. Perciò il mio popolo sarà deportato per mancanza di conoscenza, la sua nobiltà muore di fame e le sue folle sono inaridite dalla sete. Perciò il soggiorno dei morti si è aperto desideroso e ha spalancato oltremisura la gola; laggiù scende lo splendore di Sion, la sua folla, il suo chiasso e chi festeggia in mezzo a essa. L’uomo comune è umiliato, i grandi sono abbassati, e sono abbassati gli sguardi alteri; ma l’Eterno degli eserciti è esaltato mediante il giudizio e l’Iddio santo è santificato per la sua giustizia. Gli agnelli pastureranno come nei loro pascoli e gli stranieri divoreranno i campi deserti dei ricchi! Guai a quelli che tirano l’iniquità con le corde del vizio, il peccato come con le corde di un cocchio e dicono: “Faccia presto, affretti la sua opera, affinché la vediamo! Venga e si esegua il disegno del Santo d’Israele, affinché noi lo conosciamo!”. Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro! Guai a quelli che si reputano saggi e si credono intelligenti! Guai a quelli che sono prodi nel bere il vino, e valorosi nel mescolare le bevande alcoliche; che assolvono il malvagio per un regalo, e privano il giusto del suo diritto! Perciò, come una lingua di fuoco divora la stoppia e come la fiamma consuma l’erba secca, così la loro radice sarà come marciume, e il loro fiore sarà portato via come polvere, perché hanno rifiutato la legge dell’Eterno degli eserciti e hanno disprezzato la parola del Santo d’Israele. Per questo divampa l’ira dell’Eterno contro il suo popolo; egli stende contro di esso la sua mano e lo colpisce; tremano i monti e i cadaveri sono come spazzatura in mezzo alle vie; malgrado tutto, la sua ira non si calma e la sua mano rimane distesa. Egli alza un vessillo per le nazioni lontane; fischia a un popolo, che è all’estremità della terra, ed eccolo che arriva, pronto, leggero. In esso nessuno è stanco o vacilla, nessuno sonnecchia o dorme; a nessuno si scioglie la cintura dei fianchi o si rompe il legaccio dei calzari. Le sue frecce sono acute, tutti i suoi archi sono tesi; gli zoccoli dei suoi cavalli sembrano pietre, le ruote dei suoi carri un turbine. Il suo ruggito è come quello di un leone; rugge come i leoncelli; rugge, afferra la preda, la porta via al sicuro, senza che nessuno gliela strappi. In quel giorno, egli muggirà contro Giuda, come mugge il mare e, a guardare il paese, ecco tenebre, angoscia e la luce che si oscura nel suo cielo. Nell’anno della morte del re Uzzia io vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. L’uno gridava all’altro e diceva: “Santo, santo, santo è l’Eterno degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!”. Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta dalla voce di loro che gridavano, e la casa fu piena di fumo. Allora io dissi: “Ahimè, sono perduto! Poiché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, l’Eterno degli eserciti!”. Ma uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, che aveva tolto con le molle dall’altare. Mi toccò con esso la bocca, e disse: “Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato”. Poi udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò? E chi andrà per noi?”. Allora io risposi: “Eccomi, manda me!”. Ed egli disse: “Va’, e di’ a questo popolo: ‘Ascoltate, sì, ma senza capire; guardate, sì, ma senza discernere!’. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi, in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi, non comprenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!”. E io dissi: “Fino a quando, Signore?”. Ed egli rispose: “Finché le città siano devastate e senza abitanti e non vi sia più nessuno nelle case e il paese sia ridotto in desolazione; finché l’Eterno abbia allontanato gli uomini, e la solitudine sia grande in mezzo al paese. E se vi rimane ancora un decimo della popolazione, esso a sua volta sarà distrutto; ma, come al terebinto e alla quercia, quando sono abbattuti, rimane il ceppo, così rimarrà al popolo, come ceppo, una discendenza santa”. Ai giorni di Acaz, figlio di Iotam, figlio di Uzzia, re di Giuda, Resin, re di Siria, e Peca, figlio di Remalia, re d’Israele, salirono contro Gerusalemme per muoverle guerra; ma non riuscirono a espugnarla. Fu riferita alla casa di Davide questa notizia: “La Siria si è alleata con Efraim”. Il cuore di Acaz e il cuore del suo popolo furono agitati, come gli alberi della foresta sono agitati dal vento. Allora l’Eterno disse a Isaia: “Va’ incontro ad Acaz, tu con Sear-Iasub, tuo figlio, verso l’estremità dell’acquedotto della vasca superiore, sulla strada del campo del lavandaio, e digli: ‘Guarda di startene calmo e tranquillo, non temere e non ti si avvilisca il cuore a causa di questi due avanzi di tizzoni fumanti, a causa dell’ira ardente di Resin, della Siria e del figlio di Remalia. Siccome la Siria, Efraim e il figlio di Remalia meditano del male a tuo danno, dicendo: Saliamo contro Giuda, terrorizziamolo, apriamo una breccia e proclamiamo re in mezzo a esso il figlio di Tabbeel’, così dice il Signore, l’Eterno: ‘Questo non avrà effetto; non succederà; poiché Damasco è la capitale della Siria e Resin è il capo di Damasco. Fra sessantacinque anni Efraim sarà fiaccato al punto che non sarà più popolo. Samaria è la capitale di Efraim, e il figlio di Remalia è il capo di Samaria. Se voi non avete fede, certo, non potrete sussistere’”. L’Eterno parlò di nuovo ad Acaz, e gli disse: “Chiedi un segno all’Eterno, al tuo Dio! chiedilo giù nei luoghi sottoterra o nei luoghi eccelsi!”. Acaz rispose: “Io non chiederò nulla; non tenterò l’Eterno”. E Isaia disse: “Ora ascoltate, o casa di Davide! È forse poca cosa per voi stancare gli uomini, che volete stancare anche il mio Dio? Perciò il Signore stesso vi darà un segno: ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché sappia rigettare il male e scegliere il bene. Ma prima che il fanciullo sappia rigettare il male e scegliere il bene, il paese del quale tu temi i due re, sarà devastato. L’Eterno farà venire su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre dei giorni, come non se ne ebbero mai dal giorno che Efraim si è separato da Giuda: vale a dire il re di Assiria. E in quel giorno l’Eterno fischierà alle mosche che sono all’estremità dei fiumi d’Egitto, e alle api che sono nel paese di Assiria. Esse verranno e si poseranno tutte nelle valli deserte, nelle fessure delle rocce, su tutti i cespugli e su tutti i pascoli. In quel giorno, il Signore, con un rasoio preso a noleggio di là dal fiume, cioè con il re di Assiria, raderà la testa, i peli delle gambe e porterà via anche la barba. In quel giorno avverrà che uno nutrirà una giovenca e due pecore, ed esse daranno tale abbondanza di latte, che egli mangerà della panna; poiché mangerà panna e miele chiunque sarà rimasto superstite nel paese. In quel giorno, ogni terreno contenente mille viti del valore di mille sicli d’argento, sarà abbandonato in balìa dei rovi e dei pruni. Vi si entrerà con le frecce e con l’arco, perché tutto il paese non sarà che rovi e pruni. E tutti i colli che si dissodavano con la vanga non saranno più frequentati per timore dei rovi e dei pruni; vi si lasceranno andare i buoi, e le pecore ne calpesteranno il suolo”. L’Eterno mi disse: “Prenditi una tavoletta grande e scrivici sopra con caratteri leggibili: ‘Affrettate il saccheggio! Presto, al bottino!’”. E presi con me per testimoniare, dei testimoni fidati: il sacerdote Uria e Zaccaria, figlio di Ieberechia. Mi unii pure alla profetessa, lei concepì e partorì un figlio. Allora l’Eterno mi disse: “Chiamalo ‘Maer-Salal-As-Baz’; poiché prima che il bambino sappia dire papà e mamma, le ricchezze di Damasco e il bottino di Samaria saranno portati davanti al re di Assiria”. E l’Eterno mi parlò ancora e mi disse: “Siccome questo popolo ha disprezzato le acque di Siloe che scorrono lentamente e si rallegra a causa di Resin e del figlio di Remalia, ecco, il Signore sta per far salire su di loro le potenti e grandi acque del fiume, cioè il re di Assiria e tutta la sua gloria; esso si innalzerà dappertutto sopra il suo livello, e strariperà su tutte le sue sponde. Passerà sopra Giuda, inonderà, e passerà oltre; arriverà fino al collo, e le sue ali spiegate copriranno tutta la larghezza del tuo paese, o Emmanuele!”. Mandate pure grida di guerra, o popoli; sarete frantumati! prestate orecchio, o voi tutti paesi lontani! Preparatevi pure alla lotta; sarete frantumati! Fate pure dei piani, e saranno sventati! Dite pure la parola, e rimarrà senza effetto, perché Dio è con noi! Poiché così mi ha parlato l’Eterno, quando la sua mano mi ha afferrato, ed egli mi ha avvertito di non camminare per la via di questo popolo, dicendo: “Non chiamate congiura tutto ciò che questo popolo chiama congiura; non temete ciò che esso teme e non vi spaventate! L’Eterno degli eserciti, lui solo santificate! Sia lui quello di cui avete timore e paura! Egli sarà un santuario, ma anche una pietra di intoppo, un sasso di inciampo per le due case d’Israele, un laccio e una rete per gli abitanti di Gerusalemme. Molti tra loro inciamperanno, cadranno, saranno infranti, rimarranno nel laccio, e saranno presi. Chiudi questa testimonianza, sigilla questa legge fra i miei discepoli”. Io aspetto l’Eterno che nasconde il suo volto alla casa di Giacobbe; in lui ripongo la mia speranza. Ecco me e i figli che l’Eterno mi ha dato; noi siamo dei segni e dei presagi in Israele da parte dell’Eterno degli eserciti, che abita sul monte di Sion. Se vi si dice: “Consultate quelli che evocano gli spiriti e gli indovini, quelli che sussurrano e bisbigliano”, rispondete: “Un popolo non deve forse consultare il suo Dio? Si rivolgerà forse ai morti in favore dei vivi? Alla legge! alla testimonianza!”. Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui nessuna aurora! Si aggirerà per il paese, affranto, affamato; quando avrà fame, si irriterà, maledirà il suo re e il suo Dio. Volgerà lo sguardo in alto, lo volgerà verso la terra, ed ecco, non vedrà che distretta, tenebre, oscurità piena di angoscia, e sarà sospinto in fitte tenebre. Ma le tenebre non dureranno sempre sulla terra che ora è nell’angoscia. Come nei tempi passati Dio coprì di obbrobrio il paese di Zabulon e il paese di Neftali, così nei tempi futuri coprirà di gloria la terra vicina al mare, di là dal Giordano, la Galilea dei Gentili. Il popolo che camminava nelle tenebre, vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende. Tu moltiplichi il popolo, tu gli doni una grande gioia; esso si rallegra davanti a te come uno si rallegra al tempo della mietitura, come uno gioisce quando si divide il bottino. Poiché il giogo che gravava su di lui, il bastone che gli percuoteva il dorso, la verga di chi lo opprimeva tu li spezzi, come nel giorno di Madian. Poiché ogni calzatura portata dal guerriero nella mischia, ogni mantello sporco di sangue, saranno dati alle fiamme, saranno divorati dal fuoco. Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e l’impero riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace, per dare incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre: questo farà lo zelo dell’Eterno degli eserciti. Il Signore manda una parola a Giacobbe, ed essa cade sopra Israele. Tutto il popolo ne avrà conoscenza, Efraim e gli abitanti di Samaria, che nel loro orgoglio e nella superbia del loro cuore dicono: “I mattoni sono caduti, ma noi costruiremo con pietre squadrate; i sicomori sono stati tagliati, ma noi li sostituiremo con dei cedri”. Per questo l’Eterno farà sorgere contro il popolo gli avversari di Resin, ed ecciterà i suoi nemici: i Siri da oriente, i Filistei da occidente; ed essi divoreranno Israele a bocca spalancata. Nonostante tutto, la sua ira non si calma e la sua mano rimane stesa. Ma il popolo non torna a colui che lo colpisce e non cerca l’Eterno degli eserciti. Perciò l’Eterno reciderà da Israele capo e coda, palma e giunco, in uno stesso giorno. L’anziano e il notabile sono il capo, e il profeta che insegna la menzogna è la coda. Quelli che guidano questo popolo lo sviano, e quelli che si lasciano guidare vanno in perdizione. Perciò l’Eterno non si compiacerà dei giovani del popolo, né avrà compassione dei suoi orfani e delle sue vedove; poiché tutti quanti sono empi e perversi, e ogni bocca proferisce follia. Nonostante tutto, la sua ira non si calma e la sua mano rimane stesa. Infatti la malvagità arde come il fuoco che divora rovi e pruni, divampa nel folto della foresta da cui si elevano vorticosamente colonne di fumo. Per l’ira dell’Eterno degli eserciti il paese è in fiamme, e il popolo è in preda al fuoco; nessuno risparmia il fratello. Si saccheggia a destra, e si ha fame; si divora a sinistra, e non si è saziati; ognuno divora la carne del proprio braccio: Manasse divora Efraim, ed Efraim Manasse; insieme piombano su Giuda. Nonostante tutto, la sua ira non si calma e la sua mano rimane stesa. Guai a quelli che fanno decreti iniqui e a quelli che mettono per iscritto sentenze ingiuste, per negare giustizia ai miseri, per spogliare del loro diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e degli orfani il loro bottino! Che farete il giorno che Dio vi visiterà, nel giorno che la rovina verrà da lontano? Da chi fuggirete in cerca di soccorso? dove lascerete la vostra ricchezza? Non rimarrà loro che curvarsi fra i prigionieri o cadere fra gli uccisi. Nonostante tutto, la sua ira non si calma e la sua mano rimane stesa. “Guai all’Assiria, verga della mia ira! Ha in mano il bastone della mia indignazione. Io la mando contro una nazione empia e la dirigo contro il popolo che ha provocato la mia ira, con l’ordine di darsi al saccheggio, di fare bottino, di calpestarlo come il fango delle strade. Ma essa non la intende così; non la pensa così in cuor suo; essa ha in cuore di distruggere, di sterminare un gran numero di nazioni. Poiché dice: ‘I miei principi non sono forse tanti re? Non è forse Calno come Carchemis? O Camat come Arpad? O Samaria come Damasco? Come la mia mano è giunta a colpire i regni degli idoli dove le immagini erano più numerose che a Gerusalemme e a Samaria, come ho fatto a Samaria e ai suoi idoli, non farò io così a Gerusalemme e alle sue statue?’”. Ma quando il Signore avrà compiuto tutta la sua opera sul monte Sion e a Gerusalemme, “Io”, dice l’Eterno, “punirò il re di Assiria per il frutto della superbia del suo cuore e dell’arroganza dei suoi sguardi alteri”. Infatti egli dice: “Io l’ho fatto per la forza della mia mano e per la mia sapienza, perché sono intelligente; ho rimosso i confini dei popoli, ho predato i loro tesori; e, potente come sono, ho detronizzato dei re, la mia mano ha trovato, come un nido, le ricchezze dei popoli; e come uno raccoglie delle uova abbandonate, così ho io raccolto tutta la terra; e nessuno ha mosso l’ala o aperto il becco o mandato un grido”. La scure si vanta forse contro colui che la maneggia? La sega si esalta forse contro colui che la muove? Come se la verga facesse muovere colui che la alza, come se il bastone alzasse colui che non è di legno! Perciò il Signore, l’Eterno degli eserciti, manderà la consunzione tra i suoi più robusti; e sotto la sua gloria accenderà un fuoco, come il fuoco di un incendio. La luce d’Israele diventerà un fuoco, e il suo Santo una fiamma, che arderà e divorerà i suoi rovi e i suoi pruni in un solo giorno. La gloria della sua foresta e della sua fertile campagna egli la consumerà, anima e corpo; sarà come il deperimento di un uomo che langue. Il resto degli alberi della sua foresta sarà così minimo che un bambino potrebbe farne il conto. In quel giorno, il residuo d’Israele e gli scampati della casa di Giacobbe cesseranno di appoggiarsi su colui che li colpiva, e si appoggeranno con sincerità sull’Eterno, sul Santo d’Israele. Un residuo, il residuo di Giacobbe, tornerà all’Iddio potente. Infatti, anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, un residuo soltanto ne tornerà; è decretato uno sterminio, che farà traboccare la giustizia. Poiché lo sterminio che ha decretato il Signore, l’Eterno degli eserciti, lo effettuerà in mezzo a tutta la terra. Così dunque dice il Signore, l’Eterno degli eserciti: “O popolo mio, che abiti in Sion, non temere l’Assiro, benché ti batta con la verga e alzi su te il bastone, come fece l’Egitto! Ancora un breve, brevissimo tempo, e la mia indignazione sarà finita, e la mia ira si volgerà alla loro distruzione”. L’Eterno degli eserciti alzerà contro di lui la frusta, come quando colpì Madian, alla roccia di Oreb; come alzò il suo bastone sul mare, così lo alzerà ancora, come in Egitto. E, in quel giorno, il suo carico ti cadrà dalle spalle e il suo giogo dal collo; il giogo sarà scosso dalla tua forza rigogliosa. L’Assiro marcia contro Aiat, attraversa Migron, depone i suoi bagagli a Micmas. Attraversano il passo, passano la notte a Gheba; Rama trema, Ghibea di Saul è in fuga. Grida forte con tutta la voce, o figlia di Gallim! Tendi l’orecchio, o Lais! Povera Anatot! Madmenà è in fuga precipitosa, gli abitanti di Ghebim cercano un rifugio. Oggi stesso sosterà a Nob, agitando il pugno contro il monte della figlia di Sion, contro la collina di Gerusalemme. Ecco, il Signore, l’Eterno degli eserciti, stronca i rami in modo tremendo; i più alti sono tagliati, i più superbi sono atterrati. Egli abbatte con il ferro il folto della foresta, e il Libano cade sotto i colpi del Potente. Poi un ramo uscirà dal tronco di Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici. Lo Spirito dell’Eterno riposerà su di lui: Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore dell’Eterno. Respirerà come profumo il timore dell’Eterno, non giudicherà dall’apparenza, non darà sentenze stando al sentito dire, ma giudicherà i poveri con giustizia, prenderà decisioni eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l’empio. La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi. Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo giacerà con il capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli giaceranno assieme, e il leone mangerà la paglia come il bue. Il lattante giocherà sul nido dell’aspide, e il bambino stenderà la mano nel covo della vipera. Non si farà né male né danno su tutto il mio monte santo, poiché la terra sarà piena della conoscenza dell’Eterno, come le acque coprono il fondo del mare. In quel giorno, verso la radice di Isai, issata come bandiera dei popoli, si volgeranno premurose le nazioni, e il luogo del suo riposo sarà glorioso. In quel giorno, il Signore stenderà una seconda volta la mano per riscattare il residuo del suo popolo rimasto in Assiria e in Egitto, a Patros e in Etiopia, a Elam, a Scinear e a Camat, e nelle isole del mare. Egli alzerà una bandiera verso le nazioni, raccoglierà gli esuli d’Israele e radunerà i dispersi di Giuda dai quattro canti della terra. La gelosia di Efraim scomparirà, e gli avversari di Giuda saranno annientati; Efraim non invidierà più Giuda, e Giuda non sarà più ostile a Efraim. Essi piomberanno a volo sulle spalle dei Filistei a occidente, insieme saccheggeranno i figli dell’oriente; metteranno le mani addosso a Edom e a Moab, e i figli di Ammon saranno loro sudditi. L’Eterno metterà interamente a secco la lingua del mar d’Egitto; agiterà minacciosamente la mano sul fiume e, con il suo soffio impetuoso, lo dividerà in sette canali; farà in modo che lo si attraversi con i sandali. Ci sarà una strada per il residuo del suo popolo rimasto in Assiria, come ce ne fu una per Israele il giorno che uscì dal paese d’Egitto. In quel giorno, dirai: “Io ti celebro, o Eterno! Poiché, dopo esserti adirato con me, la tua ira si è calmata e tu mi hai consolato. Ecco, Iddio è la mia salvezza; io avrò fiducia, e non avrò paura di nulla; poiché l’Eterno, l’Eterno è la mia forza e il mio cantico; egli è stato la mia salvezza”. Voi attingerete con gioia l’acqua dalle fonti della salvezza e in quel giorno direte: “Celebrate l’Eterno, invocate il suo nome, fate conoscere le sue opere tra i popoli, proclamate che il suo nome è eccelso! Salmeggiate all’Eterno, perché ha fatto cose grandiose: siano esse note a tutta la terra! Grida di gioia, esulta, abitante di Sion! poiché il Santo d’Israele è grande in mezzo a te”. Profezia contro Babilonia, rivelata a Isaia, figlio di Amots. Sopra un nudo monte, issate una bandiera, chiamateli a gran voce, fate segno con la mano ed entrino nelle porte dei prìncipi! Io ho dato ordini a quelli che mi sono consacrati, ho chiamato i miei prodi, ministri della mia ira, quelli che esultano nella mia grandezza. Si ode sui monti un rumore di gente, come quello di un popolo immenso; il rumore di un tumulto di regni, di nazioni radunate: l’Eterno degli eserciti passa in rivista l’esercito che va a combattere. Vengono da un paese lontano, dall’estremità dei cieli, l’Eterno e gli strumenti della sua ira, per distruggere tutto il paese. Urlate, poiché il giorno dell’Eterno è vicino; esso viene come una devastazione dell’Onnipotente. Perciò, tutte le mani diventano fiacche, e ogni cuore d’uomo viene meno. Sono colti da spavento, sono presi da spasimi e da dolori; si contorcono come donna che partorisce, si guardano l’uno con l’altro sbigottiti, le loro facce sono facce di fuoco. Ecco, il giorno dell’Eterno giunge: giorno crudele, di indignazione e di ira ardente, che farà della terra un deserto, e ne distruggerà i peccatori. Poiché le stelle e le costellazioni del cielo non faranno più brillare la loro luce; il sole si oscurerà mentre sorge, e la luna non farà più risplendere il suo chiarore. Io punirò il mondo per la sua malvagità e gli empi per la loro iniquità; farò cessare l’alterigia dei superbi e abbatterò l’arroganza dei tiranni. Renderò gli uomini più rari dell’oro fino, più rari dell’oro di Ofir. Perciò farò tremare i cieli, e la terra sarà scossa dal suo luogo per l’indignazione dell’Eterno degli eserciti, nel giorno della sua ira ardente. Allora, come una gazzella inseguita o come una pecora che nessuno raccoglie, ognuno si volgerà verso il suo popolo, ognuno fuggirà al proprio paese. Chiunque sarà trovato sarà trafitto, chiunque sarà preso cadrà di spada. I loro bimbi saranno schiacciati davanti ai loro occhi, le loro case saranno saccheggiate, le loro mogli saranno violentate. Ecco, io suscito contro di loro i Medi, i quali non fanno nessun caso all’argento e non prendono nessun piacere nell’oro. I loro archi atterreranno i giovani ed essi non avranno pietà del frutto del grembo: il loro occhio non risparmierà i bambini. Babilonia, lo splendore dei regni, la superba bellezza dei Caldei, sarà come Sodoma e Gomorra quando Dio le sconvolse. Essa non sarà mai più abitata, di generazione in generazione nessuno vi si stabilirà più; l’Arabo non vi pianterà più la sua tenda, né i pastori vi faranno più riposare le loro greggi, ma vi riposeranno le bestie del deserto e le sue case saranno piene di gufi; vi faranno la loro dimora gli struzzi, vi danzeranno le capre selvatiche. Le iene ululeranno nei suoi palazzi, gli sciacalli nelle sue ville deliziose. Il suo tempo sta per venire, i suoi giorni non saranno prolungati. L’Eterno infatti avrà pietà di Giacobbe, sceglierà ancora Israele e li ristabilirà sul loro suolo; lo straniero si unirà a essi e si stringerà alla casa di Giacobbe. I popoli li prenderanno e li ricondurranno al loro luogo, la casa d’Israele li possederà nel paese dell’Eterno come servi e come serve; essi terranno prigionieri quelli che li avevano fatti prigionieri e domineranno sui loro oppressori. Il giorno che l’Eterno ti avrà dato riposo dal tuo affanno, dalle tue agitazioni e dalla dura schiavitù alla quale eri stato assoggettato, tu pronuncerai questo canto sul re di Babilonia e dirai: “Come! l’oppressore ha finito? la furia insolente è finita? L’Eterno ha spezzato il bastone degli empi, lo scettro dei despoti. Colui che furiosamente percuoteva i popoli con colpi senza tregua, colui che dominava rabbiosamente sulle nazioni, è inseguito senza misericordia. Tutta la terra è in riposo, è tranquilla, la gente manda grida di gioia. Perfino i cipressi e i cedri del Libano si rallegrano a causa tua. ‘Da quando tu sei atterrato’, essi dicono, ‘il boscaiolo non sale più contro di noi’. Il soggiorno dei morti, laggiù, si agita per te, per venire a incontrarti al tuo arrivo; esso sveglia per te le ombre, tutti i principi della terra; fa alzare dai loro troni tutti i re delle nazioni. Tutti prendono la parola e ti dicono: ‘Anche tu dunque sei diventato debole come noi? anche tu sei dunque divenuto simile a noi?’. Il tuo fasto e il suono dei tuoi saltèri sono stati fatti scendere nel soggiorno dei morti; sotto di te sta un letto di vermi, e i vermi sono la tua coperta. Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell’aurora? Come mai sei atterrato, tu che calpestavi le nazioni? Nel tuo cuore dicevi: ‘Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; io mi siederò sul monte dell’assemblea, nella parte estrema del settentrione; salirò sulle parti più alte delle nubi, sarò simile all’Altissimo’. Invece ti hanno fatto scendere nel soggiorno dei morti, nelle profondità della fossa! Quelli che ti vedono fissano su di te lo sguardo, ti considerano attentamente, e dicono: ‘È questo l’uomo che faceva tremare la terra, che agitava i regni, che riduceva il mondo in un deserto, ne distruggeva le città, e non rimandava mai liberi a casa i suoi prigionieri?’. Tutti i re delle nazioni, tutti quanti riposano in gloria ciascuno nella propria casa; ma tu sei stato gettato lontano dalla tua tomba come un rampollo abominevole coperto di uccisi trafitti con la spada, calati sotto i sassi della fossa, come un cadavere calpestato. Tu non sarai riunito a loro nella sepoltura perché hai distrutto il tuo paese, hai ucciso il tuo popolo; della razza dei malfattori non si parlerà mai più. Preparate il massacro dei suoi figli, a causa dell’iniquità dei loro padri! Che non si rialzino più a conquistare la terra, a riempire il mondo di città! Io sorgerò contro di loro”, dice l’Eterno degli eserciti, “sterminerò di Babilonia il nome, i superstiti, la razza e la discendenza”, dice l’Eterno. “Ne farò il dominio del porcospino, un luogo di paludi, la spazzerò con la scopa della distruzione”, dice l’Eterno degli eserciti. L’Eterno degli eserciti lo ha giurato, dicendo: “In verità, come io penso, così sarà; come ho deciso, così avverrà. Frantumerò l’Assiro nel mio paese, lo calpesterò sui miei monti; allora il suo giogo sarà tolto da essi, e il suo carico sarà tolto dalle loro spalle”. Questo è il piano deciso contro tutta la terra; questa è la mano stesa contro tutte le nazioni. L’Eterno degli eserciti ha fatto questo piano; chi lo renderà vano? La sua mano è stesa, chi gliela farà ritirare? L’anno della morte di Acaz fu pronunciato questa profezia: “Non ti rallegrare, o Filistia tutta quanta, perché la verga che ti colpiva è spezzata! poiché dalla radice del serpente uscirà una vipera, e il suo frutto sarà un drago volante. I più poveri avranno di che nutrirsi, e i bisognosi riposeranno al sicuro; ma io farò morire di fame la tua radice e quello che rimarrà di te sarà ucciso. Urla, o porta! grida, o città! Trema, o Filistia tutta quanta! Poiché dal nord viene un fumo, e nessuno si sbanda dalla sua schiera”. E che cosa si risponderà ai messaggeri di questa nazione? “Che l’Eterno ha fondato Sion, e che in essa gli afflitti del suo popolo trovano rifugio”. Profezia su Moab. Sì, nella notte in cui è devastata, Ar-Moab perisce! Sì, nella notte in cui è devastata, Chir-Moab perisce! Si sale al tempio e a Dibon, sugli alti luoghi, per piangere; Moab urla su Nebo e su Medeba: tutte le teste sono rasate, tutte le barbe, tagliate. Per le strade tutti indossano sacchi, sui tetti e per le piazze ognuno urla, piangendo a dirotto. Chesbon ed Eleale gridano; la loro voce si ode fino a Iaas; perciò i guerrieri di Moab si lamentano, la loro anima trema. Il mio cuore geme per Moab, i cui fuggiaschi sono già a Soar, a Eglat-Selisia; perché fanno, piangendo, la salita di Luit e mandano grida di angoscia sulla via di Coronaim; perché le acque di Nimrim sono una desolazione, l’erba è seccata, l’erba minuta è scomparsa, non c’è più verdura; perciò le ricchezze che hanno accumulato, le provviste che hanno tenuto accumulate, essi le trasportano oltre il torrente dei salici. Le grida fanno il giro dei confini di Moab, il suo urlo rintrona fino a Eglaim, il suo urlo rintrona fino a Beer-Elim. Le acque di Dimon sono piene di sangue; infliggerò a Dimon dei nuovi guai: un leone contro gli scampati di Moab e contro quello che resta del paese. Mandate l’agnello al signore del paese, da Sela, per la via del deserto, al monte della figlia di Sion! Come uccelli che fuggono, come una nidiata dispersa, così saranno le figlie di Moab ai guadi dell’Arnon. Consigliaci, fa’ giustizia! In pieno mezzogiorno, stendi su di noi la tua ombra densa come la notte, nascondi gli esuli, non tradire i fuggiaschi; lascia abitare presso di te gli esuli di Moab, sii tu per loro un rifugio contro il devastatore! Poiché l’oppressione è finita, la devastazione è cessata, gli invasori sono scomparsi dal paese, il trono è stabilito fermamente sulla clemenza, e sul trono sta seduto fedelmente, nella tenda di Davide, un giudice amico del diritto e pronto a fare giustizia. Noi conosciamo l’orgoglio di Moab, l’orgogliosissima, la sua alterigia, la sua superbia, la sua arroganza, il suo vantarsi senza fondamento! Perciò gema Moab per Moab, tutti gemano! Rimpiangete, costernati, i grappoli di uva di Chir-Areset! Poiché le campagne di Chesbon languono; languono i vigneti di Sibma, le cui viti scelte, che inebriavano i padroni delle nazioni, arrivavano fino a Iazer, erravano per il deserto e avevano propaggini che si estendevano lontano e passavano il mare. Piango, perciò, come piange Iazer, i vigneti di Sibma; io vi inondo delle mie lacrime, o Chesbon, o Eleale! poiché sui vostri frutti d’estate e sulla vostra mietitura si è abbattuto un grido di guerra. La gioia, l’esultanza, sono scomparse dalla fertile campagna; e nelle vigne non ci sono più canti, né grida di gioia; il vendemmiatore non pigia più l’uva nei tini; io ho fatto cessare il grido di gioia della vendemmia. Perciò le mie viscere fremono per Moab come un’arpa, e il mio cuore geme per Chir-Eres. Quando Moab si presenterà, quando si affaticherà sull’alto luogo ed entrerà nel suo santuario a pregare, non otterrà nulla. Questa è la parola che l’Eterno già da lungo tempo pronunciò contro Moab. E ora l’Eterno parla e dice: “Fra tre anni, contati come quelli di un operaio, la gloria di Moab cadrà in disprezzo, nonostante i suoi numerosi abitanti; e ciò che ne resterà sarà poca, pochissima cosa, senza forza”. Profezia contro Damasco. “Ecco, Damasco è tolto dal numero delle città, e non sarà più che un ammasso di rovine. Le città di Aroer sono abbandonate; sono lasciate alle mandrie che vi si riposano, e nessuno le spaventa. Non vi sarà più fortezza in Efraim né reame in Damasco; e del residuo della Siria avverrà quel che è avvenuto della gloria dei figli d’Israele”, dice l’Eterno degli eserciti. “In quel giorno, la gloria di Giacobbe sarà diminuita, e il grasso del suo corpo dimagrirà. Avverrà come quando il mietitore raccoglie il grano e con il braccio falcia le spighe; avverrà come quando si raccolgono le spighe nella valle di Refaim. Vi rimarrà qualcosa da spigolare, come quando si scuote l’ulivo restano due o tre olive nelle cime più alte, quattro o cinque nei rami più carichi”, dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele. In quel giorno l’uomo volgerà lo sguardo verso il suo Creatore, e i suoi occhi guarderanno al Santo d’Israele; e non volgerà più lo sguardo verso gli altari, opera delle sue mani; e non guarderà più a quello che le sue dita hanno fatto, agli idoli di Astarte e alle colonne solari. In quel giorno, le sue città forti saranno abbandonate, come furono abbandonate le foreste e le vette dei monti all’avvicinarsi dei figli d’Israele: sarà una desolazione. Perché hai dimenticato l’Iddio della tua salvezza e non ti sei ricordato della Ròcca della tua forza, ti sei fatto delle piantagioni piacevoli e hai piantato dei tralci stranieri. Il giorno che li piantasti li circondasti di una siepe e ben presto facesti fiorire le tue piante: ma la raccolta ti sfugge nel giorno dell’angoscia, del disperato dolore. Oh, che rumore di popoli numerosi! muggiscono, come muggiscono i mari. Che tumulto di nazioni! le nazioni rumoreggiano come rumoreggiano le grandi acque. Ma egli le minaccia, ed esse fuggono lontano, cacciate, come la pula dei monti dal vento, come un turbine di polvere dall’uragano. Alla sera, ecco il terrore; prima del mattino, non sono più. Ecco la parte di quelli che ci spogliano, ecco la sorte di chi ci saccheggia! O paese dalle ali strepitanti oltre i fiumi d’Etiopia, che invia messaggeri per mare in navicelle di papiro, remanti a pelo d’acqua! Andate, o veloci messaggeri, verso la nazione dall’alta statura e dalla pelle lucida, verso il popolo temuto fin nelle regioni lontane, nazione potente che calpesta tutto, il cui paese è solcato da fiumi! Voi tutti, abitanti del mondo, voi tutti che abitate sulla terra, quando la bandiera sarà issata sui monti, guardate! Quando la tromba suonerà, ascoltate! Poiché così mi ha detto l’Eterno: “Io me ne starò tranquillo e guarderò dalla mia dimora, come un calore sereno alla luce del sole, come una nube di rugiada nel calore della mietitura”. Ma prima della mietitura, quando la fioritura sarà passata e il fiore sarà diventato grappolo formato, egli taglierà i tralci con delle roncole, taglierà e reciderà i pampini. Gli Assiri saranno abbandonati, tutti assieme, agli uccelli rapaci dei monti e alle bestie della terra: gli uccelli rapaci passeranno l’estate sui loro cadaveri e le bestie della terra vi passeranno l’inverno. In quel tempo, saranno portate delle offerte all’Eterno degli eserciti dalla nazione dall’alta statura e dalla pelle lucida, dal popolo temuto fin nelle regioni lontane, dalla nazione potente che calpesta tutto, il cui paese è solcato da fiumi: saranno portate al luogo dov’è il nome dell’Eterno degli eserciti, sul monte Sion. Profezia sull’Egitto. Ecco l’Eterno che cavalca una nuvola leggera ed entra in Egitto; gli idoli d’Egitto tremano davanti a lui, e all’Egitto si scioglie il cuore nel petto. “Io inciterò Egiziani contro Egiziani, combatteranno il fratello contro il fratello, il vicino contro il vicino, città contro città, regno contro regno. Lo spirito che anima l’Egitto svanirà, io renderò vani i suoi disegni; quelli consulteranno gli idoli, gli incantatori, gli evocatori di spiriti e gli indovini. Io darò l’Egitto nelle mani di un signore duro e un re crudele dominerà su di lui”, dice il Signore, l’Eterno degli eserciti. Le acque del mare si prosciugheranno, il fiume diventerà secco e arido; i ruscelli diventeranno infetti, i canali d’Egitto scemeranno e resteranno asciutti, le canne e i giunchi deperiranno. Le praterie sul Nilo, lungo le rive del Nilo, tutti i seminati presso il fiume seccheranno, diventeranno spogli, spariranno. I pescatori gemeranno, tutti quelli che gettano l’amo nel Nilo saranno in lutto e quelli che stendono le reti sulle acque languiranno. Coloro che lavorano il lino pettinato e i tessitori di cotone saranno confusi. Le colonne del paese saranno infrante, tutti quelli che vivono di un salario saranno nella tristezza. I principi di Soan non sono che degli stolti; i più saggi tra i consiglieri del Faraone danno consigli insensati. Come potete mai dire al Faraone: “Io sono figlio dei saggi, figlio degli antichi re?”. Dove sono i tuoi saggi? Te lo annuncino essi e lo riconoscano essi stessi quello che l’Eterno degli eserciti ha deciso contro l’Egitto! I principi di Soan sono diventati stolti, i principi di Nof si ingannano; hanno traviato l’Egitto, essi, la pietra angolare delle sue tribù. L’Eterno ha messo in loro uno spirito di vertigine; fanno barcollare l’Egitto in ogni sua impresa, come l’ubriaco che barcolla vomitando. Non gioverà nulla all’Egitto di quello che potranno fare il capo o la coda, la palma o il giunco. In quel giorno, l’Egitto sarà come le donne: tremerà, sarà spaventato, vedendo la mano dell’Eterno degli eserciti che si agita, che si agita minacciosa contro di lui. Il paese di Giuda sarà il terrore dell’Egitto; tutte le volte che gli verrà menzionato, l’Egitto sarà spaventato a causa della decisione presa contro di lui dall’Eterno degli eserciti. In quel giorno, vi saranno nel paese d’Egitto cinque città che parleranno la lingua di Canaan, e che giureranno per l’Eterno degli eserciti; una di esse si chiamerà “Città del sole”. In quel giorno, in mezzo al paese d’Egitto, ci sarà un altare eretto all’Eterno e, presso la frontiera, una colonna consacrata all’Eterno. Sarà per l’Eterno degli eserciti un segno e una testimonianza nel paese d’Egitto; quando essi grideranno all’Eterno a causa dei loro oppressori, egli manderà loro un salvatore e un difensore a liberarli. L’Eterno si farà conoscere all’Egitto e gli Egiziani, in quel giorno, conosceranno l’Eterno, gli offriranno un culto con sacrifici e offerte, faranno voti all’Eterno e li adempiranno. L’Eterno colpirà gli Egiziani: li colpirà e li guarirà ed essi si convertiranno all’Eterno, che si arrenderà alle loro suppliche e li guarirà. In quel giorno, ci sarà una strada dall’Egitto all’Assiria; gli Assiri andranno in Egitto, e gli Egiziani in Assiria; gli Egiziani serviranno l’Eterno con gli Assiri. In quel giorno, Israele sarà terzo con l’Egitto e con l’Assiria, e tutti e tre saranno una benedizione in mezzo alla terra. L’Eterno degli eserciti li benedirà, dicendo: “Benedetti siano l’Egitto, mio popolo, l’Assiria, opera delle mie mani, e Israele, mia eredità!”. L’anno che Tartan, mandato da Sargon, re di Assiria, mosse contro Asdod, la cinse d’assedio e la prese, in quel tempo, l’Eterno parlò per mezzo di Isaia, figlio di Amots, e gli disse: “Va’, sciogliti il sacco dai fianchi e togliti i calzari dai piedi”. Questi fece così, e camminò seminudo e scalzo. E l’Eterno disse: “Come il mio servo Isaia va seminudo e scalzo, segno e presagio, per tre anni, contro l’Egitto e contro l’Etiopia, così il re di Assiria condurrà via i prigionieri dall’Egitto e i deportati dell’Etiopia, giovani e vecchi, seminudi e scalzi, con le natiche scoperte, a vergogna dell’Egitto. Quelli saranno costernati e confusi, a causa dell’Etiopia in cui avevano riposto la loro speranza, e a causa dell’Egitto di cui si vantavano. Gli abitanti di questa costa diranno in quel giorno: ‘Ecco a cosa è ridotto il paese in cui speravamo, a cui ci eravamo rivolti in cerca di aiuto, per essere liberati dal re di Assiria! Come faremo a scampare?’”. Profezia contro il deserto marittimo. Come gli uragani, quando si scatenano, nella regione meridionale, egli viene dal deserto, da un paese spaventoso. Una visione terribile mi è stata data: il perfido agisce con perfidia, il devastatore devasta. Sali, o Elam! Metti l’assedio, o Media! Io faccio cessare ogni gemito. Perciò i miei fianchi sono pieni di dolori; delle doglie mi hanno colto, come le doglie di una donna partoriente; io mi contorco, per quello che sento; sono spaventato da ciò che vedo. Il mio cuore si smarrisce, il terrore s’impossessa di me; la sera, alla quale anelavo, è diventata per me uno spavento. Si prepara la mensa, vegliano le guardie, si mangia, si beve. In piedi, o capi! ungete lo scudo! Poiché così mi ha parlato il Signore: “Va’, metti una sentinella; che essa annunci quanto vedrà!”. Vide dei carri, dei cavalieri a due a due, delle truppe che cavalcavano asini, delle truppe che cavalcavano cammelli; e quella osservava, osservava attentamente. Poi gridò come un leone: “O Signore, di giorno io sto sempre sulla torre di vedetta, e tutte le notti sono in piedi al mio posto di guardia. Ed ecco venire dei carri, dei cavalieri a due a due”. Ed essa riprese a dire: “Caduta, caduta è Babilonia! e tutte le immagini scolpite dei suoi dèi giacciono frantumate al suolo”. Popolo mio, che sei trebbiato come il grano della mia aia, ciò che ho udito dall’Eterno degli eserciti, dall’Iddio d’Israele, io te l’ho annunciato! Profezia contro Duma. Mi si grida da Seir: “Sentinella, a che punto è la notte? Sentinella, a che punto è la notte?”. La sentinella risponde: “Viene la mattina, e viene anche la notte. Se volete interrogare, interrogate pure; tornate un’altra volta”. Profezia contro l’Arabia. Passerete la notte nelle foreste, in Arabia, o carovane dei Dedaniti! Venite incontro all’assetato con dell’acqua, o abitanti del paese di Tema; portate del pane ai fuggiaschi. Poiché essi fuggono davanti alle spade, davanti alla spada sguainata, davanti all’arco teso, davanti al furore della battaglia. Poiché così mi ha parlato il Signore: “Fra un anno, contato come quello di un operaio, tutta la gloria di Chedar sarà venuta meno; e ciò che resterà del numero dei valorosi arcieri di Chedar sarà poca cosa; poiché l’Eterno, l’Iddio d’Israele, lo ha detto”. Profezia contro la Valle della Visione. Che hai tu dunque che sei tutta quanta salita sui tetti, o città piena di clamori, città di tumulti, città gaudente? I tuoi uccisi non sono uccisi di spada né morti in battaglia. Tutti i tuoi capi fuggono assieme, sono fatti prigionieri senza che l’arco sia stato tirato; tutti quelli dei tuoi che sono trovati sono fatti prigionieri, benché fuggiti lontano. Perciò dico: “Distogliete da me lo sguardo, io voglio piangere amaramente; non insistete a volermi consolare del disastro della figlia del mio popolo!”. Poiché è un giorno di tumulto, di calpestio, di perplessità, il giorno del Signore, dell’Eterno degli eserciti, nella Valle della Visione. Si abbattono le mura, il grido di angoscia giunge fino ai monti. Elam porta la faretra con delle truppe sui carri, e dei cavalieri; Chir sfodera lo scudo. Le tue più belle valli sono piene di carri e i cavalieri prendono posizione davanti alle tue porte. Il velo è strappato a Giuda; in quel giorno, ecco che volgete lo sguardo all’arsenale del palazzo della Foresta; osservate come sono numerose le brecce della città di Davide e raccogliete le acque del serbatoio di sotto; contate le case di Gerusalemme e demolite le case per fortificare le mura; fate un bacino fra le due mura per le acque del serbatoio antico, ma non volgete lo sguardo a colui che ha fatto queste cose e non vedete colui che da lungo tempo le ha preparate. Il Signore, l’Eterno degli eserciti, in questo giorno vi chiama a piangere, a fare lamento, a radervi il capo, a indossare il sacco, ed ecco che tutto è gioia, tutto è festa! Si ammazzano buoi, si sgozzano pecore, si mangia carne, si beve vino. “Mangiamo e beviamo poiché domani moriremo!”. Ma l’Eterno degli eserciti me lo ha rivelato chiaramente: “No, questa iniquità non la potrete espiare che con la vostra morte”, dice il Signore, l’Iddio degli eserciti. Così parla il Signore, l’Eterno degli eserciti: “Va’ a trovare questo cortigiano, Scebna, prefetto del palazzo, e digli: ‘Che cosa hai tu qui, e chi hai tu qui, che ti sei fatto scavare qui un sepolcro? Scavarsi un sepolcro in alto!… Lavorarsi una dimora nella roccia!… Ecco, l’Eterno ti lancerà via con braccio vigoroso, farà di te un gomitolo, ti farà rotolare, rotolare, come una palla sopra una pianura spaziosa. Là morirai, là finiranno i tuoi carri superbi, o vergogna della casa del tuo Signore! Io ti scaccerò dal tuo ufficio e sarai buttato giù dal tuo posto! In quel giorno, io chiamerò il mio servo Eliachim, figlio di Chilchia; lo vestirò della tua tunica, lo cingerò con la tua cintura, rimetterò la tua autorità nelle sue mani; egli sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per la casa di Giuda. Metterò sulla sua spalla la chiave della casa di Davide: egli aprirà e nessuno chiuderà; egli chiuderà e nessuno aprirà. Lo pianterò come un chiodo in un luogo solido e diventerà un trono di gloria per la casa di suo padre. A lui sarà sospesa tutta la gloria della casa di suo padre, i suoi rampolli nobili e ignobili, tutti i vasi più piccoli, dalle coppe alle bottiglie’”. “In quel giorno”, dice l’Eterno degli eserciti, “il chiodo piantato in luogo solido sarà tolto, sarà strappato, cadrà; e tutto ciò che vi era appeso sarà distrutto”, poiché l’Eterno lo ha detto. Profezia contro Tiro. Urlate, o navi di Tarsis! Essa infatti è distrutta; non ci sono più case! non c’è più nessuno che entri in essa! Dalla terra di Chittim è giunta loro la notizia. Siate stupefatti, o abitanti della costa, che i mercanti di Sidone, passando il mare, affollavano! Attraverso le grandi acque, il grano del Nilo, il raccolto del fiume, erano la sua entrata; essa era il mercato delle nazioni. Vergognati, o Sidone! Poiché così parla il mare, la fortezza del mare: “Io non sono stata in doglie e non ho partorito, non ho nutrito dei giovani, non ho allevato delle vergini”. Quando la notizia giungerà in Egitto, tutti saranno addolorati a sentire le notizie di Tiro. Passate a Tarsis, urlate, o abitanti della costa! È questa la vostra città sempre gaia, la cui origine risale ai giorni antichi? I suoi piedi la portavano in terre lontane a soggiornarvi. Chi mai ha decretato questo contro Tiro, la dispensatrice di corone, i cui mercanti erano principi, i cui negozianti erano dei nobili della terra? Lo ha decretato l’Eterno degli eserciti, per offuscare l’orgoglio di ogni splendore, per avvilire tutti i grandi della terra. Percorri liberamente il tuo paese, come fa il Nilo, figlia di Tarsis! Non c’è più giogo! L’Eterno ha steso la sua mano sul mare, ha fatto tremare i regni, ha ordinato riguardo a Canaan che siano distrutte le sue fortezze e ha detto: “Tu non continuerai più a rallegrarti, o figlia di Sidone, vergine disonorata!”. Àlzati, passa nel paese di Chittim! Neppure lì troverai riposo. Ecco il paese dei Caldei, di questo popolo che già non esisteva, il paese che l’Assiro assegnò a questi abitanti del deserto. Essi innalzano le loro torri di assedio, distruggono i palazzi di Tiro, ne fanno un monte di rovine. Urlate, o navi di Tarsis, perché la vostra fortezza è distrutta. In quel giorno, Tiro cadrà nell’oblio per settant’anni, per la durata della vita di un re. Dopo settant’anni, avverrà di Tiro ciò che dice la canzone della prostituta: “Prendi la cetra, va’ attorno per la città, o prostituta dimenticata; suona bene, moltiplica i canti, perché qualcuno si ricordi di te”. E dopo settant’anni, l’Eterno visiterà Tiro, ed essa tornerà ai suoi guadagni, si prostituirà con tutti i regni del mondo sulla faccia della terra. Ma i suoi guadagni e i suoi salari impuri saranno consacrati all’Eterno; non saranno accumulati, né riposti, poiché i suoi guadagni andranno a quelli che stanno alla presenza dell’Eterno, perché mangino, si sazino, e si vestano di abiti sontuosi. Ecco, l’Eterno svuota la terra e la rende deserta; ne sconvolge la faccia e ne disperde gli abitanti. Al sacerdote avverrà lo stesso che al popolo, al padrone lo stesso che al suo servo, alla padrona lo stesso che alla serva, a chi vende lo stesso che a chi compra, a chi presta lo stesso che a chi prende in prestito, al creditore lo stesso che al debitore. La terra sarà del tutto svuotata, sarà del tutto abbandonata al saccheggio, poiché l’Eterno ha pronunciato questa parola. La terra è in lutto, è spossata, il mondo langue, è spossato, gli altolocati fra il popolo della terra languono. La terra è profanata dai suoi abitanti, perché essi hanno trasgredito le leggi, hanno violato il comandamento, hanno infranto il patto eterno. Perciò una maledizione ha divorato la terra e i suoi abitanti ne portano la pena; gli abitanti della terra sono consumati e poca è la gente che ne è rimasta. Il mosto è in lutto, la vigna langue, tutti quelli che avevano la gioia nel cuore sospirano. L’allegria dei tamburelli è cessata, il chiasso dei festanti è finito, il suono allegro dell’arpa è cessato. Non si beve più vino in mezzo ai canti, la bevanda alcolica è amara per i bevitori. La città deserta è in rovina; ogni casa è serrata, non vi entra più nessuno. Per le strade si odono lamenti, perché non c’è vino; ogni gioia è tramontata, l’allegrezza è scomparsa dalla terra. Nella città non resta che la desolazione e la porta sfondata cade in rovina. Poiché avviene in mezzo alla terra, fra i popoli, quello che avviene quando si scuotono gli ulivi, quando si racimola dopo la vendemmia. I superstiti alzano la voce, mandano grida di gioia, acclamano dal mare la maestà dell’Eterno: “Glorificate dunque l’Eterno nelle regioni dell’aurora, glorificate il nome dell’Eterno, l’Iddio d’Israele, nelle isole del mare!”. Dall’estremità della terra udiamo cantare: “Gloria al giusto!”. Ma io dico: “Ahimè! Ahimè! Guai a me!”. I perfidi agiscono perfidamente, sì, i perfidi raddoppiano la perfidia. Spavento, fossa, laccio ti sovrastano, o abitante della terra! E avverrà che chi fuggirà davanti alle grida di spavento cadrà nella fossa; chi risalirà dalla fossa resterà preso nel laccio. Poiché si apriranno dall’alto le cateratte, e le fondamenta della terra tremeranno. La terra si schianterà tutta; la terra si screpolerà interamente, la terra tremerà, traballerà. La terra barcollerà come un ubriaco, vacillerà come una capanna. Il suo peccato grava su lei; essa cade e non si rialzerà mai più. In quel giorno, l’Eterno punirà nei luoghi eccelsi l’esercito di lassù e, giù sulla terra, i re della terra; saranno riuniti assieme, come si fa con i prigionieri nel carcere sottoterra; saranno rinchiusi nella prigione, e dopo molti giorni saranno puniti. La luna sarà coperta di rossore, e il sole di vergogna; poiché l’Eterno degli eserciti regnerà sul monte Sion e in Gerusalemme, splendente di gloria alla presenza dei suoi anziani. O Eterno, tu sei il mio Dio; io ti esalterò, celebrerò il tuo nome, perché hai fatto cose meravigliose; i tuoi disegni, concepiti da tempo, sono fedeli e stabili. Poiché tu hai ridotto la città in un mucchio di pietre, la città forte in un monte di rovine; il castello degli stranieri non è più una città, non sarà mai più ricostruito. Perciò il popolo forte ti glorifica, le città delle nazioni potenti ti temono, poiché tu sei stato una fortezza per il povero, una fortezza per il misero nella sua avversità, un rifugio contro la tempesta, un’ombra contro l’arsura; poiché il soffio dei tiranni era come una tempesta che batte la muraglia. Come il calore è domato in una terra arida, così tu hai domato il tumulto degli stranieri; come il calore è ridotto dall’ombra di una nuvola, così il canto dei tiranni è stato abbassato. L’Eterno degli eserciti preparerà per tutti i popoli su questo monte un banchetto di cibi succulenti, un banchetto di vini vecchi, di cibi succulenti, pieni di midollo, di vini vecchi, raffinati. Distruggerà su quel monte il velo che copre la faccia di tutti i popoli, e la coperta stesa su tutte le nazioni. Annienterà per sempre la morte; il Signore, l’Eterno, asciugherà le lacrime da ogni viso, toglierà via da tutta la terra la vergogna del suo popolo, perché l’Eterno ha parlato. In quel giorno, si dirà: “Ecco, questo è il nostro Dio: in lui abbiamo sperato, ed egli ci ha salvati. Questo è l’Eterno in cui abbiamo sperato; esultiamo, rallegriamoci per la sua salvezza!”. Poiché la mano dell’Eterno riposerà su questo monte, mentre Moab sarà trebbiato sulla sua terra come si pigia la paglia nel letamaio. Dal letamaio egli stenderà le mani come le stende il nuotatore per nuotare, ma l’Eterno farà cadere la sua superbia insieme alle trame che ha ordito. Demolirà l’alta fortezza delle tue mura, la abbatterà, la atterrerà fino alla polvere. In quel giorno, si canterà questo cantico nel paese di Giuda: “Noi abbiamo una città forte; l’Eterno vi pone la salvezza con mura e bastioni. Aprite le porte ed entri la nazione giusta, che si mantiene fedele”. A colui che è fermo nei suoi sentimenti tu conservi la pace, la pace, perché in te confida. Confidate per sempre nell’Eterno, poiché l’Eterno, sì l’Eterno, è la roccia dei secoli. Egli ha umiliato quelli che stavano in alto; egli ha abbassato la città elevata, l’ha abbassata fino a terra, l’ha stesa nella polvere; i piedi la calpestano, i piedi dell’oppresso, vi passano sopra i poveri. La via del giusto è diritta; tu rendi perfettamente piano il sentiero del giusto. Sulla via dei tuoi giudizi, o Eterno, noi ti abbiamo aspettato! Al tuo nome, al tuo ricordo anela la nostra anima. Con la mia anima ti desidero durante la notte; con lo spirito che è dentro di me ti cerco; poiché, quando i tuoi giudizi si compiono sulla terra, gli abitanti del mondo imparano la giustizia. Se si fa grazia all’empio, egli non impara la giustizia; agisce da perverso nel paese della rettitudine e non considera la maestà dell’Eterno. O Eterno, la tua mano è alzata, ma quelli non la scorgono! Essi vedranno lo zelo che hai per il tuo popolo, e saranno confusi; il fuoco divorerà i tuoi nemici. O Eterno, tu ci darai la pace, poiché ogni nostra opera tu la compi per noi. O Eterno, Dio nostro, altri signori, fuori di te, hanno dominato su di noi; ma, grazie a te solo, noi possiamo celebrare il tuo nome. Quelli sono morti e non rivivranno più; sono ombre e non risorgeranno più; tu li hai così puniti, li hai distrutti, ne hai fatto perire ogni ricordo. Tu hai aumentato la nazione, o Eterno! hai aumentato la nazione, ti sei glorificato, hai allargato tutti i confini del paese. O Eterno, essi nell’avversità ti hanno cercato; si sono effusi in umile preghiera quando il tuo castigo li colpiva. Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida durante le sue doglie, così siamo stati noi davanti a te, o Eterno. Abbiamo concepito, siamo stati in doglie e, quando abbiamo partorito, era vento; non abbiamo portato nessuna salvezza al paese, e non sono nati degli abitanti del mondo. Rivivano i tuoi morti! risorgano i miei cadaveri! Svegliatevi e gioite, o voi che abitate nella polvere! Poiché la tua rugiada è come la rugiada dell’aurora e la terra ridarà vita ai morti. Va’, o popolo mio, entra nelle tue camere, chiudi le tue porte dietro di te; nasconditi per un istante, finché sia passata l’indignazione. Poiché, ecco, l’Eterno esce dalla sua dimora per punire l’iniquità degli abitanti della terra; e la terra metterà allo scoperto il sangue che ha bevuto e non terrà più coperti gli uccisi. In quel giorno, l’Eterno punirà con la sua spada dura, grande e forte, il leviatano, l’agile serpente, il leviatano, il serpente tortuoso e ucciderà il mostro che è nel mare! In quel giorno cantate la vigna dal vino vermiglio! Io, l’Eterno, ne sono il guardiano, io la irrigo ogni istante; la custodisco notte e giorno, affinché nessuno la danneggi. Nessuna ira è in me. Ah! se dovessi combattere contro rovi e pruni, io mi muoverei contro di loro e li brucerei tutti assieme! A meno che non mi si prenda per rifugio, che non si faccia la pace con me, che non si faccia la pace con me. In futuro, Giacobbe metterà radice, Israele fiorirà e germoglierà, e copriranno di frutta la faccia della terra. L’Eterno ha forse colpito il suo popolo come ha colpito quelli che colpivano lui? Lo ha forse ucciso come ha ucciso quelli che uccidevano lui? Tu lo hai punito con misura, mandandolo lontano, portandolo via con il tuo soffio impetuoso, in un giorno di vento orientale. In questo modo è stata espiata l’iniquità di Giacobbe, e questo è il frutto della rimozione del suo peccato: egli ha ridotto tutte le pietre degli altari come pietre di calce frantumate, in modo che gli idoli di Astarte e le colonne solari non risorgeranno più. La città fortificata è una solitudine, una casa disabitata, abbandonata come il deserto; vi pascoleranno i vitelli, vi giaceranno e ne divoreranno gli arbusti. Quando i rami saranno secchi, saranno spezzati e verranno le donne a bruciarli; poiché è un popolo senza intelligenza, perciò colui che lo ha fatto non ne avrà compassione. Colui che lo ha formato non gli farà grazia. In quel giorno, l’Eterno scuoterà i suoi frutti, dal corso del fiume al torrente d’Egitto; voi sarete raccolti a uno a uno, o figli d’Israele. E in quel giorno suonerà una grande tromba; e quelli che erano perduti nel paese di Assiria, e quelli che erano dispersi nel paese d’Egitto verranno e si prostreranno davanti all’Eterno, sul monte santo, a Gerusalemme. Guai alla superba corona degli ubriachi di Efraim, e al fiore che appassisce, splendido ornamento che sta sul capo della grassa valle degli storditi dal vino! Ecco venire, da parte del Signore, un uomo forte, potente, come una tempesta di grandine, un uragano distruttore, come una piena di grandi acque che straripano; egli getta quella corona a terra con violenza. La superba corona degli ubriachi di Efraim sarà calpestata; il fiore che appassisce, lo splendido ornamento che sta sul capo della grassa valle, sarà come un fico primaticcio prima dell’estate: appena uno lo vede, lo prende in mano e lo divora. In quel giorno, l’Eterno degli eserciti sarà una splendida corona, un diadema di onore per il resto del suo popolo, uno spirito di giustizia per colui che siede come giudice, la forza di quelli che respingono il nemico fino alle sue porte. Ma anche questi barcollano per il vino e vacillano per le bevande inebrianti; il sacerdote e il profeta barcollano per le bevande inebrianti; affogano nel vino, vacillano per le bevande inebrianti, hanno errato nella visione e tentennano rendendo giustizia. Tutte le tavole sono piene di vomito, di lordure, non c’è più un posto pulito. “A chi vuole dare insegnamenti? A chi vuole fare capire la lezione? A dei bambini appena svezzati, staccati dal seno? Poiché è un continuo dare precetto dopo precetto, precetto dopo precetto, regola dopo regola, regola dopo regola, un poco qui, un poco là!”. Ebbene, sarà mediante labbra balbuzienti e mediante una lingua barbara che l’Eterno parlerà a questo popolo. Egli aveva detto loro: “Ecco il riposo: lasciare riposare lo stanco; questo è il refrigerio!”. Ma quelli non hanno voluto ascoltare. La parola dell’Eterno è stata per loro precetto dopo precetto, precetto dopo precetto, regola dopo regola, regola dopo regola, un poco qui, un poco là, affinché essi andassero a cadere a rovescio, fossero fiaccati, còlti al laccio, e presi! Ascoltate dunque la parola dell’Eterno, o schernitori, che dominate questo popolo di Gerusalemme! Voi dite: “Noi abbiamo fatto alleanza con la morte, abbiamo stabilito un patto con il soggiorno dei morti; quando l’inondante flagello passerà, non giungerà fino a noi, perché abbiamo fatto della menzogna il nostro rifugio e ci siamo messi al sicuro dietro la frode”. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: “Ecco, io ho posto come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido; chi confiderà in essa non avrà fretta di fuggire. Io prenderò il diritto come livella e la giustizia come piombino; la grandine spazzerà via il rifugio di menzogna e le acque inonderanno il vostro riparo. La vostra alleanza con la morte sarà annullata, e il vostro patto con il soggiorno dei morti non reggerà; quando l’inondante flagello passerà voi sarete calpestati da esso. Ogni volta che passerà, vi afferrerà: poiché passerà mattina dopo mattina, di giorno e di notte; sarà spaventoso imparare una tale lezione! Poiché il letto sarà troppo corto per sdraiarsi e la coperta troppo stretta per avvolgersi. Poiché l’Eterno sorgerà come al monte Perazim, si adirerà come nella valle di Gabaon, per fare la sua opera, la sua opera singolare, per compiere il suo lavoro, lavoro inaudito”. Ora dunque, non fate gli schernitori, affinché le vostre catene non debbano fortificarsi! Poiché io ho udito, da parte del Signore, dell’Eterno degli eserciti, che è deciso uno sterminio completo di tutto il paese. Porgete orecchio, e date ascolto alla mia voce! State attenti, e ascoltate la mia parola! L’agricoltore ara sempre per seminare? Rompe ed erpica sempre la sua terra? Quando ne ha appianata la superficie, non vi semina l’aneto, non vi sparge il comino, non vi mette il frumento a solchi, l’orzo nel luogo designato e il farro entro i limiti a esso assegnati? Il suo Dio gli insegna la regola da seguire e lo ammaestra. L’aneto non si trebbia con la trebbia, né si fa passare sul comino la ruota del carro; ma l’aneto si batte con il bastone e il comino con la verga. Il grano si trebbia; tuttavia, non lo si trebbia sempre; vi si fanno passare sopra la ruota del carro e i cavalli, ma non si schiaccia. Anche questo procede dall’Eterno degli eserciti; egli si mostra mirabile nei suoi disegni, grande nella sua sapienza. Guai ad Ariel, ad Ariel, città dove si accampò Davide! Aggiungete anno ad anno, compiano le feste il loro ciclo! Poi stringerò Ariel da vicino; ci saranno lamenti e gemiti, e lei sarà per me come un Ariel. Io porrò il mio campo intorno a te come un cerchio, io ti circonderò di fortificazioni, eleverò contro di te opere di assedio. Sarai abbassata, parlerai da terra, e la tua parola uscirà sommessamente dalla polvere; la tua voce salirà dal suolo come quella di uno spettro, e la tua parola sorgerà dalla polvere come un bisbiglio. Ma la moltitudine dei tuoi nemici diventerà come polvere minuta, e la folla di quei terribili come pula che vola; e ciò avverrà a un tratto, in un attimo. Sarai visitata dell’Eterno degli eserciti con tuoni, terremoti e grandi rumori, con turbine, tempesta, con fiamma di fuoco divorante. La folla di tutte le nazioni che marciano contro Ariel, di tutti quelli che attaccano lei e la sua cittadella e la stringono da vicino, sarà come un sogno, come una visione notturna. Avverrà come un affamato che sogna di mangiare, poi si sveglia e ha lo stomaco vuoto, o come uno che ha sete e sogna di bere, poi si sveglia ed eccolo stanco e assetato, così sarà della folla per tutte le nazioni che marciano contro il monte Sion. Stupitevi pure… sarete stupiti! Chiudete pure gli occhi… diventerete ciechi! Costoro sono ubriachi, ma non di vino; barcollano, ma non per le bevande alcoliche. È l’Eterno che ha sparso su di voi uno spirito di torpore; ha chiuso i vostri occhi, i profeti, ha velato i vostri capi, i veggenti. Tutte le visioni profetiche sono diventate per voi come le parole di uno scritto sigillato che si desse a uno che sa leggere, dicendogli: “Ti prego, leggi questo!”, egli risponderebbe: “Non posso perché è sigillato!”. Oppure come uno scritto che si desse a uno che non sa leggere, dicendogli: “Ti prego leggi questo!”, egli risponderebbe: “Non so leggere”. Il Signore ha detto: “Poiché questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il timore che ha di me non è altro che un comandamento imparato dagli uomini, ecco che io continuerò a fare tra questo popolo delle meraviglie, meraviglie su meraviglie; la saggezza dei suoi saggi svanirà e l’intelligenza dei suoi intelligenti si nasconderà”. Guai a quelli che si ritirano lontano dall’Eterno in luoghi profondi per nascondere i loro disegni, che fanno le loro opere nelle tenebre e dicono: “Chi ci vede? chi ci conosce?”. Che perversità è la vostra! Il vasaio sarà considerato al pari dell’argilla al punto che l’opera dica dell’operaio: “Egli non mi ha fatto?”. Al punto che il vaso dica del vasaio: “Non ci capisce nulla?”. Ancora un brevissimo tempo e il Libano sarà trasformato in un frutteto, e il frutteto sarà considerato come una foresta. In quel giorno i sordi udranno le parole del libro e, liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno; gli umili avranno abbondanza di gioia nell’Eterno e i più poveri fra gli uomini esulteranno nel Santo d’Israele. Poiché il violento sarà scomparso, il beffardo non ci sarà più e saranno distrutti tutti quelli che vegliano per commettere iniquità, che condannano un uomo per una parola, che tendono tranelli a chi difende le cause alla porta, e violano il diritto del giusto per un nulla. Perciò così dice l’Eterno alla casa di Giacobbe, l’Eterno che riscattò Abraamo: “Giacobbe non avrà più da vergognarsi e il suo volto non impallidirà più. Poiché quando i suoi figli vedranno in mezzo a loro l’opera delle mie mani, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno grandemente l’Iddio d’Israele; i traviati di spirito impareranno la saggezza e i mormoratori accetteranno l’istruzione”. “Guai ai figli ribelli”, dice l’Eterno, “che formano dei disegni, ma senza di me, che contraggono alleanze, ma senza il mio Spirito, per accumulare peccato su peccato; che vanno giù in Egitto senza aver consultato la mia bocca, per rifugiarsi sotto la protezione del Faraone e cercare riparo all’ombra dell’Egitto! Ma la protezione del Faraone vi tornerà a confusione, e il riparo all’ombra dell’Egitto a vergogna. I prìncipi di Giuda sono già a Soan, e i suoi ambasciatori sono già arrivati ad Anes; ma tutti saranno delusi di un popolo che non giova loro nulla, che non porta né aiuto né vantaggio, ma è la loro infamia e la loro vergogna. È pronto il carico delle bestie per il mezzogiorno; attraverso un paese di avversità e di angoscia, da cui vengono la leonessa e il leone, la vipera e il drago volante, essi portano le loro ricchezze sul dorso degli asinelli e i loro tesori sulla gobba dei cammelli, a un popolo che non gioverà loro nulla. Poiché il soccorso dell’Egitto è un soffio, una vanità; per questo io chiamo quel paese: ‘Gran rumore per nulla’. Ora vieni e traccia queste cose in loro presenza sopra una tavola, e scrivile in un libro, perché rimangano per i giorni futuri, per sempre, in eterno. Poiché questo è un popolo ribelle, sono dei figli bugiardi, dei figli che non vogliono ascoltare la legge dell’Eterno, che dicono ai veggenti: ‘Non vedete!’ e a quelli che hanno delle visioni: ‘Non ci annunciate visioni di cose vere! Diteci delle cose piacevoli, profetizzateci delle illusioni! Uscite fuori di strada, abbandonate il sentiero retto, toglieteci davanti agli occhi il Santo d’Israele!’”. Perciò così dice il Santo d’Israele: “Poiché voi disprezzate questa parola e confidate nell’oppressione e nelle vie oblique, e ne fate il vostro appoggio, questa iniquità sarà per voi come una breccia che minaccia rovina, che sporge su un alto muro, il cui crollo avviene a un tratto, in un istante, e che si spezza come si spezza un vaso del vasaio che uno frantuma senza pietà, e tra i rottami del quale non si trova frammento che serva a prendere del fuoco dal focolare o ad attingere dell’acqua dalla cisterna”. Poiché così aveva detto il Signore, l’Eterno, il Santo d’Israele: “Nel tornare a me e nello stare in riposo sarà la vostra salvezza; nella calma e nella fiducia sarà la vostra forza”. Ma voi non lo avete voluto! Avete detto: “No, noi galopperemo sui nostri cavalli!”. E per questo galopperete! E: “Cavalcheremo su veloci destrieri!”. E per questo quelli che vi inseguiranno saranno veloci! Mille di voi fuggiranno alla minaccia di uno solo; alla minaccia di cinque vi darete alla fuga, finché rimaniate come un palo in cima a un monte, come uno stendardo sopra un colle. Perciò l’Eterno aspetterà per farvi grazia, poi sorgerà per avere compassione di voi; poiché l’Eterno è un Dio di giustizia. Beati tutti quelli che sperano in lui! Popolo di Sion che abiti a Gerusalemme, tu non piangerai più! Egli, certo, ti farà grazia, all’udire il tuo grido; appena ti avrà udito, ti risponderà. Il Signore vi darà, sì del pane di angoscia e dell’acqua di oppressione, ma quelli che ti ammaestrano non dovranno più nascondersi; e i tuoi occhi vedranno chi ti ammaestra; e quando andrete a destra o quando andrete a sinistra, le tue orecchie udranno dietro a te una voce che dirà: “Questa è la via; camminate per essa!”. Considererete come cose contaminate le vostre immagini scolpite, ricoperte di argento, e le vostre immagini fuse rivestite d’oro; le getterete via come una cosa impura, “Fuori di qui!”, direte loro. Egli ti darà la pioggia per la semenza con cui avrai seminato il suolo, e il pane, che il suolo produrrà saporito e abbondante; in quel giorno il tuo bestiame pascolerà in vasti pascoli; i buoi e gli asini che lavorano la terra mangeranno foraggi salati, ventilati con la pala e il ventilabro. Sopra ogni alto monte e sopra ogni colle elevato vi saranno ruscelli, acque correnti, nel giorno del grande massacro, quando cadranno le torri. La luce della luna sarà come la luce del sole, e la luce del sole sarà sette volte più viva, come la luce di sette giorni assieme, nel giorno che l’Eterno fascerà la ferita del suo popolo e guarirà la piaga da lui fatta con le sue percosse. Ecco, il nome dell’Eterno viene da lontano; la sua ira è ardente, grande è il suo furore; le sue labbra sono piene di indignazione, la sua lingua è come un fuoco divorante; il suo fiato è come un torrente che straripa, che arriva fino al collo. Egli viene a vagliare le nazioni con il vaglio della distruzione e a mettere, tra le mascelle dei popoli, un morso che li faccia fuorviare. Allora intonerete dei canti, come la notte quando si celebra una festa; e avrete la gioia nel cuore, come chi cammina al suono del flauto per andare al monte dell’Eterno, alla Rocca d’Israele. L’Eterno farà udire la sua voce maestosa e mostrerà come colpisce con il suo braccio nel furore della sua ira, tra le fiamme di un fuoco divorante, in mezzo alla tempesta, a un diluvio di pioggia e a una grandine di pietre. Poiché, alla voce dell’Eterno, l’Assiro sarà costernato; l’Eterno lo colpirà con il suo bastone; e ogni passaggio del flagello destinatogli, che l’Eterno gli farà piombare addosso, sarà accompagnato dal suono di tamburelli e di cetre; l’Eterno combatterà contro di lui con braccio minaccioso. Poiché da lungo tempo Tofet è preparato, è pronto anche per il re; è profondo e ampio; sul suo rogo c’è del fuoco e legna in abbondanza; il soffio dell’Eterno, come un torrente di zolfo, sta per accenderlo. Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di soccorso e hanno fiducia nei cavalli, che confidano nei carri perché sono numerosi, e nei cavalieri perché molto potenti, ma non guardano al Santo d’Israele e non cercano l’Eterno! Eppure, anch’egli è saggio; fa venire il male e non revoca le sue parole, ma insorge contro la casa dei malvagi e contro il soccorso degli artefici di iniquità. Gli Egiziani sono uomini, e non Dio; i loro cavalli sono carne e non spirito; quando l’Eterno stenderà la sua mano il protettore inciamperà, cadrà il protetto e periranno tutti assieme. Poiché così mi ha detto l’Eterno: “Come il leone o il leoncello ruggisce sulla sua preda, e benché una folla di pastori gli sia raccolta contro, non si spaventa alla loro voce, né si lascia intimidire dallo strepito che fanno, così scenderà l’Eterno degli eserciti a combattere sul monte Sion e sul suo colle. Come gli uccelli spiegano le ali sulla loro nidiata, così l’Eterno degli eserciti proteggerà Gerusalemme; la proteggerà, la libererà, la risparmierà, la farà scampare”. Tornate a colui dal quale vi siete così profondamente allontanati, o figli di Israele! Poiché, in quel giorno, ognuno getterà via i suoi idoli d’argento e i suoi idoli d’oro, che le vostre mani hanno fatto per peccare. “Allora l’Assiro cadrà per una spada non di uomo, e una spada, che non è di uomo, lo divorerà; egli fuggirà davanti alla spada e i suoi giovani saranno ridotti in schiavitù. La sua rocca fuggirà spaventata e i suoi principi saranno atterriti davanti alla bandiera”, dice l’Eterno che ha il suo fuoco in Sion e la sua fornace in Gerusalemme. Ecco, un re regnerà secondo giustizia e i principi governeranno con equità. Un uomo sarà come un riparo dal vento, come un rifugio contro l’uragano, come dei corsi di acqua in luogo arido, come l’ombra di una grande roccia in una terra che langue. Gli occhi di quelli che vedono non saranno più accecati e gli orecchi di quelli che odono staranno attenti. Il cuore degli sconsiderati capirà la saggezza, e la lingua dei balbuzienti parlerà spedita e distinta. Lo scellerato non sarà più chiamato nobile e l’impostore non sarà più chiamato magnanimo. Poiché lo scellerato proferisce scelleratezze e il suo cuore si dà all’iniquità per commettere cose empie e dire cose malvagie contro l’Eterno; per lasciare vuoto lo stomaco di chi ha fame e far mancare la bevanda a chi ha sete. Le armi dell’impostore sono malvagie; egli forma disegni criminosi per distruggere il misero con parole bugiarde e il bisognoso quando afferma il giusto. Ma l’uomo nobile forma nobili disegni, e si impegna per cose nobili. O donne spensierate, alzatevi, e ascoltate la mia voce! O figlie troppo fiduciose, porgete orecchio alla mia parola! Fra un anno e qualche giorno voi tremerete, o donne troppo fiduciose, poiché la vendemmia è passata, e non si farà raccolta. Abbiate spavento, o donne spensierate! tremate, o troppo fiduciose! Spogliatevi, denudatevi, mettetevi il cilicio ai fianchi, picchiandovi il seno a causa dei campi una volta così belli, e delle vigne una volta così feconde. Sulla terra del mio popolo cresceranno pruni e rovi; sì, su tutte le case di piacere della città gaia. Poiché il palazzo sarà abbandonato, la città rumorosa sarà resa deserta, la collina e la torre saranno per sempre ridotte in caverne, in luogo di spasso per gli onagri e di pascolo per le greggi, finché su di noi sia sparso lo Spirito dall’alto e il deserto divenga un frutteto, e il frutteto sia considerato come una foresta. Allora la rettitudine abiterà nel deserto e la giustizia avrà la sua dimora nel frutteto. Il frutto della giustizia sarà la pace e l’effetto della giustizia, tranquillità e sicurezza per sempre. Il mio popolo abiterà in un soggiorno di pace, in dimore sicure, in quieti luoghi di riposo. Ma la foresta cadrà sotto la grandine, e la città sarà profondamente abbassata. Beati voi che seminate in riva a tutte le acque e che lasciate andare libero il piede del bue e dell’asino! Guai a te che devasti e non sei stato devastato! che sei perfido, e non ti è stata usata perfidia! Quando avrai finito di devastare sarai devastato; quando avrai finito di essere perfido, ti sarà usata perfidia. O Eterno, abbi pietà di noi! Noi speriamo in te. Sii tu il braccio del popolo ogni mattina, la nostra salvezza in tempo di avversità! Alla tua voce tonante fuggono i popoli, quando tu sorgi si disperdono le nazioni. Il vostro bottino sarà mietuto come miete il bruco; altri vi si precipiteranno sopra come si precipita la locusta. L’Eterno è esaltato perché abita in alto; egli riempie Sion di equità e di giustizia. I tuoi giorni saranno resi sicuri; la saggezza e la conoscenza sono una ricchezza di liberazione, il timore dell’Eterno è il tesoro di Sion. Ecco, i loro eroi gridano là fuori, i messaggeri di pace piangono amaramente. Le strade sono deserte, nessuno passa più per le vie. Il nemico ha rotto il patto, disprezza le città, non tiene in nessun conto gli uomini. Il paese è nel lutto e langue; il Libano si vergogna e intristisce; Saron è come un deserto, Basan e il Carmelo hanno perso il fogliame. “Ora sorgerò”, dice l’Eterno; “ora sarò esaltato, ora mi innalzerò. Voi avete concepito pula, e partorirete stoppia; il vostro fiato è un fuoco che vi divorerà”. I popoli saranno come fornaci da calce, come rovi tagliati, che si danno alle fiamme. “O voi che siete lontani, udite quello che ho fatto! e voi che siete vicini, riconoscete la mia potenza!”. I peccatori sono presi da spavento in Sion, un tremito si è impadronito degli empi: “Chi di noi potrà resistere al fuoco divorante? Chi di noi potrà resistere alle fiamme eterne?”. Colui che cammina per le vie della giustizia e parla rettamente; colui che disprezza i guadagni estorti, che scuote le mani per non accettare regali, che si tappa gli orecchi per non udire parlare di sangue, e chiude gli occhi per non vedere il male. Egli abiterà in luoghi elevati, le rocche fortificate saranno il suo rifugio; gli sarà dato il suo pane, gli sarà assicurata la sua acqua. I tuoi occhi ammireranno il re nella sua bellezza, contempleranno il paese che si estende lontano. Il tuo cuore mediterà sui terrori passati: “Dov’è il contabile? Dov’è colui che pesava il denaro? Dov’è colui che teneva il conto delle torri?”. Tu non lo vedrai più quel popolo feroce, quel popolo dal linguaggio oscuro che non si comprende, che balbetta una lingua che non si capisce. Contempla Sion, la città delle nostre solennità! I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, soggiorno tranquillo, tenda che non sarà mai trasportata, i cui picchetti non saranno mai divelti, il cui cordame non sarà mai strappato. Là l’Eterno sta per noi in tutta la sua maestà, in luogo di torrenti e di larghi fiumi, dove non giunge nave da remi, dove non passa potente vascello. Poiché l’Eterno è il nostro giudice, l’Eterno è il nostro legislatore, l’Eterno è il nostro re, egli è colui che ci salva. I tuoi cordami, o nemico, si sono allentati, non tengono più l’albero fermo in piedi e non spiegano più le vele. Allora si dividerà la preda di un ricco bottino; gli stessi zoppi prenderanno parte al saccheggio. Nessun abitante dirà: “Io sono malato”. Il popolo che abita Sion ha ottenuto il perdono della sua iniquità. Accostatevi nazioni, per ascoltare! e voi, popoli, state attenti! Ascolti la terra con ciò che la riempie, e il mondo con tutto ciò che produce! Poiché l’Eterno è indignato contro tutte le nazioni, è adirato contro tutti i loro eserciti; egli le vota allo sterminio, le dà in balìa alla strage. I loro uccisi sono gettati via, i loro cadaveri emanano fetore e i monti si sciolgono nel loro sangue. Tutto l’esercito del cielo si dissolve; i cieli sono arrotolati come un libro e tutto il loro esercito cade, come cade la foglia dalla vite, come cade il fogliame morto dal fico. La mia spada si è inebriata nel cielo; ecco, essa sta per piombare su Edom, sul popolo che ho votato allo sterminio, per farne giustizia. La spada dell’Eterno è piena di sangue, è coperta di grasso, di sangue di agnelli e di capri, di grasso di rognone di montoni; poiché l’Eterno fa un sacrificio a Bosra e un grande massacro nel paese di Edom. Cadono con quelli i bufali, i giovenchi e i tori; il loro suolo è inebriato di sangue, la loro polvere è impregnata di grasso. Poiché è il giorno della vendetta dell’Eterno, l’anno della retribuzione per la causa di Sion. I torrenti di Edom saranno cambiati in pece, e la sua polvere in zolfo; la sua terra diventerà pece ardente. Non si spegnerà né notte né giorno, il fumo salirà per sempre; di generazione in generazione rimarrà deserta, nessuno vi passerà mai più. Il pellicano e il porcospino ne prenderanno possesso, la civetta e il corvo vi abiteranno; l’Eterno vi stenderà la corda della desolazione, il livello del deserto. Quanto ai suoi nobili, non ce ne saranno più per proclamare un re, e tutti i suoi principi saranno ridotti a nulla. Nei suoi palazzi cresceranno le spine; nelle sue fortezze, le ortiche e i cardi; diventerà una dimora di sciacalli, un recinto per gli struzzi. Le bestie del deserto vi si incontreranno con i cani selvatici, le capre selvatiche vi chiameranno le compagne; là lo spettro notturno farà la sua abitazione e vi troverà il suo luogo di riposo. Là il serpente farà il suo nido, deporrà le sue uova, le coverà, e raccoglierà i suoi piccoli sotto di sé; là si raccoglieranno gli avvoltoi, l’uno chiamando l’altro. Cercate nel libro dell’Eterno e leggete; nessuna di quelle bestie vi mancherà; nessuna sarà privata della sua compagna; poiché la sua bocca lo ha comandato e il suo soffio li radunerà. Egli stesso ha tirato a sorte per conto loro, e la sua mano ha diviso tra loro con la corda il paese; quelli ne avranno il possesso per sempre, vi abiteranno di generazione in generazione. Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa; si coprirà di fiori e festeggerà con gioia e canti di esultanza; le sarà data la gloria del Libano, la magnificenza del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria dell’Eterno, la magnificenza del nostro Dio. Fortificate le mani infiacchite, rafforzate le ginocchia vacillanti! Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: “Siate forti, non temete!”. Ecco il vostro Dio! Verrà la vendetta, la retribuzione di Dio! Verrà egli stesso a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà di gioia; perché delle acque sgorgheranno nel deserto e dei torrenti nella solitudine; il terreno arido diventerà un lago e il suolo assetato un luogo di sorgenti d’acqua; nel riparo che accoglieva gli sciacalli ci sarà erba, canne e giunchi. Là sarà una strada maestra, una via che sarà chiamata “la Via Santa”; nessuno impuro vi passerà; essa sarà per quelli soltanto; quelli che la seguiranno, anche gli insensati, non potranno smarrirvisi. In quella via non ci saranno leoni; nessuna bestia feroce vi metterà piede o vi apparirà; ma vi cammineranno i redenti; i riscattati dall’Eterno torneranno, verranno a Sion con canti di gioia; una gioia eterna coronerà il loro capo; otterranno gioia e letizia, il dolore e il gemito fuggiranno. Nel quattordicesimo anno del re Ezechia, avvenne che Sennacherib, re di Assiria, salì contro tutte le città fortificate di Giuda e le prese. Il re di Assiria mandò Rabsaché da Lachis a Gerusalemme al re Ezechia con un grande esercito; e Rabsaché si fermò presso l’acquedotto dello stagno superiore, sulla strada del campo del lavandaio. Allora Eliachim, figlio di Chilchia, prefetto del palazzo, Scebna, il segretario, e Ioa, figlio di Asaf, l’archivista, si recarono da lui. Rabsaché disse loro: “Dite a Ezechia: ‘Così parla il grande re, il re di Assiria: Che fiducia è questa che tu hai? Io te lo dico, non sono che parole delle labbra; per la guerra ci vuole prudenza e forza; ora, in chi hai riposto la tua fiducia per ribellarti a me? Ecco, tu confidi nell’Egitto, in quel sostegno di canna rotta, che entra nella mano di chi vi si appoggia e la fora; così è Faraone, re d’Egitto, per tutti quelli che confidano in lui. E se mi dici: - Noi confidiamo nell’Eterno, nel nostro Dio -, non è forse quello stesso di cui Ezechia ha soppresso gli alti luoghi e gli altari, dicendo a Giuda e a Gerusalemme: - Vi prostrerete davanti a questo altare qui? - Ora dunque fa’ una scommessa con il mio signore, il re di Assiria: io ti darò duemila cavalli, se tu puoi fornire tanti cavalieri per cavalcarli. Come potresti tu far voltare le spalle a un solo capitano fra i minimi servi del mio signore? Ma tu confidi nell’Egitto per avere dei carri e dei cavalieri. D’altronde è forse senza il volere dell’Eterno che io sono salito contro questo paese per distruggerlo? È stato l’Eterno che mi ha detto: Sali contro questo paese e distruggilo!’”. Allora Eliachim, Scebna e Ioa dissero a Rabsaché: “Ti prego, parla ai tuoi servi in lingua aramaica, poiché noi la comprendiamo; e non ci parlare in lingua giudaica, poiché il popolo che sta sulle mura ascolta”. Ma Rabsaché rispose: “Il mio signore mi ha forse mandato a dire queste parole al tuo signore e a te? Non mi ha forse mandato a dirle a questi uomini che stanno sulle mura, e che presto saranno ridotti a mangiare i loro escrementi e a bere la loro urina con voi?”. Poi Rabsaché si alzò in piedi e gridò ad alta voce in lingua giudaica: “Ascoltate le parole del grande re, del re di Assiria! Così parla il re: ‘Ezechia non vi inganni, perché egli non vi potrà liberare; né vi faccia Ezechia riporre la vostra fiducia nell’Eterno, dicendo: L’Eterno ci libererà di certo; questa città non sarà data nelle mani del re di Assiria. Non date retta a Ezechia, perché così dice il re di Assiria: Fate la pace con me, arrendetevi, e ciascuno di voi mangerà della sua vite e del suo fico, e berrà dell’acqua della sua cisterna, finché io non venga e vi conduca in un paese simile al vostro: paese di grano e di vino, paese di pane e di vigne. Guardate che Ezechia non vi seduca, dicendo: L’Eterno ci libererà. Ha qualcuno degli dèi delle nazioni potuto liberare il suo paese dalle mani del re di Assiria? Dove sono gli dèi di Camat e di Arpad? Dove sono gli dèi di Sefarvaim? Hanno essi forse liberato Samaria dalle mie mani? Fra tutti gli dèi di quei paesi, quali sono quelli che abbiano liberato il loro paese dalle mie mani? E l’Eterno dovrebbe liberare Gerusalemme dalle mie mani?’”. E quelli tacquero e non risposero nulla, perché il re aveva dato questo ordine: “Non gli rispondete”. Ed Eliachim, figlio di Chilchia, prefetto del palazzo, Scebna, il segretario, e Ioa, figlio di Asaf, l’archivista, vennero da Ezechia con le vesti stracciate e gli riferirono le parole di Rabsaché. Quando il re Ezechia ebbe udito questo si stracciò le vesti, si coprì di un sacco ed entrò nella casa dell’Eterno. Mandò Eliachim, prefetto del palazzo, Scebna, il segretario, e i più anziani dei sacerdoti, coperti di sacchi, dal profeta Isaia, figlio di Amots, i quali gli dissero: “Così parla Ezechia: ‘Questo giorno è giorno di angoscia, di castigo e di vergogna; poiché i figli sono giunti al punto di uscire dal grembo materno, ma manca la forza per partorirli. Forse, l’Eterno, il tuo Dio, ha udito le parole di Rabsaché, che il re di Assiria, suo signore, ha mandato a oltraggiare l’Iddio vivente; e forse l’Eterno, il tuo Dio, punirà le parole che ha udito. Fa’ dunque salire a Dio una preghiera per il resto del popolo che sussiste ancora’”. I servi del re Ezechia si recarono dunque da Isaia. E Isaia disse loro: “Dite al vostro signore: ‘Così parla l’Eterno: Non temere per le parole che hai udito, con le quali i servi del re di Assiria mi hanno oltraggiato. Ecco, io stesso metterò in lui un tale spirito che, all’udire una certa notizia, egli tornerà nel suo paese; e io lo farò cadere di spada nel suo paese’”. Rabsaché ritornò, e trovò il re di Assiria che assediava Libna; poiché aveva saputo che il suo signore era partito da Lachis. Allora il re di Assiria ricevette questa notizia, concernente Tiraca, re d’Etiopia: “Egli si è messo in marcia per farti guerra”. Appena ebbe udito questo, inviò dei messaggeri a Ezechia, con questo messaggio: “Dite così a Ezechia, re di Giuda: ‘Il tuo Dio, nel quale confidi, non ti inganni dicendo: Gerusalemme non sarà data nelle mani del re di Assiria. Ecco, tu hai udito quello che i re di Assiria hanno fatto a tutti gli altri paesi, votandoli allo sterminio; e tu scamperesti? Gli dèi delle nazioni che i miei padri distrussero, gli dèi di Gozan, di Caran, di Resef, e dei figli di Eden che sono a Telassar, riuscirono forse a liberarle? Dove sono il re di Camat, il re di Arpad, il re della città di Sefarvaim e quelli di Ena e di Ivva?’”. Ezechia prese la lettera dalle mani dei messaggeri e la lesse; poi salì alla casa dell’Eterno e la spiegò davanti all’Eterno. Ed Ezechia pregò l’Eterno, dicendo: “O Eterno degli eserciti, Dio d’Israele, che siedi sopra i cherubini! Tu solo sei l’Iddio di tutti i regni della terra; tu hai fatto il cielo e la terra. O Eterno, inclina il tuo orecchio, e ascolta! O Eterno, apri i tuoi occhi, e vedi! Ascolta tutte le parole che Sennacherib ha mandato a dire per oltraggiare l’Iddio vivente! È vero, o Eterno; i re di Assiria hanno devastato tutte quelle nazioni e le loro terre, e hanno dato alle fiamme i loro dèi; perché quelli non erano dèi; ma erano opera di mano d’uomo, legno e pietra, e li hanno distrutti. Ma ora, o Eterno, o Dio nostro, liberaci dalle mani di Sennacherib, affinché tutti i regni della terra conoscano che tu solo sei l’Eterno!”. Allora Isaia, figlio di Amots, mandò a dire a Ezechia: “Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘La preghiera che tu mi hai rivolto riguardo a Sennacherib, re di Assiria, io l’ho udita; e questa è la parola che l’Eterno ha pronunciata contro di lui: La vergine, figlia di Sion, ti disprezza e si fa beffe di te; la figlia di Gerusalemme scuote la testa dietro a te. Chi hai insultato e oltraggiato? Contro chi hai alzato la voce e alzato in alto gli occhi? Contro il Santo d’Israele. Per mezzo dei tuoi servi tu hai insultato il Signore, e hai detto: ‘Con la moltitudine dei miei carri io sono salito in vetta ai monti, nei recessi del Libano; io taglierò i suoi cedri più alti, i suoi cipressi più belli; io giungerò alla sua cima più alta, alla sua foresta più magnifica. Io ho scavato e bevuto dell’acqua; con la pianta dei miei piedi prosciugherò tutti i fiumi d’Egitto’. Non hai tu udito? Già da lungo tempo io ho preparato queste cose, da tempi antichi ne ho formato il disegno. Ora le faccio accadere e tu sei là per ridurre le città forti in monti di rovine. I loro abitanti, ridotti all’impotenza, sono smarriti e confusi; sono come l’erba dei campi, come la tenera verdura, come l’erba dei tetti, come grano riarso prima che metta la spiga. Ma io so quando ti siedi, quando esci, quando entri e quando ti infuri contro di me. Poiché ti sei infuriato contro di me e, poiché la tua insolenza è giunta ai miei orecchi, io ti metterò il mio anello al naso, il mio morso in bocca e ti farò tornare per la via da dove sei venuto’. Questo, o Ezechia, sarà per te il segno: quest’anno si mangerà il frutto del grano caduto; il secondo anno, quello che cresce da sé; ma il terzo anno seminerete e mieterete, pianterete vigne e ne mangerete il frutto. E il resto della casa di Giuda che sarà scampato metterà ancora radici in basso, e porterà frutto in alto. Poiché da Gerusalemme uscirà un residuo, e dal monte di Sion usciranno degli scampati. Lo zelo dell’Eterno degli eserciti farà questo. Perciò così parla l’Eterno riguardo al re di Assiria: ‘Egli non entrerà in questa città e non vi lancerà dentro alcuna freccia; non verrà davanti a essa con scudi e non eleverà trincee contro di lei. Egli se ne tornerà per la via da dove è venuto e non entrerà in questa città’, dice l’Eterno. ‘Poiché io proteggerò questa città per salvarla, per amore di me stesso e per amore di Davide, mio servo’”. L’angelo dell’Eterno uscì e colpì, nell’accampamento degli Assiri, centottantacinquemila uomini; quando la gente si alzò la mattina, ecco che erano tanti cadaveri. Allora Sennacherib, re di Assiria, tolse l’accampamento, partì e tornò a Ninive, dove rimase. E avvenne che, mentre egli era prostrato nella casa di Nisroc, suo dio, Adrammelec e Sareser, suoi figli, lo uccisero a colpi di spada, e si rifugiarono nel paese di Ararat. Ed Esaraddon, suo figlio, regnò al suo posto. In quel tempo Ezechia si ammalò mortalmente; il profeta Isaia, figlio di Amots, andò da lui e gli disse: “Così parla l’Eterno: ‘Da’ i tuoi ordini alla tua casa, perché sei un uomo morto, e non vivrai più’”. Allora Ezechia voltò la faccia verso la parete e fece all’Eterno questa preghiera: “O Eterno, ricordati, ti prego, che io ho camminato alla tua presenza con fedeltà e con cuore integro, e che ho fatto ciò che è bene ai tuoi occhi!”. Ed Ezechia scoppiò in un gran pianto. Allora la parola dell’Eterno fu rivolta a Isaia, in questi termini: “Va’ e di’ a Ezechia: ‘Così parla l’Eterno, l’Iddio di Davide, tuo padre: Io ho udito la tua preghiera, ho visto le tue lacrime; ecco, io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni; libererò te e questa città dalle mani del re di Assiria e proteggerò questa città. E, da parte dell’Eterno, questo sarà per te il segno che l’Eterno adempirà la parola che ha pronunciato: ecco, io farò retrocedere di dieci gradini l’ombra dei gradini che, per effetto del sole, si è allungata sui gradini di Acaz’”. E il sole retrocesse di dieci gradini sui gradini dove era disceso. Scritto di Ezechia, re di Giuda, in occasione della sua malattia e della guarigione dal suo male. “Io dicevo: ‘Al culmine dei miei giorni devo andarmene alle porte del soggiorno dei morti; io sono privato del resto dei miei anni!’. Io dicevo: ‘Non vedrò più l’Eterno, l’Eterno, sulla terra dei viventi; fra gli abitanti del mondo dei trapassati, non vedrò più nessun uomo. La mia dimora è divelta e portata via lontano da me, come una tenda di pastore. Io ho arrotolato la mia vita, come fa il tessitore; egli mi taglia via dalla trama; dal giorno alla notte tu mi avrai finito. Io speravo fino al mattino… ma come un leone, egli mi spezzava tutte le ossa; dal giorno alla notte tu mi avrai finito. Io stridevo come la rondine, come la gru, io gemevo come la colomba: i miei occhi erano stanchi di guardare in alto. O Eterno, mi si fa violenza; sii tu il mio garante’. Che dirò? Egli mi ha parlato, ed egli lo ha fatto; io camminerò con umiltà durante tutti i miei anni, ricordando l’amarezza della mia anima. Signore, mediante queste cose si vive e in tutte queste cose sta la vita del mio spirito; guariscimi, dunque, e rendimi la vita. Ecco, è per la mia pace che io ho avuto grande amarezza; ma tu, nel tuo amore, hai liberato la mia anima dalla fossa della corruzione, perché ti sei gettato dietro alle spalle tutti i miei peccati. Poiché non è il soggiorno dei morti che possa lodarti, non è la morte che ti possa celebrare; quelli che scendono nella fossa non possono più sperare nella tua fedeltà. Il vivente, il vivente è colui che ti loda, come faccio io quest’oggi; il padre farà conoscere ai suoi figli la tua fedeltà. Io ho l’Eterno che mi salva! e noi canteremo cantici al suono degli strumenti a corda, tutti i giorni della nostra vita, nella casa dell’Eterno”. Isaia aveva detto: “Si prenda una quantità di fichi, se ne faccia un impiastro, e lo si applichi sull’ulcera ed egli guarirà”. Ezechia aveva detto: “A quale segno riconoscerò che io salirò alla casa dell’Eterno?”. In quel tempo Merodac-Baladan, figlio di Baladan, re di Babilonia, mandò una lettera e un dono a Ezechia, perché aveva udito che egli era stato malato ed era guarito. Ezechia se ne rallegrò e mostrò ai messaggeri la casa dove teneva i suoi oggetti di valore, l’argento, l’oro, gli aromi, gli oli preziosi, tutto il suo arsenale e tutto quello che si trovava nei suoi tesori; non ci fu nulla, nella sua casa e in tutto il suo regno, che Ezechia non mostrasse loro. Allora il profeta Isaia andò dal re Ezechia, e gli disse: “Che hanno detto quegli uomini? Da dove ti sono venuti?”, Ezechia rispose: “Sono venuti a me da un paese lontano, da Babilonia”. E Isaia gli disse: “Che hanno visto in casa tua?”, Ezechia rispose: “Hanno visto tutto quello che è in casa mia; non c’è nulla nei miei tesori che io non abbia mostrato loro”. Allora Isaia disse a Ezechia: “Ascolta la parola dell’Eterno degli eserciti: ‘Ecco, verranno dei giorni in cui tutto quello che è in casa tua e quello che i tuoi padri hanno accumulato fino a questo giorno sarà trasportato a Babilonia; e non ne rimarrà nulla’, dice l’Eterno, ‘e vi saranno dei tuoi figli usciti da te e da te generati, che saranno presi e diventeranno degli eunuchi nel palazzo del re di Babilonia’”. Ed Ezechia disse a Isaia: “La parola dell’Eterno che tu hai pronunciato, è buona”. Poi aggiunse: “Perché ci sarà almeno pace e sicurezza durante la mia vita”. “Consolate, consolate il mio popolo”, dice il vostro Dio. “Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il tempo della sua schiavitù è compiuto; che il debito della sua iniquità è pagato, che essa ha ricevuto dalla mano dell’Eterno il doppio per tutti i suoi peccati”. La voce di uno grida: “Preparate nel deserto la via dell’Eterno, appianate nei luoghi aridi una strada per il nostro Dio! Ogni valle sia colmata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; i luoghi ripidi siano livellati, i luoghi scabri diventino pianura. Allora la gloria dell’Eterno sarà rivelata, e ogni carne, allo stesso tempo, la vedrà; perché la bocca dell’Eterno lo ha detto”. Una voce dice: “Grida!”. E si risponde: “Che griderò?”. “Grida che ogni carne è come l’erba, e che tutta la sua grazia è come il fiore del campo. L’erba si secca, il fiore appassisce quando il soffio dell’Eterno vi passa sopra; certo, il popolo è come l’erba. L’erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio sussiste in eterno”. Tu che porti la buona notizia a Sion, sali sopra un alto monte! Tu che porti la buona notizia a Gerusalemme, alza forte la voce! Alzala, non temere! Di’ alle città di Giuda: “Ecco il vostro Dio!”. Ecco, il Signore, l’Eterno, viene con potenza e con il suo braccio egli domina. Ecco, il suo premio è con lui e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore, egli pascerà il suo gregge; raccoglierà gli agnelli in braccio, se li porterà sul petto e condurrà pian piano le pecore che allattano. Chi ha misurato le acque nel cavo della sua mano o preso le dimensioni del cielo con il palmo? Chi ha raccolto la polvere della terra in una misura o pesato le montagne con la stadera e i colli con la bilancia? Chi ha preso le dimensioni dello Spirito dell’Eterno o chi è stato il suo consigliere per insegnargli qualcosa? Chi ha egli consultato perché gli desse istruzione e gli insegnasse il sentiero della giustizia, gli impartisse la sapienza, e gli facesse conoscere la via del discernimento? Ecco, le nazioni sono, ai suoi occhi, come una goccia nel secchio, come la polvere minuta delle bilance; ecco, le isole sono come pulviscolo che vola. Il Libano non basterebbe a procurare il fuoco e i suoi animali non basterebbero per l’olocausto. Tutte le nazioni sono come nulla davanti a lui; egli le reputa meno che nulla, una vanità. A chi vorreste voi assomigliare Iddio? e con quale immagine lo rappresentereste? Un artista fonde l’idolo, l’orafo lo ricopre d’oro e vi salda delle catenelle d’argento. Colui che la povertà costringe a offrire poco sceglie un legno che non marcisca e si procura un abile artista che prepari un idolo che non si muova. Ma non lo sapete? Non lo avete sentito? Non vi è stato annunciato fin dal principio? Non avete riflettuto alla fondazione della terra? Egli sta seduto sulla volta della terra, e gli abitanti di essa sono per lui come cavallette; egli distende i cieli come una cortina e li spiega come una tenda per abitarvi; egli riduce i principi a nulla, e annienta i giudici della terra; appena piantati, appena seminati, appena il loro fusto ha messo radici in terra, egli vi soffia contro e quelli inaridiscono, l’uragano li porta via come stoppia. “A chi dunque mi vorreste assomigliare perché io gli sia pari?”, dice il Santo. Alzate gli occhi in alto e guardate: chi ha creato queste cose? Egli le fa uscire fuori e conta il loro esercito, le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo potere e per la potenza della sua forza, non ne manca una. Perché dici tu, Giacobbe, e perché parli così, Israele: “La mia via è occulta all’Eterno e al mio diritto non bada il mio Dio?”. Non lo sai tu? non lo hai tu udito? L’Eterno è l’Iddio dell’eternità, il creatore degli estremi confini della terra. Egli non si affatica e non si stanca; la sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco, e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i giovani scelti vacillano e cadono, ma quelli che sperano nell’Eterno acquistano nuove forze, si alzano in volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano. Isole, fate silenzio davanti a me! Riprendano nuove forze i popoli, si accostino e poi parlino! Veniamo assieme in giudizio! Chi ha suscitato dall’oriente colui che la giustizia chiama sui suoi passi? Egli dà in sua balìa le nazioni e lo fa dominare sui re; egli riduce la loro spada in polvere, e il loro arco come pula portata via dal vento. Egli li insegue e passa in trionfo per una via che i suoi piedi non hanno mai calcato. Chi ha operato, chi ha fatto questo? Colui che fin dal principio ha chiamato le generazioni alla vita; io, l’Eterno, che sono il primo, e che sarò con gli ultimi sempre lo stesso. Le isole lo vedono e sono prese da paura; le estremità della terra tremano. Essi si avvicinano, arrivano! Si aiutano a vicenda; ognuno dice a suo fratello: “Coraggio!”. Il fabbro incoraggia l’orafo; chi batte con il martello per levigare incoraggia colui che batte l’incudine, e dice della saldatura: “È buona!” e fissa l’idolo con dei chiodi, perché non si muova. “Ma tu, Israele, mio servo, Giacobbe che io ho scelto, discendenza di Abraamo, l’amico mio, tu che ho preso dalle estremità della terra, che ho chiamato dalle parti più remote di essa, a cui ho detto: ‘Tu sei il mio servo’; ti ho scelto e non ti ho rigettato. Tu non temere perché io sono con te, non ti smarrire perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia. Ecco, tutti quelli che si sono infiammati contro di te saranno svergognati e confusi; i tuoi avversari saranno ridotti a nulla, e periranno. Tu li cercherai e non li troverai più; quelli che contendevano con te, quelli che ti facevano guerra saranno come nulla, come cosa che non è più; perché io, l’Eterno, il tuo Dio, sono colui che ti prendo per la mano destra e ti dico: ‘Non temere, io ti aiuto! Non temere, Giacobbe, vermiciattolo, residuo d’Israele! Sono io che ti aiuto’, dice l’Eterno. Il tuo Redentore è il Santo d’Israele. Ecco, io faccio di te un erpice nuovo dai denti aguzzi; tu trebbierai i monti e li ridurrai in polvere, e renderai le colline simili alla pula. Tu li ventilerai e il vento li porterà via, il turbine li disperderà; ma tu giubilerai nell’Eterno e ti glorierai nel Santo d’Israele”. I miseri e i poveri cercano acqua, e non ce n’è; la loro lingua è secca dalla sete; io, l’Eterno, li esaudirò; io, l’Iddio d’Israele, non li abbandonerò. Io farò scaturire dei fiumi sulle nude alture, e delle fonti in mezzo alle valli; farò del deserto uno stagno di acqua, e della terra arida una terra di sorgenti; pianterò nel deserto il cedro, l’acacia, il mirto e l’ulivo; metterò nei luoghi sterili il cipresso, il platano e il larice tutti assieme, affinché quelli vedano, sappiano, considerino e capiscano tutti quanti che la mano dell’Eterno ha operato questo, e che il Santo d’Israele ne è il creatore. “Presentate la vostra causa”, dice l’Eterno, “esponete le vostre ragioni”, dice il Re di Giacobbe. “Le espongano essi e ci dichiarino quello che dovrà avvenire. Le vostre predizioni di prima quali sono? Ditecele, perché possiamo porvi mente e riconoscerne il compimento; oppure fateci udire le cose future. Annunciateci quello che succederà più tardi, e sapremo che siete degli dèi; sì, fate del bene o del male affinché noi lo vediamo e lo consideriamo insieme. Ecco, voi siete niente, e la vostra opera non vale nulla: È un abominio scegliere voi! Io l’ho suscitato dal settentrione ed egli viene; dall’oriente ed egli invoca il mio nome; egli calpesta i principi come fango, come il vasaio che calca l’argilla. Chi ha annunciato questo fin dal principio perché lo sapessimo? e molto prima perché dicessimo: ‘È vero?’. Nessuno lo ha annunciato, nessuno lo ha predetto e nessuno ha udito i vostri discorsi. Io per primo ho detto a Sion: ‘Guardate, eccoli!’ e a Gerusalemme ho inviato un messaggero di buone notizie. Io guardo… e non c’è nessuno; non c’è tra loro nessuno che sappia dare un consiglio e che, se io lo interrogo, possa darmi risposta. Ecco, tutti costoro non sono che vanità; le loro opere sono nulla e i loro idoli non sono che vento e cose da niente”. “Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio Spirito su di lui, egli insegnerà la giustizia alle nazioni. Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; insegnerà la giustizia secondo verità. Egli non verrà meno e non si abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra; e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge”. Così parla Dio, l’Eterno, che ha creato i cieli e li ha spiegati, che ha disteso la terra con tutto quello che essa produce, che dà il respiro al popolo che c’è sopra e lo spirito a quelli che vi camminano. “Io, l’Eterno, ti ho chiamato secondo giustizia, ti prenderò per la mano, ti custodirò e farò di te l’alleanza del popolo, la luce delle nazioni, per aprire gli occhi dei ciechi, per far uscire dal carcere i prigionieri e dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre. Io sono l’Eterno; questo è il mio nome; io non darò la mia gloria a un altro, né la lode che mi appartiene agli idoli. Ecco, le cose di prima sono avvenute e io ve ne annuncio delle nuove; prima che germoglino, ve le rendo note”. Cantate all’Eterno un cantico nuovo, cantate le sue lodi dalle estremità della terra, voi che scendete sul mare e anche gli esseri che esso contiene, le isole e i loro abitanti! Il deserto e le sue città alzino la voce! Alzino la voce i villaggi occupati da Chedar! Esultino gli abitanti di Sela, diano grida di gioia dalla vetta dei monti! Diano gloria all’Eterno, proclamino la sua lode nelle isole! L’Eterno avanzerà come un eroe, ecciterà il suo ardore come un guerriero; manderà un grido, un grido tremendo, trionferà dei suoi nemici. “Per lungo tempo ho taciuto, me ne sono stato tranquillo, mi sono trattenuto; ora griderò come una donna che sta per partorire, respirerò affannosamente e sbufferò allo stesso tempo. Io devasterò montagne e colline, ne farò seccare tutte le erbe; ridurrò i fiumi in isole, asciugherò gli stagni. Farò camminare i ciechi per una via che ignorano, li condurrò per sentieri che non conoscono; cambierò davanti a loro le tenebre in luce, renderò pianeggianti i luoghi impervi. Sono queste le cose che io farò, e non li abbandonerò. E volgeranno le spalle, coperti di vergogna, quelli che confidano negli idoli scolpiti e dicono alle immagini fuse: ‘Voi siete i nostri dèi!’. Ascoltate, o sordi, e voi, ciechi, guardate e vedete! Chi è cieco, se non il mio servo, e sordo come il messaggero che io invio? Chi è cieco come colui che è mio amico, cieco come il servo dell’Eterno? Tu hai visto molte cose, ma non vi hai posto mente; gli orecchi erano aperti, ma non hai udito nulla”. L’Eterno si è compiaciuto, per amore della sua giustizia, di rendere la sua legge grande e magnifica; ma questo è un popolo saccheggiato e spogliato; sono tutti legati in caverne, rinchiusi nelle prigioni. Sono abbandonati al saccheggio, e non c’è chi li liberi; spogliati, e non c’è chi dica: “Restituisci!”. Chi di voi presterà orecchio a questo? Chi starà attento e ascolterà in futuro? Chi ha abbandonato Giacobbe al saccheggio e Israele in balìa dei predoni? Non è forse stato l’Eterno? Colui contro il quale abbiamo peccato, e nelle cui vie non si è voluto camminare, e alla cui legge non si è ubbidito? Perciò egli ha riversato su Israele l’ardore della sua ira e la violenza della guerra; la guerra lo ha avvolto nelle sue fiamme, ed egli non ha capito; lo ha consumato, ed egli non se l’è presa a cuore. Ma ora così parla l’Eterno, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele! “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Quando passerai per le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco, non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà. Poiché io sono l’Eterno, il tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore; io ho dato l’Egitto come tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei stimato e io ti amo, io do degli uomini al tuo posto, e dei popoli in cambio della tua vita. Non temere, perché io sono con te; io ricondurrò la tua discendenza dall’oriente e ti raccoglierò dall’occidente. Dirò al settentrione: ‘Da’!’ e al mezzogiorno: ‘Non trattenere; fa’ venire i miei figli da lontano, e le mie figlie dalle estremità della terra, tutti quelli cioè che portano il mio nome, che io ho creato per la mia gloria, che ho formato, che ho fatto’”. “Fa’ uscire il popolo cieco che ha degli occhi, e i sordi che hanno degli orecchi! Si radunino tutte insieme le nazioni, si riuniscano i popoli! Chi fra loro può annunciare queste cose e farci udire delle predizioni antiche? Presentino i loro testimoni e stabiliscano il loro diritto, affinché, dopo averli uditi, si dica: ‘È vero!’. I miei testimoni siete voi”, dice l’Eterno, “voi, e il mio servo che io ho scelto, affinché voi lo sappiate, mi crediate, e riconosciate che sono io. Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me non ce ne sarà nessuno”. “Io, io sono l’Eterno, e fuori di me non c’è salvatore. Io ho annunciato, salvato, predetto, non un dio straniero tra voi; voi me ne siete testimoni”, dice l’Eterno: “Io sono Dio. Certo, da quando fu il giorno, io sono; nessuno può liberare dalla mia mano; io opererò, chi potrà impedire la mia opera?”. Così parla l’Eterno, il vostro redentore, il Santo d’Israele: “Per amore vostro io mando il nemico contro Babilonia; metterò tutti in fuga e i Caldei scenderanno sulle navi di cui sono così fieri. Io sono l’Eterno, il vostro Santo, il creatore d’Israele, il vostro re”. Così parla l’Eterno, che aprì una strada nel mare e un sentiero fra le acque potenti, che fece uscire carri e cavalli, un esercito di prodi guerrieri; tutti quanti furono atterrati, non si rialzarono più; furono estinti, spenti come un lucignolo. “Non ricordate più le cose passate e non considerate più le cose antiche; ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare; non la riconoscerete? Sì, io aprirò una strada nel deserto, farò scorrere dei fiumi nella steppa. Le bestie dei campi, gli sciacalli e gli struzzi, mi glorificheranno perché avrò dato dell’acqua al deserto, dei fiumi alla steppa per dare da bere al mio popolo, al mio eletto. Il popolo che mi sono formato proclamerà le mie lodi”. “E tu non mi hai invocato, o Giacobbe, anzi ti sei stancato di me, o Israele! Tu non mi hai portato l’agnello dei tuoi olocausti e non mi hai onorato con i tuoi sacrifici; io non ti ho tormentato con richieste di offerte, né ti ho stancato domandandoti incenso. Tu non mi hai comprato con denaro della canna odorosa, e non mi hai saziato con il grasso dei tuoi sacrifici; ma tu mi hai tormentato con i tuoi peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. Io, io sono colui che per amore di me stesso cancello le tue trasgressioni e non mi ricorderò più dei tuoi peccati. Risveglia la mia memoria, discutiamo assieme, parla tu stesso per giustificarti! Il tuo primo padre ha peccato, i tuoi mediatori si sono ribellati a me, perciò io ho trattato come profani i capi del santuario, ho votato Giacobbe allo sterminio, ho abbandonato Israele all’infamia”. “Ora ascolta, o Giacobbe, mio servo, o Israele, che io ho scelto! Così parla l’Eterno che ti ha fatto, che ti ha formato fin dal grembo materno, colui che ti soccorre: ‘Non temere, o Giacobbe mio servo, o Iesurun che io ho scelto!’. Poiché io spanderò le acque sul suolo assetato e i ruscelli sulla terra arida; spanderò il mio Spirito sulla tua discendenza, e la mia benedizione sui tuoi rampolli; essi germoglieranno come in mezzo all’erba, come salici in riva a correnti di acqua. L’uno dirà: ‘Io sono dell’Eterno’; l’altro si chiamerà con il nome di Giacobbe, e un altro scriverà sulla sua mano: ‘Dell’Eterno’, e si onorerà di portare il nome d’Israele”. Così parla l’Eterno, re d’Israele e suo Redentore, l’Eterno degli eserciti: “Io sono il primo e sono l’ultimo, e fuori di me non c’è Dio. Chi, come me, proclama l’avvenire fin da quando fondai questo popolo antico? Che egli lo dichiari e me lo provi! Lo annuncino essi l’avvenire, e quello che avverrà! Non vi spaventate, non temete! Non te l’ho io annunciato e dichiarato da tempo? Voi me ne siete testimoni. C’è forse un Dio fuori di me? Non c’è altra Ròcca; io non ne conosco nessuna”. Quelli che fabbricano immagini scolpite sono tutti vanità; i loro idoli più cari non giovano a nulla; i loro testimoni non vedono, non capiscono nulla, perché essi siano coperti di vergogna. Chi è che fabbrica un dio o fonde un’immagine perché non gli serva a nulla? Ecco, tutti quelli che vi lavorano saranno confusi, e gli artefici stessi non sono che uomini! Si radunino tutti, si presentino!… Saranno spaventati e coperti di vergogna tutti insieme. Il fabbro lima il ferro, lo mette nel fuoco, forma l’idolo a colpi di martello e lo lavora con braccio vigoroso; soffre perfino la fame, e la forza gli viene meno; non beve acqua e si affatica. Il falegname stende la sua corda, disegna l’idolo con la matita, lo lavora con lo scalpello, lo misura con il compasso, e ne fa una figura umana, una bella forma di uomo, perché abiti una casa. Si tagliano dei cedri, si prendono dei cipressi, delle querce, si fa la scelta fra gli alberi della foresta, si piantano dei pini che la pioggia fa crescere. Poi tutto questo serve all’uomo per fare un fuoco, ed egli ne prende per riscaldarsi, ne accende anche il forno per cuocere il pane; e ne fa pure un dio e lo adora, ne scolpisce un’immagine, davanti alla quale si prostra. Ne brucia la metà nel fuoco, con l’altra metà prepara la carne, cuoce l’arrosto, e si sazia. Si scalda anche e dice: “Ah! mi riscaldo, godo a vedere questa fiamma!”. Con il resto si fa un dio, il suo idolo, gli si prostra davanti, lo adora, lo prega e gli dice: “Salvami, poiché tu sei il mio dio!”. Non sanno nulla, non capiscono nulla; hanno impiastrato loro gli occhi perché non vedano e il cuore perché non comprendano. Nessuno rientra in sé stesso, e ha conoscenza e intelletto per dire: “Ne ho bruciato la metà nel fuoco, sui suoi carboni ho fatto cuocere il pane, vi ho arrostito la carne che ho mangiato, e con il resto farei un idolo abominevole? e mi prostrerò davanti a un pezzo di legno?”. Un tale uomo si pasce di cenere, il suo cuore sedotto lo travia, così che egli non può liberare la sua anima e dire: “Ciò che tengo nella mia destra non è forse una menzogna?”. Ricordati di queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo, io ti ho formato, tu sei il mio servo, o Israele, tu non sarai da me dimenticato. Io ho fatto sparire le tue trasgressioni come una densa nube, e i tuoi peccati come una nuvola; torna a me, perché io ti ho riscattato. Cantate, o cieli, poiché l’Eterno ha operato! Giubilate, o profondità della terra! Gridate di gioia, o montagne, o foreste con tutti i vostri alberi! Poiché l’Eterno ha riscattato Giacobbe, e manifesta la sua gloria in Israele! Così parla l’Eterno, il tuo Redentore, colui che ti ha formato fin dal grembo materno: “Io sono l’Eterno, che ha fatto tutte le cose; io solo ho spiegato i cieli, ho disteso la terra, senza che ci fosse nessuno con me; io rendo vani i presagi degli impostori e rendo insensati gli indovini; io faccio indietreggiare i saggi e cambio la loro scienza in follia. Io confermo la parola del mio servo e mando a effetto le predizioni dei miei messaggeri; io dico di Gerusalemme: ‘Essa sarà abitata!’ e delle città di Giuda: ‘Saranno ricostruite’ e io ne rialzerò le rovine; io dico all’abisso: ‘Fatti asciutto, io prosciugherò i tuoi fiumi!’. Io dico di Ciro: ‘Egli è il mio pastore’; egli adempirà tutta la mia volontà, dicendo a Gerusalemme: ‘Sarai ricostruita!’ e al tempio: ‘Saranno gettate le tue fondamenta!’”. Così parla l’Eterno al suo unto, a Ciro, che io ho preso per la destra per atterrare davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui le porte, in modo che nessuna gli resti chiusa. “Io camminerò davanti a te, e appianerò i luoghi impervi; frantumerò le porte di bronzo, e spezzerò le sbarre di ferro; ti darò i tesori nascosti nelle tenebre e le ricchezze nascoste in luoghi segreti, affinché tu riconosca che io sono l’Eterno che ti chiama per nome, l’Iddio d’Israele. Per amore di Giacobbe, mio servo, e di Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho designato, anche se non mi conoscevi. Io sono l’Eterno, e non ce n’è nessun altro; fuori di me non c’è altro Dio! Io ti ho preparato, anche se non mi conoscevi, perché da oriente a occidente si riconosca che non c’è altro Dio fuori di me. Io sono l’Eterno, e non ce n’è alcun altro; io formo la luce, creo le tenebre, do il benessere, creo l’avversità; io, l’Eterno, sono colui che fa tutte queste cose. Cieli, stillate dall’alto; nuvole fate piovere la giustizia! Si apra la terra e sia feconda di salvezza; faccia germogliare la giustizia al tempo stesso. Io, l’Eterno, creo tutto questo”. Guai a chi contende con il suo creatore, egli, rottame fra i rottami di vasi di terra! L’argilla dirà forse a chi la forma: “Che fai?” o l’opera tua dirà forse: “Egli non ha mani?”. Guai a chi dice a suo padre: “Perché generi?” e a sua madre: “Perché partorisci?”. Così parla l’Eterno, il Santo d’Israele, colui che lo ha formato: “Voi mi interrogate riguardo le cose future! Mi date degli ordini sui miei figli e sull’opera delle mie mani! Ma io, io ho fatto la terra e ho creato l’uomo sopra di essa; io, con le mie mani, ho spiegato i cieli, e comando tutto il loro esercito. Io ho suscitato Ciro, nella mia giustizia, e appianerò tutte le sue vie; egli ricostruirà la mia città, e rimanderà liberi i miei esuli senza prezzo di riscatto e senza doni”, dice l’Eterno degli eserciti. Così parla l’Eterno: “Il frutto delle fatiche dell’Egitto, del traffico dell’Etiopia e dei Sabei dalla grande statura passeranno a te, e saranno tuoi; quei popoli cammineranno dietro a te, passeranno incatenati, si prostreranno davanti a te, e ti supplicheranno dicendo: Certo, Iddio è in te, e non ce n’è nessun altro; non c’è altro Dio”. In verità tu sei un Dio che ti nascondi, o Dio d’Israele, o Salvatore! Saranno svergognati, sì, tutti quanti confusi; se ne andranno tutti assieme coperti di vergogna i fabbricanti di idoli; ma Israele sarà salvato dall’Eterno mediante una salvezza eterna, voi non sarete svergognati né confusi, mai più in eterno. Poiché così parla l’Eterno che ha creato i cieli, l’Iddio che ha formato la terra, l’ha fatta, l’ha stabilita, non l’ha creata perché rimanesse deserta, ma l’ha formata perché fosse abitata: Io sono l’Eterno e non ce n’è nessun altro. Io non ho parlato in segreto: in qualche luogo tenebroso della terra; io non ho detto alla discendenza di Giacobbe: “Cercatemi invano!”. Io, l’Eterno, parlo con giustizia, dichiaro le cose che sono giuste. Radunatevi, venite, accostatevi tutti insieme, voi che siete scampati dalle nazioni! Quelli che portano il loro idolo di legno non hanno intelletto: pregano un dio che non può salvare. Annunciatelo, fateli avvicinare, si consiglino pure insieme! Chi ha annunciato queste cose fin dai tempi antichi e le ha predette da lungo tempo? Non sono forse io, l’Eterno? E non c’è altro Dio fuori di me, un Dio giusto, e non c’è Salvatore fuori di me. Volgetevi a me e siate salvati, voi tutte le estremità della terra! Poiché io sono Dio, e non ce n’è nessun altro. Per me stesso io l’ho giurato; è uscita dalla mia bocca una parola di giustizia, e non sarà revocata: ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ogni lingua mi presterà giuramento. “Solo nell’Eterno”, si dirà di me, “è la giustizia e la forza”. A lui verranno, pieni di confusione, tutti quelli che erano accesi d’ira contro di lui. Nell’Eterno sarà giustificata e si glorierà tutta la progenie d’Israele. Bel crolla, Nebo cade; le loro statue sono messe sopra animali, su bestie da soma; questi idoli che voi portavate qua e là sono diventati un carico; un peso per la bestia stanca! Sono caduti, sono crollati assieme, non possono salvare il carico; essi stessi se ne vanno in prigionia. “Ascoltatemi, o casa di Giacobbe, e voi tutti, residuo della casa d’Israele, voi di cui mi sono fatto carico dal giorno che nasceste, che siete stati portati fin dal grembo materno! Fino alla vostra vecchiaia io sarò lo stesso, fino alla vostra canizie io vi porterò; io vi ho fatti e io vi sosterrò; sì, vi porterò e vi salverò. A chi mi assomigliereste, a chi mi uguagliereste, a chi mi paragonereste quasi fossimo pari? Costoro prendono l’oro dalla loro borsa, pesano l’argento nella bilancia; pagano un orefice perché ne faccia un dio per prostrarglisi davanti e adorarlo. Se lo caricano sulle spalle, lo portano, lo mettono al suo posto; esso sta in piedi e non si muove dal suo posto e, benché uno gridi a lui, esso non risponde né lo salva dalla sua avversità. Ricordatevi di questo e mostratevi uomini! O trasgressori, rientrate in voi stessi! Ricordate il passato, le cose antiche: io sono Dio e non ce n’è nessun altro; sono Dio, e nessuno è simile a me. Io annuncio la fine sin dal principio e, molto tempo prima, dico le cose non ancora avvenute; io dico: ‘Il mio piano sussisterà, e metterò a effetto tutta la mia volontà’; chiamo dall’oriente un uccello da preda, e da una terra lontana l’uomo che effettui il mio disegno. Sì, io l’ho detto, e lo farò avvenire; ne ho formato il disegno e lo eseguirò. Ascoltatemi, o gente dal cuore ostinato, che siete lontani dalla giustizia! Io faccio avvicinare la mia giustizia; essa non è lontana, e la mia salvezza non tarderà; io metterò la salvezza in Sion, e la mia gloria sopra Israele”. “Scendi e siedi sulla polvere, o vergine figlia di Babilonia! Siediti a terra, senza trono, o figlia dei Caldei! poiché non sarai più chiamata la delicata, la voluttuosa. Metti mano alla mola e macina farina; togliti il velo, àlzati lo strascico, scopriti la gamba e passa i fiumi! Si scopra la tua nudità, si veda la tua vergogna; io farò vendetta e non risparmierò anima viva. Il nostro Redentore si chiama l’Eterno degli eserciti, il Santo d’Israele. Siediti in silenzio e va’ nelle tenebre, o figlia dei Caldei, poiché non sarai più chiamata la signora dei regni. Io mi adirai contro il mio popolo, profanai la mia eredità e li diedi in mano tua; tu non avesti per essi alcuna pietà; facesti gravare duramente il tuo giogo sul vecchio, e dicesti: ‘Io sarò signora per sempre’. Non prendesti a cuore e non immaginasti la fine di tutto questo. Ora dunque ascolta questo, o voluttuosa, che te ne stai seduta al sicuro, e dici nel tuo cuore: ‘Io, e nessun altro all’infuori di me! Io non rimarrò mai vedova, e non saprò cosa significhi essere privata dei figli’; ma queste due cose ti avverranno in un attimo, in uno stesso giorno: privazione di figli e vedovanza; ti piomberanno addosso tutte assieme, nonostante la moltitudine dei tuoi sortilegi e la grande abbondanza dei tuoi incantesimi. Tu ti fidavi della tua malizia e dicevi: ‘Nessuno mi vede’, la tua saggezza e la tua scienza ti hanno sedotta, e tu dicevi nel tuo cuore: ‘Io, e nessun altro all’infuori di me’. Ma verrà sopra di te un male che non saprai come scongiurare; ti piomberà addosso una calamità che non potrai allontanare con nessuna espiazione; e ti cadrà repentinamente addosso una rovina che non avrai previsto. Sta’ pure con i tuoi incantesimi e con la moltitudine dei tuoi sortilegi, nei quali ti sei affaticata fin dalla tua giovinezza! forse potrai trarne profitto, forse riuscirai a incutere terrore. Tu sei stanca di tutte le tue consultazioni; si alzino dunque quelli che misurano il cielo, che osservano le stelle, che fanno pronostici a ogni novilunio e ti salvino dalle cose che ti piomberanno addosso! Ecco, essi sono come stoppia; il fuoco li consuma; non salveranno la loro vita dalla violenza della fiamma; non ne rimarrà brace a cui scaldarsi, né fuoco davanti al quale sedersi. Questa sarà la sorte di quelli intorno a cui ti sei affaticata. Quelli che hanno trafficato con te fin dalla tua giovinezza andranno errando ognuno per conto suo, e non ci sarà nessuno che ti salvi”. “Ascoltate questo, o casa di Giacobbe, voi che siete chiamati con il nome d’Israele e che siete usciti dalla sorgente di Giuda; voi che giurate per il nome dell’Eterno e menzionate l’Iddio d’Israele ma senza sincerità, senza giustizia! Poiché prendono il loro nome dalla città santa, si appoggiano sull’Iddio d’Israele, che si chiama l’Eterno degli eserciti! Già anticamente io annunciai le cose passate; esse uscirono dalla mia bocca, io le feci sapere; a un tratto io le effettuai, ed esse avvennero. Siccome io sapevo, o Israele, che tu sei ostinato, che il tuo collo ha muscoli di ferro e che la tua fronte è di bronzo, io ti annunciai queste cose anticamente; te le feci sapere prima che avvenissero, perché tu non dicessi: ‘Le ha fatte il mio idolo, le ha ordinate la mia immagine scolpita, la mia immagine fusa’. Tu ne hai udito l’annuncio, le hai viste compiersi tutte quante. Non lo proclamerete voi stessi? Ora io ti annuncio delle cose nuove, delle cose occulte, a te ignote. Esse sono create adesso, non da tempo antico; e, prima di oggi, non ne avevi udito parlare, perché tu non dica: ‘Ecco, io le sapevo’. No, tu non ne hai udito nulla, non ne hai saputo nulla, nulla in passato te ne è mai venuto agli orecchi, perché sapevo che ti saresti comportato perfidamente, e che ti chiami ‘Ribelle’ fin dal grembo materno. Per amore del mio nome io rinvierò la mia ira, e per amore della mia gloria io mi freno per non sterminarti. Ecco, io ti ho voluto affinare, ma senza ottenerne argento; ti ho provato nel crogiuolo dell’afflizione. Per amore di me stesso, per amore di me stesso io voglio agire; poiché, come potrei lasciar profanare il mio nome? Io non darò la mia gloria a un altro. Ascoltami, o Giacobbe, e tu, Israele, che io ho chiamato. Io sono; io sono il primo, e sono pure l’ultimo. La mia mano ha fondato la terra e la mia destra ha spiegato i cieli; quando io li chiamo, si presentano assieme. Radunatevi tutti quanti e ascoltate! Chi tra di voi ha annunciato queste cose? Colui che l’Eterno ama eseguirà il suo volere contro Babilonia, e alzerà il suo braccio contro i Caldei. Io, io ho parlato, io l’ho chiamato; io l’ho fatto venire, e la sua impresa riuscirà. Avvicinatevi a me e ascoltate questo: fin dal principio io non ho parlato in segreto; quando questi fatti avvenivano, io ero presente; ora, il Signore, l’Eterno, mi manda con il suo Spirito. Così parla l’Eterno, il tuo Redentore, il Santo d’Israele: ‘Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che t’insegna per il tuo bene e ti guida per la via che devi seguire. Oh, se tu fossi stato attento ai miei comandamenti! la tua pace sarebbe come un fiume, e la tua giustizia come le onde del mare; la tua discendenza sarebbe come la sabbia e il frutto del tuo grembo come la sabbia che è nel mare; il suo nome non sarebbe cancellato né distrutto davanti a me’”. Uscite da Babilonia, fuggite lontano dai Caldei! Annunciatelo con voce gioiosa, proclamatelo a tutti, diffondetelo fino alle estremità della terra! Dite: “L’Eterno ha redento il suo servo Giacobbe”. Essi non hanno avuto sete quando egli li ha condotti attraverso i deserti; egli ha fatto scaturire per loro dell’acqua dalla roccia; ha spaccato la roccia e ne è fuoriuscita l’acqua. “Non c’è pace per gli empi”, dice l’Eterno. Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti! L’Eterno mi ha chiamato fin dal grembo materno, ha pronunciato il mio nome fin dal seno di mia madre. Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell’ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra e mi ha detto: “Tu sei il mio servo, Israele, nel quale io manifesterò la mia gloria”. Ma io dicevo: “Invano ho faticato, inutilmente, per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso l’Eterno e la mia ricompensa è presso il mio Dio”. E ora parla l’Eterno che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe e per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi dell’Eterno e il mio Dio è la mia forza. Egli dice: “È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra”. Così parla l’Eterno, il Redentore, il Santo d’Israele, a colui che è disprezzato dagli uomini, detestato dalla nazione, schiavo dei potenti: “Dei re lo vedranno e si alzeranno; dei principi pure, e si prostreranno, a causa dell’Eterno che è fedele, del Santo d’Israele che ti ha scelto”. Così parla l’Eterno: “Nel tempo della grazia io ti esaudirò, nel giorno della salvezza ti aiuterò; ti preserverò e farò di te l’alleanza del popolo, per rialzare il paese, per rimetterli in possesso delle eredità devastate, per dire ai prigionieri: ‘Uscite!’ e a quelli che sono nelle tenebre: ‘Mostratevi!’. Essi pascoleranno lungo le vie e troveranno il loro pascolo su tutte le alture; non avranno fame né sete, né miraggio né sole li colpirà più; poiché colui che ha pietà di loro li guiderà e li condurrà alle sorgenti d’acqua. Io trasformerò tutte le mie montagne in vie, e le mie strade saranno elevate. Guardate! Questi vengono da lontano; ecco, questi altri vengono da settentrione e da occidente, e questi dal paese dei Sinim”. Esultate, o cieli, e tu, terra, festeggia! Gridate di gioia, o monti, poiché l’Eterno consola il suo popolo e ha pietà dei suoi afflitti. Ma Sion ha detto: “L’Eterno mi ha abbandonata, il Signore mi ha dimenticata”. Una donna dimentica forse il bimbo che allatta, smettendo di avere pietà del frutto delle sue viscere? Anche se le madri dimenticassero, io non dimenticherò te. Ecco, io ti ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura stanno sempre davanti ai miei occhi. I tuoi figli accorrono; i tuoi distruttori, i tuoi devastatori si allontanano da te. Volgi lo sguardo intorno e guarda: essi tutti si radunano e vengono da te. “Com’è vero che io vivo”, dice l’Eterno, “tu ti rivestirai di essi come di un ornamento, te ne adornerai come una sposa. Nelle tue rovine, nei tuoi luoghi desolati, nel tuo paese distrutto, sarai troppo allo stretto per i tuoi abitanti, e quelli che ti divoravano si allontaneranno da te. I figli di cui fosti privata ti diranno ancora all’orecchio: ‘Questo posto è troppo stretto per me; fammi largo, perché io possa stabilirmi’. E tu dirai nel tuo cuore: ‘Questi, chi me li ha generati? Poiché io ero privata dei miei figli, sterile, esiliata, scacciata. Questi chi li ha allevati? Ecco, io ero rimasta sola; questi dov’erano?’”. Così parla il Signore, l’Eterno: “Ecco, io alzerò la mia mano verso le nazioni, innalzerò la mia bandiera verso i popoli ed essi ti ricondurranno i tuoi figli in braccio, ti riporteranno le tue figlie sulle spalle. Dei re saranno tuoi precettori e le loro regine saranno le tue balie; essi si prostreranno davanti a te con la faccia a terra e leccheranno la polvere dei tuoi piedi; tu riconoscerai che io sono l’Eterno e che quelli che sperano in me non saranno delusi”. Si può forse strappare il bottino al potente? e i giusti, fatti prigionieri, potranno essere liberati? Sì; così dice l’Eterno: “Anche i prigionieri del potente saranno portati via e il bottino del tiranno sarà ripreso; io combatterò contro chi ti combatte, e salverò i tuoi figli. Farò mangiare ai tuoi oppressori la propria carne, e s’inebrieranno con il proprio sangue, come con il mosto: ogni carne riconoscerà che io, l’Eterno, sono il tuo Salvatore, il tuo Redentore, il Potente di Giacobbe”. Così parla l’Eterno: “Dov’è la lettera di divorzio di vostra madre con la quale io l’ho ripudiata? Oppure a quale dei miei creditori vi ho venduto? Ecco, per le vostre malvagità siete stati venduti e per le vostre iniquità vostra madre è stata ripudiata. Perché, quando io sono venuto, non si è trovato nessuno? Perché, quando ho chiamato, nessuno ha risposto? La mia mano è forse troppo corta per redimere? oppure non ho io la forza per liberare? Ecco, con la mia minaccia io prosciugo il mare, riduco i fiumi in deserto; il loro pesce diventa fetido per mancanza di acqua e muore di sete. Io rivesto i cieli di nero e do loro un cilicio come coperta”. Il Signore, l’Eterno, mi ha dato una lingua preparata perché io sappia sostenere con la parola lo stanco. Egli risveglia, ogni mattina, risveglia il mio orecchio, perché io ascolti come fanno i discepoli. Il Signore, l’Eterno, mi ha aperto l’orecchio e io non sono stato ribelle, non mi sono tirato indietro. Io ho presentato il mio dorso a chi mi percuoteva, e le mie guance a chi mi strappava la barba; io non ho nascosto il mio volto alla vergogna e agli sputi. Ma il Signore, l’Eterno, mi ha soccorso; perciò non sono stato confuso; perciò ho reso la mia faccia dura come una pietra e so che non sarò svergognato. Vicino è colui che mi giustifica, chi contenderà con me? presentiamoci assieme! Chi è il mio avversario? Mi venga vicino! Ecco, il Signore, l’Eterno, mi verrà in aiuto; chi mi condannerà? Ecco, tutti costoro diventeranno logori come un vestito, la tignola li roderà. Chi di voi teme l’Eterno e ascolta la voce del suo servo? Sebbene cammini nelle tenebre, privo di luce, confidi nel nome dell’Eterno e si appoggi sul suo Dio! Ecco, voi tutti che accendete un fuoco, che vi munite di tizzoni, andatevene nelle fiamme del vostro fuoco e fra i tizzoni che avete acceso! Questo avrete dalla mia mano; voi giacerete nel dolore. “Ascoltatemi, voi che perseguite la giustizia, che cercate l’Eterno! Considerate la roccia da cui foste tagliati e la buca della cava da cui foste cavati. Considerate Abraamo vostro padre, e Sara che vi partorì; poiché io lo chiamai, quando egli era solo, lo benedissi e lo moltiplicai. Così l’Eterno sta per consolare Sion, consolerà tutte le sue rovine; renderà il suo deserto pari a un Eden, e la sua solitudine pari a un giardino dell’Eterno. Gioia e allegrezza si troveranno in mezzo a lei, inni di lode e melodia di canti. Prestami attenzione, o popolo mio! Porgimi orecchio, mia nazione! Poiché la legge procederà da me e io porrò il mio diritto come luce dei popoli. La mia giustizia è vicina, la mia salvezza sta per apparire, le mie braccia giudicheranno i popoli; le isole spereranno in me e confideranno nel mio braccio. Alzate i vostri occhi al cielo e abbassateli sulla terra! Poiché i cieli si dilegueranno come fumo, la terra invecchierà come un vestito, anche i suoi abitanti moriranno; ma la mia salvezza durerà in eterno e la mia giustizia non verrà mai meno. Ascoltatemi, voi che conoscete la giustizia, popolo che hai nel cuore la mia legge! Non temete gli insulti degli uomini, né siate intimoriti per i loro oltraggi. Poiché la tignola li divorerà come un vestito e la tarma li roderà come la lana; ma la mia giustizia rimarrà in eterno e la mia salvezza per ogni generazione”. Risvègliati, risvègliati, rivèstiti di forza, braccio dell’Eterno! Risvègliati come nei giorni di una volta, come nelle antiche età! Non sei tu che facesti a pezzi Raab, che trafiggesti il dragone? Non sei tu che prosciugasti il mare, le acque del grande abisso, che facesti delle profondità del mare una via per il passaggio dei redenti? I riscattati dall’Eterno torneranno, verranno con canti di gioia a Sion, una gioia eterna coronerà il loro capo; otterranno felicità e gioia, il dolore e il gemito fuggiranno. “Io, io sono colui che vi consola. Chi sei tu che temi l’uomo che deve morire, e il figlio dell’uomo che passerà come l’erba, che tu dimentichi l’Eterno, che ti ha fatto, che ha disteso i cieli e fondato la terra? che tu tremi continuamente, tutto il giorno, davanti al furore dell’oppressore, quando si prepara a distruggere? E dov’è dunque il furore dell’oppressore? Colui che è curvo nei ceppi sarà presto liberato; non morirà nella fossa, e non gli mancherà il pane. Poiché io sono l’Eterno, il tuo Dio, che solleva il mare e ne fa muggire le onde; il cui nome è: l’Eterno degli eserciti. Io ho messo le mie parole nella tua bocca, ti ho coperto con l’ombra della mia mano per spiegare dei cieli e fondare una terra, e per dire a Sion: ‘Tu sei il mio popolo’”. Risvègliati, risvègliati, àlzati o Gerusalemme, tu che hai bevuto dalla mano dell’Eterno la coppa del suo furore, che hai bevuto il calice, la coppa di stordimento, e l’hai succhiata fino in fondo! Fra tutti i figli che ha partorito non c’è nessuno che la guidi; fra tutti i figli che ha allevato non c’è nessuno che la prenda per mano. Queste due cose ti sono avvenute; chi ti compiangerà? desolazione e rovina, fame e spada; chi ti consolerà? I tuoi figli venivano meno, giacevano a tutti i capi delle strade, come un’antilope nella rete, prostrati dal furore dell’Eterno, dalle minacce del tuo Dio. Perciò, ascolta ora questo, o infelice e ubriaca, ma non di vino! Così parla il tuo Signore, l’Eterno, il tuo Dio, che difende la causa del suo popolo: “Ecco, io ti tolgo di mano la coppa di stordimento, il calice, la coppa del mio furore; tu non la berrai più! Io la metterò in mano dei tuoi persecutori, che dicevano alla tua anima: ‘Chinati, che ti passiamo addosso!’ e tu facevi del tuo dorso un suolo, una strada per i passanti!”. Risvègliati, risvègliati, rivèstiti della tua forza, o Sion! Mettiti le tue vesti più splendide, Gerusalemme, città santa! Poiché da ora in poi non entreranno più in te né l’incirconciso né l’impuro. Scuotiti di dosso la polvere, àlzati, siediti, o Gerusalemme! Sciogliti le catene dal collo, o figlia di Sion che sei in schiavitù! Poiché così parla l’Eterno: “Voi siete stati venduti per nulla, e sarete riscattati senza denaro”. Infatti così parla il Signore, l’Eterno: “Il mio popolo scese già in Egitto per abitarvi; poi l’Assiro lo oppresse senza motivo. E ora che faccio io qui”, dice l’Eterno, “quando il mio popolo è stato portato via per nulla? Quelli che lo dominano mandano urla”, dice l’Eterno, “e il mio nome è continuamente, tutto il giorno schernito; perciò il mio popolo conoscerà il mio nome; perciò saprà, in quel giorno, che sono io che ho parlato: Eccomi!”. Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annuncia la pace, che è araldo di notizie liete, che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Il tuo Dio regna!”. Odi le tue sentinelle! Esse alzano la voce, mandano tutte assieme grida di gioia; poiché esse vedono con i loro occhi l’Eterno che ritorna a Sion. Gridate di gioia insieme, o rovine di Gerusalemme! Poiché l’Eterno consola il suo popolo, redime Gerusalemme. L’Eterno ha rivelato il suo braccio santo agli occhi di tutte le nazioni; e tutte le estremità della terra vedranno la salvezza del nostro Dio. Partite, partite, uscite di là! Non toccate nulla d’impuro! Uscite di mezzo a lei! Purificatevi, voi che portate i vasi dell’Eterno! Poiché voi non partirete in fretta, non ve ne andrete come chi fugge, poiché l’Eterno camminerà davanti a voi e l’Iddio d’Israele sarà la vostra retroguardia. Ecco, il mio servo prospererà, sarà innalzato, esaltato, reso sommamente eccelso. Come molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti (tanto era sfigurato il suo aspetto al punto da non sembrare più un uomo, e il suo sembiante al punto da non sembrare più un figlio d’uomo), così molte saranno le nazioni di cui egli desterà l’ammirazione; i re chiuderanno la bocca davanti a lui, poiché vedranno quello che non era loro mai stato narrato e apprenderanno quello che non avevano udito. Chi ha creduto a quello che abbiamo annunciato? e a chi è stato rivelato il braccio dell’Eterno? Egli è cresciuto davanti a lui come un germoglio, come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza da farcelo desiderare. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo nessuna stima. Tuttavia, erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato, ma noi lo reputavamo colpito, percosso da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione. Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via, ma l’Eterno ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l’agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca. Dall’oppressione e dal giudizio fu portato via; e fra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa delle trasgressioni del mio popolo? Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma, nella sua morte, egli è stato con il ricco, perché non aveva commesso violenze né c’era stato inganno nella sua bocca. Ma all’Eterno è piaciuto di stroncarlo con dolori. Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni e l’opera dell’Eterno prospererà nelle sue mani. Egli vedrà il frutto del tormento della sua anima e ne sarà saziato; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, e si caricherà egli stesso delle loro iniquità. Perciò io gli assegnerò le moltitudini, egli dividerà il bottino con i potenti, perché ha dato sé stesso alla morte, ed è stato annoverato fra i trasgressori, perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i trasgressori. “Rallegrati, o sterile, tu che non partorivi! Grida di gioia ed esulta, tu che non provavi doglie di parto! Poiché i figli dell’abbandonata saranno più numerosi dei figli di colei che ha marito”, dice l’Eterno. “Allarga il luogo della tua tenda e si spieghino i teli delle tue dimore, senza risparmio; allunga i tuoi cordami, rafforza i tuoi picchetti! Poiché tu ti spanderai a destra e a sinistra; la tua discendenza possederà le nazioni e popolerà le città deserte. Non temere, poiché tu non sarai più confusa; non avere vergogna, perché non dovrai più arrossire, ma dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. Poiché il tuo creatore è il tuo sposo; il suo nome è: l’Eterno degli eserciti; il tuo Redentore è il Santo d’Israele, che sarà chiamato l’Iddio di tutta la terra. Poiché l’Eterno ti richiama come una donna abbandonata e afflitta nel suo spirito, come la sposa della giovinezza che è stata ripudiata”, dice il tuo Dio. “Per un breve istante io ti ho abbandonata, ma con immensa compassione io ti raccoglierò. In un impeto d’ira ti ho, per un momento, nascosto la mia faccia, ma con un amore eterno io avrò pietà di te”, dice l’Eterno, il tuo Redentore. “Avverrà per me come delle acque di Noè; poiché, come giurai che le acque di Noè non si sarebbero più sparse sopra la terra, così io giuro di non irritarmi più contro di te e di non minacciarti più. Anche se i monti si allontanassero e i colli fossero rimossi, il mio amore non si allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso”, dice l’Eterno, che ha pietà di te. “O afflitta, sbattuta dalla tempesta, sconsolata, ecco, io incastonerò le tue pietre nell’antimonio e ti fonderò sopra zaffiri. Farò i tuoi merli di rubini, le tue porte di carbonchi e tutto il tuo recinto di pietre preziose. Tutti i tuoi figli saranno discepoli dell’Eterno e grande sarà la pace dei tuoi figli. Tu sarai stabilita fermamente mediante la giustizia; sarai lontana dall’oppressione, perché non avrai niente da temere, e dalla rovina, perché non si accosterà a te. Ecco, potranno fare delle alleanze; ma senza di me. Chiunque farà alleanza contro di te, cadrà davanti a te. Ecco, io ho creato il fabbro che soffia nel fuoco sui carboni e ne trae uno strumento per il suo lavoro; io pure ho creato il devastatore per distruggere. Nessuna arma fabbricata contro di te riuscirà; e ogni lingua che sorgerà in giudizio contro di te, tu la condannerai. Questa è l’eredità dei servi dell’Eterno, e la giusta ricompensa che verrà loro da me”, dice l’Eterno. “O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro venite, comprate, mangiate! Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte! Perché spendete denaro per ciò che non è pane? e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia? Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò che è buono, gusterete cibi succulenti! Porgete l’orecchio e venite a me; ascoltate e vivrete; io stabilirò con voi un patto eterno, vi largirò le grazie stabili promesse a Davide. Ecco, io l’ho dato come testimone ai popoli, come principe e governatore dei popoli. Ecco, tu chiamerai nazioni che non conosci, e nazioni che non ti conoscono accorreranno a te, a motivo dell’Eterno, del tuo Dio, del Santo d’Israele, perché egli ti avrà glorificato”. Cercate l’Eterno mentre lo si può trovare; invocatelo mentre è vicino. Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri: si converta all’Eterno che avrà pietà di lui e al nostro Dio che perdona abbondantemente. “Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie”, dice l’Eterno. “Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri. E come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare così da dare seme al seminatore e pane da mangiare, così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza avere compiuto quello che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata. Sì, voi partirete con gioia e sarete ricondotti in pace; i monti e i colli grideranno di gioia davanti a voi e tutti gli alberi della campagna batteranno le mani. Nel luogo del pruno si eleverà il cipresso, nel luogo del rovo crescerà il mirto, e ciò sarà per l’Eterno un titolo di gloria, un monumento perenne che non sarà distrutto”. Così parla l’Eterno: “Rispettate il diritto, e fate ciò che è giusto; poiché la mia salvezza sta per venire e la mia giustizia sta per essere rivelata’. Beato l’uomo che fa così e il figlio dell’uomo che si attiene a questo, che osserva il sabato astenendosi dal profanarlo, che trattiene la mano dal fare qualsiasi male!”. Lo straniero che si è unito all’Eterno non dica: “Certo, l’Eterno mi escluderà dal suo popolo!”. Né dica l’eunuco: “Ecco, io sono un albero secco!”. Poiché così parla l’Eterno circa gli eunuchi che osserveranno i miei sabati, che sceglieranno ciò che a me piace e si atterranno al mio patto: “Io darò loro, nella mia casa e dentro le mie mura, un posto e un nome, che varranno più di figli e di figlie; darò loro un nome eterno, che non perirà più. E anche gli stranieri che si sono uniti all’Eterno per servirlo, per amare il nome dell’Eterno, per essere suoi servi, tutti quelli che osserveranno il sabato astenendosi dal profanarlo e si atterranno al mio patto, io li condurrò sul mio monte santo e li rallegrerò nella mia casa di preghiera; i loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa sarà chiamata una casa di preghiera per tutti i popoli”. Il Signore, l’Eterno, che raccoglie gli esiliati d’Israele, dice: “Io ne raccoglierò intorno a lui anche degli altri, oltre quelli dei suoi che sono già raccolti”. O voi tutte bestie dei campi, venite a mangiare, venite, o voi tutte bestie della foresta! I guardiani d’Israele sono tutti ciechi, senza intelligenza; sono tutti dei cani muti, incapaci di abbaiare; sognano, stanno sdraiati, amano sonnecchiare. Sono cani ingordi, che non sanno cosa sia l’essere sazi; sono dei pastori che non capiscono nulla; seguono tutti la loro via, ognuno mira al proprio interesse, dal primo all’ultimo. “Venite”, dicono, “io andrò a cercare del vino e ci inebrieremo di bevande forti! E domani sarà come oggi, anzi sarà ancora più grandioso!”. Il giusto muore ma nessuno vi bada; gli uomini buoni sono tolti via, e nessuno considera che il giusto è tolto via per sottrarlo ai mali che sopraggiungono. Egli entra nella pace; quelli che hanno camminato per la retta via riposano sui loro letti. “Ma voi, avvicinatevi qua, o figli della incantatrice, progenie dell’adultero e della prostituta! Alle spalle di chi vi divertite? Verso chi spalancate la bocca e cacciate fuori la lingua? Non siete voi figli della ribellione, discendenza della menzogna, voi che vi infiammate fra i terebinti sotto ogni albero verdeggiante, che sgozzate i figli nelle valli sotto i crepacci delle rocce? La tua parte è fra le pietre lisce del torrente; quelle, quelle sono la sorte che ti è toccata; a quelle tu hai fatto libazioni e hai presentato oblazioni. Posso io tollerare in pace queste cose? Tu poni il tuo letto sopra un monte alto, elevato, e anche là sali a offrire sacrifici. Hai messo il tuo memoriale dietro le porte e dietro gli stipiti; poiché, lontano da me, tu scopri il tuo letto, vi monti, lo allarghi e stabilisci il patto con loro; tu ami il loro letto e in esso ti scegli un posto. Tu vai dal re con dell’olio e gli porti dei profumi in gran quantità, mandi lontano i tuoi ambasciatori e ti abbassi fino al soggiorno dei morti. Per il tuo lungo cammino ti stanchi, ma non dici: ‘È inutile!’. Tu trovi ancora del vigore nella tua mano, perciò non ti senti esausta. Chi temi dunque? Di chi hai paura per rinnegarmi così, per non ricordarti di me, per non dartene pensiero? Non me ne sono io rimasto da lungo tempo in silenzio? Per questo tu non mi temi più. Io proclamerò la tua rettitudine e le tue opere, che non ti gioveranno nulla. Quando tu griderai, venga a salvarti la folla dei tuoi idoli! Il vento li porterà via tutti, un soffio li toglierà di mezzo; ma chi si rifugia in me possederà il paese ed erediterà il mio monte santo”. E si dirà: “Aggiustate, aggiustate, preparate la via, togliete gli ostacoli dalla via del mio popolo!”. Poiché così parla colui che è l’Alto, l’Eccelso, che abita l’eternità, e che ha nome il Santo: “Io abito nel luogo alto e santo, ma sono con colui che è oppresso e umile di spirito, per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare il cuore degli oppressi. Poiché io non voglio contendere per sempre né serbare l’ira in eterno, affinché gli spiriti, le anime che io ho fatto, non vengano meno davanti a me. Per l’iniquità della sua avidità io mi sono adirato e l’ho colpito; mi sono nascosto, mi sono indignato; ma egli, ribelle, ha seguìto la via del suo cuore. Io ho visto le sue vie e lo guarirò; lo guiderò e ridarò le mie consolazioni a lui e a quelli dei suoi che sono afflitti. Io creo la lode che esce dalle labbra. Pace, pace a colui che è lontano e a colui che è vicino!” dice l’Eterno, “io lo guarirò”. Ma gli empi sono come il mare agitato, quando non si può calmare e le sue acque cacciano fuori fango e pantano. “Non c’è pace per gli empi”, dice il mio Dio. “Grida a squarciagola, non ti trattenere, alza la tua voce come una tromba; dichiara al mio popolo le sue trasgressioni e alla casa di Giacobbe i suoi peccati! Mi cercano ogni giorno, prendono piacere a conoscere le mie vie; come una nazione che avesse praticato la giustizia e non avesse abbandonato la legge del suo Dio, mi domandano dei giudizi giusti, prendono piacere ad accostarsi a Dio. ‘Perché’, dicono essi, ‘quando abbiamo digiunato, non hai tu avuto riguardo per noi? Perché quando ci siamo umiliati non ci hai badato?’. Ecco, nel giorno del vostro digiuno voi fate i vostri affari ed esigete che siano fatti tutti i vostri lavori. Ecco, voi digiunate per litigare, per contendere e colpire con il pugno della malvagità; oggi voi non digiunate in modo da far ascoltare la vostra voce in alto. È questo il digiuno di cui io mi compiaccio? il giorno in cui l’uomo si umilia? Curvare la testa come un giunco, sdraiarsi sul sacco e sulla cenere, è forse questo che tu chiami un digiuno, un giorno gradito all’Eterno? Il digiuno di cui mi compiaccio non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che s’infranga ogni sorta di giogo? Non è forse questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici senza riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra, e che tu non ti nasconda a chi è carne della tua carne? Allora la tua luce spunterà come l’aurora e la tua guarigione germoglierà prontamente; la tua giustizia ti precederà e la gloria dell’Eterno sarà la tua retroguardia. Allora chiamerai e l’Eterno ti risponderà; griderai ed egli dirà: ‘Eccomi!’. Se tu togli di mezzo a te il giogo, il dito accusatore e il parlare malvagio; se provvedi ai bisogni dell’affamato e sazi l’anima afflitta, la tua luce si alzerà nelle tenebre e la tua notte oscura sarà come il mezzogiorno; l’Eterno ti guiderà sempre, ti sazierà nei luoghi aridi, darà vigore alle tue ossa; tu sarai come un giardino ben annaffiato, come una sorgente la cui acqua non manca mai. I tuoi ricostruiranno le antiche rovine, rialzerai le fondamenta gettate da molte generazioni e sarai chiamato ‘il riparatore delle brecce’, ‘il restauratore dei sentieri per rendere abitabile il paese’. Se tu trattieni il piede per non violare il sabato facendo i tuoi affari nel mio santo giorno, se chiami il sabato una delizia e venerabile ciò che è sacro all’Eterno, se onori quel giorno anziché seguire le tue vie e fare i tuoi affari e discutere le tue cause, allora troverai la tua gioia nell’Eterno; io ti farò cavalcare sulle alture del paese, ti nutrirò della eredità di Giacobbe tuo padre, poiché la bocca dell’Eterno ha parlato”. Ecco, la mano dell’Eterno non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire; ma sono le vostre iniquità quelle che hanno posto una barriera fra voi e il vostro Dio, sono i vostri peccati quelli che gli hanno fatto nascondere il suo volto da voi, per non darvi più ascolto. Poiché le vostre mani sono contaminate dal sangue e le vostre dita dall’iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogna, la vostra lingua sussurra perversità. Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con verità; si appoggiano su ciò che non è, dicono menzogne, concepiscono il male e partoriscono iniquità. Covano uova di serpente, tessono tele di ragno; chi mangia delle loro uova muore, e l’uovo che uno schiaccia, dà fuori una vipera. Le loro tele non diventeranno vestiti, né costoro si copriranno delle loro opere; le loro opere sono opere d’iniquità, nelle loro mani vi sono atti di violenza. I loro piedi corrono al male ed essi si affrettano a spargere sangue innocente; i loro pensieri sono pensieri di iniquità, la desolazione e la rovina sono sulla loro strada. Non conoscono la via della pace e non c’è giustizia nel loro procedere; si fanno dei sentieri tortuosi, chiunque vi cammina non conosce la pace. Perciò la rettitudine è lontano da noi e non arriva fino a noi la giustizia; noi aspettiamo la luce ed ecco le tenebre; aspettiamo il chiarore del giorno, ma camminiamo nel buio. Andiamo tastando la parete come i ciechi, andiamo a tastoni come chi non ha occhi; inciampiamo in pieno mezzogiorno come nel crepuscolo, in mezzo all’abbondanza sembriamo dei morti. Tutti quanti brontoliamo come orsi, gemiamo come colombe; aspettiamo la rettitudine, ed essa non viene; la salvezza, ed essa si allontana da noi. Poiché le nostre trasgressioni si sono moltiplicate davanti a te e i nostri peccati testimoniano contro di noi; sì, le nostre trasgressioni ci stanno davanti e le nostre iniquità le conosciamo. Siamo stati ribelli all’Eterno e lo abbiamo rinnegato, ci siamo tirati indietro dal seguire il nostro Dio, abbiamo parlato di oppressione e di rivolta, abbiamo concepito e meditato in cuore parole di menzogna. La rettitudine si è ritirata e la giustizia è rimasta lontana; poiché la verità soccombe sulla piazza pubblica e la rettitudine non può entrarvi; la verità è scomparsa e chi si allontana dal male si espone a essere spogliato. L’Eterno ha visto, e gli è dispiaciuto che non ci sia più rettitudine; ha visto che non c’era più un uomo e si è stupito che nessuno intervenisse; allora il suo braccio gli è venuto in aiuto, e la sua giustizia lo ha sostenuto; egli si è rivestito di giustizia come di una corazza, si è messo in capo l’elmo della salvezza, ha indossato gli abiti della vendetta, si è avvolto di gelosia come in un manto. Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere: il furore ai suoi avversari, il contraccambio ai suoi nemici; alle isole darà la loro retribuzione. Così si temerà il nome dell’Eterno dall’occidente e la sua gloria dall’oriente; quando l’avversario verrà come una fiumana, lo Spirito dell’Eterno lo metterà in fuga. “Un redentore verrà per Sion e per quelli di Giacobbe che si convertiranno dalla loro rivolta”, dice l’Eterno. “Quanto a me”, dice l’Eterno, “questo è il patto che io stabilirò con loro: il mio Spirito che riposa su di te e le mie parole che ho messo nella tua bocca non si allontaneranno mai dalla tua bocca né dalla bocca della tua discendenza né dalla bocca della discendenza della tua discendenza”, dice l’Eterno, “da ora e per sempre”. “Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta e la gloria dell’Eterno è spuntata sopra di te! Poiché, ecco, le tenebre coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli, ma su di te sorge l’Eterno e la sua gloria appare su di te. Le nazioni cammineranno alla tua luce e i re allo splendore della tua aurora. Alza gli occhi e guardati attorno: tutti si radunano e vengono da te; i tuoi figli giungono da lontano, le tue figlie arrivano, portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, il tuo cuore palpiterà forte e si allargherà, poiché l’abbondanza del mare si volgerà verso di te, la ricchezza delle nazioni verrà da te. Moltitudini di cammelli ti copriranno, dromedari di Madian e di Efa; quelli di Seba verranno tutti, portando oro e incenso e proclamando le lodi dell’Eterno. Tutte le greggi di Chedar si raduneranno presso di te, i montoni di Nebaiot saranno al tuo servizio; saliranno sul mio altare come offerta gradita, e io farò risplendere la gloria della mia casa gloriosa. Chi sono mai costoro che volano come una nuvola, come colombi verso le loro colombaie? Sono le isole che spereranno in me e avranno alla loro testa le navi di Tarsis, per ricondurre i tuoi figli da lontano con il loro argento o con il loro oro, per onorare il nome dell’Eterno, del tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti avrà glorificato. I figli dello straniero ricostruiranno le tue mura e i loro re saranno al tuo servizio; poiché io ti ho colpita nel mio sdegno, ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te. Le tue porte saranno sempre aperte; non saranno chiuse né giorno né notte, per lasciare entrare in te la ricchezza delle nazioni e i loro re in corteo. Poiché la nazione e il regno che non vorranno servirti, periranno: quelle nazioni saranno completamente distrutte. La gloria del Libano verrà a te, il cipresso, il platano e il larice verranno assieme per ornare il luogo del mio santuario, e io renderò glorioso il luogo dove posano i miei piedi. I figli di quelli che ti avranno oppresso verranno a te, abbassandosi; tutti quelli che ti avranno disprezzato si prostreranno fino alla pianta dei tuoi piedi, e ti chiameranno ‘la Città dell’Eterno’, ‘la Sion del Santo d’Israele’. Invece di essere abbandonata, odiata, al punto che anima viva non passava più da te, sarai motivo di vanto nei secoli, e di gioia per ogni età. Tu succhierai il latte delle nazioni, succhierai al seno dei re e riconoscerai che io, l’Eterno, sono il tuo Salvatore, io, il Potente di Giacobbe, sono il tuo Redentore. Invece del bronzo farò venire dell’oro; invece del ferro farò venire dell’argento; invece del legno, bronzo; invece di pietre, ferro; io ti darò la pace come magistrato, la giustizia come governatore. Non si udrà più parlare di violenza nel tuo paese, di devastazione e di rovina nei tuoi confini; ma chiamerai le tue mura: ‘Salvezza’, e le tue porte: ‘Lode’. Il sole non sarà più la tua luce nel giorno; e la luna non ti illuminerà più con il suo chiarore; ma l’Eterno sarà la tua luce perenne e il tuo Dio sarà la tua gloria. Il tuo sole non tramonterà più e la tua luna non calerà più; poiché l’Eterno sarà la tua luce perenne e i giorni del tuo lutto saranno finiti. Il tuo popolo sarà tutto quanto un popolo di giusti; essi possederanno il paese per sempre: essi, che sono il germoglio da me piantato, l’opera delle mie mani, per manifestare la mia gloria. Il più piccolo diventerà un migliaio; il minimo, una nazione potente. Io, l’Eterno, affretterò le cose a suo tempo”. Lo Spirito del Signore, dell’Eterno, è su di me, perché l’Eterno mi ha unto per portare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore rotto, per proclamare la libertà a quelli che sono in schiavitù, l’apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l’anno di grazia dell’Eterno e il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che fanno cordoglio; per mettere, per dare a quelli che fanno cordoglio in Sion, un diadema al posto di cenere, l’olio della gioia al posto del dolore, il mantello della lode al posto di uno spirito abbattuto, affinché siano chiamati querce di giustizia, la piantagione dell’Eterno per manifestare la sua gloria. Essi ricostruiranno le antiche rovine, rialzeranno i luoghi desolati nel passato, rinnoveranno le città devastate, i luoghi desolati delle trascorse generazioni. Degli stranieri staranno là a pascolare le vostre greggi, i figli dello straniero saranno i vostri agricoltori e i vostri viticoltori. Ma voi sarete chiamati “sacerdoti dell’Eterno”, e la gente vi chiamerà “ministri del nostro Dio”; voi mangerete le ricchezze delle nazioni e a voi toccherà la loro gloria. Invece della vostra vergogna, avrete una parte doppia; invece del disonore, gioirete della vostra sorte. Sì, nel loro paese possederanno il doppio e avranno una gioia eterna. Poiché io, l’Eterno, amo la giustizia, odio la rapina, frutto d’iniquità; io darò loro fedelmente la ricompensa e stabilirò con loro un patto eterno. La loro stirpe sarà nota fra le nazioni, la loro discendenza fra i popoli; tutti quelli che li vedranno riconosceranno che sono una razza benedetta dall’Eterno. Io mi rallegrerò grandemente nell’Eterno, la mia anima festeggerà nel mio Dio; poiché egli mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto nel mantello della giustizia, come uno sposo che si adorna di un diadema, come una sposa che si riveste dei suoi gioielli. Sì, come la terra produce la sua vegetazione e come un giardino fa germogliare le sue semenze, così il Signore, l’Eterno, farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le nazioni. Per amore di Sion io non tacerò, per amore di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non sorga come l’aurora e la sua salvezza come una fiaccola ardente. Allora le nazioni vedranno la tua giustizia, e tutti i re, la tua gloria; e sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca dell’Eterno indicherà; sarai una splendida corona in mano all’Eterno, un diadema regale nel palmo del tuo Dio. Non sarai chiamata più “Abbandonata”, la tua terra non sarà più detta “Desolazione”, ma tu sarai chiamata “La mia delizia è in lei”, e la tua terra “Sposata”, poiché l’Eterno riporrà in te il suo diletto e la tua terra avrà uno sposo. Come un giovane sposa una vergine, così i tuoi figli sposeranno te; come la sposa è la gioia dello sposo, così tu sarai la gioia del tuo Dio. Sulle tue mura, Gerusalemme, io ho posto delle sentinelle, che non taceranno mai, né giorno né notte: “Voi, che destate il ricordo dell’Eterno, non abbiate riposo, non date riposo a lui, finché egli non abbia ristabilito Gerusalemme e ne abbia fatto la lode di tutta la terra”. L’Eterno lo ha giurato per la sua destra e per il suo braccio potente: “Io non darò mai più il tuo frumento come cibo ai tuoi nemici; e i figli dello straniero non berranno più il tuo vino, frutto delle tue fatiche; ma quelli che avranno raccolto il frumento lo mangeranno e loderanno l’Eterno, e quelli che avranno vendemmiato berranno il vino nei cortili del mio santuario”. Passate, passate per le porte! Preparate la via per il popolo! Aggiustate, aggiustate la strada, toglietene le pietre, alzate una bandiera davanti ai popoli! Ecco, l’Eterno proclama fino agli estremi confini della terra: “Dite alla figlia di Sion: ‘Ecco, la tua salvezza giunge; ecco, egli ha con sé il suo salario e la sua retribuzione lo precede’”. Quelli saranno chiamati “Il popolo santo”, “I redenti dell’Eterno”, e tu sarai chiamata “Ricercata”, “La città non abbandonata”. Chi è costui che giunge da Edom, da Bosra, con le vesti splendide? costui, magnificamente ammantato, che cammina fiero nella grandezza della sua forza? “Sono io, che parlo con giustizia, che sono potente a salvare”. Perché questo rosso sul tuo mantello e perché le tue vesti sono come quelle di chi pigia l’uva nel tino? “Io sono stato solo a pigiare l’uva nel tino e nessun uomo fra i popoli è stato con me; io li ho pigiati nella mia ira, li ho calpestati nel mio furore; il loro sangue è spruzzato sulle mie vesti, e ho macchiato tutti i miei abiti. Poiché il giorno della vendetta, che era nel mio cuore, e il mio anno di redenzione sono giunti. Io guardai, ma non c’era chi mi aiutasse; osservai stupito, ma nessuno mi sosteneva; allora il mio braccio mi ha salvato e il mio furore mi ha sostenuto. Ho calpestato dei popoli nella mia ira, li ho ubriacati del mio furore e ho fatto scorrere il loro sangue sulla terra”. Io voglio ricordare le benignità dell’Eterno, le lodi dell’Eterno, considerando tutto quello che l’Eterno ci ha elargito; ricorderò la bontà che ha usato verso la casa d’Israele, secondo le sue compassioni e secondo l’abbondanza delle sue grazie. Egli aveva detto: “Certo, essi sono mio popolo, figli che non mi inganneranno”. Fu il loro salvatore in tutte le loro angosce. Non fu un inviato, né un angelo ma egli stesso a salvarli; nel suo amore e nella sua compassione li redense; se li prese in spalla e li portò sempre nei tempi passati; ma essi furono ribelli, contristarono il suo santo Spirito. Perciò egli si trasformò in loro nemico, ed egli stesso combatté contro di loro. Allora il suo popolo si ricordò dei giorni antichi di Mosè: “Dov’è colui che li fece uscire dal mare con il pastore del suo gregge? Dov’è colui che metteva in mezzo a loro lo Spirito suo santo? che faceva andare il suo braccio glorioso alla destra di Mosè? che divise le acque davanti a loro per acquistarsi una rinomanza eterna? che li condusse attraverso gli abissi, come un cavallo nel deserto, senza che inciampassero?”. Come il bestiame che scende nella valle, lo Spirito dell’Eterno li condusse al riposo. Così tu guidasti il tuo popolo, per acquistarti una rinomanza gloriosa. Guarda dal cielo, e osserva, dalla tua dimora santa e gloriosa: dove sono il tuo zelo, i tuoi atti potenti? Il fremito delle tue viscere e le tue compassioni non si fanno più sentire verso di me. Tuttavia, tu sei nostro padre; poiché Abraamo non sa chi siamo, e Israele non ci riconosce; tu, o Eterno, sei nostro padre, il tuo nome, in ogni tempo, è “Redentore nostro”. Eterno, perché ci fai vagare lontano dalle tue vie e rendi duro il nostro cuore perché non ti tema? Ritorna, per amore dei tuoi servi, delle tribù della tua eredità! Per poco tempo il tuo popolo santo ha posseduto il paese; i nostri nemici hanno calpestato il tuo santuario. Noi siamo diventati come quelli che tu non hai mai governato, come quelli che non portano il tuo nome! Oh, squarciassi tu pure i cieli, e scendessi! Davanti a te sarebbero scossi i monti. Come il fuoco accende i rami secchi, come il fuoco fa bollire l’acqua, tu faresti conoscere il tuo nome ai tuoi avversari e le nazioni tremerebbero davanti a te. Quando facesti le cose tremende che noi non ci aspettavamo, tu discendesti e i monti furono scossi davanti a te. Mai si era udito, mai orecchio aveva sentito dire, mai occhio aveva visto che un altro Dio, all’infuori di te, agisse in favore di chi spera in lui. Tu vai incontro a chi gode nel praticare la giustizia, a chi, camminando nelle tue vie, si ricorda di te; ma tu ti sei adirato contro di noi, perché abbiamo peccato in passato; come potremo esser salvati? Tutti quanti siamo diventati come l’uomo impuro e tutta la nostra giustizia come un abito sporco; tutti quanti appassiamo come una foglia e le nostre iniquità ci portano via come il vento. Non c’è più nessuno che invochi il tuo nome, che si risvegli per attenersi a te; poiché tu ci hai nascosto il tuo volto e ci lasci consumare dalle nostre iniquità. Tuttavia, o Eterno, tu sei nostro padre; noi siamo l’argilla, tu colui che ci formi: noi siamo tutti l’opera delle tue mani. Non ti adirare fino all’estremo, o Eterno! e non ti ricordare dell’iniquità per sempre; ecco, guarda, ti preghiamo; noi siamo tutti tuo popolo. Le tue città sante sono un deserto; Sion è un deserto, Gerusalemme, una desolazione. La nostra casa, santa e magnifica, dove i nostri padri ti celebrarono, è diventata preda alle fiamme e tutto quello che avevamo di più caro è stato devastato. Davanti a queste cose ti tratterrai tu, o Eterno? tacerai e ci affliggerai fino all’estremo? “Io sono stato ricercato da quelli che prima non chiedevano di me, sono stato trovato da quelli che prima non mi cercavano. Ho detto: ‘Eccomi, eccomi’ a una nazione che non portava il mio nome. Ho steso tutto il giorno le mani verso un popolo ribelle che cammina per una via non buona, seguendo i propri pensieri; verso un popolo che mi provoca sempre sfacciatamente, che offre sacrifici nei giardini e fa bruciare profumi sui mattoni; che sta fra i sepolcri e passa le notti nelle caverne, che mangia carne di maiale e ha nei suoi vasi pietanze impure; che dice: ‘Fatti in là, non ti accostare perché io sono più santo di te’. Cose simili sono per me fumo nel naso, un fuoco che brucia da mattina a sera. Ecco, tutto ciò sta scritto davanti a me: io non tacerò, anzi vi darò la retribuzione, sì, vi verserò in grembo la retribuzione delle vostre iniquità”, dice l’Eterno, “e, al tempo stesso, delle iniquità dei vostri padri, che hanno fatto bruciare profumi sui monti e mi hanno oltraggiato sui colli, io misurerò loro in grembo il salario della loro condotta passata”. Così parla l’Eterno: “Come quando si trova del succo nel grappolo si dice: ‘Non lo distruggere perché lì c’è una benedizione’, così farò io, per amore dei miei servi, e non distruggerò tutto. Io farò uscire da Giacobbe una discendenza e da Giuda un erede dei miei monti; i miei eletti possederanno il paese e i miei servitori vi abiteranno. Saron sarà un recinto di greggi, e la valle di Acor, un luogo di riposo per le mandrie, per il mio popolo che mi avrà cercato. Ma voi, che abbandonate l’Eterno, che dimenticate il mio monte santo, che apparecchiate la mensa a Gad e riempite la coppa del vino profumato a Meni, io vi destino alla spada e vi chinerete tutti per essere sgozzati; poiché io ho chiamato, e voi non avete risposto; ho parlato e voi non avete dato ascolto, ma avete fatto ciò che è male ai miei occhi e avete preferito ciò che mi dispiace”. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: “Ecco, i miei servi mangeranno, ma voi avrete fame; ecco, i miei servi berranno, ma voi avrete sete; ecco, i miei servi gioiranno, ma voi sarete confusi; ecco, i miei servi canteranno per la gioia del loro cuore, ma voi griderete per l’angoscia del vostro cuore, e urlerete perché avrete lo spirito affranto. Lascerete il vostro nome come un’imprecazione fra i miei eletti: ‘Così il Signore, l’Eterno, faccia morire te!’; ma egli darà ai suoi servitori un altro nome, in modo che chi si augurerà di essere benedetto nel paese, lo farà per l’Iddio di verità, e colui che giurerà nel paese, giurerà per l’Iddio di verità; perché le afflizioni di prima saranno dimenticate e saranno nascoste ai miei occhi. Poiché, ecco, io creo dei nuovi cieli e una nuova terra; non ci si ricorderà più delle cose di prima, esse non torneranno più in memoria. Rallegratevi, sì, festeggiate per sempre per quanto io sto per creare; poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio e il suo popolo per la gioia. Io esulterò a motivo di Gerusalemme e gioirò del mio popolo; là non si udranno più voci di pianto né grida d’angoscia; non ci sarà più, in futuro, bimbo nato per pochi giorni, né vecchio che non compia il numero dei suoi anni; chi morirà a cento anni morirà giovane e il peccatore sarà colpito dalla maledizione a cento anni. Essi costruiranno case e le abiteranno; pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non costruiranno più perché un altro abiti, non pianteranno più perché un altro mangi; poiché i giorni del mio popolo saranno come i giorni degli alberi e i miei eletti godranno a lungo dell’opera delle loro mani. Non si affaticheranno invano, non avranno più figli per vederli morire all’improvviso; poiché saranno la discendenza dei benedetti dall’Eterno e i loro eredi staranno con essi. E avverrà che, prima che m’invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi. Il lupo e l’agnello pascoleranno assieme, il leone mangerà la paglia come il bue, e il serpente si nutrirà di polvere. Non si farà più danno né male su tutto il mio monte santo”, dice l’Eterno. Così parla l’Eterno: “Il cielo è il mio trono e la terra è lo sgabello dei miei piedi; quale casa potreste costruirmi? e quale potrebbe essere il luogo del mio riposo? Tutte queste cose le ha fatte la mia mano e così sono tutte venute all’esistenza”, dice l’Eterno. “Ecco su chi io poserò lo sguardo: su chi è umile, ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola. Chi immola un bue è come se uccidesse un uomo; chi sacrifica un agnello, come se uccidesse un cane; chi presenta un’oblazione, come se offrisse sangue di maiale; chi fa un profumo d’incenso, come se benedicesse un idolo. Come costoro hanno scelto le loro vie e la loro anima prende piacere nelle loro abominazioni, così sceglierò io la loro sventura e farò piombare loro addosso quello che temono; poiché io ho chiamato e nessuno ha risposto; ho parlato ed essi non hanno dato ascolto, ma hanno fatto ciò che è male ai miei occhi e hanno preferito ciò che mi dispiace”. Ascoltate la parola dell’Eterno, voi che tremate alla sua parola. “I vostri fratelli che vi odiano e vi scacciano a causa del mio nome, dicono: ‘Si mostri l’Eterno nella sua gloria, affinché possiamo vedere la vostra gioia!’. Ma essi saranno confusi. Uno strepito esce dalla città, un clamore viene dal tempio. È la voce dell’Eterno, che dà la retribuzione ai suoi nemici. Prima di provare le doglie del parto, essa ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio. Chi ha udito mai una cosa simile? chi ha mai visto cose come queste? Un paese nasce forse in un giorno? una nazione viene forse alla luce in una volta? Ma Sion, appena ha sentito le doglie, ha subito partorito i suoi figli. Io che preparo la nascita non farei partorire?”, dice l’Eterno, “io che faccio partorire, chiuderei il grembo materno?”, dice il tuo Dio. “Rallegratevi con Gerusalemme e festeggiate a causa sua, voi tutti che la amate! Gioite grandemente con lei, voi tutti che siete in lutto per lei, affinché siate allattati e saziati al seno delle sue consolazioni; affinché beviate a lunghi sorsi, e con delizia, l’abbondanza della sua gloria”. Poiché così parla l’Eterno: “Ecco, io dirigerò la pace verso di lei come un fiume, e la ricchezza delle nazioni come un torrente che straripa; voi sarete allattati, sarete portati in braccio e accarezzati sulle ginocchia. Come un uomo che sua madre consola, così io consolerò voi, e sarete consolati in Gerusalemme”. Voi lo vedrete, il vostro cuore si rallegrerà e le vostre ossa, come l’erba, riprenderanno vigore; la mano dell’Eterno si farà conoscere in favore dei suoi servi, e la sua indignazione, contro i suoi nemici. Poiché ecco, l’Eterno verrà nel fuoco, e i suoi carri saranno come l’uragano per dare la retribuzione della sua ira con furore, per eseguire le sue minacce con fiamme di fuoco. Poiché l’Eterno eserciterà il suo giudizio con il fuoco e con la sua spada, contro ogni carne; gli uccisi dall’Eterno saranno molti. “Quelli che si santificano e si purificano per andare nei giardini dietro all’idolo che è là in mezzo, quelli che mangiano carne di maiale, cose abominevoli e topi, saranno tutti quanti consumati”, dice l’Eterno. “Io conosco le loro opere e i loro pensieri; il tempo è giunto per raccogliere tutte le nazioni e tutte le lingue; ed esse verranno e vedranno la mia gloria. Io metterò un segnale fra loro, manderò alcuni dei loro scampati alle nazioni: a Tarsis, a Pul e a Lud che tirano l’arco, a Tubal e a Iavan, alle isole lontane che non hanno mai udito la mia fama e non hanno mai visto la mia gloria; essi proclameranno la mia gloria fra le nazioni. Ricondurranno tutti i vostri fratelli, tra tutte le nazioni, come un’offerta all’Eterno, su cavalli, su carri, su lettighe, su muli, su dromedari, al mio monte santo, a Gerusalemme”, dice l’Eterno, “nel modo in cui i figli d’Israele portano le loro offerte in un vaso puro alla casa dell’Eterno. Tra di loro prenderò pure alcuni come sacerdoti e come Leviti”, dice l’Eterno. “Poiché come i nuovi cieli e la nuova terra che io sto per creare sussisteranno stabili davanti a me”, dice l’Eterno, “così sussisteranno la vostra discendenza, e il vostro nome. E avverrà che, di novilunio in novilunio e di sabato in sabato, ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me”, dice l’Eterno. “Quando gli adoratori usciranno, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati a me; poiché il loro verme non morirà, e il loro fuoco non si estinguerà; e saranno in orrore a ogni carne”. Parole di Geremia, figlio di Chilchia, uno dei sacerdoti che stavano ad Anatot, nel paese di Beniamino. La parola dell’Eterno gli fu rivolta al tempo di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, il tredicesimo anno del suo regno, e al tempo di Ieoiachim, figlio di Giosia, re di Giuda, fino alla fine dell’undicesimo anno di Sedechia, figlio di Giosia, re di Giuda, fino a quando Gerusalemme fu deportata, il che avvenne nel quinto mese. La parola dell’Eterno mi fu rivolta, dicendo: “Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; e prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni”. E io risposi: “Ahimè, Signore, Eterno, io non so parlare, poiché non sono che un ragazzo”. Ma l’Eterno mi disse: “Non dire: ‘Sono un ragazzo’, poiché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti comanderò. Non li temere, perché io sono con te per liberarti, dice l’Eterno”. Poi l’Eterno stese la mano e mi toccò la bocca; e l’Eterno disse: “Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca. Vedi, io ti costituisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per sradicare, per demolire, per abbattere, per distruggere, per costruire e per piantare”. Poi la parola dell’Eterno mi fu rivolta, dicendo: “Geremia, che cosa vedi?”, io risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. E l’Eterno mi disse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per mandarla a effetto”. E la parola dell’Eterno mi fu rivolta per la seconda volta, dicendo: “Che cosa vedi?”. Io risposi: “Vedo una grande pentola che bolle e ha la bocca vòlta dal settentrione in qua”. E l’Eterno mi disse: “Dal settentrione verrà fuori la calamità su tutti gli abitanti del paese. Poiché, ecco, io sto per chiamare tutti i popoli dei regni del settentrione”, dice l’Eterno, “essi verranno, e porranno ognuno il proprio trono all’ingresso delle porte di Gerusalemme, contro tutte le sue mura intorno e contro tutte le città di Giuda. Pronuncerò i miei giudizi contro di loro, a causa di tutta la loro malvagità, perché mi hanno abbandonato e hanno offerto il loro profumo ad altri dèi e si sono prostrati davanti all’opera delle loro mani. Tu dunque, cingiti i fianchi, àlzati e di’ loro tutto quello che io ti comanderò. Non ti intimorire a causa loro, affinché io non ti renda intimorito in loro presenza. Ecco, oggi io ti stabilisco come una città fortificata, come una colonna di ferro e come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda, contro i suoi principi, contro i suoi sacerdoti e contro il popolo del paese. Essi ti faranno la guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per liberarti”, dice l’Eterno. La parola dell’Eterno mi fu ancora rivolta, dicendo: “Va’, e grida agli orecchi di Gerusalemme: ‘Così dice l’Eterno: Io mi ricordo dell’affetto che avevi per me quando eri giovane, del tuo amore quando eri fidanzata, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata. Israele era consacrato all’Eterno, le primizie della sua rendita; tutti quelli che lo divoravano si rendevano colpevoli, e la calamità piombava su di loro’, dice l’Eterno”. Ascoltate la parola dell’Eterno, o casa di Giacobbe, e voi tutte le famiglie della casa d’Israele! Così parla l’Eterno: “Quale iniquità hanno trovato i vostri padri in me, che si sono allontanati da me, e sono andati dietro alla vanità, e sono diventati essi stessi vanità? Essi non hanno detto: ‘Dov’è l’Eterno che ci ha fatto uscire dal paese d’Egitto, che ci ha condotti attraverso il deserto, per un paese di solitudine e di crepacci, per un paese di aridità e di ombra di morte, per un paese per il quale nessuno passò mai e dove non abitò mai nessuno?’. Io vi ho condotti in un paese che è un frutteto, perché ne mangiaste i frutti e i buoni prodotti; ma voi, quando vi siete entrati, avete contaminato il mio paese e avete fatto della mia eredità un’abominazione. I sacerdoti non hanno detto: ‘Dov’è l’Eterno?’ i depositari della legge non mi hanno conosciuto, i pastori mi sono stati infedeli, i profeti hanno profetizzato nel nome di Baal, e sono andati dietro a cose che non giovano a nulla. Perciò io contenderò ancora in giudizio con voi”, dice l’Eterno, “e contenderò con i figli dei vostri figli. Passate dunque nelle isole di Chittim, e guardate! Mandate a Chedar e osservate bene, e guardate se avvenne mai qualcosa di simile! C’è forse una nazione che abbia cambiato i suoi dèi, sebbene non siano dèi? Ma il mio popolo ha cambiato la sua gloria per ciò che non giova a nulla. O cieli, stupite di questo; inorridite e restate attoniti”, dice l’Eterno. “Poiché il mio popolo ha commesso due mali: ha abbandonato me, la sorgente di acqua viva, e si è scavato delle cisterne, delle cisterne screpolate, che non tengono l’acqua”. “Israele è forse uno schiavo? è forse uno schiavo nato in casa? Perché dunque è diventato una preda? I leoncelli ruggiscono contro di lui, fanno udire la loro voce e riducono il suo paese in una desolazione; le sue città sono bruciate e non ci sono più abitanti. Perfino gli abitanti di Nof e di Tafanes ti divorano il cranio. Tutto questo non ti succede forse perché hai abbandonato l’Eterno, il tuo Dio, mentre egli ti conduceva per la buona via? E ora, cosa ci fai sulla strada che conduce in Egitto per andare a bere l’acqua del Nilo? Che cosa ci fai sulla strada che conduce in Assiria per andare a bere l’acqua del fiume? La tua malvagità è quella che ti castiga e le tue infedeltà sono la tua punizione. Sappi dunque e vedi che cattiva e amara cosa è abbandonare l’Eterno, il tuo Dio, e il non avere di me nessun timore”, dice il Signore, l’Eterno degli eserciti. “Già da lungo tempo tu hai spezzato il tuo giogo, rotto i tuoi legami, e hai detto: ‘Non voglio più servire!’. Ma sopra ogni alto colle e sotto ogni albero verdeggiante ti sei buttata giù come una prostituta. Eppure, io ti avevo piantato come una nobile vigna tutta del migliore ceppo; come mai ti sei trasformata in germogli degenerati di una vigna straniera? Anche se ti lavassi con la soda e usassi molto sapone, la tua iniquità lascerebbe una macchia davanti a me”, dice il Signore, l’Eterno. “Come puoi dire: ‘Io non mi sono contaminata, non sono andata dietro ai Baal?’. Guarda i tuoi passi nella valle, riconosci quello che hai fatto, dromedaria leggera e vagabonda! Asina selvatica, abituata al deserto, che aspira l’aria nell’ardore della sua passione, chi le impedirà di soddisfare la sua smania? Tutti quelli che la cercano non devono affaticarsi: la trovano nel suo mese. Guarda che il tuo piede non si scalzi e che la tua gola non si inaridisca! Ma tu hai detto: ‘Non c’è rimedio; no, io amo gli stranieri, e andrò dietro a loro!’. Come il ladro è confuso quando è colto sul fatto, così sono confusi quelli della casa d’Israele: essi, i loro re, i loro capi, i loro sacerdoti e i loro profeti, i quali dicono al legno: ‘Tu sei mio padre’, e alla pietra: ‘Tu ci hai dato la vita!’. Poiché essi mi hanno voltato le spalle e non la faccia; ma nel tempo della loro sventura dicono: ‘Àlzati e salvaci!’. Dove sono i tuoi dèi che ti sei fatto? Si alzino, se ti possono salvare nel tempo della tua sventura! Perché, o Giuda, tu hai tanti dèi quante città. Perché contendete con me? Voi tutti mi siete stati infedeli”, dice l’Eterno. “Invano ho colpito i vostri figli; non ne hanno ricevuto correzione; la vostra spada ha divorato i vostri profeti come un leone distruttore. O generazione, considera la parola dell’Eterno! Sono stato un deserto per Israele? o un paese di fitte tenebre? Perché il mio popolo dice: ‘Noi siamo liberi, non vogliamo tornare più a te?’. La fanciulla può forse dimenticare i suoi ornamenti, o la sposa la sua cintura? Eppure, il mio popolo ha dimenticato me, da giorni innumerevoli. Come sei brava a trovare la via per correre dietro ai tuoi amori! Perfino alle donne cattive hai insegnato i tuoi modi! Perfino nei bordi della tua veste si trova il sangue di poveri innocenti, che tu non hai colto in flagrante delitto di scasso; eppure, dopo tutto questo, tu dici: ‘Io sono innocente; certo, la sua ira si è allontanata da me’. Ecco, io entrerò in giudizio con te, perché hai detto: ‘Non ho peccato’. Perché hai tanta premura di cambiare il tuo cammino? Anche dall’Egitto riceverai confusione, come già l’hai ricevuta dall’Assiria. Anche di là uscirai con le mani sul capo; perché l’Eterno rigetta quelli nei quali tu confidi, e tu non riuscirai nel tuo intento per mezzo di loro”. L’Eterno dice: “Se un uomo ripudia sua moglie e questa se ne va da lui e si sposa con un altro, quell’uomo torna forse ancora da lei? Il paese stesso non ne sarebbe forse tutto profanato? E tu, che ti sei prostituita con molti amanti, ritorneresti da me?”, dice l’Eterno. “Alza gli occhi verso le alture, e guarda: Dov’è che non ti sei prostituita? Tu sedevi per le vie ad aspettare i passanti, come fa l’Arabo nel deserto, hai contaminato il paese con le tue prostituzioni e con le tue malvagità. Perciò le grandi piogge sono state trattenute e non c’è stata pioggia di primavera; ma tu hai avuto una fronte da prostituta e non hai voluto vergognarti. E ora, non è forse vero? tu gridi a me: ‘Padre mio, tu sei stato l’amico della mia giovinezza! Egli sarà adirato per sempre? Serberà forse la sua ira fino alla fine?’. Ecco, tu parli così, ma intanto commetti tutto il male che puoi!”. L’Eterno mi disse al tempo del re Giosia: “Hai visto quello che l’infedele Israele ha fatto? È andata sopra ogni alto monte e sotto ogni albero verdeggiante, e là si è prostituita. Io dicevo: ‘Dopo che avrà fatto tutte queste cose, tornerà a me’; ma non è ritornata; e sua sorella, la perfida Giuda, lo ha visto. E benché io avessi ripudiato l’infedele Israele a causa di tutti i suoi adulteri e le avessi dato la sua lettera di divorzio, ho visto che sua sorella, la perfida Giuda, non ha avuto nessun timore, ed è andata a prostituirsi anche lei. Con il rumore delle sue prostituzioni Israele ha contaminato il paese, e ha commesso adulterio con la pietra e con il legno; nonostante tutto questo, la sua perfida sorella non è tornata a me con tutto il suo cuore, ma con finzione”, dice l’Eterno. L’Eterno mi disse: “L’infedele Israele si è mostrata più giusta della perfida Giuda’. Va’, proclama queste parole verso il settentrione, e di’: ‘Torna, o infedele Israele’, dice l’Eterno; ‘io non vi mostrerò un viso accigliato, poiché io sono misericordioso’, dice l’Eterno, ‘e non serbo l’ira per sempre. Soltanto riconosci la tua iniquità: tu sei stata infedele all’Eterno, al tuo Dio, hai diretto qua e là i tuoi passi verso gli stranieri, sotto ogni albero verdeggiante, e non hai dato ascolto alla mia voce’”, dice l’Eterno. “Tornate o figli traviati”, dice l’Eterno, “poiché io sono il vostro Signore e vi prenderò, uno da una città, due da una famiglia, e vi ricondurrò a Sion; vi darò dei pastori secondo il mio cuore, che vi pasceranno con conoscenza e con intelligenza. Quando sarete moltiplicati e avrete fruttato nel paese, allora”, dice l’Eterno, “non si dirà più: ‘L’arca del patto dell’Eterno!’ non la si penserà più, non la si menzionerà più, non la si rimpiangerà più, non se ne farà un’altra. Allora Gerusalemme sarà chiamata ‘il trono dell’Eterno’; tutte le nazioni si raduneranno a Gerusalemme nel nome dell’Eterno, e non cammineranno più secondo la caparbietà del loro cuore malvagio. In quei giorni, la casa di Giuda camminerà con la casa d’Israele, e verranno assieme dal paese del settentrione al paese che io diedi in eredità ai vostri padri. Io avevo detto: ‘Quale posto ti darò tra i miei figli! Che paese delizioso ti darò! la più bella eredità delle nazioni!’. Avevo detto: ‘Tu mi chiamerai: - Padre mio! - e non cesserai di seguirmi’. Ma, proprio come una donna è infedele al suo amante, così voi siete stati infedeli a me, o casa d’Israele!”, dice l’Eterno. Una voce si è fatta udire sulle alture; sono i pianti, le supplicazioni dei figli d’Israele, perché hanno pervertito la loro via, hanno dimenticato l’Eterno, il loro Dio. “Tornate, o figli traviati, io vi guarirò dei vostri traviamenti!”, “Eccoci, noi veniamo a te, perché tu sei l’Eterno, il nostro Dio. Sì, certo, vano è il soccorso che si aspetta dalle alture, dalle feste strepitose sui monti; sì, nell’Eterno, nel nostro Dio, sta la salvezza d’Israele. La vergogna ha divorato il prodotto della fatica dei nostri padri fin dalla nostra giovinezza, le loro pecore e i loro buoi, i loro figli e le loro figlie. Corichiamoci nella nostra vergogna e ci copra la nostra infamia! poiché abbiamo peccato contro l’Eterno, il nostro Dio: noi e i nostri padri, dalla nostra infanzia fino a questo giorno; e non abbiamo dato ascolto alla voce dell’Eterno, che è il nostro Dio”. “O Israele, se tu torni”, dice l’Eterno, “se tu torni a me, e se togli dalla mia presenza le tue abominazioni, se non vai più vagando qua e là e giuri per l’Eterno che vive, con verità, con rettitudine e con giustizia, allora le nazioni saranno benedette in lui e in lui si glorieranno”. Poiché così parla l’Eterno a quelli di Giuda e di Gerusalemme: “Dissodatevi un campo nuovo, e non seminate fra le spine! Circoncidetevi per l’Eterno, circoncidete i vostri cuori, o uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme, affinché il mio furore non scoppi come un fuoco, e non si infiammi in modo che nessuno possa spegnerlo, a causa della malvagità delle vostre azioni!”. “Annunciate in Giuda, proclamate questo in Gerusalemme e dite: ‘Suonate le trombe nel paese!’ gridate forte e dite: ‘Radunatevi ed entriamo nelle città fortificate!’. Alzate la bandiera verso Sion, cercate un rifugio, non vi fermate, perché io faccio venire dal settentrione una calamità e una grande rovina”. Un leone balza fuori dal folto del bosco, un distruttore di nazioni si è messo in viaggio, ha lasciato il suo luogo, per ridurre il tuo paese in desolazione, al punto che le tue città saranno rovinate e prive di abitanti. Perciò, vestitevi di sacchi, fate cordoglio, lamentatevi! perché l’ardente ira dell’Eterno non si è allontanata da noi. “In quel giorno avverrà”, dice l’Eterno, “che il cuore del re e il cuore dei capi verranno meno, i sacerdoti saranno attoniti, e i profeti stupefatti”. Allora io dissi: “Ahi! Signore, Eterno! tu hai dunque ingannato questo popolo e Gerusalemme dicendo: ‘Voi avrete pace’, mentre la spada penetra fino all’anima”. In quel tempo si dirà a questo popolo e a Gerusalemme: “Un vento ardente viene dalle alture del deserto verso la figlia del mio popolo, non per vagliare, non per mondare il grano; un vento anche più impetuoso di quello verrà da parte mia; ora anche io pronuncerò la sentenza contro di loro”. Ecco, l’invasore sale come fanno le nuvole, e i suoi carri sono come un turbine; i suoi cavalli sono più rapidi delle aquile. Guai a noi! poiché siamo devastati! Gerusalemme, purifica il tuo cuore dalla malvagità, affinché tu sia salvata. Fino a quando albergheranno in te i tuoi pensieri iniqui? Poiché una voce che viene da Dan annuncia la calamità e la proclama dai colli di Efraim. “Avvertitene le nazioni, fatelo sapere a Gerusalemme: degli assedianti vengono da un paese lontano e mandano le loro grida contro le città di Giuda. Si sono posti contro Gerusalemme da ogni lato, come guardie di un campo, perché essa si è ribellata contro di me”, dice l’Eterno. “Il tuo comportamento e le tue azioni ti hanno attirato queste cose; questo è il frutto della tua malvagità; sì, è amaro; sì, è una cosa che ti arriva al cuore”. Le mie viscere! le mie viscere! Sento un grande dolore! Le pareti del mio cuore! Il mio cuore mi freme in petto! Io non posso tacere; poiché, anima mia, tu odi il suono della tromba, il grido di guerra. Si annuncia rovina sopra rovina, poiché tutto il paese è devastato. Le mie tende sono distrutte all’improvviso, i miei padiglioni in un attimo. Fino a quando vedrò la bandiera e udrò il suono della tromba? “Veramente il mio popolo è stolto, non mi conosce; sono dei figli insensati e non hanno intelligenza; sono sapienti per fare il male; ma il bene non lo sanno fare”. Io guardo la terra, ed ecco è desolata e deserta; i cieli, e sono senza luce. Guardo i monti, ed ecco tremano e tutti i colli sono agitati. Guardo, ed ecco non c’è uomo; tutti gli uccelli del cielo sono volati via. Guardo, ed ecco il Carmelo è un deserto; tutte le sue città sono abbattute davanti all’Eterno, davanti alla sua ira ardente. Poiché così parla l’Eterno: “Tutto il paese sarà desolato, ma io non lo finirò del tutto. Per questo motivo, la terra fa cordoglio, e i cieli di sopra si oscurano; perché io l’ho detto, l’ho stabilito e non me ne pento, non ritratterò”. Al rumore dei cavalieri e degli arcieri tutte le città sono in fuga; tutti entrano nel folto dei boschi, montano sulle rocce; tutte le città sono abbandonate e non c’è più nessun abitante. E tu che stai per essere devastata, che fai? Hai un bel vestirti di scarlatto, un bel metterti i tuoi ornamenti d’oro, un bell’ingrandirti gli occhi con il belletto! Invano ti abbellisci; i tuoi amanti ti disprezzano, vogliono la tua vita. Poiché io odo delle grida come di una donna che è nei dolori; un’angoscia come quella di una donna nel suo primo parto; è la voce della figlia di Sion, che sospira ansimando e stende le mani: “Ahi, povera me! La mia anima viene meno davanti agli assassini”. “Andate per le vie di Gerusalemme, guardate, informatevi e cercate per le sue piazze se vi trovate un uomo, se ce n’è uno solo che operi giustamente, che cerchi la fedeltà; e io perdonerò Gerusalemme. Anche quando dicono: ‘Com’è vero che l’Eterno vive’, è certo che giurano il falso”. O Eterno, i tuoi occhi non cercano forse la fedeltà? Tu li colpisci, e quelli non sentono nulla; tu li consumi, e quelli rifiutano di ricevere la correzione; essi hanno reso il loro volto più duro della roccia, rifiutano di convertirsi. Io dicevo: “Questi non sono che miseri; sono insensati perché non conoscono la via dell’Eterno, la legge del loro Dio; io andrò dai grandi e parlerò loro, perché essi conoscono la via dell’Eterno, la legge del loro Dio”; ma anche loro, tutti quanti, hanno spezzato il giogo, hanno rotto i legami. Perciò il leone della foresta li uccide, il lupo del deserto li distrugge, il leopardo sta in agguato presso le loro città; chiunque ne uscirà sarà sbranato, perché le loro trasgressioni sono numerose, le loro infedeltà sono aumentate. “Perché ti dovrei perdonare? I tuoi figli mi hanno abbandonato, e giurano per degli dèi che non esistono. Io li ho saziati e loro si danno all’adulterio, e si affollano nelle case di prostituzione. Sono come tanti stalloni ben pasciuti e focosi; ognuno di loro nitrisce dietro la moglie del prossimo. Non li dovrei punire per queste cose?” dice l’Eterno; “non dovrei vendicarmi di una simile nazione?”. “Salite sulle sue mura e distruggete, ma non la finite del tutto; portate via i suoi tralci, perché non sono dell’Eterno! Poiché la casa d’Israele e la casa di Giuda mi hanno tradito”, dice l’Eterno. Rinnegano l’Eterno, e dicono: “Non esiste; nessun male ci verrà addosso, noi non vedremo né spada né fame; i profeti non sono che vento, e nessuno parla in essi. Ciò che minacciano sia fatto a loro!”. Perciò così parla l’Eterno, l’Iddio degli eserciti: “Perché avete detto quelle parole, ecco, io farò che la mia parola sia come fuoco nella tua bocca, che questo popolo sia come legno, e che quel fuoco lo divori. Ecco, io faccio venire da lontano una nazione contro di voi, casa d’Israele”, dice l’Eterno, “una nazione valorosa, una nazione antica, una nazione della quale tu non conosci la lingua e non comprendi le parole. La sua faretra è un sepolcro aperto; tutti quanti sono dei prodi. Essa divorerà i tuoi raccolti e il tuo pane, divorerà i tuoi figli e le tue figlie, divorerà le tue pecore e i tuoi buoi, divorerà le tue vigne e i tuoi fichi; abbatterà con la spada le tue città fortificate nelle quali confidi. Ma anche in quei giorni”, dice l’Eterno, “io non ti finirò del tutto. E quando direte: ‘Perché l’Eterno, il nostro Dio, ci ha fatto tutto questo?’, tu risponderai loro: ‘Come voi mi avete abbandonato e avete servito degli dèi stranieri nel vostro paese, così servirete degli stranieri in un paese che non è vostro’”. “Annunciate questo alla casa di Giacobbe, proclamatelo in Giuda, e dite: ‘Ascoltate ora questo, o popolo stolto e senza cuore, che ha occhi e non vede, che ha orecchi e non ode. Non mi temerete?’”, dice l’Eterno, “non temerete voi davanti a me che ho posto la sabbia come limite al mare, barriera eterna, che esso non oltrepasserà mai? I suoi flutti si agitano, ma sono impotenti; rumoreggiano, ma non la sormontano. Ma questo popolo ha un cuore indocile e ribelle; si voltano indietro e se ne vanno. Non dicono nel loro cuore: ‘Temiamo l’Eterno, il nostro Dio, che dà la pioggia a suo tempo: la pioggia della prima e dell’ultima stagione, che ci mantiene le settimane fissate per la mietitura’. Le vostre iniquità hanno sconvolto queste cose e i vostri peccati vi hanno privato del benessere. Poiché fra il mio popolo si trovano degli empi che spiano, come cacciatori in agguato; essi tendono tranelli, acchiappano uomini. Come una gabbia è piena di uccelli, così le loro case sono piene di frode; perciò diventano grandi e si arricchiscono. Ingrassano, hanno il volto lucente, oltrepassano ogni limite di male. Non difendono la causa, la causa dell’orfano, eppure prosperano; e non fanno giustizia nei processi dei poveri. E non dovrei punire queste cose?” dice l’Eterno, “non dovrei vendicarmi di una simile nazione? Cose spaventevoli e orribili si fanno nel paese: i profeti profetizzano falsamente; i sacerdoti governano agli ordini dei profeti; e il mio popolo ha piacere che sia così. E cosa farete voi quando verrà la fine?”. “Figli di Beniamino, cercate un rifugio lontano da Gerusalemme, suonate la tromba in Tecoa, e innalzate un segnale su Bet-Cherem! perché dal settentrione avanza una calamità, una grande rovina. La bella, la voluttuosa figlia di Sion io la distruggo! Verso di lei vengono dei pastori con le loro greggi; essi piantano le loro tende intorno a lei; ognuno di essi bruca dal suo lato. Preparate l’attacco contro di lei; alzatevi, saliamo in pieno mezzogiorno! Guai a noi! perché il giorno declina, e le ombre della sera si allungano! Alzatevi, saliamo di notte, e distruggiamo i suoi palazzi!”. Poiché così parla l’Eterno degli eserciti: “Abbattete i suoi alberi, ed elevate un bastione contro Gerusalemme; quella è la città che deve essere punita; dovunque, in mezzo a lei, non c’è che oppressione. Come un pozzo fa scaturire le sue acque, così essa fa scaturire la sua malvagità; in lei non si sente parlare che di violenza e di rovina; davanti a me stanno continuamente sofferenze e piaghe. Correggiti, o Gerusalemme, affinché la mia anima non si allontani da te, e io non faccia di te un deserto, una terra disabitata!”. Così parla l’Eterno degli eserciti: “Il resto d’Israele sarà interamente racimolato come una vigna; ripassa la mano, come fa il vendemmiatore sui tralci. A chi parlerò io, chi prenderò come testimone perché mi ascolti? Ecco, il loro orecchio è incirconciso, essi sono incapaci di prestare attenzione; ecco, la parola dell’Eterno è diventata per loro oggetto di disprezzo e non vi trovano più nessun piacere. Ma io sono pieno del furore dell’Eterno; sono stanco di contenermi. Riversalo sui bambini per la strada e sui giovani riuniti insieme; poiché il marito e la moglie, il vecchio e l’uomo carico di anni saranno tutti presi. Le loro case saranno passate ad altri; e così pure i loro campi e le loro mogli; poiché io stenderò la mia mano sugli abitanti del paese”, dice l’Eterno. “Infatti, dal più piccolo al più grande, sono tutti quanti avidi di guadagno; dal profeta al sacerdote, tutti praticano la menzogna. Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: ‘Pace, pace’, mentre pace non c’è. Saranno confusi perché commettono delle abominazioni; non si vergognano per niente, non sanno che cosa sia arrossire; perciò cadranno fra quelli che cadono; quando io li visiterò saranno rovesciati”, dice l’Eterno. Così dice l’Eterno: “Fermatevi sulle vie, e guardate, domandate quali siano i sentieri antichi, dove sia la buona strada, e incamminatevi per essa; e voi troverete riposo alle anime vostre! Ma quelli rispondono: ‘Non ci incammineremo per essa!’. Io ho posto presso di voi delle sentinelle: ‘State attenti al suono della tromba!’. Ma quelli rispondono: ‘Non staremo attenti’. Perciò ascoltate, o nazioni! Sappiate, o assemblea dei popoli, quello che avverrà loro. Ascolta, o terra! Ecco, io faccio venire su questo popolo una calamità, frutto dei loro pensieri; perché non hanno prestato attenzione alle mie parole; e quanto alla mia legge, l’hanno rigettata. Che m’importa dell’incenso che viene da Seba, della canna odorosa che viene dal paese lontano? I vostri olocausti non mi sono graditi e i vostri sacrifici non mi piacciono”. Perciò così parla l’Eterno: “Ecco, io porrò davanti a questo popolo delle pietre di inciampo, nelle quali inciamperanno insieme padri e figli, vicini e amici, e periranno”. Così parla l’Eterno: “Ecco, un popolo viene dal paese di settentrione, una grande nazione si muove dalle estremità della terra. Essi impugnano l’arco e la freccia; sono crudeli, non hanno pietà; la loro voce è come il muggito del mare; montano cavalli; sono pronti a combattere come un solo guerriero, contro di te, o figlia di Sion”. Noi ne abbiamo udito la fama, e le nostre mani si sono indebolite; l’angoscia ci coglie, un dolore come di donna che partorisce. Non uscite nei campi, non camminate per le vie, perché la spada del nemico è là, e il terrore tutto intorno. O figlia del mio popolo, vestiti di sacco, rotolati nella cenere, fa’ lutto come per un figlio unico, fa’ udire un amaro lamento, perché il devastatore ci piomba addosso improvviso. “Io ti avevo messo fra il mio popolo come un saggiatore di metalli, perché tu conoscessi e saggiassi la loro via. Essi sono tutti dei ribelli fra i ribelli, vanno attorno seminando calunnie, sono bronzo e ferro, sono tutti dei corrotti. Il mantice soffia con forza, il piombo è consumato dal fuoco; invano si cerca di raffinare, perché le scorie non si staccano. Saranno chiamati: argento di rifiuto, perché l’Eterno li ha rigettati”. Questa è la parola che fu rivolta a Geremia da parte dell’Eterno: “Fermati alla porta della casa dell’Eterno, e là proclama questa parola: ‘Ascoltate la parola dell’Eterno, voi tutti uomini di Giuda che entrate per queste porte per prostrarvi davanti all’Eterno!’. Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Correggete le vostre vie e le vostre opere, e io vi farò abitare in questo luogo. Non ponete la vostra fiducia in parole false, dicendo: - Questo è il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno! - Ma se correggete veramente le vostre vie e le vostre opere, se praticate sul serio la giustizia gli uni verso gli altri, se non opprimete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargete sangue innocente in questo luogo e non andate per vostra sciagura dietro ad altri dèi, io altresì vi farò abitare in questo luogo, nel paese che ho dato ai vostri padri per sempre. Ecco, voi mettete la vostra fiducia in parole false, che non giovano a nulla. Voi rubate, uccidete, commettete adultèri, giurate il falso, offrite profumi a Baal, andate dietro ad altri dèi che prima non conoscevate, e poi venite a presentarvi davanti a me, in questa casa, sulla quale è invocato il mio nome, e dite - Siamo salvi! -, per poi compiere tutte queste abominazioni. È forse, ai vostri occhi, una spelonca di ladroni questa casa sulla quale è invocato il mio nome? Ecco, tutto questo io l’ho visto’, dice l’Eterno. ‘Andate dunque al mio luogo che era a Silo, dove una volta avevo posto il mio nome, e guardate come l’ho trattato, a causa della malvagità del mio popolo Israele. Ora, poiché avete commesso tutte queste cose’, dice l’Eterno, ‘poiché vi ho parlato, parlato fin dal mattino, e voi non avete dato ascolto, poiché vi ho chiamati e voi non avete risposto, io tratterò questa casa, sulla quale è invocato il mio nome e nella quale riponete la vostra fiducia, e il luogo che ho dato a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo: vi scaccerò dalla mia presenza, come ho scacciato tutti i vostri fratelli, tutta la discendenza di Efraim’. Tu non intercedere per questo popolo, non innalzare per loro suppliche o preghiere, e non insistere presso di me, perché non ti esaudirò. Non vedi quello che fanno nelle città di Giuda e nelle vie di Gerusalemme? I figli raccolgono la legna, i padri accendono il fuoco e le donne impastano la farina per fare delle focacce alla regina del cielo e per fare delle libazioni ad altri dèi, per offendermi. Ma è proprio me che offendono?” dice l’Eterno, “non offendono loro stessi, a loro vergogna?”. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: “Ecco, la mia ira, il mio furore, si riversa su questo luogo, sugli uomini e sulle bestie, sugli alberi della campagna e sui frutti della terra; essa consumerà ogni cosa e non si estinguerà”. Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: “Aggiungete i vostri olocausti ai vostri sacrifici, e mangiatene la carne! Poiché io non parlai ai vostri padri e non diedi loro nessun comandamento, quando li feci uscire dal paese d’Egitto, intorno a olocausti e a sacrifici; ma questo comandai loro: ‘Ascoltate la mia voce, sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate in tutte le vie che io vi prescrivo affinché siate felici’. Ma essi non ascoltarono, non prestarono orecchio, ma camminarono seguendo i consigli e la caparbietà del loro cuore malvagio, e invece di andare avanti si sono voltati indietro. Dal giorno che i vostri padri uscirono dal paese d’Egitto fino al giorno d’oggi, io vi ho mandato tutti i miei servi, i profeti, e ve li ho mandati ogni giorno, fin dal mattino; ma essi non mi hanno ascoltato, non hanno prestato orecchio; hanno indurito il collo; si sono comportati peggio dei loro padri. Di’ loro tutte queste cose, ma essi non ti ascolteranno; chiamali, ma essi non ti risponderanno. Perciò dirai loro: ‘Questa è la nazione che non ascolta la voce dell’Eterno, del suo Dio, e che non vuole accettare correzione; la fedeltà è perita, è venuta meno nella loro bocca’. Tagliati i capelli e gettali via, intona un lamento sulle alture, poiché l’Eterno rigetta e abbandona la generazione che è diventata oggetto della sua ira. I figli di Giuda hanno fatto ciò che è male ai miei occhi”, dice l’Eterno, “hanno collocato le loro abominazioni nella casa sulla quale è invocato il mio nome, per contaminarla. Hanno costruito gli alti luoghi di Tofet, nella valle del figlio di Innom, per bruciarvi nel fuoco i loro figli e le loro figlie: cosa che io non avevo comandato, e che non mi era mai venuta in mente. Perciò, ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “che non si dirà più ‘Tofet’ né ‘la valle del figlio di Innom’, ma ‘la valle del massacro’, e, per mancanza di spazio, si seppelliranno i morti a Tofet. I cadaveri di questo popolo serviranno da pasto agli uccelli del cielo e alle bestie della terra; e non vi sarà nessuno che li scacci. E farò cessare nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme le grida di gioia e le grida di esultanza, il canto dello sposo e il canto della sposa, perché il paese sarà una desolazione”. “In quel tempo”, dice l’Eterno, “si estrarranno dai loro sepolcri le ossa dei re di Giuda, e le ossa dei suoi principi, le ossa dei sacerdoti, le ossa dei profeti, le ossa degli abitanti di Gerusalemme, e le si esporranno davanti al sole, davanti alla luna e davanti a tutto l’esercito del cielo, i quali essi hanno amato, hanno servito, hanno seguito, hanno consultato e davanti ai quali si sono prostrati; non si raccoglieranno, non si seppelliranno, ma saranno come letame sulla faccia della terra. La morte sarà preferibile alla vita per tutto il residuo che rimarrà di questa razza malvagia, in tutti i luoghi dove li avrò cacciati”, dice l’Eterno degli eserciti. “Tu di’ loro: ‘Così parla l’Eterno: Se uno cade non si rialza forse? Se uno si svia, non torna indietro? Perché dunque questo popolo di Gerusalemme si svia di uno sviamento perenne? Essi persistono nella malafede e rifiutano di convertirsi. Io sto attento e ascolto: essi non parlano come dovrebbero; nessuno si pente della sua malvagità e dice: Che ho fatto? Ognuno riprende la sua corsa, come il cavallo che si slancia alla battaglia. Anche la cicogna conosce nel cielo le sue stagioni; la tortora, la rondine e la gru osservano il tempo quando devono venire, ma il mio popolo non conosce quello che l’Eterno ha ordinato. Come potete voi dire: - Noi siamo saggi e la legge dell’Eterno è con noi! - Sì certo, ma la penna bugiarda degli scribi ne ha falsato il senso. I saggi saranno confusi, saranno costernati, saranno presi; ecco, hanno rigettato la parola dell’Eterno; che sapienza possono avere? Perciò io darò le loro mogli ad altri e i loro campi a dei nuovi padroni; poiché dal più piccolo al più grande, sono tutti avidi di guadagno; dal profeta al sacerdote, tutti praticano la menzogna. Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: - Pace, pace -, mentre pace non c’è. Essi saranno confusi perché commettono delle abominazioni: non si vergognano affatto, non sanno che cosa sia arrossire; perciò cadranno fra quelli che cadono; quando io li visiterò saranno abbattuti’, dice l’Eterno. ‘Certo io li sterminerò’, dice l’Eterno. ‘Non c’è più uva sulla vite, non più fichi sul fico e le foglie sono appassite! Io ho dato loro dei nemici che passeranno sui loro corpi’”. Perché ce ne stiamo qui seduti? Radunatevi ed entriamo nelle città fortificate, per morire in esse! Poiché l’Eterno, il nostro Dio, ci condanna a morire, ci fa bere delle acque avvelenate, perché abbiamo peccato contro l’Eterno. Noi aspettavamo la pace, ma nessun bene giunge; aspettavamo un tempo di guarigione, ed ecco il terrore! Si ode da Dan lo sbuffare dei suoi cavalli; al rumore del nitrito dei suoi destrieri, trema tutto il paese; poiché vengono, divorano il paese e tutto ciò che contiene, la città e i suoi abitanti. “Infatti, ecco, io mando contro di voi dei serpenti, delle vipere, contro i quali non c’è incantesimo che valga; vi morderanno”, dice l’Eterno. Dove trovare conforto nel mio dolore? Il mio cuore viene meno nel petto. Ecco il grido di angoscia della figlia del mio popolo da terra lontana: “L’Eterno non è più in Sion? Il suo re non è più in mezzo a lei?”. “Perché mi hanno provocato a ira con le loro immagini scolpite e con vanità straniere?”. “La mietitura è passata, l’estate è finita e noi non siamo salvati”. Per la piaga della figlia del mio popolo io sono tutto affranto; sono in lutto, sono in preda alla costernazione. Non c’è balsamo in Galaad? Non c’è lì nessun medico? Perché dunque la piaga della figlia del mio popolo non è stata medicata? Oh, fosse la mia testa piena di acqua e fossero i miei occhi una fonte di lacrime! Io piangerei giorno e notte gli uccisi della figlia del mio popolo! Oh, se avessi nel deserto un rifugio per viandanti! Io abbandonerei il mio popolo e me ne andrei lontano da costoro, perché sono tutti adùlteri, un’adunanza di traditori. “Tendono la lingua, che è il loro arco, per scoccare menzogne; sono diventati potenti nel paese, ma non per agire con fedeltà; poiché procedono di malvagità in malvagità, e non conoscono me”, dice l’Eterno. “Si guardi ciascuno dal suo amico, e nessuno si fidi del suo fratello; poiché ogni fratello non fa che ingannare, e ogni amico va spargendo calunnie. L’uno inganna l’altro, non dice la verità, esercitano la loro lingua a mentire, si affannano a fare il male. La tua abitazione è in mezzo alla malafede; è per malafede che costoro rifiutano di conoscermi”, dice l’Eterno. Perciò, così parla l’Eterno degli eserciti: “Ecco, io li fonderò nel crogiuolo per saggiarli; poiché che altro dovrei fare riguardo alla figlia del mio popolo? La loro lingua è una freccia micidiale; essa non dice che menzogne; con la bocca ognuno parla di pace al suo prossimo, ma nel cuore gli tende insidie. Non li dovrei punire per queste cose?”, dice l’Eterno, “e la mia anima non si dovrebbe vendicare di una simile nazione?”. Io voglio prorompere in pianto e in gemito, per i monti; voglio spandere un lamento per i pascoli del deserto, perché sono arsi, al punto che non vi passa più nessuno, non vi si ode più verso di bestiame; gli uccelli del cielo e le bestie sono fuggite, sono scomparse. “Io ridurrò Gerusalemme in un monte di rovine, in un covo di sciacalli; e farò delle città di Giuda una desolazione senza abitanti”. Chi è il saggio che capisca queste cose? Chi è colui al quale la bocca dell’Eterno ha parlato perché egli lo annunci? Perché il paese è distrutto, desolato come un deserto al punto che nessuno vi passa? L’Eterno risponde: “Perché costoro hanno abbandonato la mia legge che io avevo loro messo davanti, non hanno dato ascolto alla mia voce e non l’hanno seguita nel loro comportamento; ma hanno seguito la caparbietà del loro cuore, e sono andati dietro ai Baal, come i loro padri insegnarono loro”. Perciò, così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio di Israele: “Ecco, io farò mangiare dell’assenzio a questo popolo e gli farò bere dell’acqua avvelenata. Io li disperderò fra le nazioni che né loro né i loro padri hanno conosciuto; manderò dietro di loro la spada, finché io non li abbia consumati”. Così parla l’Eterno degli eserciti: “Pensate a chiamare delle lamentatrici, e che esse vengano! Mandate a cercare le più avvedute, che esse vengano e si affrettino a fare un lamento su di noi, in modo che i nostri occhi si struggano in lacrime, e l’acqua fluisca dalle nostre palpebre. Poiché una voce di lamento si fa udire da Sion: ‘Come siamo devastati! Siamo coperti di confusione, perché dobbiamo abbandonare il paese, ora che hanno abbattuto le nostre dimore’”. Donne, ascoltate la parola dell’Eterno, e i vostri orecchi ricevano la parola della sua bocca! Insegnate alle vostre figlie dei lamenti, ognuna insegni alla sua compagna dei canti funebri! Poiché la morte è salita per le nostre finestre, è entrata nei nostri palazzi per far sparire i bambini dalle strade e i giovani dalle piazze. Di’: “Così parla l’Eterno: ‘I cadaveri degli uomini giaceranno come letame sull’aperta campagna, come un covone che il mietitore si lascia dietro e che nessuno raccoglie’”. Così parla l’Eterno: “Il saggio non si glori della sua saggezza, il forte non si glori della sua forza, il ricco non si glori della sua ricchezza; ma chi si gloria si glori di questo: che ha intelligenza e conosce me, che sono l’Eterno, che esercita la benignità, il diritto e la giustizia sulla terra; perché di queste cose mi compiaccio”, dice l’Eterno. “Ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “che io punirò tutti i circoncisi che sono incirconcisi: l’Egitto, Giuda, Edom, i figli di Ammon, Moab, e tutti quelli che si radono le tempie e abitano nel deserto; poiché tutte le nazioni sono incirconcise, e tutta la casa d’Israele è incirconcisa di cuore”. Ascoltate la parola che l’Eterno vi rivolge, o casa d’Israele! Così parla l’Eterno: “Non imparate a camminare nella via delle nazioni, e non abbiate paura dei segni del cielo, perché sono le nazioni quelle che ne hanno paura. Infatti i costumi dei popoli sono vanità; poiché si taglia un albero nella foresta e le mani dell’operaio lo lavorano con l’ascia; lo si adorna d’argento e d’oro, lo si fissa con i chiodi e con i martelli perché non si muova. Questi dèi sono come spauracchi in un campo di cocomeri, e non parlano; bisogna portarli, perché non possono camminare. Non li temete! perché non possono fare nessun male, e non è in loro potere di fare del bene”. Non c’è nessuno pari a te, o Eterno; tu sei grande, e grande in potenza è il tuo nome. Chi non ti temerebbe, re delle nazioni? Infatti questo ti è dovuto; poiché fra tutti i saggi delle nazioni e in tutti i loro regni non c’è nessuno pari a te. Ma costoro tutti insieme sono stupidi e insensati; non è che una dottrina di vanità; non è altro che legno; argento battuto in lastre portato da Tarsis, oro venuto da Ufaz, opera di scultore e di mano di orefice; sono vestiti di porpora e di scarlatto, sono tutti lavoro di abili artefici. Ma l’Eterno è il vero Dio, egli è l’Iddio vivente, e il re eterno; per la sua ira trema la terra, e le nazioni non possono reggere davanti al suo sdegno. Così direte loro: “Gli dèi che non hanno fatto i cieli e la terra, scompariranno dalla terra e da sotto il cielo”. Egli, con la sua potenza, ha fatto la terra; con la sua sapienza ha stabilito fermamente il mondo; con la sua intelligenza ha disteso i cieli. Quando fa udire la sua voce c’è un rumore di acque nel cielo; egli fa salire i vapori dalle estremità della terra, fa guizzare i lampi per la pioggia e fa uscire il vento dai suoi serbatoi; ogni uomo allora diventa stupido, privo di conoscenza; ogni orafo ha vergogna delle sue immagini scolpite; perché le sue immagini fuse sono una menzogna e non c’è soffio vitale in loro. Sono vanità, lavoro d’inganno; nel giorno del castigo, periranno. A loro non somiglia colui che è la parte di Giacobbe; perché egli è colui che ha formato tutte le cose, e Israele è la tribù della sua eredità. Il suo nome è l’Eterno degli eserciti. Raccogli da terra il tuo bagaglio, o tu che sei cinta d’assedio! Poiché così parla l’Eterno: “Ecco, questa volta io scaglierò lontano gli abitanti del paese, e li stringerò da vicino affinché non sfuggano”. Guai a me a causa della mia ferita! La mia piaga è dolorosa; ma io ho detto: “Questo è il mio male, e lo devo sopportare”. Le mie tende sono guaste, e tutto il mio cordame è rotto; i miei figli sono andati lontano da me e non sono più; non c’è più nessuno che stenda la mia tenda, che innalzi i miei padiglioni. Perché i pastori sono stati stupidi e non hanno cercato l’Eterno; perciò non hanno prosperato, e tutto il loro gregge è stato disperso. Ecco, un rumore giunge, un gran tumulto arriva dal paese del settentrione, per ridurre le città di Giuda in desolazione, in un covo di sciacalli. Eterno, io so che la via dell’uomo non è in suo potere, e che non è in potere dell’uomo che cammina il dirigere i suoi passi. O Eterno, correggimi, ma con giusta misura; non nella tua ira, perché tu non debba ridurmi a poca cosa! Riversa la tua ira sulle nazioni che non ti conoscono e sui popoli che non invocano il tuo nome; poiché hanno divorato Giacobbe; sì, lo hanno divorato, lo hanno consumato, hanno distrutto la sua dimora. Questa è la parola che fu rivolta a Geremia da parte dell’Eterno: “Ascoltate le parole di questo patto, e parlate agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme! Di’ loro: ‘Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: Maledetto l’uomo che non ascolta le parole di questo patto, che io comandai ai vostri padri il giorno che li feci uscire dal paese d’Egitto, dalla fornace di ferro, dicendo: Ascoltate la mia voce e fate tutto quello che vi comanderò, voi sarete mio popolo e io sarò vostro Dio, affinché io possa mantenere il giuramento che feci ai vostri padri, di dare loro un paese dove scorre il latte e il miele, come oggi vedete’”. Allora io risposi: “Amen, Eterno!”. L’Eterno mi disse: “Proclama tutte queste parole nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme, dicendo: ‘Ascoltate le parole di questo patto, e mettetele in pratica! Poiché io ho scongiurato i vostri padri dal giorno che li feci uscire dal paese d’Egitto fino a questo giorno, li ho scongiurati fin dal mattino, dicendo: Ascoltate la mia voce! Ma essi non l’hanno ascoltata, non hanno prestato orecchio e hanno camminato seguendo ciascuno la caparbietà del loro cuore malvagio; perciò io ho fatto venire su di loro tutto quello che avevo detto in quel patto che io avevo comandato loro di osservare, e che essi non hanno osservato’”. Poi l’Eterno mi disse: “Esiste una congiura fra gli uomini di Giuda e fra gli abitanti di Gerusalemme. Sono tornati alle iniquità dei loro padri antichi, i quali rifiutarono di ascoltare le mie parole; e sono andati anche loro dietro ad altri dèi, per servirli; la casa d’Israele e la casa di Giuda hanno violato il patto, che io avevo fatto con i loro padri”. Perciò, così parla l’Eterno: “Ecco, io faccio venire su di loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò. Allora le città di Giuda e gli abitanti di Gerusalemme andranno a gridare agli dèi ai quali offrono profumi; ma essi non li salveranno, nel tempo della calamità! Poiché, o Giuda, tu hai tanti dèi quante sono le tue città; e quante sono le strade di Gerusalemme, tanti altari avete eretti alla vergogna, altari per offrire profumi a Baal’. Tu non pregare per questo popolo, non ti mettere a gridare né a fare suppliche per loro; perché io non li esaudirò quando grideranno a me a causa della calamità che li avrà colpiti. ‘Che cosa fa il mio amato nella mia casa? Delle scelleratezze? Forse dei voti e della carne consacrata allontaneranno da te la calamità perché tu possa rallegrarti?’”. L’Eterno ti aveva chiamato ‘Ulivo verdeggiante, adorno di bei frutti’. Al rumore di un grande tumulto, egli vi appicca il fuoco e i rami sono distrutti. L’Eterno degli eserciti che ti aveva piantato pronuncia del male contro di te, a causa della malvagità commessa a loro danno dalla casa d’Israele e dalla casa di Giuda quando hanno provocato la mia ira, offrendo profumi a Baal. L’Eterno me lo ha fatto sapere, e io l’ho saputo; allora tu mi hai mostrato le loro azioni. Io ero come un docile agnello che si conduce al macello; io non sapevo che tramavano macchinazioni contro di me, dicendo: “Distruggiamo l’albero con il suo frutto e sterminiamolo dalla terra dei viventi; affinché il suo nome non sia più ricordato”. Ma, o Eterno degli eserciti, giusto giudice, che scruti le reni e il cuore, io vedrò la tua vendetta su di loro, poiché a te io rimetto la mia causa. Perciò, così parla l’Eterno riguardo a quelli di Anatot, che cercano la tua vita e dicono: “Non profetizzare nel nome dell’Eterno, se non vuoi morire per le nostre mani”. Perciò, così parla l’Eterno degli eserciti: “Ecco, io sto per punirli; i giovani moriranno per la spada, i loro figli e le loro figlie moriranno di fame; e non resterà di loro nessun residuo; poiché io farò venire la calamità su quelli di Anatot, l’anno in cui li visiterò”. Tu sei giusto, o Eterno, quando io discuto con te; tuttavia io proporrò le mie ragioni: Perché prospera la via degli empi? Perché sono tutti a loro agio quelli che agiscono perfidamente? Tu li hai piantati, essi hanno messo radice, crescono e portano anche frutto; tu sei vicino alla loro bocca, ma lontano dal loro intimo. E tu, o Eterno, tu mi conosci, tu mi vedi, tu provi quale sia il mio cuore verso di te. Trascinali al macello come pecore, e preparali per il giorno del massacro! Fino a quando farà cordoglio il paese, e si seccherà l’erba di tutta la campagna? Per la malvagità degli abitanti, le bestie e gli uccelli sono sterminati. Poiché quelli dicono: “Egli non vedrà la nostra fine”. Se, correndo con dei pedoni, questi ti stancano, come potrai gareggiare con i cavalli? Se non ti senti al sicuro che in terra di pace, come farai quando il Giordano sarà in piena? Perché perfino i tuoi fratelli e la casa di tuo padre ti tradiscono; anche loro ti gridano dietro a piena voce: non fidarti di loro quando ti diranno delle buone parole. “Io ho lasciato la mia casa, ho abbandonato la mia eredità; ho dato ciò che ho di più caro nelle mani dei suoi nemici. La mia eredità è diventata per me come un leone nella foresta; ha mandato contro di me il suo ruggito; perciò l’ho odiata. La mia eredità è stata per me come l’uccello rapace screziato; gli uccelli rapaci si gettano contro di lei da ogni parte. Andate, radunate tutte le bestie della campagna, fatele venire a divorare! Molti pastori guastano la mia vigna, calpestano la porzione che mi è toccata, riducono la mia deliziosa porzione in un deserto desolato. La riducono in una desolazione; e, tutta desolata, fa cordoglio davanti a me; tutto il paese è desolato, perché nessuno lo prende a cuore. Su tutte le alture del deserto giungono devastatori, perché la spada dell’Eterno divora il paese da un’estremità all’altra; non c’è pace per nessuno. Hanno seminato grano, e raccolgono spine; si sono affannati senza nessun profitto. Vergognatevi di ciò che raccogliete a causa dell’ira ardente dell’Eterno!”. Così parla l’Eterno contro tutti i miei malvagi vicini, che toccano l’eredità che io ho dato in possesso al mio popolo Israele: “Ecco, io li sradicherò dal loro paese, sradicherò la casa di Giuda di mezzo a loro; ma, dopo che li avrò sradicati, avrò di nuovo compassione di loro e li ricondurrò ciascuno nella sua eredità, ciascuno nel suo paese. Se impareranno accuratamente le vie del mio popolo e a giurare per il mio nome dicendo: ‘l’Eterno vive’, come hanno insegnato al mio popolo a giurare per Baal, saranno saldamente stabiliti in mezzo al mio popolo. Ma, se non danno ascolto, io sradicherò quella nazione; la sradicherò e la distruggerò”, dice l’Eterno. Così mi ha detto l’Eterno: “Va’, comprati una cintura di lino, mettitela sui fianchi, ma non la porre nell’acqua”. Così io comprai la cintura, secondo la parola dell’Eterno, e me la misi sui fianchi. E la parola dell’Eterno mi fu indirizzata per la seconda volta, in questi termini: “Prendi la cintura che hai comprato e che hai sui fianchi; va’ verso l’Eufrate, e là nascondila nella fessura di una roccia”. Io andai e la nascosi presso l’Eufrate, come l’Eterno mi aveva comandato. Dopo molti giorni l’Eterno mi disse: “Àlzati, va’ verso l’Eufrate, e togli di là la cintura, che io ti avevo comandato di nascondervi”. E io andai verso l’Eufrate, scavai, e tolsi la cintura dal luogo dove l’avevo nascosta; ed ecco, la cintura era marcita, e non era più buona a nulla. Allora la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Così parla l’Eterno: ‘In questo modo io distruggerò l’orgoglio di Giuda e il grande orgoglio di Gerusalemme, di questo popolo malvagio che rifiuta di ascoltare le mie parole, che cammina seguendo la caparbietà del suo cuore, e va dietro ad altri dèi per servirli e per prostrarsi davanti a loro; esso diventerà come questa cintura, che non è più buona a nulla. Poiché, come la cintura aderisce ai fianchi dell’uomo, così io avevo strettamente unita a me tutta la casa d’Israele e tutta la casa di Giuda’, dice l’Eterno, ‘perché fossero mio popolo, mia fama, mia lode, mia gloria; ma essi non hanno voluto dare ascolto’. Tu dirai dunque loro questa parola: ‘Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: Ogni otre sarà riempito di vino’; e quando essi ti diranno: ‘Non lo sappiamo noi che ogni otre si riempie di vino?’. Allora tu di’ loro: ‘Così parla l’Eterno: Ecco, io riempirò di ubriachezza tutti gli abitanti di questo paese, i re che siedono sul trono di Davide, i sacerdoti, i profeti, e tutti gli abitanti di Gerusalemme. Li sbatterò l’uno contro l’altro, padri e figli assieme’, dice l’Eterno, ‘io non risparmierò nessuno; nessuna pietà, nessuna compassione, mi impedirà di distruggerli’”. Ascoltate, porgete orecchio! non insuperbite, perché l’Eterno parla. Date gloria all’Eterno, al vostro Dio, prima che egli faccia venire le tenebre, e prima che i vostri piedi inciampino sui monti avvolti nel crepuscolo, e voi aspettiate la luce ed egli ne faccia un’ombra di morte, e la muti in oscurità profonda. Ma se voi non date ascolto, la mia anima piangerà in segreto, a causa del vostro orgoglio, i miei occhi piangeranno a dirotto, si scioglieranno in lacrime, perché il gregge dell’Eterno sarà deportato. Di’ al re e alla regina: “Sedetevi per terra! perché la vostra gloriosa corona vi cade dalla testa”. Le città del meridione sono chiuse e non c’è più chi le apra; tutto Giuda è deportato, è condotto in esilio tutto quanto. Alzate gli occhi e guardate quelli che vengono dal settentrione; dov’è il gregge, il magnifico gregge, che ti era stato dato? Che dirai tu quando egli ti punirà? Ma tu stessa hai insegnato ai tuoi amici a dominare su di te. Non ti prenderanno forse i dolori, come prendono la donna che sta per partorire? Se tu dici nel tuo cuore: “Perché mi avvengono queste cose?”. Per la grandezza della tua iniquità i lembi della tua veste ti sono strappati, e i tuoi calcagni sono colpiti. Può un Cusita cambiare la sua pelle o un leopardo le sue macchie? Allora anche voi, abituati come siete a fare il male, potrete fare il bene? “Io li disperderò, come stoppia portata via dal vento del deserto. È questa la tua sorte, la parte che io ti misuro”, dice l’Eterno, “perché tu mi hai dimenticato, e hai riposto la tua fiducia nella menzogna. E io pure ti solleverò i lembi della veste sul viso, in modo che si veda la tua vergogna. Io ho visto le tue abominazioni, i tuoi adultèri, i tuoi nitriti, la vergogna della tua prostituzione sulle colline e per i campi. Guai a te, o Gerusalemme! Per quanto tempo ancora non ti purificherai?”. La parola dell’Eterno che fu rivolta a Geremia in occasione della siccità. “Giuda è in lutto, le porte delle sue città languiscono, giacciono per terra a lutto; il grido di Gerusalemme sale al cielo. I nobili fra di loro mandano i piccoli a cercare dell’acqua; e questi vanno alle cisterne, non trovano acqua, e tornano con i loro vasi vuoti; sono pieni di vergogna, di confusione, e si coprono il capo. Il suolo è costernato perché non c’è stata pioggia nel paese; i lavoratori sono pieni di confusione e si coprono il capo. Perfino la cerva nella campagna partorisce e abbandona il suo parto perché non c’è erba; gli onagri si fermano sulle alture, aspirano l’aria come gli sciacalli; i loro occhi sono spenti, perché non c’è verdura”. Eterno, se le nostre iniquità testimoniano contro di noi, opera per amore del tuo nome; poiché le nostre infedeltà sono molte; noi abbiamo peccato contro di te. O speranza d’Israele, suo salvatore in tempo di angoscia, perché saresti nel paese come uno straniero, come un viandante che si ferma per passarvi la notte? Perché saresti come un uomo sopraffatto, come un prode che non può salvare? Eppure, Eterno, tu sei in mezzo a noi, e il tuo nome è invocato su di noi; non ci abbandonare! Così parla l’Eterno a questo popolo: “Essi amano girovagare; non trattengono i loro piedi; perciò l’Eterno non li gradisce, si ricorda ora della loro iniquità e punisce i loro peccati”. L’Eterno mi disse: “Non pregare per il bene di questo popolo. Se digiunano, non ascolterò il loro grido; se fanno degli olocausti e delle offerte, non li gradirò; anzi io sto per consumarli con la spada, con la fame, con la peste”. Allora io dissi: “Ah, Signore, Eterno! ecco, i profeti dicono loro: ‘Voi non vedrete la spada, né avrete mai la fame; ma io vi darò una pace sicura in questo luogo’”. E l’Eterno mi disse: “Quei profeti profetizzano menzogne nel mio nome; io non li ho mandati, non ho dato loro nessun ordine, e non ho parlato loro; le profezie che vi fanno sono visioni bugiarde, divinazioni, vanità, falsità del loro proprio cuore. Perciò così parla l’Eterno riguardo ai profeti che profetizzano nel mio nome benché io non li abbia mandati, e dicono: ‘Non vi sarà né spada né fame in questo paese’; quei profeti saranno consumati dalla spada e dalla fame; quelli ai quali essi profetizzano saranno gettati per le vie di Gerusalemme morti di fame e di spada, loro, le loro mogli, i loro figli e le loro figlie, e non ci sarà chi dia loro sepoltura; riverserò su di loro la loro malvagità. Di’ loro dunque questa parola: ‘I miei occhi si sciolgano in lacrime giorno e notte, senza posa; poiché la vergine figlia del mio popolo è stata colpita in modo straziante, ha ricevuto un colpo tremendo. Se esco per i campi, ecco degli uccisi per la spada; se entro in città, ecco i languenti per fame; perfino il profeta, perfino il sacerdote vanno a mendicare in un paese che non conoscono’”. Hai tu dunque rigettato Giuda? Hai preso in disgusto Sion? Perché ci colpisci senza che ci sia guarigione per noi? Noi aspettavamo la pace, ma non giunge nessun bene; aspettavamo un tempo di guarigione, ed ecco il terrore. O Eterno, noi riconosciamo la nostra malvagità, l’iniquità dei nostri padri; poiché noi abbiamo peccato contro di te. Per amore del tuo nome, non disprezzare, non disonorare il trono della tua gloria; ricordati del tuo patto con noi; non lo annullare! Fra gli idoli vani dei popoli, ce n’è forse uno che possa far piovere? O è forse il cielo che dà gli acquazzoni? Non sei tu, o Eterno, tu, il nostro Dio? Perciò noi speriamo in te, poiché tu hai fatto tutte queste cose. Ma l’Eterno mi disse: “Anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, io non mi piegherei verso questo popolo; caccialo via dalla mia presenza, e che egli se ne vada! E se anche ti dicono: ‘Dove ce ne andremo?’, tu risponderai loro: ‘Così dice l’Eterno: Alla morte, i destinati alla morte; alla spada, i destinati alla spada; alla fame, i destinati alla fame; alla schiavitù, i destinati alla schiavitù’. Io manderò contro di loro quattro specie di flagelli”, dice l’Eterno, “la spada, per ucciderli; i cani, per trascinarli; gli uccelli del cielo e le bestie della terra, per divorarli e per distruggerli. E farò in modo che saranno agitati per tutti i regni della terra, a causa di Manasse, figlio di Ezechia, re di Giuda, e di tutto quello che egli ha fatto in Gerusalemme. Poiché chi avrebbe pietà di te, o Gerusalemme? Chi ti compiangerebbe? Chi si incomoderebbe per domandarti come stai? Tu mi hai respinto”, dice l’Eterno, “ti sei tirata indietro; perciò io stendo la mano contro di te e ti distruggo; sono stanco di pentirmi. Io ti ventilerò con il ventilabro alle porte del paese, priverò di figli il mio popolo e lo farò perire, poiché non si convertì dalle sue vie. Le sue vedove sono più numerose della sabbia del mare; io faccio venire contro di loro, contro la madre dei giovani, un nemico che devasta in pieno mezzogiorno; faccio piombare su di lei, a un tratto, angoscia e terrore. Colei che aveva partorito sette figli è languente, esala l’ultimo respiro; il suo sole tramonta mentre è ancora giorno; è coperta di vergogna, di confusione; e il rimanente di loro io lo do in balìa della spada dei loro nemici”, dice l’Eterno. Me infelice! o madre mia, poiché mi hai fatto nascere uomo di lite e di contesa per tutto il paese! Io non do né prendo in prestito, eppure tutti mi maledicono. L’Eterno dice: “Per certo, io ti riservo un avvenire felice; io farò che il nemico ti rivolga suppliche nel tempo dell’avversità, nel tempo dell’angoscia. Il ferro potrà forse spezzare il ferro del settentrione e il bronzo? Le tue facoltà e i tuoi tesori io li darò gratuitamente come preda, a causa di tutti i tuoi peccati e dentro tutti i tuoi confini. Li farò passare con i tuoi nemici in un paese che non conosci; perché un fuoco si è acceso nella mia ira, che arderà contro di voi”. Tu sai tutto, o Eterno; ricordati di me, visitami e vendicami dei miei persecutori; nella tua benevolenza, non portarmi via! riconosci che per amore tuo io porto il disonore. Appena ho trovato le tue parole, io le ho divorate; e le tue parole sono state la mia gioia, il diletto del mio cuore, perché il tuo nome è invocato su di me, o Eterno, Dio degli eserciti. Io non mi sono seduto nell’assemblea di quelli che ridono e non mi sono rallegrato, ma a causa della tua mano mi sono seduto solitario, perché tu mi riempivi di sdegno. Perché il mio dolore è perenne e la mia piaga, incurabile, rifiuta di guarire? Vuoi tu essere per me come una sorgente illusoria, come un’acqua che non dura? Perciò, così parla l’Eterno: “Se tu torni a me, io ti ricondurrò, e tu rimarrai davanti a me; e se tu separi ciò che è prezioso da ciò che è vile, tu sarai come la mia bocca; ritorneranno essi a te, ma tu non tornerai a loro. Io ti farò essere per questo popolo un forte muro di bronzo; essi combatteranno contro di te, ma non potranno vincerti, perché io sarò con te per salvarti e per liberarti”, dice l’Eterno. “E ti libererò dalla mano dei malvagi e ti riscatterò dalla mano dei violenti”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Non prendere moglie e non avere figli né figlie in questo luogo”. Poiché così parla l’Eterno riguardo ai figli e alle figlie che nascono in questo paese, alle madri che li partoriscono e ai padri che li generano in questo paese: “Essi moriranno consumati dalle malattie, non saranno rimpianti e non avranno sepoltura; serviranno di letame sulla faccia della terra; saranno consumati dalla spada e dalla fame e i loro cadaveri saranno pasto per gli uccelli del cielo, e per le bestie della terra”. Poiché così parla l’Eterno: “Non entrare nella casa del lutto, non andare a fare cordoglio con loro né a compiangerli, perché”, dice l’Eterno, “io ho ritirato da questo popolo la mia pace, la mia benignità, la mia compassione. Grandi e piccoli moriranno in questo paese; non avranno sepoltura, non si farà cordoglio per loro, nessuno si farà incisioni addosso o si raderà per loro; non si spezzerà per loro il pane del lutto per consolarli di un morto, non si offrirà loro da bere la coppa della consolazione per un padre o per una madre. Allo stesso modo non entrare in nessuna casa di convito per sederti con loro a mangiare e a bere”. Poiché così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: “Ecco, io farò cessare in questo luogo, davanti ai vostri occhi, ai giorni vostri, il grido di gioia, il grido di esultanza, la voce dello sposo e la voce della sposa. Avverrà che quando tu annuncerai a questo popolo tutte queste cose, essi ti diranno: ‘Perché l’Eterno ha pronunciato contro di noi tutta questa grande calamità? Qual è la nostra iniquità? Qual è il peccato che abbiamo commesso contro l’Eterno, il nostro Dio?’. Allora tu risponderai loro: ‘Perché i vostri padri mi hanno abbandonato’, dice l’Eterno, ‘sono andati dietro ad altri dèi, li hanno serviti e si sono prostrati davanti a loro, hanno abbandonato me e non hanno osservato la mia legge. E voi avete fatto anche peggio dei vostri padri; perché, ecco, ciascuno cammina seguendo la caparbietà del suo cuore malvagio, per non dare ascolto a me; perciò io vi scaccerò da questo paese in un paese che né voi né i vostri padri avete conosciuto; e là servirete giorno e notte altri dèi, perché io non vi farò grazia’”. “Perciò, ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “in cui non si dirà più: ‘Per la vita dell’Eterno, che condusse i figli d’Israele fuori dal paese d’Egitto’, ma: ‘Per la vita dell’Eterno, che ha condotto i figli d’Israele fuori dal paese del settentrione e da tutti gli altri paesi nei quali li aveva scacciati’; io li ricondurrò nel loro paese, che avevo dato ai loro padri. Ecco, io mando un grande numero di pescatori a pescarli”, dice l’Eterno, “e poi manderò un grande numero di cacciatori a dargli la caccia sopra ogni monte, sopra ogni collina e nelle fessure delle rocce. Poiché i miei occhi sono su tutte le loro vie; esse non sono nascoste davanti alla mia faccia e la loro iniquità non rimane occulta ai miei occhi. Prima darò loro una doppia retribuzione per la loro iniquità e per il loro peccato, perché hanno profanato il mio paese, con quei cadaveri che sono i loro idoli ripugnanti, e hanno riempito la mia eredità delle loro abominazioni”. Eterno, mia forza, mia fortezza e mio rifugio nel giorno dell’avversità! A te verranno le nazioni dalle estremità della terra, e diranno: “I nostri padri non hanno ereditato che menzogne, vanità, e cose che non giovano a nulla. L’uomo dovrebbe fabbricarsi degli dèi? Ma già questi non sono dèi”. “Perciò, ecco, io farò loro conoscere, questa volta farò loro conoscere la mia mano e la mia potenza; e sapranno che il mio nome è l’Eterno”. “Il peccato di Giuda è scritto con uno stilo di ferro, con una punta di diamante; è scolpito sulla tavola del loro cuore e sui corni dei vostri altari. Come si ricordano dei loro figli, così si ricordano dei loro altari e dei loro idoli di Astarte presso gli alberi verdeggianti sugli alti colli. O mia montagna, che domini la campagna, io darò i tuoi beni, tutti i tuoi tesori e i tuoi alti luoghi come preda, a causa dei peccati che tu hai commesso in tutti i tuoi confini! E tu, per colpa tua, perderai l’eredità che io ti avevo dato, e ti farò servire i tuoi nemici in un paese che non conosci; perché avete acceso il fuoco della mia ira, ed esso arderà per sempre”. Così parla l’Eterno: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dall’Eterno! Egli è come una tamerice nel deserto: quando giunge il bene, egli non lo vede; dimora in luoghi aridi, nel deserto, in terra salata, senza abitanti. Benedetto l’uomo che confida nell’Eterno, e la cui fiducia è l’Eterno! Egli è come un albero piantato presso le acque, che distende le sue radici lungo il fiume; non si accorge quando viene il caldo e il suo fogliame rimane verde; nell’anno della siccità non è in affanno, e non cessa di portare frutto”. Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi lo conoscerà? “Io, l’Eterno, che investigo il cuore, che metto alla prova le reni, per retribuire ciascuno secondo le sue vie, secondo il frutto delle sue azioni”. Chi acquista ricchezze, ma non con giustizia, è come la pernice che cova uova che non ha fatto; nel bel mezzo dei suoi giorni egli deve lasciarle, e quando arriva la sua fine, non è che uno stolto. Trono di gloria, eccelso fin dal principio, è il luogo del nostro santuario. Speranza d’Israele, o Eterno, tutti quelli che ti abbandonano saranno confusi; quelli che si allontanano da te saranno scritti sulla polvere, perché hanno abbandonato l’Eterno, la sorgente delle acque vive. Guariscimi, o Eterno, e sarò guarito; salvami, e sarò salvo, poiché tu sei la mia lode. Ecco, essi mi dicono: “Dov’è la parola dell’Eterno? che essa si compia, dunque!”. Quanto a me, io non mi sono rifiutato di essere loro pastore ai tuoi ordini, né ho desiderato il giorno funesto, tu lo sai; quello che è uscito dalle mie labbra è stato manifesto davanti a te. Non essere per me uno spavento; tu sei il mio rifugio nel giorno della calamità. Siano confusi i miei persecutori; non sia io confuso; siano essi spaventati; non sia io spaventato; fa’ venire su loro il giorno della calamità, e colpiscili con doppia distruzione! Così mi ha detto l’Eterno: “Va’, e fermati alla porta dei figli del popolo per la quale entrano ed escono i re di Giuda, e a tutte le porte di Gerusalemme e di’ loro: ‘Ascoltate la parola dell’Eterno, o re di Giuda, e tutto Giuda, e voi tutti gli abitanti di Gerusalemme, che entrate per queste porte! Così parla l’Eterno: Per amore della vostra stessa vita, guardatevi dal portare un carico e dal farlo passare per le porte di Gerusalemme, in giorno di sabato; e non fate uscire fuori dalle vostre case nessun carico e non fate nessun lavoro in giorno di sabato; ma santificate il giorno del sabato, come io comandai ai vostri padri. Essi, però, non diedero ascolto, non prestarono orecchio, ma indurirono il loro collo per non ascoltare e per non ricevere istruzione. E se voi mi date attentamente ascolto’, dice l’Eterno, ‘se non fate entrare nessun carico per le porte di questa città in giorno di sabato, ma santificate il giorno del sabato e non fate in esso nessun lavoro, i re e i principi che siedono sul trono di Davide entreranno per le porte di questa città montati su carri e su cavalli: vi entreranno essi, i loro principi, gli uomini di Giuda, gli abitanti di Gerusalemme; e questa città sarà abitata per sempre. E dalle città di Giuda, dai luoghi circostanti di Gerusalemme, dal paese di Beniamino, dalla pianura, dal monte e dal meridione, si verrà a portare olocausti, vittime, oblazioni, incenso, e a offrire sacrifici di ringraziamento nella casa dell’Eterno. Ma, se non mi date ascolto e non santificate il giorno del sabato e non vi astenete dal portare dei carichi e dall’introdurli per le porte di Gerusalemme in giorno di sabato, io accenderò un fuoco alle porte della città, ed esso divorerà i palazzi di Gerusalemme, e non si estinguerà’”. Questa è la parola che fu rivolta a Geremia da parte dell’Eterno: “Àlzati, scendi in casa del vasaio, e là ti farò udire le mie parole”. Allora io scesi in casa del vasaio, ed ecco egli stava lavorando alla ruota; e il vaso che faceva si guastò, come succede all’argilla nella mano del vasaio, ed egli da capo fece un altro vaso come a lui parve bene di farlo. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Casa d’Israele, non posso io fare di voi quello che fa questo vasaio?”, dice l’Eterno. “Ecco, quello che l’argilla è in mano al vasaio, voi lo siete in mano mia, o casa d’Israele! A un dato momento io parlo riguardo a una nazione, riguardo a un regno, di sradicare, di abbattere, di distruggere; ma se quella nazione contro la quale ho parlato, si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di farle. In un altro momento io parlo riguardo a una nazione, a un regno, di costruire e di piantare; ma, se quella nazione fa ciò che è male ai miei occhi senza dare ascolto alla mia voce, io mi pento del bene di cui avevo parlato di colmarla. Perciò ora parla agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme, e di’: ‘Così parla l’Eterno: Ecco, io preparo contro di voi del male, e formo contro di voi un disegno. Si converta ora ciascuno di voi dalla sua via malvagia, e correggete le vostre vie e le vostre azioni!’. Ma costoro dicono: ‘È inutile; noi vogliamo camminare seguendo i nostri propri pensieri, e vogliamo agire ciascuno seguendo la caparbietà del nostro cuore malvagio’. Perciò, così parla l’Eterno: ‘Chiedete dunque fra le nazioni chi ha udito tali cose! La vergine d’Israele ha fatto una cosa orribile, enorme. La neve del Libano scompare mai dalle rocce che dominano la campagna? O le acque che vengono da lontano, fresche, correnti, si asciugano mai? Eppure il mio popolo mi ha dimenticato, offre profumi agli idoli vani; lo hanno fatto inciampare nelle sue vie, che erano i sentieri antichi, per seguire sentieri laterali, una via non appianata, e per fare così del loro paese una desolazione, un oggetto di continuo scherno; al punto che tutti quelli che vi passano rimangono stupiti e scuotono il capo. Io li disperderò davanti al nemico, come fa il vento orientale; io volterò loro le spalle e non la faccia nel giorno della loro calamità’”. Essi hanno detto: “Venite, tramiamo macchinazioni contro Geremia; poiché l’insegnamento della legge non verrà meno per mancanza di sacerdoti, né il consiglio per mancanza di saggi, né la parola per mancanza di profeti. Venite, colpiamolo con la lingua, e non diamo retta a nessuna delle sue parole”. Tu dunque, Eterno, rivolgi a me la tua attenzione e ascolta la voce di quelli che contendono con me. Il male sarà forse reso in cambio del bene? Poiché essi hanno scavato una fossa per me. Ricordati come io mi sono presentato davanti a te per parlare in loro favore, e per allontanare da loro la tua ira. Perciò abbandona i loro figli alla fame; dalli in balìa della spada; le loro mogli siano private di figli e rimangano vedove; i loro mariti siano feriti a morte; i loro giovani siano colpiti dalla spada in battaglia. Un grido si oda uscire dalle loro case, quando tu farai piombare su di loro all’improvviso le bande nemiche: poiché hanno scavato una fossa per catturarmi, e hanno teso dei lacci ai miei piedi. Tu, o Eterno, conosci tutti i loro disegni contro di me per farmi morire; non perdonare la loro iniquità, non cancellare il loro peccato davanti ai tuoi occhi! Siano essi abbattuti davanti a te! Agisci contro di loro nel giorno della tua ira! Così ha detto l’Eterno: “Va’, compra una brocca di terracotta da un vasaio, e prendi con te alcuni degli anziani del popolo e degli anziani dei sacerdoti; recati nella valle del figlio di Innom che è all’ingresso della porta dei Vasai, e là proclama le parole che io ti dirò. Dirai così: ‘Ascoltate la parola dell’Eterno, o re di Giuda, e abitanti di Gerusalemme! Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: Ecco, io faccio venire sopra questo luogo una calamità, che farà stordire gli orecchi di chi ne udrà parlare; poiché mi hanno abbandonato, hanno profanato questo luogo e vi hanno offerto profumi ad altri dèi, che né essi, né i loro padri, né i re di Giuda hanno conosciuto, e hanno riempito questo luogo di sangue di innocenti; hanno costruito degli alti luoghi a Baal, per bruciare nel fuoco i loro figli in olocausto a Baal; cosa che io non avevo comandato, della quale non avevo mai parlato, e che non mi era mai venuta in cuore. Perciò, ecco, i giorni vengono’, dice l’Eterno, ‘che questo luogo non sarà più chiamato Tofet, né la valle del figlio di Innom, ma la valle del Massacro. Io renderò vani i disegni di Giuda e di Gerusalemme in questo luogo, e farò in modo che costoro cadano per la spada davanti ai loro nemici, e per mano di quanti cercano la loro vita; e darò i loro cadaveri in pasto agli uccelli del cielo e alle bestie della terra. Farò di questa città una desolazione, un oggetto di scherno; chiunque passerà presso di lei rimarrà stupito, e si metterà a fischiare per tutte le sue piaghe. E farò mangiare loro la carne dei loro figli e la carne delle loro figlie, e mangeranno la carne gli uni degli altri, durante l’assedio e l’angoscia in cui li stringeranno i loro nemici e quelli che cercano la loro vita’. Poi tu spezzerai la brocca alla presenza di quegli uomini che saranno andati con te, e dirai loro: ‘Così parla l’Eterno degli eserciti: Così spezzerò questo popolo e questa città, come si spezza un vaso di vasaio, che non si può più riparare; e si seppelliranno i morti a Tofet, per mancanza di spazio per seppellire. Così’, dice l’Eterno, ‘farò a questo luogo e ai suoi abitanti, rendendo questa città simile a Tofet. Le case di Gerusalemme, e le case dei re di Giuda, saranno come il luogo di Tofet, immonde; tutte le case, cioè, sopra i cui tetti essi hanno offerto profumi a tutto l’esercito del cielo, e hanno fatto libazioni ad altri dèi’”. Geremia tornò da Tofet, dove l’Eterno lo aveva mandato a profetizzare; si fermò nel cortile della casa dell’Eterno e disse a tutto il popolo: “Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Ecco, io faccio venire sopra questa città e sopra tutte le città che da lei dipendono tutte le calamità che ho annunciato contro di lei, perché hanno indurito il loro collo, per non dare ascolto alle mie parole’”. Pasur, figlio di Immer, sacerdote e capo-sovrintendente della casa dell’Eterno, udì Geremia che profetizzava queste cose. Pasur percosse il profeta Geremia e lo mise nei ceppi nella prigione che era nella porta superiore di Beniamino, nella casa dell’Eterno. Il giorno seguente, Pasur fece uscire Geremia dal carcere. E Geremia gli disse: “L’Eterno non ti chiama più Pasur, ma Magor-Missabib. Poiché così parla l’Eterno: ‘Io ti renderò un oggetto di terrore per te stesso e per tutti i tuoi amici; essi cadranno per la spada dei loro nemici e i tuoi occhi lo vedranno; darò tutto Giuda in mano del re di Babilonia, che li deporterà a Babilonia e li colpirà con la spada. Darò tutte le ricchezze di questa città, tutto il suo guadagno e tutte le sue cose preziose, darò tutti i tesori dei re di Giuda in mano dei loro nemici che ne faranno loro preda, li prenderanno e li porteranno via a Babilonia. E tu, Pasur, e tutti quelli che abitano in casa tua, sarete deportati; tu andrai a Babilonia e là morirai; là sarai sepolto tu, con tutti i tuoi amici, ai quali hai profetizzato menzogne’”. Tu mi hai persuaso, o Eterno, e io mi sono lasciato persuadere, tu mi hai fatto forza e mi hai vinto; io sono diventato, ogni giorno, un oggetto di scherno; ognuno si fa beffe di me. Poiché ogni volta che io parlo, grido, grido: “Violenza e saccheggio!”. Sì, la parola dell’Eterno è per me un motivo di obbrobrio, uno scherno ogni giorno. Se io dico: “Io non lo menzionerò più, non parlerò più nel suo nome”, c’è nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzo di contenerlo, ma non posso. Poiché odo le diffamazioni di molti, lo spavento mi viene da ogni lato: “Denunciatelo, e noi lo denunceremo”. Tutti quelli con i quali vivevo in pace spiano se io inciampo, e dicono: “Forse si lascerà sedurre, noi prevarremo contro di lui e ci vendicheremo di lui”. Ma l’Eterno è con me, come un potente eroe; perciò i miei persecutori inciamperanno e non prevarranno; saranno coperti di confusione, perché non riusciranno; la loro vergogna sarà eterna, non sarà dimenticata. Eterno degli eserciti, che provi il giusto, che vedi le reni e il cuore, io vedrò, sì, la tua vendetta su di loro, poiché a te io affido la mia causa! Cantate all’Eterno, lodate l’Eterno, poiché egli libera la vita dell’infelice dalla mano dei malfattori! Maledetto sia il giorno che io nacqui! Il giorno che mia madre mi partorì non sia benedetto! Maledetto sia l’uomo che portò a mio padre la notizia: “Ti è nato un maschio”, e lo riempì di gioia! Sia quell’uomo come le città che l’Eterno ha distrutto senza pentirsene! Oda egli delle grida il mattino, e clamori di guerra a mezzogiorno; poiché egli non mi ha fatto morire fin dal grembo materno. Così mia madre sarebbe stata la mia tomba e la sua gravidanza senza fine. Perché sono uscito dal grembo materno per vedere tormento e dolore e per finire i miei giorni nella vergogna? Questa è la parola che fu rivolta a Geremia da parte dell’Eterno, quando il re Sedechia gli mandò Pasur, figlio di Malchia, e Sefonia, figlio di Maaseia, il sacerdote, per dirgli: “Ti prego, consulta per noi l’Eterno, poiché Nabucodonosor, re di Babilonia, ci fa la guerra; forse l’Eterno farà in nostro favore qualcuna delle sue meraviglie, in modo che si ritiri da noi”. Allora Geremia disse loro: “Direte così a Sedechia: ‘Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: Ecco, io sto per far rientrare nelle città le armi di guerra che sono nelle vostre mani e con le quali voi combattete, fuori delle mura, contro il re di Babilonia, e contro i Caldei che vi assediano, e le raccoglierò in mezzo a questa città. Io stesso combatterò contro di voi con mano stesa e con braccio potente, con ira, con furore, con grande indignazione. Colpirò gli abitanti di questa città, uomini e bestie, e moriranno di un’orrenda peste. Poi’, dice l’Eterno, ‘io darò Sedechia, re di Giuda, i suoi servi, il popolo e coloro che in questa città saranno scampati alla peste, alla spada e alla fame, in mano di Nabucodonosor re di Babilonia, in mano dei loro nemici, in mano di quelli che cercano la loro vita; Nabucodonosor li passerà a fil di spada; non li risparmierà e non ne avrà né pietà né compassione’. A questo popolo dirai: ‘Così parla l’Eterno: Ecco, io pongo davanti a voi la via della vita e la via della morte. Colui che rimarrà in questa città morirà per la spada, per la fame o per la peste; ma chi ne uscirà per arrendersi ai Caldei che vi assediano vivrà, e avrà la vita come suo bottino. Poiché io volgo la mia faccia contro questa città per farle del male e non del bene’, dice l’Eterno; ‘essa sarà data in mano del re di Babilonia, ed egli la darà alle fiamme’. Alla casa dei re di Giuda di’: ‘Ascoltate la parola dell’Eterno: Casa di Davide, così dice l’Eterno: Amministrate la giustizia fin dal mattino, liberate dalla mano dell’oppressore colui a cui è tolto il suo, affinché la mia ira non divampi come un fuoco e arda al punto che nessuno la possa spegnere, per la malvagità delle vostre azioni. Eccomi contro di te, o abitante della valle, roccia della pianura’, dice l’Eterno. ‘Voi che dite: Chi scenderà contro di noi? Chi entrerà nelle nostre abitazioni? Io vi punirò secondo il frutto delle vostre azioni’, dice l’Eterno, ‘e appiccherò il fuoco a questa selva di Gerusalemme, ed esso divorerà tutto quello che la circonda’”. Così parla l’Eterno: “Scendi nella casa del re di Giuda, e là pronuncia questa parola: ‘Ascolta la parola dell’Eterno, o re di Giuda, che siedi sul trono di Davide: tu, i tuoi servitori e il tuo popolo, che entrate per queste porte! Così parla l’Eterno: Praticate il diritto e la giustizia, liberate dalla mano dell’oppressore colui al quale è tolto il suo, non fate torto né violenza allo straniero, all’orfano e alla vedova e non spargete sangue innocente in questo luogo. Poiché, se metterete realmente in pratica questa parola, dei re seduti sul trono di Davide entreranno per le porte di questa casa su carri e su cavalli: essi, i loro servitori e il loro popolo. Ma, se non date ascolto a queste parole, io giuro per me stesso’, dice l’Eterno, ‘che questa casa sarà ridotta in una rovina’”. Poiché così parla l’Eterno riguardo alla casa del re di Giuda: “Tu eri per me come Galaad, come la vetta del Libano. Ma, certo, io ti ridurrò simile a un deserto, a delle città disabitate. Preparo contro di te dei devastatori, armati ciascuno delle sue armi; essi abbatteranno i tuoi cedri più belli e li getteranno nel fuoco. Molte nazioni passeranno presso questa città e ognuno dirà all’altro: ‘Perché l’Eterno ha fatto così a questa grande città?’. E si risponderà: ‘Perché hanno abbandonato il patto dell’Eterno, del loro Dio, perché si sono prostrati davanti ad altri dèi, e li hanno serviti’”. Non piangete per il morto, non vi affliggete per lui; ma piangete, piangete per chi se ne va, perché non tornerà più e non vedrà più il suo paese natìo. Infatti così parla l’Eterno riguardo a Sallum, figlio di Giosia, re di Giuda, che regnava al posto di Giosia suo padre e che è uscito da questo luogo: “Egli non vi ritornerà più, ma morirà nel luogo dove lo hanno deportato, e non vedrà più questo paese”. “Guai a colui che costruisce la sua casa senza giustizia, e le sue camere senza equità; che fa lavorare il prossimo per nulla, non gli paga il suo salario e dice: ‘Mi costruirò una casa grande e delle camere spaziose al piano di sopra’. Egli vi fa delle finestre, la riveste di legno di cedro e la dipinge di rosso! Regni tu forse perché hai la passione del cedro? Tuo padre forse non mangiava e non beveva? Ma faceva ciò che è retto e giusto, e tutto gli andava bene. Egli giudicava la causa del povero e del bisognoso, e tutto gli andava bene. Questo non è forse conoscermi?”, dice l’Eterno. “Ma tu non hai occhi né cuore che per la tua avidità, per spargere sangue innocente e per fare oppressione e violenza”. Perciò, così parla l’Eterno riguardo a Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda: “Non se ne farà cordoglio, dicendo: ‘Ahimè, fratello mio, ahimè sorella!’. Non se ne farà cordoglio, dicendo: ‘Ahimè, signore, ahimè sua maestà!’. Sarà sepolto come si seppellisce un asino, trascinato e gettato fuori dalle porte di Gerusalemme”. “Sali sul Libano e grida, alza la voce in Basan e grida dall’Abarim, perché tutti i tuoi amanti sono distrutti. Io ti ho parlato al tempo della tua prosperità, ma tu dicevi: ‘Io non ascolterò’. Questo è stato il tuo modo di fare fin dalla tua infanzia; tu non hai mai dato ascolto alla mia voce. Tutti i tuoi pastori saranno pastura del vento e i tuoi amanti saranno deportati; allora sarai svergognata, confusa, per tutta la tua malvagità. Tu che abiti sul Libano, che ti annidi fra i cedri, come farai pietà quando ti coglieranno i dolori, le doglie pari a quelle di una donna che partorisce! Com’è vero che io vivo”, dice l’Eterno, “anche se Conia, figlio di Ioiachim, re di Giuda, fosse un sigillo nella mia destra, io ti strapperei da lì. Io ti darò in mano di quelli che cercano la tua vita, in mano di quelli dei quali hai paura, in mano di Nabucodonosor, re di Babilonia, in mano dei Caldei. Scaccerò te e tua madre, che ti ha partorito, in un paese straniero dove non siete nati e là morirete. Ma quanto al paese al quale desidereranno tornare, essi non vi torneranno”. Questo Conia è dunque un vaso spezzato, infranto? È forse un oggetto che non fa più alcun piacere? Perché sono dunque scacciati, lui e la sua discendenza, lanciati in un paese che non conoscono? O paese, o paese, o paese, ascolta la parola dell’Eterno! Così parla l’Eterno: “Iscrivete quest’uomo come privo di figli, come un uomo che non prospererà durante i suoi giorni; perché nessuno della sua discendenza giungerà a sedersi sul trono di Davide, e a regnare ancora su Giuda”. “Guai ai pastori che distruggono e disperdono il gregge del mio pascolo!”, dice l’Eterno. Perciò così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele, riguardo ai pastori che pasturano il mio popolo: “Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ne avete avuto cura; ecco, io vi punirò per la malvagità delle vostre azioni”, dice l’Eterno. “Raccoglierò il rimanente delle mie pecore da tutti i paesi dove le ho scacciate, le ricondurrò ai loro pascoli, saranno feconde e moltiplicheranno. E costituirò su di loro dei pastori che le pastureranno, ed esse non avranno più paura né spavento e non ne mancherà nessuna”, dice l’Eterno. “Ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “in cui io farò sorgere a Davide un germoglio giusto, il quale regnerà da re e prospererà, eserciterà il diritto e la giustizia nel paese. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora; questo sarà il nome con il quale sarà chiamato: ‘Eterno nostra giustizia’. Perciò, ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “in cui non si dirà più: ‘Per la vita dell’Eterno, che condusse i figli d’Israele fuori dal paese d’Egitto’, ma: ‘Per la vita dell’Eterno che ha fatto uscire e ha ricondotto la discendenza della casa d’Israele dal paese del settentrione, e da tutti i paesi dove io li avevo scacciati’; ed essi abiteranno nel loro paese”. Contro i profeti. Il cuore mi si spezza nel petto, tutte le mie ossa tremano; io sono come un ubriaco, come un uomo sopraffatto dal vino, a causa dell’Eterno e a causa delle sue parole sante. Poiché il paese è pieno di adùlteri; poiché il paese fa cordoglio a motivo della maledizione che lo colpisce; i pascoli del deserto sono inariditi. La corsa di costoro è diretta al male, la loro forza non tende al bene. “Profeti e sacerdoti sono empi, nella mia stessa casa ho trovato la loro malvagità”, dice l’Eterno. “Perciò la loro via sarà per loro come luoghi sdrucciolevoli in mezzo alle tenebre; essi vi saranno spinti e cadranno, poiché io farò venire su di loro la calamità, l’anno in cui li visiterò”, dice l’Eterno. “Avevo ben visto cose insensate tra i profeti di Samaria; profetizzavano nel nome di Baal, e traviavano il mio popolo Israele. Ma fra i profeti di Gerusalemme ho visto cose abominevoli: commettono adultèri, agiscono con falsità, fortificano le mani dei malfattori, al punto che nessuno si converte dalla sua malvagità; tutti quanti sono per me come Sodoma, e gli abitanti di Gerusalemme come quelli di Gomorra. Perciò così parla l’Eterno degli eserciti riguardo ai profeti: Ecco, io farò loro mangiare dell’assenzio, e farò loro bere dell’acqua avvelenata; poiché dai profeti di Gerusalemme l’empietà si è sparsa per tutto il paese”. Così parla l’Eterno degli eserciti: “Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano, essi vi nutrono di cose vane; vi espongono le visioni del loro cuore, e non ciò che procede dalla bocca dell’Eterno. Dicono sempre a quelli che mi disprezzano: ‘L’Eterno ha detto: Avrete pace’; e a tutti quelli che camminano seguendo la caparbietà del proprio cuore: ‘Nessun male vi colpirà’; poiché chi ha assistito al consiglio dell’Eterno, chi ha visto, chi ha udito la sua parola? Chi ha prestato orecchio alla sua parola e l’ha udita? Ecco la tempesta dell’Eterno! il furore scoppia, la tempesta scroscia, scroscia sul capo degli empi. L’ira dell’Eterno non si placherà, finché non abbia eseguito, compiuto i disegni del suo cuore; negli ultimi giorni lo capirete appieno. Io non ho mandato quei profeti, ed essi sono corsi; io non ho parlato loro, ed essi hanno profetizzato. Se avessero assistito al mio consiglio, avrebbero fatto udire le mie parole al mio popolo, e li avrebbero distolti dalla loro cattiva via e dalla malvagità delle loro azioni. Sono io soltanto un Dio da vicino”, dice l’Eterno, “e non un Dio da lontano? Potrebbe uno nascondersi in luogo occulto in modo che io non lo veda?” dice l’Eterno. “Non riempio io il cielo e la terra?” dice l’Eterno. “Io ho udito quello che dicono i profeti che profetizzano menzogne nel mio nome, dicendo: ‘Ho avuto un sogno! ho avuto un sogno!’. Fino a quando durerà questo? Hanno essi in mente, questi profeti che profetizzano menzogne, questi profeti dell’inganno del loro cuore, pensano essi di far dimenticare il mio nome al mio popolo con i loro sogni che si raccontano l’uno all’altro, come i loro padri dimenticarono il mio nome per Baal? Il profeta che ha avuto un sogno, racconti il sogno, e chi ha udito la mia parola riferisca la mia parola fedelmente. Che ha da fare la paglia con il frumento?”, dice l’Eterno. “La mia parola non è forse come il fuoco?”, dice l’Eterno, “come un martello che spezza il sasso? Perciò, ecco”, dice l’Eterno, “io vengo contro i profeti che rubano gli uni agli altri le mie parole. Ecco”, dice l’Eterno, “io vengo contro i profeti che fanno parlare la loro lingua, eppure dicono: ‘Egli dice’. Ecco”, dice l’Eterno, “io vengo contro quelli che profetizzano sogni falsi, che li raccontano e traviano il mio popolo con le loro menzogne e con le loro millanterie, benché io non li abbia mandati e non abbia dato loro nessun ordine, ed essi non possano portare nessun giovamento a questo popolo”, dice l’Eterno. “Se questo popolo o un profeta o un sacerdote ti domandano: ‘Qual è l’oracolo dell’Eterno?’. Tu risponderai loro: ‘Quale oracolo? Io vi rigetterò, dice l’Eterno’. Quanto al profeta, al sacerdote o al popolo che dirà: ‘Oracolo dell’Eterno’, io lo punirò: lui, e la sua casa. Direte così, ognuno al suo vicino, ognuno al suo fratello: ‘Che ha risposto l’Eterno?’ e: ‘Che ha detto l’Eterno?’. Ma l’oracolo dell’Eterno non lo menzionerete più; infatti la parola di ciascuno sarà per lui il suo oracolo, poiché avete distorto le parole dell’Iddio vivente, dell’Eterno degli eserciti, del nostro Dio. Tu dirai così al profeta: ‘Che ti ha risposto l’Eterno?’ e: ‘Che ha detto l’Eterno?’. E se dite ancora: ‘Oracolo dell’Eterno’, allora l’Eterno parla così: ‘Siccome avete detto questa parola ‘oracolo dell’Eterno’, benché io vi avessi mandato a dire: ‘Non dite più: Oracolo dell’Eterno’, ecco, io vi dimenticherò del tutto, e vi rigetterò lontano dalla mia faccia, voi e la città che avevo dato a voi e ai vostri padri, e vi coprirò di un obbrobrio eterno e di un’eterna vergogna, che non saranno mai dimenticati”. L’Eterno mi fece vedere due canestri di fichi, posti davanti al tempio dell’Eterno, dopo che Nabucodonosor, re di Babilonia, ebbe deportato da Gerusalemme a Babilonia Ieconia, figlio di Ioiachim, re di Giuda, i capi di Giuda, i falegnami e i fabbri. Uno dei canestri conteneva dei fichi molto buoni, come sono i fichi primaticci; e l’altro canestro conteneva dei fichi molto cattivi, che non si potevano mangiare, tanto erano cattivi. E l’Eterno mi disse: “Che vedi, Geremia?”, io risposi: “Dei fichi; quelli buoni, molto buoni, e quelli cattivi, molto cattivi, da non potersi mangiare, tanto sono cattivi”. E la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Come sono questi fichi buoni, così saranno quelli di Giuda che ho mandato da questo luogo in esilio nel paese dei Caldei; io li tratterò con riguardo; il mio occhio si poserà con favore su di loro; e li ricondurrò in questo paese; li stabilirò fermamente e non li distruggerò più; li pianterò e non li sradicherò più. Darò loro un cuore per conoscere me che sono l’Eterno; saranno mio popolo e io sarò loro Dio, perché si convertiranno a me con tutto il loro cuore. Come invece si trattano questi fichi cattivi che non si possono mangiare, tanto sono cattivi, così’, dice l’Eterno, ‘io tratterò Sedechia, re di Giuda, i suoi principi e il residuo di quelli di Gerusalemme, quelli che sono rimasti in questo paese e quelli che abitano nel paese d’Egitto. Farò in modo che saranno agitati e maltrattati per tutti i regni della terra; diventeranno oggetto di obbrobrio, di proverbio, di sarcasmo e di maledizione in tutti i luoghi dove li scaccerò. E manderò contro di loro la spada, la fame, la peste, finché non siano scomparsi dal suolo che avevo dato a loro e ai loro padri’”. Questa è la parola che fu rivolta a Geremia riguardo a tutto il popolo di Giuda, nel quarto anno di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda (era il primo anno di Nabucodonosor, re di Babilonia), e che Geremia pronunciò davanti a tutto il popolo di Giuda e a tutti gli abitanti di Gerusalemme: “Dal tredicesimo anno di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, fino a oggi, sono già ventitré anni che la parola dell’Eterno mi è stata rivolta e che io vi ho parlato sempre, fin dal mattino, ma voi non avete dato ascolto. L’Eterno vi ha pure mandato tutti i suoi servitori, i profeti; ve li ha mandati sempre fin dal mattino, ma voi non avete ubbidito, né avete prestato l’orecchio per ascoltare. Essi hanno detto: ‘Si converta ciascuno di voi dalla sua cattiva via e dalla malvagità delle sue azioni, e voi abiterete di secolo in secolo sul suolo che l’Eterno ha dato a voi e ai vostri padri; e non andate dietro ad altri dèi per servirli e per prostrarvi davanti a loro; non mi provocate con l’opera delle vostre mani, e io non vi farò nessun male’. ‘Ma voi non mi avete dato ascolto’, dice l’Eterno, ‘per provocarmi, a vostro danno, con l’opera delle vostre mani’. Perciò, così dice l’Eterno degli eserciti: ‘Poiché non avete dato ascolto alle mie parole, ecco io manderò a prendere tutte le nazioni del settentrione’, dice l’Eterno, ‘e manderò a chiamare Nabucodonosor re di Babilonia, mio servitore e le farò venire contro questo paese e contro i suoi abitanti, e contro tutte le nazioni che gli stanno intorno, li voterò allo sterminio e li abbandonerò alla desolazione, alla derisione, a una solitudine perenne. Farò cessare fra loro le grida di gioia e le grida di esultanza, il canto dello sposo e il canto della sposa, il rumore della macina e la luce della lampada. Tutto questo paese sarà ridotto in una solitudine e in una desolazione, e queste nazioni serviranno il re di Babilonia per settant’anni. Ma quando saranno compiuti i settant’anni, io punirò il re di Babilonia e quella nazione’, dice l’Eterno, ‘a causa della loro iniquità; punirò il paese dei Caldei e lo ridurrò in una desolazione perenne. E farò venire su quel paese tutte le cose che ho annunciato contro di lui, tutto ciò che è scritto in questo libro, ciò che Geremia ha profetizzato contro tutte le nazioni. Infatti, nazioni numerose e re potenti ridurranno in servitù i Caldei stessi; e io li retribuirò secondo le loro azioni, secondo l’opera delle loro mani’”. Infatti così mi ha parlato l’Eterno, l’Iddio d’Israele: “Prendi dalla mia mano questa coppa del vino della mia ira, e danne da bere a tutte le nazioni alle quali ti manderò. Esse berranno, barcolleranno, saranno come pazze, a causa della spada che io manderò fra loro”. Io presi la coppa dalla mano dell’Eterno, e ne diedi da bere a tutte le nazioni alle quali l’Eterno mi mandava: a Gerusalemme e alle città di Giuda, ai suoi re e ai suoi principi, per abbandonarli alla rovina, alla desolazione, alla derisione, alla maledizione, come oggi si vede; al Faraone, re d’Egitto, ai suoi servitori, ai suoi principi, a tutto il suo popolo; a tutta la mescolanza di popoli, a tutti i re del paese di Ur, a tutti i re del paese dei Filistei, ad Ascalon, a Gaza, a Ecron, e al residuo di Asdod; a Edom, a Moab e ai figli di Ammon; a tutti i re di Tiro, a tutti i re di Sidone, e ai re delle isole al di là del mare; a Dedan, a Tema, a Buz e a tutti quelli che si radono le tempie; a tutti i re d’Arabia e a tutti i re della mescolanza di popoli che abita nel deserto; a tutti i re di Zimri, a tutti i re di Elam, a tutti i re di Media e a tutti i re del settentrione, vicini o lontani, agli uni e agli altri, e a tutti i regni del mondo che sono sulla faccia della terra. E il re di Sesac ne berrà dopo di loro. “Tu dirai loro: ‘Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: Bevete, ubriacatevi, vomitate, cadete senza rialzarvi più, davanti alla spada che io mando fra voi’. Se rifiutano di prendere dalla tua mano la coppa per bere, di’ loro: ‘Così dice l’Eterno degli eserciti: Voi berrete in ogni modo! Poiché, ecco, io comincio a punire la città sulla quale è invocato il mio nome, e voi rimarreste del tutto impuniti? Voi non rimarrete impuniti; poiché io chiamerò la spada su tutti gli abitanti della terra’, dice l’Eterno degli eserciti. Tu profetizza tutte queste cose e di’ loro: ‘L’Eterno ruggisce dall’alto e fa risuonare la sua voce dalla sua santa dimora; egli ruggisce con potenza contro la sua residenza; manda un grido, come quelli che pigiano l’uva, contro tutti gli abitanti della terra. Il rumore giunge fino all’estremità della terra; poiché l’Eterno ha una lite con le nazioni, egli entra in giudizio contro ogni carne; gli empi, li dà in balìa della spada’, dice l’Eterno”. “Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Ecco, una calamità passa di nazione in nazione, e un gran turbine si alza dalle estremità della terra. In quel giorno gli uccisi dall’Eterno copriranno la terra dall’una all’altra estremità di essa, e non saranno rimpianti, né raccolti, né seppelliti; serviranno di letame sulla faccia della terra’. Urlate pastori, gridate, rotolatevi nella polvere o guide del gregge! Poiché è giunto il tempo in cui dovete essere sgozzati; io vi frantumerò e cadrete come un vaso prezioso. Ai pastori mancherà ogni rifugio e le guide del gregge non avranno via di scampo. Si ode il grido dei pastori e l’urlo delle guide del gregge; poiché l’Eterno devasta il loro pascolo; i tranquilli ovili sono ridotti al silenzio, a causa dell’ira ardente dell’Eterno. Egli ha lasciato il suo rifugio, come un leoncello, perché il loro paese è diventato una desolazione, a causa del furore della spada crudele, a causa dell’ardente ira dell’Eterno”. Nel principio del regno di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda, fu pronunciata questa parola da parte dell’Eterno: “Così parla l’Eterno: ‘Va’ nel cortile della casa dell’Eterno, e di’ a tutte le città di Giuda che vengono a prostrarsi nella casa dell’Eterno, tutte le parole che io ti comando di dire loro; non tralasciare nessuna parola. Forse daranno ascolto e si convertiranno ciascuno dalla sua via malvagia; e io mi pentirò del male che penso di fare loro per la malvagità delle loro azioni. Tu dirai loro: Così parla l’Eterno: Se non date ascolto, se non camminate secondo la mia legge che vi ho messo davanti, se non date ascolto alle parole dei miei servitori, i profeti, i quali vi mando, che vi ho mandato fin dal mattino e non li avete ascoltati, io tratterò questa casa come Silo, e farò in modo che questa città serva di maledizione presso tutte le nazioni della terra’”. I sacerdoti, i profeti e tutto il popolo udirono Geremia che pronunciava queste parole nella casa dell’Eterno. E avvenne che, come Geremia ebbe finito di pronunciare tutto quello che l’Eterno gli aveva comandato di dire a tutto il popolo, i sacerdoti, i profeti e tutto il popolo lo presero, dicendo: “Tu devi morire! Perché hai profetizzato nel nome dell’Eterno dicendo: ‘Questa casa sarà come Silo e questa città sarà devastata, e priva di abitanti?’”. Tutto il popolo si radunò contro Geremia nella casa dell’Eterno. Quando i capi di Giuda ebbero udito queste cose, salirono dalla casa del re alla casa dell’Eterno e si sedettero all’ingresso della porta nuova della casa dell’Eterno. I sacerdoti e i profeti parlarono ai capi e a tutto il popolo, dicendo: “Quest’uomo merita la morte, perché ha profetizzato contro questa città, nel modo che avete udito con le vostre orecchie”. Allora Geremia parlò a tutti i capi e a tutto il popolo, dicendo: “L’Eterno mi ha mandato a profetizzare contro questa casa e contro questa città tutte le cose che avete udito. Ora dunque, correggete le vostre vie e le vostre azioni, date ascolto alla voce dell’Eterno, del vostro Dio, e l’Eterno si pentirà del male che ha pronunciato contro di voi. Quanto a me, eccomi nelle vostre mani; fate di me quello che vi sembrerà buono e giusto. Soltanto sappiate per certo che, se mi fate morire, mettete del sangue innocente addosso a voi, a questa città e ai suoi abitanti, perché l’Eterno mi ha veramente mandato da voi per farvi udire tutte queste parole”. Allora i capi e tutto il popolo dissero ai sacerdoti e ai profeti: “Quest’uomo non merita la morte, perché ci ha parlato nel nome dell’Eterno, del nostro Dio”. Alcuni degli anziani del paese si alzarono e parlarono così a tutta l’assemblea del popolo: “Michea, il Morasita, profetizzò ai giorni di Ezechia, re di Giuda, e parlò a tutto il popolo di Giuda in questi termini: ‘Così dice l’Eterno degli eserciti: Sion sarà arata come un campo, Gerusalemme diventerà un monte di rovine e la montagna del tempio un’altura boscosa’. Ezechia, re di Giuda, e tutto Giuda lo misero a morte? Ezechia non temette forse l’Eterno e non supplicò l’Eterno al punto che l’Eterno si pentì del male che aveva pronunciato contro di loro? E noi stiamo per fare un grande male a nostro danno”. Vi fu anche un altro uomo che profetizzò nel nome dell’Eterno: Uria, figlio di Semaia di Chiriat-Iearim, il quale profetizzò contro questa città e contro questo paese, in tutto e per tutto come Geremia; quando il re Ioiachim, tutti i suoi uomini valorosi e tutti i suoi capi ebbero udito le sue parole, il re cercò di farlo morire; ma Uria lo seppe, ebbe paura, fuggì e andò in Egitto; e il re Ioiachim mandò degli uomini in Egitto, cioè Elnatan, figlio di Acbor, e altra gente con lui. Questi fecero uscire Uria dall’Egitto e lo condussero al re Ioiachim, il quale lo colpì con la spada, e gettò il suo cadavere fra le sepolture dei figli del popolo. Ma la mano di Aicam, figlio di Safan, fu con Geremia e impedì che fosse dato nelle mani del popolo per essere messo a morte. Nel principio del regno di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda, questa parola fu rivolta dall’Eterno a Geremia in questi termini: Così mi ha detto l’Eterno: “Fatti delle catene e dei gioghi, e mettiteli sul collo; poi mandali al re di Edom, al re di Moab, al re dei figli di Ammon, al re di Tiro e al re di Sidone, mediante gli ambasciatori che sono venuti a Gerusalemme da Sedechia, re di Giuda; e ordina loro che dicano ai loro signori: Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: Direte questo ai vostri signori: ‘Io ho fatto la terra, gli uomini e gli animali che sono sulla faccia della terra, con la mia grande potenza e con il mio braccio steso; io do la terra a chi voglio. E ora do tutti questi paesi in mano a Nabucodonosor, re di Babilonia, mio servitore; gli do pure gli animali della campagna perché gli siano sottomessi. Tutte le nazioni saranno sottomesse a lui, a suo figlio e al figlio di suo figlio, finché verrà il tempo anche per il suo paese; e allora molte nazioni e grandi re lo ridurranno in schiavitù. Avverrà che la nazione o il regno che non vorrà sottomettersi a lui, a Nabucodonosor re di Babilonia, e non vorrà piegare il collo sotto il giogo del re di Babilonia, quella nazione io la punirò’, dice l’Eterno, ‘con la spada, con la fame, con la peste, finché io non l’abbia sterminata per mano sua. Voi dunque non ascoltate i vostri profeti, né i vostri indovini, né i vostri sognatori, né i vostri pronosticatori, né i vostri maghi che vi dicono: Non sarete sottomessi al re di Babilonia! Poiché essi vi profetizzano menzogna, per allontanarvi dal vostro paese, perché io vi scacci e voi periate. Ma la nazione che piegherà il suo collo sotto il giogo del re di Babilonia e gli sarà sottomessa, io la lascerò stare nel suo paese’, dice l’Eterno; ‘ed essa lo coltiverà e vi dimorerà’”. Io parlai dunque a Sedechia, re di Giuda, in conformità a tutte queste parole, e dissi: “Piegate il collo sotto il giogo del re di Babilonia, sottomettetevi a lui e al suo popolo, e vivrete. Perché dovreste morire, tu e il tuo popolo, per la spada, per la fame e per la peste, come l’Eterno ha detto della nazione che non si sottometterà al re di Babilonia? E non date ascolto alle parole dei profeti che vi dicono: ‘Non sarete sottomessi al re di Babilonia!’ perché vi profetizzano menzogna. ‘Poiché io non li ho mandati’, dice l’Eterno, ‘ma profetizzano falsamente nel mio nome, perché io vi scacci e voi periate: voi e i profeti che vi profetizzano’”. Parlai pure ai sacerdoti e a tutto questo popolo, e dissi: “Così parla l’Eterno: ‘Non date ascolto alle parole dei vostri profeti i quali vi profetizzano, dicendo: Ecco, gli arredi della casa dell’Eterno saranno in breve riportati da Babilonia, perché vi profetizzano menzogna. Non date loro ascolto; sottomettetevi al re di Babilonia, e vivrete. Perché questa città dovrebbe essere ridotta una desolazione? Se sono profeti e se la parola dell’Eterno è con loro, intercedano ora presso l’Eterno degli eserciti perché gli arredi che sono rimasti nella casa dell’Eterno, nella casa del re di Giuda e in Gerusalemme, non vadano a Babilonia. Perché così parla l’Eterno degli eserciti riguardo alle colonne, al mare, alle basi e al resto degli arredi rimasti in questa città e che non furono presi da Nabucodonosor, re di Babilonia, quando deportò da Gerusalemme a Babilonia, Ieconia, figlio di Ioiachim, re di Giuda, e tutti i nobili di Giuda e di Gerusalemme; così, dico, parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele, riguardo agli arredi che rimangono nella casa dell’Eterno, nella casa del re di Giuda e in Gerusalemme: saranno portati a Babilonia, e là resteranno, finché io li cercherò’, dice l’Eterno, ‘e li farò risalire e ritornare in questo luogo’”. In quello stesso anno, al principio del regno di Sedechia, re di Giuda, il quarto anno, il quinto mese, Anania, figlio di Azzur, profeta, che era di Gabaon, mi parlò nella casa dell’Eterno, in presenza dei sacerdoti e di tutto il popolo, dicendo: “Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Io spezzo il giogo del re di Babilonia. Entro due anni, io farò tornare in questo luogo tutti gli arredi della casa dell’Eterno, che Nabucodonosor, re di Babilonia, ha tolto da questo luogo e ha portato a Babilonia; e ricondurrò in questo luogo’, dice l’Eterno, ‘Ieconia, figlio di Ioiachim, re di Giuda, e tutti quelli di Giuda che sono stati deportati a Babilonia; perché spezzerò il giogo del re di Babilonia’”. Il profeta Geremia rispose al profeta Anania in presenza dei sacerdoti e in presenza di tutto il popolo che si trovava nella casa dell’Eterno. Il profeta Geremia disse: “Amen! Così faccia l’Eterno! L’Eterno mandi a effetto quello che tu hai profetizzato, e faccia tornare da Babilonia in questo luogo gli arredi della casa dell’Eterno e tutti quelli che sono stati deportati! Però, ascolta ora questa parola che io pronuncio in presenza tua e in presenza di tutto il popolo. I profeti che apparvero prima di me e prima di te fin dai tempi antichi, profetizzarono contro molti paesi e contro grandi regni la guerra, la fame, la peste. Quanto al profeta che profetizza la pace, quando si sarà adempiuta la sua parola, egli sarà riconosciuto come veramente mandato dall’Eterno”. Allora il profeta Anania prese il giogo dal collo del profeta Geremia e lo spezzò. Anania parlò in presenza di tutto il popolo, e disse: “Così parla l’Eterno: ‘In questo modo io spezzerò il giogo di Nabucodonosor, re di Babilonia, dal collo di tutte le nazioni, entro due anni’”. Il profeta Geremia se ne andò. Allora la parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia, dopo che il profeta Anania ebbe spezzato il giogo dal collo del profeta Geremia, e disse: “Va’, e di’ ad Anania: ‘Così parla l’Eterno: Tu hai spezzato un giogo di legno, ma hai fatto, al suo posto, un giogo di ferro. Poiché così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: Io metto un giogo di ferro sul collo di tutte queste nazioni perché siano sottomesse a Nabucodonosor, re di Babilonia; ed esse gli saranno sottomesse; gli do pure gli animali della campagna’”. Il profeta Geremia disse al profeta Anania: “Ascolta, Anania! L’Eterno non ti ha mandato e tu hai indotto questo popolo a confidare nella menzogna. Perciò, così parla l’Eterno: ‘Ecco, io ti scaccio dalla faccia della terra; quest’anno morirai, perché hai parlato di ribellione contro l’Eterno’”. E il profeta Anania morì quello stesso anno, nel settimo mese. Queste sono le parole della lettera che il profeta Geremia mandò da Gerusalemme al residuo degli anziani esiliati, ai sacerdoti, ai profeti e a tutto il popolo che Nabucodonosor aveva deportato da Gerusalemme a Babilonia, dopo che il re Ieconia, la regina, gli eunuchi, i principi di Giuda e di Gerusalemme, i falegnami e i fabbri furono usciti da Gerusalemme. La lettera fu portata per mano di Elasa, figlio di Safan, e di Ghemaria, figlio di Chilchia, che Sedechia, re di Giuda, mandava a Babilonia da Nabucodonosor, re di Babilonia. Essa diceva: “Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele, a tutti i deportati che egli ha fatto condurre da Gerusalemme a Babilonia: ‘Costruite delle case e abitatele; piantate dei giardini e mangiatene il frutto; prendete delle mogli e generate figli e figlie; prendete delle mogli per i vostri figli, date marito alle vostre figlie perché facciano figli e figlie; moltiplicate là dove siete e non diminuite. Cercate il bene della città dove io vi ho fatti deportare e pregate l’Eterno per essa; poiché dal bene di essa dipende il vostro bene’. Poiché così dice l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘I vostri profeti che sono in mezzo a voi e i vostri indovini non vi ingannino e non date retta ai sogni che fate. Poiché quelli vi profetizzano falsamente nel mio nome; io non li ho mandati’, dice l’Eterno. Poiché così parla l’Eterno: ‘Quando settant’anni saranno compiuti per Babilonia, io vi visiterò e manderò a effetto per voi la mia buona parola, facendovi tornare in questo luogo. Infatti io so i pensieri che medito per voi’, dice l’Eterno: ‘pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. Voi mi invocherete, verrete a pregarmi e io vi esaudirò. Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; io mi lascerò trovare da voi’, dice l’Eterno, ‘e vi farò tornare dalla vostra prigionia; vi raccoglierò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho scacciati’, dice l’Eterno, ‘e vi ricondurrò nel luogo da cui vi ho fatti deportare’. Voi dite: ‘L’Eterno ci ha suscitato dei profeti in Babilonia’. Ebbene, così parla l’Eterno riguardo al re che siede sul trono di Davide, riguardo a tutto il popolo che abita in questa città, ai vostri fratelli che non sono stati deportati; così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Ecco, io manderò contro di loro la spada, la fame, la peste, e li renderò come quegli orribili fichi che non si possono mangiare, tanto sono cattivi. E li inseguirò con la spada, con la fame, con la peste; farò in modo che saranno agitati fra tutti i regni della terra, e li abbandonerò al disprezzo, allo stupore, alla derisione e all’infamia fra tutte le nazioni dove li scaccerò; perché non hanno dato ascolto alle mie parole’, dice l’Eterno, ‘che io ho mandato loro a dire dai miei servitori i profeti, sempre, fin dal mattino; ma essi non hanno dato ascolto’, dice l’Eterno. Ascoltate dunque la parola dell’Eterno, o voi tutti, che io ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia! Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele, riguardo ad Acab, figlio di Colaia, e riguardo a Sedechia, figlio di Maaseia, che vi profetizzano la menzogna nel mio nome: ‘Ecco, io do costoro in mano di Nabucodonosor, re di Babilonia, ed egli li metterà a morte davanti ai vostri occhi; da essi trarrà una formula di maledizione fra tutti quelli di Giuda che sono deportati a Babilonia, e si dirà: L’Eterno ti tratti come Sedechia e come Acab, che il re di Babilonia ha fatto arrostire al fuoco! Perché costoro hanno fatto delle cose abominevoli in Israele, hanno commesso adulterio con le mogli del loro prossimo e hanno pronunciato nel mio nome parole di menzogna, che io non avevo loro comandato. Io stesso lo so e ne sono testimone’, dice l’Eterno. E quanto a Semaia il Neelamita, gli parlerai in questo modo: ‘Così dice l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: Tu hai mandato in tuo nome una lettera a tutto il popolo che è in Gerusalemme, a Sofonia, figlio di Maaseia, il sacerdote, e a tutti i sacerdoti, per dire: L’Eterno ti ha costituito sacerdote al posto del sacerdote Ieoiada, perché vi siano nella casa dell’Eterno dei sovrintendenti per sorvegliare ogni uomo che è pazzo e che fa il profeta, e perché tu lo metta nei ceppi e in catene. Ora perché non reprimi Geremia di Anatot che fa il profeta tra di voi, e ci ha perfino mandato a dire a Babilonia: L’esilio sarà lungo; fabbricate delle case e abitatele, piantate dei giardini e mangiatene il frutto?’”. Il sacerdote Sofonia lesse questa lettera in presenza del profeta Geremia. La parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia, dicendo: “Manda a dire a tutti quelli che sono deportati: ‘Così parla l’Eterno riguardo a Semaia il Neelamita: Poiché Semaia vi ha profetizzato, benché io non lo abbia mandato, e vi ha fatto confidare nella menzogna, così parla l’Eterno: Ecco, io punirò Semaia il Neelamita, e la sua discendenza; non ci sarà nessuno dei suoi discendenti che abiti in mezzo a questo popolo, ed egli non vedrà il bene che io farò al mio popolo’, dice l’Eterno; ‘poiché egli ha parlato di ribellione contro l’Eterno’”. Questa è la parola che fu rivolta a Geremia dall’Eterno: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Scrivi in un libro tutte le parole che ti ho detto; poiché, ecco, i giorni vengono’, dice l’Eterno, ‘in cui io riporterò dall’esilio il mio popolo d’Israele e di Giuda’, dice l’Eterno, ‘e li ricondurrò nel paese che diedi ai loro padri, ed essi lo possederanno’”. Queste sono le parole che l’Eterno ha pronunciato riguardo a Israele e a Giuda. “Così parla l’Eterno: ‘Noi udiamo un grido di terrore, di spavento e non di pace. Informatevi e guardate se un maschio partorisce! Perché dunque vedo tutti gli uomini con le mani sui fianchi come una donna che partorisce? Perché tutte le facce sono diventate pallide? Ahimè, perché quel giorno è grande; non ce ne fu mai altro simile; è un tempo di angoscia per Giacobbe; tuttavia egli ne sarà salvato. In quel giorno’, dice l’Eterno degli eserciti, ‘io spezzerò il suo giogo dal tuo collo e romperò le tue catene; gli stranieri non ti faranno più loro schiavo, ma quelli d’Israele serviranno l’Eterno, il loro Dio, e Davide loro re, che io susciterò loro. Tu dunque, o Giacobbe, mio servitore, non temere’, dice l’Eterno, ‘non ti sgomentare, o Israele; poiché, ecco, io ti salverò dal lontano paese, salverò la tua discendenza dalla terra del suo esilio; Giacobbe ritornerà, sarà in riposo, sarà tranquillo, e nessuno più lo spaventerà. Poiché io sono con te’, dice l’Eterno, ‘per salvarti; io annienterò tutte le nazioni fra le quali ti ho disperso, ma non annienterò te; però, ti castigherò con giusta misura, e non ti lascerò del tutto impunito’”. “Così parla l’Eterno: ‘La tua ferita è incurabile, la tua piaga è grave. Nessuno difende la tua causa per fasciare la tua piaga; tu non hai medicine adatte a guarirla. Tutti i tuoi amanti ti hanno dimenticata, non si curano più di te; poiché io ti ho percossa come si percuote un nemico, ti ho inflitto la correzione di un uomo crudele, per la grandezza della tua iniquità, perché i tuoi peccati sono andati aumentando. Perché gridi a causa della tua ferita? Il tuo dolore è insanabile. Io ti ho fatto queste cose per la grandezza della tua iniquità, perché i tuoi peccati sono andati aumentando. Tuttavia, tutti quelli che ti divorano saranno divorati, tutti i tuoi nemici, tutti quanti, saranno deportati; quelli che ti spogliano saranno spogliati, quelli che ti saccheggiano li abbandonerò al saccheggio. Ma io medicherò le tue ferite, ti guarirò delle tue piaghe’, dice l’Eterno, ‘poiché ti chiamano la scacciata, la Sion di cui nessuno si cura’”. “Così parla l’Eterno: ‘Ecco, io riporto dall’esilio le tende di Giacobbe, e ho pietà delle sue abitazioni; le città saranno ricostruite sulle loro rovine e i palazzi saranno abitati come di consueto. Ne usciranno ringraziamenti, voci di gente festeggiante. Io li moltiplicherò e non saranno più ridotti a pochi; li renderò onorati e non saranno più avviliti. I suoi figli saranno come furono un tempo, la sua comunità sarà stabilita davanti a me e io punirò tutti i loro oppressori. Il loro principe sarà uno di essi, e chi li dominerà uscirà di mezzo a loro; io lo farò avvicinare, ed egli verrà a me; poiché chi disporrebbe il suo cuore ad avvicinarsi a me?’ dice l’Eterno. ‘Voi sarete mio popolo e io sarò vostro Dio’”. Ecco la tempesta dell’Eterno; il furore scoppia; la tempesta imperversa, scroscia sul capo degli empi. L’ardente ira dell’Eterno non si placherà, finché non abbia eseguito, compiuto i disegni del suo cuore; negli ultimi giorni, lo capirete. “In quel tempo”, dice l’Eterno, “io sarò l’Iddio di tutte le famiglie d’Israele, ed esse saranno il mio popolo”. Così parla l’Eterno: “Il popolo scampato dalla spada ha trovato grazia nel deserto; io sto per dare riposo a Israele”. Da tempi lontani l’Eterno mi è apparso. “Sì, io ti amo di un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà. Io ti ricostruirò e tu sarai ricostruita, vergine d’Israele! Tu sarai di nuovo adorna dei tuoi tamburelli e uscirai in mezzo alle danze di quelli che si rallegrano. Pianterai ancora delle vigne sui monti di Samaria; i piantatori pianteranno e raccoglieranno il frutto. Poiché il giorno verrà, quando le guardie grideranno sul monte di Efraim: ‘Alzatevi, saliamo a Sion, all’Eterno, che è il nostro Dio’”. Poiché così parla l’Eterno: “Innalzate canti di gioia per Giacobbe, gridate per il capo delle nazioni; fate udire delle lodi e dite: ‘O Eterno, salva il tuo popolo, il residuo d’Israele!’. Ecco, io li riconduco dal paese del settentrione e li raccolgo dalle estremità della terra; fra loro ci sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e quella in doglie di parto: una grande moltitudine che ritorna qua. Vengono piangenti, li conduco imploranti, li guido ai torrenti di acqua, per una via diritta dove non inciamperanno; perché sono diventato un padre per Israele, ed Efraim è il mio primogenito. Nazioni, ascoltate la parola dell’Eterno, proclamatela alle isole lontane e dite: ‘Colui che ha disperso Israele lo raccoglie e lo custodisce come fa un pastore con il suo gregge’. Poiché l’Eterno ha riscattato Giacobbe, lo ha salvato dalla mano di uno più forte di lui. Quelli verranno e canteranno di gioia sulle alture di Sion, affluiranno verso i beni dell’Eterno: al frumento, al vino, all’olio, al frutto delle greggi e degli armenti; la loro anima sarà come un giardino annaffiato, non continueranno più a languire. Allora la vergine si rallegrerà nella danza, i giovani gioiranno insieme ai vecchi; io cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò, li rallegrerò liberandoli dal loro dolore. Sazierò di grasso l’anima dei sacerdoti e il mio popolo sarà saziato dei miei beni”, dice l’Eterno. Così parla l’Eterno: “Si è udita una voce in Rama, un lamento, un pianto amaro; Rachele piange i suoi figli; lei rifiuta di essere consolata dei suoi figli, perché non sono più”. Così parla l’Eterno: “Trattieni la tua voce dal piangere, i tuoi occhi dal versare lacrime; poiché la tua opera sarà ricompensata”, dice l’Eterno, “essi ritorneranno dal paese del nemico; e c’è speranza per il tuo avvenire”, dice l’Eterno, “i tuoi figli ritorneranno nelle loro frontiere. Io odo, odo Efraim che si rammarica: ‘Tu mi hai castigato e io sono stato castigato, come un torello non domato; convertimi e io mi convertirò, poiché tu sei l’Eterno, il mio Dio. Dopo che mi sono sviato, io mi sono pentito; dopo che ho riconosciuto il mio stato, mi sono battuto l’anca; io sono coperto di vergogna, confuso, perché porto l’infamia della mia giovinezza’. Efraim è dunque per me un figlio così caro? un figlio prediletto? Da quando io parlo contro di lui, è più vivo e continuo il ricordo che ne ho; perciò le mie viscere si commuovono per lui, e io certo ne avrò pietà”, dice l’Eterno. “Metti delle pietre miliari, fatti dei pali indicatori, poni ben mente alla strada, alla via che hai seguito. Ritorna, vergine d’Israele, torna a queste città che sono tue! Fino a quando te ne andrai vagabonda, figlia infedele? Poiché l’Eterno crea una cosa nuova sulla terra: la donna che corteggia l’uomo”. Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: “Si dirà ancora questa parola nel paese di Giuda e nelle sue città, quando li avrò fatti tornare dalla deportazione: ‘L’Eterno ti benedica, dimora di giustizia, monte di santità!’. Là si stabiliranno assieme Giuda e tutte le sue città: gli agricoltori e quelli che guidano le greggi. Poiché io ristorerò l’anima stanca e sazierò ogni anima languente”. A questo punto mi sono svegliato e ho guardato; il mio sonno era stato dolce. “Ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “che io seminerò la casa d’Israele e la casa di Giuda di semenza di uomini e di semenza di animali. Avverrà che, come ho vegliato su di loro per sradicare e per demolire, per abbattere, per distruggere e per nuocere, così veglierò su di loro per costruire e per piantare”, dice l’Eterno. “In quei giorni non si dirà più: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati’, ma ognuno morirà per la propria iniquità: chiunque mangerà l’uva acerba avrà i denti allegati. Ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “che io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che stabilii con i loro padri il giorno che li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto: patto che essi violarono, benché io fossi loro Signore”, dice l’Eterno; “ma questo è il patto che farò con la casa d’Israele, dopo quei giorni”, dice l’Eterno, “io metterò la mia legge nel loro intimo, la scriverò sul loro cuore, io sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo. Non insegneranno più ciascuno il proprio compagno e ciascuno il proprio fratello, dicendo: ‘Conoscete l’Eterno!’ poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande”, dice l’Eterno. “Poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato”. Così parla l’Eterno, che ha dato il sole come luce del giorno e le leggi alla luna e alle stelle perché siano luce alla notte; che solleva il mare in modo che ne muggiscano le onde; colui che si chiama: l’Eterno degli eserciti. “Se quelle leggi vengono a mancare davanti a me”, dice l’Eterno, “allora anche la discendenza d’Israele cesserà di essere per sempre una nazione in mia presenza”. Così parla l’Eterno: “Se i cieli di sopra possono essere misurati e le fondamenta della terra di sotto scandagliate, allora anche io rigetterò tutta la discendenza d’Israele per tutto quello che essi hanno fatto”, dice l’Eterno. “Ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “che questa città sarà ricostruita in onore dell’Eterno, dalla torre di Cananeel alla porta dell’Angolo. Di là la corda per misurare sarà tirata in linea retta fino al colle di Gareb, e girerà dal lato di Goa. Tutta la valle dei cadaveri e delle ceneri e tutti i campi fino al torrente Chidron, fino all’angolo della porta dei Cavalli verso oriente, saranno consacrati all’Eterno, e non saranno più sconvolti né distrutti, per sempre”. Questa è la parola che fu rivolta a Geremia dall’Eterno nel decimo anno di Sedechia, re di Giuda, che fu il diciottesimo anno di Nabucodonosor. L’esercito del re di Babilonia assediava allora Gerusalemme e il profeta Geremia era rinchiuso nel cortile della prigione che era nella casa del re di Giuda. Lo aveva fatto rinchiudere Sedechia, re di Giuda, dicendo: “Tu, infatti, profetizzi dicendo: ‘Così parla l’Eterno: Ecco, io do questa città in mano del re di Babilonia, ed egli la prenderà; e Sedechia, re di Giuda, non scamperà dalle mani dei Caldei, ma sarà per certo dato in mano del re di Babilonia, e parlerà con lui bocca a bocca e lo vedrà faccia a faccia; e Nabucodonosor condurrà Sedechia a Babilonia, ed egli resterà là finché io lo visiti’, dice l’Eterno; ‘se combattete contro i Caldei voi non riuscirete in nulla’”. E Geremia disse: “La parola dell’Eterno mi è stata rivolta in questi termini: ‘Ecco, Canameel, figlio di Sallum, tuo zio, viene da te per dirti: Comprati il mio campo che è ad Anatot, poiché tu hai il diritto di riscatto per comprarlo’”. E Canameel, figlio di mio zio, venne da me, secondo la parola dell’Eterno, nel cortile della prigione, e mi disse: “Ti prego, compra il mio campo che è ad Anatot, nel territorio di Beniamino; poiché tu hai il diritto di successione e il diritto di riscatto, compratelo!”. Allora riconobbi che questa era parola dell’Eterno. E io comprai da Canameel, figlio di mio zio, il campo che era ad Anatot, gli pesai il denaro, diciassette sicli d’argento. Scrissi tutto questo in un atto, lo sigillai, chiamai i testimoni, e pesai il denaro nella bilancia. Poi presi l’atto di acquisto, quello sigillato contenente i termini e le condizioni e quello aperto, e consegnai l’atto di acquisto a Baruc, figlio di Neria, figlio di Maseia, in presenza di Canameel mio cugino, in presenza dei testimoni che avevano sottoscritto l’atto di acquisto e in presenza di tutti i Giudei che sedevano nel cortile della prigione. Poi, davanti a loro, diedi questo ordine a Baruc: “Così parla l’Eterno degli eserciti, Dio d’Israele: ‘Prendi questi atti, l’atto di acquisto, tanto quello che è sigillato quanto quello che è aperto, e mettili in un vaso di terra, perché si conservino per lungo tempo’. Poiché così parla l’Eterno degli eserciti, Dio d’Israele: ‘Si compreranno ancora delle case, dei campi e delle vigne in questo paese’”. Dopo che io ebbi consegnato l’atto di acquisto a Baruc, figlio di Neria, pregai l’Eterno, dicendo: “Ah, Signore, Eterno! Ecco, tu hai fatto il cielo e la terra con la tua grande potenza e con il tuo braccio steso: non c’è nulla di troppo difficile per te; tu usi benignità verso mille generazioni, e retribuisci l’iniquità dei padri ai figli dopo di loro; tu sei l’Iddio grande, potente, il cui nome è: l’Eterno degli eserciti; tu sei grande in consiglio e potente in opere; e hai gli occhi aperti su tutte le vie dei figli degli uomini, per rendere a ciascuno secondo le sue opere e secondo il frutto delle sue azioni; tu hai fatto nel paese d’Egitto, in Israele e fra gli altri uomini, fino a questo giorno, miracoli e prodigi e ti sei acquistato un nome quale esso è oggi; tu facesti uscire il tuo popolo dal paese d’Egitto con miracoli e prodigi, con mano potente e braccio steso, con grande terrore; gli desti questo paese che avevi giurato ai loro padri di dare loro: un paese dove scorre il latte e il miele. Essi vi entrarono e ne presero possesso, ma non hanno ubbidito alla tua voce e non hanno camminato secondo la tua legge; tutto quello che avevi loro comandato di fare essi non lo hanno fatto; perciò tu hai fatto venire su di loro tutti questi mali. Ecco, le opere di assedio giungono fino alla città per prenderla; la città, vinta dalla spada, dalla fame e dalla peste, è data in mano ai Caldei che combattono contro di lei. Quello che tu hai detto è avvenuto, ed ecco, tu lo vedi. Eppure, Signore, Eterno, tu mi hai detto: ‘Comprati con denaro il campo e chiama dei testimoni’, ma la città è data in mano dei Caldei”. Allora la parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia in questi termini: “Ecco, io sono l’Eterno, l’Iddio di ogni carne; c’è forse qualcosa di troppo difficile per me?”. Perciò, così parla l’Eterno: “Ecco, io do questa città in mano dei Caldei, in mano di Nabucodonosor, re di Babilonia, il quale la prenderà; i Caldei che combattono contro questa città vi entreranno, vi appiccheranno il fuoco e la incendieranno, con le case sui cui tetti hanno offerto profumi a Baal e fatto libazioni ad altri dèi, per provocarmi a ira. Poiché i figli d’Israele e i figli di Giuda, non hanno fatto altro, fin dalla loro fanciullezza, che ciò che è male ai miei occhi; poiché i figli d’Israele non hanno fatto che provocarmi a ira con l’opera delle loro mani”, dice l’Eterno. “Poiché questa città, dal giorno che fu costruita fino a oggi, è stata una continua provocazione alla mia ira e al mio furore, perciò la voglio togliere via dalla mia presenza, a causa di tutto il male che i figli d’Israele e i figli di Giuda hanno fatto per provocarmi a ira; essi, i loro re, i loro principi, i loro sacerdoti, i loro profeti, gli uomini di Giuda e gli abitanti di Gerusalemme. Mi hanno voltato non la faccia, ma le spalle; sebbene io li abbia istruiti sempre, fin dal mattino, essi non hanno dato ascolto per ricevere la correzione. Ma hanno messo le loro abominazioni nella casa sulla quale è invocato il mio nome, per contaminarla. Hanno costruito gli alti luoghi di Baal che sono nella valle dei figli di Innom, per far passare per il fuoco i loro figli e le loro figlie offrendoli a Moloc; una cosa simile io non l’ho comandata loro; non mi è venuto mai in mente che si dovesse commettere una tale abominazione, facendo peccare Giuda. Ma ora, in seguito a tutto questo, così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele, riguardo a questa città, della quale voi dite: ‘Essa è data in mano del re di Babilonia, per la spada, per la fame e per la peste’: ‘Ecco, li raccoglierò da tutti i paesi dove li ho scacciati nella mia ira, nel mio furore, nella mia grande indignazione; li farò tornare in questo luogo e li farò abitare al sicuro; essi saranno mio popolo e io sarò loro Dio; darò loro uno stesso cuore, una stessa via, perché mi temano per sempre per il loro bene e per quello dei loro figli dopo di loro. Farò con loro un patto eterno, che non mi allontanerò più da loro per cessare di fare loro del bene; metterò il mio timore nel loro cuore, perché non si allontanino da me. Metterò la mia gioia nel fare loro del bene e li pianterò in questo paese con fedeltà, con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima’. Poiché così parla l’Eterno: ‘Come ho fatto venire su questo popolo tutto questo grande male, così farò venire su di lui tutto il bene che gli prometto. Si compreranno dei campi in questo paese, del quale voi dite: È desolato; non c’è più né uomo né bestia; è dato in mano dei Caldei. Si compreranno dei campi con denaro, se ne scriveranno gli atti, si sigilleranno, si chiameranno testimoni, nel paese di Beniamino e nei luoghi intorno a Gerusalemme, nelle città di Giuda, nelle città della regione montuosa, nelle città della pianura, nelle città del meridione; poiché io farò tornare quelli che sono deportati’, dice l’Eterno”. La parola dell’Eterno fu rivolta per la seconda volta a Geremia in questi termini, mentre egli era ancora rinchiuso nel cortile della prigione: “Così parla l’Eterno, che sta per fare questo, l’Eterno che lo concepisce per mandarlo a effetto, colui che ha nome l’Eterno: ‘Invocami e io ti risponderò, ti annuncerò cose grandi e impenetrabili, che tu non conosci’. Infatti così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele, riguardo alle case di questa città e riguardo alle case dei re di Giuda che saranno diroccate per far fronte ai terrapieni e alla spada del nemico, quando si verrà a combattere contro i Caldei e a riempire quelle case di cadaveri di uomini, che io colpirò nella mia ira e nel mio furore, e per le cui malvagità io nasconderò la mia faccia a questa città: ‘Ecco, io porterò a essa medicazione e rimedi, guarirò i suoi abitanti e aprirò loro un tesoro di pace e di verità. Farò tornare dalla deportazione Giuda e Israele e li ristabilirò come erano prima; li purificherò di tutta l’iniquità con la quale hanno peccato contro di me; perdonerò loro tutte le iniquità con le quali hanno peccato contro di me e si sono ribellati a me. Questa città sarà per me un motivo di gioia, di lode e di gloria fra tutte le nazioni della terra, che udranno tutto il bene che io sto per fare loro, e temeranno e tremeranno a causa di tutto il bene e di tutta la pace che io procurerò a Gerusalemme’. Così parla l’Eterno: ‘In questo luogo, del quale voi dite: È un deserto, non c’è più uomo né bestia, nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme che sono desolate e dove non c’è più né uomo, né abitante, né bestia, si udranno ancora grida di gioia, grida di esultanza, la voce dello sposo e la voce della sposa, la voce di quelli che dicono: Celebrate l’Eterno degli eserciti, poiché l’Eterno è buono, poiché la sua benignità dura in eterno, e che portano offerte di ringraziamento nella casa dell’Eterno. Poiché io farò tornare i deportati del paese e lo ristabilirò come era prima’, dice l’Eterno. Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘In questo luogo che è deserto, dove non c’è più né uomo né bestia, e in tutte le sue città ci saranno ancora delle dimore di pastori, che faranno riposare le loro greggi. Nelle città della regione montuosa, nelle città della pianura, nelle città del mezzogiorno, nel paese di Beniamino, nei dintorni di Gerusalemme e nelle città di Giuda le pecore passeranno ancora sotto la mano di colui che le conta’, dice l’Eterno. ‘Ecco, i giorni vengono’, dice l’Eterno, ‘che io manderò a effetto la buona parola che ho pronunciato riguardo alla casa d’Israele e riguardo alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo, io farò germogliare a Davide un germoglio di giustizia, ed esso eserciterà il diritto e la giustizia nel paese. In quei giorni, Giuda sarà salvato e Gerusalemme abiterà al sicuro; questo è il nome con cui sarà chiamata: Eterno, nostra giustizia’. Poiché così parla l’Eterno: ‘Non verrà mai meno a Davide chi sieda sul trono della casa d’Israele, ai sacerdoti levitici non verrà mai meno, in mia presenza, chi offra olocausti, chi faccia bruciare le offerte e chi faccia tutti i giorni i sacrifici’”. La parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia in questi termini: “Così parla l’Eterno: ‘Se voi potete annullare il mio patto con il giorno e il mio patto con la notte, in modo che il giorno e la notte non vengano al loro tempo, allora si potrà anche annullare il mio patto con Davide mio servitore, in modo che egli non abbia più un figlio che regni sul suo trono, e con i sacerdoti levitici miei ministri. Come non si può contare l’esercito del cielo né misurare la sabbia del mare, così io moltiplicherò la discendenza di Davide, mio servitore, e i Leviti che svolgono il mio servizio’”. La parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia in questi termini: “Non hai posto mente alle parole di questo popolo quando va dicendo: ‘Le due famiglie che l’Eterno aveva scelto, le ha rigettate’? Così disprezzano il mio popolo, che ai loro occhi non è più una nazione. Così parla l’Eterno: ‘Se io non ho stabilito il mio patto con il giorno e con la notte, e se non ho fissato le leggi del cielo e della terra, allora rigetterò anche la discendenza di Giacobbe e di Davide mio servitore, e non prenderò più dai suoi discendenti quelli che governeranno la discendenza di Abraamo, di Isacco e di Giacobbe! poiché io farò tornare i loro esuli e avrò pietà di loro’”. La parola che fu rivolta dall’Eterno a Geremia, quando Nabucodonosor, re di Babilonia, tutto il suo esercito, tutti i regni della terra sottoposti al suo dominio, e tutti i popoli combattevano contro Gerusalemme e contro tutte le sue città: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: Va’, parla a Sedechia, re di Giuda, e digli: Così parla l’Eterno: ‘Ecco, io do questa città in mano del re di Babilonia, il quale la darà alle fiamme; tu non scamperai dalla sua mano, ma sarai certamente preso e sarai dato in sua mano; i tuoi occhi vedranno gli occhi del re di Babilonia; egli ti parlerà da bocca a bocca, e tu andrai a Babilonia’. Tuttavia, Sedechia, re di Giuda, ascolta la parola dell’Eterno: Così parla l’Eterno riguardo a te: ‘Tu non morirai per la spada, tu morirai in pace; come si bruciarono aromi per i tuoi padri, gli antichi re tuoi predecessori, così se ne bruceranno per te; si farà cordoglio per te, dicendo: Ahimè, signore! poiché sono io che pronuncio questa parola’, dice l’Eterno”. Il profeta Geremia disse tutte queste parole a Sedechia, re di Giuda, a Gerusalemme, mentre l’esercito del re di Babilonia combatteva contro Gerusalemme e contro tutte le città di Giuda che resistevano ancora, cioè contro Lachis e Azeca, che erano tutto quello che rimaneva, in fatto di città fortificate, fra le città di Giuda. La parola che fu rivolta dall’Eterno a Geremia, dopo che il re Sedechia ebbe fatto un patto con tutto il popolo di Gerusalemme per proclamare l’emancipazione, per la quale ognuno doveva rimandare in libertà il suo schiavo e la sua schiava, ebreo ed ebrea, e nessuno doveva tenere più in schiavitù nessun suo fratello giudeo. Tutti i capi e tutto il popolo che erano entrati nel patto di rimandare in libertà ciascuno il proprio servo e la propria serva e di non tenerli più in schiavitù ubbidirono e li rimandarono; ma poi cambiarono idea e fecero ritornare gli schiavi e le schiave che avevano liberato, e li riassoggettarono a essere loro schiavi e schiave. La parola dell’Eterno fu dunque rivolta dall’Eterno a Geremia, in questi termini: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Io stabilii un patto con i vostri padri il giorno che li feci uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù, e dissi loro: Al termine di sette anni, ciascuno di voi rimandi libero il proprio fratello ebreo, che si sarà venduto a lui; ti serva sei anni, poi rimandalo da casa tua libero; ma i vostri padri non ubbidirono e non prestarono orecchio. Voi oggi eravate tornati a fare ciò che è retto ai miei occhi, proclamando l’emancipazione ciascuno al suo prossimo, e avevate fatto un patto in mia presenza, nella casa sulla quale è invocato il mio nome; ma siete tornati indietro e avete profanato il mio nome; ciascuno di voi ha fatto ritornare il suo schiavo e la sua schiava che avevate rimandato in libertà a loro piacere, e li avete assoggettati a essere vostri schiavi e schiave’. Perciò, così parla l’Eterno: ‘Voi non mi avete ubbidito proclamando l’emancipazione ciascuno di suo fratello e ciascuno del suo prossimo; ecco, io proclamo la vostra emancipazione’, dice l’Eterno, ‘per andare incontro alla spada, alla peste e alla fame, e farò in modo che sarete agitati per tutti i regni della terra. Darò gli uomini che hanno trasgredito il mio patto e non hanno messo in pratica le parole del patto che avevano stabilito in mia presenza, passando in mezzo alle parti del vitello che avevano tagliato in due; darò, dico, i capi di Giuda e i capi di Gerusalemme, gli eunuchi, i sacerdoti e tutto il popolo del paese che passarono in mezzo alle parti del vitello, in mano dei loro nemici, e in mano di quelli che cercano la loro vita; i loro cadaveri serviranno da pasto agli uccelli del cielo e alle bestie della terra. Darò Sedechia, re di Giuda, e i suoi capi in mano dei loro nemici, in mano di quelli che cercano la loro vita, e in mano dell’esercito del re di Babilonia, che si è allontanato da voi. Ecco, io darò l’ordine’, dice l’Eterno, ‘e li farò ritornare contro questa città; essi combatteranno contro di lei, la prenderanno, la daranno alle fiamme; io farò delle città di Giuda una desolazione senza abitanti’”. Questa è la parola che fu rivolta a Geremia dall’Eterno, al tempo di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda: “Va’ alla casa dei Recabiti, e parla loro: conducili nella casa dell’Eterno, in una delle camere, e offri loro del vino da bere”. Allora io presi Iaazania, figlio di Geremia, figlio di Cabazzinia, i suoi fratelli, tutti i suoi figli e tutta la casa dei Recabiti, e li condussi nella casa dell’Eterno, nella camera dei figli di Anan figlio di Igdalia, uomo di Dio, la quale era vicino alla camera dei capi, sopra la camera di Maaseia, figlio di Sallum, guardiano della porta; e misi davanti ai figli della casa dei Recabiti dei vasi pieni di vino e delle coppe, e dissi loro: “Bevete del vino”. Ma quelli risposero: “Noi non beviamo vino; perché Ionadab, figlio di Recab, nostro padre, ce lo ha proibito, dicendo: ‘Non berrete mai vino, né voi né i vostri figli, per sempre; e non costruirete case, non seminerete nessuna semenza, non pianterete vigne e non ne possederete nessuna, ma abiterete in tende tutti i giorni della vostra vita, affinché viviate a lungo nel paese dove state come stranieri’. Noi abbiamo ubbidito alla voce di Ionadab, figlio di Recab, nostro padre, in tutto quello che ci ha comandato: non beviamo vino durante tutti i nostri giorni, tanto noi, quanto le nostre mogli, i nostri figli e le nostre figlie; non costruiamo case per abitarvi, non abbiamo vigna, campo, né semente; abitiamo in tende e abbiamo ubbidito e fatto tutto quello che Ionadab, nostro padre, ci ha comandato. Ma quando Nabucodonosor, re di Babilonia, è salito contro il paese, abbiamo detto: ‘Venite, ritiriamoci a Gerusalemme, per paura dell’esercito dei Caldei e dell’esercito di Siria’. E così ci siamo stabiliti a Gerusalemme”. Allora la parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia in questi termini: “Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: Va’ e di’ agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme: ‘Non riceverete voi dunque la lezione, imparando a ubbidire alle mie parole?’, dice l’Eterno. ‘Le parole di Ionadab, figlio di Recab, che comandò ai suoi figli di non bere vino, sono state messe in pratica; ed essi fino al giorno d’oggi non hanno bevuto vino, in ubbidienza all’ordine del padre loro; io vi ho parlato, parlato fin dal mattino, e voi non mi avete dato ascolto; ho continuato a mandarvi ogni mattina tutti i miei servitori i profeti per dirvi: Convertitevi dunque ciascuno dalla sua via malvagia, correggete le vostre azioni, non andate dietro ad altri dèi per servirli, e abiterete nel paese che ho dato a voi e ai vostri padri; ma voi non avete prestato orecchio, e non mi avete ubbidito. Sì, i figli di Ionadab, figlio di Recab, hanno messo in pratica l’ordine dato dal padre loro, ma questo popolo non mi ha ubbidito!’. Perciò, così parla l’Eterno, l’Iddio degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Ecco, io faccio venire su Giuda e su tutti gli abitanti di Gerusalemme tutto il male che ho pronunciato contro di loro, perché ho parlato loro ed essi non hanno ascoltato; perché li ho chiamati ed essi non hanno risposto’”. Alla casa dei Recabiti Geremia disse: “Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Poiché avete ubbidito all’ordine di Ionadab, vostro padre, e avete osservato tutti i suoi precetti e avete fatto tutto quello che egli vi aveva prescritto, così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: A Ionadab, figlio di Recab, non verranno mai a mancare discendenti, che stiano sempre davanti alla mia faccia’”. Il quarto anno di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda, questa parola fu rivolta dall’Eterno a Geremia, in questi termini: “Prenditi un rotolo da scrivere e scrivici tutte le parole che ti ho detto contro Israele, contro Giuda e contro tutte le nazioni, dal giorno che cominciai a parlarti, cioè dal tempo di Giosia, fino a quest’oggi. Forse quelli della casa di Giuda, udendo tutto il male che io penso di fare loro, si convertiranno ciascuno dalla sua via malvagia e io perdonerò la loro iniquità e il loro peccato”. Allora Geremia chiamò Baruc, figlio di Neria; e Baruc scrisse in un rotolo da scrivere, sotto dettatura di Geremia, tutte le parole che l’Eterno aveva detto a Geremia. Poi Geremia diede quest’ordine a Baruc: “Io sono impedito, e non posso entrare nella casa dell’Eterno; perciò, va’ tu e leggi dal libro che hai scritto sotto mia dettatura, le parole dell’Eterno, in presenza del popolo, nella casa dell’Eterno, il giorno del digiuno; leggile anche in presenza di tutti quelli di Giuda che saranno venuti dalle loro città. Forse, presenteranno le loro suppliche all’Eterno e si convertiranno ciascuno dalla sua via malvagia; perché l’ira e il furore che l’Eterno ha espresso contro questo popolo, sono grandi”. Baruc, figlio di Neria, fece tutto quello che gli aveva ordinato il profeta Geremia e lesse dal libro le parole dell’Eterno. Il quinto anno di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda, il nono mese, fu pubblicato un digiuno alla presenza dell’Eterno, per tutto il popolo di Gerusalemme e per tutto il popolo venuto dalle città di Giuda a Gerusalemme. Baruc lesse dal libro le parole di Geremia alla presenza di tutto il popolo, nella casa dell’Eterno, nella camera di Ghemaria, figlio di Safan, segretario, nel cortile superiore, all’ingresso della porta nuova della casa dell’Eterno. Micaia, figlio di Ghemaria, figlio di Safan, udì tutte le parole dell’Eterno, lette dal libro; scese nella casa del re, nella camera del segretario, ed ecco che là stavano seduti tutti i capi: Elisama il segretario, Delaia figlio di Semaia, Elnatan figlio di Acbor, Ghemaria figlio di Safan, Sedechia figlio di Anania e tutti gli altri capi. Micaia riferì loro tutte le parole che aveva udito mentre Baruc leggeva il libro in presenza del popolo. Allora tutti i capi mandarono Ieudi, figlio di Netania, figlio di Selemia, figlio di Cusci, a Baruc per dirgli: “Prendi in mano il rotolo dal quale tu hai letto alla presenza del popolo, e vieni”. Baruc, figlio di Neria, prese in mano il rotolo e andò da loro. Essi gli dissero: “Siediti e leggilo qui a noi”. Baruc lo lesse in loro presenza. E quando essi ebbero udito tutte quelle parole, si volsero spaventati gli uni agli altri e dissero a Baruc: “Non mancheremo di riferire tutte queste parole al re”. Poi chiesero a Baruc: “Dicci ora come hai scritto tutte queste parole uscite dalla sua bocca”. Baruc rispose loro: “Egli mi ha dettato di bocca sua tutte queste parole e io le ho scritte con inchiostro nel libro”. Allora i capi dissero a Baruc: “Vatti a nascondere tanto tu quanto Geremia; nessuno sappia dove siete”. Poi andarono dal re, nel cortile, riposero il rotolo nella camera di Elisama, segretario, e riferirono al re tutte quelle parole. Il re mandò Ieudi a prendere il rotolo ed egli lo prese dalla camera di Elisama, segretario. Ieudi lo lesse alla presenza del re e alla presenza di tutti i capi che stavano in piedi accanto al re. Il re stava seduto nel suo palazzo d’inverno, era il nono mese, e il braciere ardeva davanti a lui. Quando Ieudi ebbe letto tre o quattro colonne, il re tagliò il libro con il temperino da scriba e lo gettò nel fuoco del braciere, finché il rotolo fu interamente consumato dal fuoco del braciere. Né il re né alcuno dei suoi servitori che udirono tutte quelle parole, rimasero spaventati o si stracciarono le vesti. Benché Elnatan, Delaia e Ghemaria supplicassero il re perché non bruciasse il rotolo, egli non volle dare loro ascolto. Il re ordinò a Ierameel, figlio del re, a Sesaia figlio di Azriel, e a Selemia figlio di Abdeel, di arrestare Baruc, segretario, e il profeta Geremia. Ma l’Eterno li nascose. Dopo che il re ebbe bruciato il rotolo e le parole che Baruc aveva scritto sotto dettatura di Geremia, la parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia in questi termini: “Prenditi di nuovo un altro rotolo e scrivici tutte le parole di prima che erano nel primo rotolo, che Ioiachim re di Giuda ha bruciato. Riguardo a Ioiachim, re di Giuda, tu dirai: ‘Così parla l’Eterno: Tu hai bruciato quel rotolo, dicendo: Perché hai scritto in esso che il re di Babilonia verrà certamente e distruggerà questo paese e farà in modo che non vi sarà più né uomo né bestia? Perciò così parla l’Eterno riguardo a Ioiachim re di Giuda: Egli non avrà nessuno che sieda sul trono di Davide e il suo cadavere sarà gettato fuori, esposto al caldo del giorno e al gelo della notte. Io punirò lui, la sua discendenza e i suoi servitori della loro iniquità, e farò venire su di loro, sugli abitanti di Gerusalemme e sugli uomini di Giuda tutto il male che ho pronunciato contro di loro senza che essi abbiano dato ascolto’”. Geremia prese un altro rotolo e lo diede a Baruc, figlio di Neria, segretario, il quale vi scrisse, sotto dettatura di Geremia, tutte le parole del libro che Ioiachim, re di Giuda, aveva bruciato nel fuoco; inoltre, vi furono aggiunte molte altre parole simili a quelle. Il re Sedechia, figlio di Giosia, regnò al posto di Conia, figlio di Ioiachim, e fu costituito re nel paese di Giuda da Nabucodonosor, re di Babilonia. Ma né lui, né i suoi servitori, né il popolo del paese diedero ascolto alle parole che l’Eterno aveva pronunciato per mezzo del profeta Geremia. Il re Sedechia mandò Ieucal, figlio di Selemia, e Sofonia, figlio di Maaseia, il sacerdote, dal profeta Geremia, per dirgli: “Prega per noi l’Eterno, il nostro Dio”. Geremia andava e veniva fra il popolo e non era ancora stato messo in prigione. L’esercito del Faraone era uscito dall’Egitto; e quando i Caldei che assediavano Gerusalemme ne ebbero notizia, tolsero l’assedio a Gerusalemme. Allora la parola dell’Eterno fu rivolta al profeta Geremia, in questi termini: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele: ‘Dite così al re di Giuda che vi ha mandato da me per consultarmi: Ecco, l’esercito del Faraone che era uscito in vostro soccorso, è tornato nel suo paese, in Egitto; i Caldei torneranno e combatteranno contro questa città, la prenderanno e la daranno alle fiamme’. Così parla l’Eterno: ‘Non ingannate voi stessi dicendo: Certo, i Caldei se ne andranno da noi, perché non se ne andranno. Anzi, anche se voi sconfiggeste tutto l’esercito dei Caldei che combatte contro di voi e non ne rimanessero che degli uomini feriti, questi si alzerebbero, ciascuno dalla sua tenda, e darebbero questa città alle fiamme’”. Quando l’esercito dei Caldei si fu ritirato davanti a Gerusalemme a causa dell’esercito del Faraone, Geremia uscì da Gerusalemme per andare nel paese di Beniamino, per ricevervi la sua porzione in mezzo al popolo. Ma quando fu alla porta di Beniamino, c’era là un capitano della guardia, di nome Ireia, figlio di Selemia, figlio di Anania, il quale arrestò il profeta Geremia dicendo: “Tu vai ad arrenderti ai Caldei”. E Geremia rispose: “È falso; io non vado ad arrendermi ai Caldei”; ma l’altro non gli diede ascolto; arrestò Geremia e lo condusse dai capi. I capi si adirarono contro Geremia, lo percossero e lo misero in prigione nella casa di Gionatan, il segretario; perché di quella avevano fatto un carcere. Quando Geremia fu entrato nella prigione sotterranea fra le segrete, e vi fu rimasto molti giorni, il re Sedechia lo mandò a prendere, lo interrogò in casa sua, di nascosto, e gli disse: “C’è qualche parola da parte dell’Eterno?”. Geremia rispose: “Sì, c’è”, e aggiunse: “Tu sarai dato in mano del re di Babilonia”. Geremia disse inoltre al re Sedechia: “Che peccato ho commesso contro di te o contro i tuoi servitori o contro questo popolo, che mi avete messo in prigione? Dove sono ora i vostri profeti che vi profetizzavano dicendo: ‘Il re di Babilonia non verrà contro di voi né contro questo paese’? Ora ascolta, ti prego, o re, mio signore; e la mia supplica giunga bene accolta in tua presenza; non farmi tornare nella casa di Gionatan lo scriba, altrimenti vi morirò”. Allora il re Sedechia ordinò che Geremia fosse custodito nel cortile della prigione e gli fosse dato tutti i giorni un pane dalla via dei fornai, finché tutto il pane della città fosse consumato. Così Geremia rimase nel cortile della prigione. Sefatia figlio di Mattan, Ghedalia figlio di Pasur, Iucal figlio di Selamia e Pasur figlio di Malchia, udirono le parole che Geremia rivolgeva a tutto il popolo, dicendo: “Così parla l’Eterno: ‘Chi rimarrà in questa città morrà di spada, di fame o di peste; ma chi andrà ad arrendersi ai Caldei avrà salva la vita, la vita sarà il suo bottino e vivrà’. Così parla l’Eterno: ‘Questa città sarà certamente data in mano dell’esercito del re di Babilonia, che la prenderà’”. I capi dissero al re: “Quest’uomo sia messo a morte! poiché egli rende fiacche le mani degli uomini di guerra che rimangono in questa città, e le mani di tutto il popolo, tenendo loro tali discorsi; quest’uomo non cerca il bene, ma il male di questo popolo”. Allora il re Sedechia disse: “Ecco, egli è in mano vostra; poiché il re non può nulla contro di voi”. Allora essi presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchia, figlio del re, che era nel cortile della prigione; vi calarono Geremia con delle funi. Nella cisterna non c’era acqua ma solo fango, e Geremia affondò nel fango. Ebed-Melec, etiope, eunuco che stava nella casa del re, udì che avevano messo Geremia nella cisterna. Il re stava allora seduto alla porta di Beniamino. Ebed-Melec uscì dalla casa del re e parlò al re dicendo: “O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male in tutto quello che hanno fatto al profeta Geremia, che hanno gettato nella cisterna; egli morirà di fame là dov’è, poiché non c’è più pane in città”. Il re diede quest’ordine a Ebed-Melec, l’etiope: “Prendi con te trenta uomini di qui, e tira su il profeta Geremia dalla cisterna prima che muoia”. Ebed-Melec prese con sé quegli uomini, entrò nella casa del re, sotto il Tesoro; prese di là dei pezzi di stoffa logora e dei vecchi stracci, e li calò a Geremia, nella cisterna, con delle funi. Ebed-Melec, l’etiope, disse a Geremia: “Mettiti ora questi pezzi di stoffa logora e questi stracci sotto le ascelle, sotto le funi”. Geremia fece così. E quelli tirarono su Geremia con quelle funi e lo fecero salire fuori dalla cisterna. Geremia rimase nel cortile della prigione. Allora il re Sedechia mandò a prendere il profeta Geremia, e se lo fece condurre al terzo ingresso della casa dell’Eterno; il re disse a Geremia: “Io ti domando una cosa; non mi nascondere nulla”. Geremia rispose a Sedechia: “Se te la dico, non è forse certo che mi farai morire? E se ti do qualche consiglio, non mi darai ascolto”. Il re Sedechia giurò in segreto a Geremia, dicendo: “Com’è vero che l’Eterno, il quale ci ha dato questa vita, vive, io non ti farò morire e non ti darò in mano di questi uomini che cercano la tua vita”. Allora Geremia disse a Sedechia: “Così parla l’Eterno, l’Iddio degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Se tu ti vai ad arrendere ai capi del re di Babilonia, avrai salva la vita; questa città non sarà data alle fiamme, e vivrai tu con la tua casa; ma se non vai ad arrenderti ai capi del re di Babilonia, questa città sarà data in mano dei Caldei che la daranno alle fiamme e tu non scamperai dalle loro mani”. Il re Sedechia disse a Geremia: “Io temo quei Giudei che si sono arresi ai Caldei; che io non abbia a essere dato nelle loro mani, e che essi non mi scherniscano’”. Ma Geremia rispose: “Tu non sarai dato nelle loro mani. Ti prego! ascolta la voce dell’Eterno in questo che ti dico: tutto andrà bene per te, e tu vivrai. Ma se rifiuti di uscire, ecco quello che l’Eterno mi ha fatto vedere: Tutte le donne rimaste nella casa del re di Giuda saranno condotte fuori ai capi del re di Babilonia; e queste donne diranno: ‘I tuoi amici ti hanno incitato, ti hanno vinto; i tuoi piedi sono affondati nel fango, e quelli si sono ritirati’. Tutte le tue mogli con i tuoi figli saranno condotte ai Caldei; tu non scamperai dalle loro mani, ma sarai preso e dato in mano del re di Babilonia, e questa città sarà data alle fiamme”. Sedechia disse a Geremia: “Nessuno sappia nulla di queste parole e tu non morirai. E se i capi odono che io ho parlato con te e vengono da te a dirti: ‘Dichiaraci quello che hai detto al re; non ce lo nascondere, e non ti faremo morire; e il re che ti ha detto?’, rispondi loro: ‘Io ho presentato al re la mia supplica, che egli non mi facesse ritornare nella casa di Gionatan, per morirvi’”. Tutti i capi vennero da Geremia e lo interrogarono; ma egli rispose loro secondo tutte le parole che il re gli aveva comandato, e quelli lo lasciarono in pace, perché la cosa non si era divulgata. Geremia rimase nel cortile della prigione fino al giorno che Gerusalemme fu presa. Quando Gerusalemme fu presa, il nono anno di Sedechia, re di Giuda, il decimo mese, Nabucodonosor, re di Babilonia, venne con tutto il suo esercito contro Gerusalemme e la cinse d’assedio; l’undicesimo anno di Sedechia, il quarto mese, il nono giorno, una breccia fu fatta nella città, tutti i capi del re di Babilonia entrarono e si stabilirono alla porta di mezzo: Nergal-Sareser, Samgar-Nebu, Sarsechim, capo degli eunuchi, Nergal-Sareser, capo dei magi, e tutti gli altri capi del re di Babilonia. Quando Sedechia, re di Giuda, e tutta la gente di guerra li ebbero visti, fuggirono, uscirono di notte dalla città per la via del giardino reale, per la porta fra le due mura, e presero la via della pianura. Ma l’esercito dei Caldei li inseguì, e raggiunse Sedechia nelle campagne di Gerico. Lo presero, lo condussero su da Nabucodonosor, re di Babilonia, a Ribla, nel paese di Camat, dove il re pronunciò la sua sentenza su di lui. Il re di Babilonia fece sgozzare i figli di Sedechia, a Ribla, sotto i suoi occhi; il re di Babilonia fece sgozzare pure tutti i notabili di Giuda; poi fece cavare gli occhi a Sedechia, e lo fece legare con una doppia catena di bronzo per condurlo a Babilonia. I Caldei incendiarono la casa del re e le case del popolo, e abbatterono le mura di Gerusalemme; e Nebuzaradan, capo delle guardie, deportò a Babilonia il residuo della gente che era ancora nella città, quelli che erano andati ad arrendersi a lui, e il resto del popolo. Ma Nebuzaradan, capo delle guardie, lasciò nel paese di Giuda alcuni dei più poveri fra il popolo i quali non avevano nulla, e diede loro in quel giorno vigne e campi. Nabucodonosor, re di Babilonia, aveva dato a Nebuzaradan, capo delle guardie, quest’ordine riguardo a Geremia: “Prendilo, veglia su lui, e non gli fare nessun male, ma comportati verso di lui come egli ti dirà”. Così Nebuzaradan, capo delle guardie, Nebusazban, capo degli eunuchi, Nergal-Sareser, capo dei magi, e tutti i capi del re di Babilonia mandarono a prendere Geremia, lo fecero uscire fuori dal cortile della prigione e lo consegnarono a Ghedalia, figlio di Aicam, figlio di Safan, perché fosse condotto a casa; così egli abitò fra il popolo. La parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia in questi termini, mentre egli era rinchiuso nel cortile della prigione: “Va’ e parla a Ebed-Melec l’etiope e digli: ‘Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: Ecco, io sto per adempiere su questa città, per il suo male e non per il suo bene, le parole che ho pronunciato, e in quel giorno esse si avvereranno in tua presenza. Ma in quel giorno io ti libererò’, dice l’Eterno; ‘tu non sarai dato in mano degli uomini che temi; poiché, certo, io ti farò scampare, e tu non cadrai per la spada; la tua vita sarà il tuo bottino, poiché hai posto la tua fiducia in me’, dice l’Eterno”. La parola che fu rivolta dall’Eterno a Geremia, dopo che Nebuzaradan, capo delle guardie, lo ebbe rimandato da Rama. Quando questi lo fece prendere, Geremia era incatenato in mezzo a tutti quelli di Gerusalemme e di Giuda che dovevano essere deportati a Babilonia. Il capo delle guardie prese dunque Geremia e gli disse: “L’Eterno, il tuo Dio, aveva pronunciato questo male contro questo luogo; l’Eterno lo ha fatto venire e ha fatto come aveva detto, perché voi avete peccato contro l’Eterno e non avete dato ascolto alla sua voce; perciò questo vi è avvenuto. Ora ecco, io ti sciolgo oggi dalle catene che hai alle mani; se ti fa piacere venire con me a Babilonia, vieni e io avrò cura di te; ma se non gradisci venire con me a Babilonia, rimani qui; ecco, tutto il paese ti sta davanti; va’ dove ti piacerà e ti converrà di andare”. Poiché Geremia non si decideva a tornare con lui, l’altro aggiunse: “Torna da Ghedalia, figlio di Aicam, figlio di Safan, che il re di Babilonia ha stabilito sulle città di Giuda, e abita con lui in mezzo al popolo; oppure va’ dovunque ti farà piacere”. Il capo delle guardie gli diede delle provviste e un regalo, e lo congedò. Geremia andò da Ghedalia, figlio di Aicam, a Mispa, e abitò con lui in mezzo al popolo che era rimasto nel paese. Quando tutti i capi degli uomini armati, che erano per le campagne, compresero, essi e la loro gente, che il re di Babilonia aveva stabilito Ghedalia, figlio di Aicam, sul paese, e che gli aveva affidato gli uomini, le donne, i bambini, e quelli tra i poveri del paese che non erano stati deportati a Babilonia, si recarono da Ghedalia a Mispa: erano Ismael, figlio di Netania, Iocanan e Gionatan, figli di Carea, Seraia, figlio di Tanumet, i figli di Efai di Netofa, e Iezania, figlio del Maacatita: essi e i loro uomini. Ghedalia, figlio di Aicam, figlio di Safan, giurò a loro e alla loro gente, dicendo: “Non temete di servire i Caldei; abitate nel paese, servite il re di Babilonia, e tutto andrà bene per voi. Quanto a me, ecco, io risiederò a Mispa per tenermi agli ordini dei Caldei che verranno da noi; voi raccogliete il vino, la frutta d’estate e l’olio; metteteli nei vostri vasi, e dimorate nelle città di cui avete preso possesso”. Anche tutti i Giudei che erano a Moab, fra gli Ammoniti, nel paese di Edom e in tutti i paesi, quando udirono che il re di Babilonia aveva lasciato un residuo in Giuda e che aveva stabilito su di loro Ghedalia, figlio di Aicam, figlio di Safan, se ne tornarono da tutti i luoghi dove erano stati dispersi, e si recarono nel paese di Giuda da Ghedalia, a Mispa; raccolsero vino e frutta d’estate in grande abbondanza. Iocanan, figlio di Carea, e tutti i capi degli uomini armati che erano per la campagna, vennero da Ghedalia a Mispa, e gli dissero: “Sai tu che Baalis, re degli Ammoniti, ha mandato Ismael, figlio di Netania, per toglierti la vita?”. Ma Ghedalia, figlio di Aicam, non credette loro. Allora Iocanan, figlio di Carea, disse segretamente a Ghedalia, a Mispa: “Lasciami andare a uccidere Ismael, figlio di Netania; nessuno lo saprà. Perché dovrebbe toglierti la vita, e così tutti i Giudei che si sono raccolti presso di te andrebbero dispersi, e il residuo di Giuda perirebbe?”. Ma Ghedalia, figlio di Aicam, disse a Iocanan, figlio di Carea: “Non farlo, perché quello che tu dici di Ismael è falso”. Il settimo mese, Ismael, figlio di Netania, figlio di Elisama, della stirpe reale e uno dei grandi del re, andò con dieci uomini da Ghedalia, figlio di Aicam, a Mispa; là, a Mispa, mangiarono assieme. Poi Ismael, figlio di Netania, si alzò con i dieci uomini che erano con lui, e colpirono con la spada Ghedalia, figlio di Aicam, figlio di Safan. Così fecero morire colui che il re di Babilonia aveva stabilito sul paese. Ismael uccise pure tutti i Giudei che erano con Ghedalia a Mispa, e i Caldei, uomini di guerra, che si trovavano là. Il giorno dopo che ebbe ucciso Ghedalia, prima che se ne sapesse nulla, giunsero da Sichem, da Silo e da Samaria, ottanta uomini che avevano la barba rasa, le vesti stracciate e delle incisioni sul corpo; avevano in mano delle offerte e dell’incenso per presentarli nella casa dell’Eterno. Ismael, figlio di Netania, uscì loro incontro da Mispa e, camminando, piangeva; quando li ebbe incontrati, disse loro: “Venite da Ghedalia, figlio di Aicam”. Quando furono entrati in mezzo alla città, Ismael, figlio di Netania, assieme agli uomini che aveva con sé, li sgozzò e li gettò nella cisterna. Fra quelli, ci furono dieci uomini che dissero a Ismael: “Non ucciderci, perché abbiamo nei campi delle provviste nascoste di grano, di orzo, di olio e di miele”. Allora egli si trattenne e non li mise a morte con i loro fratelli. La cisterna nella quale Ismael gettò tutti i cadaveri degli uomini che egli uccise con Ghedalia, è quella che il re Asa aveva fatto fare per timore di Baasa, re d’Israele; Ismael, figlio di Netania, la riempì di uccisi. Poi Ismael condusse via prigionieri tutto il rimanente del popolo che si trovava a Mispa: le figlie del re e tutto il suo popolo che era rimasto a Mispa, sul quale Nebuzaradan, capo delle guardie, aveva stabilito Ghedalia, figlio di Aicam; Ismael, figlio di Netania, li deportò e partì per recarsi dagli Ammoniti. Ma quando Iocanan, figlio di Carea, e tutti i capi degli uomini armati che erano con lui furono informati di tutto il male che Ismael, figlio di Netania, aveva fatto, presero tutti gli uomini e andarono a combattere contro Ismael, figlio di Netania; lo trovarono presso le grandi acque che sono a Gabaon. Quando tutto il popolo che era con Ismael vide Iocanan, figlio di Carea, e tutti i capi degli uomini armati che erano con lui, si rallegrò; tutto il popolo che Ismael aveva condotto prigioniero da Mispa fece voltafaccia e andò a unirsi a Iocanan, figlio di Carea. Ma Ismael, figlio di Netania, scampò con otto uomini davanti a Iocanan e se ne andò fra gli Ammoniti. Iocanan, figlio di Carea, e tutti i capi degli uomini armati che erano con lui, presero tutto il rimanente del popolo che Ismael, figlio di Netania, aveva condotto via da Mispa, dopo che egli ebbe ucciso Ghedalia, figlio di Aicam: uomini, gente di guerra, donne, fanciulli, eunuchi, e li ricondussero da Gabaon. Partirono, e si fermarono a Gerut-Chimam presso Betlemme, per poi continuare a giungere in Egitto, a causa dei Caldei dei quali avevano paura, perché Ismael, figlio di Netania, aveva ucciso Ghedalia, figlio di Aicam, che il re di Babilonia aveva stabilito sul paese. Tutti i capi degli uomini armati, Iocanan, figlio di Carea, Iezania, figlio di Osaia, e tutto il popolo, dal più piccolo al più grande, si avvicinarono, e dissero al profeta Geremia: “Ti sia gradita la nostra supplica, e prega l’Eterno, il tuo Dio, per noi, per tutto questo residuo (poiché, di molti che eravamo, siamo rimasti pochi, come lo vedono i tuoi occhi); affinché l’Eterno, il tuo Dio, ci mostri la via per la quale dobbiamo camminare e che cosa dobbiamo fare”. Il profeta Geremia disse loro: “Ho compreso; ecco, io pregherò l’Eterno, il vostro Dio, come avete detto; tutto quello che l’Eterno vi risponderà, ve lo farò conoscere; non vi nasconderò nulla”. Quelli dissero a Geremia: “L’Eterno sia un testimone veritiero e fedele contro di noi, se non facciamo tutto quello che l’Eterno, il tuo Dio, ti manderà a dirci. Sia la sua risposta gradevole o sgradevole, noi ubbidiremo alla voce dell’Eterno, del nostro Dio, al quale ti mandiamo, affinché ce ne venga bene, per avere ubbidito alla voce dell’Eterno, del nostro Dio”. Dopo dieci giorni, la parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia. E Geremia chiamò Iocanan, figlio di Carea, tutti i capi degli uomini armati che erano con lui, e tutto il popolo, dal più piccolo al più grande, e disse loro: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele, al quale mi avete mandato perché io gli presentassi la vostra supplica: ‘Se continuate ad abitare in questo paese, io vi ci stabilirò e non vi distruggerò; vi pianterò e non vi sradicherò; perché mi pento del male che vi ho fatto. Non temete il re di Babilonia, del quale avete paura; non lo temete’, dice l’Eterno, ‘perché io sono con voi per salvarvi e per liberarvi dalla sua mano; io vi farò trovare compassione davanti a lui; egli avrà compassione di voi e vi farà tornare nel vostro paese’. Ma se dite: ‘Noi non rimarremo in questo paese’, se non ubbidite alla voce dell’Eterno, del vostro Dio, e dite: ‘No, andremo nel paese d’Egitto, dove non vedremo la guerra, non udremo suono di tromba, e dove non avremo più fame di pane, e là dimoreremo’, ebbene, ascoltate allora la parola dell’Eterno, o superstiti di Giuda! Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Se siete decisi a recarvi in Egitto e se andate ad abitarvi, la spada che temete vi raggiungerà là, nel paese d’Egitto, e la fame che vi spaventa vi starà alle calcagna là in Egitto, e là morirete. Tutti quelli che avranno deciso di andare in Egitto per abitarvi, vi moriranno di spada, di fame o di peste; nessuno di loro scamperà, non sfuggirà al male che io farò venire su di loro’. Poiché così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Come la mia ira e il mio furore si sono riversati sugli abitanti di Gerusalemme, così il mio furore si riverserà su di voi, quando sarete entrati in Egitto; sarete abbandonati al disprezzo, alla desolazione, alla maledizione e all’obbrobrio, e non vedrete mai più questo luogo’. O superstiti di Giuda! l’Eterno parla a voi: ‘Non andate in Egitto!’. Sappiate bene che quest’oggi io vi ho avvertito. Voi ingannate voi stessi, a rischio della vostra vita; poiché mi avete mandato dall’Eterno, dal vostro Dio, dicendo: ‘Prega l’Eterno, il nostro Dio, per noi; tutto quello che l’Eterno, il nostro Dio, dirà, faccelo sapere esattamente e noi lo faremo’. E io ve l’ho fatto sapere quest’oggi; ma voi non ubbidite alla voce dell’Eterno, del vostro Dio, né a nulla di quanto egli mi ha mandato a dirvi. Dunque sappiate bene che voi morirete di spada, di fame e di peste, nel luogo dove desiderate andare per abitarvi”. Quando Geremia ebbe finito di dire al popolo tutte le parole dell’Eterno, del loro Dio, tutte le parole che l’Eterno, il loro Dio, lo aveva incaricato di dire loro, Azaria, figlio di Osaia, Iocanan, figlio di Carea, e tutti gli uomini superbi dissero a Geremia: “Tu dici il falso; l’Eterno, il nostro Dio, non ti ha mandato a dire: ‘Non entrate in Egitto per dimorarvi’, ma Baruc, figlio di Neria, ti incita contro di noi per darci in mano dei Caldei, per farci morire o per farci deportare a Babilonia”. Così Iocanan, figlio di Carea, tutti i capi degli uomini armati e tutto il popolo non ubbidirono alla voce dell’Eterno, che ordinava loro di dimorare nel paese di Giuda. Iocanan, figlio di Carea, e tutti i capi degli uomini armati presero tutti i superstiti di Giuda i quali, da tutte le nazioni dove erano stati dispersi, erano ritornati per dimorare nel paese di Giuda: gli uomini, le donne, i fanciulli, le figlie del re e tutte le persone che Nebuzaradan, capo delle guardie, aveva lasciato con Ghedalia, figlio di Aicam, figlio di Safan, come pure il profeta Geremia, e Baruc, figlio di Neria, ed entrarono nel paese d’Egitto, perché non ubbidirono alla voce dell’Eterno; e giunsero a Tapanes. La parola dell’Eterno fu rivolta a Geremia a Tapanes in questi termini: “Prendi nelle tue mani delle grosse pietre e nascondile nell’argilla della fornace da mattoni che è all’ingresso della casa del Faraone a Tapanes, alla presenza degli uomini di Giuda. E di’ loro: ‘Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: Ecco, io manderò a prendere Nabucodonosor, re di Babilonia, mio servitore, e porrò il suo trono su queste pietre che io ho nascosto, ed egli stenderà su di esse il suo padiglione reale; verrà e colpirà il paese d’Egitto: chi deve andare alla morte, andrà alla morte; chi alla deportazione, andrà alla deportazione; chi deve cadere di spada, cadrà per la spada. Appiccherà il fuoco alle case degli dèi d’Egitto, brucerà le case e deporterà gli idoli, e si avvolgerà del paese d’Egitto come il pastore si avvolge nella sua veste; e ne uscirà in pace. Frantumerà pure le statue del tempio del sole, che è nel paese d’Egitto, e darà alle fiamme le case degli dèi d’Egitto’”. La parola che fu rivolta a Geremia in questi termini, riguardo a tutti i Giudei che dimoravano nel paese d’Egitto, che dimoravano a Migdol, a Tapanes, a Nof e nel paese di Patros: “Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Voi avete visto tutto il male che io ho fatto venire sopra Gerusalemme e sopra tutte le città di Giuda; ed ecco, oggi sono una desolazione e non c’è chi abiti in esse, a causa della malvagità che hanno commesso per provocarmi a ira, andando a offrire profumi e servire altri dèi, i quali né essi, né voi, né i vostri padri avevate mai conosciuto. Io vi ho mandato tutti i miei servitori, i profeti, ve li ho mandati sempre, fin dal mattino, a dirvi: Non fate questa cosa abominevole che io odio; ma essi non hanno ubbidito, non hanno prestato orecchio, non si sono allontanati dalla loro malvagità, non hanno cessato di offrire profumi ad altri dèi; perciò il mio furore, la mia ira si sono riversati, e hanno divampato nelle città di Giuda e nelle vie di Gerusalemme, che sono ridotte deserte e desolate, come oggi si vede’. Ora così parla l’Eterno, l’Iddio degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Perché commettete questo grande male contro voi stessi, tanto da farvi sterminare in mezzo a Giuda, uomini e donne, bambini e lattanti, al punto che non rimanga di voi nessun residuo? Perché provocarmi a ira con l’opera delle vostre mani, offrendo profumi ad altri dèi nel paese d’Egitto dove siete venuti ad abitare? Così vi farete sterminare e sarete abbandonati alla maledizione e all’obbrobrio fra tutte le nazioni della terra. Avete dimenticato le malvagità dei vostri padri, le malvagità dei re di Giuda, le malvagità delle loro mogli, le malvagità vostre e le malvagità commesse dalle vostre mogli nel paese di Giuda e per le vie di Gerusalemme? Fino a oggi, non c’è stata contrizione da parte loro, non hanno avuto timore, non hanno camminato secondo la mia legge e secondo i miei statuti, che io avevo messo davanti a voi e davanti ai vostri padri’. Perciò così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Ecco, io volgo la mia faccia contro di voi per il vostro male e per distruggere tutto Giuda. Prenderò i superstiti di Giuda che si sono ostinati a venire nel paese d’Egitto per dimorarvi, e saranno tutti consumati; cadranno nel paese d’Egitto; saranno consumati dalla spada e dalla fame, dal più piccolo al più grande; periranno per la spada e per la fame, e saranno abbandonati al disprezzo, alla desolazione, alla maledizione e all’obbrobrio. Punirò quelli che abitano nel paese d’Egitto, come ho punito Gerusalemme con la spada, con la fame e con la peste; nessuno si salverà o scamperà dei superstiti di Giuda che sono venuti a stare nel paese d’Egitto con la speranza di tornare poi nel paese di Giuda, dove desiderano rientrare per dimorarvi; essi, a eccezione di alcuni fuggiaschi, non vi ritorneranno’”. Allora tutti gli uomini, i quali sapevano che le loro mogli offrivano profumi ad altri dèi, tutte le donne che si trovavano là, riunite in grande numero, e tutto il popolo che abitava nel paese d’Egitto a Patros, risposero a Geremia, dicendo: “Quanto alla parola che ci hai detto nel nome dell’Eterno, noi non ti ubbidiremo, ma vogliamo mettere interamente in pratica tutto quello che la nostra bocca ha espresso: offrire profumi alla regina del cielo, farle delle libazioni, come già abbiamo fatto noi, i nostri padri, i nostri re, i nostri capi, nelle città di Giuda e per le vie di Gerusalemme; allora avevamo abbondanza di pane, stavamo bene e non sentivamo nessun male; ma da quando abbiamo cessato di offrire profumi alla regina del cielo e di farle delle libazioni, abbiamo avuto mancanza di ogni cosa, e siamo stati consumati dalla spada e dalla fame. Quando offriamo profumi alla regina del cielo e le facciamo delle libazioni, è forse senza il consenso dei nostri mariti che le facciamo delle focacce a sua immagine e le offriamo delle libazioni?”. Geremia parlò a tutto il popolo, agli uomini, alle donne e a tutto il popolo che gli aveva risposto in quel modo, e disse: “Non sono forse i profumi che avete offerti nelle città di Giuda e per le vie di Gerusalemme, voi, i vostri padri, i vostri re, i vostri capi e il popolo del paese, quelli che l’Eterno ha ricordato e che gli sono tornati in mente? L’Eterno non lo ha più potuto sopportare, a causa della malvagità delle vostre azioni, e a causa delle abominazioni che avete commesso; perciò il vostro paese è stato abbandonato alla devastazione, alla desolazione e alla maledizione, senza che vi sia più chi lo abiti, come si vede al giorno d’oggi. Perché voi avete offerto quei profumi, avete peccato contro l’Eterno, non avete ubbidito alla voce dell’Eterno e non avete camminato secondo la sua legge, i suoi statuti e le sue testimonianze, perciò vi è avvenuto questo male che oggi si vede”. Poi Geremia disse a tutto il popolo e a tutte le donne: “Ascoltate la parola dell’Eterno, o voi tutti di Giuda, che siete nel paese d’Egitto! Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: ‘Voi e le vostre mogli lo dite con la vostra bocca e lo mettete in pratica con le vostre mani; voi dite: Vogliamo adempiere i voti che abbiamo fatto, offrendo profumi alla regina del cielo e facendole delle libazioni. Sì, voi adempite i vostri voti: sì, voi eseguite i vostri voti; perciò ascoltate la parola dell’Eterno, o voi tutti di Giuda, che dimorate nel paese d’Egitto! Ecco, io lo giuro per il mio grande nome’, dice l’Eterno; ‘in tutto il paese d’Egitto il mio nome non sarà più invocato dalla bocca di nessun uomo di Giuda che dica: Il Signore, l’Eterno, vive! Ecco, io vigilo su loro per il loro male e non per il loro bene; tutti gli uomini di Giuda che sono nel paese d’Egitto saranno consumati dalla spada e dalla fame, finché non siano interamente scomparsi. Quelli che saranno scampati dalla spada ritorneranno dal paese d’Egitto nel paese di Giuda in piccolo numero; tutto il rimanente di Giuda, quelli che sono venuti nel paese d’Egitto per abitarvi, riconosceranno qual è la parola che sussiste, la mia o la loro. Questo vi servirà di segno’, dice l’Eterno, ‘che io vi punirò in questo luogo, affinché riconosciate che le mie parole contro di voi saranno del tutto messe a effetto, per il vostro male’. Così parla l’Eterno: ‘Ecco, io darò Faraone Cofra, re d’Egitto, in mano dei suoi nemici, in mano di quelli che cercano la sua vita, come ho dato Sedechia, re di Giuda, in mano di Nabucodonosor, re di Babilonia, suo nemico, che cercava la sua vita’”. Questa è la parola che il profeta Geremia rivolse a Baruc, figlio di Neria, quando questi scrisse queste parole in un libro, sotto dettatura di Geremia, il quarto anno di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda. Egli disse: “Così parla l’Eterno, l’Iddio d’Israele, riguardo a te, Baruc: ‘Tu dici: Guai a me! poiché l’Eterno aggiunge tristezza al mio dolore; io mi affanno a gemere e non trovo riposo’”. Digli così: “Così parla l’Eterno: ‘Ecco, ciò che ho costruito, io lo distruggerò; ciò che ho piantato, io lo sradicherò; e questo farò in tutto il paese. Tu cercheresti grandi cose per te? Non le cercare! poiché, ecco, io farò venire del male sopra ogni carne’, dice l’Eterno, ‘ma a te darò la vita come bottino, in tutti i luoghi dove tu andrai’”. Parola dell’Eterno che fu rivolta a Geremia riguardo alle nazioni. Riguardo all’Egitto. Circa l’esercito del Faraone Neco, re d’Egitto, che era presso il fiume Eufrate a Carchemis, e che Nabucodonosor, re di Babilonia, sconfisse il quarto anno di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda. “Preparate lo scudo grande e piccolo; avvicinatevi per la battaglia. Attaccate i cavalli, e voi cavalieri, montate, presentatevi con gli elmi in capo; lucidate le lance, indossate le corazze! Perché li vedo sbigottiti, lanciati in fuga? I loro prodi sono sconfitti, si danno alla fuga senza volgersi indietro; tutto intorno è terrore”, dice l’Eterno. “Il veloce non fugga, il prode non scampi! Al settentrione, presso il fiume Eufrate, vacillano e cadono. Chi è colui che sale come il Nilo, le cui acque si agitano come quelle dei fiumi? È l’Egitto, che sale come il Nilo, le cui acque si agitano come quelle dei fiumi. Egli dice: ‘Io salirò, ricoprirò la terra, distruggerò le città e i loro abitanti’. All’assalto, cavalli! al galoppo, carri! si facciano avanti i prodi, quelli d’Etiopia e di Put che portano lo scudo e quelli di Lud che maneggiano e tendono l’arco. Questo giorno, per il Signore, l’Eterno degli eserciti, è giorno di vendetta in cui si vendica dei suoi nemici. La spada divorerà, si sazierà, s’inebrierà del loro sangue; poiché il Signore, l’Eterno degli eserciti, immola le vittime nel paese del settentrione, presso il fiume Eufrate. Sali a Galaad, prendi del balsamo, o vergine, figlia d’Egitto! Invano moltiplichi i rimedi; non c’è medicazione che valga per te. Le nazioni odono la tua infamia e la terra è piena del tuo grido; poiché il prode vacilla appoggiandosi al prode, entrambi cadono insieme”. La parola che l’Eterno rivolse al profeta Geremia sulla venuta di Nabucodonosor, re di Babilonia, per colpire il paese d’Egitto. “Annunciatelo in Egitto, fatelo sapere a Migdol, fatelo sapere a Nof e Tapanes! Dite: ‘Àlzati, preparati, poiché la spada divora tutto ciò che ti circonda’. Perché i tuoi prodi sono atterrati? Non possono resistere perché l’Eterno li abbatte. Egli ne fa vacillare molti; essi cadono l’uno sopra l’altro, e dicono: ‘Andiamo, torniamo al nostro popolo e al nostro paese natìo, sottraendoci alla spada micidiale’. Là essi gridano: ‘Faraone, re d’Egitto, non è che un vano rumore, ha lasciato passare il tempo fissato’. Com’è vero che io vivo”, dice il Re che si chiama l’Eterno degli eserciti, “il nemico verrà come un Tabor fra le montagne, come un Carmelo che avanza sul mare. O figlia che abiti l’Egitto, fa’ il tuo bagaglio per la deportazione! poiché Nof diventerà una desolazione; sarà devastata, nessuno vi abiterà più. L’Egitto è una giovenca bellissima, ma viene un tafano, viene dal settentrione. Anche i mercenari che sono in mezzo all’Egitto sono come vitelli da ingrasso; anche loro voltano le spalle, fuggono tutti assieme, non resistono; poiché piomba su di loro il giorno della loro calamità, il tempo della loro visitazione. La sua voce giunge come quella di un serpente; poiché avanzano con un esercito, marciano contro di lui con asce, come tanti tagliaboschi. Essi abbattono la sua foresta”, dice l’Eterno, “benché sia impenetrabile, perché quelli sono più numerosi delle locuste, non si possono contare. La figlia dell’Egitto è coperta di vergogna, è data in mano del popolo del settentrione”. L’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele, dice: “Ecco, io punirò Amon di No, Faraone, l’Egitto, i suoi dèi, i suoi re, Faraone e quelli che confidano in lui; li darò in mano di quelli che cercano la loro vita, in mano di Nabucodonosor, re di Babilonia, e in mano dei suoi servitori; ma, dopo questo, l’Egitto sarà abitato come ai giorni di prima”, dice l’Eterno. “Tu dunque non temere, o Giacobbe, mio servitore, non ti sgomentare, o Israele! poiché, ecco, io ti salverò dal paese lontano, salverò la tua discendenza dalla terra della sua deportazione; Giacobbe ritornerà, sarà in riposo, sarà tranquillo e nessuno più lo spaventerà. Tu non temere, o Giacobbe, mio servitore”, dice l’Eterno, “poiché io sono con te, io annienterò tutte le nazioni fra le quali ti ho disperso, ma non annienterò te; però ti castigherò con giusta misura e non ti lascerò del tutto impunito”. La parola dell’Eterno che fu rivolta al profeta Geremia riguardo ai Filistei, prima che Faraone colpisse Gaza. Così parla l’Eterno: “Ecco, delle acque salgono dal settentrione; formano un torrente che straripa; esse inondano il paese e tutto ciò che contiene, le città e i loro abitanti; gli uomini lanciano grida, tutti gli abitanti del paese urlano. Per lo strepito degli zoccoli dei suoi potenti destrieri, per il rumore dei suoi carri e il fracasso delle ruote, i padri non si voltano verso i figli, tanto le loro mani sono diventate fiacche, perché giunge il giorno in cui tutti i Filistei saranno devastati, in cui saranno soppressi i restanti aiutanti di Tiro e di Sidone, poiché l’Eterno devasterà i Filistei, ciò che resta dell’isola di Caftor. Gaza è diventata calva, Ascalon è ridotta al silenzio. Resti degli Anachim, fino a quando vi farete delle incisioni? O spada dell’Eterno, quando sarà che ti riposerai? Rientra nel tuo fodero, fermati e rimani tranquilla! Come ti potresti riposare? L’Eterno le dà i suoi ordini, le addita Ascalon e il lido del mare”. Riguardo a Moab. Così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: “Guai a Nebo! poiché è devastata; Chiriataim è coperta di vergogna, è presa; Misgab è coperta di vergogna e sbigottita. Il vanto di Moab non è più; in Chesbon macchinano del male contro di lui: ‘Venite, distruggiamolo e non sia più nazione’. Tu pure, o Madmen, sarai ridotta al silenzio; la spada ti inseguirà. Delle grida vengono da Coronaim: ‘Devastazione e gran rovina!’. Moab è infranto, i suoi piccini fanno udire le loro grida. Poiché su per la salita di Luit si piange, si sale piangendo perché giù per la discesa di Coronaim si ode il grido angoscioso della fuga. Fuggite, salvate le vostre persone, siano esse come una tamerice nel deserto! Poiché, siccome ti sei confidato nelle tue opere e nei tuoi tesori, anche tu sarai preso; Chemos sarà deportato con i suoi sacerdoti e con i suoi capi. Il devastatore verrà contro tutte le città e nessuna città scamperà; la valle perirà e la pianura sarà distrutta, come l’Eterno ha detto. Date delle ali a Moab, poiché bisogna che voli via; le sue città diventeranno una desolazione, non vi abiterà più nessuno. Maledetto chi fa l’opera dell’Eterno fiaccamente, maledetto colui che trattiene la spada dallo spargere il sangue! Moab era tranquillo fin dalla sua giovinezza, riposava come vino sulla sua feccia, non è stato travasato da vaso a vaso, non è andato in esilio; per questo ha conservato il suo sapore e il suo profumo non si è alterato. Perciò ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “che io gli manderò dei travasatori che lo travaseranno; svuoteranno i suoi vasi, frantumeranno le sue anfore. Moab avrà vergogna di Chemos, come la casa d’Israele ha avuto vergogna di Betel, in cui aveva riposto la sua fiducia. Come potete dire: ‘Noi siamo uomini prodi, uomini valorosi per la battaglia?’. Moab è devastato; le sue città salgono in fumo, il fiore dei suoi giovani scende al macello”, dice il re, che si chiama l’Eterno degli eserciti. “La calamità di Moab sta per giungere, la sua sciagura avanza velocemente. Compiangetelo voi tutti che lo circondate, e voi tutti che conoscete il suo nome dite: ‘Come si è spezzato quel forte scettro, quel magnifico bastone?’. O figlia che abiti in Dibon, scendi dalla tua gloria, siedi sul suolo riarso, poiché il devastatore di Moab sale contro di te, distrugge le tue fortezze. O tu che abiti in Aroer, fermati per la strada, e guarda; interroga il fuggiasco e colei che scampa, e di’: ‘Che è successo?’. Moab è coperto di vergogna, perché è infranto; lanciate urla! gridate! annunciate sull’Arnon che Moab è devastato! Un castigo è venuto sul paese della pianura, sopra Colon, sopra Iaas, su Mefaat, su Dibon, su Nebo, su Bet-Diblataim, su Chiriataim, su Bet-Gamul, su Bet-Meon, su Cheriot, su Bosra, su tutte le città del paese di Moab, lontane e vicine. Il corno di Moab è tagliato, il suo braccio è spezzato”, dice l’Eterno. “Inebriatelo, poiché egli si è innalzato contro l’Eterno, si rotoli Moab nel suo vomito e diventi anche egli un oggetto di scherno! Israele non è forse stato per te un oggetto di scherno? Era forse stato trovato fra i ladri, che ogni volta che parli di lui tu scuoti il capo? Abbandonate le città e andate a stare nelle rocce, o abitanti di Moab! Siate come le colombe che fanno il loro nido sull’orlo dei precipizi. Noi abbiamo udito l’orgoglio di Moab, l’orgogliosissimo popolo, la sua arroganza, la sua superbia, la sua fierezza, l’alterigia del suo cuore. Io conosco la sua tracotanza”, dice l’Eterno, “che non è fondata; il suo vantarsi non ha approdato a nulla di stabile. Perciò, io alzo un lamento su Moab, mando grida per tutto Moab; perciò si geme per quelli di Chir-Eres. O vigna di Sibma, io piango per te ancora più che per Iazer; i tuoi rami andavano oltre il mare, arrivavano fino al mare di Iazer; il devastatore è piombato sui tuoi frutti d’estate e sulla tua vendemmia. La gioia e l’allegrezza sono scomparse dalla fertile campagna e dal paese di Moab; io ho fatto venire meno il vino nei tini; non si pigia più l’uva con grida di gioia; il grido che si ode non è più il grido di gioia. Gli alti lamenti di Chesbon giungono fino a Eleale; si fanno udire fin verso Iaas; da Soar fino a Coronaim, fino a Eglat-Selisia; perfino le acque di Nimrim sono prosciugate. Io farò venire meno in Moab”, dice l’Eterno, “chi sale sull’alto luogo e chi offre profumi ai suoi dèi. Perciò il mio cuore geme per Moab come gemono i flauti, il mio cuore geme come gemono i flauti per quelli di Chir-Eres, perché tutto quello che avevano ammassato è perduto. Poiché tutte le teste sono rasate, tutte le barbe sono tagliate, su tutte le mani ci sono delle incisioni, e sui fianchi dei sacchi. Su tutti i tetti di Moab e nelle sue piazze, dappertutto è lamento; poiché io ho frantumato Moab, come un vaso di cui non si fa nessuna stima”, dice l’Eterno. “Come è stato infranto! Urlate! Come Moab ha voltato vergognosamente le spalle! Come Moab è diventato lo scherno e lo spavento di tutti quelli che gli stanno intorno!”. Poiché così parla l’Eterno: “Ecco, il nemico fende l’aria come l’aquila, spiega le sue ali verso Moab. Cheriot è presa, le fortezze sono occupate e il cuore dei prodi di Moab, in quel giorno, è come il cuore di una donna in doglie di parto. Moab sarà distrutto, non sarà più popolo, perché si è innalzato contro l’Eterno. Spavento, fossa, laccio ti sovrastano, o abitante di Moab!”, dice l’Eterno. “Chi fugge davanti allo spavento, cade nella fossa; chi risale dalla fossa, rimane preso al laccio; perché io faccio venire su di lui, su Moab, l’anno in cui dovrà rendere conto”, dice l’Eterno. “All’ombra di Chesbon i fuggiaschi si fermano, spossati; ma un fuoco esce da Chesbon, una fiamma di mezzo a Sicon, che divora i fianchi di Moab, la cima del capo dei figli del tumulto. Guai a te, o Moab! Il popolo di Chemos è perduto! poiché i tuoi figli sono portati via in schiavitù e le tue figlie in esilio. Ma io farò tornare Moab dalla deportazione negli ultimi giorni”, dice l’Eterno. Fin qui il giudizio su Moab. Riguardo ai figli di Ammon. Così parla l’Eterno: “Israele non ha forse figli? Non ha nessun erede? Perché dunque Malcom prende possesso di Gad e il suo popolo abita nelle sue città? Perciò, ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “che io farò udire il grido di guerra contro Rabba dei figli di Ammon; essa diventerà un mucchio di rovine, le sue città saranno consumate dal fuoco; allora Israele spodesterà quelli che lo avevano spodestato”, dice l’Eterno. “Urla, o Chesbon, poiché Ai è devastata; gridate, o città di Rabba, vestitevi di sacchi, innalzate lamenti, correte qua e là lungo le muraglie, poiché Malcom va in esilio insieme ai suoi sacerdoti e ai suoi capi. Perché ti vanti delle tue valli, della tua fertile valle, o figliola infedele, che confidavi nei tuoi tesori e dicevi: ‘Chi verrà contro di me?’. Ecco, io ti faccio venire addosso del terrore da tutti i tuoi dintorni”, dice il Signore, l’Eterno degli eserciti; “voi sarete scacciati, in tutte le direzioni, e non vi sarà chi raduni i fuggiaschi. Ma, dopo questo, io farò tornare dall’esilio i figli di Ammon”, dice l’Eterno. Riguardo a Edom. Così parla l’Eterno degli eserciti: “Non c’è più saggezza in Teman? Gli intelligenti non sanno più consigliare? La loro saggezza è svanita? Fuggite, voltate le spalle, nascondetevi profondamente, o abitanti di Dedan! Poiché io faccio venire la calamità sopra Esaù, il tempo della sua punizione. Se dei vendemmiatori venissero a te non lascerebbero qualcosa da racimolare? Se dei ladri venissero a te di notte non guasterebbero più di quanto a loro bastasse. Ma io spoglierò Esaù, scoprirò i suoi nascondigli ed egli non si potrà nascondere; la sua prole, i suoi fratelli, i suoi vicini saranno distrutti, ed egli non sarà più. Lascia i tuoi orfani, io li farò vivere e le tue vedove confidino in me!”. Poiché così parla l’Eterno: “Ecco, quelli che non erano destinati a bere la coppa, la dovranno bere; e tu andresti del tutto impunito? Non andrai impunito, tu la berrai certamente. Poiché io lo giuro per me stesso”, dice l’Eterno, “Bosra diventerà una desolazione, un obbrobrio, un deserto, una maledizione e tutte le sue città saranno delle solitudini eterne”. Io ho ricevuto un messaggio dall’Eterno e un messaggero è stato inviato fra le nazioni: “Radunatevi, venite contro di lei, alzatevi per la battaglia!”. “Poiché, ecco, io ti rendo piccolo fra le nazioni e disprezzato fra gli uomini. Lo spavento che ispiravi, l’orgoglio del tuo cuore ti hanno sedotto, o tu che abiti nelle fessure delle rocce, che occupi la cima delle colline; ma anche se tu facessi il tuo nido in alto come quello dell’aquila, io ti farò precipitare da lassù”, dice l’Eterno. “Edom diventerà una desolazione; chiunque passerà presso di lui rimarrà stupito, e si metterà a fischiare a causa di tutte le sue piaghe. Come avvenne al sovvertimento di Sodoma, di Gomorra e di tutte le città a loro vicine”, dice l’Eterno, “nessuno più vi abiterà, non vi dimorerà più nessun figlio d’uomo. Ecco, egli sale come un leone dalle rive rigogliose del Giordano contro la forte dimora; io ne farò fuggire a un tratto Edom, e stabilirò su di essa colui che io ho scelto. Poiché chi è simile a me? Chi mi ordinerà di comparire in giudizio? Qual è il pastore che possa starmi di fronte?”. Perciò, ascoltate il disegno che l’Eterno ha concepito contro Edom, e i pensieri che medita contro gli abitanti di Teman! Certo, saranno trascinati via come i più piccoli del gregge; certo, la loro abitazione sarà devastata. Al rumore della loro caduta trema la terra; si ode il loro grido fino al Mar Rosso. Ecco, il nemico sale, fende l’aria, come l’aquila, spiega le sue ali verso Bosra; e il cuore dei prodi di Edom, in quel giorno è come il cuore di una donna in doglie di parto. Riguardo a Damasco. “Camat e Arpad sono confuse, poiché hanno udito una cattiva notizia; vengono meno; è un’agitazione come quella del mare, che non può calmarsi. Damasco diventa fiacca, si volta per fuggire, un tremito l’ha colta; angoscia e dolori si sono impadroniti di lei, come una donna che partorisce. Come mai non è stata risparmiata la città famosa, la città della mia gioia? Così i suoi giovani cadranno nelle sue piazze e tutti i suoi uomini di guerra periranno in quel giorno”, dice l’Eterno degli eserciti. “Io appiccherò il fuoco alle mura di Damasco, ed esso divorerà i palazzi di Ben-Adad”. Riguardo a Chedar e ai regni di Asor, che Nabucodonosor, re di Babilonia, sconfisse. Così parla l’Eterno: “Alzatevi, salite contro Chedar, distruggete i figli dell’oriente! Le loro tende, le loro greggi saranno prese; saranno portati via i loro padiglioni, tutti i loro bagagli, i loro cammelli; si griderà loro: ‘Spavento da tutte le parti!’. Fuggite, dileguatevi lontano, nascondetevi profondamente, o abitanti di Asor”, dice l’Eterno; “poiché Nabucodonosor, re di Babilonia, ha formato un disegno contro di voi, ha concepito un piano contro di voi. Alzatevi, salite contro una nazione che gode di pace e abita in sicurezza”, dice l’Eterno; “che non ha né porte né sbarre, e dimora solitaria. I loro cammelli siano dati in preda, e la moltitudine del loro bestiame diventi bottino! Io disperderò a tutti i venti quelli che si radono le tempie e farò venire la loro calamità da tutte le parti”, dice l’Eterno. “Asor diventerà un rifugio di sciacalli, una desolazione per sempre; nessuno più vi abiterà, non vi dimorerà più nessun figlio d’uomo”. Questa è la parola dell’Eterno che fu rivolta al profeta Geremia riguardo a Elam, al principio del regno di Sedechia, re di Giuda: Così parla l’Eterno degli eserciti: “Ecco, io spezzo l’arco di Elam, la sua principale forza. Io farò venire contro Elam i quattro venti dalle quattro estremità del cielo; li disperderò a tutti quei venti, e non ci sarà nazione dove non arrivino dei fuggiaschi di Elam. Renderò gli Elamiti spaventati davanti ai loro nemici e davanti a quelli che cercano la loro vita; farò piombare su di loro la calamità, la mia ira ardente”, dice l’Eterno; “manderò la spada a inseguirli, finché io non li abbia consumati. Metterò il mio trono in Elam e farò perire i re e i capi”, dice l’Eterno. “Ma negli ultimi giorni avverrà che io ricondurrò Elam dall’esilio”, dice l’Eterno. La parola che l’Eterno pronunciò riguardo a Babilonia, riguardo al paese dei Caldei, per mezzo del profeta Geremia: “Annunciatelo fra le nazioni, proclamatelo, issate una bandiera, proclamatelo, non nascondetelo! Dite: ‘Babilonia è presa! Bel è coperto di vergogna, Merodac è infranto! le sue immagini sono coperte di vergogna; i suoi idoli, infranti!’. Poiché dal settentrione sale contro di lei una nazione che ne ridurrà il paese in un deserto, e non vi sarà più nessuno che abiti in lei; uomini e bestie fuggiranno, se ne andranno. In quei giorni, in quel tempo”, dice l’Eterno, “i figli d’Israele e i figli di Giuda torneranno assieme, cammineranno piangendo, e cercheranno l’Eterno, il loro Dio. Domanderanno qual è la via di Sion, volgeranno le loro facce in direzione di essa, e diranno: ‘Venite, unitevi all’Eterno con un patto eterno, che non si dimentichi più!’. Il mio popolo era un gregge di pecore smarrite; i loro pastori le avevano sviate sui monti dell’infedeltà; esse andavano di monte in colle, avevano dimenticato il luogo del loro riposo. Tutti quelli che le trovavano, le divoravano; i loro nemici, dicevano: ‘Noi non siamo colpevoli, poiché essi hanno peccato contro l’Eterno, dimora della giustizia, contro l’Eterno, speranza dei loro padri’. Fuggite di mezzo a Babilonia, uscite dal paese dei Caldei e siate come dei capri davanti al gregge! Poiché, ecco, io suscito e faccio salire contro Babilonia una moltitudine di grandi nazioni dal paese del settentrione, ed esse si schiereranno contro di lei e da quel lato sarà conquistata. Le loro frecce sono come quelle di un valente arciere: nessuna di esse ritorna a vuoto. La Caldea sarà saccheggiata; tutti quelli che la saccheggeranno saranno saziati”, dice l’Eterno. “Sì, gioite, sì, rallegratevi, voi che avete saccheggiato la mia eredità, sì, saltate come una giovenca che trebbia il grano, nitrite come forti destrieri! Vostra madre è tutta coperta di vergogna, colei che vi ha partorito, arrossisce; ecco, essa è l’ultima delle nazioni, un deserto, una terra arida, una solitudine. A causa dell’ira dell’Eterno non sarà più abitata, sarà una completa solitudine; chiunque passerà presso Babilonia rimarrà stupito e fischierà per tutte le sue piaghe. Schieratevi contro Babilonia da ogni lato, o voi tutti che tirate d’arco! Tirate contro di lei, non risparmiate le frecce! poiché essa ha peccato contro l’Eterno. Alzate contro di lei il grido di guerra, tutto intorno; essa si arrende; le sue colonne cadono, le sue mura crollano, perché questa è la vendetta dell’Eterno! Vendicatevi di lei! Fate a lei come lei ha fatto agli altri! Sterminate da Babilonia colui che semina e colui che maneggia la falce al tempo della mietitura. Per scampare alla spada micidiale ritorni ciascuno al suo popolo, fugga ciascuno verso il proprio paese! Israele è una pecora smarrita a cui dei leoni hanno dato la caccia; il re di Assiria, per primo, l’ha divorata; e quest’ultimo, Nabucodonosor, re di Babilonia, le ha frantumato le ossa”. Perciò così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: “Ecco, io punirò il re di Babilonia e il suo paese, come ho punito il re d’Assiria. Ricondurrò Israele ai suoi pascoli; egli pascolerà al Carmelo e in Basan, e si sazierà sui colli di Efraim e in Galaad. In quei giorni, in quel tempo”, dice l’Eterno, “si cercherà l’iniquità d’Israele, ma essa non ci sarà più, si cercheranno i peccati di Giuda, ma non si troveranno; poiché io perdonerò a quelli che avrò lasciato come residuo. Sali contro il paese di Merataim e contro gli abitanti di Pecod! Inseguili con la spada, votali allo sterminio”, dice l’Eterno, “e fa’ esattamente come io ti ho comandato! Si ode nel paese un grido di guerra e il disastro è grande. Come mai si è rotto, si è spezzato il martello di tutta la terra? Come mai Babilonia è diventata una desolazione fra le nazioni? Io ti ho teso un laccio e tu, o Babilonia, sei stata presa, senza che te ne accorgessi; sei stata trovata e arrestata, perché ti sei messa in guerra contro l’Eterno. L’Eterno ha aperto la sua armeria e ha tirato fuori le armi della sua indignazione; poiché questa è un’opera che il Signore, l’Eterno degli eserciti, deve compiere nel paese dei Caldei. Venite contro di lei da tutte le parti, aprite i suoi granai, ammucchiatela come tante mannelle, votatela allo sterminio, che non ne resti nulla! Uccidete tutti i suoi tori, fateli scendere al macello! Guai a loro! poiché il loro giorno è giunto, il giorno della loro visitazione. Si ode la voce di quelli che fuggono, che scampano dal paese di Babilonia per annunciare in Sion la vendetta dell’Eterno, del nostro Dio, la vendetta del suo tempio. Convocate contro Babilonia gli arcieri, tutti quelli che tirano d’arco; accampatevi contro di lei da ogni lato, nessuno ne scampi; rendetele secondo le sue opere, fate interamente a lei come lei ha fatto agli altri; poiché è stata arrogante contro l’Eterno, contro il Santo d’Israele. Perciò i suoi giovani cadranno nelle sue piazze e tutti i suoi uomini di guerra periranno in quel giorno”, dice l’Eterno. “Eccomi a te, o arrogante”, dice il Signore, l’Eterno degli eserciti; “poiché il tuo giorno è giunto, il tempo che io ti visiterò. L’arrogante vacillerà, cadrà, e non ci sarà chi la rialzi; io appiccherò il fuoco alle sue città ed esso divorerà tutti i suoi dintorni”. Così parla l’Eterno degli eserciti: “I figli d’Israele e i figli di Giuda sono oppressi insieme; tutti quelli che li hanno deportati li tengono e rifiutano di lasciarli andare. Il loro vendicatore è forte; si chiama l’Eterno degli eserciti; certo egli difenderà la loro causa, dando riposo alla terra e gettando lo scompiglio fra gli abitanti di Babilonia. La spada sovrasta sui Caldei”, dice l’Eterno, “sugli abitanti di Babilonia, sui suoi capi, sui suoi saggi. La spada sovrasta sui millantatori, che risulteranno insensati; la spada sovrasta i suoi prodi, che saranno atterriti; la spada sovrasta sui suoi cavalli, sui suoi carri, su tutta l’accozzaglia di gente che è in mezzo a lei, la quale diventerà come tante donne; la spada sovrasta sui suoi tesori, che saranno saccheggiati. La siccità sovrasta sulle sue acque, che saranno prosciugate; poiché è un paese di immagini scolpite, vanno in delirio per quegli spauracchi dei loro idoli. Perciò gli animali del deserto con gli sciacalli si stabiliranno là e vi si stabiliranno gli struzzi; nessuno vi abiterà più per sempre, non sarà più abitata di generazione in generazione. Come avvenne quando Dio sovvertì Sodoma, Gomorra e le città loro vicine”, dice l’Eterno, “nessuno più vi abiterà, non vi dimorerà più nessun figlio d’uomo. Ecco, un popolo viene dal settentrione; una grande nazione e molti re sorgono dalle estremità della terra. Essi impugnano l’arco e la freccia; sono crudeli, non hanno pietà; la loro voce è come il muggito del mare; montano cavalli; sono pronti a combattere come un solo guerriero, contro di te, o figlia di Babilonia! Il re di Babilonia ne ode la fama e le sue mani diventano fiacche; l’angoscia lo coglie, un dolore come di una donna che partorisce. Ecco, egli sale come un leone dalle rive rigogliose del Giordano contro la forte dimora; io ne farò fuggire a un tratto gli abitanti e stabilirò su di essa colui che io ho scelto. Poiché chi è simile a me? chi mi ordinerà di comparire in giudizio? Qual è il pastore che possa starmi di fronte?”. Perciò, ascoltate il disegno che l’Eterno ha concepito contro Babilonia e i pensieri che medita contro il paese dei Caldei! Certo, saranno trascinati via come i più piccoli del gregge, certo, la loro dimora sarà devastata. Al rumore della conquista di Babilonia trema la terra, e se ne ode il grido fra le nazioni. Così parla l’Eterno: “Ecco, io faccio alzare contro Babilonia e contro gli abitanti di questo paese, che è il cuore dei miei nemici, un vento distruttore. Mando contro Babilonia degli stranieri che la vaglieranno e svuoteranno il suo paese; poiché, nel giorno della calamità, piomberanno su di lei da tutte le parti. L’arciere tenda il suo arco contro chi tende l’arco e contro chi si erge fieramente nella sua corazza! Non risparmiate i suoi giovani, votate allo sterminio tutto il suo esercito! Cadano uccisi nel paese dei Caldei, crivellati di ferite per le vie di Babilonia! Poiché Israele e Giuda non sono abbandonati dal loro Dio, dall’Eterno degli eserciti; il paese dei Caldei è pieno di colpe contro il Santo d’Israele”. Fuggite di mezzo a Babilonia e salvi ognuno la sua vita, guardate di non perire per la sua iniquità! Poiché questo è il tempo della vendetta dell’Eterno; egli le dà la sua retribuzione. Babilonia era nelle mani dell’Eterno una coppa d’oro, che ubriacava tutta la terra; le nazioni hanno bevuto del suo vino, perciò le nazioni sono diventate deliranti. Improvvisamente Babilonia è caduta, è frantumata. Alzate su di lei alti lamenti, prendete del balsamo per il suo dolore; forse guarirà! Noi abbiamo voluto guarire Babilonia, ma essa non è guarita; abbandonatela e andiamocene ognuno al nostro paese; poiché la sua punizione arriva fino al cielo, si innalza fino alle nuvole. L’Eterno ha fatto trionfare la nostra causa; venite, raccontiamo in Sion l’opera dell’Eterno, del nostro Dio. Aguzzate le frecce, imbracciate gli scudi! L’Eterno ha eccitato lo spirito dei re dei Medi, perché il suo disegno contro Babilonia è di distruggerla; poiché questa è la vendetta dell’Eterno, la vendetta del suo tempio. Alzate la bandiera contro le mura di Babilonia! Rinforzate le guardie, ponete le sentinelle, preparate gli agguati! Poiché l’Eterno ha deciso e già mette in pratica ciò che ha detto contro gli abitanti di Babilonia. O tu che abiti in riva alle grandi acque, tu che abbondi di tesori, la tua fine è giunta, il termine delle tue rapine! L’Eterno degli eserciti lo ha giurato per sé stesso: “Sì, certo, io ti riempirò di uomini come di locuste ed essi alzeranno contro di te grida di trionfo”. Egli, con la sua potenza, ha fatto la terra, con la sua sapienza ha stabilito fermamente il mondo; con la sua intelligenza ha disteso i cieli. Quando fa udire la sua voce, c’è un rumore di acque nel cielo, egli fa salire i vapori dalle estremità della terra, fa guizzare i lampi per la pioggia e fa uscire il vento dai suoi serbatoi; ogni uomo allora diventa stupido, privo di conoscenza, ogni orafo ha vergogna delle sue immagini scolpite; perché le sue immagini fuse sono una menzogna, non c’è soffio vitale in loro. Sono vanità, lavoro di inganno; nel giorno del castigo periranno. A loro non somiglia colui che è la parte di Giacobbe; perché egli è colui che ha formato tutte le cose, e Israele è la tribù della sua eredità. Il suo nome è l’Eterno degli eserciti. “O Babilonia, tu sei stata per me un martello, uno strumento di guerra; con te ho schiacciato le nazioni, con te ho distrutto i regni; con te ho schiacciato cavalli e cavalieri, con te ho schiacciato i carri e chi vi stava sopra; con te ho schiacciato uomini e donne, con te ho schiacciato vecchi e bambini, con te ho schiacciato giovani e fanciulle; con te ho schiacciato i pastori e le loro greggi, con te ho schiacciato i lavoratori e i loro buoi aggiogati; con te ho schiacciato governatori e magistrati. Ma, sotto i vostri occhi, io renderò a Babilonia e a tutti gli abitanti della Caldea tutto il male che hanno fatto a Sion”, dice l’Eterno. “Eccomi a te, o montagna di distruzione”, dice l’Eterno; “a te che distruggi tutta la terra! Io stenderò la mia mano su di te, ti rotolerò giù dalle rocce, e farò di te una montagna bruciata. Da te non si trarrà più pietra angolare, né pietre da fondamenta; ma tu sarai una desolazione perenne”, dice l’Eterno. Alzate una bandiera sulla terra! Suonate la tromba fra le nazioni! Preparate le nazioni contro di lei, chiamate a raccolta contro di lei i regni di Ararat, di Minni e di Aschenaz! Costituite contro di lei dei generali! Fate avanzare i cavalli come locuste dalle ali ritte! Preparate contro di lei le nazioni, i re di Media, i suoi governatori, tutti i suoi magistrati e tutti i paesi dei suoi domini. La terra trema, è in doglie perché i disegni dell’Eterno contro Babilonia si effettuano: di ridurre il paese di Babilonia in un deserto senza abitanti. I prodi di Babilonia cessano di combattere; se ne stanno nelle loro fortezze; la loro bravura è venuta meno, sono come donne; le sue abitazioni sono in fiamme, le sbarre delle sue porte sono spezzate. Un corriere incrocia l’altro, un messaggero incrocia l’altro, per annunciare al re di Babilonia che la sua città è presa da ogni lato, che i guadi sono occupati, che le paludi sono in preda alle fiamme, che gli uomini di guerra sono allibiti. Poiché così parla l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele: “La figlia di Babilonia è come un’aia al tempo in cui la si trebbia; ancora un poco, e verrà per lei il tempo della mietitura”. Nabucodonosor, re di Babilonia, ci ha divorati, ci ha schiacciati, ci ha posti là come un vaso vuoto; ci ha inghiottiti come un dragone; ha riempito il suo ventre con le nostre delizie, ci ha scacciati via. “La violenza che mi è fatta e il tormento della mia carne ricadano su Babilonia”, dirà l’abitante di Sion; “Il mio sangue ricada sugli abitanti della Caldea”, dirà Gerusalemme. Perciò, così parla l’Eterno: “Ecco, io difenderò la tua causa e farò la tua vendetta! io prosciugherò il suo mare, disseccherò la sua sorgente. Babilonia diventerà un monte di rovine, un rifugio di sciacalli, un oggetto di stupore e di scherno, un luogo senza abitanti. Essi ruggiranno assieme come leoni, grideranno come piccoli di leonesse. Quando saranno riscaldati, darò loro da bere, li inebrierò perché stiano allegri, e poi si addormentino di un sonno perenne e non si risveglino più”, dice l’Eterno. “Io li farò scendere al macello come agnelli, come montoni, come capri. Come mai è stata presa Sesac, ed è stata conquistata colei che era il vanto di tutta la terra? Come mai Babilonia è diventata una desolazione fra le nazioni? Il mare è salito su Babilonia; essa è stata coperta dal tumulto dei suoi flutti. Le sue città sono diventate una desolazione, una terra arida, un deserto, un paese dove non abita nessuno, per il quale non passa nessun figlio d’uomo. Io punirò Bel in Babilonia e gli farò uscire dalla gola ciò che ha trangugiato; le nazioni non affluiranno più a lui; perfino le mura di Babilonia sono cadute. O popolo mio, uscite di mezzo a lei e salvi ciascuno la sua vita davanti all’ardente ira dell’Eterno! Il vostro cuore non si avvilisca e non vi spaventate delle voci che si udranno nel paese; poiché un anno correrà una voce, e l’anno seguente correrà un’altra voce; vi sarà nel paese violenza, dominatore contro dominatore. Perciò, ecco, i giorni vengono che io farò giustizia delle immagini scolpite di Babilonia e tutto il suo paese sarà coperto di vergogna, tutti i suoi feriti a morte cadranno in mezzo a lei. I cieli, la terra e tutto ciò che è in essi, giubileranno su Babilonia, perché i devastatori piomberanno su di lei dal settentrione”, dice l’Eterno. Come Babilonia ha fatto cadere i feriti a morte d’Israele, così in Babilonia cadranno i feriti a morte di tutto il paese. O voi che siete scampati dalla spada, partite, non vi fermate, ricordatevi, mentre siete lontano, dell’Eterno, e Gerusalemme vi ritorni in cuore! Noi eravamo coperti di vergogna all’udire gli oltraggi, la vergogna ci copriva la faccia, perché gli stranieri erano venuti nel santuario della casa dell’Eterno. “Perciò, ecco, i giorni vengono”, dice l’Eterno, “che io farò giustizia delle sue immagini scolpite e in tutto il suo paese gemeranno i feriti a morte. Anche se Babilonia si elevasse fino al cielo, anche se rendesse inaccessibili i suoi alti baluardi, le verranno da parte mia dei devastatori”, dice l’Eterno. “Giunge da Babilonia un grido, la notizia di un grande disastro dalla terra dei Caldei. Poiché l’Eterno devasta Babilonia e fa cessare il suo grande rumore; le onde dei devastatori muggiscono come grandi acque, se ne ode il fracasso; poiché il devastatore piomba su di lei, su Babilonia, i suoi prodi sono presi, i loro archi spezzati, poiché l’Eterno è l’Iddio delle retribuzioni, non manca di rendere ciò che è dovuto. Io inebrierò i suoi capi e i suoi saggi, i suoi governatori, i suoi magistrati, i suoi prodi, ed essi si addormenteranno di un sonno eterno e non si risveglieranno più”, dice il Re, che si chiama l’Eterno degli eserciti. Così parla l’Eterno degli eserciti: “Le larghe mura di Babilonia saranno spianate al suolo, le sue alte porte saranno incendiate; così i popoli avranno lavorato per nulla, le nazioni si saranno stancate per il fuoco”. Ordine, dato dal profeta Geremia a Seraia, figlio di Neria, figlio di Maaseia, quando si recò a Babilonia con Sedechia, re di Giuda, il quarto anno del regno di Sedechia. Seraia era capo dei ciambellani. Geremia scrisse in un libro tutto il male che doveva accadere a Babilonia, cioè tutte queste parole che sono scritte riguardo a Babilonia. Geremia disse a Seraia: “Quando sarai arrivato a Babilonia, avrai cura di leggere tutte queste parole, e dirai: ‘O Eterno, tu hai detto di questo luogo che lo avresti distrutto, in modo che non sarebbe stato più abitato né da uomo, né da bestia, e che sarebbe stato ridotto in una desolazione perenne’. Quando avrai finito di leggere questo libro, tu vi legherai una pietra, lo getterai in mezzo all’Eufrate, e dirai: ‘Così affonderà Babilonia e non si rialzerà più, a causa del male che io faccio venire su di lei; cadrà esausta’”. Fin qui, le parole di Geremia. Sedechia aveva ventun anni quando cominciò a regnare, e regnò a Gerusalemme undici anni. Sua madre si chiamava Camutal, figlia di Geremia da Libna. Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, in tutto e per tutto come aveva fatto Ioiachim. A causa dell’ira dell’Eterno contro Gerusalemme e Giuda, le cose arrivarono al punto che l’Eterno li scacciò dalla sua presenza. E Sedechia si ribellò al re di Babilonia. Il nono anno del regno di Sedechia, il decimo giorno del decimo mese, Nabucodonosor, re di Babilonia, venne con tutto il suo esercito contro Gerusalemme; si accampò contro di lei e la circondò di posti fortificati. La città fu assediata fino all’undicesimo anno del re Sedechia. Il nono giorno del quarto mese, la carestia era grave nella città; non c’era più pane per il popolo del paese. Allora fu fatta una breccia alla città e tutta la gente di guerra fuggì uscendo di notte dalla città, per la via della porta fra le due mura, in prossimità del giardino del re, mentre i Caldei stringevano la città da ogni parte; i fuggiaschi presero la via della pianura; ma l’esercito dei Caldei inseguì il re, raggiunse Sedechia nelle pianure di Gerico, e tutto il suo esercito si disperse e lo abbandonò. Allora i Caldei presero il re e lo condussero al re di Babilonia a Ribla, nel paese di Camat; egli pronunciò la sua sentenza contro di lui. Il re di Babilonia fece sgozzare i figli di Sedechia in sua presenza, fece pure sgozzare tutti i capi di Giuda a Ribla. Poi fece cavare gli occhi a Sedechia; il re di Babilonia lo fece incatenare con una doppia catena di bronzo, lo condusse a Babilonia e lo mise in prigione, dove rimase fino al giorno della sua morte. Il decimo giorno del quinto mese - era il diciannovesimo anno di Nabucodonosor, re di Babilonia - Nebuzaradan, capitano della guardia del corpo, al servizio del re di Babilonia, giunse a Gerusalemme e bruciò la casa dell’Eterno e la casa del re, diede alle fiamme tutte le case di Gerusalemme e bruciò tutte le case ragguardevoli. Tutto l’esercito dei Caldei che era con il capitano della guardia smantellò da tutte le parti le mura di Gerusalemme. Nebuzaradan, capitano della guardia, deportò una parte dei più poveri del popolo, i superstiti che erano rimasti nella città, i fuggiaschi che si erano arresi al re di Babilonia e il resto della popolazione. Ma Nebuzaradan, capitano della guardia, lasciò alcuni dei più poveri del paese a coltivare le vigne e i campi. I Caldei spezzarono le colonne di bronzo che erano nella casa dell’Eterno, le basi, il mare di bronzo che era nella casa dell’Eterno e ne portarono via il bronzo a Babilonia. Presero le pentole, le palette, i coltelli, le bacinelle, le coppe e tutti gli utensili di bronzo con i quali si faceva il servizio. Il capo della guardia prese pure le coppe, i bracieri, le bacinelle, le pentole, i candelabri, le tazze e i calici, l’oro di ciò che era d’oro e l’argento di ciò che era d’argento. Quanto alle due colonne, al mare e ai dodici buoi di bronzo che servivano di base e che Salomone aveva fatto per la casa dell’Eterno, il bronzo di tutti questi oggetti aveva un peso incalcolabile. L’altezza di una di queste colonne era di diciotto cubiti e a misurarla in giro ci voleva un filo di dodici cubiti; aveva uno spessore di quattro dita ed era vuota; vi era su un capitello di bronzo; l’altezza di ogni capitello era di cinque cubiti; attorno al capitello vi erano un reticolato e delle melagrane, ogni cosa di bronzo; lo stesso era della seconda colonna, adorna pure di melagrane. Vi erano novantasei melagrane da ogni lato e tutte le melagrane attorno al reticolato ammontavano a cento. Il capitano della guardia prese Seraia, il sommo sacerdote, Sofonia, il secondo sacerdote, e i tre custodi della soglia; nella città prese un eunuco che comandava la gente di guerra, sette uomini fra i consiglieri intimi del re che furono trovati nella città, il segretario del capo dell’esercito che arruolava il popolo del paese e anche sessanta privati che furono trovati nella città. Nebuzaradan, capitano della guardia, li prese e li condusse al re di Babilonia a Ribla, e il re di Babilonia li fece colpire e mettere a morte a Ribla, nel paese di Camat. Così Giuda fu deportato lontano dal suo paese. Questo è il popolo che Nabucodonosor deportò: il settimo anno, tremilaventitré Giudei; il diciottesimo anno del suo regno, deportò da Gerusalemme ottocentotrentadue persone; il ventitreesimo anno di Nabucodonosor, Nebuzaradan, capitano della guardia, deportò settecentoquarantacinque Giudei: in tutto, quattromilaseicento persone. Il trentasettesimo anno della cattività di Ioiachin, re di Giuda, il venticinquesimo giorno del dodicesimo mese, Evil-Merodac, re di Babilonia, l’anno stesso che cominciò a regnare, fece grazia a Ioiachin, re di Giuda, e lo fece uscire di prigione; gli parlò benevolmente, e mise il suo trono più in alto di quello degli altri re che erano con lui a Babilonia. Gli fece cambiare i suoi vestiti di prigione; Ioiachin mangiò sempre a tavola con lui per tutto il tempo che egli visse. Quanto al suo mantenimento, durante tutto il tempo che visse, esso gli fu dato sempre da parte del re di Babilonia, giorno per giorno, fino al giorno della sua morte. Come mai siede solitaria la città una volta tanto popolata? È diventata simile a una vedova, lei che era grande fra le nazioni; è stata ridotta tributaria, lei che era principessa fra le province! Essa piange, piange, durante la notte, le lacrime le rigano le guance; fra tutti i suoi amanti non ha chi la consoli; tutti i suoi amici l’hanno tradita, le sono diventati nemici. Giuda è andato in esilio, gravato dall’afflizione e dalla dura schiavitù; abita in mezzo alle nazioni, non trova riposo; tutti i suoi persecutori l’hanno raggiunto mentre si trovava nelle avversità. Le vie di Sion sono in lutto, perché nessuno viene più alle solenni convocazioni; tutte le sue porte sono deserte; i suoi sacerdoti sospirano, le sue vergini sono addolorate ed essa stessa è piena di amarezza. I suoi avversari hanno preso il sopravvento, i suoi nemici prosperano; poiché l’Eterno l’ha afflitta per la moltitudine dei suoi peccati; i suoi bambini sono andati in schiavitù davanti al nemico. Dalla figlia di Sion se n’è andato tutto il suo splendore; i suoi capi sono diventati come cervi che non trovano pascolo e se ne vanno spossati davanti a chi li insegue. Nei giorni della sua afflizione, della sua vita errante, Gerusalemme si ricorda di tutti i beni preziosi che possedeva fin dai giorni antichi; ora che il suo popolo è caduto nelle mani del nemico e nessuno la soccorre, i suoi avversari la guardano e ridono del suo misero stato. Gerusalemme ha gravemente peccato; perciò è diventata come una cosa impura; tutti quelli che la onoravano la disprezzano, perché hanno visto la sua nudità; lei stessa sospira e volta la faccia. La sua sozzura era nelle pieghe della sua veste; lei non pensava alla sua fine, perciò è caduta in modo sorprendente: non ha chi la consoli. “O Eterno, vedi la mia afflizione, poiché il nemico trionfa!”. L’avversario ha steso la mano su quanto lei aveva di più caro; infatti ha visto i pagani entrare nel suo santuario, quei pagani riguardo ai quali tu avevi comandato che non entrassero nella tua assemblea. Tutto il suo popolo sospira, cerca del pane; dà le sue cose più preziose in cambio di cibo per sopravvivere. “Guarda, o Eterno, vedi in che stato spregevole io sono ridotta! Nulla di simile vi accada, o voi che passate di qui! Osservate, guardate se c’è dolore simile al dolore che mi tormenta e con il quale l’Eterno mi ha afflitta nel giorno della sua ira ardente. Dall’alto egli ha scagliato un fuoco nelle mie ossa, che si è impadronito di esse; ha teso una rete ai miei piedi, mi ha rovesciata a terra, mi ha gettata nella desolazione, nel languore tutto il giorno. La sua mano ha legato il giogo dei miei peccati, che s’intrecciano, gravano sul mio collo; egli ha fiaccato la mia forza; il Signore mi ha dato in mani alle quali non posso resistere. Il Signore ha abbattuto dentro le mie mura tutti i miei prodi; ha riunito contro di me una grande moltitudine, per schiacciare i miei giovani; il Signore ha pigiato, come in un tino, la vergine figlia di Giuda. Per questo io piango; i miei occhi, i miei occhi si sciolgono in lacrime, perché lontano da me è il consolatore che potrebbe ravvivare la mia vita. I miei figli sono desolati, perché il nemico ha trionfato”. Sion stende le mani, ma non c’è nessuno che la consoli; l’Eterno ha comandato ai nemici di Giacobbe di circondarlo da tutte le parti. Gerusalemme è, in mezzo a loro, come una cosa impura. “L’Eterno è giusto, poiché io mi sono ribellata alla sua parola. Ascoltate, o popoli tutti, e vedete il mio dolore! Le mie vergini e i miei giovani sono stati portati in schiavitù. Io ho chiamato i miei amanti, ma essi mi hanno ingannata; i miei sacerdoti e i miei anziani hanno esalato l’ultimo respiro nella città mentre cercavano del cibo per sopravvivere. Guarda, Eterno, come sono angosciata! Le mie viscere si commuovono, il cuore mi si sconvolge in seno, perché la mia ribellione è stata grave. Fuori, la spada mi priva dei miei figli; dentro c’è la morte. Mi odono sospirare, ma non c’è chi mi consoli. Tutti i miei nemici hanno udito la mia sciagura e si rallegrano che tu abbia fatto questo. Tu farai venire il giorno che hai annunciato, e allora saranno come me. Tieni presente tutta la loro malvagità e trattali come hai trattato me a causa di tutti i miei peccati! Poiché i miei sospiri sono numerosi e il mio cuore è languente”. Come mai il Signore, nella sua ira, ha coperto di una nube oscura la figlia di Sion? Egli ha gettato dal cielo in terra la gloria d’Israele e non si è ricordato dello sgabello dei suoi piedi, nel giorno della sua ira! Il Signore ha distrutto senza pietà tutte le dimore di Giacobbe; nella sua ira, ha rovesciato, ha abbattuto le fortezze della figlia di Giuda, ne ha profanato il regno e i capi. Nella sua ira ardente, ha infranto tutta la potenza d’Israele; ha ritirato la propria destra in presenza del nemico; ha consumato Giacobbe come un fuoco fiammeggiante che divora tutto intorno. Ha teso il suo arco come il nemico, ha alzato la destra come un avversario, ha trucidato tutti quelli che erano più cari a vedersi; ha riversato il suo furore come un fuoco sulla tenda della figlia di Sion. Il Signore è diventato come un nemico; ha divorato Israele; ha divorato tutti i suoi palazzi, ha distrutto le sue fortezze, ha moltiplicato alla figlia di Giuda i lamenti e i gemiti. Ha devastato la sua tenda come un giardino, ha distrutto il luogo del suo convegno. L’Eterno ha fatto dimenticare in Sion le feste solenni e i sabati e, nell’indignazione della sua ira, ha rigettato re e sacerdoti. Il Signore ha provato disgusto per il suo altare, ha aborrito il suo santuario, ha dato i muri dei palazzi di Sion in mano ai nemici, i quali hanno alzato grida nella casa dell’Eterno come in un giorno di festa. L’Eterno ha deciso di distruggere le mura della figlia di Sion; ha steso la corda, non ha ritirato la mano, prima di averli distrutti; ha coperto di lutto bastioni e mura; gli uni e le altre sono distrutti. Le sue porte sono affondate in terra; egli ha distrutto, spezzato le sue sbarre; il suo re e i suoi capi sono fra le nazioni; non c’è più legge, e anche i suoi profeti non ricevono più visioni dall’Eterno. Gli anziani della figlia di Sion siedono per terra in silenzio; si sono gettati della polvere sul capo, si sono vestiti di sacchi; le vergini di Gerusalemme curvano il capo al suolo. I miei occhi si consumano per le lacrime, le mie viscere si commuovono, il mio fegato si spande in terra per il disastro della figlia del mio popolo, al pensiero dei bambini e dei lattanti che venivano meno per le piazze della città. Essi chiedevano alle loro madri: “Dov’è il pane, dov’è il vino?”, e intanto venivano meno come dei feriti a morte nelle piazze della città ed esalavano l’ultimo respiro sul seno delle loro madri. Che ti dirò? A che ti paragonerò, o figlia di Gerusalemme? Chi troverò di simile a te per consolarti, o vergine figlia di Gerusalemme? Poiché la tua ferita è larga quanto il mare; chi ti potrà guarire? I tuoi profeti hanno avuto per te visioni vane e illusorie; non hanno messo a nudo la tua iniquità, per allontanare da te la deportazione; le profezie che hanno fatto a tuo riguardo non erano che oracoli vani e seduttori. Tutti i passanti battono le mani al vederti; fischiano e scuotono il capo al vedere la figlia di Gerusalemme: “È questa la città che la gente chiamava una bellezza perfetta, la gioia di tutta la terra?”. Tutti i tuoi nemici spalancano la bocca contro di te, fischiano, digrignano i denti, dicono: “L’abbiamo inghiottita! Sì, questo è il giorno che aspettavamo; ci siamo giunti, lo vediamo!”. L’Eterno ha fatto quello che si era proposto; ha adempiuto la parola che aveva pronunciata fin dai giorni antichi: ha distrutto senza pietà, ha fatto di te la gioia del nemico, ha esaltato la potenza dei tuoi avversari. Il loro cuore grida al Signore: “O mura della figlia di Sion, spandete lacrime come un torrente, giorno e notte! Non datevi pace, non abbiano riposo le pupille dei vostri occhi! Alzatevi, gridate di notte, al principio di ogni veglia! Spandete come acqua il vostro cuore davanti alla faccia del Signore! Alzate le mani verso di lui per la vita dei vostri bambini, che vengono meno per la fame agli angoli di tutte le strade! Guarda, o Eterno, considera! Chi hai mai trattato così? Delle donne hanno divorato il frutto delle loro viscere, i bambini che accarezzavano! Sacerdoti e profeti sono stati massacrati nel santuario del Signore! Fanciulli e vecchi giacciono a terra nelle strade; le mie vergini e i miei giovani sono caduti per la spada; tu li hai uccisi nel giorno della tua ira, li hai massacrati senza pietà. Tu hai convocato, come in un giorno di festa solenne, i miei terrori da tutte le parti; e nel giorno dell’ira dell’Eterno non c’è stato né superstite né fuggiasco; quelli che io avevo accarezzato e allevato, il mio nemico li ha consumati!”. Io sono l’uomo che ha visto l’afflizione sotto la verga del suo furore. Egli mi ha condotto, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Sì, contro di me di nuovo volge la sua mano tutto il giorno. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha spezzato le mie ossa. Ha costruito contro di me e mi ha circondato di veleno e di affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi, come quelli che sono morti da lungo tempo. Egli mi ha circondato di un muro, perché non esca; mi ha caricato di pesanti catene. Anche quando grido e chiedo aiuto, egli chiude l’accesso alla mia preghiera. Egli mi ha sbarrato la strada con blocchi di pietra, ha sconvolto i miei sentieri. Egli è stato per me come un orso in agguato, come un leone in luoghi nascosti. Mi ha sviato dal mio cammino e mi ha lacerato, mi ha reso desolato. Ha teso il suo arco, mi ha preso come bersaglio delle sue frecce. Mi ha fatto penetrare nelle reni le frecce della sua faretra. Io sono diventato lo scherno di tutto il mio popolo, la sua canzone di tutto il giorno. Egli mi ha saziato di amarezza, mi ha abbeverato di assenzio. Mi ha spezzato i denti con la ghiaia, mi ha affondato nella cenere. Tu mi hai allontanato dalla pace, io ho dimenticato il benessere. Io ho detto: “È sparita la mia fiducia, non ho più speranza nell’Eterno!”. Ricòrdati della mia afflizione, della mia vita raminga, dell’assenzio e del veleno! La mia anima se ne ricorda sempre, ed è abbattuta dentro di me. Questo voglio richiamare alla mente, per questo voglio sperare: è una grazia dell’Eterno che non siamo stati interamente distrutti; le sue compassioni non sono esaurite, si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà! “L’Eterno è la mia parte”, dice l'anima mia, “perciò spererò in lui”. L’Eterno è buono con quelli che sperano in lui, con l’anima che lo cerca. Buona cosa è aspettare in silenzio la salvezza dell’Eterno. Buona cosa è per l’uomo portare il giogo nella sua giovinezza. Si sieda solitario e stia in silenzio quando l’Eterno glielo impone! Metta la sua bocca nella polvere! forse c’è ancora speranza. Porga la guancia a chi lo percuote, si sazi pure di umiliazioni! Poiché il Signore non respinge per sempre, ma se affligge ha pure compassione, secondo la sua grande bontà; poiché non è volentieri che egli umilia e affligge i figli degli uomini. Quando uno schiaccia sotto i piedi tutti i prigionieri della terra, quando uno perverte il diritto di un uomo in presenza dell’Altissimo, quando si fa torto a qualcuno nella sua causa, il Signore non lo vede? Chi dice mai una cosa che si avveri, se il Signore non lo ha comandato? Il male e il bene non procedono forse dalla bocca dell’Altissimo? Perché un uomo si dovrebbe rammaricare, uno valoroso, per la punizione dei propri peccati? Esaminiamo le nostre vie, scrutiamole e torniamo all’Eterno! Eleviamo il nostro cuore insieme alle nostre mani a Dio nei cieli! “Noi abbiamo peccato, siamo stati ribelli e tu non hai perdonato. Ti sei avvolto nella tua ira e ci hai inseguiti; tu hai ucciso senza pietà; ti sei avvolto in una nuvola, perché la preghiera non potesse passare; tu hai fatto di noi delle spazzature, dei rifiuti in mezzo ai popoli. Tutti i nostri nemici spalancano la bocca contro di noi. Ci sono toccati il terrore, la fossa, la desolazione e la rovina”. I miei occhi si sciolgono in fiumi di lacrime, a causa della rovina della figlia del mio popolo. Il mio occhio si scioglie in lacrime, senza posa, senza interruzione, finché dal cielo l’Eterno non guardi e non veda il nostro stato. Il mio occhio mi tormenta a causa di tutte le figlie della mia città. Quelli che mi sono nemici senza motivo, mi hanno dato la caccia come a un uccello. Mi hanno distrutto la vita nella fossa, mi hanno gettato delle pietre addosso. Le acque salivano fin sopra il mio capo, io dicevo: “È finita per me!”. Io ho invocato il tuo nome, o Eterno, dal fondo della fossa. Tu hai udito la mia voce; non nascondere il tuo orecchio al mio sospiro, al mio grido! Nel giorno che io ti ho invocato ti sei avvicinato; tu hai detto: “Non temere!”. O Signore, tu hai difeso la mia causa, tu hai redento la mia vita. O Eterno, tu vedi il torto che mi è fatto, giudica tu la mia causa! Tu vedi tutto il loro rancore, tutte le loro macchinazioni contro di me. Tu odi i loro oltraggi, o Eterno, tutte le loro macchinazioni contro di me, il linguaggio di quelli che insorgono contro di me, quello che meditano contro di me tutto il giorno! Guarda! quando si siedono, quando si alzano, io sono la loro canzone. Tu li retribuirai, o Eterno, secondo l’opera delle loro mani. Darai loro indurimento di cuore, la tua maledizione. Li inseguirai nella tua ira e li sterminerai sotto i cieli dell’Eterno. Come mai si è oscurato l’oro, si è alterato l’oro più puro? Come mai le pietre del santuario si trovano sparse qua e là agli angoli di tutte le strade? Come mai i nobili figli di Sion, pregiati come l’oro fino, sono reputati quali vasi di terra, opera di mani di vasaio? Perfino gli sciacalli porgono le mammelle e allattano i loro piccoli; la figlia del mio popolo è divenuta crudele, come gli struzzi del deserto. La lingua del lattante gli si attacca al palato, per la sete; i bambini chiedono del pane, e non c’è chi gliene dia. Quelli che si nutrivano di cibi delicati cadono denutriti per le strade; quelli che erano allevati nella porpora abbracciano il letamaio. Il castigo dell’iniquità della figlia del mio popolo è maggiore di quello del peccato di Sodoma, che fu distrutta in un attimo, senza che mano d’uomo la colpisse. I suoi principi erano più splendenti della neve, più bianchi del latte; avevano il corpo più vermiglio del corallo, il loro volto era uno zaffiro. Il loro aspetto è ora più cupo del nero; non si riconoscono più per le vie; la loro pelle è attaccata alle ossa, è secca, è diventata come un legno. Gli uccisi di spada sono stati più felici di quelli che muoiono di fame, poiché questi deperiscono estenuati per mancanza dei prodotti dei campi. Mani di donne, sebbene pietose, hanno fatto cuocere i propri bambini che sono serviti loro di cibo, nella rovina della figlia del mio popolo. L’Eterno ha esaurito il suo furore, ha riversato la sua ira ardente, ha acceso in Sion un fuoco, che ne ha divorato le fondamenta. Né i re della terra né alcun abitante del mondo avrebbero mai creduto che l’avversario, il nemico, sarebbe entrato nelle porte di Gerusalemme. Così è avvenuto a causa dei peccati dei suoi profeti, delle iniquità dei suoi sacerdoti, che hanno sparso in mezzo a lei il sangue dei giusti. Essi vagavano come ciechi per le strade, sporchi di sangue, in modo che non si potevano toccare le loro vesti. “Fatevi in là! Un impuro!”, si gridava al loro apparire; “Fatevi in là! Fatevi in là! Non lo toccate!”. Quando fuggivano, vagavano qua e là, e si diceva fra le nazioni: “Non restino più qui!”. La faccia dell’Eterno li ha dispersi, egli non volge più verso di loro il suo sguardo; non si è portato rispetto ai sacerdoti né si è avuta pietà dei vecchi. A noi si consumavano ancora gli occhi in cerca di un soccorso, aspettato invano; dai nostri posti di vedetta scrutavamo la venuta di una nazione che non poteva salvarci. Si spiavano i nostri passi, impedendoci di camminare per le nostre piazze. “La nostra fine è prossima”, dicevamo: “I nostri giorni sono compiuti, la nostra fine è giunta!”. I nostri persecutori sono stati più leggeri delle aquile dei cieli; ci hanno dato la caccia su per le montagne, ci hanno teso agguati nel deserto. Colui che ci fa respirare, l’unto dell’Eterno, è stato preso nelle loro fosse; egli, del quale dicevamo: “Alla sua ombra noi vivremo fra le nazioni”. Rallegrati, gioisci, o figlia di Edom, che abiti nel paese di Uz! Anche fino a te passerà la coppa; tu ti ubriacherai e ti denuderai. Il castigo della tua iniquità è finito, o figlia di Sion! Egli non ti manderà più in esilio; egli punisce la tua iniquità, o figlia di Edom, mette allo scoperto i tuoi peccati. Ricordati, Eterno, di quello che ci è avvenuto! Guarda e vedi il nostro obbrobrio! La nostra eredità è passata a degli stranieri, le nostre case agli estranei. Noi siamo diventati orfani, senza padre, le nostre madri sono come vedove. Noi beviamo la nostra acqua a pagamento, la nostra legna noi la compriamo. Con il giogo sul collo noi siamo inseguiti; siamo spossati, non abbiamo riposo. Abbiamo teso la mano verso l’Egitto e verso l’Assiria, per saziarci di pane. I nostri padri hanno peccato, e non sono più; noi portiamo la pena delle loro iniquità. Degli schiavi dominano su noi, e non c’è chi ci liberi dalle loro mani. Noi raccogliamo il nostro pane a rischio della nostra vita, affrontando la spada del deserto. La nostra pelle brucia come un forno per l’arsura della fame. Essi hanno disonorato le donne in Sion, le vergini nelle città di Giuda. I capi sono stati impiccati dalle loro mani, la persona dei vecchi non è stata rispettata. I giovani hanno portato le macine, i ragazzini hanno vacillato sotto il carico della legna. I vecchi hanno abbandonato la porta, i giovani la musica dei loro strumenti. La gioia dei nostri cuori è scomparsa, le nostre danze sono cambiate in lutto. La corona ci è caduta dal capo; guai a noi, poiché abbiamo peccato! Per questo langue il nostro cuore, per questo si oscurano i nostri occhi: perché il monte di Sion è desolato e vi passeggiano le volpi. Ma tu, o Eterno, regni per sempre; il tuo trono sussiste di generazione in generazione. Perché dovresti dimenticarci per sempre e abbandonarci per lungo tempo? Facci tornare a te, o Eterno, e noi torneremo! Ridonaci dei giorni come quelli di un tempo! Ci ha forse rigettati davvero? Sei tu adirato fortemente contro di noi? Il trentesimo anno, il quinto giorno del quarto mese, mentre mi trovavo presso il fiume Chebar, fra i deportati, i cieli si aprirono e io ebbi delle visioni divine. Il quinto giorno del mese (era il quinto anno della deportazione del re Ioiachin), la parola dell’Eterno fu rivolta al sacerdote Ezechiele, figlio di Buzi, nel paese dei Caldei, presso il fiume Chebar; in quel luogo la mano dell’Eterno fu sopra di lui. Io guardai, ed ecco venire dal settentrione un vento di tempesta, una grossa nuvola con un fuoco folgorante che splendeva tutto intorno a essa; nel centro si vedeva come un bagliore di metallo incandescente in mezzo al fuoco. Nel centro appariva la forma di quattro esseri viventi; questo era il loro aspetto: avevano sembianza umana. Ognuno di essi aveva quattro facce e quattro ali. I loro piedi erano diritti e la pianta dei loro piedi era come la pianta del piede di un vitello; brillavano come il bronzo lucidato. Avevano delle mani d’uomo sotto le ali ai loro quattro lati; tutti e quattro avevano le loro facce e le loro ali. Le loro ali si univano l’una all’altra; camminando non si voltavano; ognuno camminava dritto davanti a sé. Quanto all’aspetto delle loro facce, essi avevano tutti una faccia d’uomo, tutti e quattro una faccia di leone a destra, tutti e quattro una faccia di bue a sinistra, e tutti e quattro una faccia di aquila. Le loro facce e le loro ali erano separate nella parte superiore; ognuno aveva due ali che toccavano quelle dell’altro e due che coprivano loro il corpo. Camminavano ognuno dritto davanti a sé, andavano dove lo Spirito li faceva andare e, camminando, non si voltavano. Quanto all’aspetto degli esseri viventi, esso era come carboni ardenti, come fiaccole; quel fuoco circolava in mezzo agli esseri viventi, era un fuoco scintillante, e dal fuoco uscivano dei lampi. Gli esseri viventi correvano in tutte le direzioni, simili al fulmine. Mentre stavo guardando gli esseri viventi, ecco una ruota in terra, presso ciascuno di essi, verso le loro quattro facce. L’aspetto delle ruote e la loro forma erano come l’aspetto del crisolito; tutte e quattro si somigliavano; il loro aspetto e la loro forma erano quelli di una ruota in mezzo a un’altra ruota. Quando si muovevano, andavano tutte e quattro dal proprio lato e, andando, non si voltavano. Quanto ai loro cerchi, essi erano alti e imponenti; i cerchi di tutte e quattro erano pieni di occhi tutto intorno. Quando gli esseri viventi camminavano, le ruote si muovevano accanto a loro; quando gli esseri viventi si alzavano su da terra, si alzavano anche le ruote. Dovunque lo Spirito voleva andare, andavano anche loro; le ruote si alzavano accanto a quelli, perché lo spirito degli esseri viventi era nelle ruote. Quando quelli camminavano, anche le ruote si muovevano; quando quelli si fermavano, anche queste si fermavano; quando quelli si alzavano su dalla terra, anche queste si alzavano accanto a essi perché lo spirito degli esseri viventi era nelle ruote. Sopra le teste degli esseri viventi c’era una sorta di distesa celeste, di un colore simile a cristallo di meraviglioso splendore, e si estendeva su in alto, sopra le loro teste. Sotto la distesa stendevano le loro ali, l’una verso l’altra; ciascuno ne aveva due che coprivano il corpo. Quando camminavano, io sentivo il rumore delle loro ali, come il rumore delle grandi acque, come la voce dell’Onnipotente: un rumore di grande tumulto, come il rumore di un accampamento; quando si fermavano, abbassavano le loro ali; si udiva un rumore che veniva dall’alto della distesa che era sopra le loro teste. Al di sopra della distesa celeste che stava sopra le loro teste, c’era come una pietra di zaffiro, che sembrava un trono; su questa specie di trono appariva come la figura di un uomo, che vi stava seduto sopra, su in alto. Vidi pure come un bagliore di metallo incandescente, come del fuoco, che lo circondava tutto intorno dalla sembianza dei suoi fianchi in su; e dalla sembianza dei suoi fianchi in giù vidi come del fuoco, come uno splendore tutto attorno a lui. Come l’aspetto dell’arco che è nella nuvola in un giorno di pioggia, così era l’aspetto di quello splendore che lo circondava. Era un’apparizione dell’immagine della gloria dell’Eterno. A questa vista caddi sulla mia faccia, e udii la voce di uno che parlava. Mi disse: “Figlio d’uomo, àlzati in piedi e io ti parlerò”. Mentre egli mi parlava, lo Spirito entrò in me e mi fece alzare in piedi; io udii colui che mi parlava. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a nazioni ribelli, che si sono ribellate a me; essi e i loro padri si sono rivoltati contro di me fino a questo giorno. Io ti mando a questi figli dalla faccia dura e dal cuore ostinato, e tu dirai loro: ‘Così parla il Signore, l’Eterno’. Sia che ti ascoltino o che non ti ascoltino, poiché sono una casa ribelle, essi sapranno che c’è un profeta in mezzo a loro. E tu, figlio d’uomo, non avere paura di loro, né delle loro parole, poiché tu stai in mezzo a ortiche e a spine, abiti fra gli scorpioni; non avere paura delle loro parole, non ti sgomentare davanti a loro, poiché sono una casa ribelle. Ma tu riferirai loro le mie parole, sia che ti ascoltino o che non ti ascoltino, poiché sono ribelli. Tu, figlio d’uomo, ascolta ciò che ti dico; non essere ribelle com’è ribelle questa casa; apri la bocca e mangia ciò che ti do”. Io guardai ed ecco una mano stesa verso di me, la quale teneva il rotolo di un libro; ed egli lo spiegò davanti a me; era scritto dentro e fuori e conteneva delle lamentazioni, dei gemiti e dei guai. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, mangia ciò che trovi; mangia questo rotolo e va’, parla alla casa d’Israele”. Io aprii la bocca, ed egli mi fece mangiare quel rotolo. Mi disse: “Figlio d’uomo, nutriti il ventre e riempiti le viscere di questo rotolo che ti do”. Io lo mangiai e nella mia bocca fu dolce come del miele. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, va’, recati alla casa d’Israele e riferisci loro le mie parole; poiché tu sei mandato non a un popolo dal parlare oscuro e dalla lingua incomprensibile, ma alla casa d’Israele: non a molti popoli dal parlare oscuro e dalla lingua incomprensibile, di cui tu non capisca le parole. Certo, se io ti mandassi a loro, essi ti darebbero ascolto; ma la casa d’Israele non ti vorrà ascoltare, perché non vogliono ascoltare me; poiché tutta la casa d’Israele ha la fronte dura e il cuore ostinato. Ecco, io rendo dura la tua faccia, perché tu la opponga alla loro faccia; rendo dura la tua fronte, perché tu la opponga alla loro fronte; io rendo la tua fronte come un diamante, più dura della selce; non li temere, non ti sgomentare davanti a loro, perché sono una casa ribelle”. Poi mi disse: “Figlio d’uomo, ricevi nel tuo cuore tutte le parole che io ti dirò e ascoltale con le tue orecchie. Va’ dai figli del tuo popolo che sono in esilio, parla loro, e di’ loro: ‘Così parla il Signore, l’Eterno’, sia che ti ascoltino sia che non ti ascoltino”. Lo Spirito mi portò in alto e io udii dietro di me il suono di un grande fragore che diceva: “Benedetta sia la gloria dell’Eterno dalla sua dimora!”. Udii pure il rumore delle ali degli esseri viventi che battevano l’una contro l’altra, il rumore delle ruote accanto a esse e il suono di un grande fragore. Lo Spirito mi portò in alto e mi condusse via; io andai, pieno di amarezza nello sdegno del mio spirito; la mano dell’Eterno era forte su di me. Giunsi da quelli che erano deportati a Tel-Abib presso il fiume Chebar, e mi fermai dove essi abitavano; là abitai per sette giorni, triste e silenzioso, in mezzo a loro. Dopo sette giorni, la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, io ti ho stabilito come sentinella per la casa d’Israele; quando tu udrai dalla mia bocca una parola, tu li avvertirai da parte mia. Quando io dirò all’empio: ‘Certo morirai’, se tu non lo avverti e non parli per avvertire quell’empio di abbandonare la sua via malvagia, e salvargli così la vita, quell’empio morirà per la sua iniquità; ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano. Ma, se tu avverti l’empio, ed egli non si allontana dalla sua empietà e dalla sua via malvagia, egli morirà per la sua iniquità, ma tu avrai salvato la tua anima. Quando un giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità, se io gli pongo davanti una qualche occasione di caduta, egli morirà, perché tu non lo avrai avvertito; morirà per il suo peccato e le cose giuste che avrà fatto non saranno più ricordate; ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano. Però, se tu avverti quel giusto perché non pecchi, e non pecca, egli certamente vivrà, perché è stato avvertito, e tu avrai salvato la tua anima”. La mano dell’Eterno fu sopra di me in quel luogo, ed egli mi disse: “Àlzati, va’ nella pianura, e lì io parlerò con te”. Io dunque mi alzai, uscii nella pianura, ed ecco che là c’era la gloria dell’Eterno, gloria simile a quella che avevo visto presso il fiume Chebar; e caddi con la faccia a terra. Ma lo Spirito entrò in me; mi fece alzare in piedi, e l’Eterno mi parlò e mi disse: “Va’, chiuditi in casa tua! A te, figlio d’uomo, ecco, ti saranno messe addosso delle corde, con esse sarai legato, e tu non andrai in mezzo a loro. Io farò in modo che la lingua ti si attacchi al palato, perché tu rimanga muto e non possa essere per essi uno che li rimprovera; perché sono una casa ribelle. Ma quando io ti parlerò, ti aprirò la bocca e tu dirai loro: ‘Così parla il Signore, l’Eterno’; chi ascolta, ascolti; chi non vuole ascoltare non ascolti; poiché sono una casa ribelle”. “Tu, figlio d’uomo, prendi un mattone, mettitelo davanti e disegnaci sopra una città, Gerusalemme; cingila d’assedio, costruisci contro di lei una torre, fa’ contro di lei dei bastioni, circondala di vari accampamenti, e disponi contro di lei, tutto intorno, degli arieti. Prendi poi una piastra di ferro, e collocala come un muro di ferro fra te e la città; vòlta la tua faccia contro di lei; sia essa assediata, e tu cingila d’assedio. Questo sarà un segno per la casa d’Israele. Poi sdràiati sul tuo lato sinistro, e metti su questo lato l’iniquità della casa d’Israele; per il numero di giorni che starai sdraiato su quel lato, tu porterai la loro iniquità. Io ti conterò gli anni della loro iniquità in un numero pari a quello di quei giorni: trecentonovanta giorni. Tu porterai così l’iniquità della casa d’Israele. Quando avrai compiuto quei giorni, ti sdraierai di nuovo sul tuo lato destro, e porterai l’iniquità della casa di Giuda per quaranta giorni: ti impongo un giorno per ogni anno. Tu volgerai la tua faccia e il tuo braccio nudo verso l’assedio di Gerusalemme, e profetizzerai contro di lei. Ed ecco, io ti metterò addosso delle corde, e tu non potrai voltarti da un lato sull’altro, finché tu non abbia compiuto i giorni del tuo assedio. Prendi anche del frumento, dell’orzo, delle fave, delle lenticchie, del miglio, del farro, mettili in un vaso, fattene del pane durante tutto il tempo che starai sdraiato sul tuo lato; ne mangerai per trecentonovanta giorni. Il cibo che mangerai sarà del peso di venti sicli per giorno; lo mangerai di giorno in giorno. Berrai pure dell’acqua a misura: la sesta parte di un hin; la berrai di giorno in giorno. Mangerai delle focacce d’orzo, che cuocerai in loro presenza su escrementi d’uomo”. L’Eterno disse: “Così i figli d’Israele mangeranno il loro pane contaminato, fra le nazioni dove io li scaccerò”. Allora io dissi: “Ahimè, Signore, Eterno, ecco, l’anima mia non è stata contaminata; dalla mia fanciullezza a ora, non ho mai mangiato carne di bestia morta da sé o sbranata, e non mi è mai entrata in bocca nessuna carne infetta”. Egli mi disse: “Guarda io ti do dello sterco di bue invece di escrementi d’uomo; sopra quello cuocerai il tuo pane!”. Poi mi disse: “Figlio d’uomo, io farò mancare del tutto il sostegno del pane a Gerusalemme; essi mangeranno il pane a peso e con angoscia e berranno l’acqua a misura e con dolore, perché mancheranno di pane e di acqua; saranno addolorati tutti quanti, e si consumeranno a causa della loro iniquità”. “Tu, figlio d’uomo, prendi una spada affilata, un rasoio da barbiere, e fattelo passare sul capo e sulla barba; poi prendi una bilancia per pesare e dividi i peli che avrai tagliato. Bruciane una terza parte nel fuoco in mezzo alla città, quando i giorni dell’assedio saranno compiuti; poi prendine un’altra terza parte e percuotila con la spada attorno alla città; disperdi al vento l’ultima terza parte, dietro alla quale io sguainerò la spada. Di questa prendi una piccola quantità, e legala nei lembi della tua veste; e di questa prendi ancora una parte, gettala nel fuoco e bruciala nel fuoco; di là uscirà un fuoco contro tutta la casa d’Israele. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco Gerusalemme! Io l’avevo posta in mezzo alle nazioni e agli altri paesi che la circondavano; ed essa, per darsi all’empietà, si è ribellata alle mie leggi più delle nazioni, e alle mie prescrizioni più dei paesi che la circondano; poiché ha disprezzato le mie leggi e non ha camminato seguendo le mie prescrizioni’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché voi siete stati più ribelli delle nazioni che vi circondano, in quanto non avete camminato seguendo le mie prescrizioni, non avete messo in pratica le mie leggi e non avete neppure agito seguendo le leggi delle nazioni che vi circondano, così parla il Signore, l’Eterno: Eccomi, vengo io da te! eseguirò in mezzo a te i miei giudizi, in presenza delle nazioni; farò a te quello che non ho mai fatto e che non farò mai più così, a causa di tutte le tue abominazioni. Perciò, in mezzo a te, dei padri mangeranno i loro figli e dei figli mangeranno i loro padri; io eseguirò su di te dei giudizi e disperderò a tutti i venti quello che rimarrà di te. Perciò, com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘perché tu hai contaminato il mio santuario con tutte le tue infamie e con tutte le tue abominazioni, anch’io ti raderò, il mio occhio non risparmierà nessuno e anch’io non avrò pietà. Una terza parte di te morirà di peste e sarà consumata dalla fame in mezzo a te; una terza parte cadrà per la spada attorno a te, e ne disperderò a tutti i venti l’altra terza parte e sguainerò contro di essa la spada. Così si sfogherà la mia ira e io riverserò su di loro il mio furore e sarò soddisfatto; essi conosceranno che io, l’Eterno, ho parlato nella mia gelosia, quando avrò sfogato su di loro il mio furore. Farò di te, sotto gli occhi di tutti i passanti, una desolazione, un obbrobrio in mezzo alle nazioni che ti circondano. Il tuo obbrobrio e la tua infamia saranno un ammaestramento e un oggetto di stupore per le nazioni che ti circondano, quando io avrò eseguito su di te i miei giudizi con ira, con furore, con indignati castighi - sono io l’Eterno, che parlo - quando avrò scoccato contro di loro le frecce letali della fame, apportatori di distruzione e che io scaglierò per distruggervi, quando avrò aggravato su di voi la fame e vi avrò fatto venire meno il sostegno del pane, quando avrò mandato contro di voi la fame e le bestie feroci che ti priveranno dei figli, quando la peste e il sangue saranno passati in mezzo a te e quando io avrò fatto venire su di te la spada. Io, l’Eterno, ho parlato!’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, volgi la tua faccia verso i monti d’Israele, profetizza contro di loro, e di’: ‘O monti d’Israele, ascoltate la parola del Signore, dell’Eterno! Così parla il Signore, l’Eterno, ai monti e ai colli, ai burroni e alle valli: Eccomi, io farò venire su di voi la spada e distruggerò i vostri alti luoghi. I vostri altari saranno desolati, le vostre colonne solari saranno infrante e io farò cadere i vostri uccisi davanti ai vostri idoli. Disseminerò i cadaveri dei figli d’Israele davanti ai loro idoli e spargerò le vostre ossa attorno ai vostri altari. Dovunque abitate, le città saranno deserte e gli alti luoghi desolati, affinché i vostri altari siano deserti e desolati, i vostri idoli siano infranti e scompaiano, le vostre colonne solari siano abbattute e tutte le vostre opere siano spazzate via. I morti cadranno in mezzo a voi e voi conoscerete che io sono l’Eterno. Tuttavia, io vi lascerò un residuo; poiché avrete alcuni scampati dalla spada fra le nazioni, quando sarete dispersi in vari paesi. I vostri superstiti si ricorderanno di me fra i popoli dove saranno stati deportati, poiché io spezzerò il loro cuore adultero che si è allontanato da me e farò piangere i loro occhi che hanno commesso adulterio con i loro idoli; avranno disgusto di loro stessi, per i mali che hanno commesso con tutte le loro abominazioni. Conosceranno che io sono l’Eterno e che non invano li ho minacciati di fare loro questo male’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Batti le mani e i piedi, e di’: Ahimè! a causa di tutte le scellerate abominazioni della casa d’Israele, che cadrà per la spada, per la fame, per la peste. Chi sarà lontano morirà di peste; chi sarà vicino cadrà per la spada; chi sarà rimasto e sarà assediato, perirà di fame; io sfogherò così il mio furore su di loro. Voi conoscerete che io sono l’Eterno quando i loro morti saranno in mezzo ai loro idoli, attorno ai loro altari, sopra ogni alto colle, su tutte le cime dei monti, sotto ogni albero verdeggiante, sotto ogni quercia dal folto fogliame, là dove essi offrivano profumi di odore soave a tutti i loro idoli. Io stenderò su di loro la mia mano e renderò il paese più solitario e desolato del deserto di Dibla, dovunque essi abitano; conosceranno che io sono l’Eterno’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Ora, figlio d’uomo, così parla il Signore, l’Eterno, riguardo al paese d’Israele: ‘La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese! Ora su di te pende la fine e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni. Il mio occhio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l’Eterno’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Una sventura! ecco viene una sventura! La fine viene! viene la fine! Essa si sveglia per te! ecco che viene! Viene il tuo turno, o abitante del paese! Il tempo viene, il giorno si avvicina: giorno di tumulto e non di grida di gioia su per i monti. Ora, tra breve, io spanderò su di te il mio furore, sfogherò su di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni. Il mio occhio non ti risparmierà, io non avrò pietà, ti farò ricadere addosso la tua condotta, le tue abominazioni saranno in mezzo a te e voi conoscerete che io, l’Eterno, sono colui che colpisce. Ecco il giorno! ecco viene! giunge il tuo turno! La verga è fiorita! l’orgoglio è sbocciato! La violenza si alza come la verga dell’empietà; non rimane più nulla di essi, della loro folla tumultuosa, del loro fracasso, nulla della loro magnificenza! Giunge il tempo, il giorno si avvicina! Chi compra non si rallegri, chi vende non se ne dispiaccia, perché un’ira ardente pende su tutta la loro moltitudine. Poiché chi vende non tornerà in possesso di ciò che avrà venduto, anche se rimarrà in vita; poiché la visione contro tutta la loro moltitudine non sarà revocata e nessuno potrà con il suo peccato mantenere la propria vita. Suona la tromba, tutto è pronto, ma nessuno va alla battaglia; poiché l’ardore della mia ira pende su tutta la loro moltitudine. Di fuori la spada; di dentro la peste e la fame! Chi è nei campi morirà per la spada, chi è in città sarà divorato dalla fame e dalla peste. Quelli di loro che riusciranno a scampare staranno su per i monti come le colombe delle valli, tutti quanti gemendo, ognuno per la propria iniquità. Tutte le mani diventeranno fiacche, tutte le ginocchia si scioglieranno in acqua. Si vestiranno di sacchi e lo spavento sarà la loro coperta; la vergogna sarà su tutti i volti e avranno tutti il capo rasato. Getteranno il loro argento per le strade e il loro oro sarà per essi immondizia; il loro argento e il loro oro non li potranno salvare nel giorno del furore dell’Eterno; non potranno saziare la loro fame, né riempire il loro ventre, perché furono quelli la pietra di inciampo per cui caddero nella loro iniquità. La bellezza dei loro ornamenti era per loro fonte di orgoglio; ne hanno fatto delle immagini delle loro abominazioni, delle loro divinità odiose; perciò io farò in modo che siano per essi una cosa immonda; abbandonerò tutto come preda in mano degli stranieri e come bottino in mano degli empi della terra, che lo profaneranno. Allontanerò la mia faccia da loro e i nemici profaneranno il mio tesoro; dei briganti entreranno in Gerusalemme e la profaneranno. Prepara le catene! poiché questo paese è pieno di assassini e questa città è piena di violenza. Io farò venire le più malvagie delle nazioni, che s’impossesseranno delle loro case; farò venire meno la superbia dei potenti e i loro santuari saranno profanati. Viene la rovina! Essi cercheranno la pace, ma non vi sarà. Verrà sventura dopo sventura, allarme dopo allarme; chiederanno delle visioni al profeta, ai sacerdoti mancherà la conoscenza della legge, agli anziani il consiglio. Il re farà cordoglio, il principe si rivestirà di desolazione e le mani del popolo del paese tremeranno di spavento. Io li tratterò secondo la loro condotta e li giudicherò secondo quanto meritano: conosceranno che io sono l’Eterno’”. Il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, mentre io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell’Eterno, cadde su di me, in quel luogo. Io guardai, ed ecco una figura d’uomo, che aveva l’aspetto del fuoco; dai fianchi in giù sembrava di fuoco, e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come un bagliore di metallo. Egli stese una forma di mano e mi prese per una ciocca dei miei capelli; lo Spirito mi sollevò fra terra e cielo e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all’ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dove era posto l’idolo della gelosia, che provoca gelosia. Ecco che là era la gloria dell’Iddio d’Israele, come nella visione che avevo avuto nella valle. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione”. Io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell’altare, all’ingresso, stava quell’idolo della gelosia. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, vedi tu quello che fanno costoro? le grandi abominazioni che la casa d’Israele commette qui, perché io mi allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai altre abominazioni ancora più grandi”. Egli mi condusse all’ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro. Allora egli mi disse: “Figlio d’uomo, adesso fora il muro”. Quando io ebbi forato il muro, ecco una porta. Egli mi disse: “Entra e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui”. Io entrai e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili, di bestie abominevoli e tutti gli idoli della casa d’Israele dipinti sul muro tutto intorno; settanta fra gli anziani della casa d’Israele, tra i quali c’era Iaazania, figlio di Safan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo di una nuvola di incenso. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, hai visto quello che gli anziani della casa d’Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: ‘L’Eterno non ci vede, l’Eterno ha abbandonato il paese’”. Poi mi disse: “Tu vedrai altre abominazioni ancora più grandi che costoro commettono”. Mi condusse all’ingresso della porta della casa dell’Eterno, che è verso il settentrione; ed ecco là sedevano delle donne che piangevano Tammuz. Egli mi disse: “Hai visto figlio d’uomo? Tu vedrai delle abominazioni ancora più grandi di queste”. Mi condusse nel cortile della casa dell’Eterno; ed ecco, all’ingresso del tempio dell’Eterno, fra il portico e l’altare, circa venticinque uomini che voltavano le spalle alla casa dell’Eterno e la faccia verso l’oriente; si prostravano verso l’oriente, davanti al sole. Egli mi disse: “Hai visto, figlio d’uomo? È forse poca cosa per la casa di Giuda commettere le abominazioni che commette qui, perché debba anche riempire il paese di violenza, e tornare sempre a provocare la mia ira? Ecco che si accostano il ramo al naso. Anch’io agirò con furore; il mio occhio non li risparmierà, io non avrò pietà; per quanto gridino ad alta voce ai miei orecchi, io non darò loro ascolto”. Poi gridò ad alta voce alle mie orecchie, dicendo: “Fate accostare quelli che devono punire la città e ciascuno abbia in mano la sua arma di distruzione”. Ecco venire dal lato della porta superiore che guarda verso settentrione sei uomini, ognuno dei quali aveva in mano la sua arma di distruzione. In mezzo a loro c’era un uomo vestito di lino, che aveva un corno da scrivano alla cintura, e vennero a mettersi accanto all’altare di bronzo. La gloria dell’Iddio d’Israele si alzò dal cherubino sul quale stava e andò verso l’ingresso della casa. L’Eterno chiamò l’uomo vestito di lino, che aveva il corno da scrivano alla cintura, e gli disse: “Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e fa’ un segno sulla fronte degli uomini che sospirano e gemono per tutte le abominazioni che si commettono in mezzo a lei”. Agli altri, in modo che io sentissi, disse: “Passate per la città dietro di lui e colpite; il vostro occhio non risparmi nessuno, siate senza pietà; uccidete, sterminate vecchi, giovani, vergini, bambini e donne, ma non avvicinatevi a nessuno che porti il segno; cominciate dal mio santuario”. Ed essi cominciarono da quegli anziani che stavano davanti alla casa. Poi egli disse loro: “Contaminate la casa e riempite di morti i cortili! Uscite!”. E quelli uscirono, e fecero strage per la città. Mentre essi colpivano e io ero rimasto solo, caddi sulla mia faccia e gridai: “Ahimè, Signore, Eterno, distruggerai tutto ciò che rimane d’Israele, riversando il tuo furore su Gerusalemme?”. Egli mi rispose: “L’iniquità della casa d’Israele e di Giuda è troppo grande; il paese è pieno di sangue e la città è piena di prepotenze; poiché dicono: ‘L’Eterno ha abbandonato il paese, l’Eterno non vede nulla’. Perciò, anche il mio occhio non risparmierà nessuno, io non avrò pietà, e farò ricadere sul loro capo la loro condotta”. Ed ecco, l’uomo vestito di lino, che aveva il corno da scrivano alla cintura, venne a fare il suo rapporto, dicendo: “Ho fatto come tu mi hai comandato”. Io guardai, ed ecco, sulla distesa sopra il capo dei cherubini, c’era come una pietra di zaffiro; si vedeva come una specie di trono che stava sopra di loro. L’Eterno parlò all’uomo vestito di lino, e disse: “Va’ fra le ruote sotto i cherubini, riempiti le mani di carboni ardenti tolti in mezzo ai cherubini e spargili sulla città”. Egli vi andò in mia presenza. Ora i cherubini stavano al lato destro della casa, quando l’uomo entrò là; la nuvola riempì il cortile interno. La gloria dell’Eterno si alzò sopra i cherubini, muovendo verso l’ingresso della casa; la casa fu riempita della nuvola, il cortile fu pieno dello splendore della gloria dell’Eterno. Il rumore delle ali dei cherubini si udì fino al cortile esterno, simile alla voce del Dio onnipotente quando parla. Quando l’Eterno ebbe dato all’uomo vestito di lino l’ordine di prendere del fuoco in mezzo alle ruote che sono tra i cherubini, egli venne a fermarsi presso una delle ruote. Uno dei cherubini stese la mano fra gli altri cherubini verso il fuoco che era fra i cherubini, ne prese e lo mise nelle mani dell’uomo vestito di lino, che lo ricevette e uscì. Vidi che i cherubini avevano una forma di mano d’uomo sotto le ali. Io guardai, ed ecco quattro ruote presso i cherubini, una ruota presso ogni cherubino; le ruote avevano l’aspetto di una pietra di crisolito. A vederle, tutte e quattro avevano una stessa forma, come se una ruota passasse attraverso l’altra. Quando si muovevano, si muovevano dai loro quattro lati e, muovendosi, non si voltavano, ma seguivano la direzione del luogo verso il quale guardava il capo e, andando, non si voltavano. Tutto il corpo dei cherubini, i loro dorsi, le loro mani, le loro ali, come pure le ruote di tutti e quattro, erano pieni di occhi tutto intorno. Udii che le ruote erano chiamate “Turbine”. Ogni cherubino aveva quattro facce: la prima faccia era una faccia di cherubino; la seconda faccia, una faccia d’uomo; la terza, una faccia di leone; la quarta, una faccia di aquila. I cherubini si alzarono. Erano gli stessi esseri viventi che avevo visto presso il fiume Chebar. Quando i cherubini si muovevano, anche le ruote si muovevano accanto a loro; quando i cherubini spiegavano le ali per alzarsi da terra, anche le ruote non si allontanavano dal loro fianco. Quando quelli si fermavano, anche queste si fermavano; quando quelli s’innalzavano anche queste s’innalzavano con loro, perché lo spirito degli esseri viventi era in esse. La gloria dell’Eterno partì dall’ingresso della casa e si fermò sui cherubini. I cherubini spiegarono le loro ali e s’innalzarono su dalla terra; io li vidi partire, con le ruote accanto a loro. Si fermarono all’ingresso della porta orientale della casa dell’Eterno; la gloria dell’Iddio d’Israele stava sopra di loro, su in alto. Erano gli stessi esseri viventi che avevo visto sotto l’Iddio d’Israele presso il fiume Chebar; riconobbi che erano cherubini. Ognuno di essi aveva quattro facce, ognuno quattro ali; sotto le loro ali appariva la forma di mani d’uomo. Quanto all’aspetto delle loro facce, erano le facce che avevo visto presso il fiume Chebar; erano le stesse sembianze, i medesimi cherubini. Ognuno andava diritto davanti a sé. Poi lo Spirito mi portò in alto e mi condusse alla porta orientale della casa dell’Eterno che guarda verso oriente; ed ecco, all’ingresso della porta, venticinque uomini; in mezzo a essi vidi Iaazania, figlio di Azzur, e Pelatia, figlio di Benaia, capi del popolo. L’Eterno mi disse: “Figlio d’uomo, questi sono gli uomini che tramano il male e danno cattivi consigli in questa città. Essi dicono: ‘Il tempo non è così vicino! Costruiamo pure delle case! Questa città è la pentola e noi siamo la carne’. Perciò profetizza contro di loro, profetizza, figlio d’uomo!”. Lo Spirito dell’Eterno cadde su di me e mi disse: “Di’: Così parla l’Eterno: ‘Voi parlate in quel modo, o casa d’Israele, e io conosco le cose che vi passano per la mente. Voi avete moltiplicato i vostri omicidi in questa città e ne avete riempito di uccisi le strade’. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘I vostri morti, che avete steso in mezzo a questa città, sono la carne e la città è la pentola; ma voi ne sarete portati fuori. Voi avete paura della spada e io farò venire su di voi la spada’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Io vi farò uscire fuori dalla città e vi darò in mano di stranieri; eseguirò su di voi i miei giudizi. Voi cadrete per la spada, io vi giudicherò sulle frontiere d’Israele e voi conoscerete che io sono l’Eterno. Questa città non sarà per voi una pentola e voi non sarete in mezzo a lei la carne; io vi giudicherò sulle frontiere d’Israele; voi conoscerete che io sono l’Eterno, del quale non avete seguito le prescrizioni, né messo in pratica le leggi, ma avete agito secondo le leggi delle nazioni che vi circondano’”. Mentre io profetizzavo, Pelatia, figlio di Benaia, morì; io mi gettai con la faccia a terra e gridai ad alta voce: “Ahimè, Signore, Eterno, farai tu una completa distruzione di quello che rimane d’Israele?”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, i tuoi fratelli, gli uomini della tua famiglia e tutta quanta la casa d’Israele sono quelli ai quali gli abitanti di Gerusalemme hanno detto: ‘Statevene lontani dall’Eterno! a noi è dato il possesso del paese’. Perciò di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Sebbene io li abbia allontanati fra le nazioni e li abbia dispersi per i paesi, io sarò per loro, per qualche tempo, un santuario nei paesi dove sono andati’. Perciò di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io vi raccoglierò fra i popoli, vi radunerò dai paesi dove siete stati dispersi e vi darò il suolo d’Israele. Quelli vi giungeranno e ne toglieranno via tutte le cose esecrande e tutte le abominazioni. Io darò loro uno stesso cuore, metterò dentro di loro un nuovo spirito, toglierò via dal loro corpo il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché camminino secondo le mie prescrizioni, osservino le mie leggi e le mettano in pratica; essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio. Ma quanto a quelli il cui cuore segue l’affetto che hanno per le loro cose esecrande e per le loro abominazioni, io farò ricadere sul loro capo la loro condotta’, dice il Signore, l’Eterno”. Poi i cherubini spiegarono le loro ali e le ruote si mossero accanto a loro; la gloria del Dio d’Israele stava su di loro, in alto. La gloria dell’Eterno si innalzò in mezzo alla città e si fermò sul monte che è a oriente della città. Lo Spirito mi portò in alto e mi condusse in Caldea presso i deportati, in visione, mediante lo Spirito di Dio; la visione che avevo avuto scomparve davanti a me; io riferii ai deportati tutte le parole che l’Eterno mi aveva dette in visione. La parola dell’Eterno mi fu ancora rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, tu abiti in mezzo a una casa ribelle che ha occhi per vedere e non vede, orecchi per udire e non ode, perché è una casa ribelle. Perciò, figlio d’uomo, preparati un bagaglio da esiliato e parti di giorno in loro presenza, come se tu andassi in esilio; parti, in loro presenza, dal luogo dove tu sei, per un altro luogo; forse vi porranno mente; perché sono una casa ribelle. Metti dunque fuori, di giorno, in loro presenza, il tuo bagaglio, simile a quello di chi va in esilio; poi la sera, esci tu stesso, in loro presenza, come fanno quelli che se ne vanno esuli. Fa’, in loro presenza, un foro nel muro e, attraverso di esso, porta fuori il tuo bagaglio. Portalo sulle spalle, in loro presenza; portalo fuori quando farà buio; copriti la faccia per non vedere la terra; perché io faccio di te un segno per la casa d’Israele”. Io feci così come mi era stato comandato; portai fuori di giorno il mio bagaglio, bagaglio di esiliato, e sulla sera feci con le mie mani un foro nel muro; quando fu buio portai fuori il bagaglio e me lo misi sulle spalle in loro presenza. La mattina la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, la casa d’Israele, questa casa ribelle, non ti ha detto: ‘Che fai?’. Di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Questo oracolo concerne il principe che è in Gerusalemme e tutta la casa d’Israele di cui essi fanno parte. Di’: Io sono per voi un segno; come ho fatto io, così sarà fatto a loro: essi andranno in esilio, in schiavitù. Il principe che è in mezzo a loro porterà il suo bagaglio sulle spalle quando farà buio, e partirà; si farà un foro nel muro, per farlo uscire di lì; egli si coprirà la faccia per non vedere con i suoi occhi la terra; io stenderò su di lui la mia rete ed egli sarà preso nel mio laccio; lo condurrò a Babilonia, nella terra dei Caldei, ma egli non la vedrà, e là morirà. Io disperderò a tutti i venti quelli che lo circondano per aiutarlo, tutti i suoi eserciti, e sguainerò la spada dietro di loro. Essi conosceranno che io sono l’Eterno quando li avrò sparsi fra le nazioni e dispersi nei paesi stranieri. Ma lascerò di loro alcuni pochi uomini scampati dalla spada, dalla fame e dalla peste, affinché narrino tutte le loro abominazioni fra le nazioni dove saranno giunti; conosceranno che io sono l’Eterno’”. La parola dell’Eterno mi fu ancora rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, mangia il tuo pane con tremore e bevi la tua acqua con trepidazione e ansietà; di’ al popolo del paese: Così parla il Signore, l’Eterno, riguardo agli abitanti di Gerusalemme nella terra d’Israele: ‘Mangeranno il loro pane con ansietà e berranno la loro acqua con desolazione, poiché il loro paese sarà desolato, spogliato di tutto ciò che contiene, a causa della violenza di tutti quelli che lo abitano. Le città abitate saranno ridotte in rovine e il paese sarà desolato; voi conoscerete che io sono l’Eterno’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, che proverbio è questo che voi ripetete nel paese d’Israele quando dite: ‘I giorni si prolungano e ogni visione si è dimostrata vana?’. Perciò di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io farò cessare questo proverbio e non lo si ripeterà più in Israele’; di’ loro, invece: ‘I giorni si avvicinano, si avvicina la realizzazione di ogni visione; poiché nessuna visione sarà più vana, né vi sarà più divinazione falsa in mezzo alla casa d’Israele. Io, infatti, sono l’Eterno; qualunque sia la parola che avrò detta, essa sarà messa a effetto, non sarà più rinviata; poiché nei vostri giorni, o casa ribelle, io pronuncerò una parola e la metterò a effetto’”, dice il Signore, l’Eterno. La parola dell’Eterno mi fu ancora rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, ecco, quelli della casa d’Israele dicono: ‘La visione che costui vede riguarda giorni futuri, ed egli profetizza per tempi lontani’. Perciò di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Nessuna delle mie parole sarà più rinviata; la parola che avrò pronunciato sarà messa a effetto’, dice il Signore, l’Eterno’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, profetizza contro i profeti d’Israele che profetizzano, e di’ a quelli che profetizzano secondo la propria volontà: ‘Ascoltate la parola dell’Eterno’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Guai ai profeti stolti, che seguono il loro spirito e parlano di cose che non hanno visto! O Israele, i tuoi profeti sono stati come volpi tra le rovine! Voi non siete saliti alle brecce e non avete costruito riparo attorno alla casa d’Israele, per poter resistere alla battaglia nel giorno dell’Eterno. Hanno delle visioni vane, delle predizioni bugiarde, costoro che dicono: - L’Eterno ha detto! - mentre l’Eterno non li ha mandati; sperano che la loro parola si adempirà! Non avete voi delle visioni vane e non pronunciate voi predizioni bugiarde, quando dite: - L’Eterno ha detto - mentre io non ho parlato?’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché proferite cose vane e avete visioni bugiarde, eccomi contro di voi’, dice il Signore, l’Eterno. ‘La mia mano sarà contro i profeti dalle visioni vane e dalle predizioni bugiarde; essi non saranno più nel consiglio del mio popolo, non saranno più iscritti nel registro della casa d’Israele e non entreranno nel paese d’Israele; voi conoscerete che io sono il Signore, l’Eterno. Poiché, sì, poiché sviano il mio popolo, dicendo: Pace! quando non c’è alcuna pace, e siccome quando il popolo costruisce un muro, ecco che costoro lo intonacano di malta che non regge, di’ a quelli che lo intonacano di malta che non regge, che esso cadrà; verrà una pioggia scrosciante e voi, o pietre di grandine, cadrete e si scatenerà un vento tempestoso. Ecco, quando il muro cadrà, non vi si dirà forse: E dov’è la malta con cui lo avevate intonacato?’. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io, nel mio furore, farò scatenare un vento tempestoso e, nella mia ira, farò cadere una pioggia scrosciante e, nella mia indignazione, delle pietre di grandine sterminatrice. Demolirò il muro che voi avete intonacato con malta che non regge, lo rovescerò a terra, e le sue fondamenta saranno messe allo scoperto; esso cadrà, voi sarete distrutti in mezzo alle sue rovine e conoscerete che io sono l’Eterno. Così sfogherò il mio furore su quel muro e su quelli che lo hanno intonacato di malta che non regge; vi dirò: Il muro non è più, e quelli che lo intonacavano non sono più: cioè i profeti d’Israele, che profetizzano riguardo a Gerusalemme e hanno per lei delle visioni di pace, nonostante non vi sia nessuna pace’, dice il Signore, l’Eterno. Tu, figlio d’uomo, rivolgi la faccia verso le figlie del tuo popolo che profetizzano secondo la propria volontà, profetizza contro di loro e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Guai alle donne che cuciono dei nastri per tutti i gomiti, e fanno dei veli per le teste di ogni altezza, per dare la caccia alle persone! Pretendereste voi di dare la caccia alle persone del mio popolo e salvare voi stessi? Voi mi profanate fra il mio popolo per delle manciate di orzo e per dei pezzi di pane, facendo morire anime che non devono morire, e facendo vivere anime che non devono vivere, mentendo al mio popolo che dà ascolto alle menzogne’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi ai vostri nastri, con i quali date la caccia alle persone come agli uccelli! io ve li strapperò dalle braccia e lascerò andare le persone: le persone a cui voi date la caccia come agli uccelli. Strapperò pure i vostri veli e libererò il mio popolo dalle vostre mani; egli non sarà più nelle vostre mani per cadere nei lacci e voi saprete che io sono l’Eterno. Poiché avete rattristato il cuore del giusto con delle menzogne, quando io non lo rattristavo e avete fortificato le mani dell’empio perché non si convertisse dalla sua via malvagia per ottenere la vita, voi non avrete più visioni vane e non praticherete più la divinazione; io libererò il mio popolo dalle vostre mani e voi conoscerete che io sono l’Eterno’”. Vennero da me alcuni anziani d’Israele e si sedettero davanti a me. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore e si sono messi davanti l’intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io essere consultato da costoro? Perciò parla e di’ loro: Così dice il Signore, l’Eterno: ‘Chiunque della casa d’Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l’intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene dal profeta, io, l’Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli, allo scopo di toccare il cuore di quelli della casa d’Israele che si sono allontanati da me per i loro idoli’. Perciò di’ alla casa d’Israele: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Tornate, allontanatevi dai vostri idoli, distogliete le vostre facce da tutte le vostre abominazioni. Poiché, a chiunque della casa d’Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l’intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene dal profeta per consultarmi attraverso di lui, risponderò io, l’Eterno, io stesso. Io volgerò la mia faccia contro quell’uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò in mezzo al mio popolo: voi conoscerete che io sono l’Eterno. Se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l’Eterno, sono colui che avrò sedotto quel profeta; stenderò la mia mano contro di lui e lo distruggerò in mezzo al mio popolo Israele. Entrambi porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta, affinché quelli della casa d’Israele non vadano più vagando lontano da me, non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, siano invece mio popolo e io sia il loro Dio’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu ancora rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, se un paese peccasse contro di me commettendo qualche infedeltà, e io stendessi la mia mano contro di lui, gli spezzassi il sostegno del pane, gli mandassi contro la fame, ne sterminassi uomini e bestie, e in mezzo a esso si trovassero questi tre uomini: Noè, Daniele e Giobbe, questi non salverebbero che sé stessi, per la loro giustizia”, dice il Signore, l’Eterno. “Se io facessi passare per quel paese delle bestie feroci che lo spopolassero, al punto di renderlo un deserto dove nessuno passasse più a causa di quelle bestie, se in mezzo a esso si trovassero quei tre uomini, com’è vero che io vivo”, dice il Signore, l’Eterno, “essi non salverebbero né figli né figlie; essi soltanto sarebbero salvati, ma il paese rimarrebbe desolato. O se io facessi venire la spada contro quel paese e dicessi: ‘Passi la spada per il paese!’, in modo che ne sterminasse uomini e bestie, se in mezzo a esso si trovassero quei tre uomini, com’è vero che io vivo”, dice il Signore, l’Eterno, “essi non salverebbero né figli né figlie, ma essi soltanto sarebbero salvati. O se contro quel paese mandassi la peste, e riversassi su di esso il mio furore fino al sangue, per sterminare uomini e bestie, se in mezzo a esso si trovassero Noè, Daniele e Giobbe, com’è vero che io vivo”, dice il Signore, l’Eterno, “essi non salverebbero né figli né figlie; non salverebbero che sé stessi, per la loro giustizia”. Poiché così parla il Signore, l’Eterno: “Lo stesso avverrà quando manderò contro Gerusalemme i miei quattro tremendi giudizi: la spada, la fame, le bestie feroci e la peste, per sterminarne uomini e bestie. Ma ecco, ne scamperà un residuo, dei figli e delle figlie, che saranno condotti fuori, che giungeranno da voi, e di cui vedrete la condotta e le azioni; allora vi consolerete del male che io faccio venire su Gerusalemme, di tutto quello che faccio venire su di lei. Essi vi consoleranno quando vedrete la loro condotta e le loro azioni, e riconoscerete che, non senza ragione, io faccio quello che faccio contro di lei”, dice il Signore, l’Eterno. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, il legno della vite che cos’è più di qualunque altro legno? Che cos’è il tralcio che è fra gli alberi della foresta? Si può prendere il legno per farne un qualunque lavoro? Si può forse trarne un piolo per appendervi qualche oggetto? Ecco, esso è gettato nel fuoco, perché si consumi; il fuoco ne consuma i due capi, e la parte centrale si carbonizza; è forse adatto a farne qualcosa? Ecco, mentre era intatto, non serviva a fare alcun lavoro; quantomeno potrà servire a qualche lavoro, quando il fuoco lo ha consumato o carbonizzato! Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Com’è fra gli alberi della foresta il legno della vite che io destino al fuoco perché lo consumi, così farò degli abitanti di Gerusalemme. Io volgerò la mia faccia contro di loro; dal fuoco sono usciti e il fuoco li consumerà; riconoscerete che io sono l’Eterno, quando volgerò la mia faccia contro di loro. Renderò il paese desolato, perché hanno agito in modo infedele’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu ancora rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, fa’ conoscere a Gerusalemme le sue abominazioni, e di’: Così parla il Signore, l’Eterno, a Gerusalemme: ‘Per la tua origine e per la tua nascita sei del paese del Cananeo; tuo padre era un Amoreo, tua madre un’Ittita. Quanto alla tua nascita, il giorno che nascesti l’ombelico non ti fu tagliato, non fosti lavata con acqua per pulirti, non fosti sfregata con sale, né fosti fasciata. Nessuno ebbe sguardi di pietà per te, per farti una sola di queste cose, avendo compassione di te; ma fosti gettata nell’aperta campagna, il giorno che nascesti, per il disprezzo che si aveva di te. Io ti passai accanto, vidi che ti dibattevi nel sangue, e ti dissi: Vivi, tu che sei nel sangue! E ti ripetei: Vivi, tu che sei nel sangue! Io ti farò moltiplicare per miriadi, come il germoglio dei campi. Ti sviluppasti, crescesti, giungesti al colmo della bellezza, il tuo seno si formò, la tua capigliatura crebbe abbondante, ma tu eri nuda e scoperta. Io ti passai accanto, ti guardai, ed ecco il tuo tempo era giunto: il tempo degli amori. Io stesi su di te il lembo della mia veste, e coprii la tua nudità; ti feci un giuramento, stabilii un patto con te’, dice il Signore, l’Eterno, ‘e tu fosti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue che avevi addosso, e ti unsi con olio. Ti misi delle vesti ricamate, dei calzari di pelle di tasso, ti cinsi il capo di lino fino, ti ricoprii di seta. Ti fornii di ornamenti, ti misi dei braccialetti ai polsi e una collana al collo. Ti misi un anello al naso, dei pendenti agli orecchi e una magnifica corona sul capo. Così fosti adorna d’oro e d’argento, e fosti vestita di lino fino, di seta e di ricami; tu mangiasti fior di farina, miele e olio; diventasti straordinariamente bella, e giungesti fino a regnare. La tua fama si sparse fra le nazioni, per la tua bellezza; poiché essa era perfetta, avendoti io coperta della mia magnificenza’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Ma tu confidasti nella tua bellezza, ti prostituisti in virtù della tua fama, e offristi le tue prostituzioni a ogni passante, a chi voleva. Tu prendesti delle tue vesti, ti facesti degli alti luoghi ornati di vari colori, e là ti prostituisti: cose tali non ne avvennero mai, e non ne avverranno più. Prendesti pure i tuoi bei gioielli fatti del mio oro e del mio argento, che io ti avevo dato, te ne facesti delle immagini d’uomo, e a esse ti prostituisti; prendesti le tue vesti ricamate e ne ricopristi quelle immagini, davanti alle quali tu ponesti il mio olio e il mio profumo. Così anche il mio pane che ti avevo dato, il fior di farina, l’olio e il miele con cui ti nutrivo, tu li ponesti davanti a loro, come un profumo di odore soave. Questo si fece!’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Prendesti, inoltre, i tuoi figli e le tue figlie che mi avevi partorito e li offristi loro in sacrificio, perché li divorassero. Non bastavano forse le tue prostituzioni, perché tu dovessi anche sgozzare i miei figli e offrirli loro facendoli passare per il fuoco? In mezzo a tutte le tue abominazioni e alle tue prostituzioni, non ti sei ricordata dei giorni della tua giovinezza, quando eri nuda, scoperta, e ti dibattevi nel sangue. Ora, dopo tutta la tua malvagità, guai! guai a te!’ dice il Signore, l’Eterno, ‘ti sei costruita un bordello, e ti sei fatta un alto luogo in ogni piazza pubblica: hai costruito un alto luogo a ogni inizio di strada, hai reso abominevole la tua bellezza, ti sei offerta a ogni passante e hai moltiplicato le tue prostituzioni. Ti sei pure prostituita agli Egiziani, tuoi vicini dalle membra vigorose, e hai moltiplicato le tue prostituzioni per provocare la mia ira. Perciò, ecco, io ho steso la mia mano contro di te, ho diminuito la razione che ti avevo fissato, e ti ho abbandonata in balìa delle figlie dei Filistei, che ti odiano e hanno vergogna della tua condotta scellerata. Non sazia ancora, ti sei pure prostituita agli Assiri; ti sei prostituita a loro; neppure allora sei stata sazia; hai moltiplicato le tue prostituzioni con il paese di Canaan fino in Caldea, e neppure con questo sei stata sazia. Come è vile il tuo cuore’, dice il Signore, l’Eterno, ‘a ridurti a fare tutte queste cose, da sfacciata prostituta! Quando ti costruivi il bordello a ogni inizio di strada e ti facevi gli alti luoghi in ogni piazza pubblica, tu non eri come una prostituta, poiché disprezzavi il salario, ma come una donna adultera, che riceve gli stranieri invece di suo marito. A tutte le prostitute si danno dei regali: ma tu hai fatto dei regali a tutti i tuoi amanti e li hai sedotti con dei doni, perché venissero da te, da tutte le parti, per le tue prostituzioni. Con te, nelle tue prostituzioni, è avvenuto il contrario delle altre donne; poiché non eri tu la sollecitata; in quanto tu pagavi, invece di essere pagata, facevi il contrario delle altre’. Perciò, o prostituta, ascolta la parola dell’Eterno. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché il tuo denaro è stato dissipato e la tua nudità è stata scoperta nelle tue prostituzioni con i tuoi amanti, a causa di tutti i tuoi idoli abominevoli, e a causa del sangue dei tuoi figli che hai dato loro, ecco, io radunerò tutti i tuoi amanti ai quali ti sei resa gradita, e tutti quelli che hai amato insieme a quelli che hai odiato; li radunerò da tutte le parti contro di te e scoprirò davanti a loro la tua nudità, ed essi vedranno tutta la tua nudità. Io ti giudicherò alla stregua delle donne che commettono adulterio e spandono il sangue, e farò in modo che il tuo sangue sia sparso dal furore e dalla gelosia. Ti darò nelle loro mani, ed essi abbatteranno il tuo bordello, distruggeranno i tuoi alti luoghi, ti spoglieranno delle tue vesti, ti prenderanno i bei gioielli e ti lasceranno nuda e scoperta; faranno salire contro di te una folla, ti lapideranno e ti trafiggeranno con le loro spade; daranno alle fiamme le tue case, faranno giustizia di te in presenza di molte donne, io ti farò cessare dal fare la prostituta e tu non pagherai più nessuno. Così io sfogherò il mio furore su di te, e la mia gelosia si distoglierà da te; mi calmerò, e non sarò più adirato. Poiché tu non ti sei ricordata dei giorni della tua giovinezza e hai provocato la mia ira con tutte queste cose, ecco, anch’io ti farò ricadere sul capo la tua condotta’, dice il Signore, l’Eterno, ‘e tu non aggiungerai altri delitti a tutte le tue abominazioni. Ecco, tutti quelli che usano proverbi faranno di te un proverbio, e diranno: Quale la madre, tale la figlia. Tu sei figlia di tua madre, che ha rigettato suo marito e i suoi figli, e sei sorella delle tue sorelle, che hanno rigettato i loro mariti e i loro figli. Vostra madre era un’Ittita e vostro padre un Amoreo. Tua sorella maggiore, che ti sta a sinistra, è Samaria, con le sue figlie; tua sorella minore, che ti sta a destra, è Sodoma, con le sue figlie. Tu, non soltanto hai camminato nelle loro vie e commesso le stesse loro abominazioni; era troppo poco! Ma in tutte le tue vie ti sei corrotta più di loro. Com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘Sodoma, tua sorella, e le sue figlie, non hanno fatto quello che avete fatto tu e le tue figlie. Ecco, questa fu l’iniquità di Sodoma, tua sorella: lei e le sue figlie vivevano nell’orgoglio, nell’abbondanza del pane e nell’ozio indolente; ma non sostenevano la mano dell’afflitto e del povero. Erano altezzose e commettevano abominazioni in mia presenza; perciò le feci sparire, quando vidi ciò. Samaria non ha commesso la metà dei tuoi peccati; tu hai moltiplicato le tue abominazioni più dell’una e dell’altra, e hai giustificato le tue sorelle, con tutte le abominazioni che hai commesso. Anche tu, che hai giustificato le tue sorelle, devi portare la loro stessa umiliazione! Con i tuoi peccati ti sei resa più abominevole di loro, ed esse sono più giuste di te; tu pure dunque, vergognati e porta la tua umiliazione, poiché tu hai giustificato le tue sorelle! Io farò tornare dalla schiavitù quanti di Sodoma e delle sue figlie si trovano là, quanti di Samaria e delle sue figlie e anche dei tuoi che sono in mezzo a essi, affinché tu porti la tua umiliazione e senta la vergogna di tutto quello che hai fatto, e sia così loro di conforto. Tua sorella Sodoma e le sue figlie torneranno nella loro condizione di prima, Samaria e le sue figlie torneranno nella loro condizione di prima, e tu e le tue figlie tornerete nella vostra condizione di prima. Sodoma, tua sorella, non era neppure nominata dalla tua bocca, nei giorni della tua superbia, prima che la tua malvagità fosse messa a nudo, come avvenne quando fosti oltraggiata dalle figlie della Siria e da tutti i paesi circostanti, dalle figlie dei Filistei, che ti insultavano da tutte le parti. Tu porti a tua volta il peso della tua scelleratezza e delle tue abominazioni’, dice l’Eterno. Poiché, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io farò a te come hai fatto tu, che hai disprezzato il giuramento, infrangendo il patto. Tuttavia io mi ricorderò del patto che feci con te nei giorni della tua giovinezza, e stabilirò per te un patto eterno. Tu ti ricorderai della tua condotta e ne avrai vergogna, quando riceverai le tue sorelle, quelle che sono più grandi e quelle che sono più piccole di te, e io te le darò come figlie, ma non in virtù del tuo patto. Io stabilirò il mio patto con te e tu conoscerai che io sono l’Eterno, affinché tu ricordi, tu arrossisca e tu non possa più aprire bocca dalla vergogna, quando io ti avrò perdonato tutto quello che hai fatto’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, proponi un enigma e racconta una parabola alla casa d’Israele, e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Una grande aquila, dalle ampie ali, dalle lunghe penne, coperta di piume di svariati colori, venne al Libano e tolse la cima a un cedro; ne spezzò il più alto dei ramoscelli, lo portò in un paese di commercio e lo mise in una città di mercanti. Poi prese un germoglio del paese e lo mise in un campo fertile; lo collocò presso acque abbondanti e lo piantò come un salice. Esso crebbe e diventò una vite estesa, di pianta bassa, in modo da avere i suoi tralci rivolti verso l’aquila e le sue radici sotto di lei. Così diventò una vite che fece dei pampini e mise dei rami. Ma c’era un’altra grande aquila, dalle ampie ali e dalle piume abbondanti; ecco che questa vite rivolse le sue radici verso di lei; dal suolo dove era piantata, stese verso l’aquila i suoi tralci perché essa la annaffiasse. Era piantata in un buon terreno, presso acque abbondanti, in modo da poter mettere dei rami, portare frutto e diventare una vite magnifica’. Di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Può essa prosperare? La prima aquila non strapperà forse le sue radici e non toglierà via i suoi frutti al punto che si secchi e si secchino tutte le giovani foglie che metteva? Non ci sarà bisogno di molta forza né di molta gente per strapparla dalle radici. Ecco, essa è piantata. Prospererà? Non si seccherà completamente appena l’avrà toccata il vento orientale? Seccherà sul suolo dove ha germogliato’”. Poi la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Di’ dunque a questa casa ribelle: ‘Non sapete voi che cosa vogliano dire queste cose?’. Di’ loro: ‘Ecco, il re di Babilonia è venuto a Gerusalemme, ne ha preso il re e i capi e li ha condotti con sé a Babilonia. Poi ha preso uno di sangue reale, ha stabilito un patto con lui e gli ha fatto prestare giuramento; ha preso pure gli uomini potenti del paese, perché il regno fosse tenuto umile senza potersi innalzare, e osservasse il patto stabilito con lui, per poter sussistere. Ma il nuovo re si è ribellato contro di lui e ha mandato i suoi ambasciatori in Egitto perché gli fossero dati cavalli e molti uomini. Colui che fa tali cose potrà prosperare? Scamperà? Ha infranto il patto e potrebbe scampare? Com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘nella residenza stessa di quel re che lo aveva fatto re, e verso il quale non ha rispettato il giuramento fatto né osservato il patto concluso, vicino a lui, in mezzo a Babilonia, egli morirà. Il Faraone non andrà con il suo potente esercito e con molti uomini a soccorrerlo in guerra, quando si innalzeranno dei bastioni e si costruiranno delle torri per sterminare un grande numero di uomini. Egli ha violato il giuramento infrangendo il patto, eppure, aveva dato la mano! Ha fatto tutte queste cose e non scamperà’. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘Com’è vero che io vivo, il mio giuramento che egli ha violato, il mio patto che egli ha infranto, io glieli farò ricadere sul capo. Io stenderò su di lui la mia rete, ed egli rimarrà preso nel mio laccio; lo condurrò a Babilonia, e là entrerò in giudizio con lui, per la perfidia di cui si è reso colpevole verso di me. Tutti i fuggiaschi delle sue schiere cadranno per la spada; e quelli che rimarranno saranno dispersi a tutti i venti; voi conoscerete che io, l’Eterno, ho parlato’. Così dice il Signore, l’Eterno: ‘Ma io prenderò l’alta vetta del cedro e la pianterò; dai più elevati dei suoi giovani rami spezzerò un tenero ramoscello e lo pianterò sopra un monte alto, elevato. Lo pianterò sull’alto monte d’Israele; esso metterà rami, porterà frutto e diventerà un cedro magnifico. Gli uccelli di ogni specie faranno sotto di lui la loro dimora; faranno la loro dimora all’ombra dei suoi rami. Tutti gli alberi della campagna sapranno che io, l’Eterno, sono colui che ha abbassato l’albero che era su in alto, che ha innalzato l’albero che era giù in basso, che ha fatto seccare l’albero verde e che ha fatto germogliare l’albero secco. Io, l’Eterno, l’ho detto e lo farò’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Perché dite nel paese d’Israele questo proverbio: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?’. Com’è vero che io vivo”, dice il Signore, l’Eterno, “non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele. Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà. Se uno è giusto e pratica l’equità e la giustizia, se non mangia sui monti e non alza gli occhi verso gli idoli della casa d’Israele, se non contamina la moglie del suo prossimo, se non si accosta a donna mentre è impura, se non opprime nessuno, se restituisce al debitore il suo pegno, se non commette rapine, se dà il suo pane a chi ha fame e copre di vestiti chi è nudo, se non presta a interesse e non dà a usura, se ritira la sua mano dall’iniquità e giudica secondo verità fra uomo e uomo, se segue le mie leggi e osserva le mie prescrizioni agendo con fedeltà, quel tale è giusto; certamente egli vivrà”, dice il Signore, l’Eterno. “Ma se ha generato un figlio che è un violento, che sparge il sangue e fa a suo fratello qualcuna di queste cose, cose che il padre non commette affatto: mangia sui monti, contamina la moglie del suo prossimo, opprime l’afflitto e il povero, commette rapine, non restituisce il pegno, alza gli occhi verso gli idoli, fa delle abominazioni, presta a interesse e dà a usura, questo figlio vivrà forse? No, non vivrà! Egli ha commesso tutte queste abominazioni e sarà certamente messo a morte; il suo sangue ricadrà su di lui. Ma se costui ha generato un figlio, il quale, avendo visto tutti i peccati che suo padre ha commesso, vi pone mente e non fa tali cose: non mangia sui monti, non alza gli occhi verso gli idoli della casa d’Israele, non contamina la moglie del suo prossimo, non opprime nessuno, non prende pegni, non commette rapine, ma dà il suo pane a chi ha fame, copre di vestiti chi è nudo, non fa pesare la mano sul povero, non prende interesse né usura, osserva le mie prescrizioni e segue le mie leggi, questo figlio non morirà per l’iniquità del padre; egli certamente vivrà. Suo padre, siccome è stato un oppressore, ha commesso rapine a danno del fratello e ha fatto ciò che non è bene in mezzo al suo popolo, ecco che muore per la sua iniquità. Se voi diceste: ‘Perché il figlio non porta l’iniquità del padre?’. È perché quel figlio pratica l’equità e la giustizia, osserva tutte le mie leggi e le mette in pratica. Certamente egli vivrà. Chi pecca morirà, il figlio non porterà l’iniquità del padre e il padre non porterà l’iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà sul giusto, l’empietà dell’empio sarà sull’empio. Se l’empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l’equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà. Nessuna delle trasgressioni che ha commesso sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà. Provo io forse piacere se l’empio muore?”, dice il Signore, l’Eterno. “Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive? Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità e imita tutte le abominazioni che l’empio compie, vivrà forse? Nessuno dei suoi atti di giustizia sarà ricordato; per l’infedeltà di cui si è reso colpevole e per il peccato che ha commesso, per tutto questo morirà. Ma voi dite: ‘La via del Signore non è retta’. Ascoltate dunque, o casa d’Israele! È proprio la mia via quella che non è retta? Non sono piuttosto le vie vostre quelle che non sono rette? Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità e per questo muore, muore per l’iniquità che ha commesso. Se l’empio si allontana dall’empietà che commetteva e pratica l’equità e la giustizia, rimarrà in vita. Se ha cura di ritrarsi da tutte le trasgressioni che commetteva, certamente vivrà; non morirà. Ma la casa d’Israele dice: ‘La via del Signore non è retta’. Sono proprio le mie vie quelle che non sono rette, o casa d’Israele? Non sono piuttosto le vostre vie quelle che non sono rette? Perciò, io vi giudicherò ciascuno secondo le sue vie, casa d’Israele!” dice il Signore, l’Eterno. “Tornate, convertitevi da tutte le vostre trasgressioni e non avrete più occasione di caduta nell’iniquità! Gettate lontano da voi tutte le vostre trasgressioni per le quali avete peccato, fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo; perché dovreste morire, casa d’Israele? Poiché io non ho nessun piacere nella morte di colui che muore”, dice il Signore, l’Eterno. “Convertitevi dunque e vivete!”. “Pronuncia un lamento sui principi d’Israele, e di’: ‘Che cos’era tua madre? Una leonessa. Fra i leoni stava accovacciata; in mezzo ai leoncelli, allevava i suoi piccoli. Allevò uno dei suoi piccoli, il quale divenne un leoncello, imparò a sbranare la preda e divorò gli uomini. Ma le nazioni ne sentirono parlare ed esso fu preso nella loro fossa; lo condussero, con dei ferri alle mascelle, nel paese d’Egitto. Quando essa vide che aspettava invano e la sua speranza era delusa, prese un altro dei suoi piccoli e ne fece un leoncello. Questo andava e veniva fra i leoni e divenne un leoncello; imparò a sbranare la preda e divorò gli uomini. Devastò i loro palazzi, desolò le loro città; il paese, con tutto quello che conteneva, fu atterrito al rumore dei suoi ruggiti. Ma da tutte le province circostanti le nazioni gli diedero addosso, gli tesero contro le loro reti e fu preso nella loro fossa. Lo misero in una gabbia con dei ferri alle mascelle e lo condussero al re di Babilonia; lo condussero in una fortezza, perché la sua voce non fosse più udita sui monti d’Israele. Tua madre era, come te, simile a una vigna, piantata presso alle acque; era feconda, ricca di tralci, per l’abbondanza delle acque. Aveva dei rami forti, adatti per scettri regali; si ergeva nella sua grandiosità, tra il folto dei tralci; era appariscente per la sua elevatezza, per la moltitudine dei suoi rami. Ma è stata sradicata con furore e gettata a terra; il vento orientale ne ha seccato il frutto, i rami forti sono stati rotti e seccati, il fuoco li ha divorati. Ora è piantata nel deserto in un suolo arido e assetato; un fuoco è uscito dal suo ramo e ne ha divorato il frutto, al punto che non c’è in essa più ramo forte né scettro per governare’. Questo il lamento, che rimarrà un lamento”. Il settimo anno, il decimo giorno del quinto mese, alcuni anziani d’Israele vennero a consultare l’Eterno e si misero a sedere davanti a me. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, parla agli anziani d’Israele, e di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Siete venuti per consultarmi? Com’è vero che io vivo, io non mi lascerò consultare da voi!’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Giudicali tu, figlio d’uomo! giudicali tu! Fa’ loro conoscere le abominazioni dei loro padri’; di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Il giorno che io scelsi Israele e alzai la mano per fare un giuramento alla discendenza della casa di Giacobbe, e mi feci loro conoscere nel paese d’Egitto, e alzai la mano per loro, dicendo: Io sono l’Eterno, il vostro Dio, quel giorno alzai la mano, giurando che li avrei fatti uscire dal paese d’Egitto per introdurli in un paese che io avevo cercato per loro, paese dove scorrono il latte e il miele, il più splendido di tutti i paesi. Dissi loro: Gettate via, ognuno di voi, le abominazioni che attirano i vostri sguardi e non vi contaminate con gli idoli d’Egitto; io sono l’Eterno, il vostro Dio! Ma essi si ribellarono contro di me e non mi vollero dare ascolto; nessuno di essi gettò via le abominazioni che attiravano lo sguardo, né abbandonarono gli idoli d’Egitto; allora parlai di voler riversare su di loro il mio furore e sfogare su di loro la mia ira in mezzo al paese d’Egitto. Tuttavia, io agii per amore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni in mezzo alle quali essi si trovavano, alla presenza delle quali io mi ero fatto loro conoscere, allo scopo di farli uscire dal paese d’Egitto. Li feci uscire dal paese d’Egitto e li condussi nel deserto. Diedi loro le mie leggi e feci loro conoscere le mie prescrizioni, per le quali l’uomo che le metterà in pratica vivrà. Diedi loro anche i miei sabati perché servissero di segno fra me e loro, perché conoscessero che io sono l’Eterno che li santifico. Ma la casa d’Israele si ribellò contro di me nel deserto; non camminarono secondo le mie leggi e rifiutarono le mie prescrizioni, per le quali l’uomo che le metterà in pratica vivrà, e profanarono gravemente i miei sabati; perciò io parlai di riversare su di loro il mio furore nel deserto, per consumarli. Tuttavia io agii per amore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni, alla presenza delle quali io li avevo fatti uscire dall’Egitto. Alzai perfino la mano nel deserto, giurando loro che non li avrei fatti entrare nel paese che avevo dato loro, paese dove scorrono il latte e il miele, il più splendido di tutti i paesi, perché avevano rigettato le mie prescrizioni, non avevano camminato secondo le mie leggi e avevano profanato i miei sabati, poiché il loro cuore andava dietro ai loro idoli. Ma il mio occhio li risparmiò dalla distruzione e io non li sterminai del tutto nel deserto. Dissi ai loro figli nel deserto: Non camminate secondo i precetti dei vostri padri, non osservate le loro prescrizioni e non vi contaminate mediante i loro idoli! Io sono l’Eterno, il vostro Dio; camminate secondo le mie leggi, osservate le mie prescrizioni e mettetele in pratica; santificate i miei sabati e siano essi un segno fra me e voi, dal quale si conosca che io sono l’Eterno, il vostro Dio. Ma i figli si ribellarono contro di me; non camminarono secondo le mie leggi e non osservarono le mie prescrizioni per metterle in pratica: le leggi per le quali l’uomo che le mette in pratica vivrà. Profanarono i miei sabati, perciò parlai di riversare su di loro il mio furore e di sfogare su loro la mia ira nel deserto. Tuttavia io ritirai la mia mano e agii per amore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni, alla presenza delle quali li avevo fatti uscire dall’Egitto. Ma alzai pure la mano nel deserto, giurando loro che li avrei dispersi fra le nazioni e li avrei disseminati per tutti i paesi, perché non mettevano in pratica le mie prescrizioni, rifiutavano le mie leggi, profanavano i miei sabati, e i loro occhi andavano dietro agli idoli dei loro padri. Diedi loro perfino delle leggi non buone e delle prescrizioni per le quali non potevano vivere; li contaminai con i loro doni, quando facevano passare per il fuoco ogni primogenito, per ridurli alla desolazione affinché conoscessero che io sono l’Eterno’. Perciò, figlio d’uomo, parla alla casa d’Israele e di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘I vostri padri mi hanno ancora oltraggiato in questo, comportandosi perfidamente verso di me: dopo che li ebbi introdotti nel paese che avevo giurato di dare loro, volsero i loro sguardi verso ogni alto colle e verso ogni albero verdeggiante, e là offrirono i loro sacrifici, presentarono le loro offerte provocanti, misero i loro profumi di odore soave, e sparsero le loro libazioni. Io dissi loro: Che cos’è l’alto luogo dove andate? tuttavia, si è continuato a chiamarlo alto luogo fino al giorno d’oggi’. Perciò, di’ alla casa d’Israele: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Quando vi contaminate seguendo le vie dei vostri padri, vi prostituite ai loro idoli abominevoli e quando, offrendo i vostri doni e facendo passare per il fuoco i vostri figli, vi contaminate fino a oggi con tutti i vostri idoli, dovrei forse lasciarmi consultare da voi, casa d’Israele? Com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘io non mi lascerò consultare da voi! Non avverrà affatto quello che vi passa per la mente quando dite: Noi saremo come le nazioni, come le famiglie degli altri paesi, e renderemo un culto al legno e alla pietra! Com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘con mano forte, con braccio steso, con furore scatenato, io regnerò su di voi! Vi condurrò fuori tra i popoli e vi raccoglierò dai paesi dove sarete stati dispersi, con mano forte, con braccio steso e con furore scatenato, e vi condurrò nel deserto dei popoli e là verrò in giudizio con voi a faccia a faccia; come venni in giudizio con i vostri padri nel deserto del paese d’Egitto, così verrò in giudizio con voi’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Vi farò passare sotto la verga e vi rimetterò nei vincoli del patto; separerò da voi i ribelli e quelli che mi sono infedeli; io li condurrò fuori dal paese dove sono stranieri, ma non entreranno nel paese d’Israele, e voi conoscerete che io sono l’Eterno’. A voi dunque, casa d’Israele, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Andate, servite ognuno i vostri idoli, poiché non mi volete ascoltare! Ma il mio santo nome non lo profanerete più con i vostri doni e con i vostri idoli! Poiché sul mio monte santo e sull’alto monte d’Israele’, dice il Signore, l’Eterno, ‘là tutti quelli della casa d’Israele, tutti quanti saranno nel paese, mi serviranno; là io mi compiacerò di loro, là io chiederò le vostre offerte e le primizie dei vostri doni in tutto quello che mi consacrerete. Io mi compiacerò di voi come di un profumo d’odore soave, quando vi avrò condotti fuori tra i popoli e vi avrò radunati dai paesi dove sarete stati dispersi; io sarò santificato in voi in presenza delle nazioni; voi conoscerete che io sono l’Eterno, quando vi avrò condotti nella terra d’Israele, paese che giurai di dare ai vostri padri. Là vi ricorderete della vostra condotta e di tutte le azioni con le quali vi siete contaminati e sarete disgustati di voi stessi, per tutte le malvagità che avete commesso; conoscerete che io sono l’Eterno, quando avrò agito con voi per amore del mio nome, e non secondo la vostra condotta malvagia, né secondo le vostre azioni corrotte, o casa d’Israele!’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, volgi la faccia verso il mezzogiorno, rivolgi la parola al sud, profetizza contro la foresta della regione meridionale, e di’ alla foresta della regione meridionale: ‘Ascolta la parola dell’Eterno!’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io accendo in te un fuoco che divorerà in te ogni albero verde e ogni albero secco; la fiamma dell’incendio non si estinguerà e tutto ciò che è sulla faccia del suolo sarà bruciato, dal meridione al settentrione; ogni carne vedrà che io, l’Eterno, ho acceso il fuoco che non si estinguerà’”. Io dissi: “Ahimè, Signore, Eterno! Costoro dicono di me: ‘Egli non fa che parlare in parabole’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, volgi la faccia verso Gerusalemme, rivolgi la parola ai luoghi santi e profetizza contro il paese d’Israele; e di’ al paese d’Israele: Così parla l’Eterno: ‘Eccomi a te! Io estrarrò la mia spada dal suo fodero e sterminerò in mezzo a te giusti e malvagi. Appunto perché voglio sterminare in mezzo a te giusti e malvagi, la mia spada uscirà dal suo fodero per colpire ogni carne dal meridione al settentrione; ogni carne conoscerà che io, l’Eterno, ho estratto la mia spada dal suo fodero e non vi rientrerà più’. Tu, figlio d’uomo, gemi! Con il cuore rotto e con amarezza, gemi davanti ai loro occhi. Quando ti chiederanno: ‘Perché gemi?’, rispondi: ‘Per la notizia che sta per giungere; ogni cuore si struggerà, tutte le mani si indeboliranno, tutti gli spiriti verranno meno, tutte le ginocchia si scioglieranno come acqua. Ecco, la cosa giunge, e avverrà!’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, profetizza, e di’: ‘Così parla il Signore’. Di’: ‘La spada! la spada! è affilata e lucidata: affilata, per fare un macello; lucidata, perché scintilli. Dovremmo dunque rallegrarci ripetendo: Lo scettro di mio figlio disprezza ogni legno? Il Signore l’ha data a lucidare, perché la si impugni; la spada è affilata, essa è lucidata, per metterla in mano di chi uccide’. Grida e urla, figlio d’uomo, poiché essa è per il mio popolo, è per tutti i principi d’Israele; essi sono dati in balìa della spada con il mio popolo; perciò percuotiti la coscia! ‘Perché è una prova. Che cosa accadrebbe se perfino lo scettro sprezzante non ci fosse più?’, dice il Signore, l’Eterno. Tu, figlio d’uomo, profetizza, e batti le mani; la spada raddoppi, triplichi i suoi colpi, la spada che fa strage, la spada che uccide anche chi è grande, la spada che li circonda. Io ho rivolto la punta della spada contro tutte le loro porte, perché il loro cuore si strugga e cresca il numero dei caduti; sì, essa è fatta per scintillare, è affilata per il macello. Spada! raccogliti! volgiti a destra, attenta! volgiti a sinistra, dovunque è diretto il tuo filo! Anche io batterò le mani e sfogherò il mio furore! Io, l’Eterno, ho parlato”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Tu, figlio d’uomo, fatti due vie, per le quali passi la spada del re di Babilonia; partano entrambe dallo stesso paese; traccia un segnale indicatore dall’inizio della strada che porta a una città. Fa’ una strada per la quale la spada vada a Rabba, città dei figli di Ammon, e un’altra perché vada in Giuda, a Gerusalemme, città fortificata. Infatti il re di Babilonia sta sul bivio, all’inizio delle due strade, per tirare presagi: scuote le frecce, consulta gli idoli, esamina il fegato. La sorte, che è nella destra, designa Gerusalemme per collocarvi degli arieti, per aprire la bocca a ordinare il massacro, per alzare la voce in grida di guerra, per collocare gli arieti contro le porte, per elevare bastioni, per costruire delle torri. Ma essi non vedono in questo che una divinazione bugiarda; essi, a cui sono stati fatti tanti giuramenti! Ma ora egli si ricorderà della loro iniquità, perché siano presi. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché avete fatto ricordare la vostra iniquità mediante le vostre manifeste trasgressioni, al punto che i vostri peccati si mostrano in tutte le vostre azioni, poiché ne rievocate il ricordo, sarete presi dalla sua mano. Tu, empio, condannato alla spada, o principe d’Israele, il cui giorno è giunto al tempo del colmo dell’iniquità; così parla il Signore, l’Eterno: Il turbante sarà tolto, il diadema sarà rimosso; tutto sarà cambiato; ciò che è in basso sarà innalzato; ciò che è in alto sarà abbassato. Rovina! rovina! rovina! Questo farò di lei; anche essa non sarà più, finché non venga colui a cui appartiene il giudizio, e al quale lo rimetterò’. Tu, figlio d’uomo, profetizza, e di’: Così parla il Signore, l’Eterno, riguardo ai figli di Ammon e al loro obbrobrio; e di’: ‘La spada, la spada è sguainata; è lucidata per massacrare, per divorare, per scintillare. Mentre si hanno per te delle visioni vane, mentre si hanno per te divinazioni bugiarde, essa ti farà cadere fra i cadaveri degli empi, il cui giorno è giunto al tempo del colmo dell’iniquità. Riponi la spada nel suo fodero! Io ti giudicherò nel luogo stesso dove fosti creata, nel paese della tua origine; riverserò su di te la mia indignazione, soffierò contro di te nel fuoco della mia ira, e ti darò in mano di uomini brutali, artefici di distruzione. Tu sarai preda del fuoco, il tuo sangue sarà in mezzo al paese; tu non sarai più ricordata, perché io, l’Eterno, ho parlato’”. E la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Ora, figlio d’uomo, non giudicherai tu, non giudicherai tu questa città di sangue? Falle dunque conoscere tutte le sue abominazioni! e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘O città, che spargi il sangue in mezzo a te perché il tuo tempo giunga, e che ti fai degli idoli per contaminarti! Per il sangue che hai sparso ti sei resa colpevole, e per gli idoli che hai fatto ti sei contaminata; tu hai fatto avvicinare i tuoi giorni e sei giunta al termine dei tuoi anni; perciò io ti espongo all’obbrobrio delle nazioni e allo scherno di tutti i paesi. Quelli che ti sono vicini e quelli che sono lontani si faranno beffe di te, o tu macchiata d’infamia, e piena di disordine! Ecco, i principi d’Israele, ognuno secondo il suo potere, sono occupati in te a spargere il sangue; in te si disprezza padre e madre; in mezzo a te si opprime lo straniero; in te si calpesta l’orfano e la vedova. Tu disprezzi le mie cose sante, tu profani i miei sabati. In te c’è della gente che calunnia per spargere il sangue, in te si mangia sui monti, in mezzo a te si commettono scelleratezze. In te si scopre la nudità del padre, in te si violenta la donna impura per le sue mestruazioni; in te l’uno commette abominazione con la moglie del suo prossimo, l’altro contamina con incesto sua nuora, l’altro violenta sua sorella, figlia di suo padre. In te si ricevono regali per spargere del sangue; tu prendi interessi, dai a usura, trai guadagno dal prossimo con la violenza, e dimentichi me’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Ma ecco, io batto le mani, a causa del disonesto guadagno che fai, e del sangue da te sparso, che è in mezzo di te. Il tuo cuore reggerà forse, o le tue mani saranno forti il giorno che io agirò contro di te? Io, l’Eterno, ho parlato e lo farò. Io ti disperderò fra le nazioni, ti disseminerò per i paesi, e toglierò via da te tutta la tua immondizia; tu sarai profanata da te stessa agli occhi delle nazioni, e conoscerai che io sono l’Eterno’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, quelli della casa d’Israele per me sono diventati tante scorie: tutti quanti non sono che bronzo, stagno, ferro, piombo, in mezzo al crogiuolo; sono tutti scorie d’argento. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché siete tutti diventati tante scorie, ecco, io vi raduno in mezzo a Gerusalemme. Come si raduna l’argento, il bronzo, il ferro, il piombo e lo stagno in mezzo al crogiuolo e si soffia sul fuoco per fonderli, così, nella mia ira e nel mio furore io vi radunerò, vi metterò là e vi fonderò. Vi radunerò, soffierò contro di voi nel fuoco del mio furore e voi sarete fusi in mezzo a Gerusalemme. Come l’argento è fuso nel crogiuolo, così voi sarete fusi nelle città; voi saprete che io, l’Eterno, riverso su di voi il mio furore’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, di’ a Gerusalemme: ‘Tu sei una terra che non è stata purificata, che non è stata bagnata da pioggia in un giorno di indignazione’. C’è una cospirazione dei suoi profeti in mezzo a lei; come un leone ruggente che sbrana una preda, costoro divorano le anime, prendono tesori e cose preziose, moltiplicano le vedove in mezzo a lei. I suoi sacerdoti violano la mia legge e profanano le mie cose sante; non distinguono fra santo e profano, non fanno conoscere la differenza che passa fra ciò che è impuro e ciò che è puro, chiudono gli occhi sui miei sabati, e io sono profanato in mezzo a loro. I suoi capi, in mezzo a lei, sono come lupi che sbranano la loro preda: spargono il sangue, perdono le anime per saziare la loro avidità. I loro profeti intonacano loro tutto questo con malta che non regge: hanno delle visioni vane, pronosticano loro la menzogna, e dicono: ‘Così parla il Signore, l’Eterno’, mentre l’Eterno non ha parlato affatto. Il popolo del paese si dà alla violenza, commette rapine, calpesta l’afflitto e il povero, opprime lo straniero, contro ogni equità. Io ho cercato fra di loro qualcuno che riparasse il muro e stesse sulla breccia davanti a me in favore del paese, perché io non lo distruggessi; ma non l’ho trovato. Perciò, io riverserò su loro la mia indignazione; io li consumerò con il fuoco della mia ira, e farò ricadere sul loro capo la loro condotta”, dice il Signore, l’Eterno. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, c’erano due donne, figlie della stessa madre, le quali si prostituirono in Egitto; si prostituirono nella loro giovinezza; là furono premute le loro mammelle, e là fu compromesso il loro vergine seno. I loro nomi sono: quello della maggiore, Oola; quello della sorella, Ooliba. Esse divennero mie, e mi partorirono figli e figlie; questi sono i loro veri nomi: Oola è Samaria, Ooliba è Gerusalemme. E, mentre era mia, Oola si prostituì, e si appassionò per i suoi amanti, gli Assiri, che erano suoi vicini, vestiti di porpora, governatori e magistrati, tutti bei giovani, cavalieri montati sui loro cavalli. Essa si prostituì con loro, che erano tutti il fior fiore dei figli di Assiria, e si contaminò con tutti quelli per i quali si appassionava, con tutti i loro idoli. Lei non abbandonò le prostituzioni che commetteva con gli Egiziani, quando questi giacevano con lei nella sua giovinezza, quando comprimevano il suo vergine seno e sfogavano su di lei la loro lussuria. Perciò io l’abbandonai in balìa dei suoi amanti, in balìa dei figli di Assiria, per i quali si era appassionata. Essi scoprirono la sua nudità, presero i suoi figli e le sue figlie e la uccisero con la spada. Lei diventò famosa fra le donne, e su di lei furono eseguiti dei giudizi. Sua sorella vide questo, e tuttavia si corruppe più di lei nei suoi amori, le sue prostituzioni sorpassarono le prostituzioni di sua sorella. Si appassionò per i figli di Assiria, che erano suoi vicini, governatori e magistrati, vestiti pomposamente, cavalieri montati sui loro cavalli, tutti giovani e belli. Io vidi che essa si contaminava; entrambe seguivano la stessa via; ma questa superò l’altra nelle sue prostituzioni; vide degli uomini disegnati sui muri, delle immagini di Caldei dipinte in rosso, con delle cinture ai fianchi, con degli ampi turbanti sul capo, dall’aspetto di capitani, tutti quanti, ritratti dei figli di Babilonia, della Caldea, loro terra natìa; e, appena li vide, si appassionò per loro e mandò a essi dei messaggeri, in Caldea. I figli di Babilonia vennero da lei, al letto degli amori, e la contaminarono con le loro fornicazioni; lei si contaminò con loro; poi si allontanò da loro. Essa mise a nudo le sue prostituzioni, mise a nudo la sua vergogna, e io mi allontanai da lei, come mi ero allontanato da sua sorella. Tuttavia, essa moltiplicò le sue prostituzioni, ricordandosi dei giorni della sua giovinezza quando si era prostituita nel paese d’Egitto; si appassionò per quei fornicatori dalle membra d’asino e dall’ardore di stalloni. Così tu tornasti alle oscenità della tua giovinezza, quando gli Egiziani ti premevano le mammelle a causa del tuo vergine seno. Perciò, Ooliba, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io susciterò contro di te i tuoi amanti, dai quali ti sei allontanata, e li farò venire contro di te da tutte le parti: i figli di Babilonia e tutti i Caldei, prìncipi, ricchi e grandi, e tutti i figli di Assiria con loro, giovani e belli, tutti governatori e magistrati, capitani e consiglieri, tutti montati sui loro cavalli. Essi vengono contro di te con armi, carri e ruote, e con una moltitudine di popoli; con targhe, scudi, ed elmi si schierano contro di te tutto intorno; io rimetto in mano loro il giudizio, ed essi ti giudicheranno secondo le loro leggi. Io darò sfogo alla mia gelosia contro di te, ed essi ti tratteranno con furore: ti taglieranno il naso e le orecchie, e ciò che rimarrà di te cadrà per la spada; prenderanno i tuoi figli e le tue figlie, e ciò che rimarrà di te sarà divorato dal fuoco. Ti spoglieranno delle tue vesti, porteranno via gli oggetti di cui ti adorni. Io farò cessare la tua lussuria e la tua prostituzione cominciata nel paese d’Egitto, e tu non alzerai più gli occhi verso di loro, non ti ricorderai più dell’Egitto’. Poiché così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io ti do in mano di quelli che tu detesti, in mano di quelli dai quali ti sei allontanata. Essi ti tratteranno con odio, porteranno via tutto il frutto del tuo lavoro, e ti lasceranno nuda e scoperta; così saranno messe allo scoperto la vergogna della tua immoralità, la tua lussuria e le tue prostituzioni. Queste cose ti saranno fatte, perché ti sei prostituita correndo dietro alle nazioni, perché ti sei contaminata con i loro idoli. Tu hai camminato per la via di tua sorella, e io ti metto in mano la sua coppa’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Tu berrai la coppa di tua sorella, coppa profonda e ampia; sarai esposta alla derisione e alle beffe; la coppa è di grande capacità. Tu sarai riempita di ubriachezza e di dolore: è la coppa della desolazione e della devastazione, è la coppa di tua sorella Samaria. Tu la berrai, la svuoterai, ne morderai i pezzi, e ti lacererai il seno; poiché io ho parlato’, dice il Signore, l’Eterno. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché tu mi hai dimenticato e mi hai buttato dietro alle spalle, porta dunque anche tu, la pena della tua scelleratezza e delle tue prostituzioni’”. L’Eterno mi disse: “Figlio d’uomo, non giudicherai tu Oola e Ooliba? Dichiara loro dunque le loro abominazioni! Poiché hanno commesso adulterio, hanno del sangue sulle loro mani; hanno commesso adulterio con i loro idoli, e gli stessi figli che mi avevano partorito, li hanno fatti passare per il fuoco perché servissero loro di pasto. Anche questo mi hanno fatto: in quello stesso giorno hanno contaminato il mio santuario e hanno profanato i miei sabati. Dopo avere immolato i loro figli ai loro idoli, in quello stesso giorno sono venute nel mio santuario per profanarlo; ecco, quello che hanno fatto in mezzo alla mia casa. Oltre a questo, hanno mandato a cercare uomini che vengono da lontano; a loro hanno inviato dei messaggeri, ed ecco che sono venuti. Per loro ti sei lavata, ti sei truccata gli occhi, ti sei coperta di ornamenti; ti sei seduta sopra un letto sontuoso, davanti al quale era disposta una tavola; su quella hai messo il mio profumo e il mio olio. Là si udiva il rumore di una folla che si divertiva, e oltre alla gente presa tra la folla degli uomini, sono stati introdotti degli ubriachi venuti dal deserto, che hanno messo dei braccialetti ai polsi delle due sorelle, e dei magnifici diademi sul loro capo. Io ho detto di quella invecchiata negli adulterî: ‘Anche ora commettono prostituzioni con lei, proprio con lei!’. Si viene da lei, come si va da una prostituta! Così si viene da Oola e da Ooliba, da queste donne scellerate. Ma degli uomini giusti le giudicheranno, come si giudicano le adultere, come si giudicano le donne che spargono il sangue; perché sono adultere e hanno del sangue sulle mani. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘Sarà fatta salire contro di loro una moltitudine, ed esse saranno date in balìa del terrore e del saccheggio. Quella moltitudine le lapiderà e le farà a pezzi con la spada; ucciderà i loro figli e le loro figlie e darà alle fiamme le loro case. Io farò cessare la scelleratezza nel paese e tutte le donne saranno ammaestrate a non commettere più oscenità come le vostre. La vostra scelleratezza vi sarà fatta ricadere addosso, e voi porterete la pena della vostra idolatria, e conoscerete che io sono il Signore, l’Eterno’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta il nono anno, il decimo mese, il decimo giorno del mese, in questi termini: “Figlio d’uomo, scrivi la data di questo giorno, di quest’oggi! Oggi stesso, il re di Babilonia marcia contro Gerusalemme. Proponi una parabola a questa casa ribelle, e di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Metti, metti la pentola sul fuoco, e versaci dentro dell’acqua; raccoglici dentro i pezzi di carne, tutti i buoni pezzi, coscia e spalla; riempila di ossa scelte. Prendi il meglio del gregge, ammucchia sotto la pentola la legna per far bollire le ossa; falla bollire molto, affinché anche le ossa che ci sono dentro, cuociano’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Guai alla città sanguinaria, pentola piena di verderame, il cui verderame non si stacca! Vuotala dei pezzi, uno dopo l’altro, senza tirare a sorte! Poiché il sangue che ha versato è in mezzo a lei; essa lo ha posto sulla roccia nuda; non lo ha sparso in terra, per coprirlo di polvere. Per eccitare il furore, per farne vendetta, ho fatto mettere quel sangue sulla roccia nuda, perché non fosse coperto’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Guai alla città sanguinaria! Anch’io voglio fare un grande fuoco! Ammucchia la legna, fa’ alzare la fiamma, fa’ cuocere bene la carne, fa’ sciogliere il grasso, e fa’ che le ossa si consumino! Poi metti la pentola vuota sui carboni perché si riscaldi e il suo bronzo diventi rovente, affinché la sua impurità si sciolga in mezzo a essa e il suo verderame sia consumato. Ogni sforzo è inutile; il suo abbondante verderame non si stacca; il suo verderame non se ne andrà che mediante il fuoco. C’è della scelleratezza nella tua impurità; poiché io ti ho voluto purificare e tu non sei diventata pura; non sarai più purificata della tua impurità, finché io non abbia sfogato su di te il mio furore. Io, l’Eterno, ho parlato; la cosa avverrà, io la compirò; non indietreggerò, non avrò pietà, non mi pentirò; tu sarai giudicata secondo la tua condotta, secondo le tue azioni’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, ecco, con un colpo improvviso io ti tolgo la delizia dei tuoi occhi; tu non fare cordoglio, non piangere, non versare lacrime. Sospira in silenzio; non portare lutto per i morti, copri il capo con il turbante, mettiti i calzari ai piedi, non ti coprire la barba e non mangiare il pane che la gente ti manda”. La mattina parlai al popolo e la sera morì mia moglie; la mattina dopo feci come mi era stato comandato. Il popolo mi disse: “Non ci spiegherai che cosa significhi quello che fai?”. Io risposi loro: “La parola dell’Eterno mi è stata rivolta in questi termini: ‘Di’ alla casa d’Israele: Così parla il Signore, l’Eterno: Ecco, io profanerò il mio santuario, l’orgoglio della vostra forza, la delizia dei vostri occhi, il desiderio della vostra anima; i vostri figli e le vostre figlie che avete lasciato a Gerusalemme, cadranno per la spada’. Voi farete come ho fatto io: non vi coprirete la barba e non mangerete il pane che la gente vi manda; avrete i vostri turbanti sul capo, i vostri calzari ai piedi; non farete cordoglio e non piangerete, ma vi consumerete di languore per le vostre iniquità, e gemerete l’uno con l’altro. ‘Ezechiele sarà per voi un simbolo; tutto quello che fa lui, lo farete voi; quando queste cose accadranno, voi conoscerete che io sono il Signore, l’Eterno’. Tu, figlio d’uomo, il giorno che io toglierò loro ciò che fa la loro forza, la gioia della loro gloria, il desiderio dei loro occhi, la brama della loro anima, i loro figli e le loro figlie, in quel giorno un fuggiasco verrà da te a portartene la notizia. In quel giorno la tua bocca si aprirà, all’arrivo del fuggiasco; tu parlerai, non sarai più muto, e sarai per loro un simbolo; essi conosceranno che io sono l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, volgi la tua faccia verso i figli di Ammon, e profetizza contro di loro; di’ ai figli di Ammon: ‘Ascoltate la parola del Signore, dell’Eterno’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché tu hai detto: - Ah! Ah! - quando il mio santuario è stato profanato, quando il suolo d’Israele è stato desolato e quando la casa di Giuda è stata deportata, ecco, io ti do in possesso dei figli dell’Oriente. Essi porranno in te i loro accampamenti e stabiliranno in mezzo a te le loro abitazioni; saranno loro che mangeranno i tuoi frutti, loro che berranno il tuo latte. Io farò di Rabba un pascolo per i cammelli, del paese dei figli di Ammon, un ovile per le pecore; voi conoscerete che io sono l’Eterno’. Poiché così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché tu hai battuto le mani e pestato i piedi, e ti sei rallegrato con tutto il disprezzo che nutrivi nel cuore per la terra d’Israele, ecco, io stendo la mia mano contro di te, ti do in pascolo alle nazioni, ti stermino fra i popoli, ti faccio sparire dal numero dei paesi, ti distruggo e tu conoscerai che io sono l’Eterno’”. “Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché Moab e Seir dicono: Ecco, la casa di Giuda è come tutte le altre nazioni, ecco, io aprirò il fianco di Moab dal lato delle città, dal lato delle città che stanno alle sue frontiere e sono lo splendore del paese, Bet-Iesimot, Baal-Meon e Chiriataim; aprirò il fianco di Moab ai figli dell’Oriente, nello stesso modo che aprirò loro il fianco dei figli di Ammon; darò questi paesi in loro possesso, affinché i figli di Ammon non siano più nominati fra le nazioni; eseguirò i miei giudizi su Moab, ed essi conosceranno che io sono l’Eterno’”. “Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché quelli di Edom si sono crudelmente vendicati della casa di Giuda e si sono resi gravemente colpevoli vendicandosi di essa, così parla il Signore, l’Eterno: Io stenderò la mia mano contro Edom, ne sterminerò uomini e bestie, ne farò un deserto da Teman fino a Dedan; essi cadranno per la spada. Affiderò la mia vendetta sopra Edom nelle mani del mio popolo Israele; esso tratterà Edom secondo la mia ira e secondo il mio furore; essi conosceranno la mia vendetta’, dice il Signore, l’Eterno”. “Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché i Filistei si sono abbandonati alla vendetta e si sono crudelmente vendicati, con il disprezzo che nutrivano nell’anima, dandosi alla distruzione per odio antico, così parla il Signore, l’Eterno: Ecco, io stenderò la mia mano contro i Filistei, sterminerò i Cheretei e distruggerò il rimanente della costa del mare; eseguirò su di loro grandi vendette e li riprenderò con furore; essi conosceranno che io sono l’Eterno, quando avrò fatto loro sentire la mia vendetta’”. L’undicesimo anno, il primo giorno del mese, la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, poiché Tiro ha detto di Gerusalemme: ‘Ah! Ah! è infranta colei che era la porta dei popoli! La gente si volge verso di me! Io mi riempirò di lei che è deserta!’ perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi contro di te, o Tiro! Io farò salire contro di te molti popoli, come il mare fa salire le proprie onde. Essi distruggeranno le mura di Tiro e abbatteranno le sue torri: io spazzerò via da lei la polvere e farò di lei una roccia nuda. Essa sarà, in mezzo al mare, un luogo per stendere le reti, poiché io ho parlato’, dice il Signore, l’Eterno; ‘essa sarà abbandonata al saccheggio delle nazioni; le sue figlie che sono nei campi saranno uccise dalla spada, e quelli di Tiro sapranno che io sono l’Eterno’. Poiché così dice il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io faccio venire dal settentrione contro Tiro Nabucodonosor, re di Babilonia, il re dei re, con dei cavalli, con dei carri e con dei cavalieri e una grande moltitudine di gente. Egli ucciderà con la spada le tue figlie che sono nei campi, farà contro di te delle torri, innalzerà contro di te dei bastioni, leverà contro di te gli scudi; dirigerà contro le tue mura i suoi arieti, e con i suoi picconi abbatterà le tue torri. La moltitudine dei suoi cavalli sarà tale che la polvere sollevata da loro ti coprirà; lo strepito dei suoi cavalieri, delle sue ruote e dei suoi carri, farà tremare le tue mura, quando egli entrerà per le tue porte, come si entra in una città dove si è aperta una breccia. Con gli zoccoli dei suoi cavalli egli calpesterà tutte le tue strade; ucciderà il tuo popolo con la spada, e le colonne in cui riponi la tua forza cadranno a terra. Essi faranno bottino delle tue ricchezze, saccheggeranno le tue mercanzie, abbatteranno le tue mura, distruggeranno le tue case deliziose, e getteranno in mezzo alle acque le tue pietre, il tuo legname, la tua polvere. Io farò cessare il rumore dei tuoi canti e non si udrà più il suono delle tue arpe. Ti ridurrò a essere una roccia nuda; tu sarai un luogo per stendervi le reti; tu non sarai più ricostruita, perché io, l’Eterno, ho parlato’, dice il Signore, l’Eterno. Così parla il Signore, l’Eterno, a Tiro: ‘Sì, al rumore della tua caduta, al gemito dei feriti a morte, al massacro che si farà in mezzo a te, tremeranno le isole. Tutti i principi del mare scenderanno dai loro troni, si toglieranno i loro mantelli, deporranno le loro vesti ricamate; si avvolgeranno nello spavento, si siederanno per terra, tremeranno ogni istante, saranno costernati per causa tua. Faranno un lamento su di te e ti diranno: Come mai sei distrutta, tu che eri abitata da gente di mare, la città famosa, che eri così potente in mare, tu che al pari dei tuoi abitanti incutevi terrore a tutti gli abitanti della terra! Ora le isole tremeranno il giorno della tua caduta, le isole del mare saranno spaventate per la tua fine’. Poiché così parla il Signore, l’Eterno: ‘Quando farò di te una città desolata come le città che non hanno più abitanti, quando farò salire su di te l’abisso e le grandi acque ti copriranno, allora ti tirerò giù, con quelli che scendono nella fossa, fra il popolo di un tempo, ti farò abitare nelle profondità della terra, nelle solitudini eterne, con quelli che scendono nella fossa, perché tu non sia più abitata; mentre rimetterò lo splendore sulla terra dei viventi. Io ti ridurrò oggetto di spavento, e non sarai più; ti si cercherà ma non ti si troverà mai più’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Tu, figlio d’uomo, pronuncia una lamentazione su Tiro, e di’ a Tiro che sta agli approdi del mare, che porta le mercanzie dei popoli a molte isole: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘O Tiro, tu dici: Io sono di una perfetta bellezza. Il tuo dominio è nel cuore dei mari; i tuoi costruttori ti hanno fatto di una bellezza perfetta; hanno costruito di cipresso di Senir tutte le tue pareti; hanno preso dei cedri del Libano per fare l’alberatura delle tue navi; hanno fatto i tuoi remi di quercia di Basan, hanno fatto i ponti del tuo naviglio di avorio incastonato in larice, portato dalle isole di Chittim. Il lino fino d’Egitto lavorato a ricami, ti è servito per le tue vele e per le tue bandiere; la porpora e lo scarlatto delle isole di Elisa formano i tuoi padiglioni. Gli abitanti di Sidone e di Arvad sono i tuoi rematori; i tuoi uomini esperti, o Tiro, sono in mezzo a te; sono essi i tuoi piloti. Tu hai in mezzo a te gli anziani di Ghebel e i suoi uomini esperti, a riparare le tue falle; in te sono tutte le navi del mare con i loro marinai, per fare lo scambio delle tue mercanzie. Persiani, Lidi, Libi servono nel tuo esercito; sono uomini di guerra, che sospendono in mezzo a te lo scudo e l’elmo; sono la tua magnificenza. I figli di Arvad e il tuo esercito difendono tutto intorno le tue mura e degli uomini prodi stanno nelle tue torri; essi sospendono i loro scudi tutto intorno alle tue mura; essi rendono perfetta la tua bellezza. Tarsis traffica con te con la sua abbondanza di ogni sorta di ricchezze; fornisce i tuoi mercati di argento, di ferro, di stagno e di piombo. Iavan, Tubal e Mesec trafficano con te; danno esseri umani e utensili di bronzo in cambio delle tue mercanzie. Quelli della casa di Togarma pagano le tue mercanzie con cavalli da tiro, con cavalli da corsa e con muli. I figli di Dedan trafficano con te; il commercio di molte isole passa per le tue mani; ti pagano con denti di avorio e con ebano. La Siria commercia con te, per la moltitudine dei tuoi prodotti; fornisce i tuoi scambi di carbonchi, di porpora, di stoffe ricamate, di bisso, di corallo, di rubini. Anche Giuda e il paese d’Israele trafficano con te, ti danno in cambio grano di Minnit, pasticcerie, miele, olio e balsamo. Damasco commercia con te, scambiando i tuoi numerosi prodotti con abbondanza di ogni sorta di beni, con vino di Chelbon e con lana candida. Vedan e Iavan di Uzzal provvedono i tuoi mercati; ferro lavorato, cassia, canna aromatica sono fra i prodotti di scambio. Dedan traffica con te in coperte da cavalcatura. L’Arabia e tutti i principi di Chedar fanno commercio con te, trafficando in agnelli, in montoni, in capri. Anche i mercanti di Seba e di Raama trafficano con te; provvedono i tuoi mercati di tutti i migliori aromi, di ogni sorta di pietre preziose e d’oro. Aran, Canné e Eden, i mercanti di Seba, di Assiria, di Chilmad, trafficano con te; trafficano con te oggetti di lusso, mantelli di porpora, ricami, casse di stoffe preziose legate con corde e fatte di cedro. Le navi di Tarsis sono la tua flotta per il tuo commercio. Così ti sei riempita e ti sei grandemente arricchita nel cuore dei mari. I tuoi rematori ti hanno portato nelle grandi acque; il vento d’oriente si infrange nel cuore dei mari. Le tue ricchezze, i tuoi mercati, la tua mercanzia, i tuoi marinai, i tuoi piloti, i tuoi riparatori, i tuoi negozianti, tutta la tua gente di guerra che è in te e tutta la moltitudine che è in mezzo a te, cadranno nel cuore dei mari, il giorno della tua rovina. Alle grida dei tuoi piloti, le spiagge tremeranno; tutti quelli che maneggiano il remo, i marinai e tutti i piloti del mare scenderanno dalle loro navi, e rimarranno sulla terra ferma. Faranno sentire la loro voce su di te; grideranno amaramente, si getteranno della polvere sul capo, si rotoleranno nella cenere. A causa tua si raderanno il capo, si vestiranno di sacchi; per te piangeranno con amarezza d’animo, con cordoglio amaro; nella loro angoscia, pronunceranno su di te una lamentazione e si lamenteranno così riguardo a te: Chi fu mai come Tiro, come questa città, ora muta in mezzo al mare? Quando i tuoi prodotti uscivano dai mari, tu saziavi un grande numero di popoli; con l’abbondanza delle ricchezze e del tuo traffico, arricchivi i re della terra. Quando sei stata infranta dai mari, nelle profondità delle acque, la tua mercanzia e tutta la moltitudine che era in mezzo a te, sono cadute. Tutti gli abitanti delle isole sono sbigottiti a causa tua; i loro re sono presi da orribile paura, il loro aspetto è sconvolto. I mercanti fra i popoli fischiano su di te; sei diventata uno spavento e non esisterai mai più!’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, di’ al principe di Tiro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Il tuo cuore si è insuperbito, e tu dici: Io sono un dio! Io sto seduto sopra un trono di Dio nel cuore dei mari! mentre sei un uomo non un dio, sebbene tu ti faccia un cuore simile al cuore di un dio. Ecco, tu sei più saggio di Daniele, nessun mistero è oscuro per te; con la tua saggezza e con la tua intelligenza ti sei procurato ricchezza, hai ammassato oro e argento nei tuoi tesori; con la tua grande saggezza e con il tuo commercio hai accresciuto le tue ricchezze, e a causa delle tue ricchezze il tuo cuore si è insuperbito’. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché tu hai uguagliato il tuo cuore al cuore di Dio, ecco, io faccio venire contro di te degli stranieri, i più violenti fra le nazioni; essi sguaineranno le loro spade contro lo splendore della tua saggezza e contamineranno la tua bellezza; ti trascineranno giù nella fossa, e tu morirai della morte di quelli che sono trafitti nel cuore dei mari. Continuerai forse a dire: ‘Io sono un Dio’, in presenza di colui che ti ucciderà? Sarai un uomo e non un Dio nelle mani di chi ti trafiggerà! Tu morirai della morte degli incirconcisi, per mano di stranieri; poiché io ho parlato’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, pronuncia una lamentazione sul re di Tiro, e digli: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Tu mettevi il sigillo alla perfezione, eri pieno di saggezza, di una bellezza perfetta; eri in Eden il giardino di Dio; eri coperto di ogni sorta di pietre preziose: rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici, diaspri, zaffiri, carbonchi, smeraldi, oro; tamburi e flauti erano al tuo servizio, preparati nel giorno che fosti creato. Eri un cherubino dalle ali distese, un protettore. Io ti avevo stabilito, tu stavi sul monte santo di Dio, camminavi in mezzo a pietre di fuoco. Tu fosti perfetto nelle tue vie dal giorno che fosti creato, finché non si trovò in te la perversità. Per l’abbondanza del tuo commercio, tutto in te si è riempito di violenza, e tu hai peccato; perciò io ti caccio via come un profano dal monte di Dio, e ti farò sparire, o cherubino protettore, di mezzo alle pietre di fuoco. Il tuo cuore si è insuperbito per la tua bellezza; tu hai corrotto la tua saggezza a causa del tuo splendore; io ti getto a terra, ti do in spettacolo ai re. Con la moltitudine delle tue iniquità, con la disonestà del tuo commercio, tu hai profanato i tuoi santuari; io faccio uscire in mezzo a te un fuoco che ti divori, e ti riduco in cenere sulla terra, alla presenza di tutti quelli che ti guardano. Tutti quelli che ti conoscevano fra i popoli restano stupefatti al vederti; tu sei diventato oggetto di terrore e non esisterai mai più’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, volgi la faccia verso Sidone, profetizza contro di lei, e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi contro di te, o Sidone! Io mi glorificherò in mezzo di te: si conoscerà che io sono l’Eterno, quando avrò eseguito i miei giudizi contro di lei, e mi sarò santificato in lei. Io manderò contro di lei la peste, e ci sarà del sangue nelle sue strade; in mezzo a essa cadranno gli uccisi dalla spada, che piomberà su di lei da tutte le parti; si conoscerà che io sono l’Eterno. Non ci sarà più per la casa d’Israele né spina pungente né rovo irritante fra tutti i suoi vicini che la disprezzano; si conoscerà che io sono il Signore, l’Eterno’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Quando avrò raccolto la casa d’Israele di mezzo ai popoli fra i quali essa è dispersa, io mi santificherò in loro in presenza delle nazioni, ed essi abiteranno il loro paese che io ho dato al mio servo Giacobbe; vi abiteranno al sicuro; costruiranno case e pianteranno vigne; abiteranno al sicuro, quando io avrò eseguito i miei giudizi su tutti quelli che li circondano e li disprezzano; e conosceranno che io sono l’Eterno, il loro Dio’”. Il decimo anno, il decimo mese, il dodicesimo giorno del mese, la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo volgi la tua faccia contro Faraone, re d’Egitto, e profetizza contro di lui e contro tutto l’Egitto; parla e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi contro di te, Faraone, re d’Egitto, grande coccodrillo, che riposi in mezzo ai tuoi fiumi, e dici: - Il mio fiume è mio, e sono io che me lo sono fatto! - Io metterò dei ganci nelle tue mascelle, e farò in modo che i pesci dei tuoi fiumi si attaccheranno alle tue squame, e ti tirerò fuori di mezzo ai tuoi fiumi, con tutti i pesci dei tuoi fiumi attaccati alle tue squame. Ti getterò nel deserto, te e tutti i pesci dei tuoi fiumi, e tu cadrai in mezzo ai campi; non sarai né radunato né raccolto, e io ti darò in pasto alle bestie della terra e agli uccelli del cielo. Tutti gli abitanti dell’Egitto conosceranno che io sono l’Eterno, perché essi sono stati per la casa d’Israele un sostegno di canna. Quando ti hanno preso in mano, tu ti sei rotto e hai forato loro tutta la spalla, e quando si sono appoggiati su di te, ti sei spezzato e li hai fatti stare tutti dritti sui loro fianchi’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io farò venire sopra di te la spada e sterminerò in mezzo a te uomini e bestie: il paese d’Egitto sarà ridotto in una desolazione, in un deserto, e si conoscerà che io sono l’Eterno, perché Faraone ha detto: - Il fiume è mio e sono io che l’ho fatto! - Perciò, eccomi contro di te e contro il tuo fiume; ridurrò il paese d’Egitto in un deserto, in una desolazione, da Migdol a Siene, fino alle frontiere dell’Etiopia. Non vi passerà piede d’uomo, non vi passerà zampa di bestia, né sarà più abitato per quarant’anni; ridurrò il paese d’Egitto in una desolazione in mezzo a contrade desolate, e le sue città saranno una desolazione, per quarant’anni, in mezzo a città devastate; disperderò gli Egiziani fra le nazioni, e li disseminerò per tutti i paesi’. Poiché, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Alla fine dei quarant’anni io raccoglierò gli Egiziani fra i popoli dove saranno stati dispersi, farò tornare gli Egiziani dal loro esilio e li ricondurrò nel paese di Patros, nel loro paese natìo, e là saranno un umile regno. L’Egitto sarà il più umile dei regni, e non si eleverà più sopra le nazioni; io ridurrò il loro numero, perché non dominino più sulle nazioni; la casa d’Israele non riporrà più la sua fiducia in quelli che le ricorderanno l’iniquità da lei commessa quando si volgeva verso di loro; si conoscerà che io sono il Signore, l’Eterno’”. Il ventisettesimo anno, il primo mese, il primo giorno del mese, la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, Nabucodonosor, re di Babilonia, ha fatto fare al suo esercito un duro servizio contro Tiro; ogni testa è diventata calva, ogni spalla scorticata; né lui né il suo esercito hanno ricavato da Tiro alcun compenso per il servizio che egli ha fatto contro di essa. Perciò così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io do a Nabucodonosor, re di Babilonia, il paese d’Egitto; ed egli ne porterà via le ricchezze, lo spoglierà di ogni sua spoglia, saccheggerà ciò che c’è da saccheggiare, e questo sarà il salario del suo esercito. Come retribuzione del servizio che egli ha fatto contro Tiro, io gli do il paese d’Egitto, poiché hanno lavorato per me’, dice il Signore, l’Eterno. ‘In quel giorno io farò rispuntare la potenza della casa d’Israele, e darò a te di parlare liberamente in mezzo a loro, ed essi conosceranno che io sono l’Eterno’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, profetizza e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Urlate: Ahi, che giorno! Poiché il giorno è vicino, è vicino il giorno dell’Eterno: giorno di nuvole, il tempo delle nazioni. La spada verrà sull’Egitto, e ci sarà terrore in Etiopia quando in Egitto cadranno i feriti a morte, quando si porteranno via le sue ricchezze, e le sue fondamenta saranno distrutte. L’Etiopia, la Libia, la Lidia, Put, Lud, gli stranieri di ogni sorta, Cub e i figli del paese dell’alleanza, cadranno con loro per la spada’. Così parla l’Eterno: ‘Quelli che sostengono l’Egitto cadranno e l’orgoglio della sua forza sarà abbattuto: da Migdol a Siene essi cadranno per la spada’, dice il Signore, l’Eterno, ‘e saranno desolati in mezzo a terre desolate, le loro città saranno devastate in mezzo a città devastate; conosceranno che io sono l’Eterno, quando darò fuoco all’Egitto, e tutti i suoi aiutanti saranno schiacciati. In quel giorno, partiranno dei messaggeri dalla mia presenza su delle navi per spaventare l’Etiopia nella sua sicurezza; regnerà fra loro il terrore come nel giorno dell’Egitto; poiché, ecco, la cosa sta per avvenire’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io farò sparire la moltitudine dell’Egitto, per mano di Nabucodonosor, re di Babilonia. Egli e il suo popolo con lui, i più violenti fra le nazioni, saranno condotti a distruggere il paese; sguaineranno le spade contro l’Egitto e riempiranno il paese di uccisi. Io muterò i fiumi in luoghi aridi, darò il paese in balìa di gente malvagia, e per mano di stranieri desolerò il paese e tutto ciò che contiene. Io, l’Eterno, ho parlato’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io sterminerò da Nof gli idoli, e farò sparire i falsi dèi; non ci sarà più principe che venga dal paese d’Egitto, e metterò lo spavento nel paese d’Egitto. Desolerò Patros, darò alle fiamme Soan, eserciterò i miei giudizi su No, riverserò il mio furore sopra Sin, la fortezza dell’Egitto, e sterminerò la moltitudine di No. Darò fuoco all’Egitto; Sin si contorcerà dal dolore, No sarà squarciata, Nof sarà presa da nemici in pieno giorno. I giovani di Aven e di Pibeset cadranno per la spada, e queste città andranno in esilio. A Tapanes il giorno si oscurerà, quando io là spezzerò i gioghi imposti dall’Egitto; l’orgoglio della sua forza avrà fine. Quanto a lei, una nuvola la coprirà, e le sue figlie andranno in esilio. Così eserciterò i miei giudizi sull’Egitto, e si conoscerà che io sono l’Eterno’”. L’undicesimo anno, il primo mese, il settimo giorno del mese, la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, io ho spezzato il braccio del Faraone, re d’Egitto; ecco, il suo braccio non è stato fasciato applicandovi rimedi e mettendovi delle bende per fasciarlo e fortificarlo, in modo da poter maneggiare una spada. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi contro Faraone, re d’Egitto, per spezzargli le braccia, tanto quello che è ancora forte, quanto quello che è già spezzato; gli farò cadere di mano la spada. Disperderò gli Egiziani fra le nazioni, e li disseminerò per tutti i paesi; fortificherò le braccia del re di Babilonia, e gli metterò in mano la mia spada; spezzerò le braccia del Faraone, ed egli gemerà davanti a lui, come geme un uomo ferito a morte. Fortificherò le braccia del re di Babilonia e le braccia del Faraone cadranno; si conoscerà che io sono l’Eterno, quando metterò la mia spada in mano del re di Babilonia ed egli la volgerà contro il paese d’Egitto. Io disperderò gli Egiziani fra le nazioni, e li disseminerò per tutti i paesi; si conoscerà che io sono l’Eterno’”. L’undicesimo anno, il terzo mese, il primo giorno del mese, la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, di’ al Faraone re d’Egitto, e alla sua moltitudine: ‘A chi somigli tu nella tua grandezza? Ecco, l’Assiro era un cedro del Libano, dai bei rami, dall’ombra folta, dal tronco slanciato, dalla vetta sporgente tra il folto dei rami. Le acque lo nutrivano, l’abisso lo faceva crescere con i suoi fiumi che scorrevano intorno al luogo dove era piantato, mentre mandava i suoi canali a tutti gli alberi dei campi. Perciò la sua altezza era superiore a quella di tutti gli alberi della campagna, i suoi rami si erano moltiplicati, i suoi ramoscelli si erano allungati per l’abbondanza delle acque che lo facevano sviluppare. Tutti gli uccelli del cielo si annidavano fra i suoi rami, tutte le bestie dei campi figliavano sotto i suoi ramoscelli, e tutte le grandi nazioni dimoravano alla sua ombra. Era bello per la sua grandezza, per la lunghezza dei suoi rami, perché la sua radice era presso acque abbondanti. I cedri non lo sorpassavano nel giardino di Dio; i cipressi non uguagliavano i suoi ramoscelli, e i platani non erano neppure come i suoi rami; nessun albero nel giardino di Dio lo pareggiava in bellezza. Io lo avevo reso bello per l’abbondanza dei suoi rami, e tutti gli alberi di Eden, che sono nel giardino di Dio, gli portavano invidia’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché era salito a tanta altezza e sporgeva la sua vetta tra il folto dei rami e poiché il suo cuore si era insuperbito della sua altezza, io lo diedi in mano del più forte fra le nazioni affinché lo trattasse a suo piacimento; per la sua empietà io lo allontanai. Degli stranieri, i più violenti fra le nazioni, lo hanno tagliato e lo hanno abbandonato; sui monti e in tutte le valli sono caduti i suoi rami, i suoi ramoscelli sono stati spezzati in tutti i burroni del paese, tutti i popoli della terra si sono ritirati dalla sua ombra e lo hanno abbandonato. Sul suo tronco caduto si posano tutti gli uccelli del cielo, e sopra i suoi rami stanno tutte le bestie dei campi. Così è avvenuto affinché gli alberi tutti piantati presso le acque non siano fieri della propria altezza, non sporgano più la vetta fra il folto dei rami, e tutti gli alberi potenti che si dissetano alle acque non persistano nella loro fierezza; poiché tutti quanti sono dati alla morte, alle profondità della terra, insieme ai figli degli uomini, a quelli che scendono nella fossa’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Il giorno che egli discese nel soggiorno dei morti io feci fare cordoglio; a causa sua coprii l’abisso, ne arrestai i fiumi e le grandi acque furono fermate; a causa sua feci vestire a lutto il Libano, e tutti gli alberi dei campi vennero meno a causa sua. Al rumore della sua caduta feci tremare le nazioni, quando lo feci scendere nel soggiorno dei morti con quelli che scendono nella fossa; nelle profondità della terra si consolarono tutti gli alberi di Eden, i più scelti e i più belli del Libano, tutti quelli che si dissetavano alle acque. Anche loro discesero con lui nel soggiorno dei morti, verso quelli che la spada ha ucciso: verso quelli che erano il suo braccio e stavano alla sua ombra in mezzo alle nazioni. A chi dunque somigli tu per gloria e per grandezza fra gli alberi di Eden? Così tu sarai precipitato con gli alberi di Eden nelle profondità della terra; tu giacerai in mezzo agli incirconcisi, fra quelli che la spada ha ucciso. Così sarà del Faraone con tutta la sua moltitudine’, dice il Signore, l’Eterno”. Il dodicesimo anno, il dodicesimo mese, il primo giorno del mese, la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, pronuncia una lamentazione su Faraone, re d’Egitto, e digli: ‘Tu eri simile a un leoncello fra le nazioni; eri come un coccodrillo nei mari; ti slanciavi nei tuoi fiumi, con i tuoi piedi agitavi le acque intorbidandone i canali’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io stenderò su di te la mia rete mediante una grande moltitudine di popoli, i quali ti tireranno fuori con la mia rete; ti abbandonerò sulla terra e ti getterò in aperta campagna, farò in modo che su di te verranno a posarsi tutti gli uccelli del cielo, e sazierò di te le bestie di tutta la terra; metterò la tua carne su per i monti, e riempirò le valli dei tuoi avanzi; annaffierò del tuo sangue, fin sui monti, il paese dove nuoti; i canali saranno ripieni di te. Quando ti estinguerò, coprirò i cieli e oscurerò le stelle; coprirò il sole di nuvole e la luna non darà la sua luce. Per causa tua, oscurerò tutti gli astri che splendono in cielo, e stenderò le tenebre sul tuo paese’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Affliggerò il cuore di molti popoli, quando farò giungere la notizia della tua rovina fra le nazioni, in paesi che tu non conosci; farò in modo che di te resteranno attoniti molti popoli, e i loro re saranno presi da spavento per causa tua, quando io brandirò la mia spada davanti a loro; ognuno di essi tremerà ogni istante per la sua vita, nel giorno della tua caduta’. Poiché così parla il Signore, l’Eterno: ‘La spada del re di Babilonia ti piomberà addosso. Io farò cadere la moltitudine del tuo popolo per la spada di uomini potenti, tutti quanti i più violenti fra le nazioni, ed essi distruggeranno il fasto dell’Egitto, e tutta la sua moltitudine sarà annientata. Farò perire tutto il suo bestiame sulle rive delle grandi acque; nessun piede di uomo le intorbiderà più, non le intorbiderà più unghia di bestia. Allora lascerò posare le loro acque, e farò scorrere i loro fiumi come olio’, dice il Signore, l’Eterno, ‘quando avrò ridotto il paese d’Egitto in una desolazione, in un paese spogliato di ciò che conteneva, e quando ne avrò colpito tutti gli abitanti; si conoscerà che io sono l’Eterno. Ecco la lamentazione che sarà pronunciata; la pronunceranno le figlie delle nazioni; pronunceranno questa lamentazione sull’Egitto e su tutta la sua moltitudine’, dice il Signore, l’Eterno”. Il dodicesimo anno, il quindicesimo giorno del mese, la parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, intona un lamento sulla moltitudine dell’Egitto e fa’ scendere lei e le figlie delle nazioni illustri nelle profondità della terra, con quelli che scendono nella fossa. ‘Chi mai superi tu in bellezza? Scendi, e sarai posto a giacere con gli incirconcisi! Essi cadranno in mezzo agli uccisi per la spada. La spada vi è data; trascinate l’Egitto con tutte le sue moltitudini! I più forti fra i prodi e quelli che gli davano soccorso gli rivolgeranno la parola, in mezzo al soggiorno dei morti. Sono scesi, gli incirconcisi; giacciono uccisi dalla spada. Là è l’Assiro con tutta la sua moltitudine; intorno a lui stanno i suoi sepolcri; tutti sono uccisi, caduti per la spada. I suoi sepolcri sono posti nelle profondità della fossa e la sua moltitudine sta intorno al suo sepolcro; tutti sono uccisi, caduti per la spada, essi che spandevano il terrore sulla terra dei viventi. Là è Elam con tutta la sua moltitudine, intorno al suo sepolcro; tutti sono uccisi, caduti per la spada, incirconcisi scesi nelle profondità della terra: essi, che spandevano il terrore sulla terra dei viventi; hanno portato il loro obbrobrio con quelli che scendono nella fossa. Hanno fatto un letto, per lui e per la sua moltitudine, in mezzo a quelli che sono stati uccisi; intorno a lui stanno i suoi sepolcri; tutti costoro sono incirconcisi, sono morti per la spada, perché spandevano il terrore sulla terra dei viventi; hanno portato il loro obbrobrio con quelli che scendono nella fossa; sono stati messi fra gli uccisi. Là è Mesec, Tubal e tutta la loro moltitudine; intorno a loro stanno i loro sepolcri; tutti costoro sono incirconcisi, uccisi dalla spada, perché spandevano il terrore sulla terra dei viventi. Non giacciono con i prodi che sono caduti fra gli incirconcisi, che sono scesi nel soggiorno dei morti con le loro armi da guerra, e sotto il capo dei quali sono state poste le loro spade; ma le loro iniquità stanno sulle loro ossa, perché erano il terrore dei prodi sulla terra dei viventi. Tu pure sarai fiaccato in mezzo agli incirconcisi e giacerai con gli uccisi dalla spada. Là è Edom con i suoi re e con tutti i suoi principi, i quali, nonostante tutto il loro valore, sono stati messi con gli uccisi di spada. Anche loro giacciono con gli incirconcisi e con quelli che scendono nella fossa. Là sono tutti principi del settentrione e tutti i Sidoni, che sono scesi in mezzo agli uccisi, coperti di vergogna, nonostante il terrore che incuteva la loro bravura. Giacciono incirconcisi con gli uccisi di spada, e portano il loro obbrobrio con quelli che scendono nella fossa. Faraone li vedrà e si consolerà di aver perso tutta la sua moltitudine; Faraone e tutto il suo esercito saranno uccisi per la spada’, dice il Signore, l’Eterno, ‘poiché io spanderò il mio terrore nella terra dei viventi; Faraone con tutta la sua moltitudine sarà posto a giacere in mezzo agli incirconcisi, con quelli che sono stati uccisi dalla spada’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, parla ai figli del tuo popolo, e di’ loro: ‘Quando io farò venire la spada contro un paese, e il popolo di quel paese prenderà in mezzo a sé un uomo e se lo stabilirà come sentinella, ed egli, vedendo venire la spada contro il paese, suonerà il corno e avvertirà il popolo, se qualcuno, pur udendo il suono del corno, non se ne cura, e la spada viene e lo porta via, il sangue di quel tale sarà sopra il suo capo; egli ha udito il suono del corno e non se ne è curato; il suo sangue sarà sopra di lui; se se ne fosse curato, avrebbe salvato la sua vita. Ma se la sentinella vede venire la spada e non suona il corno, e il popolo non è stato avvertito, e la spada viene e porta via qualcuno di loro, questi sarà portato via per la propria iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla sentinella’. Ora, figlio d’uomo, io ho stabilito te come sentinella per la casa d’Israele; quando dunque udrai qualche parola dalla mia bocca, avvertili da parte mia. Quando avrò detto all’empio: ‘Empio, per certo tu morirai!’ e tu non avrai parlato per avvertire l’empio che si allontani dalla sua via, quell’empio morirà per la sua iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano. Ma, se tu avverti l’empio che si allontani dalla sua via, ed egli non se ne allontana, egli morirà per la sua iniquità, ma tu avrai salvato te stesso. Tu, figlio d’uomo, di’ alla casa d’Israele: Voi dite così: ‘Le nostre trasgressioni e i nostri peccati sono su di noi, e a causa loro noi languiamo: come potremmo vivere?’. Di’ loro: ‘Com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie! Perché morireste, o casa d’Israele?’. Tu, figlio d’uomo, di’ ai figli del tuo popolo: ‘La giustizia del giusto non lo salverà nel giorno della sua trasgressione; l’empio non cadrà per la sua empietà nel giorno in cui si sarà allontanato dalla sua empietà; nello stesso modo, il giusto non potrà vivere per la sua giustizia nel giorno in cui peccherà’. Quando io avrò detto al giusto che per certo egli vivrà, se egli confida nella propria giustizia e commette l’iniquità, tutti i suoi atti giusti non saranno più ricordati, e morirà per l’iniquità che avrà commesso. Quando avrò detto all’empio: ‘Per certo tu morirai’, se egli si allontana dal suo peccato e pratica ciò che è conforme al diritto e alla giustizia, se rende il pegno, se restituisce ciò che ha rubato, se cammina secondo i precetti che danno la vita, senza commettere l’iniquità, per certo egli vivrà, non morirà. Tutti i peccati che ha commesso non saranno più ricordati contro di lui: egli ha praticato ciò che è conforme al diritto e alla giustizia, per certo vivrà. Ma i figli del tuo popolo dicono: ‘La via del Signore non è ben regolata’; ma è la via loro quella che non è ben regolata. Quando il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità, egli muore per questo motivo; quando l’empio si allontana dalla sua empietà e si comporta secondo il diritto e la giustizia, per questo motivo, vive. Voi dite: ‘La via del Signore non è ben regolata!’, io vi giudicherò ciascuno secondo le vostre vie, o casa d’Israele!”. Il dodicesimo anno della nostra deportazione, il decimo mese, il quinto giorno del mese, un fuggiasco da Gerusalemme venne da me e mi disse: “La città è presa!”. La sera prima della venuta del fuggiasco, la mano dell’Eterno era stata sopra di me, ed egli mi aveva aperto la bocca, prima che egli venisse da me la mattina; la bocca mi fu aperta, e io non fui più muto. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, gli abitanti di quelle rovine, nel paese d’Israele, dicono: ‘Abraamo era solo, eppure ebbe il possesso del paese; noi siamo molti, il possesso del paese è dato a noi’. Perciò, di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Voi mangiate la carne con il sangue, alzate gli occhi verso i vostri idoli, spargete il sangue, e dovreste possedere il paese? Voi vi appoggiate sulla vostra spada, commettete abominazioni, ciascuno di voi contamina la moglie del prossimo, e dovreste possedere il paese?’. Di’ loro così: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Com’è vero che io vivo, quelli che stanno fra quelle rovine cadranno per la spada; quelli che sono per i campi li darò in pasto alle bestie; quelli che sono nelle fortezze e nelle caserme moriranno di peste! Io ridurrò il paese in una desolazione, in un deserto; l’orgoglio della sua forza verrà meno e i monti d’Israele saranno così desolati, che nessuno vi passerà più. Essi conosceranno che io sono l’Eterno, quando avrò ridotto il paese in una desolazione, in un deserto, per tutte le abominazioni che hanno commesso’. Quanto a te, figlio d’uomo, i figli del tuo popolo discorrono di te presso le mura e sulle porte delle case; parlano l’uno con l’altro e ognuno con il proprio fratello, e dicono: ‘Venite dunque ad ascoltare qual è la parola che procede dall’Eterno!’. Vengono da te come fa la folla; il mio popolo si siede davanti a te e ascolta le tue parole, ma non le mette in pratica; perché, con la bocca mostra molto amore, ma il suo cuore va dietro alla sua avidità. Ecco, tu sei per loro come una canzone d’amore di uno che ha una bella voce e sa suonare bene; essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica; ma quando la cosa avverrà - ed ecco che sta per avvenire - essi conosceranno che in mezzo a loro c’è stato un profeta”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele; profetizza, e di’ a quei pastori: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Guai ai pastori d’Israele, che non hanno fatto che pascere sé stessi! Non è forse il gregge quello che i pastori devono pascere? Voi mangiate il latte, vi vestite della lana, ammazzate ciò che è ingrassato, ma non pascete il gregge. Voi non avete fortificato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza. Esse, per mancanza di pastore, si sono disperse, sono diventate pasto di tutte le bestie dei campi e si sono disperse. Le mie pecore vanno errando per tutti i monti e per ogni alto colle; le mie pecore si disperdono su tutta la faccia del paese, e non c’è nessuno che se ne prenda cura, nessuno che le cerchi! Perciò, o pastori, ascoltate la parola dell’Eterno! Com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘poiché le mie pecore sono abbandonate alla rapina; poiché le mie pecore, essendo senza pastore, servono di pasto a tutte le bestie dei campi, e i miei pastori non cercano le mie pecore; poiché i pastori pascolano sé stessi e non pascolano le mie pecore, perciò, ascoltate, o pastori, la parola dell’Eterno! Così parla il Signore, l’Eterno: Eccomi contro i pastori; io domanderò le mie pecore alle loro mani; li farò cessare dal pascere le pecore; i pastori non pasceranno più sé stessi; io strapperò le mie pecore dalla loro bocca, ed esse non serviranno più loro di pasto’. Poiché, così dice il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi! io stesso domanderò delle mie pecore, e andrò in cerca di loro. Come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno che si trova in mezzo alle sue pecore disperse, così io andrò in cerca delle mie pecore e le ricondurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre; le farò uscire dai popoli, le radunerò dai diversi paesi, le ricondurrò sul loro suolo, e le pascerò sui monti d’Israele, lungo i ruscelli e in tutti i luoghi abitati del paese. Io le pascerò in buoni pascoli e i loro ovili saranno sugli alti monti d’Israele; esse riposeranno là in buoni ovili, e pascoleranno in grassi pascoli sui monti d’Israele. Io stesso pascerò le mie pecore, io stesso le farò riposare’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, fortificherò la malata, ma distruggerò la grassa e la forte: io le pascerò con giustizia. Quanto a voi, o pecore mie, così dice il Signore, l’Eterno: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri. Vi pare forse troppo poco pascolare in questo buon pascolo, al punto che volete calpestare con i piedi ciò che rimane del vostro pascolo? Il bere le acque più chiare, al punto che volete intorbidare con i piedi ciò che ne resta? Le mie pecore hanno per pascolo quello che i vostri piedi hanno calpestato; devono bere ciò che i vostri piedi hanno intorbidito!’. Perciò, così dice loro il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi, io stesso giudicherò fra la pecora grassa e la pecora magra. Siccome voi avete spinto con il fianco e con la spalla e avete cozzato con le corna tutte le pecore deboli finché non le avete disperse e cacciate fuori, io salverò le mie pecore, ed esse non saranno più abbandonate alla rapina; giudicherò fra pecora e pecora. Susciterò sopra di esse un solo pastore, che le pascolerà: il mio servo Davide; egli le pascolerà, egli sarà il loro pastore. Io, l’Eterno, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe in mezzo a loro. Io, l’Eterno, ho parlato. Stabilirò con esse un patto di pace; farò sparire le bestie cattive dal paese e le mie pecore dimoreranno al sicuro nel deserto, e dormiranno nelle foreste. Farò in modo che esse e i luoghi attorno al mio colle saranno una benedizione; farò scendere la pioggia a suo tempo, e saranno piogge di benedizione. L’albero dei campi darà il suo frutto e la terra darà i suoi prodotti. Esse staranno al sicuro sul loro suolo e conosceranno che io sono l’Eterno, quando spezzerò le sbarre del loro giogo e le libererò dalla mano di quelli che le tenevano schiave. Non saranno più preda delle nazioni; le bestie dei campi non le divoreranno più, ma se ne staranno al sicuro, senza che nessuno più le spaventi. Farò sorgere per loro una vegetazione rinomata; non saranno più consumate dalla fame nel paese e non porteranno più l’obbrobrio delle nazioni. Conosceranno che io, l’Eterno, il loro Dio, sono con esse, e che esse, la casa d’Israele, sono il mio popolo’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Voi, pecore mie, pecore del mio pascolo, siete uomini, e io sono il vostro Dio’, dice l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, volgi la tua faccia verso il monte Seir, profetizza contro di esso e digli: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi a te, o monte Seir! Io stenderò la mia mano contro di te e ti renderò una solitudine, un deserto. Io ridurrò le tue città in rovine, tu diventerai una solitudine e conoscerai che io sono l’Eterno. Poiché tu hai avuto un’antica inimicizia e hai abbandonato i figli d’Israele in balìa della spada nel giorno della loro calamità, nel giorno che l’iniquità era giunta al colmo, com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘io ti lascerò nel sangue e il sangue ti inseguirà; poiché non hai odiato il sangue, il sangue ti inseguirà. Ridurrò il monte Seir in una solitudine, in un deserto e ne sterminerò chi va e chi viene. Io riempirò i suoi monti dei suoi cadaveri; sopra i tuoi colli, nelle tue valli, in tutti i tuoi burroni cadranno gli uccisi dalla spada. Io ti ridurrò in una desolazione perenne, e le tue città non saranno più abitate; voi conoscerete che io sono l’Eterno. Siccome tu hai detto: - Quelle due nazioni e quei due paesi saranno miei, e noi li possederemo - (e l’Eterno era là!), com’è vero che io vivo’, dice il Signore, l’Eterno, ‘io agirò con l’ira e con la gelosia che tu hai mostrato nel tuo odio contro di loro; mi farò conoscere in mezzo a loro, quando ti giudicherò. Tu conoscerai che io, l’Eterno, ho udito tutti gli oltraggi che hai proferito contro i monti d’Israele, dicendo: - Essi sono desolati; sono dati a noi, perché ne facciamo nostra preda. - Voi, con la vostra bocca, vi siete inorgogliti contro di me, e avete moltiplicato contro di me i vostri discorsi. Io l’ho udito!’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Quando tutta la terra si rallegrerà, io ti ridurrò in una desolazione. Siccome tu ti sei rallegrato perché l’eredità della casa d’Israele era devastata, io farò lo stesso di te: tu diventerai una desolazione, o monte di Seir: tu ed Edom tutto quanto; si conoscerà che io sono l’Eterno’”. “Tu, figlio d’uomo, profetizza ai monti d’Israele, e di’: O monti d’Israele, ascoltate la parola dell’Eterno! Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché il nemico ha detto di voi: Ah! ah! Queste alture eterne sono diventate nostro possesso!’, tu profetizza, e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Sì, poiché da tutte le parti hanno voluto distruggervi e inghiottirvi perché diventaste possesso del resto delle nazioni, e perché siete stati oggetto dei discorsi delle male lingue e delle maldicenze della gente, perciò, o monti d’Israele, ascoltate la parola del Signore, dell’Eterno!’. Così parla il Signore, l’Eterno, ai monti e ai colli, ai burroni e alle valli, alle rovine desolate e alle città abbandonate, che sono state date in balìa del saccheggio e delle beffe delle altre nazioni circostanti; così parla il Signore, l’Eterno: ‘Sì, nel fuoco della mia gelosia, io parlo contro il resto delle altre nazioni e contro Edom tutto quanto, che hanno fatto del mio paese il loro possesso con tutta la gioia del loro cuore e con tutto il disprezzo della loro anima, per ridurlo in bottino’. Perciò, profetizza sopra la terra d’Israele, e di’ ai monti e ai colli, ai burroni e alle valli: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io parlo nella mia gelosia e nel mio furore, perché voi portate l’obbrobrio delle nazioni’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io l’ho giurato! Le nazioni che vi circondano porteranno anche esse il proprio obbrobrio; ma voi, o monti d’Israele, metterete i vostri rami e porterete i vostri frutti al mio popolo Israele, perché egli sta per arrivare. Infatti, ecco, io vengo a voi, mi volgerò verso di voi, e voi sarete coltivati e seminati; io moltiplicherò su di voi gli uomini, tutta quanta la casa d’Israele; le città saranno abitate e le rovine saranno ricostruite; moltiplicherò su di voi uomini e bestie; essi moltiplicheranno e saranno fecondi, farò in modo che sarete abitati come eravate prima, e vi farò del bene più che nei vostri primi tempi; voi conoscerete che io sono l’Eterno. Io farò camminare su di voi degli uomini, il mio popolo Israele. Essi ti possederanno, o paese; tu sarai la loro eredità e non li priverai più dei loro figli’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Poiché vi si dice: - Tu, o paese, hai divorato gli uomini, hai privato la tua nazione dei suoi figli - tu non divorerai più gli uomini e non priverai più la tua nazione dei suoi figli’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Io non ti farò più udire gli oltraggi delle nazioni, tu non porterai più l’obbrobrio dei popoli e non farai più cadere la tua gente’, dice il Signore, l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, quando quelli della casa d’Israele abitavano il loro paese, lo contaminavano con la loro condotta e con le loro azioni; la loro condotta era nel mio cospetto come l’impurità della donna quando ha i suoi corsi. Perciò riversai su di loro il mio furore a causa del sangue che avevano sparso sul paese, e perché lo avevano contaminato con i loro idoli: li dispersi fra le nazioni, ed essi furono sparsi per tutti i paesi; io li giudicai secondo la loro condotta e secondo le loro azioni. E, giunti fra le nazioni dove sono andati, hanno profanato il mio nome santo, poiché si diceva di loro: ‘Costoro sono il popolo dell’Eterno e sono usciti dal suo paese’. Io ho avuto pietà del mio nome santo, che la casa d’Israele profanava fra le nazioni dov’è andata. Perciò, di’ alla casa d’Israele: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Io agisco così, non a causa vostra, o casa d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete profanato fra le nazioni dove siete andati. Io santificherò il mio grande nome che è stato profanato fra le nazioni, in mezzo alle quali voi lo avete profanato; le nazioni conosceranno che io sono l’Eterno’, dice il Signore, l’Eterno, ‘quando io mi santificherò in voi, sotto gli occhi loro. Io vi farò uscire dalle nazioni, vi radunerò da tutti i paesi e vi ricondurrò nel vostro paese; vi aspergerò con acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità e di tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dalla vostra carne il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio Spirito, farò in modo che camminerete secondo le mie leggi e osserverete e metterete in pratica le mie prescrizioni. Voi abiterete nel paese che io diedi ai vostri padri, sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio. Io vi libererò da tutte le vostre impurità; chiamerò il frumento, lo farò abbondare, e non manderò più contro di voi la fame; farò moltiplicare il frutto degli alberi e il prodotto dei campi, affinché non siate più esposti all’obbrobrio della fame tra le nazioni. Allora vi ricorderete delle vostre vie malvagie e delle vostre azioni che non erano buone, e avrete disgusto di voi stessi a causa delle vostre iniquità e delle vostre abominazioni. Non è per amore vostro che agisco così’, dice il Signore, l’Eterno: ‘sappiatelo bene! Vergognatevi e siate confusi a causa delle vostre vie, o casa d’Israele!’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Il giorno che io vi purificherò di tutte le vostre iniquità, farò in modo che le città saranno abitate, e le rovine saranno ricostruite; la terra desolata sarà coltivata, invece di essere una desolazione agli occhi di tutti i passanti; si dirà: Questa terra che era desolata, è diventata come il giardino di Eden; queste città che erano deserte, desolate, rovinate, sono fortificate e abitate. Le nazioni che saranno rimaste intorno a voi conosceranno che io, l’Eterno, sono colui che ha ricostruito i luoghi distrutti e ripiantato il luogo deserto. Io, l’Eterno, parlo e mando la cosa a effetto’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Anche in questo mi lascerò supplicare dalla casa d’Israele e glielo concederò: io moltiplicherò loro gli uomini come un gregge. Come greggi di pecore consacrate, come le greggi di Gerusalemme nelle sue feste solenni, così le città deserte saranno riempite di greggi di uomini; si conoscerà che io sono l’Eterno’”. La mano dell’Eterno fu sopra di me e l’Eterno mi portò fuori in spirito e mi depose in mezzo a una valle che era piena di ossa. Mi fece passare presso di esse, tutto intorno; ecco erano numerosissime sulla superficie della valle ed erano anche molto secche. Mi disse: “Figlio d’uomo, queste ossa potrebbero rivivere?”, e io risposi: “Signore, Eterno, tu lo sai”. Egli mi disse: “Profetizza su queste ossa, e di’ loro: ‘Ossa secche, ascoltate la parola dell’Eterno!’. Così dice il Signore, l’Eterno, a queste ossa: ‘Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito, e voi rivivrete; metterò su di voi dei muscoli, farò nascere su di voi della carne, vi coprirò di pelle, metterò in voi lo spirito e rivivrete; conoscerete che io sono l’Eterno’”. Io profetizzai come mi era stato comandato; e mentre io profetizzavo, si fece un rumore; ecco un movimento, e le ossa si accostarono le une alle altre. Io guardai, ed ecco venire su di esse dei muscoli, crescervi della carne e la pelle ricoprirle; ma non c’era in esse nessuno spirito. Allora egli mi disse: “Profetizza allo spirito, profetizza, figlio d’uomo, e di’ allo spirito: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Vieni dai quattro venti, o spirito, soffia su questi uccisi, e fa’ che rivivano!’”. Io profetizzai, come egli mi aveva comandato; lo spirito entrò in essi, tornarono alla vita e si alzarono in piedi: erano un esercito grande, grandissimo. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele. Ecco, essi dicono: ‘Le nostre ossa sono secche, la nostra speranza è perita, noi siamo perduti!’. Perciò, profetizza e di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io aprirò i vostri sepolcri, vi farò uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d’Israele. Voi conoscerete che io sono l’Eterno, quando aprirò i vostri sepolcri e vi farò uscire dalle vostre tombe, o popolo mio! Metterò in voi il mio Spirito e voi tornerete in vita; vi porrò sul vostro suolo e conoscerete che io, l’Eterno, ho parlato e ho mandato la cosa a effetto’, dice l’Eterno”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Tu, figlio d’uomo, prendi un pezzo di legno e scrivici sopra: ‘Per Giuda e per i figli d’Israele, che gli sono associati’. Poi prendi un altro pezzo di legno e scrivici sopra: ‘Per Giuseppe, bastone di Efraim e di tutta la casa d’Israele, che gli è associata’. Poi accostali l’uno all’altro per farne un solo pezzo di legno, in modo che siano uniti nella tua mano. Quando i figli del tuo popolo ti parleranno e ti diranno: ‘Non ci spiegherai forse che cosa vuoi dire con queste cose?’, tu rispondi loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io prenderò il pezzo di legno di Giuseppe che è in mano di Efraim e le tribù d’Israele che sono a lui associate, e li unirò a questo, che è il pezzo di legno di Giuda, e ne farò un solo legno, in modo che saranno una sola cosa nella mia mano’. I legni sui quali tu avrai scritto, li terrai in mano tua, sotto i loro occhi. Di’ loro: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco, io prenderò i figli d’Israele dalle nazioni dove sono andati, li radunerò da tutte le parti, e li ricondurrò nel loro paese; farò di loro una stessa nazione, nel paese, sui monti d’Israele; un solo re sarà re di tutti loro; non saranno più due nazioni, e non saranno più divisi in due regni. Non si contamineranno più con i loro idoli, con le loro abominazioni né con le loro numerose trasgressioni; io li farò uscire da tutti i luoghi dove hanno abitato e dove hanno peccato e li purificherò; essi saranno mio popolo e io sarò loro Dio. Il mio servo Davide sarà re sopra di loro, ed essi avranno tutti uno stesso pastore; cammineranno secondo le mie prescrizioni, osserveranno le mie leggi, e le metteranno in pratica; abiteranno nel paese che io diedi al mio servo Giacobbe, e dove abitarono i vostri padri; vi abiteranno essi, i loro figli e i figli dei loro figli per sempre; il mio servo Davide sarà loro principe per sempre. Io stabilirò con loro un patto di pace: sarà un patto perenne con loro; li stabilirò fermamente, li moltiplicherò, e metterò il mio santuario in mezzo a loro per sempre; la mia dimora sarà presso di loro, io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Le nazioni conosceranno che io sono l’Eterno che santifico Israele, quando il mio santuario sarà per sempre in mezzo a loro’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Figlio d’uomo, volgi la tua faccia verso Gog del paese di Magog, principe sovrano di Mesec e di Tubal, profetizza contro di lui, e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi da te, o Gog, principe sovrano di Mesec e di Tubal! Io ti porterò via, ti metterò degli uncini nelle mascelle e ti porterò fuori, te e tutto il tuo esercito, cavalli e cavalieri, tutti quanti vestiti pomposamente, grande moltitudine con targhe e scudi, tutti che impugnano la spada; e con loro Persiani, Etiopi e gente di Put, tutti con scudi ed elmi. Gomer e tutte le sue schiere, la casa di Togarma dell’estremità del settentrione e tutte le sue schiere, dei popoli numerosi saranno con te. Mettiti in ordine, preparati, tu con tutte le tue moltitudini che si radunano attorno a te, e sii tu per essi colui al quale si ubbidisce. Dopo molti giorni tu riceverai l’ordine; negli ultimi anni verrai contro il paese sottratto alla spada, contro la nazione raccolta fra molti popoli sui monti d’Israele, che sono stati per tanto tempo deserti; ma, fatta uscire dai popoli, essa abiterà tutta quanta al sicuro. Tu salirai, verrai come un uragano, sarai come una nuvola che sta per coprire il paese, tu con tutte le tue schiere e con i popoli numerosi che sono con te’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘In quel giorno, dei pensieri ti sorgeranno in cuore e concepirai un disegno malvagio. Dirai: Io salirò contro questo paese di villaggi aperti; piomberò su questa gente che vive tranquilla e abita al sicuro, che risiede tutta in luoghi senza mura e non ha né sbarre né porte. Verrai per fare bottino e saccheggiare, per stendere la tua mano contro queste rovine ora ripopolate, contro questo popolo raccolto fra le nazioni, che si è procurato bestiame e ricchezze e abita sulle alture del paese. Seba, Dedan, i mercanti di Tarsis e tutti i suoi leoncelli ti diranno: - Vieni tu per fare bottino? Hai radunato la tua moltitudine per predare, per portare via l’argento e l’oro, per prendere bestiame e beni, per fare un grande bottino?’. Perciò, figlio d’uomo, profetizza, e di’ a Gog: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘In quel giorno, quando il mio popolo Israele abiterà al sicuro, tu lo saprai. Verrai dal luogo dove stai, dall’estremità del settentrione, tu con dei popoli numerosi con te, tutti quanti a cavallo, una grande moltitudine, un potente esercito; salirai contro il mio popolo Israele, come una nuvola che sta per coprire il paese. Questo avverrà alla fine dei giorni: io ti condurrò contro il mio paese affinché le nazioni mi conoscano, quando io mi santificherò in te sotto i loro occhi, o Gog!’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Non sei tu quello del quale io parlai ai tempi antichi mediante i miei servi, i profeti d’Israele, i quali profetizzarono allora per degli anni che io ti avrei fatto venire contro di loro? In quel giorno, nel giorno che Gog verrà contro la terra d’Israele’, dice il Signore, l’Eterno, ‘il mio furore mi salirà nelle narici; nella mia gelosia e nel fuoco della mia ira, io lo dico, certo, in quel giorno, vi sarà un grande sconvolgimento nel paese d’Israele: i pesci del mare, gli uccelli del cielo, le bestie dei campi, tutti i rettili che strisciano sul suolo e tutti gli uomini che sono sulla faccia della terra, tremeranno alla mia presenza; i monti saranno rovesciati, le balze crolleranno e tutte le mura cadranno al suolo. Io chiamerò contro di lui la spada su tutti i miei monti’, dice il Signore, l’Eterno; ‘la spada di ognuno si volgerà contro suo fratello. Verrò in giudizio contro di lui, con la peste e con il sangue; farò piovere torrenti di pioggia e grandine, fuoco e zolfo su di lui, sulle sue schiere e sui popoli numerosi che saranno con lui. Così mi magnificherò e mi santificherò e mi farò conoscere agli occhi di molte nazioni, ed esse sapranno che io sono l’Eterno’”. “Tu, figlio d’uomo, profetizza contro Gog, e di’: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Eccomi da te, o Gog, principe sovrano di Mesec e di Tubal! Io ti porterò via, ti spingerò avanti, ti farò salire dalle estremità del settentrione e ti condurrò sui monti d’Israele; butterò giù l’arco dalla tua mano sinistra e ti farò cadere le frecce dalla destra. Tu cadrai sui monti d’Israele, tu con tutte le tue schiere e con i popoli che saranno con te; ti darò in pasto agli uccelli rapaci, agli uccelli di ogni specie, e alle bestie dei campi. Tu cadrai in mezzo ai campi, poiché io ho parlato’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Manderò il fuoco su Magog e su quelli che abitano sicuri nelle isole; e conosceranno che io sono l’Eterno. Farò conoscere il mio nome santo in mezzo al mio popolo Israele, e non lascerò più profanare il mio nome santo; le nazioni conosceranno che io sono l’Eterno, il Santo in Israele. Ecco, la cosa sta per avvenire, si effettuerà’, dice il Signore, l’Eterno; ‘questo è il giorno di cui io ho parlato. Gli abitanti delle città d’Israele usciranno e faranno dei fuochi, bruciando armi, scudi, targhe, archi, frecce, aste e lance; ne faranno del fuoco per sette anni; non porteranno legna dai campi, e non ne taglieranno nelle foreste; poiché faranno del fuoco con quelle armi; spoglieranno quelli che li spogliavano e prederanno quelli che li predavano’, dice il Signore, l’Eterno. ‘In quel giorno, io darò a Gog un luogo che gli servirà da sepoltura in Israele, la Valle dei viandanti, a oriente del mare; quel sepolcro chiuderà la via ai viandanti; là sarà sepolto Gog con tutta la sua moltitudine; e quel luogo sarà chiamato la Valle di Amon-Gog. La casa d’Israele li sotterrerà per purificare il paese, e ciò durerà sette mesi. Tutto il popolo del paese li sotterrerà; per questo la sua fama crescerà il giorno in cui mi glorificherò’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Metteranno da parte degli uomini i quali percorreranno continuamente il paese a sotterrare, con l’aiuto dei viandanti, i corpi che saranno rimasti sul suolo del paese, per purificarlo; alla fine dei sette mesi faranno questa ricerca. Quando i viandanti passeranno per il paese, chiunque di loro vedrà delle ossa umane, porrà lì vicino un segnale, finché i seppellitori non le abbiano sotterrate nella Valle di Amon-Gog. Amona sarà pure il nome di una città. Così purificheranno il paese’. Tu, figlio d’uomo, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Di’ agli uccelli di ogni specie e a tutte le bestie dei campi: Riunitevi, e venite! Raccoglietevi da tutte le parti attorno al banchetto del sacrificio che sto per immolare per voi, del grande sacrificio sui monti d’Israele! Voi mangerete carne e berrete sangue. Mangerete carne di prodi e berrete sangue di principi della terra: montoni, agnelli, capri, torelli, tutti quanti ingrassati in Basan. Mangerete del grasso a sazietà e berrete del sangue fino a inebriarvi, al banchetto del sacrificio che io immolerò per voi; alla mia mensa sarete saziati di carne di cavalli e di bestie da tiro, di prodi e di guerrieri di ogni sorta’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Io manifesterò la mia gloria fra le nazioni, e tutte le nazioni vedranno il giudizio che io eseguirò e la mia mano che metterò su di loro. Da quel giorno in poi la casa d’Israele conoscerà che io sono l’Eterno, il suo Dio. Le nazioni conosceranno che la casa di Israele è stata deportata a causa della sua iniquità, perché mi era stata infedele; perciò ho nascosto loro la mia faccia, e li ho dati in mano dei loro nemici; tutti quanti sono caduti per la spada. Io li ho trattati secondo la loro impurità e secondo le loro trasgressioni; ho nascosto loro la mia faccia’. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ora io farò tornare Giacobbe dalla deportazione, avrò pietà di tutta la casa d’Israele, e sarò geloso del mio santo nome. Essi avranno finito di portare il loro obbrobrio e la pena di tutte le infedeltà che hanno commesso contro di me, quando abiteranno al sicuro nel loro paese, e non vi sarà più nessuno che li spaventi; quando li ricondurrò fra i popoli e li raccoglierò dai paesi dei loro nemici, e mi santificherò in loro alla presenza di molte nazioni; essi conosceranno che io sono l’Eterno, il loro Dio, quando, dopo averli fatti deportare fra le nazioni, li avrò raccolti nel loro paese; non lascerò là più nessuno di essi; non nasconderò più loro la mia faccia, perché avrò sparso il mio Spirito sulla casa d’Israele’, dice il Signore, l’Eterno”. Il venticinquesimo anno della nostra deportazione, al principio dell’anno, il decimo giorno del mese, quattordici anni dopo la presa della città, in quello stesso giorno, la mano dell’Eterno fu sopra di me, ed egli mi trasportò nel paese d’Israele. In una visione divina mi trasportò là, e mi posò sopra un monte altissimo, sul quale stava, dal lato di mezzogiorno, come la costruzione di una città. Egli mi condusse là, ed ecco che c’era un uomo, il cui aspetto era come aspetto di bronzo; aveva in mano una corda di lino e una canna per misurare, e stava in piedi sulla porta. Quell’uomo mi disse: “Figlio d’uomo, apri gli occhi e guarda, porgi l’orecchio e ascolta, e fa’ attenzione a tutte le cose che io ti mostrerò; poiché tu sei stato condotto qua perché io te le mostri. Riferisci alla casa d’Israele tutto quello che vedrai”. Ed ecco, un muro esterno circondava la casa tutto intorno. L’uomo aveva in mano una canna per misurare, lunga sei cubiti, di un cubito e un palmo ciascuno. Egli misurò la larghezza del muro ed era una canna; l’altezza era una canna. Poi venne alla porta che guardava verso oriente, ne salì la gradinata, e misurò la soglia della porta, che era della larghezza di una canna: questa prima soglia aveva la larghezza di una canna. Ogni camera misurava una canna di lunghezza e una canna di larghezza. Fra le camere c’era uno spazio di cinque cubiti. La soglia della porta verso l’atrio della porta, dal lato della casa, era di una canna. Misurò l’atrio della porta dal lato della casa, ed era una canna. Misurò l’atrio della porta ed era otto cubiti, i suoi pilastri due cubiti. L’atrio della porta era dal lato della casa. Le camere della porta orientale erano tre da un lato e tre dall’altro; tutte e tre avevano la stessa misura; i pilastri, da ogni lato, avevano pure la stessa misura. Misurò la larghezza dell’apertura della porta, ed era dieci cubiti; la lunghezza della porta era di tredici cubiti. Davanti alle camere c’era una chiusura di un cubito da un lato e una chiusura di un cubito dall’altro; ogni camera aveva sei cubiti da un lato e sei dall’altro. Misurò la porta dal tetto di una delle camere al tetto dell’altra; c’era una larghezza di venticinque cubiti, da porta a porta. Contò sessanta cubiti per i pilastri e dopo i pilastri veniva il cortile tutto intorno alle porte. Lo spazio fra la porta d’ingresso e l’atrio della porta interna era di cinquanta cubiti. Vi erano delle finestre, con delle grate, alle camere e ai loro pilastri, verso l’interno della porta, tutte intorno; lo stesso agli archi; così vi erano delle finestre tutte intorno, verso l’interno, e sopra i pilastri vi erano delle palme. Poi mi condusse nel cortile esterno, ed ecco vi erano delle camere e un lastrico tutto intorno al cortile: trenta camere davano su quel lastrico. Il lastrico era accanto alle porte e corrispondeva alla lunghezza delle porte; era il lastrico inferiore. Poi misurò la larghezza, dal davanti della porta inferiore fino alla cinta del cortile interno: cento cubiti a oriente e a settentrione. Misurò la lunghezza e la larghezza della porta settentrionale del cortile esterno; le sue camere erano tre di qua e tre di là; i suoi pilastri e i suoi archi avevano la stessa misura della prima porta: cinquanta cubiti di lunghezza e venticinque di larghezza. Le sue finestre, i suoi archi, le sue palme avevano la stessa misura della porta orientale; vi si saliva per sette gradini, davanti ai quali stavano i suoi archi. Al cortile interno c’era una porta di fronte alla porta settentrionale e di fronte alla porta orientale; egli misurò da porta a porta: cento cubiti. Poi mi condusse verso mezzogiorno, ed ecco una porta che guardava a mezzogiorno; egli ne misurò i pilastri e gli archi, che avevano le stesse dimensioni. Questa porta e i suoi archi avevano delle finestre tutte intorno, come le altre finestre: cinquanta cubiti di lunghezza e venticinque cubiti di larghezza. Vi si saliva per sette gradini, davanti ai quali stavano gli archi; essa aveva le sue palme, una di qua e una di là sopra i suoi pilastri. Il cortile interno aveva una porta dal lato di mezzogiorno; egli misurò da porta a porta, in direzione di mezzogiorno: cento cubiti. Poi mi condusse nel cortile interno per la porta di mezzogiorno, e misurò la porta di mezzogiorno, che aveva quelle stesse dimensioni. Le sue camere, i suoi pilastri e i suoi archi avevano le stesse dimensioni. Questa porta e i suoi archi avevano delle finestre tutte intorno; aveva cinquanta cubiti di lunghezza e venticinque di larghezza. Vi erano, tutto intorno, degli archi di venticinque cubiti di lunghezza e di cinque cubiti di larghezza. Gli archi della porta erano dal lato del cortile esterno, vi erano delle palme sui suoi pilastri e vi si saliva per otto gradini. Poi mi condusse nel cortile interno per la porta orientale e misurò la porta, che aveva le stesse dimensioni. Le sue camere, i suoi pilastri e i suoi archi avevano quelle stesse dimensioni. Questa porta e i suoi archi avevano, tutto intorno, delle finestre; misurava cinquanta cubiti di lunghezza e venticinque cubiti di larghezza. Gli archi della porta erano dal lato del cortile esterno, vi erano delle palme sui suoi pilastri di qua e di là e vi si saliva per otto gradini. Mi condusse alla porta settentrionale; la misurò, e aveva le stesse dimensioni; così per le sue camere, i suoi pilastri e i suoi archi; vi erano delle finestre tutto intorno, e misurava cinquanta cubiti di lunghezza e venticinque cubiti di larghezza. I pilastri della porta erano dal lato del cortile esterno, vi erano delle palme sui suoi pilastri di qua e di là, e vi si saliva per otto gradini. C’era una camera con l’ingresso vicino ai pilastri delle porte; là si lavavano gli olocausti. Nell’atrio delle porte vi erano due tavole di qua e due tavole di là per sgozzarvi su gli olocausti, i sacrifici per il peccato e per la colpa. A uno dei lati esterni, a settentrione di chi saliva all’ingresso della porta, vi erano due tavole; e dall’altro lato, verso l’atrio della porta, vi erano due tavole. Così vi erano quattro tavole di qua e quattro tavole di là, ai lati della porta: in tutto otto tavole, per sgozzarvi su i sacrifici. Vi erano ancora, per gli olocausti, quattro tavole di pietra tagliata, lunghe un cubito e mezzo, larghe un cubito e mezzo e alte un cubito, per porvi su gli strumenti con i quali si sgozzavano gli olocausti e gli altri sacrifici. Degli uncini di un palmo erano fissati nella casa tutto intorno; sulle tavole doveva essere messa la carne delle offerte. Fuori dalla porta interna vi erano due camere, nel cortile interno: una era accanto alla porta settentrionale e guardava a mezzogiorno; l’altra era accanto alla porta meridionale e guardava a settentrione. Egli mi disse: “Questa camera che guarda verso mezzogiorno è per i sacerdoti che sono incaricati del servizio della casa; la camera che guarda verso settentrione è per i sacerdoti incaricati del servizio dell’altare; i figli di Sadoc sono quelli che, tra i figli di Levi, si accostano all’Eterno per fare il suo servizio”. Egli misurò il cortile, che era quadrato e aveva cento cubiti di lunghezza, e cento cubiti di larghezza; l’altare stava davanti alla casa. Poi mi condusse nell’atrio della casa e misurò i pilastri dell’atrio: cinque cubiti di qua e cinque di là; la larghezza della porta era di tre cubiti di qua e di tre di là. La lunghezza dell’atrio era di venti cubiti; la larghezza di undici cubiti; vi si saliva per dei gradini; presso i pilastri vi erano delle colonne, una di qua e una di là. Poi mi condusse nel tempio e misurò i pilastri: sei cubiti di larghezza da un lato e sei cubiti di larghezza dall’altro, larghezza della tenda. La larghezza dell’ingresso era di dieci cubiti; le pareti laterali dell’ingresso avevano cinque cubiti da un lato e cinque cubiti dall’altro. Egli misurò la lunghezza del tempio: quaranta cubiti e venti cubiti di larghezza. Poi entrò nella parte interna e misurò i pilastri dell’ingresso: due cubiti; l’ingresso sei cubiti, la larghezza dell’ingresso sette cubiti. Misurò una lunghezza di venti cubiti e una larghezza di venti cubiti in fondo al tempio; e mi disse: “Questo è il luogo santissimo”. Poi misurò il muro della casa: sei cubiti; la larghezza delle camere laterali tutto intorno alla casa: quattro cubiti. Le camere laterali erano una accanto all’altra, in numero di trenta, e vi erano tre piani; stavano in un muro, costruito per queste camere tutto attorno alla casa, perché fossero appoggiate senza appoggiarsi al muro della casa. Le camere occupavano maggiore spazio man mano che si saliva di piano in piano, poiché la casa aveva una scala circolare a ogni piano tutto attorno alla casa; perciò questa parte della casa si allargava a ogni piano, e si saliva dal piano inferiore al superiore per quello di mezzo. Io vidi pure che la casa tutta intorno stava sopra un piano elevato; così le camere laterali avevano un fondamento alto una buona canna e sei cubiti fino all’angolo. La larghezza del muro esterno delle camere laterali era di cinque cubiti; lo spazio libero intorno alle camere laterali della casa e fino alle stanze attorno alla casa aveva una larghezza di venti cubiti tutto attorno. Le porte delle camere laterali davano sullo spazio libero: una porta a settentrione, una porta a mezzogiorno; la larghezza dello spazio libero era di cinque cubiti tutto intorno. L’edificio che era davanti allo spazio vuoto dal lato occidentale aveva settanta cubiti di larghezza, il muro dell’edificio aveva cinque cubiti di spessore tutto intorno, e una lunghezza di novanta cubiti. Poi misurò la casa, che aveva cento cubiti di lunghezza. Lo spazio vuoto, l’edificio e i suoi muri avevano una lunghezza di cento cubiti. La larghezza della facciata della casa e dello spazio vuoto dal lato di oriente era di cento cubiti. Egli misurò la lunghezza dell’edificio davanti allo spazio vuoto, sul di dietro, e le sue gallerie da ogni lato: cento cubiti. L’interno del tempio, gli atri che davano sul cortile, gli stipiti, le finestre a grata, le gallerie tutto attorno ai tre piani erano ricoperti, all’altezza degli stipiti, di legno tutto intorno. Dal pavimento fino alle finestre (le finestre erano sbarrate), fino al di sopra della porta, l’interno della casa, l’esterno, e tutte le pareti tutto attorno, all’interno e all’esterno, tutto era fatto secondo misure precise. Vi erano degli ornamenti di cherubini e di palme, una palma fra cherubino e cherubino, e ogni cherubino aveva due facce: una faccia d’uomo, rivolta verso la palma da un lato, e una faccia di leone rivolta verso l’altra palma, dall’altro lato. Ce n’era per tutta la casa, tutto attorno. Dal pavimento fino al di sopra della porta vi erano dei cherubini e delle palme; così pure sul muro del tempio. Gli stipiti del tempio erano quadrati e la facciata del santuario aveva lo stesso aspetto. L’altare era di legno, alto tre cubiti, lungo due cubiti; aveva degli angoli; le sue pareti, per tutta la lunghezza, erano di legno. L’uomo mi disse: “Questa è la tavola che sta davanti all’Eterno”. Il tempio e il santuario avevano due porte; ogni porta aveva due battenti; due battenti che si piegavano in due pezzi: due pezzi per ogni battente. Su di esse, sulle porte del tempio, erano scolpiti dei cherubini e delle palme, come quelli sulle pareti. Sulla facciata dell’atrio, all’esterno, c’era una tettoia di legno. Vi erano delle finestre a grata e delle palme, da ogni lato, alle pareti laterali dell’atrio, alle camere laterali della casa e alle tettoie. Poi egli mi condusse fuori verso il cortile esterno dal lato di settentrione, mi condusse nelle camere che si trovavano davanti allo spazio vuoto e di fronte all’edificio verso settentrione. Sulla facciata, dove era la porta settentrionale, la lunghezza era di cento cubiti e la larghezza era di cinquanta cubiti: di fronte ai venti cubiti del cortile interno e di fronte al lastrico del cortile esterno, dove si trovavano tre gallerie a tre piani. Davanti alle camere c’era un corridoio largo dieci cubiti; per andare nell’interno c’era un passaggio di un cubito; le loro porte guardavano a settentrione. Le camere superiori erano più strette di quelle inferiori e di quelle mezzane dell’edificio, perché le loro gallerie toglievano dello spazio. Poiché esse erano a tre piani e non avevano colonne come le colonne dei cortili; perciò, a partire dal suolo, le camere superiori erano più strette di quelle in basso e di quelle del mezzo. Il muro esterno, parallelo alle camere dal lato del cortile esterno, di fronte alle camere, aveva cinquanta cubiti di lunghezza; poiché la lunghezza delle camere, dal lato del cortile esterno, era di cinquanta cubiti, mentre dal lato della facciata del tempio era di cento cubiti. In basso a queste camere c’era un ingresso dal lato di oriente per chi vi entrava dal cortile esterno. Nella larghezza del muro del cortile, in direzione di oriente, di fronte allo spazio vuoto e di fronte all’edificio, vi erano delle camere. Davanti a queste c’era un corridoio come quello delle camere di settentrione; la loro lunghezza e la loro larghezza erano come la lunghezza e la larghezza di quelle, e così tutte le loro uscite, le loro disposizioni e le loro porte. Così erano anche le porte delle camere di mezzogiorno; c’era una porta all’inizio del corridoio, al corridoio che si trovava proprio davanti al muro, dal lato di oriente di chi vi entrava. Egli mi disse: “Le camere di settentrione e le camere di mezzogiorno che stanno di fronte allo spazio vuoto, sono le camere sante, dove i sacerdoti che si accostano all’Eterno mangeranno le cose santissime; là deporranno le cose santissime, le oblazioni e le vittime per il peccato e per la colpa, poiché quel luogo è santo. Quando i sacerdoti saranno entrati, non usciranno dal luogo santo per andare nel cortile esterno, senza aver prima deposto là i paramenti con i quali fanno il servizio, perché questi paramenti sono santi; indosseranno altre vesti, poi potranno accostarsi alla parte che è riservata al popolo”. Quando ebbe finito di misurare così l’interno della casa, egli mi condusse fuori per la porta che era al lato d’oriente e misurò il recinto tutto attorno. Misurò il lato orientale con la canna per misurare: cinquecento cubiti della canna per misurare, tutto attorno. Misurò il lato settentrionale: cinquecento cubiti della canna per misurare, tutto attorno. Misurò il lato meridionale con la canna da misurare: cinquecento cubiti. Si volse al lato occidentale e misurò: cinquecento cubiti della canna per misurare. Misurò dai quattro lati il muro che formava il recinto tutto attorno: la lunghezza era di cinquecento e la larghezza di cinquecento; il muro faceva la separazione fra il sacro e il profano. Poi mi condusse alla porta, alla porta che guardava a oriente. Ecco, la gloria dell’Iddio di Israele veniva dal lato orientale. La sua voce era come il rumore di grandi acque e la terra risplendeva della sua gloria. La visione che ebbi era simile a quella avuta quando venni per distruggere la città; queste visioni erano simili a quella che avevo avuto presso il fiume Chebar; e io caddi sulla mia faccia. La gloria dell’Eterno entrò nella casa per la via della porta che guardava a oriente. Lo spirito mi portò in alto e mi condusse nel cortile interno; ed ecco, la gloria dell’Eterno riempiva la casa. Io udii qualcuno che mi parlava dalla casa e un uomo era in piedi presso di me. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, questo è il luogo del mio trono e il luogo dove poserò la pianta dei miei piedi; io vi abiterò per sempre in mezzo ai figli d’Israele; la casa d’Israele e i suoi re non contamineranno più il mio santo nome con le loro prostituzioni e con i cadaveri dei loro re sui loro alti luoghi, come facevano quando mettevano la loro soglia presso la mia soglia, i loro stipiti presso i miei stipiti, così che non c’era che una parete fra me e loro. Essi contaminavano così il mio santo nome con le abominazioni che commettevano; perciò li consumai nella mia ira. Ora allontaneranno da me le loro prostituzioni e i cadaveri dei loro re, e io abiterò in mezzo a loro per sempre. Tu, figlio d’uomo, mostra questa casa alla casa d’Israele e si vergognino delle loro iniquità. Ne misurino il piano, e se si vergognano di tutto quello che hanno fatto, fa’ loro conoscere la forma di questa casa, la sua disposizione, le sue uscite e i suoi ingressi, tutti i suoi disegni e tutti i suoi regolamenti, tutti i suoi riti e tutte le sue leggi; mettili per iscritto sotto ai loro occhi affinché osservino tutti i suoi riti e tutti i suoi regolamenti, e li mettano in pratica. Questa è la legge della casa. Sulla vetta del monte, tutto lo spazio che deve occupare tutto attorno sarà santissimo. Ecco, questa è la legge della casa. Queste sono le misure dell’altare, in cubiti, dei quali ogni cubito è un cubito e un palmo. La base misura un cubito di altezza e un cubito di larghezza; l’orlo che termina tutto il suo contorno, una spanna di larghezza; questo è il sostegno dell’altare. Dalla base, sul suolo, fino al gradino inferiore, due cubiti, e un cubito di larghezza; dal piccolo gradino fino al grande gradino, quattro cubiti, e un cubito di larghezza. La parte superiore dell’altare misura quattro cubiti di altezza: dal fornello dell’altare si elevano quattro corni; il fornello dell’altare misura dodici cubiti di lunghezza e dodici cubiti di larghezza, e forma un quadrato perfetto. Il gradino misura dai quattro lati quattordici cubiti di lunghezza e quattordici cubiti di larghezza; l’orlo che termina il suo contorno è di mezzo cubito; la base misura tutto attorno un cubito, e i suoi scalini sono vòlti verso oriente”. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, così parla il Signore, l’Eterno: ‘Ecco i regolamenti dell’altare per il giorno che sarà costruito per offrirvi su l’olocausto e per farvi l’aspersione del sangue. Ai sacerdoti levitici che sono della stirpe di Sadoc, i quali si accostano a me per servirmi’, dice il Signore, l’Eterno, ‘darai un giovenco per un sacrificio per il peccato. Prenderai del suo sangue e ne metterai sopra i quattro corni dell’altare e ai quattro angoli dei gradini e sull’orlo tutto attorno; purificherai così l’altare e farai l’espiazione per esso. Prenderai il giovenco del sacrificio per il peccato, e lo si brucerà in un luogo designato della casa, fuori del santuario. Il secondo giorno offrirai, come sacrificio per il peccato, un capro senza difetto; con esso si purificherà l’altare come lo si è purificato con il giovenco. Quando avrai finito di fare quella purificazione, offrirai un giovenco senza difetto e un capro del gregge, senza difetto. Li presenterai davanti all’Eterno; i sacerdoti vi getteranno su del sale e li offriranno in olocausto all’Eterno. Per sette giorni offrirai ogni giorno un capro, come sacrificio per il peccato; si offrirà pure un giovenco e un montone del gregge, senza difetto. Per sette giorni si farà l’espiazione per l’altare, lo si purificherà e lo si consacrerà. Quando quei giorni saranno compiuti, l’ottavo giorno e in seguito, i sacerdoti offriranno sull’altare i vostri olocausti e i vostri sacrifici di ringraziamento; io vi gradirò’, dice il Signore, l’Eterno”. Poi egli mi ricondusse verso la porta esterna del santuario, che guarda a oriente. Essa era chiusa. L’Eterno mi disse: “Questa porta sarà chiusa; essa non si aprirà e nessuno entrerà per essa, poiché per essa è entrato l’Eterno, l’Iddio d’Israele; perciò rimarrà chiusa. Quanto al principe, siccome è principe, egli potrà sedervi per mangiare il pane davanti all’Eterno; egli entrerà per la via dell’atrio della porta, e uscirà per la stessa via”. Poi mi condusse davanti alla casa per la via della porta settentrionale. Io guardai, ed ecco, la gloria dell’Eterno riempiva la casa dell’Eterno; io caddi sulla mia faccia. L’Eterno mi disse: “Figlio d’uomo, sta’ bene attento, apri gli occhi per guardare e gli orecchi per udire tutto quello che ti dirò circa tutti i regolamenti della casa dell’Eterno e tutte le sue leggi; considera attentamente l’ingresso della casa e tutte le uscite del santuario. Di’ a questi ribelli, alla casa d’Israele: Così parla il Signore, l’Eterno: ‘O casa d’Israele, bastano tutte le vostre abominazioni! Avete fatto entrare degli stranieri, incirconcisi di cuore e incirconcisi di carne, perché stessero nel mio santuario a profanare la mia casa, quando offrivate il mio pane, il grasso e il sangue, violando così il mio patto con tutte le vostre abominazioni. Voi non avete mantenuto l’incarico che avevate delle mie cose sante; ma ne avete fatti custodi quegli stranieri, nel mio santuario, al vostro posto’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Nessuno straniero, incirconciso di cuore e incirconciso di carne, entrerà nel mio santuario: nessuno degli stranieri che saranno in mezzo ai figli d’Israele. Inoltre, i Leviti che si sono allontanati da me quando Israele si sviava, e si sono sviati da me per seguire i loro idoli, porteranno la pena della loro iniquità; saranno nel mio santuario come dei servi, con l’incarico di guardare le porte della casa; faranno il servizio della casa; scanneranno per il popolo le vittime degli olocausti e degli altri sacrifici, e staranno davanti a lui per essere al tuo servizio. Siccome hanno servito il popolo davanti ai suoi idoli e sono stati per la casa d’Israele un’occasione di caduta nell’iniquità, io alzo la mia mano contro di loro’, dice il Signore, l’Eterno, ‘giurando che essi porteranno la pena della loro iniquità. Non si accosteranno più a me per esercitare il sacerdozio, e non si accosteranno a nessuna delle mie cose sante, alle cose che sono santissime; ma porteranno il loro obbrobrio e la pena delle abominazioni che hanno commesso; ne farò dei guardiani della casa, incaricati di tutto il servizio di essa e di tutto ciò che vi si deve fare’. ‘Ma i sacerdoti Leviti, figli di Sadoc, i quali hanno mantenuto l’incarico che avevano del mio santuario quando i figli d’Israele si sviavano da me, saranno quelli che si accosteranno a me per fare il mio servizio, e che staranno davanti a me per offrirmi il grasso e il sangue’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Essi entreranno nel mio santuario, essi si accosteranno alla mia tavola per servirmi, e compiranno tutto il mio servizio. Quando entreranno per le porte del cortile interno, indosseranno vesti di lino; non avranno addosso lana di sorta, quando faranno il servizio alle porte del cortile interno e nella casa. Avranno sul capo delle tiare di lino e delle mutande di lino ai fianchi; non si vestiranno con ciò che fa sudare. Ma quando usciranno per andare nel cortile esterno, nel cortile esterno verso il popolo, si toglieranno i paramenti con i quali avranno fatto il servizio e li deporranno nelle camere del santuario; indosseranno altre vesti, per non santificare il popolo con i loro paramenti. Non si raderanno il capo e non si lasceranno crescere i capelli; ma porteranno i capelli corti. Nessun sacerdote berrà vino, quando entrerà nel cortile interno. Non prenderanno per moglie né una vedova, né una donna ripudiata, ma prenderanno delle vergini della discendenza della casa d’Israele; potranno però prendere delle vedove, che siano vedove di sacerdoti. Insegneranno al mio popolo a distinguere fra il sacro e il profano, e gli faranno conoscere la differenza tra ciò che è impuro e ciò che è puro. In casi di processo, spetterà a loro giudicare; giudicheranno secondo le mie prescrizioni, e osserveranno le mie leggi e i miei statuti in tutte le mie feste, e santificheranno i miei sabati. Il sacerdote non entrerà dove c’è un morto, per non rendersi impuro; non si potrà rendere impuro che per un padre, per una madre, per un figlio, per una figlia, per un fratello o per una sorella non sposata. Dopo la sua purificazione, gli si conteranno sette giorni; il giorno che entrerà nel santuario, nel cortile interno, per fare il servizio nel santuario, offrirà il suo sacrificio per il peccato’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Avranno una eredità: io sarò la loro eredità; voi non darete loro nessun possesso in Israele: io sono il loro possesso. Essi si nutriranno delle oblazioni, dei sacrifici per il peccato e dei sacrifici per la colpa: ogni cosa votata allo sterminio in Israele sarà loro. Le primizie dei primi prodotti di ogni sorta, tutte le offerte di qualsiasi cosa che offrirete per elevazione, saranno dei sacerdoti; darete pure al sacerdote le primizie della vostra pasta, affinché la benedizione riposi sulla vostra casa. I sacerdoti non mangeranno carne di nessun uccello né di nessun animale morto da sé o sbranato’”. “Quando spartirete a sorte il paese perché sia vostra eredità, preleverete come offerta all’Eterno una parte consacrata del paese, della lunghezza di venticinquemila cubiti e della larghezza di diecimila; sarà sacra in tutta la sua estensione. Di questa parte prenderete per il santuario un quadrato di cinquecento per cinquecento cubiti, e cinquanta cubiti per uno spazio libero, tutto attorno. Su questa estensione di venticinquemila cubiti di lunghezza per diecimila di larghezza misurerai un’area per il santuario, per il luogo santissimo. È la parte consacrata del paese, la quale apparterrà ai sacerdoti, che fanno il servizio del santuario che si accostano all’Eterno per servirlo; sarà un luogo per le loro case, un santuario per il santuario. Venticinquemila cubiti di lunghezza e diecimila di larghezza saranno per i Leviti che faranno il servizio della casa; sarà il loro possesso, con venti camere. Come possesso della città destinerete cinquemila cubiti di larghezza e venticinquemila di lunghezza, parallelamente alla parte sacra prelevata; esso sarà per tutta la casa d’Israele. Per il principe riserverete uno spazio ai due lati della parte sacra e del possesso della città, di fronte alla parte sacra offerta e di fronte al possesso della città, dal lato di occidente verso occidente, e dal lato di oriente verso oriente, per una lunghezza parallela a una delle divisioni del paese, dal confine occidentale al confine orientale. Questo sarà territorio suo, il suo possesso in Israele; i miei principi non opprimeranno più il mio popolo, ma lasceranno il paese alla casa d’Israele secondo le sue tribù”. “Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Basta, o principi d’Israele! Lasciate da parte la violenza e le rapine, praticate il diritto e la giustizia, liberate il mio popolo dalle vostre estorsioni!’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Abbiate bilance giuste, efa giusto, bat giusto. L’efa e il bat avranno la stessa capacità: il bat conterrà la decima parte di un omer e l’efa la decima parte di un omer; la loro capacità sarà regolata dall’omer. Il siclo sarà di venti ghere; venti sicli, venticinque sicli, quindici sicli, formeranno la vostra mina. Questa è l’offerta che preleverete: la sesta parte di un efa da un omer di frumento, e la sesta parte di un efa da un omer di orzo. Questa è la norma per l’olio: un decimo di bat di olio per un cor, che è dieci bati, cioè un omer; poiché dieci bati fanno un omer. Una pecora su un gregge di duecento capi nei grassi pascoli d’Israele sarà offerta per le oblazioni, gli olocausti e i sacrifici di ringraziamento, per fare la propiziazione per essi’, dice il Signore, l’Eterno. ‘Tutto il popolo del paese dovrà prelevare questa offerta per il principe d’Israele. Al principe toccherà di fornire gli olocausti, le oblazioni e le libazioni per le feste, per i noviluni, per i sabati, per tutte le solennità della casa d’Israele; egli provvederà i sacrifici per il peccato, l’oblazione, l’olocausto e i sacrifici di ringraziamento, per fare la propiziazione per la casa d’Israele’. Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Il primo mese, il primo giorno del mese, prenderai un giovenco senza difetto e purificherai il santuario. Il sacerdote prenderà del sangue della vittima per il peccato, e ne metterà sugli stipiti della porta della casa, sui quattro angoli dei gradini dell’altare, e sugli stipiti della porta del cortile interno. Farai lo stesso il settimo giorno del mese per chi avrà peccato per errore o per ignoranza; così purificherete la casa. Il quattordicesimo giorno del primo mese avrete la Pasqua. La festa durerà sette giorni; si mangeranno pani senza lievito. In quel giorno, il principe offrirà per sé e per tutto il popolo del paese un giovenco come sacrificio per il peccato. Durante i sette giorni della festa, offrirà in olocausto all’Eterno sette giovenchi e sette montoni senza difetto, ognuno dei sette giorni, e un capro per giorno come sacrificio per il peccato. E vi aggiungerà l’offerta di un efa per ogni giovenco e di un efa per ogni montone, con un hin di olio per efa. Il settimo mese, il quindicesimo giorno del mese, alla festa, egli offrirà per sette giorni gli stessi sacrifici per il peccato, gli stessi olocausti, le stesse oblazioni e la stessa quantità di olio’”. “Così parla il Signore, l’Eterno: ‘La porta del cortile interno, che guarda verso oriente, resterà chiusa durante i sei giorni di lavoro; ma sarà aperta il giorno di sabato; sarà aperta pure il giorno del novilunio. Il principe entrerà per la via dell’atrio della porta esterna e si fermerà presso lo stipite della porta; i sacerdoti offriranno il suo olocausto e i suoi sacrifici di ringraziamento. Egli si prostrerà sulla soglia della porta, poi uscirà; ma la porta non sarà chiusa fino alla sera. Anche il popolo del paese si prostrerà davanti all’Eterno all’ingresso di quella porta, nei giorni di sabato e nei noviluni. L’olocausto che il principe offrirà all’Eterno il giorno del sabato sarà di sei agnelli senza difetto e di un montone senza difetto; la sua oblazione sarà di un efa per il montone; l’oblazione per gli agnelli sarà quello che vorrà dare, e di un hin di olio per efa. Il giorno del novilunio offrirà un giovenco senza difetto, sei agnelli e un montone, che saranno senza difetto; darà come oblazione un efa per il giovenco, un efa per il montone, per gli agnelli nella misura dei suoi mezzi, e un hin di olio per efa. Quando il principe entrerà, passerà per la via dell’atrio della porta e uscirà per la stessa via. Ma quando il popolo del paese verrà davanti all’Eterno nelle solennità, chi sarà entrato per la via della porta settentrionale per prostrarsi, uscirà per la via della porta meridionale; e chi sarà entrato per la via della porta meridionale uscirà per la via della porta settentrionale; nessuno se ne tornerà per la via della porta per la quale sarà entrato, ma si uscirà per la porta opposta. Il principe, quando quelli entreranno, entrerà in mezzo a loro; quando quelli usciranno, egli uscirà insieme a loro. Nelle feste e nelle solennità, l’oblazione sarà di un efa per giovenco, di un efa per montone, per gli agnelli quello che vorrà dare, e un hin di olio per efa. Quando il principe farà all’Eterno un’offerta volontaria, olocausto o sacrificio di ringraziamento, come offerta volontaria all’Eterno, gli si aprirà la porta che guarda a oriente, ed egli offrirà il suo olocausto e il suo sacrificio di ringraziamento come fa nel giorno del sabato; poi uscirà e, quando sarà uscito, si chiuderà la porta. Tu offrirai ogni giorno, come olocausto all’Eterno, un agnello di un anno, senza difetto; lo offrirai ogni mattina. Vi aggiungerai ogni mattina, come oblazione, la sesta parte di un efa e la terza parte di un hin di olio per intridere il fior di farina: è un’oblazione all’Eterno, da offrirsi continuamente, per prescrizione perenne. Si offriranno l’agnello, l’oblazione e l’olio ogni mattina, come olocausto continuo’”. “Così parla il Signore, l’Eterno: ‘Se il principe fa a qualcuno dei suoi figli un dono preso dal proprio possesso, questo dono apparterrà ai suoi figli; sarà loro proprietà ereditaria. Ma se egli fa a uno dei suoi servi un dono preso dal proprio possesso, questo dono apparterrà al servo fino all’anno della liberazione; poi, tornerà al principe; la sua eredità apparterrà soltanto ai suoi figli. Il principe non prenderà nulla dell’eredità del popolo, spogliandolo delle sue proprietà; quello che darà come eredità ai suoi figli, lo prenderà da ciò che possiede, affinché nessuno del mio popolo sia scacciato dalla sua proprietà’”. Poi egli mi condusse per l’ingresso che era accanto alla porta, nelle camere sante destinate ai sacerdoti, le quali guardavano a settentrione; ed ecco che là in fondo, verso occidente, c’era un luogo. Egli mi disse: “Questo è il luogo dove i sacerdoti faranno cuocere la carne dei sacrifici per la colpa e per il peccato, e faranno cuocere l’oblazione, per non farle portare fuori nel cortile esterno, in modo che il popolo sia santificato”. Poi mi condusse fuori nel cortile esterno e mi fece passare presso i quattro angoli del cortile; ed ecco, in ciascun angolo del cortile c’era un cortile. Nei quattro angoli del cortile vi erano dei cortili chiusi, di quaranta cubiti di lunghezza e di trenta di larghezza; questi quattro cortili negli angoli avevano le stesse dimensioni. Intorno a tutti e quattro c’era un recinto, e dei fornelli per cuocere erano costruiti in basso al recinto, tutto attorno. Egli mi disse: “Queste sono le cucine dove quelli che fanno il servizio della casa faranno cuocere i sacrifici del popolo”. Egli mi ricondusse all’ingresso della casa; ed ecco delle acque uscivano sotto la soglia della casa, dal lato orientale; perché la facciata della casa guardava a oriente; le acque uscite di là scendevano dal lato meridionale della casa, a mezzogiorno dell’altare. Poi mi condusse fuori, per la via della porta settentrionale, e mi fece fare il giro, di fuori, fino alla porta esterna che guarda a oriente; ed ecco, le acque scendevano dal lato destro. Quando l’uomo fu uscito verso oriente, aveva in mano una cordicella e misurò mille cubiti; mi fece attraversare le acque, ed esse mi arrivavano alle calcagna. Misurò altri mille cubiti e mi fece attraversare le acque, ed esse mi arrivavano alle ginocchia. Misurò altri mille cubiti e mi fece attraversare le acque, ed esse mi arrivavano fino ai fianchi. Ne misurò altri mille: era un torrente che io non potevo attraversare, perché le acque erano ingrossate; erano acque che bisognava attraversare a nuoto: un torrente che non si poteva guadare. Egli mi disse: “Hai visto, figlio d’uomo?”. E mi ricondusse sulla riva del torrente. Dopo essere tornato, ecco che sulla riva del torrente vi erano moltissimi alberi, da un lato e dall’altro. Egli mi disse: “Queste acque si dirigono verso la regione orientale, scenderanno nella pianura ed entreranno nel mare; quando saranno entrate nel mare, le acque del mare saranno rese sane. Avverrà che ogni essere vivente che si muove, dovunque giungerà il torrente ingrossato, vivrà, e ci sarà grande abbondanza di pesce; poiché queste acque entreranno là, quelle del mare saranno risanate, e tutto vivrà dovunque arriverà il torrente. Dei pescatori staranno sulle rive del mare; da En-Ghedi fino ad En-Eglaim si stenderanno le reti; vi sarà del pesce di diverse specie come il pesce del Mar Grande, e in grande abbondanza. Ma le sue paludi e le sue lagune non saranno rese sane; saranno abbandonate al sale. Presso il torrente, sulle sue rive, da un lato e dall’altro, crescerà ogni specie di alberi fruttiferi, le cui foglie non appassiranno e il cui frutto non verrà mai meno; ogni mese faranno dei frutti nuovi, perché quelle acque escono dal santuario; quel loro frutto servirà da cibo, e quelle loro foglie da medicamento”. Così parla il Signore, l’Eterno: “Questa è la frontiera del paese che voi spartirete come eredità fra le dodici tribù d’Israele. Giuseppe ne avrà due parti. Voi avrete ciascuno, tanto l’uno quanto l’altro, una parte di questo paese, che io giurai di dare ai vostri padri. Questo paese vi toccherà quindi in eredità. Queste saranno le frontiere del paese. Dalla parte settentrionale: partendo dal Mar Grande, in direzione di Chetlon, venendo verso Sedad; Camat, Berota, Sibraim, che è tra la frontiera di Damasco e la frontiera di Camat; Aser-Atticon, che è sulla frontiera del Cavran. Così la frontiera sarà dal mare fino ad Asar-Enon, frontiera di Damasco, avendo a settentrione il paese settentrionale e la frontiera di Camat. Questa è la parte settentrionale. Dalla parte orientale: partendo fra il Cavran e Damasco, poi fra Galaad e il paese d’Israele, verso il Giordano, misurerete dalla frontiera settentrionale, fino al mare orientale. Questa è la parte orientale. La parte meridionale si dirigerà verso mezzogiorno, da Tamar fino alle acque di Meribot di Cades, fino al torrente che va nel Mar Grande. Questa è la parte meridionale, verso mezzogiorno. La parte occidentale sarà il Mar Grande, da quest’ultima frontiera, fin di fronte all’entrata di Camat. Questa è la parte occidentale. Dividerete così questo paese fra voi, secondo le tribù d’Israele. Ne spartirete a sorte dei lotti di eredità fra di voi e gli stranieri che soggiorneranno fra di voi, i quali avranno generato dei figli fra di voi. Questi saranno per voi come dei nativi tra i figli d’Israele; tireranno a sorte con voi la loro parte di eredità in mezzo alle tribù d’Israele. Nella tribù nella quale lo straniero soggiorna, là gli darete la sua parte”, dice il Signore, l’Eterno. “Questi sono i nomi delle tribù. Partendo dall’estremità settentrionale, lungo la via di Chetlon per andare a Camat, fino ad Asar-Enon, frontiera di Damasco a settentrione verso Camat, avranno questo: dal confine orientale al confine occidentale, Dan, una parte. Sulla frontiera di Dan, dal confine orientale al confine occidentale: Ascer, una parte. Sulla frontiera di Ascer, dal confine orientale al confine occidentale: Neftali, una parte. Sulla frontiera di Neftali, dal confine orientale al confine occidentale: Manasse, una parte. Sulla frontiera di Manasse, dal confine orientale al confine occidentale: Efraim, una parte. Sulla frontiera di Efraim, dal confine orientale al confine occidentale: Ruben, una parte. Sulla frontiera di Ruben, dal confine orientale al confine occidentale: Giuda, una parte. Sulla frontiera di Giuda, dal confine orientale al confine occidentale, sarà la parte che preleverete di venticinquemila cubiti di larghezza e lunga come una delle altre parti dal confine orientale al confine occidentale; là in mezzo sarà il santuario. La parte che preleverete per l’Eterno avrà venticinquemila cubiti di lunghezza e diecimila di larghezza. Questa parte santa prelevata apparterrà ai sacerdoti: venticinquemila cubiti di lunghezza al settentrione, diecimila di larghezza all’occidente, diecimila di larghezza all’oriente e venticinquemila di lunghezza al mezzogiorno; il santuario dell’Eterno sarà là in mezzo. Essa apparterrà ai sacerdoti consacrati tra i figli di Sadoc che hanno fatto il mio servizio e non si sono sviati quando i figli d’Israele si sviavano, come si sviavano i Leviti. Essa apparterrà loro come parte prelevata dalla parte del paese che sarà stata prelevata: una cosa santissima, verso la frontiera dei Leviti. I Leviti avranno, parallelamente alla frontiera dei sacerdoti, una lunghezza di venticinquemila cubiti e una larghezza di diecimila: tutta la lunghezza sarà di venticinquemila e la larghezza di diecimila. Essi non potranno venderne nulla; questa primizia del paese non potrà essere né scambiata né alienata, perché è cosa consacrata all’Eterno. I cinquemila cubiti che rimarranno di larghezza sui venticinquemila, formeranno un’area non consacrata destinata alla città, per le abitazioni e per il territorio circostante; la città sarà in mezzo, ed eccone le dimensioni: dal lato settentrionale, quattromilacinquecento cubiti; dal lato meridionale, quattromilacinquecento; dal lato orientale, quattromilacinquecento; dal lato occidentale, quattromilacinquecento. La città avrà un territorio circostante di duecentocinquanta cubiti a settentrione, di duecentocinquanta a mezzogiorno; di duecentocinquanta a oriente; di duecentocinquanta a occidente. Il resto della lunghezza, parallelamente alla parte santa, cioè diecimila cubiti a oriente e diecimila a occidente, parallelamente alla parte santa, servirà, con i suoi prodotti, al mantenimento dei lavoratori della città. I lavoratori della città, di tutte le tribù d’Israele, ne lavoreranno il suolo. Tutta la parte prelevata sarà di venticinquemila cubiti di lunghezza per venticinquemila di larghezza; ne preleverete così una parte quadrata, parte santa, come possesso della città. Il rimanente sarà del principe; da un lato e dall’altro della parte santa prelevata e del possesso della città, di fronte ai venticinquemila cubiti della parte santa fino alla frontiera orientale, e a occidente di fronte ai venticinquemila cubiti verso la frontiera occidentale, parallelamente alle parti; questo sarà del principe; la parte santa e il santuario della casa saranno in mezzo. Così, tolto il possesso dei Leviti e il possesso della città situati in mezzo a quello del principe, ciò che si troverà tra la frontiera di Giuda e la frontiera di Beniamino, apparterrà al principe. Poi verrà il resto delle tribù. Dal confine orientale al confine occidentale: Beniamino, una parte. Sulla frontiera di Beniamino, dal confine orientale al confine occidentale: Simeone, una parte. Sulla frontiera di Simeone, dal confine orientale al confine occidentale: Issacar, una parte. Sulla frontiera di Issacar, dal confine orientale al confine occidentale: Zabulon, una parte. Sulla frontiera di Zabulon, dal confine orientale al confine occidentale: Gad, una parte. Sulla frontiera di Gad, dal lato meridionale, verso mezzogiorno, la frontiera sarà da Tamar fino alle acque di Meriba di Cades, fino al torrente che va nel Mar Grande. Questo è il paese che vi spartirete a sorte, come eredità delle tribù d’Israele, e queste sono le parti”, dice il Signore, l’Eterno. “Queste sono le uscite della città. Dal lato settentrionale, quattromilacinquecento cubiti misurati; le porte della città porteranno i nomi delle tribù d’Israele, e ci saranno tre porte a settentrione: la Porta di Ruben, l’una; la Porta di Giuda, l’altra; la Porta di Levi, l’altra. Dal lato orientale, quattromilacinquecento cubiti, e tre porte: la Porta di Giuseppe, l’una; la Porta di Beniamino, l’altra; la Porta di Dan, l’altra. Dal lato meridionale, quattromilacinquecento cubiti, e tre porte: la Porta di Simeone, l’una; la Porta di Issacar, l’altra; la Porta di Zabulon, l’altra. Dal lato occidentale, quattromilacinquecento cubiti, e tre porte: la Porta di Gad, l’una; la Porta d’Ascer, l’altra; la Porta di Neftali, l’altra. La circonferenza sarà di diciottomila cubiti. Da quel giorno, il nome della città sarà: ‘L’Eterno è là’”. Il terzo anno del regno di Ioiachim, re di Giuda, Nabucodonosor, re di Babilonia, marciò contro Gerusalemme e la assediò. Il Signore gli diede nelle mani Ioiachim, re di Giuda, e una parte degli utensili della casa di Dio. Nabucodonosor portò gli utensili nel paese di Scinear, nella casa del suo dio, e li mise nella casa del tesoro del suo dio. Il re disse ad Aspenaz, capo dei suoi eunuchi, di condurgli alcuni dei figli d’Israele di stirpe reale e di famiglie nobili, giovani senza difetti fisici, di bell’aspetto, dotati di ogni saggezza, istruiti e intelligenti, tali da poter stare nel palazzo del re per imparare la scrittura e la lingua dei Caldei. Il re assegnò loro una porzione giornaliera delle pietanze della mensa reale e del vino che egli beveva; ordinò di istruirli per tre anni, dopo i quali sarebbero passati al servizio del re. Fra questi c’erano dei figli di Giuda: Daniele, Anania, Misael e Azaria. Il capo degli eunuchi diede loro altri nomi: chiamò Daniele Baltazzar; Anania Sadrac; Misael Mesac e Azaria Abed-nego. Daniele prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con le pietanze del re e con il vino che il re beveva, e chiese al capo degli eunuchi di non obbligarlo a contaminarsi; Dio fece trovare a Daniele grazia e compassione presso il capo degli eunuchi. Il capo degli eunuchi disse a Daniele: “Io temo il re, mio signore, il quale ha fissato il vostro cibo e le vostre bevande; se egli vedesse il vostro volto più triste di quello dei giovani della vostra stessa età, voi mettereste in pericolo la mia testa presso il re”. Allora Daniele disse al maggiordomo, al quale il capo degli eunuchi aveva affidato la cura di Daniele, di Anania, di Misael e di Azaria: “Ti prego, fa’ con i tuoi servi una prova di dieci giorni; ci siano dati dei legumi da mangiare e dell’acqua da bere; poi confronta il nostro aspetto con l’aspetto dei giovani che mangiano le pietanze del re, e in base a ciò che vedrai, ti regolerai con i tuoi servi”. Egli accordò loro quanto domandavano e li mise alla prova per dieci giorni. Alla fine dei dieci giorni, essi avevano un aspetto migliore ed erano più prosperosi di tutti i giovani che avevano mangiato le pietanze del re. Così il maggiordomo portò via il cibo e il vino che erano loro destinati e diede loro dei legumi. A questi quattro giovani Iddio diede di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni sapienza. Daniele aveva il dono di interpretare ogni sorta di visioni e di sogni. Terminato il tempo fissato dal re perché quei giovani gli fossero condotti, il capo degli eunuchi li presentò a Nabucodonosor. Il re parlò con loro; ma fra tutti quei giovani non se ne trovò nessuno che fosse come Daniele, Anania, Misael e Azaria, i quali furono ammessi al servizio del re. Su tutti i punti che richiedevano sapienza e intelletto e sui quali il re li interrogasse, il re li trovava dieci volte superiori a tutti i maghi e astrologi che erano in tutto il suo regno. Così continuò Daniele fino al primo anno del re Ciro. Nel secondo anno del suo regno, Nabucodonosor ebbe dei sogni e il suo spirito ne fu tanto turbato da non poter più dormire. Il re fece chiamare i maghi, gli astrologi, gli incantatori e i Caldei, perché gli spiegassero i suoi sogni. Essi vennero e si presentarono al re. Il re disse loro: “Ho fatto un sogno e il mio spirito è turbato, perché vorrei comprenderlo”. Allora i Caldei risposero al re, in aramaico: “O re, possa tu vivere per sempre! Racconta il sogno ai tuoi servi e noi ne daremo l’interpretazione”. Il re replicò e disse ai Caldei: “La mia decisione è presa: se voi non mi fate conoscere il sogno e la sua interpretazione, sarete fatti a pezzi e le vostre case saranno ridotte in tanti letamai; ma se mi dite il sogno e la sua interpretazione, riceverete da me doni, ricompense e grandi onori. Ditemi dunque il sogno e la sua interpretazione”. Essi risposero una seconda volta e dissero: “Esponga il re il sogno ai suoi servi e noi ne daremo l’interpretazione”. Il re replicò e disse: “Io mi accorgo che di certo voi volete guadagnare tempo, perché vedete che la mia decisione è presa; se dunque non mi fate conoscere il sogno, c’è un’unica sentenza per voi. Voi vi siete messi d’accordo per darmi delle risposte bugiarde e perverse, aspettando che cambino i tempi. Perciò ditemi il sogno e io saprò che siete in grado di darmene l’interpretazione”. I Caldei risposero davanti al re e dissero: “Non c’è uomo sulla terra che possa far conoscere quello che il re domanda; così non c’è mai stato un re, per quanto fosse grande e potente, che abbia domandato una cosa simile a un mago, a un astrologo o a un Caldeo. La cosa che il re domanda è difficile; non c’è nessuno che la possa far conoscere al re, tranne gli dèi, la cui dimora non è fra i mortali”. Allora il re si adirò, si infuriò terribilmente e ordinò che tutti i saggi di Babilonia fossero messi a morte. Il decreto fu promulgato e i saggi dovevano essere uccisi; si cercavano Daniele e i suoi compagni per uccidere anche loro. Allora Daniele si rivolse con prudenza e saggezza ad Arioc, capo delle guardie del re, il quale era uscito per uccidere i saggi di Babilonia. Prese la parola e disse ad Arioc, ufficiale del re: “Perché questo decreto così perentorio da parte del re?”. Allora Arioc spiegò la cosa a Daniele. Daniele entrò dal re e gli chiese di dargli tempo; lui avrebbe fatto conoscere al re l’interpretazione del sogno. Allora Daniele andò a casa sua e informò della cosa Anania, Misael e Azaria, suoi compagni, perché implorassero la misericordia dell’Iddio del cielo, a proposito di questo segreto, affinché Daniele e i suoi compagni non fossero messi a morte con il resto dei saggi di Babilonia. Allora il segreto fu rivelato a Daniele in una visione notturna. Egli benedisse l’Iddio del cielo e disse: “Sia eternamente benedetto il nome di Dio! poiché a lui appartengono la sapienza e la forza. Egli alterna i tempi e le stagioni; depone i re e li innalza, dà la saggezza ai saggi e il sapere agli intelligenti. Egli rivela le cose profonde e nascoste; conosce ciò che è nelle tenebre e la luce dimora con lui. O Dio dei miei padri, io ti rendo gloria e lode, perché mi hai dato sapienza e forza, e mi hai fatto conoscere quello che ti abbiamo domandato, rivelandoci ciò che il re vuole”. Daniele entrò quindi da Arioc, a cui il re aveva dato l’incarico di far morire i saggi di Babilonia, e gli disse così: “Non far morire i saggi di Babilonia! Conducimi davanti al re, e io darò al re l’interpretazione”. Allora Arioc condusse in tutta fretta Daniele davanti al re, e gli parlò così: “Io ho trovato un uomo fra i Giudei che sono deportati che darà al re l’interpretazione”. Il re disse a Daniele, che si chiamava Baltazzar: “Tu sei capace di farmi conoscere il sogno che ho fatto e la sua interpretazione?”. Daniele, alla presenza del re, rispose e disse: “Il segreto che il re domanda, né saggi, né incantatori, né magi, né astrologi possono svelarlo al re; ma c’è un Dio nel cielo che rivela i segreti, ed egli ha fatto conoscere al re Nabucodonosor quello che avverrà negli ultimi giorni. Ecco quali erano il tuo sogno e le visioni della tua mente quando eri a letto. I tuoi pensieri, o re, quando eri a letto, si riferivano a quello che deve avvenire da ora in poi; colui che rivela i segreti ti ha fatto conoscere quello che avverrà. Quanto a me, questo segreto mi è stato rivelato, non perché io possegga una sapienza superiore a quella di tutti gli altri viventi, ma perché l’interpretazione sia data al re, e tu possa conoscere quello che preoccupava il tuo cuore. Tu, o re, guardavi, ed ecco una grande statua; questa statua, che era immensa e di uno splendore straordinario, si ergeva davanti a te, e il suo aspetto era terribile. La testa di questa statua era d’oro puro; il suo petto e le sue braccia erano d’argento; il suo ventre e le sue cosce, di bronzo; le sue gambe, di ferro; i suoi piedi, in parte di ferro e in parte di argilla. Tu stavi guardando, quando ecco una pietra si staccò, ma non per mano d’uomo, e colpì i piedi di ferro e di argilla della statua e li frantumò. Allora il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro furono frantumati insieme e diventarono come la pula sulle aie d’estate; il vento li portò via e non se ne trovò più traccia; ma la pietra che aveva colpito la statua diventò un grande monte, che riempì tutta la terra. Questo è il sogno; ora ne daremo l’interpretazione davanti al re. Tu, o re, sei il re dei re, al quale l’Iddio del cielo ha dato l’impero, la potenza, la forza e la gloria. Dovunque abitano i figli degli uomini, le bestie della campagna e gli uccelli del cielo, egli te li ha dati nelle mani, e ti ha fatto dominare sopra tutti loro: la testa d’oro sei tu. Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno, di bronzo, che dominerà sulla terra; poi vi sarà un quarto regno, forte come il ferro; poiché come il ferro spezza e abbatte ogni cosa, così, pari al ferro che frantuma tutto, esso spezzerà ogni cosa. Come hai visto i piedi e le dita, in parte di argilla di vasaio e in parte di ferro, così quel regno sarà diviso; ma vi sarà in lui qualcosa della consistenza del ferro, poiché tu hai visto il ferro mescolato con la fragile argilla. Come le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte d’argilla, così quel regno sarà in parte forte e in parte fragile. Tu hai visto il ferro mescolato con la fragile argilla, perché quelli si mescoleranno mediante matrimoni; ma non saranno uniti l’uno all’altro, nello stesso modo che il ferro non si amalgama con l’argilla. Al tempo di questi re, l’Iddio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e che non passerà sotto il dominio di un altro popolo. Spezzerà e annienterà tutti quei regni, ma esso sussisterà per sempre, nel modo che hai visto la pietra staccarsi dal monte, senza opera di mano d’uomo, e spezzare il ferro, il bronzo, l’argilla, l’argento e l’oro. Il grande Iddio ha fatto conoscere al re ciò che deve avvenire d’ora in poi; il sogno è veritiero e l’interpretazione è sicura”. Allora il re Nabucodonosor abbassò la sua faccia, si prostrò davanti a Daniele e ordinò che gli fossero presentati offerte e profumi. Il re parlò a Daniele e disse: “In verità il vostro Dio è l’Iddio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei segreti, poiché tu hai potuto rivelare questo segreto”. Allora il re innalzò Daniele in dignità, lo colmò di numerosi e ricchi doni, gli diede il comando di tutta la provincia di Babilonia e lo stabilì capo supremo di tutti i saggi di Babilonia. Daniele chiese al re che a Sadrac, Mesac e Abed-nego fosse affidata l’amministrazione della provincia di Babilonia; ma Daniele stava alla corte del re. Il re Nabucodonosor fece una statua d’oro, alta sessanta cubiti e larga sei cubiti, e la eresse nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. Poi il re Nabucodonosor fece radunare i satrapi, i prefetti, i governatori, i giudici, i tesorieri, i giuristi, i magistrati e tutte le autorità delle province, perché venissero all’inaugurazione della statua che il re Nabucodonosor aveva fatto erigere. Allora i satrapi, i prefetti e i governatori, i giudici, i tesorieri, i giuristi, i magistrati e tutte le autorità delle province si radunarono per l’inaugurazione della statua che il re Nabucodonosor aveva fatto erigere. Stavano tutti in piedi davanti alla statua eretta da Nabucodonosor. Quindi l’araldo gridò forte: “A voi, popoli, nazioni e lingue è imposto che, nel momento in cui udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio, della zampogna e di ogni sorta di strumenti, vi prostriate per adorare la statua d’oro che il re Nabucodonosor ha fatto erigere. Chiunque non si prostrerà per adorare, sarà immediatamente gettato in una fornace di fuoco ardente”. Perciò, appena tutti i popoli ebbero udito il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio e di ogni sorta di strumenti, tutti i popoli, tutte le nazioni e lingue si prostrarono e adorarono la statua d’oro che il re Nabucodonosor aveva fatto erigere. Allora, in quello stesso momento, alcuni Caldei si fecero avanti e accusarono i Giudei; rivolgendosi al re Nabucodonosor, gli dissero: “O re, possa tu vivere per sempre! Tu, o re, hai emanato un decreto, per il quale chiunque abbia udito il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio, della zampogna e di ogni sorta di strumenti deve prostrarsi per adorare la statua d’oro. Chiunque non si prostra e non adora deve essere gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente. Ora ci sono alcuni giudei che tu hai preposto all’amministrazione degli affari della provincia di Babilonia, cioè Sadrac, Mesac e Abed-nego, che non ti tengono in nessuna considerazione, non servono i tuoi dèi e non adorano la statua d’oro che tu hai fatto erigere”. Allora Nabucodonosor, irritato e furioso, ordinò che gli fossero condotti Sadrac, Mesac e Abed-nego; così essi furono condotti in presenza del re. Nabucodonosor, rivolgendosi a loro, disse: “Sadrac, Mesac, Abed-nego, è vero che non adorate i miei dèi e che non vi prostrate davanti alla statua d’oro che io ho fatto erigere? Ora, se appena udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio, della zampogna e di ogni sorta di strumenti, sarete pronti a prostrarvi per adorare la statua che io ho fatto, bene; ma se non la adorerete, sarete immediatamente gettati in mezzo a una fornace di fuoco ardente; e qual è quel dio che vi potrà liberare dalle mie mani?”. Sadrac, Mesac e Abed-nego risposero al re, dicendo: “O Nabucodonosor, noi non abbiamo bisogno di darti risposta in merito a questo. Ecco, il nostro Dio, che noi serviamo, ha il potere di liberarci e ci libererà dalla fornace del fuoco ardente e dalla tua mano, o re. Ma anche se non lo facesse, sappi, o re, che noi non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai fatto erigere”. Allora Nabucodonosor fu ripieno di furore e l’aspetto del suo viso mutò nei confronti di Sadrac, Mesac e Abed-nego. Riprese la parola e ordinò che si accendesse la fornace sette volte più del solito; poi comandò ad alcuni degli uomini più vigorosi del suo esercito di legare Sadrac, Mesac e Abed-nego e di gettarli nella fornace del fuoco ardente. Allora questi tre uomini furono legati con le loro tuniche, i loro copricapo, i loro mantelli e tutti i loro vestiti, e furono gettati in mezzo alla fornace del fuoco ardente. Siccome l’ordine del re era perentorio e la fornace era straordinariamente riscaldata, la fiamma del fuoco uccise gli uomini che vi avevano gettato dentro Sadrac, Mesac e Abed-nego. E quei tre uomini, Sadrac, Mesac e Abed-nego, caddero legati in mezzo alla fornace del fuoco ardente. Allora il re Nabucodonosor fu spaventato, si alzò in gran fretta, e disse ai suoi consiglieri: “Non abbiamo noi gettato in mezzo al fuoco tre uomini legati?”. Quelli risposero e dissero al re: “Certo o re!”. Ed egli riprese a dire: “Ecco, io vedo quattro uomini, sciolti, che camminano in mezzo al fuoco, senza aver sofferto nessun danno; e l’aspetto del quarto è come quello di un figlio degli dèi”. Poi Nabucodonosor si avvicinò alla bocca della fornace del fuoco ardente e disse: “Sadrac, Mesac, Abed-nego, servi dell’Iddio altissimo, uscite, venite!”. E Sadrac, Mesac e Abed-nego uscirono dal fuoco. I satrapi, i prefetti, i governatori e i consiglieri del re, essendosi radunati, osservarono quegli uomini e videro che il fuoco non aveva avuto nessun potere sul loro corpo, che i capelli del loro capo non erano stati bruciati, che le loro tuniche non erano alterate, e che essi non avevano neppure l’odore del fuoco. Nabucodonosor prese a dire: “Sia benedetto l’Iddio di Sadrac, di Mesac e di Abed-nego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i suoi servi che hanno confidato in lui, hanno trasgredito l’ordine del re, hanno esposto i loro corpi per non servire e non adorare altro dio che il loro! Perciò, io faccio questo decreto: ‘Chiunque, a qualsiasi popolo, nazione o lingua appartenga, dirà male dell’Iddio di Sadrac, Mesac e Abed-nego, sia fatto a pezzi, e la sua casa sia ridotta in un letamaio; perché non c’è nessun altro dio che possa salvare in questo modo’”. Allora il re fece prosperare Sadrac, Mesac e Abed-nego nella provincia di Babilonia. “Il re Nabucodonosor a tutti i popoli, a tutte le nazioni e lingue, che abitano su tutta la terra. La vostra pace abbondi. Mi è sembrato bene di far conoscere i segni e i prodigi che l’Iddio altissimo ha fatto per me. Come sono grandi i suoi segni! Come sono potenti i suoi prodigi! Il suo regno è un regno eterno e il suo dominio dura di generazione in generazione. Io, Nabucodonosor, stavo tranquillo in casa mia e fiorente nel mio palazzo. Ebbi un sogno che mi spaventò; i pensieri che mi assalivano mentre ero a letto e le visioni del mio spirito mi riempirono di terrore. Diedi ordine di condurre davanti a me tutti i saggi di Babilonia, perché mi facessero conoscere l’interpretazione del sogno. Allora vennero i magi, gli incantatori, i Caldei e gli astrologi; io dissi loro il sogno, ma essi non poterono farmene conoscere l’interpretazione. Alla fine si presentò davanti a me Daniele, che si chiama Baltazzar, dal nome del mio dio e nel quale è lo spirito degli dèi santi; e io gli raccontai il sogno: ‘Baltazzar, capo dei magi, siccome io so che lo spirito degli dèi santi è in te e che nessun segreto ti mette in difficoltà, dimmi le visioni che ho avuto nel mio sogno e la loro interpretazione. Ecco le visioni della mia mente mentre ero a letto. Io guardavo, ed ecco un albero in mezzo alla terra, la cui altezza era grande. L’albero era cresciuto e diventato forte, la sua cima giungeva al cielo ed era visibile dalle estremità di tutta la terra. Il suo fogliame era bello, il suo frutto abbondante, in esso c’era nutrimento per tutti. Le bestie dei campi si rifugiavano sotto la sua ombra, gli uccelli del cielo abitavano fra i suoi rami e ogni creatura era nutrita da esso. Nelle visioni della mia mente, mentre ero a letto, io guardavo, ed ecco che uno dei santi veglianti scese dal cielo, gridò con forza, dicendo così: - Abbattete l’albero e tagliatene i rami; scuotetene il fogliame e disperdetene il frutto; fuggano gli animali sotto di lui e gli uccelli dai suoi rami! Però, lasciate in terra il ceppo delle sue radici, ma legati con catene di ferro e di bronzo, fra l’erba dei campi; sia bagnato dalla rugiada del cielo e abbia con gli animali la sua parte di erba della terra. Gli sia cambiato il cuore; al posto di un cuore umano, gli sia dato un cuore di bestia, e passino su di lui sette tempi. La cosa è decretata dai veglianti e la sentenza emanata dai santi, affinché i viventi conoscano che l’Altissimo domina sul regno degli uomini, che egli lo dà a chi vuole e vi innalza l’infimo degli uomini -. Questo è il sogno che io, il re Nabucodonosor, ho fatto; ora tu, Baltazzar, danne l’interpretazione, poiché nessuno dei saggi del mio regno me lo può interpretare; ma tu puoi, perché lo spirito degli dèi santi è in te’”. Allora Daniele, il cui nome è Baltazzar, rimase per un momento stupefatto e i suoi pensieri lo spaventavano. Il re prese a dire: “Baltazzar, il sogno e l’interpretazione non ti spaventino!”. Baltazzar rispose dicendo: “Mio signore, il sogno si avveri per i tuoi nemici, e la sua interpretazione per i tuoi avversari! L’albero che il re ha visto, che era diventato grande e forte, la cui cima giungeva al cielo e che era visibile da tutti i punti della terra, l’albero dal fogliame bello, dal frutto abbondante e in cui c’era nutrimento per tutti, sotto il quale si rifugiavano le bestie dei campi e fra i cui rami abitavano gli uccelli del cielo, sei tu, o re; tu, che sei diventato grande e forte, la cui grandezza è cresciuta e giunge fino al cielo, e il cui dominio si estende fino alle estremità della terra. Quanto al santo vegliante che hai visto scendere dal cielo e che ha detto: ‘Abbattete l’albero e distruggetelo, ma lasciatene in terra il ceppo delle radici, legato in catene di ferro e di bronzo, fra l’erba dei campi, sia bagnato dalla rugiada del cielo e abbia la sua parte con gli animali della campagna finché siano passati sopra di lui sette tempi’. Eccone l’interpretazione, o re: è un decreto dell’Altissimo, che sarà eseguito sul re mio signore. Tu sarai scacciato in mezzo agli uomini e la tua dimora sarà con le bestie dei campi; ti sarà data da mangiare dell’erba come ai buoi; sarai bagnato dalla rugiada del cielo e passeranno su di te sette tempi, finché tu non riconosca che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole. Quanto all’ordine di lasciare il ceppo delle radici dell’albero, ciò significa che il tuo regno ti sarà ristabilito, dopo che avrai riconosciuto che il dominio appartiene al cielo. Perciò, o re, ti sia gradito il mio consiglio! Metti fine ai tuoi peccati praticando la giustizia, e alle tue iniquità mostrando compassione verso gli afflitti; forse, la tua prosperità potrà essere prolungata”. Tutto questo avvenne al re Nabucodonosor. Dodici mesi dopo egli passeggiava sul terrazzo del palazzo reale di Babilonia. Il re disse: “Non è questa la grande Babilonia che io ho costruito come residenza reale con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà?”. Il re aveva ancora la parola sulla bocca, quando una voce scese dal cielo: “Sappi, o re Nabucodonosor, che il tuo regno ti è tolto; tu sarai scacciato di mezzo agli uomini, la tua dimora sarà con le bestie dei campi; ti sarà data da mangiare dell’erba come ai buoi, e passeranno su di te sette tempi, finché tu non riconosca che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole”. In quello stesso istante quella parola si adempì su Nabucodonosor. Egli fu scacciato di mezzo agli uomini, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo, finché i suoi capelli crebbero come le penne delle aquile, e le unghie come quelle degli uccelli. “Alla fine di quei giorni, io, Nabucodonosor, alzai gli occhi al cielo e la ragione tornò in me. Benedissi l’Altissimo, e lodai e glorificai colui che vive in eterno, il cui dominio è un dominio eterno, e il cui regno dura di generazione in generazione. Tutti gli abitanti della terra sono considerati nulla davanti a lui; egli agisce come vuole con l’esercito del cielo e con gli abitanti della terra, e non c’è nessuno che possa fermare la sua mano o dirgli: ‘Che fai?’. In quel tempo la ragione tornò in me; la gloria del mio regno, la mia maestà e il mio splendore mi furono restituiti; i miei consiglieri e i miei grandi mi cercarono, io fui ristabilito nel mio regno e la mia grandezza fu accresciuta più che mai. Ora, io, Nabucodonosor, lodo, esalto e glorifico il Re del cielo, perché tutte le sue opere sono verità e le sue vie giustizia, ed egli ha il potere di umiliare quelli che camminano superbamente”. Il re Baldassar fece un grande banchetto per mille dei suoi grandi e bevve del vino in loro presenza. Mentre stava assaporando il vino, Baldassar ordinò di far portare i vasi d’oro e d’argento che Nabucodonosor suo padre aveva portato via dal tempio di Gerusalemme, perché il re, i suoi grandi, le sue mogli e le sue concubine li usassero per bere. Allora furono portati i vasi d’oro che erano stati portati via dal tempio, dalla casa di Dio, che era a Gerusalemme; il re, i suoi grandi, le sue mogli e le sue concubine li usarono per bere. Bevvero del vino e lodarono gli dèi d’oro, d’argento, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra. In quel momento, apparvero le dita di una mano d’uomo che si misero a scrivere di fronte al candelabro, sull’intonaco della parete del palazzo reale. Il re vide quel pezzo di mano che scriveva. Allora il re cambiò colore e i suoi pensieri lo spaventarono; le giunture dei suoi fianchi si rilassarono e le sue ginocchia cominciarono a urtarsi l’una contro l’altra. Il re gridò con forza che si facessero entrare gli incantatori, i Caldei e gli astrologi; il re disse ai saggi di Babilonia: “Chiunque leggerà questo scritto e me ne darà l’interpretazione sarà rivestito di porpora, avrà al collo una collana d’oro e sarà terzo nel governo del regno”. Allora entrarono tutti i saggi del re, ma non furono capaci di leggere lo scritto, né di darne al re l’interpretazione. Allora il re Baldassar fu preso da grande spavento, cambiò colore e i suoi grandi furono costernati. La regina, appena ebbe udito le parole del re e dei suoi grandi, entrò nella sala del banchetto. La regina disse: “O re, possa tu vivere per sempre! I tuoi pensieri non ti spaventino e il colore della tua faccia non cambi! C’è un uomo nel tuo regno, in cui è lo spirito degli dèi santi. Al tempo di tuo padre si trovò in lui una luce, un intelletto e una sapienza pari alla sapienza degli dèi; il re Nabucodonosor tuo padre, il padre tuo, o re, lo stabilì capo dei magi, degli incantatori, dei Caldei e degli astrologi, perché in lui, in questo Daniele, che il re aveva chiamato Baltazzar, fu trovato uno spirito straordinario, conoscenza, intelletto, facoltà di interpretare i sogni, di spiegare enigmi e di risolvere questioni difficili. Si chiami dunque Daniele ed egli darà l’interpretazione”. Allora Daniele fu introdotto alla presenza del re e il re parlò a Daniele dicendo: “Sei tu Daniele, uno dei Giudei che il re mio padre deportò da Giuda? Io ho sentito dire di te che possiedi lo spirito degli dèi e che in te si trova luce, intelletto e una sapienza straordinaria. Poco fa sono stati introdotti alla mia presenza i saggi e gli incantatori per leggere questo scritto e per farmene conoscere l’interpretazione; ma non sono stati capaci di darmi l’interpretazione della cosa. Però, ho sentito dire di te che tu puoi dare interpretazioni e risolvere questioni difficili; ora, se puoi leggere questo scritto e farmene conoscere l’interpretazione, tu sarai vestito di porpora, avrai al collo una collana d’oro e sarai terzo nel governo del regno”. Allora Daniele disse in presenza del re: “Tieni pure i tuoi doni, e da’ a un altro le tue ricompense; tuttavia io leggerò lo scritto al re e gliene farò conoscere l’interpretazione. O re, l’Iddio altissimo aveva dato a Nabucodonosor tuo padre, regno, grandezza, gloria e maestà; a causa della grandezza che egli gli aveva dato, tutti i popoli, tutte le nazioni e lingue temevano e tremavano alla sua presenza; egli faceva morire chi voleva, lasciava in vita chi voleva; innalzava chi voleva, abbassava chi voleva. Ma quando il suo cuore diventò superbo e il suo spirito si indurì fino a diventare arrogante, fu deposto dal suo trono reale e gli fu tolta la sua gloria; fu scacciato di mezzo ai figli degli uomini, il suo cuore fu reso simile a quello delle bestie e la sua dimora fu con gli asini selvatici. Gli fu data da mangiare dell’erba come ai buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo, finché non riconobbe che l’Iddio altissimo domina sul regno degli uomini e che egli vi stabilisce sopra chi vuole. E tu, o Baldassar, suo figlio, non hai umiliato il tuo cuore, benché tu sapessi tutto questo; ma ti sei innalzato contro il Signore del cielo; sono stati portati davanti a te i vasi della sua casa e tu, i tuoi grandi, le tue mogli e le tue concubine li avete usati per bere; tu hai lodato gli dèi d’argento, d’oro, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra, i quali non vedono, non odono, non hanno nessuna conoscenza, e non hai glorificato l’Iddio che ha nella sua mano il tuo soffio vitale e da cui dipendono tutte le tue vie. Perciò è stato mandato, da parte sua, quel pezzo di mano che ha tracciato quello scritto. Questo è lo scritto che è stato tracciato: ‘Mene, Mene, Tekel, Ufarsin’. Questa è l’interpretazione delle parole: Mene, Dio ha fatto il conto del tuo regno e vi ha posto fine. Tekel, tu sei stato pesato con la bilancia e sei stato trovato mancante. Peres, il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani”. Allora, per ordine di Baldassar, Daniele fu rivestito di porpora, gli fu messa al collo una collana d’oro e fu proclamato terzo nel governo del regno. In quella stessa notte, Baldassar, re dei Caldei, fu ucciso e Dario, il Medo, ricevette il regno, all’età di sessantadue anni. Parve bene a Dario di costituire sul regno centoventi satrapi e di distribuirli in tutte le province. Sopra di loro nominò tre capi, uno dei quali era Daniele, perché questi satrapi rendessero conto a loro, e il re non dovesse soffrire nessun danno. Questo Daniele si distingueva tra i capi e i satrapi perché c’era in lui uno spirito straordinario; il re pensava di stabilirlo sopra tutto il regno. Allora i capi e i satrapi cercarono di trovare un’occasione per accusare Daniele circa l’amministrazione del regno; ma non potevano trovare nessuna occasione, né motivo di riprensione, perché egli era fedele e non si trovava in lui nessuna mancanza da potergli rimproverare. Quegli uomini dissero dunque: “Noi non troveremo nessun pretesto per accusare questo Daniele, se non lo troviamo in quello che concerne la legge del suo Dio”. Allora quei capi e quei satrapi vennero tumultuosamente presso il re e gli dissero: “O re Dario, possa tu vivere per sempre! Tutti i capi del regno, i prefetti e i satrapi, i consiglieri e i governatori si sono accordati perché il re promulghi un decreto e pubblichi un severo divieto, in base ai quali chiunque, per un periodo di trenta giorni, rivolgerà qualche richiesta a qualunque dio o uomo tranne che a te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni. Ora, o re, promulga il divieto e firma il decreto perché sia immutabile, in conformità alla legge dei Medi e dei Persiani, che è irrevocabile”. Il re Dario quindi firmò il decreto e il divieto. Quando Daniele seppe che il decreto era firmato, entrò in casa sua e, tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava e ringraziava il suo Dio, come era solito fare anche prima. Allora quegli uomini accorsero in fretta e trovarono Daniele che faceva richieste e suppliche al suo Dio. Poi si accostarono al re e gli parlarono del divieto reale: “Non hai tu firmato un divieto per il quale chiunque, per un periodo di trenta giorni, farà qualche richiesta a qualsiasi dio o uomo tranne che a te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni?”. Il re rispose dicendo: “La cosa è stabilita, in conformità alla legge dei Medi e dei Persiani, che è irrevocabile”. Allora quelli ripresero a dire in presenza del re: “Daniele, che è uno dei deportati da Giuda, non tiene in nessun conto né te, o re, né il divieto che tu hai firmato, ma prega il suo Dio tre volte al giorno”. Udito questo, il re ne fu molto addolorato e si mise in animo di liberare Daniele; fino al tramonto del sole fece di tutto per salvarlo. Ma quegli uomini vennero tumultuosamente dal re e gli dissero: “Sappi, o re, che è legge dei Medi e dei Persiani che nessun divieto o decreto promulgato dal re possa essere cambiato”. Allora il re diede l’ordine, e Daniele fu preso e gettato nella fossa dei leoni. Il re parlò a Daniele e gli disse: “Il tuo Dio, che tu servi con perseveranza, sarà lui che ti libererà”. Poi fu portata una pietra che fu messa sull’apertura della fossa; il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi grandi, perché nulla fosse cambiato riguardo a Daniele. Allora il re ritornò al suo palazzo e passò la notte digiunando; non fece venire nessuna concubina e il sonno lo abbandonò. La mattina il re si alzò molto presto, appena fu giorno, e si recò in fretta alla fossa dei leoni. Quando fu vicino alla fossa, chiamò Daniele con voce addolorata, e disse: “Daniele, servo dell’Iddio vivente! Il tuo Dio, che tu servi con perseveranza, ti ha potuto liberare dai leoni?”. Allora Daniele disse al re: “O re, possa tu vivere per sempre! Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso la bocca dei leoni, ed essi non mi hanno fatto nessun male, perché io sono stato trovato innocente davanti a lui; e anche davanti a te, o re, non ho fatto nessun male”. Allora il re fu pieno di gioia e ordinò che Daniele fosse tirato fuori dalla fossa; Daniele fu tratto fuori dalla fossa e non si trovò su di lui nessuna ferita, perché aveva confidato nel suo Dio. Per ordine del re furono presi quegli uomini che avevano accusato Daniele, e furono gettati nella fossa dei leoni con i loro figli e le loro mogli. Non erano ancora giunti in fondo alla fossa, che i leoni gli si lanciarono addosso e stritolarono loro tutte le ossa. Allora il re Dario scrisse a tutti i popoli, a tutte le nazioni e lingue che abitavano su tutta la terra: “La vostra pace abbondi! Io decreto che in tutto il territorio del mio regno si tema e si tremi alla presenza dell’Iddio di Daniele; poiché egli è il Dio vivente, che sussiste in eterno; il suo regno non sarà mai distrutto e il suo dominio durerà fino alla fine. Egli libera e salva, fa segni e prodigi in cielo e in terra; è lui che ha liberato Daniele dalle fauci dei leoni”. Questo Daniele prosperò durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro, il Persiano. Nel primo anno di Baldassar, re di Babilonia, Daniele, mentre era a letto, fece un sogno ed ebbe delle visioni nella sua mente. Poi scrisse il sogno e ne fece il racconto. Daniele disse: “Io guardavo, nella mia visione notturna, ed ecco scatenarsi sul Mar Grande i quattro venti del cielo. Quattro grandi bestie salirono dal mare, una diversa dall’altra. La prima era simile a un leone, e aveva delle ali di aquila. Io guardai, finché non le furono strappate le ali; fu sollevata da terra, fu fatta stare in piedi come un uomo e le fu dato un cuore umano. Poi ecco una seconda bestia, simile a un orso; essa stava eretta su di un lato, aveva tre costole in bocca fra i denti e le fu detto: ‘Àlzati, mangia molta carne!’. Dopo questo, io guardavo, ed eccone un’altra simile a un leopardo che aveva quattro ali di uccello sul dorso; questa bestia aveva quattro teste e le fu dato il dominio. Stavo ancora guardando, nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia spaventosa, terribile e straordinariamente forte. Aveva dei denti grandi, di ferro; divorava, sbranava e calpestava con le zampe ciò che restava; era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna. Stavo osservando quelle corna, quando ecco spuntare in mezzo a esse un altro piccolo corno, davanti al quale tre delle prime corna furono staccate. Quel corno aveva degli occhi simili a quelli di un uomo e una bocca che pronunciava parole orgogliose. Io continuai a guardare finché furono collocati dei troni e un vegliardo si mise a sedere. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano simili a lana pura; fiamme di fuoco erano il suo trono, le cui ruote erano fuoco ardente. Un fiume di fuoco scaturiva e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi gli stavano davanti. Si tenne il giudizio e i libri furono aperti. Continuai a guardare a causa delle parole orgogliose che il corno proferiva; guardai, finché la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso. Quanto alle altre bestie, il dominio fu loro tolto, ma gli fu concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato. Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui. Gli furono dati dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, di ogni nazione e lingua lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto. Quanto a me, Daniele, il mio spirito fu turbato dentro di me e le visioni della mia mente mi spaventarono. Mi avvicinai a uno dei presenti e gli domandai il vero significato di tutto questo. Egli mi parlò e mi diede l’interpretazione di quelle cose: ‘Queste quattro grandi bestie sono quattro re che sorgeranno dalla terra; poi i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, eternamente’. Allora desiderai conoscere la verità intorno alla quarta bestia che era diversa da tutte le altre, straordinariamente terribile, che aveva i denti di ferro e le unghie di bronzo, che divorava, sbranava, e calpestava il resto con le zampe; intorno alle dieci corna che aveva sul capo e intorno all’altro corno che spuntava, e davanti al quale ne erano cadute tre: quel corno aveva degli occhi e una bocca che proferiva parole orgogliose e appariva maggiore delle altre corna. Io vidi quello stesso corno fare guerra ai santi e avere il sopravvento, finché non giunse il vegliardo e il potere di giudicare fu dato ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo che i santi ebbero il regno. Egli mi parlò così: ‘La quarta bestia è un quarto regno sulla terra, che sarà diverso da tutti i regni, divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà. Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno e, dopo quelli, ne sorgerà un altro, che sarà diverso dai precedenti e abbatterà tre re. Egli proferirà parole contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo e penserà di cambiare i tempi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il dominio e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno’. Qui finisce il racconto. Quanto a me, Daniele, i miei pensieri mi spaventarono molto e il mio volto cambiò colore, ma conservai tutto questo nel mio cuore”. “Nel terzo anno del regno del re Baldassar, io, Daniele, ebbi una visione dopo quella che avevo avuto prima. Quando ebbi la visione ero a Susa, la residenza reale che è nella provincia di Elam, ma nella visione mi trovavo presso il fiume Ulai. Alzai gli occhi, guardai, ed ecco in piedi, davanti al fiume, un montone che aveva due corna; erano alte, ma un corno era più alto dell’altro e il più alto era spuntato dopo. Vidi il montone che cozzava a occidente, a settentrione e a mezzogiorno; nessuna bestia gli poteva resistere e non c’era nessuno che potesse liberare dal suo potere; esso faceva quello che voleva e diventò grande. Mentre stavo considerando questo, ecco venire dall’occidente un capro che percorreva tutta la superficie della terra senza toccare il suolo; questo capro aveva un grande corno fra i suoi occhi. Giunse fino al montone dalle due corna, che avevo visto in piedi davanti al fiume, e gli si avventò contro nel furore della sua forza. Lo vidi avvicinarsi al montone, infierire contro di lui, investirlo e spezzargli le due corna; il montone non ebbe la forza di resistergli e il capro lo gettò a terra e lo calpestò; non ci fu nessuno che potesse liberare il montone dalla sua potenza. Il capro diventò enormemente grande ma, quando fu potente, il suo grande corno si spezzò; al suo posto spuntarono quattro grandi corna, verso i quattro venti del cielo. Da una di esse uscì un piccolo corno che diventò molto grande in direzione del mezzogiorno, dell’oriente e del paese splendido. Crebbe molto, fino a raggiungere l’esercito del cielo; fece cadere a terra parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò. Si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio continuo e il luogo del suo santuario fu sconvolto. Gli fu dato in mano l’esercito con il sacrificio continuo a causa della ribellione; il corno gettò a terra la verità e prosperò nelle sue imprese. Poi udii un santo che parlava; un altro santo disse a quello che parlava: ‘Fino a quando durerà la visione del sacrificio continuo, della ribellione che produce la desolazione e del luogo santo e dell’esercito abbandonati per essere calpestati?’. Egli mi disse: ‘Fino a duemilatrecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato’. Mentre io, Daniele, avevo questa visione e cercavo di comprenderla, ecco in piedi davanti a me una figura simile a un uomo. Udii la voce di un uomo in mezzo al fiume Ulai che gridò e disse: ‘Gabriele, spiegagli la visione’. Egli venne presso il luogo dove stavo io; alla sua venuta fui spaventato e caddi con la faccia a terra; ma egli mi disse: ‘Comprendi bene, o figlio d’uomo! perché questa visione riguarda il tempo della fine’. Mentre egli mi parlava, io mi lasciai andare con la faccia a terra, profondamente assopito; ma egli mi toccò e mi fece stare in piedi. Poi disse: ‘Ecco, io ti farò conoscere quello che avverrà nell’ultimo tempo dell’indignazione; poiché la visione riguarda il tempo della fine. Il montone con due corna che hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia. Il capro peloso è il re di Grecia; il grande corno fra i suoi due occhi è il primo re. Quanto al corno spezzato, al cui posto ne sono spuntati quattro, questi sono quattro regni che sorgeranno da questa nazione, ma non con la sua stessa potenza. Alla fine del loro regno, quando i ribelli avranno colmato la misura delle loro ribellioni, sorgerà un re dall’aspetto feroce, ed esperto in astuzie. La sua potenza sarà grande, ma non sarà per la sua forza; egli sarà causa di rovine inaudite, prospererà nelle sue imprese, distruggerà i potenti e il popolo dei santi. A causa della sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani; il suo cuore si insuperbirà e distruggerà molte persone che si credevano al sicuro. Insorgerà contro il principe dei prìncipi, ma sarà infranto senza intervento umano. La visione delle sere e delle mattine, di cui è stato parlato, è vera. Tu tieni segreta la visione perché si riferisce a un tempo lontano’. Allora io, Daniele, svenni e fui malato per diversi giorni; poi mi alzai e feci gli affari del re. Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne accorse”. “Nel primo anno di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu fatto re del regno dei Caldei, il primo anno del suo regno, io, Daniele, meditando sui libri, vidi che il numero degli anni di cui l’Eterno aveva parlato al profeta Geremia, durante i quali Gerusalemme doveva essere in rovina, era di settant’anni. Volsi la mia faccia verso il Signore Iddio, per dispormi alla preghiera e alle suppliche, con digiuno, con il sacco e con la cenere. Feci la mia preghiera e la mia confessione all’Eterno, al mio Dio, dicendo: ‘O Signore, Dio grande e tremendo, che mantieni il patto e serbi la benignità verso quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti! Noi abbiamo peccato, ci siamo comportati iniquamente, abbiamo agito malvagiamente, ci siamo ribellati e ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue prescrizioni; non abbiamo dato ascolto ai profeti, tuoi servi, che hanno parlato in nome tuo ai nostri re, ai nostri capi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese. A te, o Signore, la giustizia; a noi la confusione della faccia, come avviene ancora oggi agli uomini di Giuda, agli abitanti di Gerusalemme e a tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi dove li hai dispersi, a causa delle infedeltà che hanno commesso contro di te. O Signore, a noi la confusione della faccia, ai nostri re, ai nostri capi e ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te. Al Signore, che è il nostro Dio, appartengono la misericordia e il perdono; poiché noi ci siamo ribellati a lui e non abbiamo dato ascolto alla voce dell’Eterno, del nostro Dio, per camminare secondo le sue leggi, che egli ci aveva posto davanti mediante i profeti suoi servi. Sì, tutto Israele ha trasgredito la tua legge, si è sviato per non ubbidire alla tua voce; così si sono riversate su di noi le maledizioni e le imprecazioni che sono scritte nella legge di Mosè, servo di Dio, perché noi abbiamo peccato contro di lui. Egli ha mandato a effetto le parole che aveva pronunciato contro di noi e contro i nostri giudici che ci governano, facendo venire su di noi una calamità così grande, che sotto tutto il cielo non è mai stato fatto nulla di simile a quello che è stato fatto a Gerusalemme. Come è scritto nella legge di Mosè, questa calamità ci è piombata addosso; tuttavia noi non abbiamo implorato il favore dell’Eterno, del nostro Dio; non ci siamo allontanati dalle nostre iniquità e non siamo stati attenti alla sua verità. L’Eterno ha vigilato su questa calamità e ce l’ha fatta piombare addosso; perché l’Eterno, il nostro Dio, è giusto in tutto quello che ha fatto, ma noi non abbiamo ubbidito alla sua voce. Ora, o Signore, Iddio nostro, che facesti uscire il tuo popolo fuori dal paese d’Egitto con mano potente, e ti facesti il nome che hai oggi, noi abbiamo peccato, abbiamo agito malvagiamente. O Signore, secondo tutte le tue opere di giustizia, fa’, ti prego, che la tua ira e il tuo furore si allontanino dalla tua città, Gerusalemme, dal tuo monte santo; poiché per i nostri peccati e per le iniquità dei nostri padri, Gerusalemme e il tuo popolo sono esposti al disprezzo di tutti quelli che ci circondano. Ora dunque, o Dio nostro, ascolta la preghiera del tuo servo e le sue suppliche; per amore tuo, Signore, fa’ risplendere il tuo volto sul tuo santuario che è desolato! O mio Dio, inclina il tuo orecchio e ascolta! Apri gli occhi e guarda le nostre desolazioni e la città sulla quale è invocato il tuo nome; poiché noi umilmente presentiamo le nostre suppliche nel tuo cospetto, fondandoci non sulle nostre opere giuste, ma sulle tue grandi compassioni. O Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, sii attento e agisci; non indugiare, per amore di te stesso, o mio Dio, perché il tuo nome è invocato sulla tua città e sul tuo popolo!’. Mentre io parlavo ancora, pregando e confessando il mio peccato e il peccato del mio popolo Israele, e presentavo la mia supplica all’Eterno, al mio Dio, per il monte santo del mio Dio, mentre stavo ancora parlando in preghiera, quell’uomo, Gabriele, che avevo visto nella visione all’inizio, mandato con rapido volo, si avvicinò a me, verso l’ora dell’oblazione della sera. Mi ammaestrò, mi parlò, e disse: ‘Daniele, io sono venuto ora per farti comprendere. Quando hai cominciato a pregare, c’è stata una risposta e io sono venuto a comunicartela, poiché tu sei molto amato. Fa’ dunque attenzione alla parola e comprendi la visione! Settanta settimane sono state fissate riguardo al tuo popolo e alla tua santa città, per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità e stabilire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia, e per ungere un luogo santissimo. Sappi dunque e comprendi! Dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino all’apparire di un unto, di un capo, ci saranno sette settimane e sessantadue settimane; essa sarà restaurata e ricostruita, piazze e mura, ma in tempi angosciosi. Dopo le sessantadue settimane un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui. Il popolo di un capo che verrà, distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà come un’inondazione ed è decretato che ci saranno delle devastazioni fino alla fine della guerra. Egli stabilirà un patto con molti, durante una settimana; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta; sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore; questo finché la completa distruzione, che è decretata, non piombi sul devastatore’”. Il terzo anno di Ciro, re di Persia, fu rivelata una parola a Daniele, che si chiamava Baltazzar; la parola è veritiera e predice una grande lotta. Egli comprese la parola e gli fu dato di intendere la visione. “In quel tempo, io, Daniele, feci cordoglio per tre settimane intere. Non mangiai nessun cibo prelibato, non entrarono nella mia bocca né carne né vino e non mi unsi affatto, fino alla fine delle tre settimane. Il ventiquattresimo giorno del primo mese, mentre mi trovavo sulla sponda del grande fiume, che è il Tigri, alzai gli occhi, guardai, ed ecco un uomo, vestito di lino, con attorno ai fianchi una cintura d’oro di Ufaz. Il suo corpo era come crisolito, il suo volto splendeva come la folgore, i suoi occhi erano come fiamme di fuoco, le sue braccia e i suoi piedi sembravano bronzo incandescente e il suono della sua voce era come il rumore di una moltitudine. Soltanto io, Daniele, vidi la visione; gli uomini che erano con me non la videro, ma piombò su di loro un grande terrore e fuggirono a nascondersi. Io rimasi solo a contemplare questa grande visione. In me non rimase più forza; il mio viso cambiò colore fino a rimanere sfigurato e le forze mi vennero meno. Udii il suono delle sue parole ma, appena le udii, caddi profondamente assopito con la faccia a terra. Ed ecco, una mano mi toccò e mi fece stare sulle ginocchia e sulle palme delle mani. Poi mi disse: ‘Daniele, uomo grandemente amato, cerca di comprendere le parole che ti rivolgo e àlzati in piedi nel luogo dove sei; perché ora io sono mandato da te’. Quando egli mi disse queste parole, io mi alzai in piedi, tutto tremante. Egli mi disse: ‘Non temere, Daniele; poiché dal primo giorno che ti mettesti in cuore di intendere e di umiliarti nel cospetto del tuo Dio, le tue parole furono udite, e io sono venuto a causa delle tue parole. Ma il capo del regno di Persia mi ha resistito ventuno giorni; però ecco, Michele, uno dei primi capi, è venuto in mio soccorso e io sono rimasto là presso i re di Persia. Ora sono venuto a farti conoscere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; perché è ancora una visione che riguarda l’avvenire’. Mentre mi rivolgeva queste parole, io abbassai gli occhi a terra e rimasi muto. Ed ecco uno che aveva l’aspetto di un figlio d’uomo, mi toccò le labbra. Allora aprii la bocca, parlai, e dissi a colui che mi stava davanti: ‘Mio signore, sono angosciato a causa di questa visione, le forze mi hanno abbandonato e non mi è rimasto più nessun vigore. Come potrebbe questo servo del mio signore parlare con il mio signore? Poiché ormai non ho più forza e mi manca perfino il respiro’. Allora colui che aveva l’aspetto d’uomo mi toccò di nuovo e mi fortificò. Egli disse: ‘O uomo grandemente amato, non temere! La pace sia con te! Sii forte, sii forte’. Quando mi ebbe parlato, io ripresi forza e dissi: ‘Parla pure, mio signore, poiché tu mi hai fortificato’. Egli disse: ‘Sai perché sono venuto da te? Ora torno a combattere con il re di Persia; e quand’io uscirò a combattere ecco che verrà il principe di Grecia. Ma io ti voglio far conoscere ciò che è scritto nel libro della verità; e non c’è nessuno che mi sostenga contro quelli, tranne Michele vostro capo’”. “‘Il primo anno di Dario, il Medo, io ero presso di lui per sostenerlo e difenderlo. Ora ti farò conoscere la verità. Ecco, sorgeranno ancora tre re in Persia; poi il quarto diventerà molto più ricco di tutti gli altri e quando sarà diventato forte per le sue ricchezze, solleverà tutti contro il regno di Grecia. Allora sorgerà un re potente, che dominerà sul grande impero e farà quello che vorrà. Ma appena si sarà affermato, il suo regno sarà infranto e sarà diviso verso i quattro venti del cielo; esso non apparterrà alla sua discendenza e non avrà una potenza pari a quella che aveva lui; poiché il suo regno sarà smembrato e passerà ad altri, non ai suoi eredi. Il re del mezzogiorno diventerà forte, ma uno dei suoi capi diventerà più forte di lui e dominerà; il suo dominio sarà potente. Dopo molti anni essi faranno alleanza e la figlia del re del mezzogiorno verrà dal re del settentrione per fare un accordo. Ma lei non potrà conservare la forza del proprio braccio e nemmeno la sua discendenza resisterà; sarà messa a morte insieme ai suoi seguaci, ai figli e al marito. Dalle sue radici sorgerà un rampollo e prenderà il suo posto; esso entrerà con un esercito nelle fortezze del re di settentrione, combatterà contro di lui e ne uscirà vincitore. Porterà in Egitto come bottino di guerra anche i loro dèi, con le loro immagini di metallo fuso e con i loro preziosi arredi d’argento e d’oro; per diversi anni starà lontano dal re del settentrione. Questi marcerà contro il re del mezzogiorno, poi tornerà nel suo paese. I suoi figli entreranno in guerra e raduneranno una moltitudine di grandi forze; uno di essi si farà avanti, si spargerà come un torrente e passerà oltre; poi tornerà e spingerà le ostilità fino alla fortezza del re del mezzogiorno. Il re del mezzogiorno s’inasprirà, si farà avanti e muoverà guerra al re del settentrione, il quale arruolerà una grande moltitudine; ma quella moltitudine sarà data in mano del re del mezzogiorno. La moltitudine sarà portata via e il suo cuore s’inorgoglirà; ma, per quanto ne abbia abbattuto delle decine di migliaia, non per questo sarà più forte. Il re del settentrione arruolerà di nuovo una moltitudine più numerosa della prima e, dopo un certo numero di anni, egli si farà avanti con un grosso esercito e con molto materiale. In quel tempo molti insorgeranno contro il re del mezzogiorno; degli uomini violenti fra il tuo popolo insorgeranno per dare compimento alla visione, ma cadranno. Il re del settentrione verrà, innalzerà dei bastioni e si impadronirà di una città fortificata; né le forze del mezzogiorno, né le truppe scelte avranno la forza di resistergli. L’invasore venuto contro di lui farà ciò che gli piacerà, non essendoci chi possa resistergli, e si fermerà nel paese splendido, il quale sarà interamente in suo potere. Egli si proporrà di venire con le forze di tutto il suo regno, ma farà un accordo con il re del mezzogiorno: gli darà sua figlia in moglie per distruggergli il regno, ma il piano non riuscirà e il paese non gli apparterrà. Poi si dirigerà verso le isole e ne prenderà molte; ma un generale farà cessare la sua arroganza e la farà ricadere addosso a lui. Poi il re si dirigerà verso le fortezze del paese, ma inciamperà, cadrà e non lo si troverà più. Al posto suo sorgerà un re che farà passare un esattore di tributi attraverso il paese che è la gloria del regno; ma in pochi giorni sarà distrutto, non nel furore di una rivolta né in battaglia. Poi, al suo posto, sorgerà un uomo spregevole a cui non sarà conferita la dignità regale; ma verrà senza rumore, e si impadronirà del regno a forza di intrighi. Le forze che invaderanno il paese saranno sommerse davanti a lui, saranno infrante, così anche un capo dell’alleanza. Nonostante gli accordi fatti, agirà con frode, crescerà e diventerà vittorioso con poca gente. Invaderà pacificamente le parti più fertili della provincia e farà quello che non osarono fare né i suoi padri, né i padri dei suoi padri: distribuirà bottino, spoglie e ricchezze e mediterà progetti contro le fortezze; questo per un certo tempo. Poi raccoglierà le sue forze e il suo coraggio contro il re del mezzogiorno, con un grande esercito. Il re del mezzogiorno si impegnerà nella guerra con un grande e potentissimo esercito; ma non potrà resistergli, perché si ordiranno delle congiure contro di lui. Quelli che mangeranno alla sua mensa saranno la sua rovina; il suo esercito si dileguerà come un torrente e molti cadranno uccisi. Il cuore di questi due re sarà rivolto a farsi del male; e, seduti alla stessa mensa, si diranno delle menzogne; ma ciò non riuscirà, perché la fine non verrà che al tempo fissato. Il re del settentrione tornerà al suo paese con grandi ricchezze; il suo cuore formerà dei disegni contro il patto santo, ed egli li eseguirà, poi tornerà al suo paese. Al tempo stabilito, egli marcerà di nuovo contro il mezzogiorno, ma quest’ultima volta l’impresa non riuscirà come la prima; poiché delle navi di Chittim si muoveranno contro di lui ed egli si perderà d’animo. Poi s’indignerà di nuovo contro il patto santo, eseguirà i suoi disegni e tornerà ad ascoltare quelli che avranno abbandonato il patto santo. Delle truppe mandate da lui si presenteranno e profaneranno il santuario, la fortezza, sopprimeranno il sacrificio continuo, e vi collocheranno l’abominazione della desolazione. Corromperà con lusinghe quelli che agiscono empiamente contro il patto; ma il popolo di quelli che conoscono il loro Dio mostrerà fermezza e agirà. I saggi fra il popolo ne istruiranno molti; ma saranno abbattuti dalla spada e dal fuoco, dalla schiavitù e dal saccheggio, per un certo tempo. Quando saranno abbattuti, saranno soccorsi con qualche piccolo aiuto; molti si uniranno a loro, ma senza sincerità. E di quei saggi alcuni saranno abbattuti per essere affinati, purificati e resi candidi fino al tempo della fine, perché questa non avverrà che al tempo stabilito. Il re agirà a suo piacimento, si innalzerà, si esalterà al di sopra di ogni dio e pronuncerà cose inaudite contro l’Iddio degli dèi; prospererà finché non sarà finita l’indignazione, poiché quello che è decretato si compirà. Egli non avrà riguardo agli dèi dei suoi padri; non avrà riguardo né al dio preferito dalle donne, né ad alcun dio, perché si innalzerà al di sopra di tutti. Ma onorerà l’iddio delle fortezze nel suo luogo di culto; onorerà con oro, con argento, con pietre preziose e con oggetti di valore un dio che i suoi padri non conobbero. Agirà contro le fortezze ben munite, aiutato da un dio straniero; ricolmerà di onori quelli che lo riconosceranno, li farà dominare su molti e spartirà fra di loro delle terre come ricompensa. Al tempo della fine, il re del mezzogiorno si scontrerà con lui; il re del settentrione gli piomberà addosso come la tempesta, con carri, cavalieri e con molte navi; penetrerà nei paesi, li invaderà e passerà oltre. Entrerà pure nel paese splendido, e molte popolazioni saranno abbattute; ma queste scamperanno dalle sue mani: Edom, Moab e la parte principale dei figli di Ammon. Egli stenderà la mano anche su diversi paesi e il paese d’Egitto non scamperà. Si impadronirà dei tesori d’oro e d’argento e di tutte le cose preziose dell’Egitto; i Libi e gli Etiopi saranno al suo séguito. Ma notizie dall’oriente e dal settentrione lo spaventeranno ed egli partirà con grande furore, per distruggere e votare allo sterminio molti. Pianterà le tende del suo palazzo fra i mari e il bel monte santo; poi giungerà alla sua fine e nessuno gli darà aiuto’”. “‘In quel tempo sorgerà Michele, il grande capo, il difensore dei figli del tuo popolo; vi sarà un tempo di angoscia, come non ce ne fu mai da quando esistono le nazioni fino a quell’epoca; in quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; tutti quelli, cioè, che saranno trovati iscritti nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna, per una eterna infamia. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che ne avranno condotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle, in eterno. Tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro fino al tempo della fine; molti lo studieranno con cura e la conoscenza aumenterà’. Poi, io, Daniele, guardai, ed ecco altri due uomini in piedi: l’uno su questa sponda del fiume, e l’altro sulla sponda opposta. Uno di essi disse all’uomo vestito di lino che stava sopra le acque del fiume: ‘Quando sarà la fine di queste cose meravigliose?’. Io udii l’uomo vestito di lino, che stava sopra le acque del fiume, il quale, alzata la mano destra e la mano sinistra al cielo, giurò per colui che vive in eterno: ‘Ciò sarà per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo; quando la forza del popolo santo sarà interamente infranta, allora tutte queste cose si compiranno’. Io udii, ma non compresi e dissi: ‘Mio signore, quale sarà la fine di queste cose?’. Egli rispose: ‘Va’, Daniele; poiché queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine. Molti saranno purificati, imbiancati, affinati; ma gli empi agiranno empiamente e nessuno degli empi capirà, ma capiranno i saggi. Dal tempo che sarà soppresso il sacrificio continuo e sarà rizzata l’abominazione della desolazione, vi saranno milleduecentonovanta giorni. Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni! Ma tu avviati verso la fine; ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei giorni’”. La parola dell’Eterno che fu rivolta a Osea, figlio di Beeri, al tempo di Uzzia, di Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele. Quando l’Eterno cominciò a parlare a Osea gli disse: “Va’, prenditi in moglie una prostituta e genera dei figli di prostituzione; perché il paese si prostituisce, abbandonando l’Eterno”. Egli andò e prese Gomer, figlia di Diblaim: lei concepì e gli partorì un figlio. L’Eterno gli disse: “Chiamalo Izreel, poiché tra un po’ io punirò la casa di Ieu a causa del sangue sparso a Izreel e porrò fine al regno della casa d’Israele. In quel giorno avverrà che io spezzerò l’arco d’Israele nella valle di Izreel”. Lei concepì di nuovo e partorì una figlia. L’Eterno disse a Osea: “Chiamala Lo-Ruama; perché io non avrò più compassione della casa d’Israele in modo da perdonarla. Ma avrò compassione della casa di Giuda; li salverò mediante l’Eterno, il loro Dio; non li salverò con l’arco, né con la spada, né con la battaglia, né con cavalli, né con cavalieri”. Quando lei ebbe divezzato Lo-Ruama, concepì e partorì un figlio. L’Eterno disse a Osea: “Chiamalo Lo-Ammi; poiché voi non siete mio popolo e io non sono vostro. Tuttavia, il numero dei figli d’Israele sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. Avverrà che invece di dire loro, come si diceva: ‘Voi non siete mio popolo’, sarà loro detto: ‘Siete figli dell’Iddio vivente’. I figli di Giuda e i figli d’Israele si raduneranno assieme, si daranno un unico capo e saliranno fuori dal paese; poiché sarà grande il giorno di Izreel”. “Dite ai vostri fratelli: ‘Ammi!’ e alle vostre sorelle ‘Ruama!’. Contendete con vostra madre, contendete! poiché lei non è mia moglie, né io sono suo marito! Si tolga dalla faccia le sue prostituzioni, e i suoi adultèri dal suo petto; altrimenti io la spoglierò nuda, la metterò come era nel giorno che nacque, la renderò simile a un deserto, la ridurrò come una terra arida e la farò morire di sete. Non avrò pietà dei suoi figli, perché sono figli di prostituzione; perché la loro madre si è prostituita; colei che li ha concepiti ha fatto cose vergognose, poiché ha detto: ‘Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane, la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande’. Perciò, ecco, io ti sbarrerò la via con delle spine; la circonderò di un muro, così che non troverà più i suoi sentieri. Correrà dietro ai suoi amanti, ma non li raggiungerà; li cercherà, ma non li troverà. Allora dirà: ‘Tornerò al mio primo marito, perché allora stavo meglio di adesso’. Lei non ha riconosciuto che ero io che le davo il grano, il vino, l’olio, e che le prodigavo l’argento e l’oro che essi hanno usato per Baal! Perciò io riprenderò il mio grano a suo tempo e il mio vino nella sua stagione; le strapperò la mia lana e il mio lino, che servivano a coprire la sua nudità. Ora scoprirò la sua vergogna agli occhi dei suoi amanti, e nessuno la salverà dalla mia mano. Farò cessare tutte le sue gioie, le sue feste, i suoi noviluni, i suoi sabati e tutte le sue solennità. Devasterò le sue vigne e i suoi fichi, di cui diceva: ‘Sono il compenso che mi hanno dato i miei amanti’; li ridurrò in un bosco e le bestie della campagna li divoreranno. La punirò a causa dei giorni dei Baali, quando bruciava loro incenso, si adornava dei suoi pendenti e dei suoi gioielli, seguiva i suoi amanti, e dimenticava me”, dice l’Eterno. “Perciò, ecco, io la attrarrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Di là le darò le sue vigne e la valle di Acor come porta di speranza; là mi risponderà come ai giorni della sua gioventù, come ai giorni che uscì fuori dal paese d’Egitto. In quel giorno avverrà”, dice l’Eterno, “che tu mi chiamerai: ‘Marito mio!’ e non mi chiamerai più: ‘Mio Baal!’. Io toglierò dalla sua bocca i nomi dei Baali, e il loro nome non sarà più pronunciato. In quel giorno io farò per loro un patto con le bestie dei campi, con gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; spezzerò e allontanerò dal paese l’arco, la spada, la guerra, e farò in modo che essi riposino al sicuro. Io ti fidanzerò a me per l’eternità; ti fidanzerò a me in giustizia, in equità, in benevolenza e in compassioni. Ti fidanzerò a me in fedeltà e tu conoscerai l’Eterno. In quel giorno avverrà che io ti risponderò”, dice l’Eterno, “risponderò al cielo, ed esso risponderà alla terra; e la terra risponderà al grano, al vino, all’olio, e questi risponderanno a Izreel. Io lo seminerò per me in questa terra e avrò compassione di Lo-Ruama; dirò a Lo-Ammi: ‘Tu sei il mio popolo!’, ed egli mi risponderà: ‘Mio Dio!’”. L’Eterno mi disse: “Va’ ancora, ama una donna amata da un altro e adultera, come l’Eterno ama i figli d’Israele, i quali anche loro si rivolgono ad altri dèi e amano le schiacciate d’uva”. Io me la comprai dunque per quindici sicli d’argento, per un omer di orzo e per un letec di orzo, e le dissi: “Aspettami per parecchio tempo: non ti prostituire e non darti a nessun uomo; io farò lo stesso per te”. Poiché i figli d’Israele staranno per parecchio tempo senza re, senza capo, senza sacrificio e senza statua, senza efod e senza idoli domestici. Poi i figli d’Israele torneranno a cercare l’Eterno, il loro Dio, e Davide, loro re, e ricorreranno tremanti all’Eterno e alla sua bontà, negli ultimi giorni. Ascoltate la parola dell’Eterno, o figli d’Israele; poiché l’Eterno ha una contestazione con gli abitanti del paese, perché non c’è né verità, né misericordia, né conoscenza di Dio nel paese. “Si spergiura, si mente, si uccide, si ruba, si commette adulterio; si rompe ogni limite, si versa sangue su sangue. Per questo il paese sarà in lutto, tutti quelli che lo abitano languiranno; con loro le bestie della campagna e gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare scompariranno. Tuttavia, nessuno contesti, nessuno rimproveri! poiché il tuo popolo è come quelli che contendono con il sacerdote. Perciò tu cadrai di giorno e anche il profeta cadrà con te di notte; e io distruggerò tua madre. Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza. Poiché tu hai rifiutato la conoscenza, anche io rifiuterò di averti come sacerdote; poiché tu hai dimenticato la legge del tuo Dio, anche io dimenticherò i tuoi figli. Più si sono moltiplicati e più hanno peccato contro di me; io cambierò la loro gloria in vergogna. Si nutrono dei peccati del mio popolo e il loro cuore brama la sua iniquità. Il sacerdote avrà la stessa sorte del popolo: io lo punirò per la sua condotta e gli darò la retribuzione delle sue azioni. Mangeranno, ma non saranno saziati; si prostituiranno, ma non moltiplicheranno, perché hanno abbandonato il servizio dell’Eterno. Prostituzione, vino e mosto tolgono il senno. Il mio popolo consulta il suo legno e il suo bastone gli dà delle istruzioni; poiché lo spirito della prostituzione lo svia, egli si prostituisce, allontanandosi dal suo Dio. Sacrificano sulla cima dei monti, bruciano incenso sui colli, sotto la quercia, il pioppo e il terebinto, perché la loro ombra è buona; perciò le vostre figlie si prostituiscono e le vostre nuore commettono adulterio. Io non punirò le vostre figlie perché si prostituiscono, né le vostre nuore perché commettono adulterio; poiché essi stessi si appartano con le prostitute e sacrificano con donne immorali; il popolo, che è senza intelletto, corre alla rovina. Se tu, o Israele, ti prostituisci, Giuda almeno non si renda colpevole! Non andate a Ghilgal, non salite a Bet-Aven, e non giurate dicendo: ‘L’Eterno vive!’. Poiché Israele è ribelle come una giovenca ribelle, ora l’Eterno lo farà pascere come un agnello in un luogo spazioso? Efraim si è unito agli idoli; lascialo! Quando hanno finito di sbevazzare si danno alla prostituzione; i loro capi amano con passione l’infamia. Il vento si legherà Efraim alle proprie ali ed essi avranno vergogna dei loro sacrifici. Ascoltate questo, o sacerdoti! State attenti, voi della casa d’Israele! Porgete l’orecchio, voi della casa del re! Poiché questo giudizio è contro di voi, perché siete stati un laccio a Mispa, e una rete tesa sul Tabor. Con i loro sacrifici rendono più profonde le loro infedeltà, ma io li castigherò tutti. Io conosco Efraim, e Israele non mi è ignoto; poiché ora, o Efraim, ti sei prostituito, e Israele si è contaminato. Le loro azioni non permettono di tornare al loro Dio; poiché lo spirito di prostituzione è in loro e non conoscono l’Eterno. Ma l’orgoglio d’Israele testimonia contro di lui. Israele ed Efraim cadranno per la loro iniquità; anche Giuda cadrà con loro. Andranno con le loro greggi e con le loro mandrie in cerca dell’Eterno, ma non lo troveranno; egli si è ritirato da loro. Hanno agito perfidamente contro l’Eterno, poiché hanno generato dei figli bastardi; ora basterà un mese a divorarli con i loro beni. Suonate il corno a Ghibea, suonate la tromba a Rama! Date l’allarme a Bet-Aven! Sono alle tue spalle, o Beniamino! Efraim sarà devastato nel giorno del castigo; io annuncio fra le tribù d’Israele una cosa certa. I capi di Giuda sono come quelli che spostano i confini; io riverserò la mia ira su di loro come acqua. Efraim è oppresso, schiacciato nel suo diritto, perché ha seguito i precetti che più gli piacevano; perciò io sono come una tignola per Efraim, e come un tarlo per la casa di Giuda. Quando Efraim ha visto il suo male e Giuda la sua piaga, Efraim è andato verso l’Assiria, e ha mandato dei messaggeri a un re perché lo difendesse; ma questi non potrà risanarvi, né vi guarirà della vostra piaga. Poiché io sarò come un leone per Efraim e come un leoncello per la casa di Giuda; io, io dilanierò e me ne andrò; li porterò via, e non vi sarà chi li salvi. Io me ne andrò e tornerò al mio luogo, finché essi non si riconoscano colpevoli e cerchino la mia faccia; quando saranno nell’angoscia, ricorreranno a me. Diranno: ‘Venite, torniamo all’Eterno, perché egli ha strappato, ma ci guarirà; ha percosso, ma ci fascerà. In due giorni ci ridarà la vita; il terzo giorno ci rimetterà in piedi, e noi vivremo alla sua presenza. Conosciamo l’Eterno, sforziamoci di conoscerlo! La sua venuta è certa, come quella dell’aurora; egli verrà a noi come la pioggia, come la pioggia di primavera che annaffia la terra’. Che ti farò, o Efraim? Che ti farò, o Giuda? La vostra bontà è come una nuvola mattutina, come la rugiada che al mattino scompare. Per questo li taglio con la scure dei profeti, li uccido con le parole della mia bocca, e il mio giudizio verrà fuori come la luce. Poiché io desidero la bontà e non i sacrifici, la conoscenza di Dio anziché gli olocausti. Ma essi, come Adamo, hanno trasgredito il patto, si sono comportati perfidamente verso di me. Galaad è una città di malfattori, è piena di tracce di sangue. Come una banda di briganti aspetta in agguato la gente, così fa la congrega dei sacerdoti: assassinano sulla via di Sichem, commettono malvagità. Nella casa d’Israele ho visto cose orribili: là si è prostituito Efraim! là Israele si contamina. A te pure, o Giuda, una mietitura è assegnata, quando io ricondurrò dall’esilio il mio popolo. Quando ho voluto guarire Israele, allora si è scoperta l’iniquità di Efraim e la malvagità di Samaria; poiché praticano la falsità; il ladro entra, e i briganti fanno incursioni fuori. Non pensano in cuor loro che io ricordo tutta la loro malvagità. Ora le loro azioni li circondano; esse sono davanti a me. Essi rallegrano il re con la loro malvagità, e i capi con le loro menzogne. Sono tutti degli adùlteri; sono ardenti come un forno scaldato dal fornaio, che smette di attizzare il fuoco dopo che ha impastato la pasta e aspetta che sia lievitata. Nel giorno del nostro re, i capi si sono ammalati a forza di scaldarsi con il vino; il re stende la mano ai giullari. Nelle loro insidie, essi rendono il loro cuore simile a un forno; il loro fornaio dorme tutta la notte e la mattina il forno arde come un fuoco divampante. Tutti sono ardenti come un forno e divorano i loro governanti; tutti i loro re cadono, non ce n’è uno tra di loro che gridi a me. Efraim si mescola con i popoli, Efraim è una focaccia non rivoltata. Degli stranieri divorano la sua forza, ed egli non ci bada; dei capelli bianchi gli appaiono qua e là sul capo, ed egli non se ne accorge. L’orgoglio d’Israele testimonia contro di lui, ma essi non tornano all’Eterno, al loro Dio, e non lo cercano, nonostante tutto questo. Efraim è come una colomba stupida e senza giudizio; essi invocano l’Egitto, vanno in Assiria. Mentre andranno, io stenderò su di loro la mia rete; ve li farò cadere, come gli uccelli del cielo; li castigherò, come è stato annunciato alla loro comunità. Guai a loro, perché si sono sviati da me! Rovina su di loro perché si sono ribellati a me! Io li redimerei, ma essi dicono menzogne contro di me. Non gridano a me con il loro cuore, ma si lamentano sui loro letti; si radunano ansiosi per il grano e il vino, e si ribellano a me! Io li ho educati, ho fortificato le loro braccia, ma essi tramano del male contro di me. Essi tornano, ma non all’Altissimo; sono diventati come un arco fallace; i loro capi cadranno per la spada, a causa della rabbia della loro lingua; nel paese d’Egitto si faranno beffe di loro. Metti in bocca il corno! Come un’aquila, piomba il nemico sulla casa dell’Eterno, perché hanno violato il mio patto, hanno trasgredito la mia legge. Essi grideranno a me: ‘Mio Dio, noi d’Israele ti conosciamo!’. Israele ha rigettato il bene; il nemico lo inseguirà. Si sono costituiti dei re, senza il mio ordine; si sono eletti dei capi a mia insaputa; si sono fatti, con il loro argento e con il loro oro, degli idoli destinati a essere distrutti. Il tuo vitello, o Samaria, è un’abominazione. La mia ira è accesa contro di loro; quanto tempo passerà prima che possano essere assolti? Poiché viene da Israele anche questo vitello; un operaio lo ha fatto e non è un dio; infatti il vitello di Samaria sarà ridotto in frantumi. Poiché costoro seminano vento e raccoglieranno tempesta; la semenza non farà stelo, i germogli non daranno farina e, se ne facessero, gli stranieri la divorerebbero. Israele è divorato; essi sono diventati fra le nazioni come un vaso che non viene apprezzato. Poiché sono saliti in Assiria, come un asino selvatico cui piace stare solitario; Efraim con i suoi doni si è procurato degli amanti. Benché spandano i loro doni fra le nazioni, ora io li radunerò e cominceranno a diminuire sotto il peso del re dei principi. Efraim ha moltiplicato gli altari per peccare e gli altari lo faranno cadere in peccato. Anche se scrivessi per lui le mie leggi a miriadi, sarebbero considerate come cosa che non lo riguarda. Quanto ai sacrifici che mi offrono, immolano carne e la mangiano; l’Eterno non li gradisce. Ora l’Eterno si ricorderà della loro iniquità, e punirà i loro peccati; essi torneranno in Egitto. Israele ha dimenticato colui che li ha fatti e ha costruito palazzi. Giuda ha moltiplicato le città fortificate; ma io manderò il fuoco nelle loro città, ed esso divorerà i loro castelli”. Non ti rallegrare, o Israele, fino all’esultanza, come i popoli; poiché ti sei prostituito, abbandonando il tuo Dio; hai amato il salario della prostituzione sopra tutte le aie da frumento! L’aia e il frantoio non li nutriranno e il mosto deluderà la loro speranza. Non abiteranno nel paese dell’Eterno, ma Efraim tornerà in Egitto e in Assiria, mangeranno cibi impuri. Non faranno più libazioni di vino all’Eterno e i loro sacrifici non gli saranno graditi; saranno per loro come un cibo di lutto; chiunque ne mangerà sarà contaminato; poiché il loro pane sarà per loro soltanto, non entrerà nella casa dell’Eterno. Che farete nei giorni delle solennità e nei giorni di festa dell’Eterno? Poiché, ecco, essi se ne vanno a causa della devastazione; l’Egitto li raccoglierà, Menfi li seppellirà; le loro cose preziose, comprate con denaro, le possederanno le ortiche; le spine cresceranno nelle loro tende. I giorni della punizione vengono; vengono i giorni della retribuzione; Israele lo saprà! Il profeta impazzisce, l’uomo ispirato è in delirio, a causa della grandezza della tua iniquità e della grandezza della tua ostilità: Efraim fa la sentinella davanti al mio Dio; ma il profeta trova un laccio di uccellatore su tutte le sue vie, e ostilità nella casa del suo Dio. Essi si sono profondamente corrotti come ai giorni di Ghibea! L’Eterno si ricorderà della loro iniquità, punirà i loro peccati. “Io trovai Israele come uva nel deserto; vidi i vostri padri come i fichi primaticci di un fico al suo primo frutto; ma, appena giunsero a Baal-Peor, si appartarono per darsi alla vergogna degli idoli, e diventarono abominevoli come la cosa che amavano. La gloria di Efraim volerà via come un uccello; non più nascite, non più gravidanze, non più concepimenti! Anche se allevano i loro figli, io li priverò di essi, in modo che non rimanga loro nessun uomo; sì, guai a loro quando li abbandonerò! Quando allungo lo sguardo fino a Tiro, vedo Efraim piantato in un luogo gradevole; ma Efraim dovrà condurre i suoi figli a colui che li ucciderà”. Da’ loro, o Eterno! Che darai loro? Da’ loro un seno che abortisce e delle mammelle asciutte. “Tutta la loro malvagità è a Ghilgal; là li ho presi in odio. Per la malvagità delle loro azioni io li scaccerò dalla mia casa; non li amerò più; tutti i loro capi sono ribelli. Efraim è colpito, la sua radice è seccata; essi non faranno più frutto; anche se generassero, io farei morire i cari frutti del loro grembo”. Il mio Dio li rigetterà, perché non gli hanno dato ascolto; essi andranno errando fra le nazioni. Israele era una vigna rigogliosa che dava frutto in abbondanza; più abbondava il suo frutto, più moltiplicava gli altari; più bello era il suo paese, più belle faceva le sue statue. Il loro cuore è ingannatore; ora ne porteranno la pena; egli abbatterà i loro altari, distruggerà le loro statue. Sì, allora diranno: “Non abbiamo più re, perché non abbiamo temuto l’Eterno; il re che potrebbe fare per noi”. Essi dicono delle parole, giurano il falso, fanno patti; perciò il castigo germoglia, come erba velenosa nei solchi dei campi. Gli abitanti di Samaria tremeranno per le vitelle di Bet-Aven; sì, il popolo farà cordoglio per l’idolo, e i suoi sacerdoti tremeranno per esso, per la sua gloria, perché essa si allontanerà da lui. L’idolo stesso sarà portato in Assiria, come un dono al re difensore; la confusione si impadronirà di Efraim, e Israele sarà coperto di vergogna per i suoi disegni. Quanto a Samaria, il suo re sarà annientato, come schiuma sull’acqua. Anche gli alti luoghi di Aven, peccato d’Israele, saranno distrutti. Le spine e i rovi cresceranno sui loro altari; essi diranno ai monti: “Copriteci!” e ai colli: “Cadeteci addosso!”. Fin dai giorni di Ghibea tu hai peccato, o Israele! Là essi resistettero, perché la guerra, mossa ai figli dell’iniquità, non li colpisse in Ghibea. Io li castigherò a mio piacimento; i popoli si raduneranno contro di loro, quando saranno legati alla loro duplice iniquità. Efraim è una giovenca bene ammaestrata che ama trebbiare; ma io metterò il mio giogo sul suo bel collo; attaccherò Efraim al carro, Giuda arerà, Giacobbe erpicherà. Seminate secondo giustizia, raccogliete secondo misericordia, dissodatevi un campo nuovo! Poiché è tempo di cercare l’Eterno, finché egli venga e spanda su di voi la pioggia della giustizia. Voi avete arato la malvagità, avete raccolto l’iniquità, avete mangiato il frutto della menzogna; poiché tu hai confidato nelle tue vie, nella moltitudine dei tuoi guerrieri. Perciò ci sarà un tumulto fra il tuo popolo e tutte le tue fortezze saranno distrutte, come Salman distrusse Bet-Arbel, il giorno della battaglia, quando la madre fu schiacciata con i figli. Così vi farà Betel, a causa della vostra immensa malvagità. All’alba, il re d’Israele sarà perduto senza rimedio. “Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori dall’Egitto. Egli è stato chiamato, ma si è allontanato da chi lo chiamava; hanno sacrificato ai Baali, hanno offerto profumi a immagini scolpite! Sono io che insegnai a Efraim a camminare, sorreggendolo per le braccia; ma essi non hanno riconosciuto che io cercavo di guarirli. Io li attiravo con corde umane, con legami d’amore; ero per loro come chi solleva il giogo dalle mascelle, e porgevo loro dolcemente da mangiare. Israele non tornerà nel paese d’Egitto; ma l’Assiro sarà il suo re, perché hanno rifiutato di convertirsi. La spada sarà brandita contro le sue città, ne spezzerà le sbarre, ne divorerà gli abitanti, a causa dei loro disegni. Il mio popolo persiste a sviarsi da me; lo si invita a guardare in alto, ma nessuno di essi alza lo sguardo. Come farei a lasciarti, o Efraim? Come farei a darti in mano altrui, o Israele? a renderti simile ad Adma? a ridurti allo stato di Seboim? Il mio cuore si commuove tutto dentro di me, tutte le mie compassioni si accendono. Io non sfogherò la mia ira ardente, non distruggerò Efraim di nuovo, perché sono Dio e non un uomo, sono il Santo in mezzo a te, e non verrò nel mio furore. Essi seguiranno l’Eterno, che ruggirà come un leone, poiché egli ruggirà e i figli accorreranno in fretta dall’occidente. Accorreranno in fretta dall’Egitto come uccelli, e dal paese d’Assiria come colombe; io li farò abitare nelle loro case”, dice l’Eterno. “Efraim mi circonda di menzogne e la casa d’Israele di frode. Anche Giuda è sempre ancora incostante di fronte a Dio, di fronte al Santo fedele. Efraim si pasce di vento e va dietro al vento orientale; ogni giorno moltiplica le menzogne e le violenze; fa alleanza con l’Assiria e porta dell’olio in Egitto. L’Eterno è anche in lite con Giuda e punirà Giacobbe per il suo comportamento, gli renderà secondo le sue opere. Nel grembo materno egli prese il fratello per il calcagno e, nel suo vigore, lottò con Dio; lottò con l’angelo e restò vincitore; egli pianse e lo supplicò. A Betel lo trovò, là egli parlò con noi. L’Eterno è l’Iddio degli eserciti; il suo nome è l’Eterno. Tu, dunque, torna al tuo Dio, pratica la misericordia e la giustizia e spera sempre nel tuo Dio. Efraim è un Cananeo che tiene in mano bilance false; egli ama frodare. Efraim dice: ‘È vero, io mi sono arricchito, mi sono acquistato dei beni; però, in tutti i frutti delle mie fatiche non si troverà nessuna mia iniquità, niente di peccaminoso’. Ma io sono l’Eterno, il tuo Dio, fin dal paese d’Egitto: io ti farò ancora abitare in tende, come nei giorni di solennità. Ho parlato ai profeti, ho moltiplicato le visioni, e per mezzo dei profeti ho proposto parabole. Se Galaad è vanità, sarà ridotto in nulla. A Ghilgal sacrificano buoi; così i loro altari saranno come mucchi di pietre nei solchi dei campi. Giacobbe fuggì nella pianura di Aram, Israele servì per una moglie, e per una moglie si fece guardiano di greggi. Mediante un profeta, l’Eterno condusse Israele fuori d’Egitto; Israele fu custodito da un profeta. Efraim ha provocato amaramente il suo Signore; perciò egli gli farà ricadere addosso il sangue che ha versato e farà ricadere su di lui la sua vergogna. Quando Efraim parlava, incuteva spavento; egli si era innalzato in Israele, ma, quando si rese colpevole servendo Baal, morì. Ora continuano a peccare, con il loro argento si fanno delle immagini fuse, degli idoli di loro invenzione, che sono tutti opera di artefici. Di loro si dice: ‘Sgozzano uomini, baciano vitelli!’. Perciò saranno come la nuvola mattutina, come la rugiada che al mattino scompare, come la pula che il vento porta via dall’aia, come il fumo che esce dalla finestra. Eppure, io sono l’Eterno, il tuo Dio, fin dal paese d’Egitto; tu non devi riconoscere altro Dio all’infuori di me, e all’infuori di me non c’è altro salvatore. Io ti conobbi nel deserto, nel paese della grande aridità. Quando avevano pastura, si saziavano; quando erano sazi, il loro cuore si inorgogliva; perciò mi dimenticarono. Perciò sono diventato per loro come un leone; li spierò sulla strada come un leopardo; li affronterò come un’orsa privata dei suoi piccoli e lacererò loro l’involucro del cuore; li divorerò come una leonessa, le belve dei campi li sbraneranno. È la tua perdizione, o Israele, l’essere contro di me, contro il tuo aiuto. Dov’è dunque il tuo re? Ti salvi egli in tutte le tue città! Dove sono i tuoi giudici, dei quali dicevi: ‘Dammi un re e dei capi!’? Io ti do un re nella mia ira e te lo riprendo nel mio furore. L’iniquità di Efraim è legata in fascio, il suo peccato è tenuto in serbo. Dolori di partoriente verranno per lui; egli è un figlio non saggio; poiché, quando è giunto il momento, non si presenta per nascere. Io li riscatterei dal potere del soggiorno dei morti, li redimerei dalla morte; sarei la tua peste, o morte, sarei la tua distruzione, o soggiorno dei morti; ma il loro pentimento è nascosto ai miei occhi! Egli sia pure fertile tra i suoi fratelli; il vento orientale verrà, il vento dell’Eterno, che sale dal deserto; le sue sorgenti saranno essiccate e le sue fonti prosciugate. Il nemico porterà via il tesoro dei suoi oggetti preziosi. Samaria sarà punita per la sua colpa, perché si è ribellata al suo Dio. Cadranno per la spada; i loro bambini saranno schiacciati, le loro donne incinte saranno sventrate”. O Israele, torna all’Eterno, al tuo Dio! poiché tu sei caduto per la tua iniquità. Preparate delle parole e tornate all’Eterno! Ditegli: “Perdona tutta l’iniquità e accetta questo bene; noi ti offriremo, invece di torelli, l’offerta di lode delle nostre labbra. L’Assiria non ci salverà, noi non monteremo più su cavalli e non diremo più ‘Dio nostro’ all’opera delle nostre mani; poiché presso di te l’orfano trova misericordia”. “Io guarirò la loro infedeltà, io li amerò di cuore, poiché la mia ira si è distolta da loro. Io sarò per Israele come la rugiada; egli fiorirà come il giglio e spanderà le sue radici come il Libano. I suoi rami si estenderanno; la sua bellezza sarà come quella dell’ulivo e la sua fragranza come quella del Libano. Quelli che abiteranno alla sua ombra faranno di nuovo crescere il grano e fioriranno come la vite; saranno famosi come il vino del Libano. Efraim potrà dire: ‘Che ho più a che fare con gli idoli?’. Io lo esaudirò e veglierò su di lui; io, che sono come un verdeggiante cipresso; da me verrà il tuo frutto”. Chi è saggio faccia attenzione a queste cose! Chi è intelligente le riconosca! Poiché le vie dell’Eterno sono rette; i giusti cammineranno per esse, ma i trasgressori vi cadranno. La parola dell’Eterno rivolta a Gioele, figlio di Petuel. Udite questo, o vecchi! Porgete orecchio, voi tutti abitanti del paese! È mai avvenuta una cosa simile ai giorni vostri o ai giorni dei vostri padri? Raccontatelo ai vostri figli, e i vostri figli ai loro figli, e i loro figli alla generazione seguente! L’avanzo lasciato dal bruco lo ha mangiato il grillo; l’avanzo lasciato dal grillo lo ha mangiato la cavalletta; l’avanzo lasciato dalla cavalletta, lo ha mangiato la locusta. Svegliatevi, ubriachi, e piangete! Gemete voi tutti, bevitori di vino, poiché il vino nuovo vi è tolto dalla bocca! Un popolo forte e innumerevole è salito contro il mio paese. I suoi denti sono denti di leone e ha mascelle da leonessa. Ha devastato la mia vigna, ha fatto a pezzi i miei fichi, ha tolto loro la corteccia e li ha lasciati là, con i rami tutti bianchi. Piangi come una vergine vestita di sacco che piange lo sposo della sua giovinezza! Offerte e libazioni sono scomparse dalla casa dell’Eterno; i sacerdoti, ministri dell’Eterno, fanno cordoglio. La campagna è devastata, la terra fa cordoglio, perché il grano è distrutto, il mosto è inaridito e l’olio manca. Siate confusi, o agricoltori, gemete, o viticultori, a causa del grano e dell’orzo, perché il raccolto dei campi è perduto. La vite è secca, il fico è inaridito; il melograno, la palma, il melo, tutti gli alberi della campagna sono secchi; la gioia è scomparsa tra i figli degli uomini. Vestitevi di sacchi e fate cordoglio, o sacerdoti! Urlate, voi ministri dell’altare! Venite, passate la notte vestiti di sacco, o ministri del mio Dio! poiché le offerte e le libazioni sono scomparse dalla casa del nostro Dio. Proclamate un digiuno, convocate una solenne assemblea! Riunite gli anziani, tutti gli abitanti del paese, nella casa dell’Eterno, del vostro Dio e gridate all’Eterno! Ahi, che giorno! Poiché il giorno dell’Eterno è vicino, e verrà come una devastazione mandata dall’Onnipotente. Non ci è forse stato tolto il cibo davanti ai nostri occhi? La gioia e l’esultanza non sono forse scomparse dalla casa del nostro Dio? I semi marciscono sotto le zolle, i depositi sono vuoti, i granai cadono in rovina, perché il grano è venuto a mancare. Oh, come geme il bestiame! Le mandrie vanno errando, perché non c’è pastura per loro; anche le greggi di pecore soffrono. A te, o Eterno, io grido, perché un fuoco ha divorato i pascoli del deserto e una fiamma ha bruciato tutti gli alberi della campagna. Anche le bestie dei campi desiderano te, perché i corsi d’acqua sono asciutti, e un fuoco ha divorato i pascoli del deserto. Suonate la tromba in Sion! Date l’allarme sul mio monte santo! Tremino tutti gli abitanti del paese, poiché il giorno dell’Eterno viene, è vicino, giorno di tenebre, di densa oscurità, giorno di nubi, di fitta nebbia! Come l’aurora, si spande sui monti un popolo numeroso e potente, come non si è mai visto prima, né mai più si vedrà dopo, negli anni delle generazioni future. Davanti a lui un fuoco divora e dietro di lui divampa una fiamma; prima di lui il paese era come il giardino dell’Eden; dopo di lui è un deserto desolato; nulla gli sfugge. A vederli, sembrano cavalli, corrono come dei cavalieri. Sembra un fragore di carri quando saltano sulle vette dei monti; crepitano come la fiamma che brucia la stoppia; sono come un popolo poderoso schierato in battaglia. Davanti a loro i popoli sono in angoscia, ogni volto impallidisce. Corrono come uomini prodi, scalano le mura come guerrieri; ognuno va diritto davanti a sé e non devia dal proprio sentiero; nessuno spinge il suo vicino, ognuno avanza per la sua strada; si slanciano in mezzo alle frecce, non rompono le file. Invadono la città, corrono sulle mura; salgono sulle case, entrano per le finestre come un ladro. Davanti a loro trema la terra, i cieli sono scossi, il sole e la luna si oscurano, le stelle ritirano il loro splendore. L’Eterno fa sentire la sua voce davanti al suo esercito, perché il suo campo è immenso e l’esecutore della sua parola è potente. Sì, il giorno dell’Eterno è grande, oltremodo terribile; chi lo potrà sostenere? “Tuttavia, anche adesso”, dice l’Eterno, “tornate a me con tutto il vostro cuore, con digiuni, con pianti, con lamenti!”. Stracciatevi il cuore, non le vesti; tornate all’Eterno, al vostro Dio, poiché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e pieno di bontà, e si pente del male che manda. Può darsi che egli torni e si penta, lasciando dietro a sé una benedizione, delle offerte e delle libazioni per l’Eterno, per il vostro Dio. Suonate la tromba in Sion, proclamate un digiuno, convocate un’assemblea solenne! Radunate il popolo, santificate un’assemblea! Radunate i vecchi, i fanciulli e quelli che poppano ancora! Esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dalla camera nuziale! Fra il portico e l’altare piangano i sacerdoti, ministri dell’Eterno, e dicano: “Risparmia, o Eterno, il tuo popolo, non esporre la tua eredità all’infamia, allo scherno delle nazioni! Perché dovrebbero dire fra i popoli: ‘Dov’è il loro Dio?’”. L’Eterno ha provato gelosia per il suo paese e ha avuto pietà del suo popolo. L’Eterno ha risposto e ha detto al suo popolo: “Ecco, io vi manderò del grano, del vino, dell’olio, e voi ne sarete saziati; non vi esporrò più all’infamia tra le nazioni. Allontanerò da voi il nemico che viene dal settentrione e lo respingerò in una terra arida e desolata; la sua avanguardia, verso il mare orientale; la sua retroguardia, verso il mare occidentale; la sua infezione salirà, aumenterà il suo fetore, perché ha fatto cose grandi. Non temere, o terra del paese, gioisci, rallegrati, poiché l’Eterno ha fatto cose grandi! Non temete, o bestie della campagna, perché i pascoli del deserto rinverdiscono, perché gli alberi portano il loro frutto, il fico e la vite producono abbondantemente! Voi, figli di Sion, gioite, rallegratevi nell’Eterno, nel vostro Dio, perché vi dà la pioggia autunnale in giusta misura e fa cadere per voi la pioggia, quella autunnale e quella primaverile, come in passato. Le aie saranno piene di grano e i tini traboccheranno di vino e di olio; vi compenserò delle annate divorate dal grillo, dalla cavalletta, dalla locusta e dal bruco, il grande esercito che avevo mandato contro di voi. Voi mangerete a sazietà e loderete il nome dell’Eterno, del vostro Dio, che avrà operato per voi delle meraviglie, e il mio popolo non sarà mai più coperto di vergogna. Voi conoscerete che io sono in mezzo a Israele, che io sono l’Eterno, il vostro Dio, e non ce n’è nessun altro; il mio popolo non sarà mai più coperto di vergogna”. “Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio Spirito sopra ogni carne, i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi avranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni. Anche sui servi e sulle serve, spanderò il mio Spirito in quei giorni. Farò dei prodigi nei cieli e sulla terra: sangue, fuoco e colonne di fumo. Il sole sarà cambiato in tenebre, la luna in sangue prima che venga il grande e terribile giorno dell’Eterno. Avverrà che chiunque invocherà il nome dell’Eterno sarà salvato; poiché sul monte Sion e in Gerusalemme ci sarà salvezza, come ha detto l’Eterno, così pure fra i superstiti che l’Eterno chiamerà”. “Poiché ecco, in quei giorni, in quel tempo, quando ricondurrò dall’esilio quelli di Giuda e di Gerusalemme, io radunerò tutte le nazioni e le farò scendere nella valle di Giosafat. Là chiamerò in giudizio a proposito del mio popolo Israele, la mia eredità, che esse hanno disperso fra le nazioni, e del mio paese che hanno spartito fra loro. Hanno tirato a sorte il mio popolo; hanno dato un ragazzo in cambio di una prostituta, hanno venduto una ragazza per del vino, e si sono messi a bere. Anche voi, Tiro e Sidone, e voi tutte regioni della Filistia, cosa pretendete da me? Volete darmi una retribuzione, o volete fare del male contro di me? Subito, in un attimo, io farò ricadere la vostra retribuzione sul vostro capo, poiché avete preso il mio argento e il mio oro, e avete portato nei vostri templi il meglio delle mie cose preziose, e avete venduto ai figli di Iavan i figli di Giuda e i figli di Gerusalemme, per allontanarli dai loro confini. Ecco, io li farò muovere dal luogo dove voi li avete venduti, e farò ricadere la vostra retribuzione sul vostro capo; venderò i vostri figli e le vostre figlie ai figli di Giuda, che li venderanno ai Sabei, nazione lontana”; poiché l’Eterno ha parlato. Proclamate questo fra le nazioni! Preparate la guerra! Risvegliate i prodi! Si accostino, salgano tutti gli uomini di guerra! Fabbricate spade con i vostri vomeri e lance con le vostre roncole! Dica il debole: “Sono forte!”. Affrettatevi, venite, nazioni circostanti, e radunatevi! Là, o Eterno, fa’ scendere i tuoi prodi! “Le nazioni si muovano e salgano alla valle di Giosafat! Poiché là io mi metterò seduto a giudicare le nazioni circostanti. Mettete mano alla falce, poiché la mèsse è matura! Venite, pigiate, poiché il torchio è pieno, i tini traboccano; poiché grande è la loro malvagità”. Moltitudini! moltitudini nella valle del Giudizio! Poiché il giorno dell’Eterno è vicino, nella valle del Giudizio. Il sole e la luna si oscurano e le stelle perdono il loro splendore. L’Eterno ruggirà da Sion, farà sentire la sua voce da Gerusalemme, e i cieli e la terra saranno scossi; ma l’Eterno sarà un rifugio per il suo popolo, una fortezza per i figli d’Israele. “Voi saprete che io sono l’Eterno, il vostro Dio, che abita in Sion, il mio monte santo; Gerusalemme sarà santa e gli stranieri non vi passeranno più. In quel giorno avverrà che i monti stilleranno mosto, il latte scorrerà dai colli e l’acqua fluirà da tutti i ruscelli di Giuda; dalla casa dell’Eterno sgorgherà una fonte che irrigherà la valle di Sittim. L’Egitto diventerà una desolazione, Edom diventerà un deserto disabitato a causa della violenza fatta ai figli di Giuda e del sangue innocente sparso sulla loro terra. Ma Giuda esisterà per sempre, e Gerusalemme di generazione in generazione. Io vendicherò il loro sangue, non lo lascerò impunito; l’Eterno dimorerà in Sion”. Parole di Amos, uno dei pastori di Tecoa, che ebbe in visione riguardo a Israele, al tempo di Uzzia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele, due anni prima del terremoto. Egli disse: “L’Eterno ruggisce da Sion e fa sentire la sua voce da Gerusalemme; i pascoli dei pastori sono desolati e la vetta del Carmelo è inaridita”. Così parla l’Eterno: “Per tre misfatti di Damasco, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Poiché hanno trebbiato Galaad con trebbie di ferro, io manderò nella casa di Azael un fuoco che divorerà i palazzi di Ben-Adad; spezzerò le sbarre di Damasco, sterminerò ogni abitante da Bicat-Aven e colui che tiene lo scettro da Bet-Eden; il popolo di Siria andrà in esilio a Chir”, dice l’Eterno. Così parla l’Eterno: “Per tre misfatti di Gaza, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Poiché hanno deportato intere popolazioni per darle in mano a Edom, io manderò dentro le mura di Gaza un fuoco che ne divorerà i palazzi; sterminerò ogni abitante da Asdod e colui che tiene lo scettro da Ascalon; rivolgerò la mia mano contro Ecron e il resto dei Filistei perirà”, dice il Signore, l’Eterno. Così parla l’Eterno: “Per tre misfatti di Tiro, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Poiché hanno dato in mano a Edom intere popolazioni, da loro deportate, e non si sono ricordati del patto fraterno, io manderò dentro le mura di Tiro un fuoco che ne divorerà i palazzi”. Così parla l’Eterno: “Per tre misfatti di Edom, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Poiché ha inseguito suo fratello con la spada, soffocando ogni compassione, e poiché la sua ira lacera sempre ed egli serba la sua collera per sempre, io manderò in Teman un fuoco che divorerà i palazzi di Bosra”. Così parla l’Eterno: “Per tre misfatti dei figli di Ammon, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Poiché hanno sventrato le donne incinte di Galaad per allargare i loro confini, io accenderò dentro le mura di Rabba un fuoco che ne divorerà i palazzi in mezzo ai clamori di un giorno di battaglia, in mezzo alla burrasca in un giorno di tempesta; il loro re andrà in esilio insieme ai suoi capi”, dice l’Eterno. Così parla l’Eterno: “Per tre misfatti di Moab, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Poiché ha bruciato le ossa del re di Edom riducendole in calce, io manderò in Moab un fuoco che divorerà i palazzi di Cheriot; Moab perirà in mezzo al tumulto, alle grida di guerra e al suono delle trombe; in mezzo a esso sterminerò il giudice e ucciderò tutti i suoi capi con lui”, dice l’Eterno. Così parla l’Eterno: “Per tre misfatti di Giuda, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Poiché hanno disprezzato la legge dell’Eterno e non hanno osservato i suoi statuti, e poiché si sono lasciati sviare dai loro falsi dèi, dietro ai quali erano già andati i loro padri, io manderò in Giuda un fuoco che divorerà i palazzi di Gerusalemme”. Così parla l’Eterno: “Per tre misfatti d’Israele, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Poiché vendono il giusto per denaro e il povero se deve loro un paio di sandali; perché desiderano vedere la polvere della terra sul capo dei miseri, violano il diritto degli umili e figlio e padre vanno dalla stessa ragazza, per profanare il mio nome santo. Si stendono accanto a ogni altare su vestiti presi in pegno, e nella casa del loro Dio bevono il vino di quelli che hanno multato. Eppure, io distrussi davanti a loro l’Amoreo, la cui statura era come l’altezza dei cedri e che era forte come le querce; io distrussi il suo frutto in alto e le sue radici in basso. Eppure, io vi feci uscire fuori dal paese d’Egitto e vi condussi per quarant’anni nel deserto, per farvi possedere il paese dell’Amoreo. Suscitai dei profeti tra i vostri figli e dei nazirei fra i vostri giovani. Non è forse così, o figli d’Israele?”, dice l’Eterno. “Ma voi avete dato da bere del vino ai nazirei e avete ordinato ai profeti di non profetizzare! Ecco, io vi schiaccerò come un carro pieno di covoni schiaccia la terra. L’agile non avrà modo di darsi alla fuga, al forte non gioverà la sua forza e il valoroso non salverà la sua vita; l’arciere non potrà resistere, chi ha il piede veloce non potrà scampare, il cavaliere sul suo cavallo non salverà la sua vita; il più coraggioso fra i prodi fuggirà nudo in quel giorno”, dice l’Eterno. Ascoltate questa parola che l’Eterno pronuncia contro di voi, o figli d’Israele, contro tutta la famiglia che io condussi fuori dal paese d’Egitto: “Voi soli ho conosciuto fra tutte le famiglie della terra; perciò io vi punirò per tutte le vostre iniquità”. Due uomini camminano forse insieme se prima non si sono accordati? Ruggisce forse il leone nella foresta se non ha una preda? Il leoncello fa forse udire la sua voce dalla tana se non ha preso nulla? Cade forse l’uccello nella rete a terra se non gli è tesa una trappola? Scatta forse la tagliola dal suolo se non ha preso qualcosa? Suona forse la tromba in una città senza che il popolo tremi? Piomba forse una sciagura sopra una città senza che l’Eterno ne sia l’autore? Poiché il Signore, l’Eterno, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti. Il leone ruggisce, chi non temerà? Il Signore, l’Eterno, parla, chi non profetizzerà? Proclamate questo sui palazzi di Asdod e sui palazzi del paese d’Egitto; dite: “Radunatevi sui monti di Samaria, vedete che grandi disordini esistono in mezzo a essa e quali oppressioni hanno luogo al suo interno. Essi non sanno fare ciò che è giusto”, dice l’Eterno, “accumulano nei loro palazzi i frutti della violenza e della rapina”. Perciò, così parla il Signore, l’Eterno: “Ecco il nemico, tutto attorno al paese; egli abbatterà la tua forza e i tuoi palazzi saranno saccheggiati”. Così parla l’Eterno: “Come il pastore strappa dalle fauci del leone due zampe o un pezzo di orecchio, così scamperanno i figli d’Israele che in Samaria stanno ora seduti sull’angolo di un divano o su un letto di damasco”. “Ascoltate questo e attestatelo alla casa di Giacobbe!”, dice il Signore, l’Eterno, l’Iddio degli eserciti: “Il giorno che io punirò Israele per le sue trasgressioni, punirò anche gli altari di Betel; i corni dell’altare saranno spezzati e cadranno a terra. Abbatterò le case invernali e le case estive; le case di avorio saranno distrutte e i grandi palazzi scompariranno”, dice l’Eterno. Ascoltate questa parola, vacche di Basan che state sul monte di Samaria, voi, che opprimete gli umili, che maltrattate i poveri, che dite ai vostri signori: “Portate qua, che beviamo!”. Il Signore, l’Eterno lo ha giurato per la sua santità: “Ecco, verranno per voi dei giorni in cui sarete tirate fuori con degli uncini, e i vostri figli con gli ami da pesca; voi uscirete per le brecce, ognuna davanti a sé, e sarete scacciate verso l’Ermon”, dice l’Eterno. “Andate a Betel, e peccate! a Ghilgal, e peccate ancora di più! Portate ogni mattina i vostri sacrifici e ogni tre giorni le vostre decime! Fate bruciare sacrifici di ringraziamento con lievito! Proclamate delle offerte volontarie, proclamatele! Poiché così amate fare, o figli d’Israele”, dice il Signore, l’Eterno. “Io, dal canto mio, vi ho lasciati a bocca asciutta in tutte le vostre città; vi ho fatto mancare il pane in tutte le vostre case; ma voi non siete tornati a me”, dice l’Eterno. “Vi ho anche rifiutato la pioggia, quando mancavano ancora tre mesi alla mietitura; ho fatto piovere sopra una città e non ho fatto piovere sull’altra; una parte di campo ha ricevuto la pioggia e la parte su cui non ha piovuto è inaridita. Due, tre città vagavano verso un’altra città per bere dell’acqua, e non potevano dissetarsi; ma voi non siete tornati a me”, dice l’Eterno. “Io vi ho colpito con ruggine e con carbonchio; le locuste hanno divorato i vostri numerosi giardini, le vostre vigne, i vostri fichi, i vostri ulivi; ma voi non siete tornati a me”, dice l’Eterno. “Io ho mandato fra di voi la peste come in Egitto; ho ucciso i vostri giovani con la spada e ho catturato i vostri cavalli; vi ho fatto salire al naso il fetore dei vostri accampamenti; ma voi non siete tornati a me”, dice l’Eterno. “Io vi ho sconvolti, come quando Dio sconvolse Sodoma e Gomorra, e voi siete stati come un tizzone strappato dal fuoco; ma voi non siete tornati a me”, dice l’Eterno. “Perciò, ti farò come ho detto, o Israele. Poiché io farò questo contro di te, preparati, Israele, a incontrare il tuo Dio!”. Poiché, ecco colui che forma i monti, crea il vento e fa conoscere all’uomo qual è il suo pensiero; colui che cambia l’aurora in tenebre e cammina sulle alture della terra; il suo nome è l’Eterno, l’Iddio degli eserciti. Ascoltate questa parola, questo lamento che io pronuncio su di voi, o casa d’Israele! “La vergine d’Israele è caduta e non risorgerà più; giace distesa sul suo suolo e non c’è chi la rialzi”. Poiché così parla il Signore, l’Eterno: “Alla città che metteva in campo mille uomini, non ne resteranno che cento; alla città che ne metteva in campo cento, non ne resteranno che dieci per la casa d’Israele”. Poiché così parla l’Eterno alla casa d’Israele: “Cercatemi e vivrete! Non cercate Betel, non andate a Ghilgal, non vi recate fino a Beer-Sceba; perché Ghilgal andrà di sicuro in esilio, e Betel sarà ridotto a nulla”. Cercate l’Eterno e vivrete, affinché egli non si avventi come un fuoco sulla casa di Giuseppe, e la consumi senza che in Betel ci sia chi la spenga. Voi cambiate il diritto in assenzio e gettate a terra la giustizia! Egli ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia in aurora l’ombra di morte e fa del giorno una notte oscura; chiama le acque del mare e le riversa sulla faccia della terra: il suo nome è l’Eterno. Egli fa sorgere all’improvviso la rovina sui potenti, così la rovina piomba sulle fortezze. Essi odiano chi li ammonisce alla porta e detestano chi parla con integrità. Perciò, visto che calpestate il povero ed esigete da lui tributi di frumento, voi fabbricate case di pietre squadrate, ma non le abiterete; piantate vigne deliziose, ma non ne berrete il vino. Poiché io conosco quanto sono numerose le vostre trasgressioni, come sono gravi i vostri peccati; voi opprimete il giusto, accettate regali e fate torto ai poveri alla porta. Ecco perché, in tempi come questi, il saggio tace; perché i tempi sono malvagi. Cercate il bene e non il male, affinché viviate, e l’Eterno, l’Iddio degli eserciti, sia con voi, come dite. Odiate il male, amate il bene e, alle porte, stabilite saldamente il diritto. Forse, l’Eterno, l’Iddio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe. Perciò, così dice l’Eterno, l’Iddio degli eserciti, il Signore: “In tutte le piazze si farà lamento, e in tutte le strade si dirà: ‘Ahimè! ahimè!’. Si chiameranno gli agricoltori perché facciano cordoglio, e si ordineranno lamenti a quelli che li sanno fare. In tutte le vigne si farà lamento, perché io passerò in mezzo a te”, dice l’Eterno. Guai a voi che desiderate il giorno dell’Eterno! Che vi aspettate dal giorno dell’Eterno? Sarà un giorno di tenebre, non di luce. Voi sarete come uno che fugge davanti a un leone e si imbatte in un orso; come uno che entra in casa, appoggia la mano alla parete e un serpente lo morde. Il giorno dell’Eterno non è forse tenebre e non luce? oscurissimo e senza splendore? “Io odio, disprezzo le vostre feste, non prendo piacere nelle vostre assemblee solenni. Se mi offrite i vostri olocausti e le vostre oblazioni, io non li gradisco; non tengo conto delle bestie grasse che mi offrite in sacrifici di ringraziamento. Allontana da me il rumore dei tuoi canti! Non voglio più sentire la musica delle tue arpe! Ma scorra il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne! O casa d’Israele, mi avete forse presentato sacrifici e oblazioni nel deserto, durante i quarant’anni? Ora vi caricherete sulle spalle il baldacchino del vostro re, il piedistallo delle vostre immagini, la stella dei vostri dèi, che voi vi siete fatti; io vi farò andare in esilio al di là di Damasco”, dice l’Eterno, che ha nome l’Iddio degli eserciti. Guai a quelli che vivono tranquilli a Sion e fiduciosi sul monte di Samaria! Ai notabili della prima fra le nazioni, dietro ai quali va la casa d’Israele! Passate a Calne e guardate, e di là andate fino a Camat la grande, poi scendete a Gat dei Filistei: quelle città stanno forse meglio di questi regni? o il loro territorio è forse più vasto del vostro? Voi volete allontanare il giorno malvagio e fate avvicinare il regno della violenza. Si stendono su letti di avorio, si sdraiano sui loro divani, mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli presi dalla stalla. Cantano al suono della cetra, si inventano strumenti musicali come Davide; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli oli più pregiati, ma non si addolorano per la rovina di Giuseppe. Perciò se ne andranno in esilio alla testa dei deportati e cesseranno i clamori di questi banchettanti. Il Signore, l’Eterno lo ha giurato per sé stesso, dice l’Eterno, l’Iddio degli eserciti: “Io detesto la magnificenza di Giacobbe, odio i suoi palazzi, e darò in mano al nemico la città con tutto ciò che contiene”. Avverrà che, se restano dieci uomini in una casa, moriranno. Un parente verrà con colui che brucia i corpi a prendere il morto e a portarne via di casa le ossa; e dirà a colui che è in fondo alla casa: “Ci sono altri con te?”. L’altro risponderà: “No”. E il primo dirà: “Zitto! Non è il momento di nominare il nome dell’Eterno”. Poiché, ecco, l’Eterno comanda, fa cadere a pezzi la casa grande e riduce la piccola in frantumi. Corrono forse i cavalli sulle rocce? Si ara forse su di esse con i buoi? Eppure voi cambiate il diritto in veleno e il frutto della giustizia in assenzio. Voi, che vi rallegrate di cose da nulla; voi, che dite: “Non è forse con la nostra forza che abbiamo acquistato potenza?”. Poiché, ecco, o casa d’Israele, dice l’Eterno, l’Iddio degli eserciti: “Io faccio sorgere contro di voi una nazione, che vi opprimerà dall’ingresso di Camat fino al torrente dell’Arabà”. Il Signore, l’Eterno, mi fece vedere questo: egli formava delle locuste al primo spuntare dell’erba tenera, quella che spunta dopo la falciatura per il re. Quando esse ebbero finito di divorare l’erba della terra, io dissi: “Signore, Eterno, perdona! Come potrebbe sopravvivere Giacobbe, piccolo com’è?”. L’Eterno si pentì di questo: “Ciò non avverrà”, disse l’Eterno. Il Signore, l’Eterno, mi fece vedere questo: il Signore, l’Eterno, proclamava di voler difendere la sua causa mediante il fuoco; il fuoco divorò il grande abisso, e divorava la campagna. Allora io dissi: “Signore, Eterno, fermati! Come potrebbe sopravvivere Giacobbe, piccolo com’è?”. L’Eterno si pentì di questo: “Neppure ciò avverrà”, disse il Signore, l’Eterno. Egli mi fece vedere questo: il Signore stava sopra un muro e aveva in mano un filo a piombo. L’Eterno mi disse: “Amos, che vedi?”, io risposi: “Un filo a piombo”. E il Signore disse: “Ecco, io metto un filo a piombo in mezzo al mio popolo Israele; io non lo risparmierò più; saranno devastati gli alti luoghi di Isacco, i santuari d’Israele saranno distrutti, e io mi leverò con la spada contro la casa di Geroboamo”. Allora Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboamo, re d’Israele: “Amos congiura contro di te in mezzo alla casa d’Israele; il paese non può sopportare tutte le sue parole. Amos, infatti, ha detto: ‘Geroboamo morirà di spada e Israele sarà deportato lontano dal suo paese’”. Amasia disse ad Amos: “Veggente, vattene, fuggi nel paese di Giuda; mangia là il tuo pane e profetizza là; ma a Betel non profetizzare più, perché è un santuario del re e una residenza reale”. Allora Amos rispose e disse: “Io non sono profeta, né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo i sicomori. L’Eterno mi prese mentre ero dietro al gregge, e l’Eterno mi disse: ‘Va’, profetizza al mio popolo Israele’. Ora dunque ascolta la parola dell’Eterno. Tu dici: ‘Non profetizzare contro Israele e non predicare contro la casa di Isacco!’. Perciò così parla l’Eterno: ‘Tua moglie si prostituirà nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno per la spada, il tuo paese sarà spartito con la cordicella, tu stesso morirai su terra impura e Israele sarà certamente deportato, lontano dal suo paese’”. Il Signore, l’Eterno, mi fece vedere questo: C’era un paniere di frutti maturi. Egli mi disse: “Amos, che vedi?”, io risposi: “Un paniere di frutti maturi”. E l’Eterno mi disse: “La fine del mio popolo Israele è matura; io non lo risparmierò più. In quel giorno”, dice il Signore, l’Eterno, “i canti del palazzo diventeranno degli urli; grande sarà il numero dei cadaveri; saranno gettati dappertutto, in silenzio”. Ascoltate questo, o voi che vorreste divorare il povero e distruggere gli umili del paese; voi che dite: “Quando finirà il novilunio, perché possiamo vendere il grano? Quando finirà il sabato, perché possiamo aprire i granai, diminuire l’efa, aumentare il siclo, falsificare le bilance per frodare, comprare il misero per denaro e il povero se deve un paio di sandali? E venderemo anche lo scarto del grano!”. L’Eterno lo ha giurato per colui che è la gloria di Giacobbe: “Non dimenticherò mai nessuna delle vostre opere. Il paese non tremerà forse per questo motivo? Ogni suo abitante non sarà forse in lutto? Il paese si solleverà tutto quanto come il fiume, ondeggerà e si abbasserà come il fiume d’Egitto. In quel giorno avverrà”, dice il Signore, l’Eterno, “che io farò tramontare il sole a mezzogiorno, e in pieno giorno farò venire le tenebre sulla terra. Trasformerò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento; coprirò di sacchi tutti i fianchi e ogni testa sarà rasata. Getterò il paese nel lutto come quando muore un figlio unico, la sua fine sarà come un giorno di amarezza”. “Ecco, vengono i giorni”, dice il Signore, l’Eterno, “in cui io manderò la fame nel paese, non fame di pane o sete di acqua, ma la fame e la sete di ascoltare la parola dell’Eterno. Allora, vagando da un mare all’altro, dal settentrione al levante, correranno qua e là in cerca della parola dell’Eterno, ma non la troveranno. In quel giorno, le belle ragazze e i giovani verranno meno per la sete. Quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: ‘Come è vero che il tuo Dio vive, o Dan’ e: ‘Viva la via di Beer-Sceba!’, cadranno e non si rialzeranno più”. Io vidi il Signore che stava in piedi sull’altare, e disse: “Percuoti i capitelli e siano scossi gli architravi! Spezzali sul capo di tutti quanti e io ucciderò il resto con la spada! Nessuno di loro si salverà con la fuga, nessuno di loro scamperà. Anche se penetrassero nel soggiorno dei morti, la mia mano li strapperebbe di là; anche se salissero in cielo, io li tirerei giù da lì. Anche se si nascondessero in cima al Carmelo, io li scoverei lassù e li prenderei; anche se si nascondessero al mio sguardo in fondo al mare, là comanderei al serpente di morderli, e anche se andassero in esilio davanti ai loro nemici, là comanderei alla spada di ucciderli; io fisserò su di loro i miei occhi per il loro male e non per il loro bene”. Il Signore, l’Iddio degli eserciti, è colui che tocca la terra ed essa si scioglie, e tutti i suoi abitanti sono in lutto; essa si solleva tutta quanta come il fiume e si abbassa come il fiume d’Egitto. Egli è colui che costruisce nei cieli le sue stanze superiori e ha fondato la sua vòlta sulla terra; egli chiama le acque del mare e le riversa sulla faccia della terra; il suo nome è l’Eterno. “Non siete forse per me come i figli degli Etiopi, o figli d’Israele?”, dice l’Eterno. “Non ho fatto uscire io Israele fuori dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftor e i Siri da Chir? Ecco, gli occhi del Signore, dell’Eterno, stanno sul regno peccatore e io lo sterminerò dalla faccia della terra; tuttavia, io non distruggerò interamente la casa di Giacobbe”, dice l’Eterno. “Poiché, ecco, io darò ordine e scuoterò la casa d’Israele fra tutte le nazioni, come si scuote il setaccio; non cadrà un granello a terra. Tutti i peccatori del mio popolo moriranno per la spada; essi, che dicono: ‘Il male non giungerà fino a noi, non ci toccherà’. In quel giorno, io rialzerò la capanna di Davide che è caduta, ne riparerò i danni, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò com’era nei giorni antichi, affinché possegga il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è invocato il mio nome”, dice l’Eterno che farà questo. “Ecco, vengono i giorni”, dice l’Eterno, “in cui l’aratore s’incontrerà con il mietitore, e chi pigia l’uva con chi getta il seme; quando i monti stilleranno mosto e tutti i colli si scioglieranno. Io farò tornare dall’esilio il mio popolo Israele; essi ricostruiranno le città desolate e le abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; faranno giardini e ne mangeranno i frutti. Io li pianterò sulla loro terra e non saranno mai più sradicati dalla terra che io ho dato loro”, dice l’Eterno, il tuo Dio. Visione di Abdia. Così parla il Signore, l’Eterno, riguardo a Edom: “Abbiamo ricevuto un messaggio dall’Eterno e un ambasciatore è stato mandato alle nazioni: ‘Alzatevi! Alziamoci contro Edom in battaglia!’. Ecco, io ti rendo piccolo fra le nazioni, tu sei profondamente disprezzato. L’orgoglio del tuo cuore ti ha ingannato, o tu che abiti nei crepacci delle rocce, che stabilisci la tua dimora in alto, tu che dici nel tuo cuore: ‘Chi potrà gettarmi a terra?’. Anche se tu facessi il tuo nido in alto come l’aquila, anche se tu lo mettessi fra le stelle, io ti farò precipitare giù di là”, dice l’Eterno. “Se dei ladri o dei briganti venissero da te di notte, come saresti rovinato! Non ruberebbero quanto gli basta? Se venissero da te dei vendemmiatori, non lascerebbero qualcosa da racimolare? Oh, come è stato frugato Esaù! Come sono stati cercati i suoi nascondigli! Tutti i tuoi alleati ti hanno respinto fino alla frontiera; quelli che erano in pace con te ti hanno ingannato, hanno prevalso contro di te; quelli che mangiano il tuo pane tendono un’insidia sotto i tuoi piedi, e tu non hai discernimento! In quel giorno”, dice l’Eterno, “io farò sparire i saggi da Edom e il discernimento dal monte di Esaù. I tuoi prodi, o Teman, saranno abbattuti, e così tutti quelli del monte di Esaù saranno sterminati nel massacro”. “A causa della violenza fatta a tuo fratello Giacobbe, tu sarai coperto di vergogna e sarai sterminato per sempre. Quel giorno tu eri presente, il giorno in cui degli stranieri deportavano il suo esercito e degli estranei entravano per le sue porte e tiravano a sorte su Gerusalemme, anche tu eri come uno di loro. Ah! Non guardare con gioia al giorno di tuo fratello, al giorno della sua sventura. Non gioire per i figli di Giuda nel giorno della loro rovina; non parlare con tanta arroganza nel giorno dell’avversità. Non entrare per la porta del mio popolo il giorno della sua sventura; non guardare con gioia, anche tu, la sua afflizione il giorno della sua sventura; non mettere le mani sui suoi beni il giorno della sua sventura. Non appostarti ai bivi per sterminare i suoi fuggiaschi; non dare in mano al nemico i suoi superstiti, nel giorno della sventura! Infatti il giorno dell’Eterno è vicino per tutte le nazioni; come hai fatto, così sarà fatto a te; le tue azioni ricadranno sul tuo capo. Poiché come voi avete bevuto sul mio monte santo, così berranno tutte le nazioni, continuamente; berranno, si ingozzeranno e saranno come se non fossero mai state”. “Ma sul monte Sion ci saranno dei superstiti, ed esso sarà santo; la casa di Giacobbe rientrerà in possesso delle sue proprietà. La casa di Giacobbe sarà un fuoco e la casa di Giuseppe una fiamma; la casa di Esaù come paglia, che essi incendieranno e consumeranno: non rimarrà più nulla della casa di Esaù”, perché l’Eterno ha parlato. Quelli della regione meridionale possederanno il monte di Esaù; quelli della pianura il paese dei Filistei; possederanno i campi di Efraim e i campi di Samaria; e Beniamino possederà Galaad. I deportati di questo esercito dei figli d’Israele che sono fra i Cananei fino a Sarepta, e i deportati di Gerusalemme che sono a Sefarad, possederanno le città della regione meridionale. Allora i salvati saliranno sul monte Sion per giudicare il monte di Esaù. Allora il regno sarà dell’Eterno. La parola dell’Eterno fu rivolta a Giona, figlio di Amittai, in questi termini: “Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e proclama contro di lei che la loro malvagità è salita fino a me”. Ma Giona si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dalla presenza dell’Eterno. Scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis e, pagato il prezzo del suo viaggio, s’imbarcò per andare con loro a Tarsis, lontano dalla presenza dell’Eterno. Ma l’Eterno scatenò un grande vento sul mare, e vi fu sul mare una tempesta così forte che la nave stava per sfasciarsi. I marinai ebbero paura, gridarono ciascuno al proprio dio e gettarono a mare il carico di bordo, per alleggerire la nave. Intanto Giona era sceso nel fondo della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Il capitano gli si avvicinò e gli disse: “Che fai qui? Dormi? Àlzati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non moriremo”. Poi dissero l’uno all’altro: “Venite, tiriamo a sorte, per sapere per causa di chi ci capita questa disgrazia”. Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Allora essi gli dissero: “Dicci dunque per causa di chi ci capita questa disgrazia! Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?”. Egli rispose loro: “Sono Ebreo e temo l’Eterno, l’Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terraferma”. Allora quegli uomini furono presi da grande spavento e gli domandarono: “Perché hai fatto questo?”. Quegli uomini, infatti, sapevano che egli fuggiva lontano dalla presenza dell’Eterno, poiché egli aveva raccontato loro la cosa. Essi gli dissero: “Che dobbiamo fare di te perché il mare si calmi per noi?”. Il mare infatti si faceva sempre più tempestoso. Egli rispose loro: “Prendetemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso a causa mia”. Tuttavia quegli uomini remavano con forza per raggiungere la riva, ma non riuscivano perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso. Allora gridarono all’Eterno dicendo: “Eterno, non lasciare che moriamo per risparmiare la vita di quest’uomo, e non imputarci del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto ciò che ti è piaciuto”. Poi presero Giona, lo gettarono in mare e la furia del mare si calmò. Quegli uomini furono presi da un grande timore dell’Eterno; offrirono un sacrificio all’Eterno e fecero dei voti. L’Eterno fece venire un grande pesce per inghiottire Giona. Giona rimase nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Giona pregò l’Eterno, il suo Dio, dal ventre del pesce, e disse: “Io ho gridato all’Eterno dal fondo della mia angoscia, ed egli mi ha risposto; ho gridato dalla profondità del soggiorno dei morti e tu hai udito la mia voce. Tu mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare; la corrente mi ha circondato e tutte le tue onde e tutti i tuoi flutti sono passati sopra di me. Io dicevo: ‘Sono cacciato lontano dal tuo sguardo! Come potrei vedere ancora il tuo tempio santo?’. Le acque mi hanno circondato fino all’anima; l’abisso mi ha avvolto; le alghe si sono attorcigliate alla mia testa. Io sono sceso fino alle radici dei monti; la terra con le sue sbarre mi ha rinchiuso per sempre; ma tu hai fatto risalire la mia vita dalla fossa, o Eterno, Dio mio! Quando la vita veniva meno in me, io mi sono ricordato dell’Eterno e la mia preghiera è giunta fino a te, nel tuo tempio santo. Quelli che onorano gli idoli vani abbandonano la fonte della loro grazia; ma io ti offrirò sacrifici, con canti di lode; adempirò i voti che ho fatto. La salvezza appartiene all’Eterno”. E l’Eterno diede ordine al pesce, e il pesce vomitò Giona sulla terraferma. La parola dell’Eterno fu rivolta a Giona per la seconda volta, in questi termini: “Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e proclama loro quello che io ti comando”. Giona partì e andò a Ninive, secondo la parola dell’Eterno. Ninive era una grande città davanti a Dio; ci volevano tre giornate di cammino per attraversarla. Giona cominciò a inoltrarsi nella città per una giornata di cammino, predicava e diceva: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta!”. I Niniviti credettero a Dio, proclamarono un digiuno e si vestirono con sacchi, dal più grande al più piccolo di loro. Essendo giunta la notizia al re di Ninive, questi si alzò dal trono, si tolse il mantello di dosso, si coprì con un sacco e si mise seduto sulla cenere. Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: “Uomini e bestie, armenti e greggi, non assaggino nulla; non vadano al pascolo e non bevano acqua; uomini e bestie si coprano con sacchi e gridino con forza a Dio; ognuno si converta dalla sua via malvagia e dalla violenza compiuta dalle sue mani. Forse Dio si ricrederà, si pentirà e spegnerà la sua ira ardente, così che noi non periamo”. Dio vide ciò che facevano, vide che si convertivano dalla loro condotta malvagia, si pentì del male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece. Ma Giona provò un grande dispiacere e fu irritato; pregò l’Eterno, dicendo: “O Eterno, non era forse questo che io dicevo mentre ero ancora nel mio paese? Perciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all’ira, di grande bontà, e che ti penti del male minacciato. Ora dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me è meglio morire che vivere”. L’Eterno gli disse: “Fai bene a irritarti così?”. Poi Giona uscì dalla città e si mise seduto a oriente della città; là si fece una capanna e vi si sedette sotto, all’ombra, per poter vedere quello che sarebbe successo alla città. Dio, l’Eterno, per calmarlo dalla sua irritazione, fece crescere un ricino che salì al di sopra di Giona per fare ombra sul suo capo. Giona provò una grandissima gioia a causa di quel ricino. Ma l’indomani, allo spuntare dell’alba, Iddio mandò un verme che attaccò il ricino, ed esso si seccò. Quando il sole era alto, Iddio fece soffiare un soffocante vento orientale e il sole picchiò sul capo di Giona, al punto che egli venne meno e chiese di morire, dicendo: “Per me è meglio morire che vivere”. Dio disse a Giona: “Fai bene a irritarti così a causa del ricino?”. Egli rispose: “Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte”. L’Eterno disse: “Tu hai pietà del ricino per il quale non ti sei affaticato e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito; e io non dovrei avere pietà di Ninive, la grande città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?”. La parola dell’Eterno che fu rivolta a Michea, il Morastita, al tempo di Iotam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda. Visione che egli ebbe riguardo a Samaria e a Gerusalemme. Ascoltate, o popoli tutti! Presta attenzione, o terra, con tutto quello che è in te! Il Signore, l’Eterno, sia testimone contro di voi: il Signore dal suo tempio santo. Poiché, ecco, l’Eterno esce dalla sua dimora, scende, cammina sulle alture della terra. I monti si sciolgono sotto di lui e le valli si squarciano come cera davanti al fuoco, come acque versate sopra un pendio. Tutto questo, a causa della trasgressione di Giacobbe, e a causa dei peccati della casa d’Israele. Qual è la trasgressione di Giacobbe? Non è forse Samaria? Quali sono gli alti luoghi di Giuda? Non sono forse Gerusalemme? Perciò io farò di Samaria un mucchio di pietre nella campagna, un luogo per piantarci le vigne; farò rotolare le sue pietre giù nella valle, metterò allo scoperto le sue fondamenta. Tutte le sue immagini scolpite saranno spezzate, tutti i guadagni della sua immoralità saranno bruciati con il fuoco, e tutti i suoi idoli io li distruggerò; messi insieme come salario di prostituzione, torneranno a essere salario di prostituzione. Per questo io farò cordoglio e griderò, andrò scalzo e nudo; emetterò dei lamenti come lo sciacallo, grida lugubri come lo struzzo. Poiché la sua piaga è incurabile; si estende fino a Giuda, giunge fino alla porta del mio popolo, fino a Gerusalemme. Non lo annunciate a Gat! Non piangete ad Acco! A Bet-Leafra io mi rotolo nella polvere. Parti, vattene, o abitante di Safir, nuda e piena di vergogna; non esce più l’abitante di Saanan; il lutto di Bet-Aesel vi priva della sua protezione. L’abitante di Marot si addolora per i suoi beni, perché una sciagura è scesa da parte dell’Eterno fino alla porta di Gerusalemme. Attacca i destrieri al carro, o abitante di Lachis! Essa è stata l’inizio del peccato per la figlia di Sion, poiché in te si sono trovate le trasgressioni d’Israele. Perciò tu darai un regalo di addio a Moreset-Gat; le case di Aczib saranno una delusione per i re d’Israele. Io farò venire per te un nuovo padrone, o abitante di Maresa; fino ad Adullam arriverà la gloria d’Israele! Tagliati i capelli, raditi il capo, a causa dei figli, tue delizie! Fatti calva come l’avvoltoio, poiché essi vanno in esilio, lontano da te! Guai a quelli che meditano l’iniquità e tramano il male sui loro letti, per compierlo allo spuntare del giorno, quando hanno il potere nelle loro mani! Desiderano dei campi e li estorcono; delle case e se le prendono; così opprimono l’uomo e la sua casa, l’individuo e la sua proprietà. Perciò così parla l’Eterno: “Ecco, io medito contro questa razza un male a cui non potrete sottrarre il collo; non camminerete più a testa alta, perché saranno tempi cattivi. In quel giorno si comporrà un proverbio su di voi, si canterà un lamento e si dirà: ‘È finita! Noi siamo interamente rovinati! Egli passa ad altri l’eredità del mio popolo! Vedete, come egli me la toglie! I nostri campi li distribuisce agli infedeli!’”. Perciò tu non avrai più nessuno che misuri con la cordicella, per tirare a sorte nell’assemblea dell’Eterno. “Non profetizzate!”, essi vanno ripetendo. “Anche se non si profetizzino queste cose, non si eviterà l’infamia”. O tu, che porti il nome di casa di Giacobbe, l’Eterno è forse pronto all’ira? È questo il suo modo di agire? “Le mie parole non sono forse favorevoli a chi cammina rettamente? Ma da qualche tempo il mio popolo insorge come un nemico; voi strappate via il mantello dalla veste di quelli che passano tranquilli, che tornano dalla guerra. Voi scacciate le donne del mio popolo dalle case che sono la loro gioia; voi togliete per sempre la mia gloria ai loro figli. Alzatevi, andatevene! perché questo non è luogo di riposo; a causa della sua impurità, provoca distruzione, una distruzione orrenda. Se uno che corre dietro al vento e spaccia menzogne dicesse: ‘Io predirò per te vino e bevande forti!’, sarebbe un profeta per questo popolo. Io ti radunerò, o Giacobbe, ti radunerò tutto quanto! Certo io raccoglierò il residuo d’Israele; io li farò venire assieme come pecore in un ovile, come un gregge in mezzo al pascolo; il luogo sarà affollato di uomini. Chi farà la breccia salirà davanti a loro; essi faranno la breccia, passeranno per la porta e usciranno per essa; il loro re marcerà davanti a loro e l’Eterno sarà alla loro testa”. Io dissi: “Ascoltate, vi prego, o capi di Giacobbe, e voi governanti della casa d’Israele: non spetta a voi conoscere ciò che è giusto? Ma voi odiate il bene e amate il male, lacerate il mio popolo e gli strappate la carne dalle ossa. Essi divorano la carne del mio popolo, gli strappano la pelle di dosso, gli spezzano le ossa; lo fanno a pezzi come ciò che si mette nel tegame, come carne da mettere nella pentola”. Allora grideranno all’Eterno, ma egli non risponderà loro; in quei giorni egli nasconderà loro la sua faccia, perché le loro azioni sono state malvagie. Così parla l’Eterno riguardo ai profeti che sviano il mio popolo, che gridano: “Pace”, quando i loro denti hanno qualcosa da mordere, e dichiarano la guerra contro chi non mette nulla nella loro bocca. “Perciò si farà notte per voi e non avrete più visioni; si farà buio e non avrete più divinazioni; il sole tramonterà su questi profeti e il giorno si oscurerà su di loro. I veggenti saranno coperti di vergogna e gli indovini arrossiranno; tutti quanti si copriranno la barba, perché non ci sarà risposta da Dio”. Ma, quanto a me, io sono pieno di forza, dello Spirito dell’Eterno, di giustizia e di coraggio, per far conoscere a Giacobbe la sua trasgressione e a Israele il suo peccato. Ascoltate, vi prego, o capi della casa di Giacobbe, e voi governanti della casa d’Israele, che disprezzate ciò che è giusto e pervertite tutto ciò che è retto, che costruite Sion con il sangue e Gerusalemme con l’iniquità! I suoi capi giudicano per ottenere regali, i suoi sacerdoti insegnano per un profitto, i suoi profeti fanno predizioni per denaro, e tuttavia si appoggiano all’Eterno e dicono: “L’Eterno non è forse in mezzo a noi? Non ci verrà addosso nessun male!”. Perciò, a causa vostra, Sion sarà arata come un campo, Gerusalemme diventerà un mucchio di rovine, e il monte del tempio un’altura boscosa. Ma avverrà, negli ultimi tempi, che il monte della casa dell’Eterno si innalzerà sopra la cima dei monti, si eleverà al di sopra delle colline, e i popoli affluiranno a esso. Verranno molte nazioni e diranno: “Venite, saliamo al monte dell’Eterno e alla casa dell’Iddio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri!”. Poiché da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola dell’Eterno. Egli sarà giudice fra molti popoli e arbitro fra nazioni potenti e lontane. Dalle loro spade fabbricheranno vomeri, delle loro lance, falci; una nazione non alzerà più la spada contro l’altra e non impareranno più la guerra. Siederanno ciascuno sotto la sua vigna e sotto il suo fico, senza che nessuno li spaventi; poiché la bocca dell’Eterno degli eserciti ha parlato. Mentre tutti i popoli camminano ciascuno nel nome del suo dio, noi cammineremo nel nome dell’Eterno, del nostro Dio, per sempre. “In quel giorno”, dice l’Eterno, “io raccoglierò le pecore zoppe, radunerò quelle che erano state scacciate e quelle che io avevo trattato duramente. Di quelle che zoppicano farò un residuo che sussisterà; di quelle scacciate lontano, una nazione potente; l’Eterno regnerà su di loro, sul monte Sion, da allora per sempre. A te, torre del gregge, colle della figlia di Sion, a te verrà, a te verrà l’antico dominio, il regno che spetta alla figlia di Gerusalemme”. Ora, perché gridi così forte? Non c’è forse nessun re dentro di te? è forse perito il tuo consigliere, che ti prende l’angoscia come una donna che partorisce? Soffri e gemi, figlia di Sion, come una donna che partorisce! Poiché ora uscirai dalla città, abiterai per i campi, e andrai fino a Babilonia. Là tu sarai liberata, là l’Eterno ti riscatterà dalla mano dei tuoi nemici. Ora molte nazioni si sono radunate contro di te, e dicono: “Sia profanata! i nostri occhi godano alla vista di Sion!”. Ma esse non conoscono i pensieri dell’Eterno, non comprendono i suoi disegni: poiché egli le raduna come covoni sull’aia. “Figlia di Sion, àlzati, trebbia! perché io farò in modo che il tuo corno sia di ferro e che le tue unghie siano di bronzo; tu triterai molti popoli; consacrerai i loro guadagni all’Eterno, e le loro ricchezze al Signore di tutta la terra”. Ora, o figlia di schiere, raduna le tue schiere! Ci cingono di assedio; colpiscono con la verga la guancia del giudice d’Israele! “Ma da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni. Perciò egli li darà in mano ai loro nemici, fino al tempo in cui colei che deve partorire, partorirà; e il resto dei suoi fratelli tornerà a raggiungere i figli d’Israele”. Egli starà là e pascolerà il suo gregge con la forza dell’Eterno, con la maestà del nome dell’Eterno, suo Dio. Quelli abiteranno in pace, perché allora egli sarà grande fino all’estremità della terra. Sarà lui che porterà la pace. Quando l’Assiro verrà nel nostro paese, e metterà piede nei nostri palazzi, noi schiereremo contro di lui sette pastori e otto principi fra il popolo. Essi governeranno il paese dell’Assiro con la spada, e la terra di Nimrod nelle sue proprie città; egli ci libererà dall’Assiro, quando questi verrà nel nostro paese e metterà il piede nei nostri confini. Il resto di Giacobbe sarà, in mezzo a molti popoli, come una rugiada che viene dall’Eterno, come una fitta pioggia sull’erba, che non aspettano ordine dall’uomo, e non dipendono dai figli degli uomini. Il resto di Giacobbe sarà fra le nazioni, in mezzo a molti popoli, come un leone tra le bestie della foresta, come un leoncello fra greggi di pecore, il quale, quando passa, calpesta e sbrana, senza che nessuno possa liberare. Si alzi la tua mano sopra i tuoi avversari e tutti i tuoi nemici siano sterminati! “Quel giorno avverrà”, dice l’Eterno, “che io sterminerò i tuoi cavalli in mezzo a te, e distruggerò i tuoi carri; sterminerò le città del tuo paese, e abbatterò tutte le tue fortezze; eliminerò dalla tua mano i sortilegi e tu non avrai più indovini; frantumerò in mezzo a te le tue immagini scolpite e le tue statue e tu non ti prostrerai più davanti all’opera delle tue mani. Io estirperò in mezzo a te i tuoi idoli di Astarte, e distruggerò le tue città. Farò vendetta nella mia ira e nel mio furore, delle nazioni che non avranno dato ascolto”. Ascoltate dunque ciò che dice l’Eterno: “Àlzati, contendi con le montagne, e i colli odano la tua voce! Ascoltate, o monti, la causa dell’Eterno! Anche voi, salde fondamenta della terra! poiché l’Eterno ha una contesa con il suo popolo, e vuole discutere con Israele. Popolo mio, che ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Testimonia pure contro di me! Io, infatti, ti ho fatto uscire fuori dal paese d’Egitto, ti ho liberato dalla casa di schiavitù, ho mandato davanti a te Mosè, Aaronne e Miriam. O popolo mio, ricorda dunque quello che tramava Balac, re di Moab, e che cosa gli rispose Balaam, figlio di Beor, da Sittim a Ghilgal, affinché tu riconosca la giustizia dell’Eterno”. Con che cosa verrò alla presenza dell’Eterno e m’inchinerò davanti all’Iddio eccelso? Verrò in sua presenza con degli olocausti, con vitelli di un anno? L’Eterno gradirà forse le migliaia di montoni, le miriadi di fiumi di olio? Offrirò il mio primogenito per la mia trasgressione? Il frutto delle mie viscere per il mio peccato? O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; e che altro richiede da te l’Eterno, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia, e cammini umilmente con il tuo Dio? La voce dell’Eterno grida alla città, chi ha saggezza tema il suo nome: “Fate attenzione alla verga, e colui che l’ha fatta venire! Ci sono ancora, nella casa dell’empio, dei tesori illecitamente acquistati, e l’efa scarso, che è una cosa abominevole? Sarei io puro se tollerassi bilance false e il sacchetto dei pesi contraffatti? Poiché i ricchi della città sono pieni di violenza, i suoi abitanti pronunciano menzogne, e la loro lingua non è che inganno nella loro bocca. Perciò anche io ti colpirò e ti procurerò gravi ferite, ti devasterò a causa dei tuoi peccati. Tu mangerai, ma non sarai saziato, e la fame rimarrà dentro di te; porterai via, ma non salverai, e ciò che avrai salvato, lo darò in balìa della spada. Tu seminerai, ma non raccoglierai; spremerai le olive, ma non ti ungerai con l’olio; farai colare il mosto, ma non berrai il vino. Si osservano con cura gli statuti di Omri, e tutte le pratiche della casa di Acab, e voi camminate seguendo i loro consigli, perché io abbandoni te alla desolazione e i tuoi abitanti allo scherno! Voi porterete l’infamia del mio popolo!”. Ahimè! Io mi trovo come dopo la raccolta dei frutti, come dopo la racimolatura, quando è finita la vendemmia; non c’è più grappolo da mangiare; io desidero invano un fico primaticcio. L’uomo pio è scomparso dalla terra; non c’è più gente retta fra gli uomini; tutti stanno in agguato per spargere il sangue, ognuno dà la caccia con la rete a suo fratello. Le loro mani sono pronte al male, per farlo con ogni cura: il principe pretende, il giudice si lascia corrompere, il potente manifesta la sua avidità e ordiscono così le loro trame. Il migliore di loro è simile a un pruno; il più retto è peggiore di una siepe di spine. Il giorno annunciato dalle tue sentinelle, il giorno della tua punizione viene; allora saranno nella costernazione. Non vi fidate del compagno, non riponete fiducia nell’amico intimo; sorveglia la porta della tua bocca davanti a colei che riposa sul tuo petto. Poiché il figlio offende il padre, la figlia insorge contro la madre, la nuora contro la suocera, i nemici di ognuno sono quelli di casa sua. Quanto a me, io volgerò lo sguardo verso l’Eterno, spererò nell’Iddio della mia salvezza; il mio Dio mi ascolterà. Non ti rallegrare di me, o mia nemica! Se sono caduta, mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, l’Eterno è la mia luce. Io sopporterò l’indignazione dell’Eterno, perché ho peccato contro di lui, finché egli difenda la mia causa e mi faccia giustizia; egli mi condurrà fuori alla luce e io contemplerò la sua giustizia. Allora la mia nemica lo vedrà, e sarà coperta di vergogna; lei, che mi diceva: “Dov’è l’Eterno, il tuo Dio?”. I miei occhi la vedranno, quando sarà calpestata come il fango delle strade. Verrà il giorno in cui le tue mura saranno ricostruite; in quel giorno saranno allargati i tuoi confini. Quel giorno si verrà da te, dall’Assiria fino alle città d’Egitto, dall’Egitto fino al fiume, da un mare all’altro e da monte a monte. Ma il paese sarà ridotto in desolazione a causa dei suoi abitanti, a causa del frutto delle loro azioni. Pasci il tuo popolo con la tua verga, il gregge della tua eredità, che sta solitario nella foresta in mezzo al Carmelo. Esso pascoli in Basan e in Galaad, come nei giorni antichi. “Come nei giorni in cui uscisti dal paese d’Egitto, io ti farò vedere cose meravigliose”. Le nazioni lo vedranno e saranno confuse, nonostante tutta la loro potenza; si metteranno la mano sulla bocca, le loro orecchie saranno stordite. Leccheranno la polvere come il serpente, come i rettili della terra; usciranno spaventate dai loro ripari, verranno tremanti all’Eterno, nostro Dio, e avranno timore di te. Quale Dio è come te, che perdoni l’iniquità e passi sopra alla colpa del residuo della tua eredità? Egli non serba la sua ira per sempre, perché si compiace di usare misericordia. Egli tornerà ad avere pietà di noi, si metterà sotto i piedi le nostre colpe e getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati. Tu mostrerai la tua fedeltà a Giacobbe, la tua misericordia ad Abraamo, come giurasti ai nostri padri, fin dai giorni antichi. Oracolo su Ninive; libro della visione di Naum da Elcos. L’Eterno è un Dio geloso e vendicatore; l’Eterno è vendicatore e pieno di furore; l’Eterno si vendica dei suoi avversari, e serba rancore verso i suoi nemici. L’Eterno è lento all’ira, è grande in forza, ma non lascia il colpevole impunito. L’Eterno cammina nell’uragano e nella tempesta, e le nuvole sono la polvere dei suoi piedi. Egli sgrida il mare e lo prosciuga, fa seccare tutti i fiumi. Basan langue, langue il Carmelo e appassisce il fiore del Libano. I monti tremano davanti a lui, si sciolgono i colli; alla sua presenza si solleva la terra e il mondo con tutti i suoi abitanti. Chi può reggere davanti alla sua indignazione? chi può sopportare l’ardore della sua ira? Il suo furore si spande come fuoco, e le rocce si schiantano davanti a lui. L’Eterno è buono; è una fortezza nel giorno dell’avversità e conosce quelli che si rifugiano in lui. Ma con una irrompente inondazione egli distruggerà completamente chi lo attacca e inseguirà i suoi nemici fin nelle tenebre. Che cosa tramate voi contro l’Eterno? Egli farà una distruzione totale; la sventura non si abbatterà due volte. Poiché anche se fossero intrecciati come rovi e fradici per il vino ingerito, saranno interamente consumati, come stoppia secca. Da te è uscito colui che ha tramato del male contro l’Eterno, che ha architettato scelleratezze. Così parla l’Eterno: “Anche se pieni di forza e numerosi, saranno falciati e scompariranno; e se io ti ho afflitta non ti affliggerò più. Ora spezzerò il suo giogo di dosso a te, e romperò le tue catene”. Quanto a te, popolo di Ninive, l’Eterno ha dato quest’ordine: “Non ci sia più discendenza con il tuo nome; io sterminerò dalla casa delle tue divinità le immagini scolpite e le immagini fuse; io ti preparerò la tomba perché sei diventato spregevole”. Ecco, sui monti, i piedi di colui che porta buone notizie, che annuncia la pace! Celebra le tue feste, o Giuda, adempi i tuoi voti; poiché il malvagio non passerà più in mezzo a te; egli sarà interamente distrutto. Un distruttore marcia contro di te o Ninive; custodisci bene la fortezza, sorveglia le strade, fortifica i tuoi lombi, raccogli tutte le tue forze! Poiché l’Eterno ristabilisce la gloria di Giacobbe, e la gloria d’Israele; perché i saccheggiatori li hanno saccheggiati e hanno distrutto i loro tralci. Lo scudo dei suoi prodi è tinto di rosso, i suoi guerrieri vestono di scarlatto; il giorno in cui egli si prepara, l’acciaio dei carri scintilla e si impugnano le lance di cipresso. I carri si lanciano furiosamente per le strade, si precipitano per le piazze; hanno l’aspetto di fiaccole, guizzano come fulmini. Il re si ricorda dei suoi prodi ufficiali; essi inciampano nella loro marcia, si precipitano verso le mura e la difesa è preparata. Le porte dei fiumi si aprono e il palazzo crolla. È fatto! Ninive è spogliata e portata via; le sue serve gemono come colombe e si battono il petto. Ninive, dal giorno che esiste, è stata come un serbatoio pieno di acqua; e ora fuggono! Fermatevi! fermatevi! Ma nessuno si volta. Saccheggiate l’argento, saccheggiate l’oro! Ci sono dei tesori senza fine, montagne di oggetti preziosi di ogni genere. Essa è svuotata, spogliata, devastata; i cuori si sciolgono, le ginocchia tremano, tutti i fianchi sono doloranti, tutti i volti impallidiscono. Dov’è questo covo di leoni, questo luogo dove facevano il pasto i leoncelli, dove passeggiavano il leone, la leonessa e i leoncelli, senza che nessuno li spaventasse? Là il leone sbranava per i suoi piccoli, strangolava per le sue leonesse, e riempiva i suoi covi di preda e le sue tane di bottino. “Eccomi a te”, dice l’Eterno degli eserciti, “io brucerò i tuoi carri che andranno in fumo, e la spada divorerà i tuoi leoncelli; io farò scomparire dalla terra la tua preda, e non si udrà più la voce dei tuoi messaggeri”. Guai alla città sanguinaria, piena di menzogna e di violenza e che non cessa di depredare! Si ode rumore di fruste, strepito di ruote, galoppo di cavalli, sobbalzare di carri. I cavalieri danno la carica, fiammeggiano le spade, sfolgorano le lance, i feriti abbondano, si ammontano i cadaveri, sono infiniti i morti, s’inciampa nei cadaveri. Questo a causa delle tante fornicazioni dell’avvenente prostituta, dell’abile incantatrice, che vendeva le nazioni con le sue fornicazioni e i popoli con i suoi incantesimi. “Eccomi a te”, dice l’Eterno degli eserciti, “io alzerò i lembi della tua veste fin sulla faccia, mostrerò alle nazioni la tua nudità e ai regni la tua vergogna; ti getterò addosso delle immondizie, ti umilierò e ti esporrò allo scherno. Tutti quelli che ti vedranno fuggiranno lontano da te e diranno: ‘Ninive è devastata! Chi la compiangerà?’. Dove ti cercherò dei consolatori?”. Sei forse migliore di No-Amon, che stava seduta tra i fiumi, circondata dalle acque, che aveva il mare per baluardo, il mare per mura? L’Etiopia e l’Egitto erano la sua forza e non aveva limiti; Put e i Libici erano i suoi alleati. Eppure, anch’essa è stata deportata, è andata in esilio; anche i suoi bambini sono stati sfracellati a ogni angolo di strada; i suoi nobili sono stati estratti a sorte e tutti i suoi grandi sono stati messi in catene. Tu pure sarai ubriacata e andrai a nasconderti; tu pure cercherai un rifugio davanti al nemico. Tutte le tue fortezze saranno come alberi di fico dai frutti primaticci che, quando sono scossi, cadono in bocca a chi li vuole mangiare. Ecco il tuo popolo: in mezzo a te sono solo donne; le porte del tuo paese sono spalancate davanti ai tuoi nemici, il fuoco ha divorato le tue sbarre. Attingi pure acqua per l’assedio! Rinforza le tue fortificazioni! Pesta la malta, impasta l’argilla! Ripara la fornace per mattoni! Là il fuoco ti divorerà, la spada ti distruggerà; ti divorerà come la cavalletta, fossi pure numerosa come le cavallette, fossi pure numerosa come le locuste. Tu hai moltiplicato i tuoi mercanti, più delle stelle del cielo; le cavallette spogliano ogni cosa e volano via. I tuoi principi sono come le locuste, i tuoi ufficiali come sciami di giovani locuste che si accampano lungo le siepi nei giorni freddi e quando sorge il sole volano via, e non si conosce più il posto dov’erano. O re d’Assiria, i tuoi pastori si sono addormentati; i tuoi valorosi ufficiali riposano; il tuo popolo è disperso su per i monti, e non c’è chi li raduni. Non c’è rimedio per la tua ferita; la tua piaga è grave; tutti quelli che udranno parlare di te batteranno le mani per la tua sorte; su chi, infatti, non è passata la tua malvagità senza tregua? Oracolo che il profeta Abacuc ebbe in visione. Fino a quando, o Eterno, griderò, senza che tu mi dia ascolto? Io grido a te: “Violenza!”, e tu non salvi. Perché mi fai vedere l’iniquità e tolleri lo spettacolo della perversità? Mi stanno davanti rapina e violenza; ci sono liti e nasce la discordia. Perciò la legge è senza forza e il diritto non si afferma, perché l’empio inganna il giusto e il diritto ne esce pervertito. Guardate fra le nazioni, guardate, meravigliatevi e siate stupiti! Poiché io sto per fare ai vostri giorni un’opera, che voi non credereste nemmeno se ve la raccontassero. Perché, ecco, io sto per suscitare i Caldei, questa nazione feroce e impetuosa, che percorre tutta la terra per impadronirsi di case che non sono sue. È un popolo terribile, spaventoso; il suo diritto e la sua grandezza procedono da lui stesso. I suoi cavalli sono più veloci dei leopardi, più agili dei lupi di sera; i suoi cavalieri procedono con fierezza; i suoi cavalieri vengono da lontano, volano come l’aquila che piomba sulla preda. Tutta quella gente viene per darsi alla violenza, le loro facce avide sono tese in avanti, e ammassano prigionieri come la sabbia. Si fanno beffe dei re, e i principi sono per loro oggetto di scherno; ridono di tutte le fortezze; accumulano un po’ di terra, e le prendono. Poi passano come il vento; passano oltre e si rendono colpevoli, questa loro forza è il loro dio. Non sei tu dal principio, o Eterno, il mio Dio, il mio Santo? Noi non moriremo! O Eterno, tu lo hai posto, questo popolo, per eseguire i tuoi giudizi, tu, o Ròcca, lo hai stabilito per infliggere i tuoi castighi. Tu, che hai gli occhi troppo puri per sopportare la vista del male e che non puoi tollerare lo spettacolo dell’iniquità, perché guardi i perfidi e taci quando il malvagio divora l’uomo che è più giusto di lui? Perché tratti gli uomini come i pesci del mare e come i rettili, che non hanno padrone? Il Caldeo li tira tutti su con l’amo, li prende nella sua rete, li raccoglie nella sua rete da pesca; perciò si rallegra ed esulta. Per questo fa sacrifici alla sua rete e offre profumi alla sua rete da pesca; perché gli provvedono una ricca porzione e un cibo succulento. Continuerà dunque a vuotare la sua rete e a massacrare le nazioni senza pietà? Io starò al mio posto di guardia, mi metterò sopra una torre e starò attento a quello che l’Eterno mi dirà, e a quello che dovrò rispondere riguardo alla rimostranza che ho fatta. L’Eterno mi rispose e disse: “Scrivi la visione, incidila su delle tavole, perché si possa leggere speditamente; poiché è una visione per un tempo già fissato; essa si affretta verso la fine e non mentirà; se tarda, aspettala; poiché per certo verrà; non tarderà”. Egli è pieno di orgoglio e non agisce rettamente; ma il giusto per la sua fede vivrà. Inoltre, il vino è traditore; l’uomo arrogante non può starsene tranquillo; egli allarga la sua bocca come il soggiorno dei morti; come la morte non si può saziare, ma raduna presso di sé tutte le nazioni, raccoglie intorno a sé tutti i popoli. Tutti questi non faranno contro di lui proverbi, sarcasmi, enigmi? Si dirà: ‘Guai a colui che accumula ciò che non è suo! Fino a quando? Guai a colui che si carica di pegni!’. I tuoi creditori non spunteranno forse all’improvviso? I tuoi oppressori non si desteranno? E tu diventerai loro preda. Poiché tu hai saccheggiato molte nazioni, tutto il resto dei popoli ti saccheggerà, a causa del sangue umano sparso, della violenza fatta ai paesi, alle città e a tutti i loro abitanti. Guai a colui che è avido di guadagno illecito per la sua casa, per collocare il suo nido in alto e mettersi al sicuro dalla mano della sventura! Tu hai designato la vergogna per la tua casa, sterminando molti popoli, e hai peccato contro te stesso. Poiché la pietra grida dalla parete, e la trave le risponde dall’armatura di legno. Guai a colui che costruisce la città con il sangue e fonda una città sull’iniquità! Ecco, non è forse volere dell’Eterno che i popoli si affatichino per il fuoco e le nazioni si stanchino per nulla? Poiché la terra sarà piena della conoscenza della gloria dell’Eterno, come le acque coprono il fondo del mare. Guai a colui che dà da bere al prossimo, a te che gli versi il veleno e lo fai ubriacare, per guardarlo nella sua nudità! Tu sarai saziato di vergogna anziché di gloria; bevi anche tu e mostra la tua incirconcisione! La coppa della destra dell’Eterno arriverà fino a te e l’infamia coprirà la tua gloria. Poiché la violenza fatta al Libano e la devastazione che spaventava le bestie ricadranno su di te, a causa del sangue umano sparso, della violenza fatta ai paesi, alle città e a tutti i loro abitanti. A che serve l’immagine scolpita, perché l’artefice la scolpisca? A che serve l’immagine fusa che insegna la menzogna, perché l’artefice confidi nel suo lavoro, fabbricando idoli muti? Guai a chi dice al legno: “Svegliati!” e alla pietra muta: “Àlzati!”. Può essa forse ammaestrare? Ecco, è ricoperta d’oro e d’argento, ma non c’è in lei nessuno spirito. Ma l’Eterno è nel suo tempio santo; tutta la terra faccia silenzio in sua presenza! Preghiera del profeta Abacuc, in tono di lamentazione. O Eterno, io ho udito il tuo messaggio, e sono preso da timore; o Eterno, da’ vita all’opera tua nel corso degli anni! Nel corso degli anni falla conoscere! Nell’ira, ricordati di avere pietà! Iddio viene da Teman, e il Santo viene dal monte di Paran. Sela. La sua gloria copre i cieli e la terra è piena della sua lode. Il suo splendore è pari alla luce; dei raggi partono dalla sua mano; là si nasconde la sua potenza. Davanti a lui cammina la peste, la febbre ardente segue i suoi passi. Egli si ferma e scuote la terra; guarda e fa tremare le nazioni; i monti eterni si frantumano, i colli antichi si abbassano; le sue vie sono quelle di un tempo. Io vedo le tende di Etiopia nell’afflizione; i padiglioni del paese di Madian tremano. O Eterno, ti adiri forse contro i fiumi? È forse contro i fiumi che si accende la tua ira, o è contro il mare che va il tuo sdegno, quando avanzi sui tuoi cavalli, sui tuoi carri di vittoria? Tu estrai il tuo arco; le frecce lanciate dalla tua parola sono esecrazioni. Sela. Tu fendi la terra in tanti letti dei fiumi. I monti ti vedono e tremano; si riversa un uragano di acque: l’abisso fa udire la sua voce e alza in alto le mani. Il sole e la luna si fermano nella loro dimora; si cammina alla luce delle tue saette, al lampeggiare della tua lancia sfolgorante. Tu percorri la terra nella tua indignazione, tu schiacci le nazioni nella tua ira. Tu esci per salvare il tuo popolo, per liberare il tuo unto; tu abbatti la cima della casa dell’empio e la demolisci fino alle fondamenta. Sela. Tu trafiggi con le loro frecce la testa dei suoi capi, che vengono come un uragano per disperdermi, gridando di gioia, come se già divorassero il misero nei loro nascondigli. Con i tuoi cavalli tu calpesti il mare, le grandi acque spumeggianti. Ho udito, e le mie viscere fremono, le mie labbra tremano a quella voce; un tarlo mi entra nelle ossa, io tremo a ogni passo, aspettando in silenzio il giorno dell’angoscia, quando il nemico salirà contro il popolo per assalirlo. Poiché il fico non fiorirà, non ci sarà più frutto nelle vigne; il prodotto dell’ulivo verrà meno, i campi non daranno più cibo, le greggi verranno a mancare negli ovili, e non ci saranno più buoi nelle stalle; ma io mi rallegrerò nell’Eterno, esulterò nell’Iddio della mia salvezza. L’Eterno, il Signore, è la mia forza; egli renderà i miei piedi come quelli delle cerve e mi farà camminare sulle mie alture. Per il direttore del coro. Per strumenti a corda. Parola dell’Eterno rivolta a Sofonia, figlio di Cusci, figlio di Ghedalia, figlio di Amaria, figlio di Ezechia, ai giorni di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda. “Io farò sparire completamente ogni cosa sulla faccia della terra”, dice l’Eterno. “Distruggerò uomini e bestie; sterminerò gli uccelli del cielo e i pesci del mare, le cause d’inciampo insieme agli empi, ed eliminerò gli uomini dalla faccia della terra”, dice l’Eterno. “Stenderò la mano su Giuda e su tutti gli abitanti di Gerusalemme; sterminerò da questo luogo gli avanzi di Baal, il nome dei sacerdoti degli idoli, con i sacerdoti, e quelli che si prostrano sui tetti davanti all’esercito celeste, quelli che si prostrano giurando all’Eterno e giurando anche a Malcom, quelli che si allontanano dall’Eterno, e quelli che non cercano l’Eterno e non lo consultano. Silenzio, davanti al Signore, all’Eterno! Poiché il giorno dell’Eterno è vicino, poiché l’Eterno ha preparato un sacrificio, ha santificato i suoi invitati. Nel giorno del sacrificio dell’Eterno io punirò tutti i prìncipi, i figli del re, e tutti quelli che indossano abiti stranieri. In quel giorno punirò tutti quelli che saltano sopra la soglia, che riempiono di violenza e di frode le case dei loro signori. In quel giorno”, dice l’Eterno, “si udrà un grido dalla Porta dei Pesci, un urlo dal quartiere nuovo, e un grande fracasso dalle colline. Urlate, abitanti del Mortaio! poiché tutto il popolo dei mercanti è annientato, tutti quelli che erano carichi di denaro sono sterminati. In quel tempo io frugherò Gerusalemme con delle torce e punirò gli uomini che, immobili sulle loro fecce, dicono nel loro cuore: ‘L’Eterno non fa né bene né male’. Le loro ricchezze saranno abbandonate al saccheggio e le loro case devastate; essi costruiranno case, ma non le abiteranno; pianteranno vigne, ma non ne berranno il vino. Il grande giorno dell’Eterno è vicino; è vicino e viene in gran fretta; si ode venire il giorno dell’Eterno e il più valoroso grida amaramente. Quel giorno è un giorno di ira, un giorno di calamità e di angoscia, un giorno di rovina e di desolazione, un giorno di tenebre e caligine, un giorno di nuvole e di fitta oscurità, un giorno di suono di tromba e di allarme contro le città fortificate e le alte torri. Io metterò gli uomini nell’angoscia, essi cammineranno come ciechi, perché hanno peccato contro l’Eterno; il loro sangue sarà sparso come polvere e la loro carne come escrementi. Né il loro argento né il loro oro li potrà liberare nel giorno dell’ira dell’Eterno; ma tutto il paese sarà divorato dal fuoco della sua gelosia; poiché egli farà un’improvvisa e totale distruzione di tutti gli abitanti del paese”. Radunatevi, raccoglietevi, o gente spudorata, prima che il decreto abbia effetto e il giorno passi come la pula; prima che vi piombi addosso l’ira ardente dell’Eterno, prima che vi sorprenda il giorno dell’ira dell’Eterno! Cercate l’Eterno, voi tutti umili della terra, che mettete in pratica i suoi precetti! Cercate la giustizia, cercate l’umiltà! Forse sarete messi al riparo nel giorno dell’ira dell’Eterno. Poiché Gaza sarà abbandonata e Ascalon ridotta una desolazione; Asdod sarà cacciata in pieno mezzogiorno ed Ecron sarà sradicata. Guai agli abitanti della costa del mare, alla nazione dei Cheretei! La parola dell’Eterno è rivolta contro di te, o Canaan, paese dei Filistei: “Io ti distruggerò, al punto che nessuno più abiterà in te!”. La costa non sarà altro che pascoli, grotte di pastori e recinti per greggi. Sarà un territorio per il resto della casa di Giuda; là pascoleranno; la sera si coricheranno nelle case di Ascalon, perché l’Eterno, il loro Dio, li visiterà e li farà tornare dall’esilio. “Ho udito gli insulti di Moab e gli oltraggi dei figli di Ammon, che hanno insultato il mio popolo e si sono ingranditi invadendo i suoi confini. Perciò, come è vero che io vivo”, dice l’Eterno degli eserciti, l’Iddio d’Israele, “Moab sarà come Sodoma, e i figli di Ammon come Gomorra, un luogo occupato dalle ortiche, una salina, un deserto per sempre. Il resto del mio popolo li saccheggerà, il residuo della mia nazione li possederà”. Questo accadrà per il loro orgoglio, perché hanno insultato e trattato con arroganza il popolo dell’Eterno degli eserciti. L’Eterno sarà terribile contro di loro; perché annienterà tutti gli dèi della terra; tutte le nazioni lo adoreranno, da tutte le loro isole. “Anche voi, Etiopi, sarete uccisi dalla mia spada”. Egli stenderà la mano contro il settentrione, distruggerà l’Assiria, e ridurrà Ninive in una desolazione, un luogo arido come il deserto. In mezzo a lei giaceranno greggi e animali di ogni specie; perfino il pellicano e il riccio alloggeranno tra i suoi capitelli; si udranno canti di uccelli dalle finestre; la devastazione sarà sulle porte, perché sarà spogliata dei suoi rivestimenti di cedro. Così sarà la città festante, che se ne sta sicura, e dice nel suo cuore: “Io, e nessun altro all’infuori di me!”. Come mai è diventata un deserto, un covo di bestie? Chiunque le passerà vicino fischierà e agiterà la mano. Guai alla città ribelle, contaminata, alla città prepotente! Essa non dà ascolto a nessuna voce, non accetta correzione, non confida nell’Eterno, non si accosta al suo Dio. I suoi capi, in mezzo a lei, sono leoni ruggenti; i suoi giudici sono lupi della sera, che non avanzano nulla per la mattina. I suoi profeti sono boriosi, perfidi, i suoi sacerdoti profanano le cose sante, violano la legge. L’Eterno è giusto in mezzo a lei; egli non commette ingiustizie; ogni mattina egli porta alla luce i suoi giudizi, e non manca mai; ma il perverso non conosce vergogna. “Io ho sterminato delle nazioni; le loro torri sono distrutte; ho rovinato le loro strade, al punto che non vi passa più nessuno; le loro città sono distrutte, al punto che non c’è più nessuno, più nessun abitante. Io dicevo: ‘Se soltanto tu volessi temermi, accettare la correzione! la tua dimora non sarebbe distrutta, nonostante tutte le punizioni che ti ho inflitto’. Ma essi si sono affrettati a pervertire tutte le loro azioni. Perciò, aspettami”, dice l’Eterno, “per il giorno che mi alzerò per il bottino; poiché ho decretato di radunare le nazioni, di riunire i regni, per versare su di loro la mia indignazione, tutto l’ardore della mia ira; poiché tutta la terra sarà divorata dal fuoco della mia gelosia. Allora io trasformerò le labbra dei popoli in labbra pure, affinché tutti invochino il nome dell’Eterno, per servirlo di comune accordo. Di là dai fiumi di Etiopia i miei supplicanti, i miei figli dispersi, mi porteranno le loro offerte. In quel giorno, tu non avrai da vergognarti di tutte le tue azioni con le quali hai peccato contro di me; perché, allora, io toglierò di mezzo a te quelli che trionfano con superbia, e tu non farai più l’orgogliosa sul mio monte santo. Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero, che confiderà nel nome dell’Eterno. Il residuo d’Israele non commetterà iniquità, non dirà menzogne e non si troverà nella loro bocca un linguaggio ingannatore; poiché essi pascoleranno, si coricheranno, e non ci sarà chi li spaventi”. Grida di gioia, o figlia di Sion! Grida di allegrezza, o Israele! Rallegrati ed esulta con tutto il cuore, o figlia di Gerusalemme! L’Eterno ha revocato le sue sentenze contro di te, ha scacciato il tuo nemico; il Re d’Israele, l’Eterno, è in mezzo a te e non dovrai più temere alcun male. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: “Non temere, o Sion, le tue mani non s’indeboliscano! L’Eterno, il tuo Dio, è in mezzo a te, come un Potente che salva; egli si rallegrerà con grande gioia per causa tua, si acquieterà nel suo amore, esulterà, per causa tua, con grida di gioia. Io raccoglierò quelli che sono nel dolore lontano dalle feste solenni; sono tuoi; su di loro pesa la vergogna! In quel tempo io agirò contro tutti quelli che ti opprimono; salverò la pecora che zoppica e raccoglierò quella che è stata cacciata via; li renderò gloriosi e famosi, in tutti i paesi dove sono stati nella vergogna. In quel tempo, io vi ricondurrò, in quel tempo, vi raccoglierò; poiché vi renderò famosi e gloriosi fra tutti i popoli della terra, quando farò tornare, sotto i vostri occhi, quelli che sono in esilio”, dice l’Eterno. Il secondo anno del re Dario, il sesto mese, il primo giorno del mese, la parola dell’Eterno fu rivolta, per mezzo del profeta Aggeo, a Zorobabele, figlio di Sealtiel, governatore di Giuda, e a Giosuè, figlio di Iosadac, sommo sacerdote, in questi termini: “Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Questo popolo dice: Non è ancora venuto il tempo in cui la casa dell’Eterno deve essere ricostruita’”. Perciò la parola dell’Eterno fu rivolta loro per mezzo del profeta Aggeo, in questi termini: “Vi sembra questo il tempo di abitare le vostre case ben rivestite di legno, mentre questo tempio giace in rovina?”. Ora così parla l’Eterno degli eserciti: “Riflettete bene sul vostro comportamento! Voi avete seminato molto e avete raccolto poco; voi mangiate, ma senza saziarvi; bevete, ma senza soddisfare la vostra sete; vi vestite, ma non c’è chi si riscaldi; chi guadagna un salario mette il suo salario in una borsa bucata”. Così parla l’Eterno degli eserciti: “Riflettete bene sul vostro comportamento! Salite nella regione montuosa, portate del legname e ricostruite la casa; io me ne compiacerò e sarò glorificato”, dice l’Eterno. “Voi vi aspettavate molto, ed ecco c’è poco; e quando lo avete portato in casa, io ci ho soffiato sopra. Perché?”, dice l’Eterno degli eserciti. “A motivo della mia casa che giace in rovina, mentre ognuno di voi si dà premura per la propria casa. Perciò il cielo sopra di voi è rimasto chiuso, non c’è stata rugiada, e la terra ha trattenuto il suo prodotto. Io ho chiamato la siccità sul paese, sui monti, sul grano, sul vino, sull’olio, su tutto ciò che produce il suolo, sugli uomini, sul bestiame, e su tutto il lavoro delle mani”. Allora Zorobabele, figlio di Sealtiel, e Giosuè, figlio di Iosadac, il sommo sacerdote, e tutto il resto del popolo, diedero ascolto alla voce dell’Eterno, del loro Dio, e alle parole del profeta Aggeo, secondo il messaggio che l’Eterno, il loro Dio, gli aveva affidato; il popolo temette l’Eterno. Aggeo, messaggero dell’Eterno, disse al popolo, secondo la missione ricevuta dall’Eterno: “‘Io sono con voi’, dice l’Eterno”. L’Eterno destò lo spirito di Zorobabele, figlio di Sealtiel, governatore di Giuda, e lo spirito di Giosuè, figlio di Iosadac, sommo sacerdote, e lo spirito di tutto il resto del popolo; essi vennero e misero mano all’opera nella casa dell’Eterno degli eserciti, il loro Dio, il ventiquattresimo giorno del mese, il sesto mese, il secondo anno del re Dario. Il ventunesimo giorno del settimo mese, la parola dell’Eterno fu rivelata per mezzo del profeta Aggeo, in questi termini: “Parla ora a Zorobabele, figlio di Sealtiel, governatore di Giuda, e a Giosuè, figlio di Iosadac, sommo sacerdote, e al resto del popolo, e di’ loro: ‘Chi c’è ancora fra di voi che abbia visto questa casa nella sua prima gloria? E come la vedete adesso? Così com’è, non è forse come nulla ai vostri occhi? Ma ora, sii forte, Zorobabele!’, dice l’Eterno, ‘sii forte, Giosuè, figlio di Iosadac, sommo sacerdote! Sii forte, o popolo tutto del paese!’, dice l’Eterno. ‘Mettetevi all’opera! poiché io sono con voi’, dice l’Eterno degli eserciti, ‘secondo il patto che feci con voi quando usciste dall’Egitto. Il mio Spirito è in mezzo a voi, non temete!’. Poiché così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Ancora una volta, fra poco, io farò tremare i cieli, la terra, il mare, e l’asciutto; farò tremare tutte le nazioni, le cose più preziose di tutte le nazioni affluiranno, e io riempirò di gloria questa casa’, dice l’Eterno degli eserciti. ‘Mio è l’argento e mio è l’oro’, dice l’Eterno degli eserciti. ‘La gloria di questa casa sarà più grande di quella della casa precedente’, dice l’Eterno degli eserciti; ‘e in questo luogo io darò la pace’, dice l’Eterno degli eserciti”. Il ventiquattresimo giorno del nono mese, il secondo anno di Dario, la parola dell’Eterno fu rivelata per mezzo del profeta Aggeo, in questi termini: “Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Interroga i sacerdoti sulla legge riguardo a questo punto: se uno porta nel lembo della sua veste della carne consacrata, e con quel suo lembo tocca del pane, una vivanda cotta, del vino, dell’olio o qualsiasi altro cibo, quelle cose diventeranno forse consacrate?’”. I sacerdoti risposero e dissero: “No”. Aggeo disse: “Se uno, essendo impuro a causa di un morto, tocca qualcuna di quelle cose, questa diventerà impura?”. I sacerdoti risposero e dissero: “Sì, diventerà impura”. Allora Aggeo replicò e disse: “‘Così è con questo popolo, così è con questa nazione davanti a me’, dice l’Eterno, ‘e così è con tutta l’opera delle loro mani; tutto quello che mi offrono qui è impuro. Ora, riflettete bene su ciò che è avvenuto fino a questo giorno, prima che fosse messa pietra su pietra nel tempio dell’Eterno! Durante tutto quel tempo, quando uno andava a un mucchio da cui si attendevano venti misure, non ve n’erano che dieci; quando uno andava al tino per prenderne cinquanta misure, non ve n’erano che venti. Io vi ho colpiti con il carbonchio, con la ruggine, con la grandine, in tutta l’opera delle vostre mani; ma voi non siete tornati a me’, dice l’Eterno. ‘Riflettete bene su ciò che è avvenuto fino a questo giorno, fino al ventiquattresimo giorno del nono mese, dal giorno in cui sono state messe le fondamenta del tempio dell’Eterno; riflettete bene! C’è forse ancora del grano nel granaio? La stessa vigna, il fico, il melograno, l’ulivo, nulla producono! Da questo giorno io vi benedirò’”. La parola dell’Eterno fu rivolta per la seconda volta ad Aggeo, il ventiquattresimo giorno del mese, in questi termini: “Parla a Zorobabele, governatore di Giuda, e digli: ‘Io farò tremare i cieli e la terra, rovescerò il trono dei re e distruggerò la potenza dei regni delle nazioni; rovescerò i carri e quelli che vi montano; i cavalli e i loro cavalieri cadranno, l’uno per la spada dell’altro. In quel giorno’, dice l’Eterno degli eserciti, ‘io ti prenderò, o Zorobabele, figlio di Sealtiel, mio servo’, dice l’Eterno, ‘e ti terrò come un sigillo, perché io ti ho scelto’, dice l’Eterno degli eserciti”. Nell’ottavo mese del secondo anno di Dario, la parola dell’Eterno fu rivolta al profeta Zaccaria, figlio di Berechia, figlio di Iddo, in questi termini: “L’Eterno si è molto adirato contro i vostri padri. Tu, dunque, di’ loro: Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Tornate a me’, dice l’Eterno degli eserciti, ‘e io tornerò a voi’; dice l’Eterno degli eserciti. ‘Non siate come i vostri padri, ai quali i profeti precedenti si rivolgevano dicendo: Così parla l’Eterno degli eserciti: - Tornate indietro dalle vostre vie malvagie, dalle vostre malvagie azioni! Ma essi non diedero ascolto e non prestarono attenzione a me’, dice l’Eterno. ‘I vostri padri dove sono? E i profeti potevano forse vivere per sempre? Ma le mie parole e i miei decreti, che avevo affidato ai profeti, miei servitori, non arrivarono forse a colpire i vostri padri? Allora essi si convertirono, e dissero: L’Eterno degli eserciti ci ha trattati secondo le nostre vie e secondo le nostre azioni, come aveva deciso di fare’”. Nel ventiquattresimo giorno dell’undicesimo mese, che è il mese di Sebat, nel secondo anno di Dario, la parola dell’Eterno fu rivolta a Zaccaria, figlio di Berechia, figlio di Iddo, il profeta, in questi termini: Di notte io ebbi una visione; ecco un uomo in groppa a un cavallo rosso; egli stava fra le piante di mirto in una valle profonda; dietro di lui c’erano dei cavalli rossi, sauri e bianchi. Io dissi: “Che significano queste cose, mio signore?”. L’angelo che parlava con me mi disse: “Io ti farò vedere che cosa significano queste cose”. L’uomo che stava fra le piante di mirto prese a dire: “Questi sono quelli che l’Eterno ha mandato a percorrere la terra”. Quelli si rivolsero all’angelo dell’Eterno che stava fra le piante di mirto e dissero: “Noi abbiamo percorso la terra, ed ecco tutta la terra è in riposo e tranquilla”. Allora l’angelo dell’Eterno disse: “Eterno degli eserciti, fino a quando non avrai pietà di Gerusalemme e delle città di Giuda, contro le quali sei stato indignato durante questi settant’anni?”. E l’Eterno rivolse all’angelo che parlava con me delle buone parole, delle parole di conforto. Allora l’angelo che parlava con me mi disse: “Grida e di’: Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Io provo una grande gelosia per Gerusalemme e per Sion; provo un grande sdegno contro le nazioni che se ne stanno ora tranquille e che, quando io m’indignai un poco contro di essa, contribuirono ad accrescere la sua disgrazia’. Perciò così parla l’Eterno: ‘Io mi rivolgo di nuovo a Gerusalemme con compassione; la mia casa sarà ricostruita’, dice l’Eterno degli eserciti, ‘e la corda sarà di nuovo tesa su Gerusalemme’. Grida ancora, e di’: Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Le mie città traboccheranno ancora di beni, l’Eterno consolerà ancora Sion e sceglierà ancora Gerusalemme’”. Poi alzai gli occhi, guardai, ed ecco quattro corna. Chiesi all’angelo che parlava con me: “Cosa sono queste?”. Egli mi rispose: “Queste sono le corna che hanno disperso Giuda, Israele e Gerusalemme”. L’Eterno mi fece vedere quattro fabbri. Io chiesi: “Questi che vengono a fare?”. Egli rispose e mi disse: “Quelle sono le corna che hanno disperso Giuda, tanto che nessuno alzava più il capo; ma questi vengono per spaventarle, per abbattere le corna delle nazioni che hanno alzato il loro corno contro il paese di Giuda per disperderne gli abitanti”. Poi alzai gli occhi, guardai, ed ecco un uomo che aveva in mano una corda per misurare. Io dissi: “Dove vai?”. Egli mi rispose: “Vado a misurare Gerusalemme, per vedere qual è la sua larghezza e qual è la sua lunghezza”. Ed ecco, l’angelo che parlava con me si fece avanti e un altro gli andò incontro, e gli disse: “Corri, parla a quel giovane e digli: ‘Gerusalemme sarà abitata come una città senza mura, tanta sarà la quantità di gente e di bestiame che si troverà in mezzo a essa. Io’, dice l’Eterno, ‘sarò per lei un muro di fuoco tutto intorno, e sarò la sua gloria in mezzo a lei’”. “Su, fuggite dal paese del settentrione”, dice l’Eterno, “perché io vi ho dispersi ai quattro venti dei cieli”, dice l’Eterno. “Su, Sion, mettiti in salvo, tu che abiti con la figlia di Babilonia!”. Poiché così parla l’Eterno degli eserciti: “È per rivendicare la sua gloria che egli mi ha mandato verso le nazioni che hanno fatto di voi la loro preda; perché chi tocca voi tocca la pupilla dell’occhio suo. Infatti, ecco, io sto per agitare la mia mano contro di loro, ed esse diventeranno preda di quelli che erano loro assoggettati, e voi conoscerete che l’Eterno degli eserciti mi ha mandato. Manda grida di gioia, rallegrati, o figlia di Sion! poiché ecco, io sto per venire e abiterò in mezzo a te”, dice l’Eterno. “In quel giorno molte nazioni si uniranno all’Eterno e diventeranno mio popolo; io abiterò in mezzo a te, e tu conoscerai che l’Eterno degli eserciti mi ha mandato da te. L’Eterno possederà Giuda come sua parte nella terra santa, e sceglierà ancora Gerusalemme. Ogni creatura faccia silenzio in presenza dell’Eterno! poiché egli si è destato dalla sua santa dimora”. Mi fece vedere il sommo sacerdote Giosuè, che stava in piedi davanti all’angelo dell’Eterno, e Satana che stava alla sua destra per accusarlo. L’Eterno disse a Satana: “Ti sgridi l’Eterno, Satana! ti sgridi l’Eterno che ha scelto Gerusalemme! Non è forse costui un tizzone strappato dal fuoco?”. Giosuè era vestito di vesti sudicie, e stava in piedi davanti all’angelo. L’angelo disse a quelli che gli stavano davanti: “Levategli di dosso le vesti sudicie!”. Poi disse a Giosuè: “Guarda, io ti ho tolto di dosso la tua iniquità e ti ho vestito di abiti magnifici”. Allora io dissi: “Gli sia messo sul capo un turbante puro!”. E quelli gli posero in capo un turbante puro, e gli misero delle vesti; l’angelo dell’Eterno era là presente. L’angelo dell’Eterno fece a Giosuè questo solenne ammonimento: “Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Se tu cammini nelle mie vie e osservi quello che ti ho comandato, anche tu governerai la mia casa, custodirai i miei cortili e io ti darò libero accesso fra quelli che stanno qui davanti a me. Ascolta dunque, o Giosuè, sommo sacerdote, tu e i tuoi compagni che stanno seduti davanti a te! Poiché questi uomini servono da presagio. Ecco, io faccio venire il mio servo, il Germoglio. Infatti, guardate la pietra che io ho posto davanti a Giosuè; sopra un’unica pietra stanno sette occhi; ecco, io vi inciderò quello che deve esservi inciso’, dice l’Eterno degli eserciti; ‘e toglierò via l’iniquità di questo paese in un solo giorno. In quel giorno’, dice l’Eterno degli eserciti, ‘voi vi inviterete gli uni gli altri sotto la vite e sotto il fico’”. L’angelo che parlava con me tornò e mi svegliò come si sveglia un uomo dal sonno. Mi chiese: “Che vedi?”. Io risposi: “Ecco, vedo un candelabro tutto d’oro, che ha in cima un vaso, ed è munito delle sue sette lampade e di sette tubi per le lampade che stanno in cima; vicino al candelabro stanno due ulivi; uno a destra del vaso e l’altro alla sua sinistra”. Io presi a dire all’angelo che parlava con me: “Che significano queste cose, mio signore?”. L’angelo che parlava con me rispose e mi disse: “Non sai cosa significano queste cose?”. Io dissi: “No, mio signore”. Allora egli rispondendo, mi disse: “Questa è la parola che l’Eterno rivolge a Zorobabele: ‘Non per potenza, né per forza, ma per il mio Spirito’, dice l’Eterno degli eserciti. Chi sei tu, o grande montagna? Davanti a Zorobabele diventerai pianura; egli asporterà la pietra della vetta, in mezzo alle grida di: ‘Grazia, grazia su di lei!’”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Le mani di Zorobabele hanno gettato le fondamenta di questa casa e le sue mani la termineranno; tu saprai che l’Eterno degli eserciti mi ha mandato da voi. Chi potrebbe, infatti, disprezzare il giorno delle piccole cose, quando quei sette là, gli occhi dell’Eterno che percorrono tutta la terra, vedono con gioia il piombino in mano a Zorobabele?”. Io risposi e gli dissi: “Che significano questi due ulivi a destra e a sinistra del candelabro?”. Per la seconda volta io presi a dire: “Che significano questi due ramoscelli di ulivo che stanno accanto ai due condotti d’oro per cui scorre l’olio dorato?”. Egli rispose e mi disse: “Non sai che significano queste cose?”. Io risposi: “No, mio signore”. Allora egli disse: “Questi sono i due unti che stanno presso il Signore di tutta la terra”. Poi alzai di nuovo gli occhi, guardai, ed ecco un rotolo che volava. L’angelo mi disse: “Che vedi?”. Io risposi: “Vedo un rotolo che vola, la cui lunghezza è di venti cubiti e la larghezza di dieci cubiti”. Egli mi disse: “Questa è la maledizione che si spande sopra tutto il paese; poiché ogni ladro, secondo essa, sarà estirpato da questo luogo, e ogni spergiuro, secondo essa, sarà estirpato da questo luogo. Io la faccio uscire”, dice l’Eterno degli eserciti, “ed essa entrerà nella casa del ladro e nella casa di colui che giura il falso nel mio nome; si stabilirà in mezzo a quella casa e la consumerà con il legname e le pietre che contiene”. L’angelo che parlava con me uscì e mi disse: “Alza gli occhi e guarda che cosa esce là”. Io domandai: “Che cos’è?”. Egli disse: “È l’efa che esce”. Poi aggiunse: “In tutto il paese non hanno occhio che per quello”. Ed ecco, fu alzata una piastra di piombo, e in mezzo all’efa stava seduta una donna. Egli disse: “Questa è Malvagità”; e la gettò in mezzo all’efa, poi gettò la piastra di piombo sulla bocca dell’efa. Poi alzai gli occhi, guardai, ed ecco due donne che avanzavano; il vento soffiava nelle loro ali, e le ali che avevano erano come ali di cicogna; esse sollevarono l’efa fra terra e cielo. Io chiesi all’angelo che parlava con me: “Dove portano l’efa?”. Egli mi rispose: “Nel paese di Scinear, per costruirle una casa; quando sarà pronta, esso sarà posto sopra al suo piedistallo”. Alzai di nuovo gli occhi, guardai, ed ecco quattro carri che uscivano in mezzo a due monti; e i monti erano monti di bronzo. Al primo carro c’erano dei cavalli rossi; al secondo carro dei cavalli neri; al terzo carro dei cavalli bianchi, e al quarto carro dei cavalli chiazzati di rosso. Io chiesi all’angelo che parlava con me: “Che significano queste cose, mio signore?”. L’angelo rispose e mi disse: “Questi sono i quattro venti del cielo, che escono dopo essersi presentati al Signore di tutta la terra. Il carro dei cavalli neri va verso il paese del settentrione; i cavalli bianchi lo seguono; i chiazzati vanno verso il paese del sud, e i rossi escono e chiedono di andare a percorrere la terra”. L’angelo disse loro: “Andate, percorrete la terra!”. Ed essi percorsero la terra. Poi egli mi chiamò e mi parlò così: “Ecco, quelli che escono verso il paese del settentrione placano la mia ira sul paese del settentrione”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Prendi dai deportati, cioè da quelli di Eldai, di Tobia e di Iedaia, e recati oggi stesso in casa di Giosia, figlio di Sofonia, dove essi sono giunti da Babilonia; prendi dell’argento e dell’oro, fanne delle corone, e mettile sul capo di Giosuè, figlio di Iosadac, sommo sacerdote. Parlagli e digli: Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Ecco un uomo, che si chiama il Germoglio, germoglierà nel suo luogo e costruirà il tempio dell’Eterno; egli costruirà il tempio dell’Eterno, riceverà la gloria, si siederà e dominerà sul suo trono, sarà sacerdote sul suo trono, e vi sarà fra i due un accordo di pace’. Le corone saranno per Chelem, per Tobia, per Iedaia e per Chen, figlio di Sofonia, come un ricordo nel tempio dell’Eterno. Quelli che sono lontani verranno e lavoreranno alla costruzione del tempio dell’Eterno; voi conoscerete che l’Eterno degli eserciti mi ha mandato da voi. Questo avverrà se date veramente ascolto alla voce dell’Eterno, del vostro Dio”. Il quarto anno del re Dario la parola dell’Eterno fu rivolta a Zaccaria, il quarto giorno del nono mese, cioè di Chisleu. Quelli di Betel avevano mandato Sareser e Reghem-Melec con la loro gente per implorare il favore dell’Eterno, e per parlare ai sacerdoti della casa dell’Eterno degli eserciti e ai profeti, in questo modo: “Dobbiamo continuare a piangere il quinto mese e a digiunare come abbiamo fatto per tanti anni?”. La parola dell’Eterno mi fu rivolta in questi termini: “Parla a tutto il popolo del paese e ai sacerdoti, e di’: ‘Quando avete digiunato e fatto cordoglio il quinto e il settimo mese durante questi settant’anni, avete forse digiunato per me, proprio per me? Quando mangiate e quando bevete, non siete voi che mangiate, voi che bevete? Non dovreste voi dare ascolto alle parole che l’Eterno degli eserciti ha proclamato per mezzo dei profeti di prima, quando Gerusalemme era abitata e tranquilla, con le sue città circostanti, ed erano abitate pure la regione meridionale e la pianura?’”. La parola dell’Eterno fu rivolta a Zaccaria, in questi termini: “Così parlava l’Eterno degli eserciti: ‘Fate giustizia fedelmente, e mostrate l’uno per l’altro bontà e compassione; non opprimete la vedova né l’orfano, lo straniero né il povero; nessuno di voi, nel suo cuore, trami del male contro il fratello’. Ma essi rifiutarono di fare attenzione, voltarono le spalle ribelli, e si tapparono gli orecchi per non udire. Resero il loro cuore duro come il diamante, per non ascoltare la legge e le parole che l’Eterno degli eserciti mandava loro per mezzo del suo Spirito, per mezzo dei profeti del passato; perciò ci fu grande indignazione da parte dell’Eterno degli eserciti. ‘Così come egli chiamava e quelli non davano ascolto, così quelli chiameranno e io non darò ascolto’, dice l’Eterno degli eserciti; ‘li disperderò fra tutte le nazioni che essi non hanno mai conosciuto, e il paese rimarrà desolato dietro di loro, senza più nessuno che vi passi o vi ritorni. Hanno ridotto in desolazione il paese di delizie’”. La parola dell’Eterno degli eserciti mi fu rivolta in questi termini: “Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Io provo per Sion una grande gelosia, sono geloso di lei con grande ardore’. Così parla l’Eterno: ‘Io torno a Sion e abiterò in mezzo a Gerusalemme; Gerusalemme si chiamerà la Città della fedeltà, e il monte dell’Eterno degli eserciti, Monte della santità’. Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Ci saranno ancora dei vecchi e delle vecchie che si sederanno nelle piazze di Gerusalemme, ognuno avrà il bastone in mano a causa dell’età avanzata. Le piazze della città saranno piene di ragazzi e di ragazze che si divertiranno nelle piazze’. Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Se ciò sembrerà impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche agli occhi miei?’, dice l’Eterno degli eserciti. Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Ecco, io salvo il mio popolo dalla terra di oriente e dalla terra di occidente; li ricondurrò ed essi abiteranno in mezzo a Gerusalemme; essi saranno mio popolo, e io sarò loro Dio con fedeltà e con giustizia’. Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Fortificate le vostre mani, o voi che udite in questi giorni queste parole dalla bocca dei profeti che c’erano quando venivano gettate le fondamenta della casa dell’Eterno degli eserciti, affinché il tempio sia ricostruito. Prima di questi giorni non c’era salario per il lavoro dell’uomo, né salario per il lavoro delle bestie; non c’era nessuna sicurezza per quelli che andavano e venivano, a causa del nemico; io mettevo gli uni contro gli altri. Ma ora io non sono più per il rimanente di questo popolo come ero nei tempi passati’, dice l’Eterno degli eserciti. ‘Infatti ci sarà un seme di pace; la vite darà il suo frutto, il suolo i suoi prodotti, e i cieli daranno la loro rugiada; darò al rimanente di questo popolo il possesso di tutte queste cose. Come siete stati una maledizione fra le nazioni, così, o casa di Giuda e casa d’Israele, io vi salverò e sarete una benedizione. Non temete! Le vostre mani siano forti!’. Infatti, così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Come io pensai di farvi del male quando i vostri padri provocarono la mia ira’, dice l’Eterno degli eserciti, ‘e non mi pentii, così di nuovo ho pensato in questi giorni di fare del bene a Gerusalemme e alla casa di Giuda; non temete! Queste sono le cose che dovete fare: dite la verità ciascuno al suo prossimo; fate giustizia alle vostre porte, secondo verità e per la pace; nessuno trami nel suo cuore alcun male contro il suo prossimo, e non amate il falso giuramento; perché tutte queste cose io le odio’, dice l’Eterno”. La parola dell’Eterno degli eserciti mi fu rivolta in questi termini: “Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Il digiuno del quarto, il digiuno del quinto, il digiuno del settimo e il digiuno del decimo mese diventeranno per la casa di Giuda una gioia, un piacere, delle feste di esultanza; amate dunque la verità e la pace’. Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘Verranno ancora dei popoli e gli abitanti di molte città; gli abitanti di una andranno dall’altra e diranno: Andiamo, andiamo a implorare il favore dell’Eterno e a cercare l’Eterno degli eserciti! Anche io voglio andare! Molti popoli e delle nazioni potenti verranno a cercare l’Eterno degli eserciti a Gerusalemme e a implorare il favore dell’Eterno’. Così parla l’Eterno degli eserciti: ‘In quei giorni avverrà che dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni prenderanno un Giudeo per il lembo della veste, e diranno: Noi verremo con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi’”. Oracolo. La parola dell’Eterno va contro il paese di Adrac e si ferma sopra Damasco; poiché l’Eterno ha l’occhio su tutti gli uomini e su tutte le tribù d’Israele. Essa si ferma pure sopra Camat, ai confini di Damasco, su Tiro e Sidone perché sono così sagge! Tiro si è costruita una fortezza, ha accumulato argento come polvere e oro come fango di strada. Ecco, l’Eterno s’impadronirà di essa, getterà la sua potenza nel mare, ed essa sarà consumata dal fuoco. Ascalon lo vedrà e avrà paura; anche Gaza, e si contorcerà dal grande dolore; così Ecron, perché la sua speranza sarà confusa; Gaza non avrà più re e Ascalon non sarà più abitata. Dei bastardi abiteranno in Asdod e io annienterò l’orgoglio dei Filistei. Toglierò il sangue dalla bocca del Filisteo e le abominazioni dai suoi denti; anche lui sarà un residuo per il nostro Dio; sarà come un capo in Giuda, ed Ecron, come il Gebuseo. Io mi accamperò attorno alla mia casa per difenderla da ogni esercito, da chi va e viene; e nessun esattore di tributi passerà più da loro, perché ora ho visto con i miei occhi. Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un puledro di asina. Io farò sparire i carri da Efraim, i cavalli da Gerusalemme, e gli archi di guerra saranno annientati. Egli parlerà di pace alle nazioni, il suo dominio si estenderà da un mare all’altro, e dal fiume fino alle estremità della terra. Quanto a te, Israele, a causa del sangue del tuo patto, io farò uscire i tuoi prigionieri dalla fossa senza acqua. Tornate alla fortezza, o voi prigionieri della speranza! Anche oggi io ti dichiaro che ti renderò il doppio. Poiché io piego Giuda come un arco, armo l’arco con Efraim, e inciterò i tuoi figli, o Sion, contro i tuoi figli, o Iavan, e ti renderò simile alla spada di un eroe. L’Eterno apparirà sopra di loro, e la sua freccia partirà come il lampo. Il Signore, l’Eterno, suonerà la tromba, e avanzerà con i turbini del mezzogiorno. L’Eterno degli eserciti li proteggerà; ed essi divoreranno, calpesteranno le pietre di fionda: berranno, strepiteranno come eccitati dal vino, e saranno pieni come coppe per le offerte, come gli angoli dell’altare. L’Eterno, il loro Dio, li salverà, in quel giorno, come il gregge del suo popolo; poiché saranno come pietre di un diadema, che splenderanno sulla sua terra. Poiché, quanto grande sarà la sua bontà e quanto grande sarà la sua bellezza! Il grano farà crescere i giovani e il mosto le fanciulle. Chiedete all’Eterno la pioggia nella stagione di primavera! L’Eterno che produce i lampi, darà loro abbondanza di pioggia, a ciascuno erba nel proprio campo. Poiché gli idoli domestici dicono cose vane, gli indovini vedono menzogne, i sogni mentono e danno un vano conforto; perciò costoro vanno errando come pecore, sono afflitti, perché non c’è pastore. La mia ira si è accesa contro i pastori e io punirò i capri; poiché l’Eterno degli eserciti visita il suo gregge, la casa di Giuda, e ne fa come il suo cavallo d’onore nella battaglia. Da lui uscirà la pietra angolare, da lui il piolo, da lui l’arco di battaglia, da lui usciranno tutti i capi insieme. Saranno come prodi che calpesteranno il nemico in battaglia, nel fango delle strade; combatteranno perché l’Eterno è con loro; ma quelli che sono in groppa ai cavalli saranno confusi. “Io rafforzerò la casa di Giuda, salverò la casa di Giuseppe e li ricondurrò perché ho pietà di loro; saranno come se non li avessi mai scacciati, perché io sono l’Eterno, il loro Dio, e li esaudirò. Quelli di Efraim saranno come un prode, e il loro cuore si rallegrerà come per effetto del vino; i loro figli lo vedranno e si rallegreranno, il loro cuore esulterà nell’Eterno. Con un fischio li raccoglierò, perché io li voglio riscattare; ed essi si moltiplicheranno come già si moltiplicarono. Io li disseminerò fra i popoli, ed essi si ricorderanno di me nei paesi lontani; vivranno con i loro figli e torneranno. Io li farò tornare dal paese d’Egitto e li raccoglierò dall’Assiria; li farò venire nel paese di Galaad e in Libano, e non si troverà posto sufficiente per loro. Egli passerà per il mare della sventura; ma nel mare egli colpirà i flutti e tutte le profondità del fiume saranno prosciugate; l’orgoglio dell’Assiria sarà abbattuto e lo scettro dell’Egitto sarà tolto via. Io li renderò forti nell’Eterno, ed essi cammineranno nel suo nome”, dice l’Eterno. Libano, apri le tue porte e il fuoco divori i tuoi cedri! Urla, cipresso, perché il cedro è caduto e gli alberi magnifici sono devastati! Urlate, querce di Basan, perché la foresta impenetrabile è abbattuta! Si odono i lamenti dei pastori perché la loro gloria è distrutta; si ode il ruggito dei leoncelli perché le rive rigogliose del Giordano sono devastate. Così parla l’Eterno, il mio Dio: “Pasci le mie pecore destinate al macello, che i compratori uccidono senza rendersi colpevoli, e delle quali i venditori dicono: ‘Sia benedetto l’Eterno, io mi arricchisco!’, e che i loro pastori non risparmiano affatto. Poiché io non risparmierò più gli abitanti del paese”, dice l’Eterno, “anzi, ecco, io abbandonerò gli uomini, ognuno in balìa del suo prossimo e in balìa del suo re; essi schiacceranno il paese e io non libererò nessuno dalle loro mani”. Allora io mi misi a pascolare le pecore destinate al macello, e perciò le più misere del gregge. Mi presi due bastoni; chiamai l’uno Favore e l’altro Vincoli, e mi misi a pascolare il gregge. Eliminai tre pastori in un mese; persi la pazienza con loro, e anche loro si disgustarono di me. Io dissi: “Non vi porterò più al pascolo; la moribonda muoia, quella che sta per perire perisca, e quelle che restano divorino l’una la carne dell’altra”. Presi dunque il mio bastone Favore e lo spezzai, per annullare il patto che avevo stretto con tutti i popoli. Quello fu annullato in quel giorno, e le pecore più misere del gregge che mi osservavano conobbero che quella era la parola dell’Eterno. Io dissi loro: “Se vi sembra giusto, datemi il mio salario; se no, lasciate stare”. Ed essi mi pesarono il mio salario: trenta sicli d’argento. L’Eterno mi disse: “Gettalo per il vasaio, questo magnifico prezzo con il quale mi hanno valutato!”. Io presi i trenta sicli d’argento e li gettai nella casa dell’Eterno per il vasaio. Poi spezzai l’altro bastone, Vincoli, per rompere la fratellanza fra Giuda e Israele. L’Eterno mi disse: “Prenditi anche gli arnesi di un pastore insensato. Perché, ecco, io susciterò nel paese un pastore che non si curerà delle pecore che periscono, non cercherà le disperse, non guarirà le ferite, non nutrirà quelle che stanno in piedi, ma mangerà la carne delle grasse e strapperà loro perfino le unghie. Guai al pastore stolto, che abbandona il gregge! La spada gli colpirà il braccio e l’occhio destro. Il braccio gli seccherà del tutto, e l’occhio destro gli si spegnerà completamente”. Oracolo, parola dell’Eterno, riguardo a Israele. Parola dell’Eterno che ha disteso i cieli, fondato la terra e che ha formato lo spirito dell’uomo dentro di lui. “Ecco, io farò di Gerusalemme una coppa di stordimento per tutti i popoli circostanti; questo riguarderà anche Giuda, quando Gerusalemme sarà assediata. In quel giorno avverrà che io farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli; tutti quelli che se la caricheranno addosso ne saranno del tutto lacerati, e tutte le nazioni della terra si raduneranno contro di lei. In quel giorno”, dice l’Eterno, “io colpirò di smarrimento tutti i cavalli, e di delirio quelli che li montano; io aprirò i miei occhi sulla casa di Giuda, ma colpirò di cecità tutti i cavalli dei popoli. I capi di Giuda diranno in cuor loro: ‘Gli abitanti di Gerusalemme sono la mia forza nell’Eterno degli eserciti, loro Dio’. In quel giorno, io renderò i capi di Giuda come un braciere ardente in mezzo a della legna, come una torcia accesa in mezzo a dei covoni; essi divoreranno a destra e a sinistra tutti i popoli circostanti; Gerusalemme sarà ancora abitata nel suo proprio luogo, a Gerusalemme. L’Eterno salverà prima le tende di Giuda, perché la gloria della casa di Davide e la gloria degli abitanti di Gerusalemme non si innalzi al di sopra di Giuda. In quel giorno l’Eterno proteggerà gli abitanti di Gerusalemme; colui che fra loro vacilla sarà in quel giorno come Davide, e la casa di Davide sarà come Dio, come l’angelo dell’Eterno davanti a loro. In quel giorno avverrà che io avrò cura di distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme, lo spirito di grazia e di supplicazione; essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito. In quel giorno ci sarà un grande lutto in Gerusalemme, pari al lutto di Adadrimmon nella valle di Meghiddo. Il paese farà cordoglio, ogni famiglia per conto proprio; la famiglia della casa di Davide da una parte, e le loro mogli dall’altra; la famiglia della casa di Natan da una parte, e le loro mogli dall’altra; la famiglia della casa di Levi da una parte, e le loro mogli dall’altra; la famiglia dei Simeiti da una parte, e le loro mogli dall’altra; tutte le famiglie rimaste ognuna da una parte, e le mogli dall’altra”. “In quel giorno vi sarà una fonte aperta per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme, per il peccato e per l’impurità. In quel giorno avverrà”, dice l’Eterno degli eserciti, “che io sterminerò dal paese i nomi degli idoli, e non saranno più nominati; farò anche sparire dal paese i profeti e gli spiriti immondi. Avverrà che, se qualcuno farà ancora il profeta, suo padre e sua madre che lo hanno generato gli diranno: ‘Tu non vivrai, perché dici delle menzogne nel nome dell’Eterno’; e suo padre e sua madre che lo hanno generato lo trafiggeranno perché fa il profeta. In quel giorno avverrà che i profeti avranno vergogna, ognuno della visione che proferiva quando profetizzava; non si metteranno più il mantello di pelo per mentire. Ognuno di essi dirà: ‘Io non sono profeta; sono un coltivatore della terra; qualcuno mi comprò fin dalla mia giovinezza’. Gli si domanderà: ‘Che sono quelle ferite che hai nelle mani?’, egli risponderà: ‘Sono le ferite che ho ricevuto nella casa dei miei amici’”. “Insorgi, o spada, contro il mio pastore, e contro l’uomo che mi è compagno!”, dice l’Eterno degli eserciti. “Colpisci il pastore, e siano disperse le pecore! io volgerò la mia mano sui piccoli. In tutto il paese avverrà”, dice l’Eterno, “che i due terzi saranno sterminati, periranno, ma l’altro terzo sarà lasciato. Metterò quel terzo nel fuoco e lo raffinerò come si raffina l’argento, lo proverò come si prova l’oro; essi invocheranno il mio nome e io li esaudirò; io dirò: ‘È il mio popolo!’, ed esso dirà: ‘L’Eterno è il mio Dio!’”. Ecco, viene il giorno dell’Eterno, in cui le tue spoglie saranno spartite in mezzo a te. Io radunerò tutte le nazioni per fare guerra a Gerusalemme, e la città sarà presa, le case saranno saccheggiate, le donne violentate; la metà della città sarà deportata, ma il resto del popolo non sarà sterminato dalla città. Poi l’Eterno si farà avanti e combatterà contro quelle nazioni, come combatté tante volte nel giorno della battaglia. In quel giorno i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi che è di fronte a Gerusalemme, a oriente, e il monte degli Ulivi si spaccherà a metà, da oriente a occidente, tanto da formare una grande valle; metà del monte si ritirerà verso il settentrione, e l’altra metà verso il meridione. Voi fuggirete per la valle dei miei monti, poiché la valle dei monti si estenderà fino ad Asal; fuggirete come fuggiste davanti al terremoto ai giorni di Uzzia, re di Giuda; l’Eterno, il mio Dio, verrà, e tutti i suoi santi con lui. In quel giorno avverrà che non ci sarà più luce; gli astri luminosi ritireranno il loro splendore. Sarà un giorno unico, conosciuto dall’Eterno; non sarà né giorno né notte, ma verso sera vi sarà luce. In quel giorno avverrà che delle acque vive usciranno da Gerusalemme; metà delle quali volgerà verso il mare orientale, e metà verso il mare occidentale, tanto di estate quanto di inverno. L’Eterno sarà re di tutta la terra; in quel giorno l’Eterno sarà l’unico e unico sarà il suo nome. Tutto il paese sarà trasformato in pianura, da Gheba a Rimmon a sud di Gerusalemme; Gerusalemme sarà innalzata e abitata nel suo luogo, dalla porta di Beniamino al luogo della prima porta, la porta degli Angoli; e dalla torre di Cananeel agli strettoi del re. La gente abiterà in essa, e non ci sarà più nulla di votato allo sterminio; Gerusalemme se ne starà al sicuro. Questa sarà la piaga con la quale l’Eterno colpirà tutti i popoli che avranno mosso guerra a Gerusalemme: la loro carne si consumerà mentre stanno in piedi, gli occhi si scioglieranno nelle loro orbite, la loro lingua si consumerà nella loro bocca. Avverrà in quel giorno che vi sarà tra di loro un gran tumulto prodotto dall’Eterno; ciascuno di essi afferrerà la mano dell’altro, e la mano dell’uno si alzerà contro la mano dell’altro. Giuda stesso combatterà contro Gerusalemme; le ricchezze di tutte le nazioni circostanti saranno accumulate: oro, argento, vesti in grande abbondanza. La piaga che colpirà i cavalli, i muli, i cammelli, gli asini e tutte le bestie che saranno in quegli accampamenti, sarà simile a quell’altra piaga. Tutti quelli che saranno rimasti di tutte le nazioni venute contro Gerusalemme, saliranno di anno in anno a prostrarsi davanti al Re, all’Eterno degli eserciti, e a celebrare la festa delle Capanne. Quanto a quelli delle famiglie della terra che non saliranno a Gerusalemme per prostrarsi davanti al Re, all’Eterno degli eserciti, non cadrà pioggia su di loro. Se la famiglia d’Egitto non sale e non viene, neppure su di lei ne cadrà; sarà colpita dalla piaga con cui l’Eterno colpirà le nazioni che non saliranno a celebrare la festa delle Capanne. Tale sarà la punizione dell’Egitto e la punizione di tutte le nazioni che non saliranno a celebrare la festa delle Capanne. In quel giorno si leggerà sui sonagli dei cavalli: “ Santità All’Eterno!”. Le pentole nella casa dell’Eterno saranno come le bacinelle davanti all’altare. Ogni pentola a Gerusalemme e in Giuda sarà consacrata all’Eterno degli eserciti; tutti quelli che offriranno sacrifici ne verranno a prendere per cuocere le carni; in quel giorno non ci saranno più Cananei nella casa dell’Eterno degli eserciti. Oracolo, parola dell’Eterno, rivolta a Israele per mezzo di Malachia. “Io vi ho amati”, dice l’Eterno; “e voi dite: ‘In che cosa ci hai amati?’. Esaù non era forse fratello di Giacobbe?” dice l’Eterno; “eppure io ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù, ho fatto dei suoi monti una desolazione, ho dato la sua eredità agli sciacalli del deserto”. Se Edom dice: “Noi siamo stati atterrati, ma torneremo e ricostruiremo i luoghi ridotti in rovina”, così parla l’Eterno degli eserciti: “Essi costruiranno, ma io distruggerò; saranno chiamati ‘Territorio dell’iniquità’, e ‘Popolo contro il quale l’Eterno è indignato per sempre’. I vostri occhi lo vedranno e voi direte: ‘L’Eterno è magnificato oltre i confini d’Israele’”. “‘Un figlio onora suo padre e un servo il suo signore; se dunque io sono padre, dov’è l’onore che mi è dovuto? Se sono signore, dov’è il timore che mi spetta?’ dice l’Eterno degli eserciti a voi, o sacerdoti, che disprezzate il mio nome, eppure dite: ‘In che modo abbiamo disprezzato il tuo nome?’. Voi offrite sul mio altare cibi contaminati, ma dite: ‘In che modo ti abbiamo contaminato?’. Lo avete fatto dicendo: ‘La mensa dell’Eterno è spregevole’. Quando offrite una bestia cieca per sacrificarla, non è forse male? quando ne offrite una zoppa o malata, non è forse male? Presentala dunque al tuo governatore! Te ne sarà grato? Avrà dei riguardi per la tua persona?” dice l’Eterno degli eserciti. “Ora dunque, implorate pure il favore di Dio, perché egli abbia pietà di noi! Sono le vostre mani quelle che hanno fatto ciò; ed egli dovrebbe avere riguardo alla persona di qualcuno di voi?” dice l’Eterno degli eserciti. “Ci fosse almeno qualcuno di voi che chiudesse le porte! Voi non accendereste invano il fuoco sul mio altare! Io non prendo nessun piacere in voi”, dice l’Eterno degli eserciti, “e le offerte delle vostre mani io non le gradisco. Poiché dall’oriente all’occidente il mio nome è grande fra le nazioni, e in ogni luogo si offrono al mio nome incenso e oblazioni pure; perché il mio nome è grande fra le nazioni”, dice l’Eterno degli eserciti. “Ma voi lo profanate, dicendo: ‘La mensa dell’Eterno è contaminata, e ciò che dà come cibo è spregevole. Voi dite anche: ‘Ah, che fatica!’ e mi trattate con disprezzo”, dice l’Eterno degli eserciti. “Portate animali rubati, zoppi o malati, e queste sono le offerte che fate! Potrei io gradirle dalle vostre mani?” dice l’Eterno. “Maledetto il disonesto che ha nel suo gregge un maschio, ne fa un voto, e offre in sacrificio all’Eterno una bestia difettosa! Poiché io sono un Re grande”, dice l’Eterno degli eserciti, “e il mio nome è tremendo fra le nazioni”. “Ora, questo ordine è per voi, o sacerdoti! Se non date ascolto, se non prendete a cuore di dare gloria al mio nome”, dice l’Eterno degli eserciti, “io manderò su di voi la maledizione, e maledirò le vostre benedizioni; sì, già le ho maledette perché non prendete la cosa a cuore. Ecco, io sgriderò le vostre sementi perché non producano, vi getterò degli escrementi in faccia, gli escrementi delle vittime offerte nelle vostre feste, e voi sarete portati fuori con essi. Allora saprete che io vi ho mandato questo ordine affinché sussista il mio patto con Levi”, dice l’Eterno degli eserciti. “Il mio patto con lui era un patto di vita e di pace, cose che io gli diedi, perché mi temesse; egli mi temette e tremò davanti al mio nome. La legge di verità era nella sua bocca, non si trovava perversità sulle sue labbra; camminava con me nella pace e nella rettitudine, e ne allontanò molti dall’iniquità. Poiché le labbra del sacerdote sono le custodi della scienza, e dalla sua bocca si ricerca la legge, perché egli è il messaggero dell’Eterno degli eserciti. Voi invece vi siete sviati, avete fatto inciampare molti nella legge, avete violato il patto di Levi”, dice l’Eterno degli eserciti. “Anche io vi rendo spregevoli e ripugnanti agli occhi di tutto il popolo, perché non osservate le mie vie e avete dei riguardi personali quando applicate la legge”. Non abbiamo forse tutti uno stesso padre? Non ci ha creati uno stesso Dio? Perché dunque siamo perfidi l’uno verso l’altro profanando il patto dei nostri padri? Giuda ha agito con perfidia, e l’abominazione è stata commessa in Israele e in Gerusalemme; perché Giuda ha profanato ciò che è santo all’Eterno, ciò che egli ama, e ha sposato figlie di dèi stranieri. A colui che fa questo, l’Eterno sterminerà dalle tende di Giacobbe chi veglia e chi risponde, e chi offre l’oblazione all’Eterno degli eserciti! Ecco un’altra cosa che voi fate: coprite l’altare dell’Eterno di lacrime, di pianto e di gemiti, in modo che egli non badi più alle offerte e non le accetti con gradimento dalle vostre mani. Eppure dite: “Perché?”. Perché l’Eterno è testimone fra te e la moglie della tua gioventù, verso la quale ti comporti perfidamente, benché essa sia la tua compagna, la moglie alla quale sei legato da un patto. Ma, direte voi, non ce n’è uno che fece così? E tuttavia lo spirito rimase in lui. Ma perché quell’uno lo fece? Perché cercava la discendenza promessagli da Dio. Badate dunque al vostro spirito e nessuno si comporti perfidamente verso la moglie della sua gioventù. “Poiché io odio il ripudio”, dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele; “chi ripudia copre di violenza la sua veste”, dice l’Eterno degli eserciti. Badate dunque al vostro spirito e non agite perfidamente. Voi stancate l’Eterno con le vostre parole, eppure dite: “In che modo lo stanchiamo?”. In questo, che dite: “Chiunque fa il male è gradito all’Eterno, il quale si compiace di lui!” o quando dite: “Dov’è l’Iddio di giustizia?”. “Ecco, io vi mando il mio messaggero che preparerà la via davanti a me e subito il Signore, che voi cercate, l’Angelo del patto, che voi desiderate, entrerà nel suo tempio. Ecco egli viene”, dice l’Eterno degli eserciti; “ma chi potrà sostenere il giorno della sua venuta? Chi potrà rimanere in piedi quando egli apparirà?”. Infatti egli è come il fuoco del fonditore, come la potassa dei lavandai. Egli si siederà, come chi affina e purifica l’argento, e purificherà i figli di Levi, li raffinerà come si fa dell’oro e dell’argento; ed essi offriranno all’Eterno offerte con giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita all’Eterno, come nei giorni antichi, come negli anni passati. “Io mi avvicinerò a voi per giudicare, e sarò un testimone pronto contro gli incantatori, contro gli adulteri, contro quelli che giurano il falso, contro quelli che derubano l’operaio del suo salario, che opprimono la vedova e l’orfano, che fanno torto allo straniero, e non hanno timore di me”, dice l’Eterno degli eserciti. “Poiché io, l’Eterno, non cambio; perciò voi, o figli di Giacobbe, non siete consumati. Fin dai giorni dei vostri padri vi siete allontanati dai miei precetti e non li avete osservati. Tornate a me e io tornerò a voi”, dice l’Eterno degli eserciti. “Ma voi dite: ‘In che modo dobbiamo tornare?’. L’uomo può forse derubare Iddio? Eppure voi mi derubate. Ma voi dite: ‘In che cosa ti abbiamo derubato?’. Nelle decime e nelle offerte. Voi siete colpiti da maledizione perché mi derubate, voi, tutta quanta la nazione! Portate tutte le decime alla casa del tesoro, perché ci sia del cibo nella mia casa, e mettetemi alla prova in questo”, dice l’Eterno degli eserciti; “vedrete se io non vi apro le cateratte del cielo e non riverso su di voi tanta benedizione che non vi sia più dove riporla. Per amore vostro, io minaccerò l’insetto divoratore, ed egli non distruggerà più i frutti della vostra terra, la vostra vigna non sarà più sterile nella campagna”, dice l’Eterno degli eserciti. “Tutte le nazioni vi proclameranno beati, perché sarete un paese di delizie”, dice l’Eterno degli eserciti. “Voi usate parole dure contro di me”, dice l’Eterno. “Eppure voi dite: ‘Che abbiamo detto contro di te?’. Voi avete detto: ‘È inutile servire Iddio; cosa abbiamo guadagnato a osservare i suoi precetti e ad andare vestiti a lutto a causa dell’Eterno degli eserciti? Ora noi proclamiamo beati i superbi; sì, quelli che agiscono malvagiamente prosperano; sì, tentano Dio e restano impuniti!’”. Allora quelli che temono l’Eterno si sono parlati l’uno all’altro; l’Eterno è stato attento e ha ascoltato; davanti a lui è stato scritto un libro, per conservare il ricordo di quelli che temono l’Eterno e rispettano il suo nome. “Essi saranno, nel giorno che io preparo, saranno la mia proprietà particolare”, dice l’Eterno degli eserciti; “io li risparmierò, come uno risparmia il figlio che lo serve. Voi vedrete di nuovo la differenza che c’è fra il giusto e l’empio, fra colui che serve Dio e colui che non lo serve”. “Poiché, ecco, il giorno viene, ardente come una fornace; allora tutti i superbi e tutti quelli che agiscono con malvagità saranno come stoppia; il giorno che viene li incendierà”, dice l’Eterno degli eserciti, “e non lascerà loro né radice né ramo. Ma per voi che temete il mio nome sorgerà il sole della giustizia e la guarigione sarà nelle sue ali; voi uscirete e salterete, come vitelli di stalla. Calpesterete gli empi, perché saranno come cenere sotto la pianta dei vostri piedi, nel giorno che io preparo”, dice l’Eterno degli eserciti. “Ricordatevi della legge di Mosè, mio servo, al quale io diedi in Oreb, leggi e precetti per tutto Israele. Ecco, io vi mando Elia, il profeta, prima che venga il giorno dell’Eterno, giorno grande e spaventoso. Egli volgerà il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei figli verso i padri, affinché io, venendo, non debba colpire il paese di sterminio”. Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio d’Abraamo. Abraamo generò Isacco; Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli; Giuda generò Perez e Zerac da Tamar; Perez generò Chesron; Chesron generò Ram; Ram generò Amminadab; Amminadab generò Nason; Nason generò Salmon; Salmon generò Boaz da Raab; Boaz generò Obed da Rut; Obed generò Isai; Isai generò Davide, il re. E Davide generò Salomone da quella che era stata moglie di Uria; Salomone generò Roboamo; Roboamo generò Abiia; Abiia generò Asa; Asa generò Giosafat; Giosafat generò Ieoram; Ieoram generò Uzzia; Uzzia generò Iotam; Iotam generò Acaz; Acaz generò Ezechia; Ezechia generò Manasse; Manasse generò Amon; Amon generò Giosia; Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Sealtiel; Sealtiel generò Zorobabele; Zorobabele generò Abiud; Abiud generò Eliachim; Eliachim generò Azor; Azor generò Sadoc; Sadoc generò Achim; Achim generò Eliud; Eliud generò Eleazar; Eleazar generò Mattan; Mattan generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è chiamato Cristo. Così da Abraamo fino a Davide sono in tutto quattordici generazioni; da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo quattordici generazioni. La nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe e, prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo. Giuseppe, suo marito, essendo uomo giusto e non volendo esporla a infamia, si propose di lasciarla segretamente. Ma, mentre aveva queste cose nell’animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua moglie, perché ciò che in lei è generato è dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”. Tutto ciò avvenne, affinché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele”, che, interpretato, vuol dire: “Dio con noi”. E Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l’angelo del Signore gli aveva comandato; prese con sé sua moglie; e non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio, al quale pose nome Gesù. Essendo Gesù nato a Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode, dei magi d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo”. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. Radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere. Essi gli dissero: “In Betlemme di Giudea, poiché così è scritto per mezzo del profeta: ‘E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele’”. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s’informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparsa e, mandandoli a Betlemme, disse loro: “Andate, domandate diligentemente del bambino e, quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché venga anche io ad adorarlo”. Essi dunque, udito il re, partirono e la stella che avevano visto in Oriente andava davanti a loro, finché, giunta al luogo dov’era il bambino, vi si fermò sopra. Essi, vista la stella, si rallegrarono di grandissima gioia. Ed entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono e, aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per altra via. Quando furono partiti, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e restaci finché io non te lo dico; perché Erode cercherà il bambino per farlo morire”. Egli dunque si alzò, prese di notte il bambino e sua madre e si ritirò in Egitto; là rimase fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta: “ Chiamai mio figlio fuori dall’Egitto ”. Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò gravemente e mandò a uccidere tutti i maschi che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio dall’età di due anni in giù, secondo il tempo del quale si era esattamente informato dai magi. Allora si adempì quello che fu detto per bocca del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama; un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più”. Ma dopo che Erode fu morto, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Àlzati, prendi il bambino e sua madre e vattene nel paese d’Israele, perché sono morti quelli che cercavano la vita del bambino”. Ed egli, alzatosi, prese il bambino e sua madre ed entrò nel paese d’Israele. Ma, udito che in Giudea regnava Archelao invece d’Erode, suo padre, temette di andare là e, essendo stato divinamente avvertito in sogno, si ritirò nelle parti della Galilea e venne ad abitare in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato Nazareno. In quei giorni comparve Giovanni il battista, predicando nel deserto della Giudea e dicendo: “Ravvedetevi, poiché il regno dei cieli è vicino”. Di lui parlò infatti il profeta Isaia quando disse: “Voce di uno che grida nel deserto: ‘Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’”. Giovanni aveva un vestito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi e si cibava di cavallette e di miele selvatico. Allora Gerusalemme e tutta la Giudea e tutto il paese intorno al Giordano accorrevano a lui ed erano battezzati da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Ma, vedendo molti dei farisei e dei sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire dall’ira a venire? Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento. E non pensate di dire dentro di voi: ‘Abbiamo per padre Abraamo’, perché io vi dico che Dio può far sorgere da queste pietre dei figli ad Abraamo. La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero dunque che non fa buon frutto sta per essere tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo in acqua, in vista del ravvedimento, ma colui che viene dietro a me è più forte di me e io non sono degno di portargli i calzari; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha il suo ventilabro in mano, pulirà interamente la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma arderà la pula con fuoco inestinguibile”. Allora Gesù dalla Galilea si recò al Giordano da Giovanni per essere da lui battezzato. Ma questi vi si opponeva dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni a me?”. Ma Gesù gli rispose: “Lascia fare per ora, poiché conviene che noi adempiamo così ogni giustizia”. Allora Giovanni lo lasciò fare. E Gesù, appena fu battezzato, salì fuori dall’acqua ed ecco i cieli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dai cieli che disse: “Questo è il mio diletto Figlio nel quale mi sono compiaciuto”. Allora Gesù fu condotto dallo Spirito su nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E, dopo che ebbe digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. E il tentatore, accostatosi, gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pani”. Ma egli rispondendo disse: “Sta scritto: ‘Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio’”. Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa e lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: ‘Egli darà ordine ai suoi angeli intorno a te, ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché tu non urti con il piede contro una pietra’”. Gesù gli disse: “È anche scritto ‘Non tentare il Signore Dio tuo’”. Di nuovo il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io te le darò, se, prostrandoti, tu mi adori”. Allora Gesù gli disse: “Vattene, Satana, poiché sta scritto: ‘Adora il Signore Dio tuo, e a lui solo rendi il culto’”. Allora il diavolo lo lasciò ed ecco degli angeli vennero a lui e lo servivano. Gesù, avendo udito che Giovanni era stato messo in prigione, si ritirò in Galilea. E, lasciata Nazaret, venne ad abitare in Capernaum, città sul mare, ai confini di Zabulon e di Neftali, affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta Isaia: “Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là del Giordano, la Galilea dei Gentili, il popolo che giaceva nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che giacevano nella contrada e nell’ombra della morte, una luce è sorta”. Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Camminando lungo il mare della Galilea, egli vide due fratelli, Simone detto Pietro e Andrea suo fratello, i quali gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: “Venite dietro a me e vi farò pescatori d’uomini”. Ed essi, lasciate subito le reti, lo seguirono. Passato oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni, suo fratello, i quali nella barca con Zebedeo, loro padre, rassettavano le reti, e li chiamò. Essi, lasciata subito la barca e il padre loro, lo seguirono. Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando l’evangelo del regno, sanando ogni malattia e ogni infermità fra il popolo. La sua fama si sparse per tutta la Siria; e gli portarono tutti i malati colpiti da varie infermità e da vari dolori, indemoniati, epilettici, paralitici, ed egli li guarì. E grandi folle lo seguirono dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano. Gesù, vedendo le folle, salì sul monte; e postosi a sedere, i suoi discepoli si accostarono a lui. Ed egli, aperta la bocca, insegnava loro dicendo: “Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli. Beati quelli che fanno cordoglio, perché saranno consolati. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché a essi misericordia sarà fatta. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati quelli che s’adoperano alla pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi, quando vi oltraggeranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi. Voi siete il sale della terra; ora, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente, anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli. Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io non sono venuto per abolire ma per compiere. Poiché io vi dico in verità che finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto. Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati, sarà chiamato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico che, se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli. Voi avete udito che fu detto agli antichi: ‘Non uccidere’, e ‘Chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale’; ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello, sarà sottoposto al tribunale e chi avrà detto a suo fratello: ‘Raca’, sarà sottoposto al Sinedrio e chi gli avrà detto: ‘Pazzo’, sarà condannato alla geenna del fuoco. Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi vieni a offrire la tua offerta. Fa’ presto amichevole accordo con il tuo avversario mentre sei ancora per via con lui, affinché il tuo avversario non ti dia in mano al giudice, e il giudice in mano alle guardie e tu non venga messo in prigione. Io ti dico in verità che di là non uscirai, finché tu non abbia pagato l’ultimo centesimo. Voi avete udito che fu detto: ‘Non commettere adulterio’. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Ora, se il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te, poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca e non sia gettato tutto il tuo corpo nella geenna. E se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, mozzala e gettala via da te, poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca e non vada tutto il tuo corpo nella geenna. Fu detto: ‘Chiunque ripudia sua moglie, le dia l’atto di ripudio’. Ma io vi dico: Chiunque manda via la moglie, salvo che per motivo di fornicazione, la fa essere adultera e chiunque sposa colei che è mandata via commette adulterio. Avete udito pure che fu detto agli antichi: ‘Non giurare il falso, ma adempi i tuoi giuramenti fatti al Signore’. Ma io vi dico: Non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi fare un solo capello bianco o nero. Ma sia il vostro parlare: Sì, sì; no, no, poiché il di più viene dal maligno. Voi avete udito che fu detto: ‘Occhio per occhio e dente per dente’. Ma io vi dico: Non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra; e a chi vuol litigare con te e toglierti la tunica lasciagli anche il mantello. E se uno ti vuole costringere a fare un miglio, fanne con lui due. Da’ a chi ti chiede e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Voi avete udito che fu detto: ‘ Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? E se fate accoglienza soltanto ai vostri fratelli, che fate di singolare? Non fanno altrettanto anche i pagani? Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste. Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere osservati da loro, altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma, quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, affinché la tua elemosina si faccia in segreto, e il Padre tuo che vede nel segreto te ne darà la ricompensa. Quando pregate, non siate come gli ipocriti, poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Nel pregare non usate ripetizioni senza senso come fanno i pagani, i quali pensano d’essere esauditi per il gran numero delle loro parole. Non siate come loro, poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: ‘Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra com’è fatta nel cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno’. Poiché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma, se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe. Ora, quando digiunate, non siate malinconici d’aspetto come gli ipocriti, poiché essi si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma tu, quando digiuni, ungiti il capo e làvati la faccia, affinché non appaia agli uomini che tu digiuni, ma al Padre tuo che è nel segreto e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Non vi fate tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano, ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore. La lampada del corpo è l’occhio. Se dunque il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato, ma, se il tuo occhio è viziato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebre, queste tenebre quanto grandi saranno! Nessuno può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona. Perciò vi dico: Non siate ansiosi per la vostra vita di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: Non seminano, non mietono, non raccolgono in granai e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può, con la sua preoccupazione, aggiungere una sola ora alla sua vita? E, riguardo al vestire, perché siete ansiosi? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano, eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà egli molto più voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: ‘Che mangeremo? Che berremo?’ o ‘Di che ci vestiremo?’. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose e il vostro Padre celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque ansiosi per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno. Non giudicate affinché non siate giudicati, perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. E perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? Ovvero, come potrai dire a tuo fratello: ‘Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza’, mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello. Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le zampe e rivolti contro di voi non vi sbranino. Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto, perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e sarà aperto a chi bussa. E qual è l’uomo fra voi, il quale, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? Oppure, se gli chiede un pesce, gli dia un serpente? Se dunque voi che siete malvagi sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il vostro Padre che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano! Dunque, tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge e i profeti. Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita e pochi sono quelli che la trovano. Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Voi li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero cattivo fa frutti cattivi. Un albero buono non può fare frutti cattivi, né un albero cattivo fare frutti buoni. Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Voi li riconoscerete dunque dai loro frutti. Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’ entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: ‘Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo scacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti?’. Allora dichiarerò loro: ‘Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi tutti operatori d’iniquità’. Perciò chiunque ode queste mie parole e le mette in pratica, sarà paragonato a un uomo avveduto che ha edificato la sua casa sopra la roccia. La pioggia è caduta e sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa, ma essa non è caduta, perché era fondata sulla roccia. E chiunque ode queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha edificato la sua casa sulla sabbia. La pioggia è caduta e sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno fatto impeto contro quella casa ed essa è caduta e la sua rovina è stata grande”. Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, la folla si stupiva del suo insegnamento, perché egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi. Quando egli fu sceso dal monte, una gran folla lo seguì. Ed ecco un lebbroso, accostatosi, gli si prostrò davanti dicendo: “Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi”. E Gesù, stesa la mano, lo toccò dicendo: “Lo voglio, sii purificato”. E in quell’istante egli fu purificato dalla sua lebbra. E Gesù gli disse: “Guarda di non dirlo a nessuno, ma va’, mostrati al sacerdote e fa’ l’offerta prescritta da Mosè e ciò serva loro di testimonianza”. Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne a lui pregandolo e dicendo: “Signore, il mio servo giace in casa paralitico, gravemente tormentato”. Gesù gli disse: “Io verrò e lo guarirò”. Ma il centurione, rispondendo, disse: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Poiché anch’io sono uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati e dico a uno: ‘Va'’ ed egli va, e a un altro: ‘Vieni’ ed egli viene, e al mio servo: ‘Fa' questo’ ed egli lo fa”. Gesù, udito questo, ne restò meravigliato e disse a quelli che lo seguivano: “Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande. E io vi dico che molti verranno da Levante e da Ponente e si metteranno a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe, nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà il pianto e lo stridore dei denti”. E Gesù disse al centurione: “Va', ti sia fatto come hai creduto”. E il servitore fu guarito in quella stessa ora. Poi Gesù, entrato nella casa di Pietro, vide che sua suocera giaceva a letto con la febbre ed egli le toccò la mano e la febbre la lasciò. Ella si alzò e si mise a servirlo. Poi, venuta la sera, gli presentarono molti indemoniati ed egli, con la parola, scacciò gli spiriti e guarì tutti i malati, affinché si adempisse quel che fu detto per bocca del profeta Isaia: “Egli stesso ha preso le nostre infermità, e ha portato le nostre malattie”. Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, comandò che si passasse all’altra riva. Allora uno scriba, accostatosi, gli disse: “Maestro, io ti seguirò dovunque tu vada”. Gesù gli disse: “Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. E un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli disse: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”. Ed essendo egli entrato nella barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco farsi in mare una così gran burrasca, che la barca era coperta dalle onde, ma Gesù dormiva. E i suoi discepoli, accostatisi, lo svegliarono dicendo: “Signore, salvaci, siamo perduti”. Ed egli disse loro: “Perché avete paura, o gente di poca fede?”. Allora, alzatosi, sgridò i venti e il mare, e si fece gran bonaccia. E quegli uomini si meravigliarono e dicevano: “Che uomo è mai questo che anche i venti e il mare gli ubbidiscono?”. Quando fu giunto all’altra riva, nel paese dei Gadareni, gli si fecero incontro due indemoniati, usciti dai sepolcri, così furiosi, che nessuno poteva passare per quella via. Ed ecco si misero a gridare: “Che c’è fra noi e te, Figlio di Dio? Sei tu venuto qui prima del tempo per tormentarci?”. Lontano da loro c’era un gran branco di porci che pascolava. E i demòni lo pregavano dicendo: “Se ci scacci, mandaci in quel branco di porci”. Ed egli disse loro: “Andate”. Ed essi, usciti, se ne andarono nei porci; ed ecco tutto il branco si gettò a precipizio giù nel mare e morirono nelle acque. Quelli che li pasturavano fuggirono e, andati nella città, raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati. Ed ecco tutta la città uscì incontro a Gesù e, come lo videro, lo pregarono che si allontanasse dai loro confini. Gesù, entrato in una barca, passò all’altra riva e venne nella sua città. Ed ecco gli portarono un paralitico steso sopra un letto. Gesù, veduta la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, stai di buon animo, i tuoi peccati ti sono perdonati”. Ed ecco alcuni degli scribi dissero dentro di sé: “Costui bestemmia”. E Gesù, conosciuti i loro pensieri, disse: “Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Poiché, che cos’è più facile, dire: ‘I tuoi peccati ti sono perdonati’ o dire: ‘Àlzati e cammina?’. Ma, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati: “Àlzati”, disse al paralitico, “prendi il tuo letto e vattene a casa”. Ed egli, alzatosi, se ne andò a casa sua. Visto ciò, la folla fu presa da timore e glorificò Dio che aveva dato tale autorità agli uomini. Poi Gesù, partito di là, passando, vide un uomo, chiamato Matteo, che sedeva al banco delle imposte e gli disse: “Seguimi”. Ed egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù era a tavola in casa di Matteo, ecco, molti pubblicani e peccatori vennero e si misero a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. E i farisei, visto ciò, dicevano ai suoi discepoli: “Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?”. Ma Gesù, avendoli uditi, disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: ‘Voglio misericordia, e non sacrificio’; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori”. Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: “Perché noi e i farisei digiuniamo e i tuoi discepoli non digiunano?”. Gesù disse loro: “Gli amici dello sposo possono fare cordoglio finché lo sposo è con loro? Ma verranno i giorni che lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio, perché quella toppa porta via qualcosa dal vestito, e lo strappo si fa peggiore. Neppure si mette del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti gli otri si rompono, il vino si spande e gli otri si perdono, ma si mette il vino nuovo in otri nuovi e l’uno e gli altri si conservano”. Mentre egli diceva loro queste cose, ecco uno dei capi della sinagoga, accostatosi, s’inchinò davanti a lui e gli disse: “Mia figlia è morta proprio ora, ma vieni, metti la mano su lei ed ella vivrà”. E Gesù, alzatosi, lo seguiva con i suoi discepoli. Ed ecco una donna, malata di un flusso di sangue da dodici anni, accostatasi da dietro, gli toccò il lembo della veste, perché diceva fra sé: “Se riesco a toccare almeno la sua veste, sarò guarita”. E Gesù, voltatosi e vedutala, disse: “Sta’ di buon animo, figliola; la tua fede ti ha guarita”. E da quell’ora la donna fu guarita. Quando Gesù fu giunto alla casa del capo della sinagoga e vide i suonatori di flauto e la folla che faceva grande strepito, disse loro: “Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme”. E ridevano di lui. Ma quando la folla fu messa fuori, egli entrò, prese la sua mano e la fanciulla si alzò. E se ne divulgò la fama per tutto quel paese. Come Gesù partiva di là, due ciechi lo seguirono, gridando e dicendo: “Abbi pietà di noi, o Figlio di Davide!”. Quando egli fu entrato nella casa, quei ciechi si accostarono a lui. Gesù disse loro: “Credete voi che io possa fare questo?”. Essi gli risposero: “Sì, o Signore”. Allora toccò loro gli occhi, dicendo: “Vi sia fatto secondo la vostra fede”. E gli occhi loro furono aperti. E Gesù fece loro un severo divieto, dicendo: “Guardate che nessuno lo sappia”. Ma quelli, usciti fuori, sparsero la fama di lui per tutto quel paese. Mentre quei ciechi uscivano, ecco che gli fu presentato un uomo muto indemoniato. E, scacciato il demonio, il muto parlò e la folla si meravigliava dicendo: “Non si è mai vista una cosa simile in Israele”. Ma i farisei dicevano: “Egli scaccia i demòni per l’aiuto del principe dei demòni”. Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando l’evangelo del regno e sanando ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore. Allora egli disse ai suoi discepoli: “La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai. Pregate dunque il Signore della mèsse che spinga degli operai nella sua mèsse”. Poi, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di sanare qualunque malattia e qualunque infermità. I nomi dei dodici apostoli sono questi: il primo Simone detto Pietro e Andrea suo fratello; Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo d’Alfeo e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, quello stesso che poi lo tradì. Questi sono i dodici mandati da Gesù, dando loro queste istruzioni: “Non andate fra i Gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani, ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Andando, predicate e dite: ‘Il regno dei cieli è vicino’. Guarite i malati, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non fate provvista né d’oro, né d’argento, né di rame nelle vostre cinture, né di sacca da viaggio, né di due tuniche, né di calzari, né di bastone, perché l’operaio è degno del suo nutrimento. In qualunque città o villaggio sarete entrati, informatevi se vi sia là qualcuno degno di ospitarvi e abitate da lui finché partirete. Quando entrerete nella casa, salutatela. E, se quella casa ne è degna, venga la pace vostra su lei: ma, se non ne è degna, la vostra pace torni a voi. E, se qualcuno non vi riceve né ascolta le vostre parole, uscendo da quella casa o da quella città, scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità io vi dico che il paese di Sodoma e di Gomorra, nel giorno del giudizio, sarà trattato con meno rigore di quella città. Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. E guardatevi dagli uomini, perché vi metteranno in mano dei tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per servire di testimonianza davanti a loro e ai Gentili. Ma quando vi metteranno nelle loro mani, non siate in ansietà del come parlerete o di quel che dovrete dire, perché in quell’ora stessa vi sarà dato ciò che dovrete dire. Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà il fratello a morte, e il padre il figlio; e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. E, quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra, perché io vi dico in verità che non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che il Figlio dell’uomo sia venuto. Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo signore. Basti al discepolo essere come il suo maestro e al servo essere come il suo signore. Se hanno chiamato Belzebù il padrone, quanto più chiameranno così quelli di casa sua! Non li temete dunque, poiché non c’è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce e quello che udite dettovi all’orecchio, predicatelo sui tetti. E non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire e l’anima e il corpo nella geenna. Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Ma quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri. Chiunque dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettere pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, e la figlia da sua madre, e la nuora dalla suocera e i nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me e chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la vita sua, la perderà e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Chi riceve voi, riceve me e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato. Chi riceve un profeta come profeta, riceverà premio di profeta e chi riceve un giusto come giusto, riceverà premio di giusto. E chi avrà dato da bere soltanto un bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è un mio discepolo, io vi dico in verità che non perderà affatto il suo premio”. Quando ebbe finito di dare le sue istruzioni ai suoi dodici discepoli, Gesù partì di là per insegnare e predicare nelle loro città. Giovanni, avendo udito parlare delle opere del Cristo nella prigione, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: “Sei tu colui che deve venire, o ne aspetteremo un altro?”. Gesù rispondendo disse loro: “Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi recuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e l’evangelo è annunciato ai poveri. Beato colui che non si sarà scandalizzato di me!”. Mentre essi se ne andavano, Gesù cominciò a parlare di Giovanni alla folla: “Che andaste a vedere nel deserto? Una canna dimenata dal vento? Ma che andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Ecco, quelli che portano delle vesti morbide stanno nelle dimore dei re. Ma perché andaste? Per vedere un profeta? Sì, vi dico, è più che un profeta. Egli è colui del quale è scritto: ‘Ecco, io mando il mio messaggero davanti al tuo cospetto, che preparerà la via davanti a te’. In verità io vi dico che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il battista, però il minimo nel regno dei cieli è maggiore di lui. Dai giorni di Giovanni il battista fino ad ora, il regno dei cieli è preso a forza e i violenti se ne impadroniscono. Poiché tutti i profeti e la legge hanno profetizzato fino a Giovanni. E, se lo volete accettare, egli è l’Elia che doveva venire. Chi ha orecchi per udire, oda. Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile ai fanciulli seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni e dicono: ‘Vi abbiamo suonato il flauto e voi non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e voi non avete fatto cordoglio’. Difatti è venuto Giovanni, non mangiando né bevendo, e dicono: ‘Ha un demonio!’. È venuto il Figlio dell’uomo. mangiando e bevendo, e dicono: ‘Ecco un mangiatore e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori!’. Ma la sapienza è stata giustificata dalle sue opere”. Allora egli iniziò a rimproverare le città nelle quali era stata fatta la maggior parte delle sue opere potenti, perché non si erano ravvedute: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! Perché, se in Tiro e Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute fra voi, già da molto tempo si sarebbero pentite, con cilicio e cenere. Perciò vi dichiaro che nel giorno del giudizio la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra. E tu, o Capernaum, sarai tu forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino nell’Ades, perché se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te, essa sarebbe durata fino a oggi. Perciò, io lo dichiaro, nel giorno del giudizio la sorte del paese di Sodoma sarà più tollerabile della tua”. In quel tempo Gesù prese a dire: “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce appieno il Figlio, se non il Padre, e nessuno conosce appieno il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati e io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore e voi troverete riposo alle anime vostre, poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”. In quel tempo Gesù passò in giorno di sabato per i seminati; i suoi discepoli ebbero fame e si misero a strappare delle spighe e a mangiare. I farisei, visto ciò, gli dissero: “Ecco, i tuoi discepoli fanno quel che non è lecito di fare in giorno di sabato”. Ma egli disse loro: “Non avete voi letto quello che fece Davide quando ebbe fame, egli e coloro che erano con lui? Come egli entrò nella casa di Dio e come mangiarono i pani di presentazione che non era lecito mangiare né a lui, né a quelli che erano con lui, ma ai soli sacerdoti? Ovvero, non avete voi letto nella legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio violano il sabato e non ne sono colpevoli? Ora io vi dico che c’è qui qualcosa di più grande del tempio. E se sapeste che cosa significhi: ‘Voglio misericordia e non sacrificio’ voi non avreste condannato gli innocenti, perché il Figlio dell’uomo è Signore del sabato”. Poi se ne andò e giunse nella loro sinagoga. Ed ecco un uomo che aveva una mano secca. Essi, per poterlo accusare, fecero a Gesù questa domanda: “È lecito fare delle guarigioni in giorno di sabato?”. Ed egli disse loro: “Chi è colui fra voi che, avendo una pecora, se cade in giorno di sabato in una fossa non la prenda e la tiri fuori? Certo un uomo vale più di una pecora! È dunque lecito fare del bene in giorno di sabato”. Allora disse a quell’uomo: “Stendi la tua mano”. Egli la stese ed essa tornò sana come l’altra. Ma i farisei, usciti, tennero consiglio contro di lui, per farlo morire. Ma Gesù, saputolo, partì di là; molti lo seguirono, ed egli li guarì tutti e ordinò loro severamente di non rivelare chi fosse affinché si adempisse quanto era stato detto per bocca del profeta Isaia: “Ecco il mio Servitore che ho scelto; il mio diletto, in cui l’anima mia si è compiaciuta. Io metterò lo Spirito mio sopra lui, ed egli annuncerà la giustizia alle genti. Non contenderà, né griderà, né alcuno udrà la sua voce nelle piazze. Egli non triterà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante, finché non abbia fatto trionfare la giustizia. E nel suo nome le genti spereranno”. Allora gli fu presentato un indemoniato, cieco e muto, ed egli lo sanò, in modo che il muto parlava e vedeva. E tutta la folla stupiva e diceva: “Non è costui il Figlio di Davide?”. Ma i farisei, udendo ciò, dissero: “Costui non scaccia i demòni se non per l’aiuto di Belzebù, principe dei demòni”. E Gesù, conosciuti i loro pensieri, disse loro: “Ogni regno diviso in parti contrarie sarà ridotto in deserto; e ogni città o casa divisa in parti contrarie non potrà reggere. E se Satana scaccia Satana, egli è diviso contro sé stesso; come dunque potrà sussistere il suo regno? E se io scaccio i demòni per l’aiuto di Belzebù, per l’aiuto di chi li scacciano i vostri figli? Per questo essi stessi saranno i vostri giudici. Ma se è per l’aiuto dello Spirito di Dio che io scaccio i demòni, è dunque giunto fino a voi il regno di Dio. Ovvero, come può uno entrare nella casa dell’uomo forte e rubargli le sue masserizie, se prima non abbia legato l’uomo forte? Soltanto allora gli saccheggerà la casa. Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde. Perciò io vi dico: Ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. E a chiunque parli contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato, ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo mondo né in quello a venire. O voi fate l’albero buono e buono pure il suo frutto, o fate l’albero cattivo e cattivo pure il suo frutto, perché dal frutto si conosce l’albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, essendo malvagi? Poiché dall’abbondanza del cuore la bocca parla. L’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone e l’uomo malvagio dal suo malvagio tesoro trae cose malvagie. Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio, poiché dalle tue parole sarai giustificato e dalle tue parole sarai condannato”. Allora alcuni degli scribi e dei farisei presero a dirgli: “Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno”. Ma egli rispose loro: “Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figlio dell’uomo nel cuore della terra tre giorni e tre notti. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c'è più che Giona! La regina del mezzogiorno risusciterà nel giudizio con questa generazione e la condannerà, perché lei venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c’è più che Salomone! Quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, si aggira per luoghi aridi, cercando riposo e non lo trova. Allora dice: ‘Ritornerò nella mia casa da dove sono uscito’ e, giuntovi, la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, i quali, entrati, vi prendono dimora e l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa generazione malvagia”. Mentre Gesù parlava ancora alle folle, ecco sua madre e i suoi fratelli che, fermatisi di fuori, cercavano di parlargli. [E uno gli disse: “Ecco, tua madre e i tuoi fratelli sono là fuori che cercano di parlarti”.] Ma egli, rispondendo, disse a colui che gli parlava: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. E, stendendo la mano sui suoi discepoli, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Poiché chiunque avrà fatta la volontà del Padre mio che è nei cieli, mi è fratello e sorella e madre”. In quel giorno Gesù, uscito di casa, si pose a sedere presso il mare e una grande folla si radunò intorno a lui; cosicché egli, salito in una barca, vi sedette e tutta la folla stava sulla riva. Ed egli parlò loro di molte cose in parabole, dicendo: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. E, mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; gli uccelli vennero e la mangiarono. Un’altra cadde nei luoghi rocciosi dove non aveva molta terra e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo, ma, sorto il sole, fu riarsa e, perché non aveva radice, si seccò. E un’altra cadde sulle spine; e le spine crebbero e la soffocarono. E un’altra cadde nella buona terra e portò frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi da udire oda”. Allora i discepoli, accostatisi, gli dissero: “Perché parli loro in parabole?”. Ed egli rispose loro: “Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Perché a chiunque ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chiunque non ha, sarà tolto anche quello che ha. Perciò parlo loro in parabole, perché, vedendo, non vedono e, udendo, non odono e non intendono. E si adempie in loro la profezia d’Isaia che dice: ‘Udrete con i vostri orecchi e non comprenderete; guarderete con i vostri occhi e non vedrete: perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile, sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi, affinché non vedano con gli occhi e non odano con gli orecchi e non intendano con il cuore e non si convertano, e io non li guarisca’. Ma beati gli occhi vostri perché vedono; e i vostri orecchi perché odono! Poiché in verità io vi dico che molti profeti e giusti desiderarono vedere le cose che voi vedete, e non le videro, e udire le cose che voi udite e non le udirono. Voi dunque ascoltate che cosa significhi la parabola del seminatore: Tutte le volte che uno ode la parola del Regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quel che è stato seminato nel suo cuore: questi è colui che ha ricevuto la semenza lungo la strada. E quello che ha ricevuto la semenza in luoghi rocciosi, è colui che ode la Parola e subito la riceve con gioia, però non ha radice in sé, ed è di corta durata e, quando arriva la tribolazione o persecuzione a motivo della Parola, è subito scandalizzato. E quello che ha ricevuto la semenza fra le spine, è colui che ode la Parola, poi le preoccupazioni del mondo e l’inganno delle ricchezze soffocano la Parola e così risulta infruttuosa. Ma quello che ha ricevuto la semenza in buona terra, è colui che ode la Parola e la comprende, che porta del frutto e rende l’uno il cento, l’altro il sessanta e l’altro il trenta”. Egli propose loro un’altra parabola, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato buona semenza nel suo campo. Ma, mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e seminò delle zizzanie in mezzo al grano e se ne andò. Quando l’erba germogliò ed ebbe fatto frutto, allora apparvero anche le zizzanie. I servitori del padrone di casa vennero a dirgli: ‘Signore, non hai tu seminato buona semenza nel tuo campo? Come mai, dunque, c’è della zizzania?’. Egli disse loro: ‘Un nemico ha fatto questo’. E i servitori gli dissero: ‘Vuoi tu che le andiamo a cogliere?’. Ma egli rispose: ‘No, affinché, cogliendo le zizzanie, non sradichiate insieme con esse il grano. Lasciate che tutti e due crescano insieme fino alla mietitura e, al tempo della mietitura, io dirò ai mietitori: cogliete prima le zizzanie, e legatele in fasci per bruciarle, ma il grano, raccoglietelo nel mio granaio’”. Egli propose loro un’altra parabola dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è sì il più piccolo di tutti i semi, ma, quando è cresciuto, è maggiore degli ortaggi e diventa albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami”. Disse loro un’altra parabola: “Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata”. Gesù disse tutte queste cose in parabole alle folle e senza parabola non diceva loro nulla, affinché si adempisse quel che era stato detto per mezzo del profeta: “Aprirò in parabole la mia bocca; esporrò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo”. Allora Gesù, lasciate le folle, tornò a casa e suoi discepoli gli si accostarono, dicendo: “Spiegaci la parabola delle zizzanie del campo”. Ed egli, rispondendo, disse loro: “Colui che semina la buona semenza, è il Figlio dell’uomo; il campo è il mondo; la buona semenza sono i figli del Regno; le zizzanie sono i figli del maligno; il nemico che le ha seminate è il diavolo; la mietitura è la fine dell’età presente; i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccolgono le zizzanie e si bruciano con il fuoco, così avverrà alla fine dell’età presente. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli che raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace del fuoco. Lì sarà il pianto e lo stridore dei denti. Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, oda”. “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde e, per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha e compra quel campo. Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle e, trovata una perla di gran valore, se n’è andato, ha venduto tutto quel che aveva e l’ha comprata. Il regno dei cieli è anche simile a una rete che, gettata in mare, ha raccolto ogni sorta di pesci; quando è piena, i pescatori la traggono a riva e, postisi a sedere, raccolgono il buono in vasi e buttano via quel che non vale nulla. Così avverrà alla fine dell’età presente. Verranno gli angeli, toglieranno i malvagi di mezzo ai giusti e li getteranno nella fornace del fuoco. Lì sarà il pianto e lo stridore dei denti. Avete capito tutte queste cose?”. Essi gli risposero: “Sì”. Allora disse loro: “Per questo, ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale trae fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie”. Quando Gesù ebbe finito queste parabole, partì di là. Recatosi nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga, cosicché stupivano e dicevano: “Da dove gli vengono tanta sapienza e queste opere potenti? Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono tutte queste cose?”. E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria e in casa sua”. E lì non fece molte opere potenti a causa della loro incredulità. In quel tempo Erode, il tetrarca, udì la fama di Gesù, e disse ai suoi servitori: “Costui è Giovanni il battista; egli è risuscitato dai morti e perciò agiscono in lui le potenze miracolose”. Perché Erode, fatto arrestare Giovanni, lo aveva incatenato e messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di Filippo suo fratello, perché Giovanni gli diceva: “Non ti è lecito di averla”. E benché desiderasse farlo morire, temette il popolo che lo riteneva un profeta. Ora, mentre si celebrava il compleanno di Erode, la figlia di Erodiade ballò nel convito e piacque a Erode; ed egli promise con giuramento di darle tutto quello che avrebbe domandato. Ella, istigata da sua madre, disse: “Dammi qui in un piatto la testa di Giovanni il battista”. E il re ne fu rattristato, ma, a motivo dei giuramenti e degli invitati, comandò che le fosse data e mandò a far decapitare Giovanni nella prigione. E la sua testa fu portata in un piatto e data alla fanciulla, che la portò a sua madre. E i discepoli di Giovanni andarono a prenderne il corpo e lo seppellirono; poi vennero a dare la notizia a Gesù. Udito ciò, Gesù si ritirò di là in barca verso un luogo deserto, in disparte; le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città. Egli, smontato dalla barca, vide una gran folla; ne ebbe compassione e ne guarì gli infermi. Facendosi sera, i suoi discepoli gli si accostarono e gli dissero: “Il luogo è deserto e l’ora è già passata; congeda dunque le folle, affinché vadano per i villaggi a comprarsi da mangiare”. Ma Gesù disse loro: “Non hanno bisogno di andarsene; date loro voi da mangiare!”. Essi gli risposero: “Non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci”. Ed egli disse: “Portatemeli qua”. Avendo ordinato alla folla di accomodarsi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzàti gli occhi verso il cielo, rese grazie; poi, spezzati i pani, li diede ai discepoli e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono e furono sazi e si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste piene. E quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, oltre le donne e i fanciulli. Subito dopo, Gesù obbligò i suoi discepoli a salire nella barca e a precederlo sull’altra riva, mentre egli avrebbe congedato la gente. Dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte per pregare. E fattosi sera, era lassù tutto solo. Frattanto la barca, già di molti stadi lontana da terra, era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. Ma alla quarta vigilia della notte Gesù andò verso loro, camminando sul mare. E i discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: “È un fantasma!”. E dalla paura gridarono. Ma subito Gesù parlò loro e disse: “State di buon animo, sono io; non temete!”. E Pietro gli rispose: “Signore, se sei tu, comandami di venire a te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. E Pietro, smontato dalla barca, camminò sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo il vento, ebbe paura e, cominciando a sommergersi, gridò: “Signore, salvami!”. E Gesù, stesa subito la mano, lo afferrò e gli disse: “O uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Quando furono montati nella barca, il vento si calmò. Allora quelli che erano nella barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Veramente tu sei Figlio di Dio!”. Passati all’altra riva, vennero nel paese di Gennesaret. La gente di quel luogo, avendolo riconosciuto, diffuse la notizia per tutto il paese intorno, e gli presentarono tutti i malati, e lo pregavano che lasciasse loro toccare almeno il lembo della sua veste; e tutti quelli che lo toccarono furono completamente guariti. Allora si accostarono a Gesù dei farisei e degli scribi venuti da Gerusalemme e gli dissero: “Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo”. Ma egli rispose loro: “E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione? Dio, infatti, ha detto: ‘Onora tuo padre e tua madre’; e: ‘Chi maledice padre o madre sia punito di morte’; voi, invece, dite: ‘Se uno dice a suo padre o a sua madre: quello con cui potrei assisterti è offerta a Dio, egli non è più obbligato a onorare suo padre o sua madre’. Così avete annullato la parola di Dio a motivo della vostra tradizione. Ipocriti, ben profetizzò Isaia di voi quando disse: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti d’uomini’”. Chiamata a sé la folla, disse loro: “Ascoltate e intendete: non è quel che entra nella bocca che contamina l’uomo, ma è quello che esce dalla bocca, ciò che contamina l’uomo”. Allora i suoi discepoli, accostatisi, gli dissero: “Sai tu che i farisei, quando hanno udito questo discorso, ne sono rimasti scandalizzati?”. Ed egli rispose loro: “Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantato, sarà sradicata. Lasciateli; sono ciechi, guide di ciechi; ora se un cieco guida un altro cieco, cadranno in un fosso”. Pietro allora iniziò a dirgli: “Spiegaci la parabola”. E Gesù disse: “Siete anche voi tuttora privi d’intendimento? Non capite che tutto quello che entra nella bocca va nel ventre ed è poi espulso nella latrina? Ma quel che esce dalla bocca viene dal cuore ed è quello che contamina l’uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni. Queste sono le cose che contaminano l’uomo, ma il mangiare con le mani non lavate non contamina l’uomo”. Partito di là, Gesù si ritirò nelle parti di Tiro e di Sidone. Quand’ecco, una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: “Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide! Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio”. Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli, accostatisi, lo pregavano dicendo: “Mandala via, perché ci grida dietro”. Ma egli rispose: “Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele”. Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: “Signore, aiutami!”. Egli rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini”. Ma ella disse: “Dici bene, Signore; eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Allora Gesù le disse: “O donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi”. E da quel momento sua figlia fu guarita. Partito di là, Gesù venne presso il mar di Galilea e, salito sul monte, se ne stava seduto lassù. E gli si avvicinò una grande folla che aveva con sé degli zoppi, dei ciechi, dei muti, degli storpi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi e Gesù li guarì. La folla restò piena di stupore nel vedere che i muti parlavano, gli storpi erano guariti, gli zoppi camminavano, i ciechi vedevano, e diede gloria al Dio di Israele. Gesù, chiamati a sé i suoi discepoli, disse: “Io ho pietà di questa folla, poiché già da tre giorni sta con me e non ha da mangiare; non voglio rimandarli digiuni, affinché non vengano meno per via”. I discepoli gli dissero: “Dove potremmo trovare, in un luogo deserto, tanti pani da saziare così gran folla?”. E Gesù chiese loro: “Quanti pani avete?”; essi risposero: “Sette e pochi pescetti”. Allora egli ordinò alla folla di accomodarsi per terra. Poi prese i sette pani e i pesci; dopo aver reso grazie, li spezzò e li diede ai discepoli e i discepoli alle folle. Tutti mangiarono e furono saziati e dei pezzi avanzati si raccolsero sette panieri pieni. Quelli che avevano mangiato erano quattromila persone, senza contare le donne e i fanciulli. E Gesù, dopo aver congedato la folla, salì nella barca e andò al paese di Magadan. E accostatisi a lui i farisei e i sadducei, per metterlo alla prova, gli chiesero di mostrare loro un segno dal cielo. Ma egli, rispondendo, disse loro: [“Quando si fa sera, voi dite: ‘Bel tempo, perché il cielo rosseggia!’ e la mattina dite: ‘Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo!’. L’aspetto del cielo lo sapete dunque discernere e i segni dei tempi non arrivate a discernerli?] Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno e segno non le sarà dato, se non quello di Giona”. E, lasciatili, se ne andò. I discepoli, passati all’altra riva, si erano dimenticati di prendere dei pani. E Gesù disse loro: “Vedete di guardarvi dal lievito dei farisei e dei sadducei”. Ed essi ragionavano fra loro e dicevano: “Egli parla così perché non abbiamo preso dei pani”. Ma Gesù, accortosene, disse: “O gente di poca fede, perché ragionate fra voi del non avere dei pani? Non capite ancora e non vi ricordate dei cinque pani, dei cinquemila uomini e quante ceste ne portaste via? Né dei sette pani, dei quattromila uomini e quanti panieri ne portaste via? Come mai non capite che non è di pani che io vi parlavo? Ma guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei”. Allora compresero che non aveva loro detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei sadducei. Poi Gesù, venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?”. Essi risposero: “Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti”. Ed egli disse loro: “E voi, chi dite che io sia?”. Simon Pietro, rispondendo, disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Gesù, replicando, gli disse: “Tu sei beato, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io altresì ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Ades non la potranno vincere. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto nei cieli”. Allora vietò ai suoi discepoli di dire ad alcuno che egli era il Cristo. Da allora Gesù cominciò a dichiarare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose dagli anziani, dai capi sacerdoti e dagli scribi, essere ucciso e risuscitare il terzo giorno. E Pietro, trattolo da parte, cominciò a rimproverarlo, dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti avverrà mai”. Ma Gesù si volse e disse a Pietro: “Vattene via da me, Satana; tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”. Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà. E che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l’anima sua? O che darà l’uomo in cambio dell’anima sua? Perché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l’opera sua. In verità io vi dico che alcuni di quelli che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno”. Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendé come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che stavano conversando con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: “Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia”. Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì della sua ombra ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo”. E i discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da gran timore. Ma Gesù, accostatosi, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Ed essi, alzàti gli occhi, non videro nessuno, se non Gesù tutto solo. Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: “Non parlate di questa visione a nessuno, finché il Figlio dell’uomo non sia risuscitato dai morti”. E i discepoli gli domandarono: “Perché dunque dicono gli scribi che prima deve venire Elia?”. Ed egli, rispondendo, disse loro: “Certo, Elia deve venire e ristabilire ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto; così anche il Figlio dell’uomo deve soffrire da loro”. Allora i discepoli compresero che egli aveva parlato loro di Giovanni il battista. Quando tornarono tra la folla, un uomo gli si accostò e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli disse: “Signore, abbi pietà di mio figlio, perché è epilettico e soffre molto; spesso, infatti, cade nel fuoco e spesso nell’acqua. L’ho condotto dai tuoi discepoli e non l’hanno potuto guarire”. E Gesù, rispondendo, disse: “O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatemelo qua”. E Gesù sgridò il demonio e quello uscì da lui e da quell’ora il fanciullo fu guarito. Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: “Perché non l’abbiamo potuto scacciare noi?”. E Gesù rispose loro: “A causa della vostra poca fede, perché in verità io vi dico che, se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: ‘Passa di qui a là’, e passerà; e niente vi sarà impossibile. [Questa specie di demòni non esce se non per mezzo della preghiera e del digiuno”.] Mentre essi percorrevano insieme la Galilea, Gesù disse loro: “Il Figlio dell’uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini; l’uccideranno e il terzo giorno risusciterà”. Ed essi ne furono grandemente rattristati. Quando furono venuti a Capernaum, quelli che riscuotevano le didramme si accostarono a Pietro e dissero: “Il vostro maestro non paga le didramme?”. Egli rispose: “Sì”. Quando fu entrato in casa, Gesù lo prevenne e gli disse: “Che te ne pare, Simone? I re della terra da chi prendono i tributi o l’imposta? Dai loro figli o dagli stranieri?”. “Dagli stranieri”, rispose Pietro. Gesù gli disse: “I figli, dunque, ne sono esenti. Ma, per non scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che verrà su; aprigli la bocca e troverai uno statere. Prendilo e dallo loro per me e per te”. In quel momento i discepoli si accostarono a Gesù, dicendo: “Chi è dunque il maggiore nel regno dei cieli?”. Ed egli, chiamato a sé un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità io vi dico: Se non cambiate e non diventate come i piccoli fanciulli, non entrerete affatto nel regno dei cieli. Chi pertanto si abbasserà come questo piccolo fanciullo, è lui il maggiore nel regno dei cieli. E chiunque accoglie un bambino come questo nel nome mio, riceve me. Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare. Guai al mondo per gli scandali! Poiché è necessario che avvengano degli scandali, ma guai all’uomo per cui lo scandalo avviene! Ora, se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di peccato, mozzali e gettali via da te; meglio è per te entrare nella vita monco o zoppo che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di peccato, cavalo e gettalo via da te; meglio è per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella geenna del fuoco. Guardatevi dal disprezzare qualcuno di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli, nei cieli, vedono continuamente la faccia del Padre mio che è nei cieli. [Poiché il Figlio dell’uomo è venuto a salvare ciò che era perito.] Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti per andare in cerca della smarrita? E se riesce a ritrovarla, in verità vi dico che egli si rallegra più per questa che per le novantanove che non si erano smarrite. Allo stesso modo, il Padre vostro che è nei cieli non vuole che uno solo di questi piccoli perisca. Se poi tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e riprendilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello, ma, se non ti ascolta, prendi con te una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni. Se rifiuta di ascoltarli, dillo alla chiesa, e se rifiuta di ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano. Io vi dico in verità che tutte le cose che avrete legate sulla terra, saranno legate nel cielo e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra, saranno sciolte nel cielo. E anche in verità vi dico: Se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel nome mio, io sono lì in mezzo a loro”. Allora Pietro, accostatosi, gli disse: “Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù a lui: “Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Perciò il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servitori. Avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti e, non avendo costui di che pagare, il suo signore comandò che fosse venduto lui con la moglie e i figli e tutto quanto aveva e che il debito fosse pagato. Perciò il servo, gettatosi a terra, gli si prostrò davanti, dicendo: ‘Abbi pazienza con me e ti pagherò tutto’. E il signore di quel servo, mosso a compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Ma quel servo, uscito, trovò uno dei suoi conservi che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo strangolava, dicendo: ‘Paga quel che devi!’. Perciò il conservo, gettatosi a terra, lo pregava dicendo: ‘Abbi pazienza con me e ti pagherò’. Ma l’altro non volle, anzi andò e lo fece gettare in carcere, finché avesse pagato il debito. I suoi conservi, visto il fatto, ne furono grandemente rattristati e andarono a riferire al loro signore tutto l’accaduto. Allora il suo signore lo chiamò a sé e gli disse: ‘Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; non dovevi anche tu avere pietà del tuo conservo, come ebbi anch’io pietà di te?’. E il suo signore, adirato, lo diede in mano degli aguzzini fino a quando non avesse pagato tutto quel che gli doveva. Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello”. Quando Gesù ebbe finito questi ragionamenti, partì dalla Galilea e se ne andò sui confini della Giudea oltre il Giordano. Una grande folla lo seguì e là Gesù guarì i loro malati. Dei farisei si accostarono a lui per tentarlo, dicendo: “È lecito mandare via, per qualunque ragione, la propria moglie?”. Ed egli, rispondendo, disse loro: “Non avete voi letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: ‘Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con sua moglie e i due saranno una sola carne’? Così non sono più due, ma una sola carne; quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”. Essi gli dissero: “Perché dunque comandò Mosè di darle un atto di ripudio e mandarla via?”. Gesù disse loro: “Fu per la durezza del vostro cuore che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli, ma da principio non era così. E io vi dico che chiunque manda via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio”. I discepoli gli dissero: “Se tale è il caso dell’uomo rispetto alla donna, non conviene prendere moglie”. Ma egli rispose loro: “Non tutti sono capaci di praticare questa parola, ma quelli soltanto ai quali è dato. Poiché vi sono degli eunuchi che sono tali dalla nascita; vi sono degli eunuchi i quali sono stati fatti tali dagli uomini e vi sono degli eunuchi i quali si sono fatti eunuchi da sé a motivo del regno dei cieli. Chi è in grado di farlo lo faccia”. Allora gli furono presentati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse, ma i discepoli sgridarono quelli che glieli presentavano. Gesù però disse: “Lasciate i piccoli fanciulli e non vietate loro di venire a me, perché di questi è il regno dei cieli”. E, imposte loro le mani, partì di là. Ed ecco un tale, che gli si accostò e disse: “Maestro, che devo fare di buono per avere la vita eterna?”. Gesù gli rispose: “Perché m’interroghi riguardo a ciò che è buono? Uno solo è buono. Ma se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti”. “Quali?”, gli chiese. E Gesù rispose: “Questi: non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; onora tuo padre e tua madre e ama il tuo prossimo come te stesso”. E il giovane a lui: “Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?”. Gesù gli disse: “Se vuoi essere perfetto, va’ vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi”. Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni. Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Io vi dico in verità che un ricco difficilmente entrerà nel regno dei cieli. E da capo vi dico: È più facile a un cammello passare per la cruna di un ago, che a un ricco entrare nel regno di Dio”. I suoi discepoli, udito questo, molto sbigottiti, dicevano: “Chi dunque può essere salvato?”. E Gesù, guardandoli fissi, disse loro: “Agli uomini questo è impossibile, ma a Dio ogni cosa è possibile”. Allora Pietro, replicando, gli disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?”. E Gesù disse loro: “Io vi dico in verità che nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi che mi avete seguito sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per amore del mio nome, ne riceverà cento volte tanti ed erediterà la vita eterna. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi, primi”. “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa, il quale uscì di mattino presto per assumere dei lavoratori per la sua vigna. Essendosi accordato con i lavoratori per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Poi, uscito verso l’ora terza, ne vide degli altri che se ne stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: ‘Andate anche voi nella vigna e vi darò quel che sarà giusto’. Ed essi andarono. Poi, uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso. Uscito verso l’undicesima, ne trovò degli altri in piazza e disse loro: ‘Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?’. Essi gli dissero: ‘Perché nessuno ci ha presi a giornata’. Egli disse loro: ‘Andate anche voi nella vigna’. Poi, fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: ‘Chiama i lavoratori e dà loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi’. Allora, venuti quelli dell’undicesima ora, ricevettero un denaro per uno. Venuti i primi, pensavano di ricevere di più, ma ricevettero anch’essi un denaro per uno. Perciò, ricevutolo, mormoravano contro il padrone di casa, dicendo: ‘Questi ultimi non hanno fatto che un’ora e tu li hai trattati come noi che abbiamo portato il peso della giornata e il caldo’. Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: ‘Amico, io non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene, ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?’. Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi. Poi Gesù, nel salire a Gerusalemme, trasse da parte i suoi dodici discepoli; e, cammin facendo, disse loro: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei capi sacerdoti e degli scribi; essi lo condanneranno a morte e lo metteranno nelle mani dei Gentili per essere schernito, flagellato e crocifisso, ma il terzo giorno risusciterà”. Allora la madre dei figli di Zebedeo si accostò a Gesù con i suoi figli, prostrandosi e chiedendogli qualche cosa. Ed egli le domandò: “Che vuoi?”. Ella gli disse: “Ordina che questi miei due figli siedano l’uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra, nel tuo regno”. Gesù, rispondendo, disse: “Voi non sapete quel che chiedete. Potete voi bere il calice che io sto per bere?”. Essi gli dissero: “Sì, lo possiamo”. Egli disse loro: “Voi certo berrete il mio calice, ma quanto al sedersi a destra o a sinistra non sta a me il darlo, ma è per quelli a cui è stato preparato dal Padre mio”. E i dieci, udito ciò, furono indignati contro i due fratelli. Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: “Voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra voi; anzi, chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore e chiunque fra voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”. Mentre uscivano da Gerico, una grande moltitudine lo seguì. Ed ecco che due ciechi, seduti presso la strada, avendo udito che passava Gesù, si misero a gridare: “Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide!”. Ma la folla li sgridava, perché tacessero; essi però gridavano più forte: “Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide!”. Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: “Che volete che io vi faccia?”. Ed essi: “Signore, che i nostri occhi si aprano”. Allora Gesù, mosso a compassione, toccò i loro occhi, e in quell’istante recuperarono la vista e lo seguirono. Quando furono vicini a Gerusalemme e furono giunti a Betfage, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: “Andate nella borgata che è di fronte a voi; subito troverete un’asina legata e un puledro con essa; scioglieteli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dice qualcosa, direte che il Signore ne ha bisogno e subito li manderà”. Questo avvenne affinché si adempisse la parola del profeta: “Dite alla figlia di Sion: ‘Ecco, il tuo re viene a te, mansueto, e montato sopra un’asina, e un asinello, puledro d’asina’”. I discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro ordinato; condussero l’asina e il puledro, vi misero sopra i loro mantelli e Gesù vi si pose a sedere. La maggior parte della folla stese i mantelli sulla via; altri tagliavano dei rami dagli alberi e li stendevano sulla via. Le folle che precedevano e quelle che seguivano gridavano: “Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!”. Essendo egli entrato in Gerusalemme, tutta la città fu messa in agitazione e si diceva: “Chi è costui?”. E le folle dicevano: “Questi è Gesù, il profeta che è da Nazaret di Galilea”. Gesù entrò nel tempio e ne cacciò fuori tutti quelli che vendevano e compravano; e rovesciò le tavole dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombi. E disse loro: “È scritto: ‘ La mia casa sarà chiamata casa di preghiera’; ma voi ne fate ‘ una spelonca di ladroni ’”. Allora vennero a lui, nel tempio, dei ciechi e degli zoppi ed egli li guarì. Ma i capi sacerdoti e gli scribi, vedute le meraviglie che aveva fatto, e i fanciulli che gridavano nel tempio: “Osanna al Figlio di Davide”, ne furono indignati e gli dissero: “Odi tu quel che dicono costoro?”. E Gesù disse loro: “Sì. Non avete mai letto: ‘ Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai tratto lode ’?”. E, lasciatili, se ne andò fuori della città a Betania, dove passò la notte. La mattina, tornando in città, ebbe fame. Vedendo un fico sulla strada, gli si accostò, ma non vi trovò altro che delle foglie e gli disse: “Mai più nasca frutto da te, in eterno”. E subito il fico si seccò. I discepoli, visto ciò, si meravigliarono, dicendo: “Come mai il fico si è seccato all’istante?”. Gesù, rispondendo, disse loro: “Io vi dico in verità: Se aveste fede e non dubitaste, non soltanto fareste quel che è stato fatto al fico ma, se anche diceste a questo monte: ‘Togliti di là e gettati nel mare’, sarebbe fatto. Tutte le cose che domanderete in preghiera, se avete fede, le otterrete”. Quando giunse nel tempio, i capi sacerdoti e gli anziani del popolo si accostarono a lui, mentre egli insegnava, e gli dissero: “Con quale autorità fai tu queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?”. E Gesù, rispondendo, disse loro: “Anch’io vi domanderò una cosa e, se voi mi risponderete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio queste cose. Il battesimo di Giovanni, da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?”. Ed essi ragionavano fra loro, dicendo: “Se diciamo: ‘Dal cielo’, egli ci dirà: ‘Perché dunque non gli credeste?’. E se diciamo: ‘Dagli uomini’, temiamo la folla, perché tutti ritengono Giovanni un profeta”. Risposero dunque a Gesù, dicendo: “Non lo sappiamo”. E anch’egli disse loro: “E neppure io vi dirò con quale autorità faccio queste cose”. “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Accostatosi al primo disse: ‘Figliolo, va' oggi a lavorare nella vigna’. Ed egli, rispondendo, disse: ‘Non voglio’, ma, pentitosi, vi andò. E accostatosi al secondo, gli disse la stessa cosa. Ma egli, rispondendo, disse: ‘Vado, signore’, ma non vi andò. Quale dei due fece la volontà del padre?”. Essi dissero: “Il primo”. E Gesù a loro: “Io vi dico, in verità: i pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia e voi non gli avete creduto, ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui”. “Udite un’altra parabola: vi era un padrone di casa, il quale piantò una vigna, le fece attorno una siepe, vi scavò un luogo per pigiare l’uva e vi edificò una torre; poi l’affittò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio. Quando fu vicina la stagione dei frutti, mandò i suoi servitori dai lavoratori per ricevere i frutti della vigna. Ma i lavoratori presero i servitori, ne batterono uno, ne uccisero un altro e un altro lo lapidarono. Da capo mandò degli altri servitori, in maggior numero dei primi, e quelli li trattarono nello stesso modo. Alla fine, mandò loro suo figlio, dicendo: ‘Avranno rispetto per mio figlio’. Ma i lavoratori, visto il figlio, dissero tra di loro: ‘Costui è l’erede; venite, uccidiamolo e facciamo nostra la sua eredità’. Lo presero, lo cacciarono fuori della vigna e lo uccisero. Quando dunque sarà venuto il padrone della vigna, che farà a quei lavoratori?”. Essi gli risposero: “Li farà perire malamente, quei malvagi, e affiderà la vigna ad altri lavoratori, i quali gliene renderanno il frutto a suo tempo”. Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘La pietra che gli edificatori hanno rifiutata è quella che è diventata pietra angolare; ciò è stato fatto dal Signore, ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri’? Perciò io vi dico che il Regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a una gente che ne faccia i frutti. E chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato ed essa stritolerà colui sul quale cadrà”. E i capi sacerdoti e i farisei, udite le sue parabole, capirono che parlava di loro e cercavano di prenderlo, ma temettero la folla, che lo riteneva un profeta. Gesù prese di nuovo a parlare loro in parabole, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio. Mandò i suoi servitori a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò degli altri servitori, dicendo: ‘Dite agli invitati: Ecco, io ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono ammazzati e tutto è pronto; venite alle nozze’. Ma quelli, non curandosene, se ne andarono, chi al suo campo, chi al suo traffico; gli altri poi, presi i suoi servitori, li oltraggiarono e li uccisero. Allora il re si adirò e mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e ad ardere la loro città. Quindi disse ai suoi servitori: ‘Le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni. Andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate alle nozze quanti troverete’. E quei servitori, usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze fu ripiena di commensali. Ora il re, entrato per vedere quelli che erano a tavola, notò là un uomo che non vestiva l’abito di nozze. E gli disse: ‘Amico, come sei entrato qua senza avere un abito da nozze?’. E questi rimase con la bocca chiusa. Allora il re disse ai servitori: ‘Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridore dei denti’. Poiché molti sono chiamati, ma pochi eletti”. Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per cercare di coglierlo in fallo nelle sue parole. E gli mandarono i loro discepoli con gli erodiani a dirgli: “Maestro, noi sappiamo che sei sincero e insegni la via di Dio secondo verità, e non hai riguardi per nessuno, perché non guardi all’apparenza delle persone. Dicci dunque: Che te ne pare? È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Ma Gesù, conosciuta la loro malizia, disse: “Perché mi tentate, ipocriti? Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli porsero un denaro. Ed egli domandò loro: “Di chi è questa effigie e questa iscrizione?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora Gesù disse loro: “Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Ed essi, udito ciò, si stupirono e, lasciatolo, se ne andarono. In quello stesso giorno vennero a lui dei sadducei, i quali dicono che non vi è risurrezione, e gli domandarono: “Maestro, Mosè ha detto: ‘ Se uno muore senza figli, suo fratello sposi la moglie di lui e susciti discendenza a suo fratello ’. Vi erano fra di noi sette fratelli; il primo, sposatosi, morì e, non avendo prole, lasciò sua moglie a suo fratello. Lo stesso fece pure il secondo, poi il terzo, fino al settimo. Infine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, dunque, di quale dei sette sarà ella moglie? Poiché tutti l’hanno avuta”. Ma Gesù, rispondendo, disse loro: “Voi errate, perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio. Perché alla risurrezione né si prende né si dà moglie, ma i risorti sono come angeli nei cieli. Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete voi letto quel che vi fu insegnato da Dio, quando disse: ‘ Io sono il Dio di Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe?’. Egli non è il Dio dei morti, ma dei viventi”. E la folla, udite queste cose, stupiva del suo insegnamento. I farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si radunarono insieme e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: “Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?”. E Gesù gli disse: “‘ Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua ’. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a esso, è: ‘ Ama il tuo prossimo come te stesso ’. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti”. Essendo i farisei riuniti, Gesù li interrogò, dicendo: “Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?”. Essi gli risposero: “Di Davide”. Ed egli a loro: “Come mai dunque Davide, parlando per lo Spirito, lo chiama Signore, dicendo: ‘Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi’? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?”. E nessuno poteva replicargli parola; da quel giorno nessuno ardì più interrogarlo. Allora Gesù parlò alla folla e ai suoi discepoli, dicendo: “Gli scribi e i farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Difatti, legano dei pesi gravi e li mettono sulle spalle della gente, ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini, difatti allargano le loro filatterie e allungano le frange dei mantelli; amano i primi posti nei conviti e i primi seggi nelle sinagoghe, i saluti nelle piazze ed essere chiamati dalla gente: ‘Maestro!’. Ma voi non vi fate chiamare: ‘Maestro’, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. E non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra guida, il Cristo, ma il maggiore fra voi sia vostro servitore. Chiunque s’innalzerà sarà abbassato e chiunque si abbasserà sarà innalzato. Ma guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente, poiché, né vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare. [Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché divorate le case delle vedove e fate lunghe preghiere per mettervi in mostra, perciò riceverete una condanna maggiore.] Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché scorrete mare e terra per fare un proselito e, quando lo avete fatto, lo rendete figlio della geenna il doppio di voi. Guai a voi, guide cieche, che dite: ‘Se uno giura per il tempio, non è nulla; ma se giura per l’oro del tempio resta obbligato’. Stolti e ciechi, poiché cos’è maggiore: l’oro o il tempio che santifica l’oro? E se uno, voi dite, giura per l’altare, non è nulla; ma se giura per l’offerta che c’è sopra resta obbligato. Ciechi, poiché cos’è maggiore: l’offerta o l’altare che santifica l’offerta? Chi dunque giura per l’altare, giura per esso e per tutto quel che c’è sopra; chi giura per il tempio, giura per esso e per colui che l’abita e chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per colui che vi siede sopra. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino e trascurate le cose più gravi della legge: il giudizio, la misericordia e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre. Guide cieche, che filtrate il moscerino e inghiottite il cammello. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pulite il di fuori del calice e del piatto, mentre dentro sono pieni di rapina e di intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del calice e del piatto, affinché anche l’esterno diventi pulito. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che fuori appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni immondizia. Così anche voi di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché edificate i sepolcri ai profeti, adornate le tombe dei giusti e dite: ‘Se fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nello spargere il sangue dei profeti!’. In tal modo testimoniate contro voi stessi, che siete figli di coloro che uccisero i profeti. Voi colmate pure la misura dei vostri padri! Serpenti, razza di vipere, come scamperete al giudizio della geenna? Perciò, ecco, io vi mando dei profeti, dei saggi e degli scribi; di questi, alcuni ne ucciderete e metterete in croce, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città, affinché venga su voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Berechia, che voi uccideste fra il tempio e l’altare. Io vi dico in verità che tutte queste cose verranno su questa generazione. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Poiché vi dico che d’ora in avanti non mi vedrete più, finché diciate: ‘ Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’”. Mentre Gesù usciva dal tempio e se ne andava, i suoi discepoli gli si accostarono per fargli osservare gli edifici del tempio. Ma egli rispose loro: “Le vedete tutte queste cose? Io vi dico in verità: Non sarà lasciata qui pietra sopra pietra che non sia diroccata”. E mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si accostarono in disparte, dicendo: “Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?”. E Gesù, rispondendo, disse loro: “Guardate che nessuno vi seduca. Poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: ‘Io sono il Cristo’ e ne sedurranno molti. Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, perché bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine. Perché si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno; ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi, ma tutto questo non sarà che principio di dolori. Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome. E allora molti si svieranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda. Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. E poiché l’iniquità sarà moltiplicata, l’amore dei più si raffredderà. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. E questo evangelo del regno sarà predicato per tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine. Quando dunque vedrete l’abominazione della desolazione, della quale ha parlato il profeta Daniele, posta in luogo santo (chi legge vi ponga mente), allora quelli che saranno nella Giudea, fuggano ai monti; chi sarà sulla terrazza non scenda per togliere quello che è in casa sua e chi sarà nel campo non torni indietro a prendere la sua veste. Guai alle donne che saranno incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni! Pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno né di sabato, perché allora vi sarà una grande tribolazione, tale che non vi è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. E se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe, ma, a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati. Allora, se qualcuno vi dice: ‘Il Cristo eccolo qui, eccolo là’, non lo credete, perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti. Ecco, ve l’ho predetto. Se dunque vi dicono: ‘Eccolo, è nel deserto’, non vi andate; ‘Eccolo, è nelle stanze interne’, non lo credete, perché, come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sarà il cadavere, lì si raduneranno le aquile. Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, e la luna non darà il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba a radunare i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli. Imparate dal fico questa similitudine: quando già i suoi rami si fanno teneri e mettono le foglie, voi sapete che l’estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, proprio alle porte. Io vi dico in verità che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Ma quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno li sa, neppure gli angeli dei cieli, neppure il Figlio, ma il Padre solo. Come fu ai giorni di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni prima del diluvio si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e si andava a marito, sino al giorno che Noè entrò nell’arca, e la gente non si accorse di nulla, finché venne il diluvio che portò via tutti quanti, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due saranno nel campo: l’uno sarà preso e l’altro lasciato; due donne macineranno al mulino: l’una sarà presa e l’altra lasciata. Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il vostro Signore stia per venire. Ma sappiate questo, che se il padrone di casa sapesse a quale ora il ladro deve venire, veglierebbe e non lascerebbe forzare la sua casa. Perciò, anche voi siate pronti, perché, nell’ora che non pensate, il Figlio dell’uomo verrà. Qual è mai il servo fedele e prudente che il padrone abbia costituito sui domestici per dare loro il vitto a suo tempo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà così occupato! Io vi dico in verità che lo costituirà su tutti i suoi beni. Ma, se egli è un servo malvagio che dice in cuor suo: ‘Il mio padrone tarda a venire’, e comincia a battere i suoi conservi e a mangiare e bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se l’aspetta e nell’ora che non sa e lo farà punire a colpi di flagello e gli assegnerà la sorte degli ipocriti. Lì sarà il pianto e lo stridore dei denti”. “Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque avvedute; le stolte, nel prendere le loro lampade, non avevano preso con sé dell’olio, mentre le avvedute, insieme con le loro lampade, avevano preso dell’olio nei vasi. Siccome lo sposo tardava, tutte divennero assonnate e si addormentarono. Verso la mezzanotte si alzò un grido: ‘Ecco lo sposo, uscitegli incontro!’. Allora tutte quelle vergini si svegliarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle avvedute: ‘Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono’. Ma le avvedute risposero: ‘No, perché non basterebbe per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene!’. Ma, mentre quelle andavano a comprarne, arrivò lo sposo; e quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala delle nozze e la porta fu chiusa. Più tardi vennero anche le altre vergini, dicendo: ‘Signore, Signore, aprici!’. Ma egli, rispondendo, disse: ‘Io vi dico in verità: Non vi conosco’. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. “Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servitori e affidò loro i suoi beni: a uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Subito, chi aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo, quello dei due ne guadagnò altri due. Ma quello che ne aveva ricevuto uno, andò e, fatta una buca in terra, vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo, il padrone di quei servitori ritornò a fare i conti con loro. E colui che aveva ricevuto i cinque talenti, venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: ‘Signore, tu mi affidasti cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque’. E il suo padrone gli disse: ‘Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore’. Poi, presentatosi anche quello dei due talenti, disse: ‘Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due’. Il suo padrone gli disse: ‘Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore’. Poi, accostatosi anche quello che aveva ricevuto un solo talento, disse: ‘Signore, io sapevo che tu sei uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo’. E il suo padrone, rispondendo, gli disse: ‘Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri e, al mio ritorno, avrei ritirato il mio con interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha sarà dato ed egli sovrabbonderà, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridore dei denti’”. “Quando il Figlio dell’uomo sarà venuto nella sua gloria con tutti gli angeli, allora sederà sul trono della sua gloria. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui; ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il Re dirà a quelli della sua destra: ‘Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che vi è stato preparato fin dalla fondazione del mondo! Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui infermo e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi’. Allora i giusti gli risponderanno: ‘Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O avere sete e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto infermo o in prigione e siamo venuti a trovarti?’. E il Re, rispondendo, dirà loro: ‘In verità vi dico che, in quanto l’avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me’. Allora dirà anche a coloro della sinistra: ‘Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui straniero e non mi accoglieste; nudo e non mi rivestiste; infermo e in prigione, e non mi visitaste’. Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: ‘Signore, quando ti abbiamo visto avere fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o infermo, o in prigione e non ti abbiamo assistito?’. Allora risponderà loro, dicendo: ‘In verità vi dico che, in quanto non l’avete fatto a uno di questi minimi, non l’avete fatto neppure a me’. E questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna”. Quando Gesù ebbe finito tutti questi ragionamenti, disse ai suoi discepoli: “Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso”. Allora i capi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nella corte del sommo sacerdote detto Caiafa e deliberarono nel loro consiglio di prendere Gesù con l’inganno e di farlo morire. Ma dicevano: “Non durante la festa, perché non accada tumulto nel popolo”. Mentre Gesù era a Betania, in casa di Simone il lebbroso, venne a lui una donna che aveva un vaso di alabastro d’olio profumato di gran valore e lo versò sul capo di lui che stava a tavola. Visto ciò, i discepoli furono indignati e dissero: “Perché questo spreco? Quest’olio si sarebbe potuto vendere caro, e il denaro darlo ai poveri”. Ma Gesù se ne accorse e disse loro: “Perché date noia a questa donna? Lei ha fatto un’azione buona verso di me. Perché i poveri li avete sempre con voi, ma me non mi avete sempre. Poiché costei, versando quest’olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico che per tutto il mondo, dovunque sarà predicato questo evangelo, anche ciò che lei ha fatto sarà raccontato in memoria di lei”. Allora uno dei dodici, detto Giuda Iscariota, andò dai capi sacerdoti e disse loro: “Che cosa siete disposti a darmi, se ve lo consegno?”. Ed essi gli contarono trenta sicli d’argento. E da quell’ora cercava il momento opportuno per tradirlo. Il primo giorno degli Azzimi i discepoli si accostarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la Pasqua?”. Egli disse: “Andate in città dal tale e ditegli: ‘Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli’”. E i discepoli fecero come Gesù aveva loro ordinato e prepararono la Pasqua. Quando fu sera, si mise a tavola con i dodici discepoli. E, mentre mangiavano, disse: “In verità io vi dico: Uno di voi mi tradirà”. Ed essi, grandemente rattristati, cominciarono a dirgli a uno a uno: “Sono io quello, Signore?”. Ma egli, rispondendo, disse: “Colui che ha messo con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Certo, il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a quell’uomo per cui il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio sarebbe per quell’uomo, se non fosse mai nato”. E Giuda, che lo tradiva, prese a dire: “Sono io quello, Maestro?”. E Gesù a lui: “L’hai detto”. Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli, dicendo: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo”. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. Dopo che ebbero cantato l’inno, uscirono per andare al monte degli Ulivi. Allora Gesù disse loro: “Questa notte voi tutti avrete in me un’occasione di caduta, perché è scritto: ‘ Io colpirò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse ’. Ma, dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea”. Ma Pietro, rispondendo, gli disse: “Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me”. Gesù gli disse: “In verità ti dico che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. E Pietro a lui: “Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò”. E lo stesso dissero pure tutti i discepoli. Allora Gesù si recò con loro in un podere chiamato Getsemani e disse ai discepoli: “Sedete qui finché io sia andato là e abbia pregato”. E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a essere rattristato e angosciato. Allora disse loro: “L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate con me”. E, andato un po’ più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando e dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi”. Poi tornò dai discepoli, li trovò che dormivano e disse a Pietro: “Così, non siete stati capaci di vegliare con me un’ora sola? Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Di nuovo, per la seconda volta, andò e pregò, dicendo: “Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. E, tornato, li trovò che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E, lasciatili, andò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le medesime parole. Poi venne ai discepoli e disse loro: “Dormite pure ormai e riposatevi! Ecco, l’ora e giunta e il Figlio dell’uomo è dato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è vicino”. Mentre stava ancora parlando, ecco arrivare Giuda, uno dei dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, da parte dei capi sacerdoti e degli anziani del popolo. Colui che lo tradiva aveva dato loro un segnale, dicendo: “Quello che bacerò, è lui; prendetelo”. E in quell’istante, accostatosi a Gesù, gli disse: “Ti saluto, Maestro!”, e gli diede un lungo bacio. Ma Gesù gli disse: “Amico, che sei venuto a fare?”. Allora, accostatisi, gli misero le mani addosso e lo presero. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e, colpito il servitore del sommo sacerdote, gli recise l’orecchio. Allora Gesù gli disse: “Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada periranno di spada. Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio, che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d’angeli? Come dunque si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?”. A quel punto Gesù disse alla folla: “Voi siete usciti con spade e bastoni come contro un ladrone, per prendermi. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e voi non mi avete preso; ma tutto questo è avvenuto affinché si adempissero le Scritture dei profeti”. Allora tutti i discepoli, lasciatolo, se ne fuggirono. Quelli che avevano preso Gesù lo condussero a Caiafa, sommo sacerdote, presso il quale erano riuniti gli scribi e gli anziani. E Pietro lo seguiva da lontano, finché giunsero alla corte del sommo sacerdote; ed entrato, si pose a sedere con le guardie per vedere la fine della vicenda. I capi sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù per farlo morire e non ne trovavano alcuna, benché si fossero fatti avanti molti falsi testimoni. Alla fine, se ne fecero avanti due che dissero: “Costui ha detto: ‘Io posso distruggere il tempio di Dio e riedificarlo in tre giorni’”. E il sommo sacerdote, alzatosi in piedi, gli disse: “Non rispondi nulla? Non senti quello che testimoniano costoro contro di te?”. Ma Gesù taceva. E il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Gesù gli rispose: “Tu l’hai detto, anzi vi dico che da ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Potenza e venire sulle nuvole del cielo”. Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti, dicendo: “Egli ha bestemmiato: che bisogno abbiamo più di testimoni? Ecco, ora avete udito la sua bestemmia; che ve ne pare?”. Ed essi, rispondendo, dissero: “È reo di morte”. Allora gli sputarono in viso e gli diedero dei pugni; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: “O Cristo profeta, indovina: chi ti ha percosso?”. Pietro, intanto, stava seduto fuori nel cortile e una serva gli si accostò, dicendo: “Anche tu eri con Gesù il Galileo”. Ma egli lo negò davanti a tutti, dicendo: “Non so quello che dici”. E come fu uscito nell’atrio, un’altra lo vide e disse a coloro che erano là: “Anche costui era con Gesù Nazareno”. Ed egli, di nuovo, lo negò giurando: “Non conosco quell’uomo”. Di lì a poco, i presenti, accostatisi, dissero a Pietro: “Sicuramente anche tu sei di quelli, perché anche il tuo modo di parlare ti fa riconoscere”. Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”. E in quell’istante il gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù che gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. E, andato fuori, pianse amaramente. Poi, venuta la mattina, tutti i capi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. E, legatolo, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato, il governatore. Allora Giuda, che l’aveva tradito, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò i trenta sicli d’argento ai capi sacerdoti e agli anziani, dicendo: “Ho peccato, tradendo il sangue innocente”. Ma essi dissero: “Che c’importa? Pensaci tu”. Ed egli, gettati i sicli nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. Ma i capi sacerdoti, presi quei sicli, dissero: “Non è lecito metterli nel tesoro delle offerte, perché sono prezzo di sangue”. E, tenuto consiglio, comprarono con quel denaro il campo del vasaio per servire da sepoltura ai forestieri. Perciò quel campo, fino al giorno d’oggi, è stato chiamato “Campo di sangue”. Allora si adempì quello che era stato detto dal profeta Geremia: “ E presero i trenta sicli d’argento, prezzo di colui che era stato messo a prezzo, messo a prezzo dai figli d’Israele; e li diedero per il campo del vasaio, come me lo aveva ordinato il Signore ”. Gesù comparve davanti al governatore e il governatore lo interrogò, dicendo: “Sei tu il re dei Giudei?”. E Gesù gli disse: “Tu lo dici”. E, accusato dai capi sacerdoti e dagli anziani, non rispose nulla. Allora Pilato gli disse: “Non senti quante cose testimoniano contro di te?”. Ma egli non gli rispose neppure una parola; e il governatore se ne meravigliava grandemente. Ogni festa di Pasqua il governatore era solito liberare un carcerato, quello che la folla voleva. Avevano allora un carcerato famigerato di nome Barabba. Essendo dunque radunati, Pilato domandò loro: “Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù detto Cristo?”. Poiché egli sapeva che glielo avevano consegnato per invidia. Mentre egli sedeva in tribunale, la moglie gli mandò a dire: “Non avere nulla a che fare con quel giusto, perché oggi ho sofferto molto in sogno per causa sua”. Ma i capi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e far morire Gesù. E il governatore disse loro: “Quale dei due volete che vi liberi?”. E quelli dissero: “Barabba”. E Pilato a loro: “Che farò dunque di Gesù detto Cristo?”. Tutti risposero: “Sia crocifisso”. Ma egli aggiunse: “Che male ha fatto?”. Ma quelli gridavano sempre di più: “Sia crocifisso!”. E Pilato, vedendo che non riusciva a nulla, ma che si sollevava un tumulto, prese dell’acqua e si lavò le mani in presenza della folla, dicendo: “Io sono innocente del sangue di questo giusto; pensateci voi”. E tutto il popolo, rispondendo, disse: “Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figli”. Allora egli liberò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel pretorio e radunarono attorno a lui tutta la coorte. E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra; e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: “Salve, re dei Giudei!”. E sputatogli addosso, presero la canna e gli percuotevano il capo. E, dopo averlo schernito, lo spogliarono del manto, e lo rivestirono delle sue vesti; poi lo condussero via per crocifiggerlo. Mentre uscivano trovarono un Cireneo, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di Gesù. E giunti a un luogo detto Golgota, che vuol dire “luogo del teschio”, gli diedero da bere del vino mescolato con fiele, ma Gesù, assaggiatolo, non volle berne. Poi, dopo averlo crocifisso, spartirono i suoi vestiti, tirando a sorte, e, postisi a sedere, gli facevano la guardia. E al di sopra del capo gli posero scritto il motivo della condanna: “Questo è Gesù, il Re dei Giudei”. Allora furono crocifissi con lui due ladroni, uno a destra e l’altro a sinistra. E quanti passavano di lì, lo ingiuriavano, scuotendo il capo e dicendo: “Tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi giù di croce!”. Così pure, i capi dei sacerdoti con gli scribi e gli anziani, beffandosi, dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare sé stesso! Se è il re d’Israele, scenda ora giù dalla croce e noi crederemo in lui. Si è confidato in Dio; lo liberi ora, se lo gradisce, poiché ha detto: ‘Sono Figlio di Dio’”. E, allo stesso modo, lo insultavano anche i ladroni crocifissi con lui. Dall’ora sesta si fecero tenebre per tutto il paese, fino all’ora nona. E, verso l’ora nona, Gesù gridò con gran voce: “ Elì, Elì, lamà sabactáni? ” cioè: “ Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ”. Ma alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: “Costui chiama Elia”. Subito uno di loro corse a prendere una spugna; e, inzuppatala d’aceto e postala in cima a una canna, gli diede da bere. Ma gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se Elia viene a salvarlo”. E Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito. Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò e le rocce si schiantarono, le tombe si aprirono e molti corpi dei santi che dormivano risuscitarono e, usciti dai sepolcri dopo la sua risurrezione, entrarono nella santa città e apparvero a molti. Ora il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, visto il terremoto e le cose avvenute, temettero grandemente, dicendo: “Veramente costui era Figlio di Dio”. C’erano là molte donne che guardavano da lontano, le quali avevano seguito Gesù dalla Galilea per assisterlo; tra loro c’erano Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Poi, fattosi sera, venne un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anch’egli discepolo di Gesù. Questi, presentatosi a Pilato, chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato comandò che il corpo gli fosse rilasciato. E Giuseppe, preso il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nella propria tomba nuova, che aveva fatto scavare nella roccia e, dopo aver rotolato una gran pietra contro l’apertura del sepolcro, se ne andò. Maria Maddalena e l’altra Maria erano lì, sedute di fronte al sepolcro. L’indomani, che era il giorno successivo alla Preparazione, i capi sacerdoti e i farisei si radunarono da Pilato, dicendo: “Signore, ci siamo ricordati che quel seduttore, mentre viveva ancora, disse: ‘Dopo tre giorni risusciterò’. Ordina dunque che il sepolcro sia sicuramente custodito fino al terzo giorno, perché i suoi discepoli non vengano a rubarlo e dicano al popolo: ‘È risuscitato dai morti’; così l’ultimo inganno sarebbe peggiore del primo”. Pilato disse loro: “Avete una guardia: andate, assicuratevi come credete”. Ed essi andarono ad assicurare il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia. Dopo il sabato, quando già albeggiava il primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria vennero a visitare il sepolcro. Ed ecco si fece un gran terremoto, perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e vi sedette sopra. Il suo aspetto era come di folgore e la sua veste bianca come neve. E, per lo spavento che ne ebbero, le guardie tremarono e rimasero come morte. Ma l’angelo prese a dire alle donne: “Voi non temete, perché io so che cercate Gesù, che è stato crocifisso. Egli non è qui, poiché è risuscitato come aveva detto; venite a vedere il luogo dove giaceva. E andate presto a dire ai suoi discepoli: ‘Egli è risuscitato dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete’. Ecco, ve l’ho detto”. E quelle se ne andarono in fretta dal sepolcro con spavento e grande gioia, e corsero ad annunciare la cosa ai suoi discepoli. Quand’ecco Gesù si fece loro incontro, dicendo: “Vi saluto!”. Ed esse, accostatesi, gli strinsero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno”. Mentre quelle andavano, ecco alcuni della guardia vennero in città e riferirono ai capi sacerdoti tutte le cose che erano avvenute. Ed essi, radunatisi con gli anziani e tenuto consiglio, diedero una forte somma di denaro ai soldati, dicendo: “Dite così: ‘I suoi discepoli sono venuti di notte e lo hanno rubato mentre dormivamo’. E se mai questo viene alle orecchie del governatore, noi lo persuaderemo e vi solleveremo da ogni preoccupazione”. Ed essi, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute, e quel dire è stato divulgato fra i Giudei, fino al giorno d’oggi. Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro designato. E, vedutolo, lo adorarono, alcuni però dubitarono. E Gesù, accostatosi, parlò loro, dicendo: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. Principio dell’evangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Secondo quanto è scritto nel profeta Isaia: “Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero a prepararti la via… Voce di uno che grida nel deserto: ‘Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri’”. Sorse Giovanni il battista nel deserto predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati. Tutto il paese della Giudea e tutti quelli di Gerusalemme accorrevano a lui ed erano da lui battezzati nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di pelo di cammello, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi, e si nutriva di cavallette e di miele selvatico. Predicava, dicendo: “Dopo di me viene colui che è più forte di me, al quale io non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari. Io vi ho battezzati in acqua, ma lui vi battezzerà in Spirito Santo”. In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano. E, a un tratto, com’egli saliva fuori dell’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito scendere su di lui come una colomba. E una voce venne dai cieli: “Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto”. Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto; e nel deserto rimase per quaranta giorni, tentato da Satana; tava tra le bestie e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando l’evangelo di Dio e dicendo: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete all’evangelo”. Mentre passava lungo il mare di Galilea, egli vide Simone e Andrea, il fratello di Simone, che gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E Gesù disse loro: “Seguitemi e io farò di voi dei pescatori d’uomini”. Ed essi, lasciate subito le reti, lo seguirono. Poi, spintosi un po’ più oltre, vide Giacomo di Zebedeo e Giovanni, suo fratello; anch’essi in barca rassettavano le reti; subito li chiamò ed essi, lasciato Zebedeo loro padre nella barca con gli operai, se ne andarono dietro a lui. Vennero in Capernaum e subito, il sabato, Gesù, entrato nella sinagoga, insegnava. La gente stupiva della sua dottrina, perché egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. In quel momento si trovava nella loro sinagoga un uomo posseduto da uno spirito immondo, il quale prese a gridare: “Che c’è fra noi e te, o Gesù Nazareno? Sei tu venuto per distruggerci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!”. E Gesù lo sgridò, dicendo: “Sta’ zitto ed esci da costui!”. E lo spirito immondo, straziatolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti sbigottirono e si domandavano fra loro: “Che cos’è mai questo? È una dottrina nuova! Egli comanda con autorità perfino agli spiriti immondi ed essi gli ubbidiscono!”. La sua fama si divulgò subito dappertutto, in tutta la circostante regione della Galilea. Appena usciti dalla sinagoga, andarono, con Giacomo e Giovanni, in casa di Simone e di Andrea. La suocera di Simone era a letto con la febbre ed essi subito gliene parlarono; egli, accostatosi, la prese per la mano e la fece alzare; la febbre la lasciò ed ella si mise a servirli. Poi, fattosi sera, quando il sole fu tramontato, gli condussero tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era radunata alla porta. Egli ne guarì molti che soffrivano di diverse malattie, e scacciò molti demòni; non permetteva ai demòni di parlare; poiché sapevano chi egli era. Poi, la mattina, essendo ancora molto buio, Gesù, si alzò, uscì, se ne andò in un luogo deserto e là pregava. Simone e quelli che erano con lui si misero a cercarlo e, trovatolo, gli dissero: “Tutti ti cercano”. Ed egli disse loro: “Andiamo altrove, per i villaggi vicini, affinché predichi anche là; poiché è per questo che io sono venuto”. E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. Un lebbroso venne a lui e, buttandosi in ginocchio, lo pregò, dicendo: “Se vuoi, tu puoi purificarmi!”. Gesù, mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio; sii purificato!”. E subito la lebbra sparì da lui e fu purificato. Gesù, dopo averlo ammonito severamente, lo mandò subito via e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno, ma va’, mostrati al sacerdote e offri per la tua purificazione quel che Mosè ha prescritto; questo serva loro di testimonianza”. Ma quello, appena partito, si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare apertamente in città, ma se ne stava fuori in luoghi deserti e da ogni parte la gente accorreva a lui. Dopo alcuni giorni, egli entrò di nuovo in Capernaum; si seppe che era in casa e si radunò tanta gente che neppure lo spazio davanti alla porta la poteva contenere. Egli annunciava loro la Parola. E vennero a lui alcuni con un paralitico portato da quattro uomini. Non potendolo far giungere fino a lui a causa della calca, scoprirono il tetto dalla parte dov’era Gesù e, fattavi un’apertura, calarono il lettuccio sul quale giaceva il paralitico. Gesù, veduta la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo, i tuoi peccati ti sono perdonati”. Alcuni scribi erano seduti là e ragionavano così in cuor loro: “Perché costui parla in questa maniera? Egli bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non uno solo, cioè Dio?”. Ma Gesù capì subito, con il suo spirito, che ragionavano così dentro di loro e disse: “Perché fate questi ragionamenti nei vostri cuori? Cos’è più facile dire al paralitico: ‘I tuoi peccati ti sono perdonati’, oppure dirgli: ‘Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina’? Ora, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati, io ti dico (disse al paralitico): ‘Àlzati, prendi il tuo lettuccio e vattene a casa tua’”. Ed egli si alzò e, preso subito il suo lettuccio, se ne andò via in presenza di tutti, sicché tutti stupivano e glorificavano Dio dicendo: “Una cosa così non l’abbiamo mai vista”. Gesù uscì di nuovo verso il mare; tutta la gente andava a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi d’Alfeo seduto al banco delle imposte e gli disse: “Seguimi”. Ed egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù era a tavola in casa di lui, molti pubblicani e peccatori erano anch’essi a tavola con lui e con i suoi discepoli, poiché ve n’erano molti e lo seguivano. Gli scribi che erano tra i farisei, vedendolo mangiare con i pubblicani e con i peccatori, dissero ai suoi discepoli: “Come mai mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?”. Gesù, udito ciò, disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori”. I discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare; andarono a Gesù e gli dissero: “Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?”. Gesù disse loro: “Possono gli amici dello sposo digiunare, mentre lo sposo è con loro? Finché hanno con sé lo sposo, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto e allora, in quei giorni, digiuneranno. Nessuno cuce un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio, altrimenti la toppa nuova porta via del vecchio e lo strappo si fa peggiore. E nessuno mette del vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino fa scoppiare gli otri, ma il vino nuovo va messo in otri nuovi”. In un giorno di sabato egli passava per i campi e i suoi discepoli, cammin facendo, si misero a strappare delle spighe. I farisei gli dissero: “Vedi! Perché fanno di sabato quel che non è lecito?”. Ed egli disse loro: “Non avete voi mai letto quel che fece Davide, quando fu nel bisogno ed ebbe fame, egli e quelli che erano con lui? Come egli, al tempo del sommo sacerdote Abiatar, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani di presentazione, che a nessuno è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche a coloro che erano con lui?”. Poi disse loro: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato, perciò il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato”. Poi entrò di nuovo in una sinagoga; là stava un uomo che aveva la mano secca. E l’osservavano per vedere se lo avrebbe guarito in giorno di sabato, per poterlo accusare. Ed egli disse all’uomo che aveva la mano secca: “Àlzati là nel mezzo!”. Poi disse loro: “È lecito, in giorno di sabato, fare del bene o fare del male? Salvare una persona o ucciderla?”. Ma quelli tacevano. Allora Gesù, guardatili tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza del loro cuore, disse all’uomo: “Stendi la mano!”. Egli la stese e la sua mano tornò sana. I farisei, usciti, tennero subito consiglio con gli Erodiani contro di lui, con lo scopo di farlo morire. Poi Gesù, con i suoi discepoli, si ritirò verso il mare; e dalla Galilea una gran folla lo seguì; e dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e da oltre il Giordano e dai dintorni di Tiro e di Sidone una gran folla, udendo quante cose egli faceva, andò da lui. Ed egli disse ai suoi discepoli che gli tenessero sempre pronta una barchetta per non farsi premere dalla folla. Perché egli ne aveva guariti molti e tutti quelli che avevano qualche malattia gli si precipitavano addosso per toccarlo. E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, si gettavano davanti a lui e gridavano: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Ed egli li sgridava forte, affinché non rivelassero chi fosse. Poi Gesù salì sul monte e chiamò a sé quelli che egli stesso volle, ed essi andarono a lui. Ne costituì dodici per tenerli con sé e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i dodici, cioè: Simone, al quale mise nome Pietro; Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali pose nome Boanerges, che vuol dire “Figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì. Poi entrò in una casa e la folla si radunò di nuovo, tanto che egli e i suoi non potevano neppure mangiare. I suoi parenti, udito ciò, vennero per prenderlo, perché dicevano: “È fuori di sé”. E gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: “Egli ha Belzebù e scaccia i demòni con l’aiuto del principe dei demòni”. Ma egli, chiamatili a sé, diceva loro in parabole: “Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in parti contrarie, quel regno non può durare. E se una casa è divisa in parti contrarie, quella casa non potrà reggere. E se Satana insorge contro sé stesso ed è diviso, non può reggere, ma deve finire. Anzi, nessuno può entrare nella casa dell’uomo forte e rubargli i suoi beni, se prima non avrà legato l’uomo forte; soltanto allora gli saccheggerà la casa. In verità io vi dico: Ai figli degli uomini saranno perdonati tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita, ma chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno, ma è colpevole di un peccato eterno”. Egli parlava così perché dicevano: “Ha uno spirito immondo”. Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, fermatisi fuori, lo mandarono a chiamare. Una folla gli stava seduta intorno, quando gli fu detto: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle là fuori che ti cercano”. Egli rispose loro: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?”. E, volgendo lo sguardo su coloro che gli sedevano intorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre”. Gesù iniziò di nuovo a insegnare presso il mare e una gran folla si radunò intorno a lui, perciò, montato su una barca, vi sedette stando in mare, mentre tutta la folla era a terra sulla riva. Ed egli insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: “Udite: ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; e gli uccelli vennero e lo mangiarono. Un’altra cadde in un suolo roccioso dove non aveva molta terra e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo, ma quando il sole si levò fu bruciata e, non avendo radice, si seccò. Un’altra cadde fra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non fece frutto. Altre parti caddero nella buona terra e portarono frutto, che venne su e crebbe, e giunsero a dare uno trenta, l’altro sessanta e l’altro cento”. Poi disse: “Chi ha orecchi da udire oda”. E quando egli fu solo, quelli che gli stavano intorno con i dodici lo interrogarono sulle parabole. Ed egli disse loro: “A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio, ma a quelli che sono di fuori tutto è presentato per via di parabole, affinché: vedendo, vedano sì, ma non discernano; udendo, odano sì, ma non intendano; affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati”. Poi disse loro: “Non comprendete questa parabola? E come intenderete tutte le altre parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli che sono lungo la strada, sono coloro nei quali è seminata la Parola e, quando l’hanno udita, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. E così quelli che ricevono la semenza in luoghi rocciosi sono coloro che, quando hanno udito la Parola, la ricevono subito con gioia, ma non hanno in sé radice e sono di corta durata; poi, quando vengono tribolazione o persecuzione a causa della Parola, sono subito scandalizzati. E altri sono quelli che ricevono la semenza fra le spine, cioè coloro che hanno udito la Parola; poi le preoccupazioni del mondo, l’inganno delle ricchezze e l’avidità delle altre cose, penetrate in loro, soffocano la Parola, così da risultare infruttuosa. Quelli poi che hanno ricevuto il seme in buona terra, sono coloro che odono la Parola, l’accolgono e fruttano uno trenta, l’altro sessanta e l’altro cento”. Poi diceva ancora: “Si prende forse la lampada per metterla sotto il vaso o sotto il letto? Non la si prende invece per metterla sul candeliere? Poiché non c’è nulla che sia nascosto se non per essere manifestato, e nulla è stato tenuto segreto, se non per essere messo in luce. Se uno ha orecchi da udire, oda”. Diceva loro ancora: “State attenti a ciò che voi udite. Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi; e a voi sarà dato anche di più, poiché a chi ha sarà dato, a chi non ha anche quello che ha gli sarà tolto”. Diceva ancora: “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme in terra, dorme e si alza, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce nel modo che egli stesso ignora. La terra da sé stessa dà il suo frutto: prima l’erba e poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato. E, quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché è giunta l’ora della mietitura”. Diceva ancora: “A che cosa paragoneremo il regno di Dio o con quale parabola lo rappresenteremo? Esso è simile a un granello di senape, il quale, quando lo si semina in terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra, ma, quando è seminato, cresce e diventa maggiore di tutti gli ortaggi e fa dei rami tanto grandi che alla sua ombra possono ripararsi gli uccelli del cielo”. E con molte parabole di questo genere esponeva loro la Parola, secondo quello che potevano intendere. Non parlava loro senza una parabola, ma in privato spiegava ogni cosa ai suoi discepoli. In quel medesimo giorno, fattosi sera, Gesù disse loro: “Passiamo all’altra riva”. E i discepoli, congedata la folla, lo presero, così com’era, nella barca. Vi erano delle altre barche con lui. Ed ecco alzarsi un gran turbine di vento che gettava le onde nella barca, tanto che questa già si riempiva. Egli stava a poppa, dormendo sul guanciale. I discepoli lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che noi moriamo?”. Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e si fece gran bonaccia. Ed egli disse loro: “Perché siete così paurosi? Come mai non avete fede?”. Ed essi furono presi da gran timore e si dicevano gli uni agli altri: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli ubbidiscono?”. Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Geraseni. Appena Gesù fu smontato dalla barca, subito gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo, il quale aveva la sua dimora nei sepolcri; e nessuno poteva più tenerlo legato neppure con una catena, poiché spesso era stato legato con ceppi e catene, ma le catene erano state rotte da lui, i ceppi spezzati e nessuno aveva la forza di domarlo. Di continuo, notte e giorno, andava fra i sepolcri e su per i monti, urlando e percuotendosi con delle pietre. Quando vide Gesù da lontano, corse, gli si prostrò davanti e, dato un gran grido, disse: “Che c’è fra me e te, o Gesù, Figlio del Dio altissimo? Io ti scongiuro, in nome di Dio, di non tormentarmi”, perché Gesù gli diceva: “Spirito immondo, esci da quest’uomo!”. Gesù gli domandò: “Qual è il tuo nome?”. Ed egli rispose: “Il mio nome è Legione, perché siamo molti”. E lo pregava con insistenza che non li mandasse via dal paese. C’era là sul monte un gran branco di porci che pascolava. E gli spiriti lo pregarono, dicendo: “Mandaci nei porci, perché entriamo in essi”. Egli lo permise loro; allora gli spiriti immondi, usciti, entrarono nei porci e il branco si avventò giù a precipizio nel mare. Erano circa duemila e affogarono nel mare. E quelli che li pasturavano fuggirono e portarono la notizia in città e per la campagna e la gente andò a vedere ciò che era avvenuto. Vennero a Gesù e videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che aveva avuto la legione, e s’impaurirono. Quelli che avevano visto raccontarono loro ciò che era avvenuto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi iniziarono a pregare Gesù che se ne andasse dai loro confini. E mentre egli montava nella barca, l’uomo che era stato indemoniato lo pregava di poter stare con lui. Gesù non glielo permise, ma gli disse: “Va’ a casa tua dai tuoi e racconta loro le grandi cose che il Signore ti ha fatto e come egli ha avuto pietà di te”. Ed egli se ne andò e cominciò a raccontare per la Decapoli le grandi cose che Gesù aveva fatto per lui. E tutti si meravigliavano. Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, si radunò attorno a lui una gran folla ed egli stava presso il mare. Ed ecco venire uno dei capi della sinagoga, chiamato Iairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregò con insistenza, dicendo: “La mia bambina sta morendo. Vieni a posare le mani sopra di lei, affinché sia salva e viva”. Gesù andò con lui, e molta gente lo seguiva e lo stringeva da ogni parte. Una donna, che aveva un flusso di sangue da dodici anni, molto aveva sofferto da molti medici e aveva speso tutto ciò che aveva senza alcun giovamento, anzi era piuttosto peggiorata, avendo udito parlare di Gesù, venne da dietro fra la calca e gli toccò la veste, perché diceva: “Se riesco a toccare anche solo le sue vesti, sarò salva”. In quell’istante il suo flusso ristagnò; e lei sentì nel corpo di essere guarita da quella malattia. E subito Gesù, conscio della potenza che era emanata da lui, voltandosi indietro verso quella folla, disse: “Chi mi ha toccato le vesti?”. I suoi discepoli gli dicevano: “Tu vedi come la folla ti si stringe addosso e dici: ‘Chi mi ha toccato?’”. Ed egli guardava attorno per vedere colei che aveva fatto questo. Ma la donna, paurosa e tremante, ben sapendo quello che era avvenuto in lei, venne, gli si gettò ai piedi e gli disse tutta la verità. Ma Gesù le disse: “Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace e sii guarita dal tuo flagello”. Mentre egli parlava ancora, ecco arrivare gente dalla casa del capo della sinagoga, dicndo: “Tua figlia è morta, perché incomodare ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quel che si diceva, disse al capo della sinagoga: “Non temere, solo abbi fede!”. E non permise a nessuno di accompagnarlo, tranne che a Pietro, a Giacomo e a Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero a casa del capo della sinagoga ed egli vide il tumulto e la gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: “Perché fate tanto strepito e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme”. Ed essi ridevano di lui. Ma egli, messili tutti fuori, prese con sé il padre, la madre della fanciulla e quelli che erano con lui ed entrò là dove era la fanciulla. E, presala per la mano, le disse: “Talità cum!”, che interpretato vuole dire: “Ragazza, ti dico: Àlzati!”. Subito la ragazza si alzò e camminava, perché aveva dodici anni. E furono subito presi da grande stupore; egli comandò loro con insistenza che nessuno lo venisse a sapere e disse loro che le fosse dato da mangiare. Poi partì di là e venne nel suo paese e i suoi discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga; molti, udendolo, si stupivano e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? Che sapienza è questa che gli è data? E che cosa sono queste opere potenti fatte per mano sua? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo, di Iose, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?”. E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù diceva loro: “Nessun profeta è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E non vi poté fare alcuna opera potente, salvo che, imposte le mani ad alcuni pochi infermi, li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. E andava in giro per i villaggi, insegnando. Poi chiamò a sé i dodici e cominciò a mandarli a due a due; e diede loro potere sugli spiriti immondi. E comandò loro di non prendere nulla per il viaggio, ma soltanto un bastone; né pane, né sacca, né denaro nella cintura, ma di calzare sandali e di non indossare due tuniche. E diceva loro: “Dovunque sarete entrati in una casa, trattenetevi lì, finché non ve ne andiate da quel posto e, se in qualche luogo non vi ricevono né vi ascoltano, andandovene di là, scuotetevi la polvere da sotto i piedi; ciò serva di testimonianza contro di loro”. E, partiti, predicavano che la gente si ravvedesse; scacciavano molti demòni, ungevano d’olio molti infermi e li guarivano. Il re Erode udì parlare di Gesù, perché la sua fama si era sparsa, e diceva: “Giovanni il battista è risuscitato dai morti ed è per questo che agiscono in lui le potenze miracolose”. Altri invece dicevano: “È Elia!”. E altri: “È un profeta come quelli di una volta”. Ma Erode, udito ciò, diceva: “È quel Giovanni che io ho fatto decapitare; è lui che è risuscitato!”. Poiché Erode aveva fatto arrestare Giovanni e l’aveva fatto incatenare in prigione a causa di Erodiade, moglie di Filippo suo fratello, che egli, Erode, aveva sposato. Giovanni infatti gli diceva: “Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello!”. Erodiade perciò gli serbava rancore e bramava di farlo morire, ma non poteva; Erode, infatti, aveva soggezione di Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e lo proteggeva; dopo averlo udito era molto perplesso e lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno opportuno quando Erode, per il suo compleanno, fece un convito ai grandi della sua corte, ai capitani e ai principali della Galilea; la figlia della stessa Erodiade, essendo entrata, ballò e piacque a Erode e ai commensali. E il re disse alla fanciulla: “Chiedimi quello che vuoi e te lo darò”. E le giurò: “Ti darò quel che mi chiederai, fino alla metà del mio regno”. Costei, uscita, domandò a sua madre: “Che chiederò?”. E quella le disse: “La testa di Giovanni il battista”. E rientrata subito frettolosamente dal re, gli fece questa richiesta: “Voglio che sul momento tu mi dia, in un piatto, la testa di Giovanni il battista”. Il re ne fu grandemente rattristato, ma a motivo dei giuramenti fatti e dei commensali non volle dirle di no e mandò subito una guardia con l’ordine di portargli la sua testa. Quegli andò, lo decapitò nella prigione, ne portò la testa in un piatto e la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, udita la cosa, andarono a prendere il suo corpo e lo deposero in un sepolcro. Gli apostoli, essendosi raccolti intorno a Gesù, gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venitevene ora in disparte, in luogo solitario, e riposatevi un po’”. Difatti era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure tempo di mangiare. Partirono dunque con la barca per andare in un luogo solitario in disparte. Molti li videro partire e li riconobbero; e da tutte le città accorsero là a piedi e vi giunsero prima di loro. E come Gesù fu sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendo già tardi, i discepoli gli si accostarono e gli dissero: “Questo luogo è deserto ed è già tardi; congedali, affinché vadano per le campagne e per i villaggi nei dintorni a comprarsi qualcosa da mangiare”. Ma egli rispose loro: “Date loro voi da mangiare”. Ed essi a lui: “Andremo noi a comprare duecento denari di pane e daremo loro da mangiare?”. Egli domandò loro: “Quanti pani avete? Andate a vedere”. Ed essi, accertatisi, risposero: “Cinque, e due pesci”. Allora egli comandò loro di farli accomodare a gruppi sull’erba verde e si sedettero per gruppi di cento e di cinquanta. Poi Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, alzàti gli occhi verso il cielo, benedisse e spezzò i pani e li diede ai discepoli, affinché li distribuissero alla gente; e divise pure i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e furono sazi e si portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane, e anche i resti dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini. Subito dopo Gesù obbligò i suoi discepoli a montare nella barca e a precederlo sull’altra riva, verso Betsaida, mentre egli avrebbe congedato la folla. Preso commiato, se ne andò sul monte a pregare. Fattosi sera, la barca era in mezzo al mare ed egli era solo a terra. Vedendoli che si affannavano a remare perché il vento era loro contrario, verso la quarta vigilia della notte andò loro incontro camminando sul mare e voleva oltrepassarli; ma essi, vedutolo camminare sul mare, pensarono che fosse un fantasma e si misero a gridare, perché tutti lo videro e ne furono sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: “Coraggio, sono io; non temete!”. Salì sulla barca con loro e il vento si calmò; essi più che mai si sbigottirono, perché non avevano capito il fatto dei pani, anzi il loro cuore era indurito. Passati all’altra riva, vennero e presero terra a Gennesaret; come furono sbarcati, subito lo riconobbero, corsero per tutto il paese e cominciarono a portare qua e là i malati sui loro lettucci, dovunque sentivano dire che egli si trovasse. E dovunque egli giungeva, nei villaggi, città o campagne, ponevano gli infermi nelle piazze e lo pregavano che li lasciasse toccare almeno il lembo della sua veste. E tutti quelli che lo toccavano, erano guariti. Allora si radunarono presso di lui i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. E videro che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate. Poiché i farisei e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani con grande cura, attenendosi alla tradizione degli antichi, e quando tornano dalla piazza non mangiano se non si sono purificati con delle aspersioni. Vi sono molte altre cose cui si attengono per tradizione: lavaggio di calici, di boccali e di vasi di rame. I farisei e gli scribi domandarono: “Perché i tuoi discepoli non seguono la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”. Ma Gesù disse loro: “Ben profetizzò Isaia di voi ipocriti, com’è scritto: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini’. Voi, tralasciato il comandamento di Dio, restate attaccati alla tradizione degli uomini”. E diceva loro ancora: “Siete abili ad annullare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione! Mosè infatti ha detto: ‘Onora tuo padre e tua madre’; e: ‘Chi maledice padre o madre, sia punito di morte’; voi invece, se uno dice a suo padre o a sua madre: ‘Quello con cui potrei assisterti è Corbàn (vale a dire, offerta a Dio)’, non gli permettete più di fare niente per suo padre o sua madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che voi vi siete tramandata. E di cose simili ne fate tante!”. Poi, chiamata di nuovo a sé la folla, diceva: “Ascoltatemi tutti e intendete: Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo, ma sono le cose che escono dall’uomo quelle che contaminano l’uomo. [Se uno ha orecchi da udire, oda”.] Quando lasciò la folla ed entrò in casa, i suoi discepoli lo interrogarono intorno alla parabola. Ed egli disse loro: “Siete anche voi così privi d’intendimento? Non capite che tutto ciò che dall’esterno entra nell’uomo non lo può contaminare, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e se ne va nella latrina?”. Così dicendo, dichiarava puri tutti quanti i cibi. Diceva inoltre: “È quel che esce dall’uomo che contamina l’uomo, poiché è dall’interno, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, frode, lascivia, sguardo maligno, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose malvagie escono dal di dentro e contaminano l’uomo”. Poi Gesù partì di là e se ne andò verso i confini di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto, anzi subito una donna, la cui bambina aveva uno spirito immondo, avendo udito di lui, venne e gli si gettò ai piedi. Quella donna era pagana, di nazione sirofenicia, e lo pregava di scacciare il demonio da sua figlia. Ma Gesù le disse: “Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini”. Ma ella rispose: “Dici bene, Signore; eppure i cagnolini, sotto la tavola, mangiano delle briciole dei figli”. Allora Gesù le disse: “Per questa parola, va’; il demonio è uscito da tua figlia”. E la donna, tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio uscito da lei. Gesù partì di nuovo dalla regione di Tiro e, passando per Sidone, tornò verso il mar di Galilea attraversando il territorio della Decapoli. Gli condussero un sordo che parlava a stento; e lo pregarono che gli imponesse le mani. Egli, trattolo in disparte fuori dalla folla, gli mise le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; poi, alzando gli occhi al cielo, sospirò e gli disse: “Effatà!”, che vuol dire: “Apriti!”. E gli si aprirono gli orecchi e subito gli si sciolse la lingua e parlava bene. Gesù ordinò loro di non parlarne ad alcuno; ma più lo vietava loro, più lo divulgavano e, pieni di stupore, dicevano: “Egli ha fatto ogni cosa bene; i sordi li fa udire, e i muti li fa parlare”. In quei giorni, essendo di nuovo la folla grandissima e non avendo da mangiare, Gesù, chiamati a sé i discepoli, disse loro: “Io ho pietà di questa gente, poiché già da tre giorni sta con me e non ha da mangiare. Se li rimando a casa digiuni, verranno meno per via e ve ne sono alcuni che sono venuti da lontano”. I suoi discepoli gli risposero: “Come si potrebbe mai saziarli di pane qui, in un deserto?”. Ed egli domandò loro: “Quanti pani avete?”. Essi dissero: “Sette”. Egli ordinò alla folla di accomodarsi per terra; e, presi i sette pani, dopo aver reso grazie, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla ed essi li distribuirono. Avevano anche pochi pescetti ed egli, fatta la benedizione, comandò di distribuire anche quelli. Così mangiarono e furono saziati e dei pezzi avanzati si raccolsero sette panieri. Erano circa quattromila persone. Poi Gesù li congedò. E subito, montato sulla barca con i suoi discepoli, andò dalle parti di Dalmanuta. Anche i farisei si recarono là e si misero a disputare con lui, chiedendogli, per metterlo alla prova, un segno dal cielo. Ma egli, dopo aver sospirato nel suo spirito, disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: Non sarà dato alcun segno a questa generazione”. E, lasciatili, montò di nuovo nella barca e passò all’altra riva. I discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e, nella barca, non avevano altro che un solo pane. Egli li ammoniva dicendo: “Badate, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!”. Ed essi si dicevano gli uni agli altri: “È perché non abbiamo pane”. Ma Gesù, accortosene, disse loro: “Perché ragionate voi del non avere pane? Non riflettete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avendo occhi non vedete? E avendo orecchi non udite? E non vi ricordate? Quando io spezzai i cinque pani per i cinquemila, quante ceste piene di pezzi raccoglieste?”. Essi dissero: “Dodici”. “Quando spezzai i sette pani per i quattromila, quanti panieri pieni di pezzi raccoglieste?”. Ed essi risposero: “Sette”. E diceva loro: “Non capite ancora?”. Giunsero a Betsaida; e gli fu condotto un cieco, e lo pregarono che lo toccasse. Ed egli, preso il cieco per la mano, lo condusse fuori dal villaggio; sputatogli negli occhi e impostegli le mani, gli domandò: “Vedi qualche cosa?”. Ed egli, alzàti gli occhi, disse: “Scorgo gli uomini, perché li vedo come alberi che camminano”. Poi Gesù gli mise di nuovo le mani sugli occhi; ed egli riguardò e fu guarito e vedeva ogni cosa chiaramente. E Gesù lo rimandò a casa sua e gli disse: “Non entrare neppure nel villaggio”. Poi Gesù, con i suoi discepoli, se ne andò verso le borgate di Cesarea di Filippo e, cammin facendo, domandò ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che io sia?”. Ed essi risposero: “Alcuni, Giovanni il battista; altri, Elia; e altri, uno dei profeti”. Egli domandò loro: “E voi, chi dite che io sia?”. E Pietro rispose: “Tu sei il Cristo”. Ed egli vietò loro severamente di dire di lui ad alcuno. Poi cominciò a insegnare loro che era necessario che il Figlio dell’uomo soffrisse molte cose, fosse respinto dagli anziani, dai capi sacerdoti e dagli scribi, e fosse ucciso e dopo tre giorni risuscitasse. E diceva queste cose apertamente. Pietro, trattolo da parte, iniziò a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi verso i suoi discepoli, rimproverò Pietro, dicendo: “Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”. Chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, disse loro: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi perderà la sua vita per amor mio e dell’evangelo, la salverà. E che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima sua? Infatti, che darebbe l’uomo in cambio dell’anima sua? Perché se uno si sarà vergognato di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando sarà venuto nella gloria del Padre suo con i santi angeli”. Diceva loro: “In verità io vi dico che alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il regno di Dio venuto con potenza”. Sei giorni dopo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse soli, in disparte, sopra un alto monte e fu trasfigurato in loro presenza: le sue vesti divennero sfolgoranti, candidissime, di un candore tale che nessun lavandaio sulla terra può dare. E apparve loro Elia con Mosè, i quali stavano conversando con Gesù. Allora Pietro, rivoltosi a Gesù, disse: “Maestro, è bello stare qui; facciamo tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia”. Poiché non sapeva che cosa dire, perché erano stati presi da spavento. E venne una nuvola che li coprì con la sua ombra e dalla nuvola una voce: “Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo”. E a un tratto, guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo. Poi, mentre scendevano dal monte, egli ordinò loro di non raccontare a nessuno le cose che avevano visto, se non quando il Figlio dell’uomo sarebbe risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi fra loro che cosa significasse quel risuscitare dai morti. Poi gli chiesero: “Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?”. Ed egli disse loro: “Elia deve venire prima e ristabilire ogni cosa; e come mai sta scritto del Figlio dell’uomo che egli deve soffrire molte cose ed essere disprezzato? Ma io vi dico che Elia è già venuto e, com’è scritto di lui, gli hanno anche fatto ciò che hanno voluto”. Arrivati dai discepoli, videro intorno a loro una grande folla e degli scribi che discutevano con loro. Subito tutta la gente, come vide Gesù, fu sorpresa e accorse a salutarlo. Ed egli domandò loro: “Di che discutete con loro?”. E uno della folla gli rispose: “Maestro, io ho condotto da te mio figlio che ha uno spirito muto e, ogni volta che s’impadronisce di lui, dovunque sia, lo getta a terra; egli schiuma, digrigna i denti e rimane rigido. Ho detto ai tuoi discepoli che lo scacciassero, ma non hanno potuto”. E Gesù, rispondendo, disse loro: “O generazione incredula! Fino a quando sarò io con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me”. Glielo condussero e, come vide Gesù, subito lo spirito lo contorse con delle convulsioni e, caduto in terra, si rotolava schiumando. E Gesù domandò al padre: “Da quanto tempo gli avviene questo?”. Ed egli disse: “Dalla sua infanzia, e spesso l’ha gettato anche nel fuoco e nell’acqua per farlo morire, ma tu, se puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. E Gesù: “Dici: ‘Se puoi’?! Ogni cosa è possibile a chi crede”. E subito il padre del fanciullo esclamò: “Io credo; sovvieni alla mia incredulità”. E Gesù, vedendo che la folla accorreva, sgridò lo spirito immondo, dicendogli: “Spirito muto e sordo, io te lo comando: esci da lui e non vi rientrare più”. Lo spirito, gridando e straziandolo forte, uscì e il fanciullo rimase come morto e quasi tutti dicevano: “È morto”. Ma Gesù lo sollevò ed egli si alzò in piedi. Quando Gesù fu entrato in casa, i suoi discepoli gli domandarono in privato: “Perché non l’abbiamo potuto scacciare noi?”. Ed egli disse loro: “Questa specie di spiriti non si può far uscire in altro modo che con la preghiera”. Poi, partiti di là, attraversarono la Galilea; e Gesù non voleva che alcuno lo sapesse. Infatti egli istruiva i suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini ed essi lo uccideranno e tre giorni dopo essere stato ucciso risusciterà”. Ma essi non comprendevano il suo parlare e temevano d’interrogarlo. Vennero a Capernaum e, quando egli fu in casa, domandò loro: “Di che discorrevate per strada?”. Essi tacevano, perché lungo la via avevano discusso fra loro su chi fosse il maggiore. Allora, postosi a sedere, chiamò i dodici e disse loro: “Se qualcuno vuole essere il primo, dovrà essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. E, preso un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo a loro; poi lo prese in braccio e disse loro: “Chiunque riceve uno di questi piccoli fanciulli nel nome mio, riceve me e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato”. Giovanni gli disse: “Maestro, noi abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel nome tuo e glielo abbiamo vietato perché non ci seguiva”. E Gesù disse: “Non glielo vietate, poiché non c’è nessuno che faccia qualche opera potente nel mio nome e che subito dopo possa dire male di me. Poiché chi non è contro di noi, è per noi. Perché chiunque vi avrà dato da bere un bicchiere d’acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa”. “E chiunque avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono, meglio sarebbe per lui che gli fosse messa al collo una macina da mulino e fosse gettato in mare. E se la tua mano ti induce a peccare, mozzala; meglio è per te entrare monco nella vita, che avere due mani e andartene nella geenna, nel fuoco inestinguibile [dove il verme loro non muore e il fuoco non si spegne.] E se il tuo piede ti induce a peccare, mozzalo; meglio è per te entrare zoppo nella vita, che avere due piedi ed essere gettato nella geenna [dove il verme loro non muore e il fuoco non si spegne.] E se l’occhio tuo ti induce a peccare, cavalo; meglio è per te entrare con un occhio solo nel regno di Dio, che avere due occhi ed essere gettato nella geenna, dove il verme loro non muore e il fuoco non si spegne. Poiché ognuno sarà salato con il fuoco. Il sale è buono, ma se il sale diventa insipido, con che gli darete sapore? Abbiate del sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri”. Poi Gesù partì di là e se ne andò sui confini della Giudea e oltre il Giordano; di nuovo si radunarono presso di lui delle folle e di nuovo egli insegnava loro come era solito fare. E dei farisei, accostatisi, gli domandarono, tentandolo: “È lecito a un marito mandare via la moglie?”. Ed egli rispose loro: “Che cosa vi ha comandato Mosè?”. Ed essi dissero: “Mosè permise di scrivere un atto di divorzio e mandarla via ”. Gesù disse loro: “È per la durezza del vostro cuore che egli scrisse per voi quel precetto, ma al principio della creazione Dio li fece maschio e femmina. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne. Così non sono più due, ma una stessa carne. Quello dunque che Dio ha unito l’uomo non lo separi”. E in casa i discepoli lo interrogarono di nuovo sullo stesso soggetto. Ed egli disse loro: “Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei e, se la moglie, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”. Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli sgridavano coloro che glieli presentavano. Gesù, visto ciò, si indignò e disse loro: “Lasciate i piccoli fanciulli venire a me; non glielo vietate, perché il regno di Dio appartiene a chi è come loro. In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un piccolo fanciullo, non vi entrerà affatto”. E, presili in braccio, li benediceva ponendo le mani su di loro. Mentre Gesù usciva per mettersi in cammino, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. E Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. Tu sai i comandamenti: ‘Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non fare torto ad alcuno; onora tuo padre e tua madre’ ”. Ed egli rispose: “Maestro, tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. E Gesù, riguardatolo in viso, l’amò e gli disse: “Una cosa ti manca: va’, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri, e tu avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò addolorato, perché aveva molti beni. E Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!”. E i discepoli sbigottirono a queste sue parole. Gesù, di nuovo, replicò loro: “Figlioli, quanto è difficile [per chi confida nelle ricchezze] entrare nel regno di Dio! È più facile a un cammello passare per la cruna di un ago, che a un ricco entrare nel regno di Dio”. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: “Chi dunque può essere salvato?”. E Gesù, riguardatili, disse: “Agli uomini è impossibile, ma non a Dio, perché tutto è possibile a Dio”. E Pietro iniziò a dirgli: “Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito”. E Gesù rispose: “Io vi dico in verità che non c’è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor di me e per amor dell’evangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi, primi”. Mentre erano in cammino salendo a Gerusalemme, Gesù andava davanti a loro; essi erano sbigottiti e quelli che lo seguivano erano presi da timore. Ed egli, tratti di nuovo da parte i dodici, iniziò a dire loro le cose che stavano per accadergli: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei capi sacerdoti e degli scribi; essi lo condanneranno a morte e lo metteranno nelle mani dei Gentili; lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e l’uccideranno, ma dopo tre giorni egli risusciterà”. Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, si accostarono a lui, dicendogli: “Maestro, desideriamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”. Ed egli disse loro: “Che volete che io vi faccia?”. Essi gli dissero: “Concedici di sedere uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra nella tua gloria”. Ma Gesù disse loro: “Voi non sapete quel che chiedete. Potete voi bere il calice che io bevo o essere battezzati del battesimo del quale io sono battezzato?”. Essi gli dissero: “Sì, lo possiamo”. E Gesù disse loro: “Voi certo berrete il calice che io bevo e sarete battezzati del battesimo del quale io sono battezzato, ma quanto al sedersi a destra o a sinistra, non sta a me concederlo, ma è per quelli cui è stato preparato”. E i dieci, udito ciò, iniziarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che quelli che sono reputati prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i loro grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra voi; anzi, chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore e chiunque fra voi vorrà essere primo, sarà servo di tutti. Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”. Poi giunsero a Gerico. E come egli usciva da Gerico con i suoi discepoli e con una gran folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco mendicante, sedeva presso la strada. E udito che chi passava era Gesù il Nazareno, iniziò a gridare e a dire: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. E molti lo sgridavano perché tacesse, ma quello gridava più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù, fermatosi, disse: “Chiamatelo!”. E chiamarono il cieco, dicendogli: “Fatti coraggio! Àlzati! Egli ti chiama”. Allora il cieco, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne a Gesù. E Gesù, rivoltosi a lui, gli disse: “Che vuoi che io ti faccia?”. Il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io recuperi la vista”. Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E in quell’istante egli recuperò la vista e seguiva Gesù per la via. Quando furono giunti vicino a Gerusalemme, a Betfage e Betania, presso al monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: “Andate nella borgata che è di fronte a voi; subito, appena entrati, troverete legato un puledro d’asino, sopra il quale non è montato ancora nessuno; scioglietelo e portatelo qui da me. Se qualcuno vi dice: ‘Perché fate questo?’, rispondete: ‘Il Signore ne ha bisogno’ e lo rimanderà subito qua”. Essi andarono e trovarono un puledro legato a una porta, fuori, sulla strada, e lo sciolsero. Alcuni di quelli che erano lì presenti dissero loro: “Che fate, perché sciogliete il puledro?”. Ed essi risposero come aveva detto Gesù. E quelli li lasciarono fare. Essi condussero il puledro a Gesù, vi misero su i loro mantelli ed egli vi montò sopra. E molti stendevano i loro mantelli sulla via; altri delle fronde che avevano tagliate nei campi. Coloro che andavano avanti e coloro che venivano dietro, gridavano: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, il regno di Davide nostro padre! Osanna nei luoghi altissimi!”. Gesù entrò in Gerusalemme, nel tempio, e dopo aver osservato ogni cosa intorno, essendo già l’ora tarda, uscì per andare a Betania con i dodici. Il giorno seguente, quando furono usciti da Betania, egli ebbe fame. Visto da lontano un fico che aveva delle foglie, andò a vedere se per caso vi trovasse qualcosa, ma giunto al fico non vi trovò nient’altro che foglie, perché non era la stagione dei fichi. Allora Gesù prese a dire al fico: “Nessuno mangi mai più frutto da te!”. E i suoi discepoli udirono. Vennero a Gerusalemme e Gesù, entrato nel tempio, cominciò a scacciare quelli che vendevano e compravano nel tempio; rovesciò le tavole dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombi e non permetteva che nessuno portasse oggetti attraverso il tempio. E insegnava, dicendo loro: “Non è scritto: ‘La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti’? Ma voi ne avete fatta una spelonca di ladroni”. I capi sacerdoti e gli scribi udirono queste cose e cercavano il modo di farlo morire, perché lo temevano, poiché tutta la folla era rapita in ammirazione della sua dottrina. Quando fu sera, uscirono dalla città. La mattina, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. Pietro, ricordatosi, gli disse: “Maestro, vedi, il fico che tu maledicesti è seccato”. Allora Gesù, rispondendo, disse loro: “Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico che chi dirà a questo monte: ‘Togliti di là e gettati nel mare’, se non dubita in cuor suo, ma crede che quel che dice avverrà, gli sarà fatto. Perciò vi dico: Tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute e voi le otterrete. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate; affinché il Padre vostro che è nei cieli, vi perdoni le vostre colpe. [Ma se voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei cieli vi perdonerà le vostre colpe”.] Poi vennero di nuovo in Gerusalemme e, mentre egli passeggiava per il tempio, i capi sacerdoti, gli scribi e gli anziani si accostarono a lui e gli dissero: “Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di fare queste cose?”. E Gesù disse loro: “Io vi domanderò una cosa; rispondetemi e vi dirò con quale autorità io faccio queste cose. Il battesimo di Giovanni era dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi”. Ed essi ragionavano fra loro dicendo: “Se diciamo: ‘Dal cielo’, egli dirà: ‘Perché dunque non gli credeste?’. Diremo invece: ‘Dagli uomini’? …”. Essi temevano il popolo, perché tutti stimavano che Giovanni fosse veramente profeta. E risposero a Gesù: “Non lo sappiamo”. E Gesù disse loro: “Neppure io vi dico con quale autorità faccio queste cose”. Poi cominciò a parlare loro in parabole: “Un uomo piantò una vigna, le fece attorno una siepe, vi scavò un luogo per pigiare l’uva e vi edificò una torre; l’affittò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio. A suo tempo mandò a quei lavoratori un servo per ricevere da loro dei frutti della vigna. Ma essi, presolo, lo batterono e lo rimandarono a mani vuote. Egli di nuovo mandò loro un altro servo e anche lui ferirono nel capo e insultarono. Egli ne mandò un altro e anche quello uccisero; poi molti altri, dei quali alcuni picchiarono e alcuni uccisero. Aveva ancora un unico figlio diletto e quello mandò loro per ultimo, dicendo: ‘Avranno rispetto per mio figlio’. Ma quei lavoratori dissero fra loro: ‘Costui è l’erede; venite, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra’. E, presolo, lo uccisero e lo gettarono fuori dalla vigna. Che farà dunque il padrone della vigna? Egli verrà, distruggerà quei lavoratori e darà la vigna ad altri. Non avete voi neppure letto questa Scrittura: ‘La pietra che gli edificatori hanno rifiutata, è quella che è diventata pietra angolare; ciò è stato fatto dal Signore, ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri’ ”? Allora essi cercavano di prenderlo, ma temettero la folla, perché capirono che egli aveva detto quella parabola per loro e, lasciatolo, se ne andarono. Gli mandarono alcuni dei farisei e degli Erodiani per coglierlo in fallo nelle sue parole. Ed essi, venuti, gli dissero: “Maestro, noi sappiamo che tu sei veritiero e non hai riguardi per nessuno, perché non guardi all’apparenza delle persone, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito pagare il tributo a Cesare o no? Dobbiamo darlo o non darlo?”. Ma egli, conosciuta la loro ipocrisia, disse loro: “Perché mi tentate? Portatemi un denaro, che io lo veda”. Essi glielo portarono ed egli disse loro: “Di chi è questa effigie e questa iscrizione?”. Essi gli dissero: “Di Cesare”. Allora Gesù disse loro: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Ed essi si meravigliarono di lui”. Poi vennero a lui dei sadducei, i quali dicono che non vi è risurrezione, e gli domandarono: “Maestro, Mosè ci lasciò scritto che, se il fratello di uno muore e lascia la moglie senza figli, il fratello ne prenda la moglie e dia una discendenza a suo fratello. C’erano sette fratelli. Il primo prese moglie e, morendo, non lasciò discendenza. Il secondo la prese e morì senza lasciare discendenza. Così il terzo. E i sette non lasciarono discendenza. Infine, dopo tutti, morì anche la donna. Nella risurrezione, quando saranno risuscitati, di chi di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta per moglie”. Gesù disse loro: “Non è proprio per questo che errate, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Poiché, quando gli uomini risuscitano dai morti, né prendono né danno moglie, ma sono come angeli nei cieli. Quanto poi ai morti e alla loro risurrezione, non avete voi letto nel libro di Mosè, nel passo del ‘pruno’, come Dio gli parlò dicendo: ‘Io sono il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe’? Egli non è il Dio dei morti, ma dei viventi. Voi errate grandemente”. Uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto che egli aveva risposto bene, si accostò e gli domandò: “Qual è il comandamento primo fra tutti?”. Gesù rispose: “Il primo è: ‘Ascolta, Israele: Il Signore Dio nostro è l’unico Signore: ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua e con tutta la forza tua ’. Il secondo è questo: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Non c’è nessun altro comandamento maggiore di questi”. Lo scriba gli disse: “Hai detto bene Maestro, e secondo verità, che vi è un Dio solo e che all’infuori di lui non ce n’è alcun altro e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l’intelletto e con tutta la forza e amare il prossimo come te stesso è molto meglio che tutti gli olocausti e i sacrifici”. E Gesù, vedendo che egli aveva risposto saggiamente, gli disse: “Tu non sei lontano dal regno di Dio”. E nessuno ardiva più interrogarlo. Gesù, insegnando nel tempio, prese a dire: “Come mai gli scribi dicono che il Cristo è Figlio di Davide? Davide stesso ha detto, per lo Spirito Santo: ‘Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi’. Davide stesso lo chiama Signore, dunque come può essere suo figlio?”. E la folla numerosa lo ascoltava con piacere. Nel suo insegnamento egli diceva: “Guardatevi dagli scribi, i quali amano passeggiare in lunghe vesti, essere salutati nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti, essi, che divorano le case delle vedove e fanno lunghe preghiere per apparenza. Costoro riceveranno una condanna maggiore”. Postosi a sedere di fronte alla cassa delle offerte, [Gesù] stava guardando come la gente gettava denaro nella cassa; e molti ricchi ne gettavano assai. Venuta una povera vedova, vi gettò due spiccioli che fanno un quarto di soldo. E Gesù, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: “In verità io vi dico che questa povera vedova ha gettato nella cassa delle offerte più di tutti gli altri, poiché tutti vi hanno gettato del superfluo, ma lei, nella sua povertà, vi ha messo tutto ciò che possedeva, tutto quanto aveva per vivere”. Mentre egli usciva dal tempio uno dei suoi discepoli gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che edifici!”. E Gesù gli disse: “Vedi questi grandi edifici? Non sarà lasciata pietra sopra pietra che non sia diroccata”. Poi, sedendo sul monte degli Ulivi di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea gli domandarono in disparte: “Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno del tempo in cui tutte queste cose staranno per compiersi?”. Gesù iniziò a dir loro: “Guardate che nessuno vi seduca! Molti verranno nel mio nome, dicendo: ‘Sono io’ e ne sedurranno molti. Quando udrete guerre e rumori di guerre, non vi turbate; è necessario che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine. Poiché si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno: vi saranno terremoti in vari luoghi; vi saranno carestie. Questo non sarà che un principio di dolori. Badate a voi stessi! Vi daranno in mano dei tribunali, sarete battuti nelle sinagoghe e sarete fatti comparire davanti a governatori e re, per causa mia, affinché ciò serva loro di testimonianza. E prima è necessario che fra tutte le genti sia predicato l’evangelo. Quando vi condurranno per mettervi nelle loro mani, non preoccupatevi in anticipo di ciò che direte, ma dite quello che vi sarà dato in quell’ora; perché non siete voi che parlate, ma lo Spirito Santo. Il fratello darà il fratello alla morte, il padre darà il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvato. Quando poi vedrete l’abominazione della desolazion e posta là dove non deve stare (chi legge faccia attenzione), allora quelli che saranno nella Giudea fuggano ai monti; chi sarà sulla terrazza non scenda e non entri in casa sua per prendere qualcosa e chi sarà nel campo non torni indietro a prendere la sua veste. Guai alle donne che saranno incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni! E pregate che ciò non avvenga d’inverno! Poiché quelli saranno giorni di tale tribolazione, che non ce n’è stata una uguale dal principio del mondo che Dio ha creato, fino ad ora, né mai più vi sarà. Se il Signore non avesse abbreviato quei giorni, nessuno scamperebbe ma, a causa dei suoi eletti, egli ha abbreviato quei giorni. E allora, se qualcuno vi dice: ‘Il Cristo eccolo qui, eccolo là’, non lo credete, perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti. Ma voi, state attenti; io vi ho predetto ogni cosa. Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà il suo splendore; le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno scrollate. E allora si vedrà il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole con gran potenza e gloria. Ed egli allora manderà gli angeli e raccoglierà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremo della terra all’estremo del cielo. Ora imparate dal fico questa similitudine: quando già i suoi rami si fanno teneri e mettono le foglie, voi sapete che l’estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete avvenire queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. In verità io vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno li sa, neppure gli angeli nel cielo, né il Figlio, ma soltanto il Padre. State in guardia, vegliate, poiché non sapete quando sarà quel tempo. È come un uomo che si è messo in viaggio, dopo aver lasciato la sua casa, dandone la responsabilità ai suoi servi, a ciascuno il proprio compito, e comandando al portinaio di vegliare. Vegliate dunque perché non sapete quando viene il padrone di casa: se a sera, a mezzanotte o al cantare del gallo la mattina, perché, venendo egli all’improvviso, non vi trovi addormentati. Ora, quel che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate”. Ora, due giorni dopo, era la Pasqua e gli Azzimi; i capi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di prendere Gesù con l’inganno e ucciderlo, perché dicevano: “Non lo facciamo durante la festa, perché non vi sia qualche tumulto di popolo”. Essendo Gesù a Betania, in casa di Simone il lebbroso, mentre era a tavola, venne una donna che aveva un vaso di alabastro pieno di olio profumato di nardo puro, di gran valore e, rotto l’alabastro, glielo versò sul capo. Alcuni, indignatisi, dicevano fra loro: “Perché si è fatto questo spreco d’olio? Quest’olio si sarebbe potuto vendere più di trecento denari e darli ai poveri”. E fremevano contro di lei. Ma Gesù disse: “Lasciatela stare! Perché le date noia? Lei ha fatto un’azione buona verso di me. Poiché i poveri li avete sempre con voi e, quando volete, potete fare loro del bene, ma me non mi avete sempre. Lei ha fatto ciò che poteva; ha anticipato l’unzione del mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato l’evangelo, anche quello che costei ha fatto sarà raccontato, in memoria di lei”. Allora Giuda Iscariota, uno dei dodici, andò dai capi sacerdoti per darglielo nelle mani. Essi, uditolo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava il modo opportuno per tradirlo. Il primo giorno degli Azzimi, quando si sacrificava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo ad apparecchiarti per mangiare la Pasqua?”. Egli mandò due dei suoi discepoli e disse loro: “Andate nella città, e vi verrà incontro un uomo che porterà una brocca d’acqua; seguitelo e, dove sarà entrato, dite al padrone di casa: ‘Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza da mangiarvi la Pasqua con i miei discepoli?’. Egli vi mostrerà di sopra una grande sala ammobiliata e pronta; lì apparecchiate per noi”. I discepoli andarono, giunsero nella città e trovarono come egli aveva detto loro, e apparecchiarono per la Pasqua. Quando fu sera Gesù venne con i dodici. Mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: “In verità io vi dico che uno di voi, il quale mangia con me, mi tradirà”. Essi cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno a uno: “Sono forse io?”. Ed egli disse loro: “È uno dei dodici, che intinge con me nel piatto. Certo il Figlio dell’uomo se ne va, com’è scritto di lui, ma guai a quell’uomo per cui il Figlio dell’uomo è tradito! Sarebbe stato meglio per quell’uomo non essere nato!”. E mentre mangiavano, Gesù prese del pane; fatta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi, preso il calice e rese grazie, lo diede loro e tutti ne bevvero. E disse loro: “Questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti. In verità io vi dico che non berrò più del frutto della vigna fino a quel giorno che lo berrò nuovo nel regno di Dio”. Dopo che ebbero cantato l’inno, uscirono per andare al monte degli Ulivi. E Gesù disse loro: “Voi tutti sarete scandalizzati, perché è scritto: ‘Io percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse’. Ma dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea”. Ma Pietro gli disse: “Quand’anche tutti fossero scandalizzati, io però non lo sarò”. E Gesù gli disse: “In verità io ti dico che tu, oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo abbia cantato due volte, mi rinnegherai tre volte”. Ma egli diceva più fermamente: “Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò”. E lo stesso dicevano pure tutti gli altri. Poi si recarono in un podere detto Getsemani ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedete qui finché io abbia pregato”. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a essere spaventato e angosciato. E disse loro: “L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate”. Andato un po’ più avanti, si gettò a terra; e pregava che, se fosse possibile, quell’ora passasse oltre da lui. E diceva: “Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Ma pure, non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi”. Poi venne, li trovò che dormivano, e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei stato capace di vegliare un’ora sola? Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. E di nuovo andò e pregò, dicendo le medesime parole. E tornato di nuovo, li trovò che dormivano perché gli occhi loro erano appesantiti e non sapevano che rispondergli. Venne la terza volta e disse loro: “Dormite pure ormai e riposatevi! Basta! L’ora è venuta: ecco, il Figlio dell’uomo è dato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è vicino”. In quell’istante, mentre egli parlava ancora, arrivò Giuda, uno dei dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, da parte dei capi sacerdoti, degli scribi e degli anziani. Colui che lo tradiva aveva dato loro un segnale, dicendo: “Colui che bacerò è lui; prendetelo e portatelo via sicuramente”. Appena fu giunto, subito si accostò a lui e gli disse: “Maestro!”, e lo baciò. Allora quelli gli misero le mani addosso e lo presero. Ma uno di quelli presenti, estratta la spada, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l’orecchio. E Gesù, rivolto a loro, disse: “Voi siete usciti con spade e bastoni come per prendere un brigante. Ogni giorno ero fra di voi insegnando nel tempio e non mi avete preso, ma ciò è avvenuto, affinché le Scritture fossero adempiute”. E tutti, lasciatolo, se ne fuggirono. Un certo giovane lo seguiva, avvolto solo in un panno di lino e lo presero, ma egli, lasciando andare il panno di lino, se ne fuggì nudo. Condussero Gesù dal sommo sacerdote; e si radunarono tutti i capi sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro la corte del sommo sacerdote, dove stava a sedere con le guardie e si scaldava al fuoco. I capi sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano qualche testimonianza contro Gesù per farlo morire e non ne trovavano. Poiché molti deponevano il falso contro di lui, ma le testimonianze non erano concordi. E alcuni si alzarono e testimoniarono falsamente contro di lui, dicendo: “Noi lo abbiamo udito che diceva: ‘Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne riedificherò un altro, che non sarà fatto da mani d’uomo’”. Ma neppure così la loro testimonianza era concorde. Allora il sommo sacerdote, alzatosi in piedi nel mezzo, domandò a Gesù: “Non rispondi nulla? Che testimoniano costoro contro di te?”. Ma egli tacque e non rispose nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò e gli disse: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?”. E Gesù disse: “Sì, lo sono: vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nuvole del cielo”. Allora il sommo sacerdote, stracciatesi le vesti, disse: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Voi avete udito la bestemmia. Che ve ne pare?”. Tutti lo condannarono come reo di morte. Alcuni iniziarono a sputargli addosso, a coprirgli la faccia, a dargli dei pugni e a dirgli: “Indovina, profeta!”. E le guardie presero a schiaffeggiarlo. Essendo Pietro giù nella corte, venne una delle serve del sommo sacerdote; visto Pietro che si scaldava, lo riguardò in viso e disse: “Anche tu eri con Gesù Nazareno”. Ma egli lo negò, dicendo: “Io non so né capisco quello che dici”. Poi uscì fuori nell’atrio e il gallo cantò. E la serva, vedutolo, cominciò di nuovo a dire a quelli che erano lì presenti: “Costui è di quelli”. Ma egli lo negò ancora. E di nuovo, di lì a poco, quelli che erano lì dicevano a Pietro: “Sicuramente tu sei di quelli, anche perché sei galileo”. Ma egli iniziò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo che voi dite”. E subito per la seconda volta, il gallo cantò. Allora Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: “Prima che il gallo abbia cantato due volte, tu mi rinnegherai tre volte”. E a questo pensiero si mise a piangere. Al mattino presto i capi sacerdoti con gli anziani, gli scribi e tutto il Sinedrio, tenuto consiglio, legarono Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. E Pilato gli domandò: “Sei tu il re dei Giudei?”. Egli, rispondendo, gli disse: “Tu lo dici”. I capi sacerdoti lo accusavano di molte cose; e Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!”. Ma Gesù non rispose più nulla e Pilato se ne meravigliava. Ogni festa di Pasqua Pilato liberava loro un carcerato, qualunque chiedessero. C’era allora in prigione un tale chiamato Barabba, insieme a dei rivoltosi, i quali, nell’insurrezione, avevano commesso omicidio. La folla, dopo essere salita da Pilato, cominciò a chiedergli che facesse come sempre aveva loro fatto. E Pilato rispose loro: “Volete che io vi liberi il Re dei Giudei?”. Poiché capiva bene che i capi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi sacerdoti incitarono la folla a chiedere che piuttosto liberasse loro Barabba. Pilato, replicando, disse loro di nuovo: “Che volete dunque che io faccia di colui che voi chiamate il Re dei Giudei?”. Ed essi di nuovo gridarono: “Crocifiggilo!”. E Pilato diceva loro: “Ma che male ha fatto?”. Ma essi gridarono più forte che mai: “Crocifiggilo!”. E Pilato, volendo soddisfare la folla, liberò loro Barabba e, dopo averlo flagellato, consegnò Gesù per essere crocifisso. Allora i soldati lo condussero dentro la corte che è il Pretorio, e radunarono tutta la coorte. Lo vestirono di porpora e, intrecciata una corona di spine, gliela misero intorno al capo e cominciarono a salutarlo: “Salve, Re dei Giudei!”. E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, postisi in ginocchio, si prostravano davanti a lui. Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora, lo rivestirono delle sue vesti e lo condussero fuori per crocifiggerlo. Costrinsero a portare la sua croce un certo Simone, un Cireneo, padre di Alessandro e di Rufo, il quale passava di là, tornando dai campi. E condussero Gesù al luogo detto Golgota, che interpretato vuol dire “luogo del teschio”. Gli offrirono da bere del vino mescolato con mirra, ma non ne prese. Poi lo crocifissero e si spartirono le sue vesti, tirandole a sorte per sapere quel che ne toccherebbe a ciascuno. Era l’ora terza quando lo crocifissero. L’iscrizione indicante il motivo della condanna diceva: “Il Re dei Giudei”. Con lui crocifissero due ladroni, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. [E si adempì la Scrittura che dice: “Egli è stato annoverato fra i trasgressori”.] Quelli che passavano lì vicino lo ingiuriavano, scuotendo il capo e dicendo: “Eh, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso e scendi giù dalla croce!”. Allo stesso modo anche i capi sacerdoti con gli scribi, beffandosi, dicevano l’uno all’altro: “Ha salvato altri e non può salvare sé stesso! Il Cristo, il Re d’Israele, scenda ora giù di croce, affinché vediamo e crediamo!”. Anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Venuta l’ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all’ora nona. E all’ora nona, Gesù gridò con gran voce: “Eloì, Eloì, lamà sabactáni?”, che, interpretato, vuol dire: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: “Ecco, chiama Elia!”. Uno di loro corse e, inzuppata d’aceto una spugna, e postala in cima a una canna, gli diede da bere, dicendo: “Aspettate, vediamo se Elia viene a tirarlo giù”. Gesù, levato un gran grido, rese lo spirito. E la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. E il centurione che era lì presente di fronte a Gesù, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”. Vi erano anche delle donne, che guardavano da lontano, fra le quali c’erano Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo il piccolo e di Iose, e Salome, le quali, quando egli era in Galilea, lo seguivano e lo servivano; e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. Essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato), venne Giuseppe d’Arimatea, consigliere onorato, il quale anche lui aspettava il Regno di Dio e, fattosi coraggio, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo e, dopo la conferma dal centurione, donò il corpo a Giuseppe. Questi, comprato un lenzuolo e tratto Gesù giù dalla croce, lo avvolse nel panno, lo pose in una tomba scavata nella roccia e rotolò una pietra contro l’apertura del sepolcro. E Maria Maddalena e Maria madre di Iose stavano a guardare dove veniva deposto. Passato il sabato, Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo, e Salome comprarono degli aromi per andare a ungere Gesù. La mattina del primo giorno della settimana, molto presto, vennero al sepolcro al sorgere del sole. E dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà la pietra dall’apertura del sepolcro?”. Ma, alzàti gli occhi, videro che la pietra era stata rotolata ed era pure molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto a destra, vestito di una veste bianca, e furono spaventate. Ma egli disse loro: “Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; egli è risuscitato, non è qui; ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi ha detto”. Esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro, perché erano prese da tremito e da stupore, e non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura. [ Ora Gesù, essendo risuscitato la mattina del primo giorno della settimana, apparve prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a coloro che erano stati con lui, i quali facevano cordoglio e piangevano. Ed essi, udito che egli viveva ed era stato visto da lei, non lo credettero. Dopo questo, apparve in modo diverso a due di loro che erano in cammino per andare ai campi; questi andarono ad annunciarlo agli altri; ma neppure a quelli credettero. Poi apparve agli undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò della loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che l’avevano visto risuscitato. E disse loro: “Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato, ma chi non avrà creduto sarà condannato. Questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: nel nome mio scacceranno i demòni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti e, anche se bevessero qualcosa di mortifero, non ne avranno alcun male; imporranno le mani ai malati ed essi guariranno”. Il Signore Gesù dunque, dopo aver loro parlato, fu assunto nel cielo e sedette alla destra di Dio. E quelli se ne andarono a predicare dappertutto, mentre il Signore operava con loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano.] Poiché molti hanno intrapreso a ordinare una narrazione dei fatti che si sono compiuti tra noi, come ce li hanno tramandati quelli che da principio ne furono testimoni oculari e che divennero ministri della Parola, è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa dall’origine, di scrivertene per ordine, o eccellentissimo Teofilo, affinché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate. Al tempo di Erode, re della Giudea, c’era un certo sacerdote di nome Zaccaria, del turno di Abiia; sua moglie era discendente di Aaronne e si chiamava Elisabetta. Erano entrambi giusti davanti a Dio, camminando irreprensibili in tutti i comandamenti e precetti del Signore. E non avevano figli, perché Elisabetta era sterile, ed erano entrambi in età avanzata. Mentre Zaccaria esercitava il sacerdozio davanti a Dio nell’ordine del suo turno, secondo la consuetudine del sacerdozio, gli toccò in sorte di entrare nel tempio del Signore per offrirvi il profumo; e tutta la moltitudine del popolo stava fuori in preghiera nell’ora del profumo. E gli apparve un angelo del Signore, in piedi alla destra dell’altare dei profumi. Zaccaria, vedutolo, fu turbato e preso da spavento. Ma l’angelo gli disse: “Non temere, Zaccaria, perché la tua preghiera è stata esaudita, tua moglie Elisabetta ti partorirà un figlio, al quale porrai nome Giovanni. Tu ne avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno per la sua nascita. Poiché sarà grande davanti al Signore; non berrà né vino né bevande alcoliche, sarà ripieno dello Spirito Santo fin dal grembo di sua madre e convertirà molti dei figli di Israele al Signore Dio loro; andrà davanti a lui con lo spirito e con la potenza di Elia, per volgere i cuori dei padri ai figli e i ribelli alla saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto”. E Zaccaria disse all’angelo: “Da che cosa conoscerò questo? Perché io sono vecchio e mia moglie è avanti nell’età”. E l’angelo, rispondendo, gli disse: “Io sono Gabriele, che sto davanti a Dio; e sono stato mandato a parlarti e recarti questa buona notizia. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole che si adempiranno a suo tempo”. Il popolo intanto stava aspettando Zaccaria e si meravigliava che indugiasse tanto nel tempio. Ma, quando fu uscito, non poteva parlare loro e capirono che aveva avuto una visione nel tempio; ed egli faceva loro dei segni e rimase muto. Quando furono compiuti i giorni del suo servizio, egli se ne andò a casa sua. Ora, dopo quei giorni, sua moglie Elisabetta rimase incinta e si tenne nascosta per cinque mesi, dicendo: “Ecco quel che il Signore ha fatto per me nei giorni in cui ha rivolto a me lo sguardo per cancellare la mia vergogna in mezzo agli uomini”. Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, detta Nazaret, a una vergine fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrato da lei, disse: “Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è con te”. Ed ella fu turbata a questa parola e si domandava che cosa volesse dire un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande, e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre; egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine”. E Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. L’angelo, rispondendo, le disse: “Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra, perciò anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia e questo è il sesto mese per lei, che era chiamata sterile, poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace”. Maria disse: “Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta nella regione montuosa, in una città di Giuda, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le sobbalzò nel grembo; ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo e a gran voce esclamò: “Benedetta sei tu fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno! Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, il bambino mi è balzato nel grembo per la gioia. Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento”. E Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore, e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore, poiché egli ha riguardato alla bassezza della sua serva. Da ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata, poiché il Potente mi ha fatto grandi cose. Santo è il suo nome e la sua misericordia è di età in età per quelli che lo temono. Egli ha operato potentemente con il suo braccio ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore; ha detronizzato i potenti e ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della misericordia di cui aveva parlato ai nostri padri, verso Abraamo e verso la sua discendenza per sempre”. Maria rimase con Elisabetta circa tre mesi, poi se ne tornò a casa sua. Compiutosi per Elisabetta il tempo di partorire, diede alla luce un figlio. I suoi vicini e i parenti udirono che il Signore aveva usato grande misericordia nei suoi confronti e se ne rallegravano con lei. Ed ecco che nell’ottavo giorno vennero a circoncidere il bambino e lo chiamavano Zaccaria dal nome di suo padre. Allora sua madre prese a parlare e disse: “No, sarà invece chiamato Giovanni”. Ed essi le dissero: “Non c’è nessuno nella tua parentela che porti questo nome”. E con dei cenni domandavano al padre come voleva che fosse chiamato. Ed egli, chiesta una tavoletta, scrisse così: “Il suo nome è Giovanni”. E tutti si meravigliarono. In quell’istante la sua bocca fu aperta e la sua lingua sciolta ed egli parlava benedicendo Dio. Allora tutti i loro vicini furono presi da timore; e tutte queste cose si divulgavano per tutta la regione montuosa della Giudea. Tutti quelli che le udirono, le serbarono in cuor loro e dicevano: “Che sarà mai questo bambino?”. Perché la mano del Signore era con lui. E Zaccaria, suo padre, fu ripieno dello Spirito Santo, e profetizzò dicendo: “Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un potente salvatore nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso da tempo per bocca dei suoi profeti, uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano. Egli usa così misericordia verso i nostri padri e si ricorda del suo santo patto, del giuramento che fece ad Abraamo nostro padre, al fine di concederci che, liberati dalla mano dei nostri nemici, lo servissimo senza paura, in santità e giustizia, alla sua presenza, tutti i giorni della nostra vita. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai davanti al Signore per preparare le sue vie, per dare al suo popolo conoscenza della salvezza mediante il perdono dei loro peccati, grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio, per le quali l’Aurora dall’alto ci visiterà per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi verso la via della pace”. Ora il bambino cresceva e si fortificava nello spirito; e stette nei deserti fino al giorno in cui doveva manifestarsi a Israele. In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l’impero. Questo censimento fu il primo fatto mentre Quirinio governava la Siria. Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città. Anche Giuseppe salì in Giudea dalla Galilea, dalla città di Nazaret, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e della famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria sua sposa che era incinta. Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito; lo fasciò e lo pose a giacere in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. In quella stessa regione c’erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge. E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro e furono presi da gran timore. E l’angelo disse loro: “Non temete, perché ecco, vi reco la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: ‘Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino fasciato e coricato in una mangiatoia’”. E a un tratto vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nei luoghi altissimi, pace in terra fra gli uomini che egli gradisce!”. Quando gli angeli se ne furono andati da verso il cielo, i pastori presero a dire tra loro: “Passiamo fino a Betlemme e vediamo questo che è avvenuto e che il Signore ci ha fatto sapere”. Andarono in fretta e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia e, vedutolo, divulgarono ciò che era loro stato detto di quel bambino. E tutti quelli che li udirono si meravigliarono delle cose dette loro dai pastori. Maria serbava in sé tutte quelle cose, meditandole in cuor suo. E i pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato loro annunciato. Quando furono compiuti gli otto giorni dopo i quali egli doveva essere circonciso, gli fu posto il nome Gesù, che gli era stato dato dall’angelo prima che egli fosse concepito. Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, com’è scritto nella legge del Signore: “ Ogni maschio primogenito sarà chiamato santo al Signore ”, e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani piccioni. Vi era a Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest’uomo era giusto e timorato di Dio e aspettava la consolazione d’Israele; lo Spirito Santo era sopra lui e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non avrebbe visto la morte prima di aver visto il Cristo del Signore. Ed egli, mosso dallo Spirito, andò al tempio e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, se lo prese anch’egli nelle braccia, benedisse Dio e disse: “Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola, perché gli occhi miei hanno visto la tua salvezza, che hai preparato dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che dicevano di lui. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: “Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione (e a te stessa una spada trapasserà l’anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati”. Vi era anche Anna, profetessa, figlia di Fanuel, della tribù di Aser, la quale era di età avanzata. Dopo essere vissuta con il marito sette anni dalla sua verginità, era rimasta vedova e aveva raggiunto gli ottantaquattro anni. Ella non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quella stessa ora, lodava anch’ella Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto tutte le prescrizioni della legge del Signore, tornarono in Galilea, a Nazaret, loro città. Il bambino cresceva e si fortificava, essendo ripieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra lui. I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli fu giunto ai dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l’usanza della festa; passati i giorni della festa, come se ne tornavano, il fanciullo Gesù rimase in Gerusalemme all’insaputa dei genitori, i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo fra i parenti e i conoscenti e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme alla sua ricerca. Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, che li ascoltava e faceva loro delle domande; tutti quelli che lo udivano stupivano del suo senno e delle sue risposte. Vedutolo, sbigottirono; e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena”. Ed egli disse loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?”. Ed essi non compresero la parola che egli aveva detto loro. Poi discese con loro, andò a Nazaret e stava loro sottomesso; e sua madre serbava tutte queste cose in cuor suo. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini. Nel quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare, essendo Ponzio Pilato governatore della Giudea, ed Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caiafa, la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutta la regione intorno al Giordano, predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati, come sta scritto nel libro delle parole del profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto: ‘Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni valle sarà colmata e ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose saranno fatte dritte e le accidentate saranno appianate; e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio’”. Giovanni dunque diceva alle folle che andavano per essere battezzate da lui: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire dall’ira a venire? Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento e non vi mettete a dire in voi stessi: ‘Noi abbiamo Abraamo per padre!’. Perché vi dico che Dio da queste pietre può far sorgere dei figli ad Abraamo. Ormai è anche posta la scure alla radice degli alberi; ogni albero dunque che non fa buon frutto, viene tagliato e gettato nel fuoco”. E la folla lo interrogava, dicendo: “E allora, che dobbiamo fare?”. Egli rispondeva loro: “Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Vennero anche dei pubblicani per essere battezzati, e gli dissero: “Maestro, che dobbiamo fare?”. Ed egli rispose loro: “Non riscuotete nulla di più di quello che vi è ordinato”. Lo interrogarono pure dei soldati, dicendo: “E noi, che dobbiamo fare?”. Ed egli a loro: “Non fate estorsioni, né opprimete nessuno con false denunce e accontentatevi della vostra paga”. Ora il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro se Giovanni fosse il Cristo; Giovanni rispose, dicendo a tutti: “Io vi battezzo in acqua, ma viene colui che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il suo ventilabro per pulire interamente la sua aia e raccogliere il grano nel suo granaio, ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile”. Così, con molte e varie esortazioni, evangelizzava il popolo, ma Erode, il tetrarca, essendo da lui ripreso riguardo a Erodiade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che egli aveva commesso, aggiunse a tutte le altre anche questa: rinchiuse Giovanni in prigione. Ora, mentre tutto il popolo si faceva battezzare, anche Gesù fu battezzato e, mentre stava pregando, si aprì il cielo, e lo Spirito Santo scese su di lui in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto”. Quando Gesù cominciò a insegnare, aveva circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, di Eli, di Mattàt, di Levi, di Melchi, di Iannài, di Giuseppe, di Mattatia, di Amos, di Naum, di Esli, di Naggai, di Maat, di Mattatia, di Semèin, di Iosec, di Ioda, di Ioanan, di Resa, di Zorobabele, di Sealtiel, di Neri, di Melchi, di Addi, di Cosam, di Elmadàm, di Er, di Gesù, di Eliezer, di Iorim, di Mattàt, di Levi, di Simeone, di Giuda, di Giuseppe, di Ionam, di Eliachim, di Melea, di Menna, di Mattata, di Natan, di Davide, di Isai, di Obed, di Boaz, di Sala, di Nason, di Amminadab, di Admin, di Arni, di Chesron, di Perez, di Giuda, di Giacobbe, di Isacco, di Abraamo, di Tara, di Naor, di Serug, di Reu, di Peleg, di Eber, di Sela, di Cainan, di Arpacsad, di Sem, di Noè, di Lamec, di Metusela, di Enoc, di Iared, di Maalaleel, di Cainan, di Enos, di Set, di Adamo, di Dio. Gesù, ripieno dello Spirito Santo, se ne ritornò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni ed era tentato dal diavolo. Durante quei giorni non mangiò nulla e, dopo che quelli furono trascorsi, ebbe fame. E il diavolo gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane”. E Gesù gli rispose: “Sta scritto: ‘Non di pane soltanto vivrà l’uomo’ ”. Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un attimo tutti i regni del mondo e gli disse: “Ti darò tutta quanta questa potenza e la gloria di questi regni, perché essa mi è stata data e la do a chi voglio. Se dunque ti prostri ad adorarmi, sarà tutta tua”. E Gesù, rispondendo, gli disse: “Sta scritto: ‘ Adora il Signore Dio tuo, e a lui solo rendi il tuo culto ’”. Allora lo portò a Gerusalemme e lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui, perché sta scritto: ‘Egli ordinerà ai suoi angeli intorno a te, che ti proteggano; ed essi ti porteranno sulle mani, perché tu non urti con il piede contro una pietra’ ”. Gesù, rispondendo, gli disse: “È stato detto: ‘ Non tentare il Signore Dio tuo ’”. E il diavolo, finita ogni sorta di tentazione, si allontanò da lui fino ad altra occasione. Gesù, nella potenza dello Spirito, se ne tornò in Galilea e la sua fama si sparse per tutta la regione circostante. E insegnava nelle loro sinagoghe, glorificato da tutti. Andò a Nazaret, dove era stato allevato e, com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga; alzatosi per leggere, gli fu dato il libro del profeta Isaia e, aperto il libro, trovò quel passo dov’era scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra me; per questo egli mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunciare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il recupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a predicare l’anno accettevole del Signore”. Poi, chiuso il libro e resolo all’inserviente, si pose a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. Ed egli iniziò a dire loro: “Oggi si è adempiuta questa scrittura e voi la udite”. Tutti gli rendevano testimonianza, si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. Ed egli disse loro: “Certo, voi mi citerete questo proverbio: ‘Medico, cura te stesso; fa’ anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!’”. Ma egli disse: “In verità vi dico che nessun profeta è ben accetto nella sua patria. Anzi, vi dico in verità che ai giorni d’Elia, quando il cielo fu serrato per tre anni e sei mesi e vi fu gran carestia in tutto il paese, c’erano molte vedove in Israele, eppure a nessuna di esse fu mandato Elia, ma fu mandato a una vedova in Sarepta di Sidone. E al tempo del profeta Eliseo c’erano molti lebbrosi in Israele, eppure nessuno di loro fu purificato, ma lo fu Naaman il Siro”. Tutti, nella sinagoga, furono ripieni d’ira all’udire queste cose. Si alzarono, lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era fabbricata la loro città, per precipitarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò. E scese a Capernaum città di Galilea; e qui insegnava alla gente nei giorni di sabato. Ed essi stupivano della sua dottrina perché parlava con autorità. Ora nella sinagoga si trovava un uomo posseduto da uno spirito di demonio immondo, il quale gridò con gran voce: “Ah! Che c’è fra noi e te, o Gesù Nazareno? Sei tu venuto per mandarci in perdizione? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!”. E Gesù lo sgridò, dicendo: “Sta’ zitto ed esci da quest’uomo!”. E il demonio, gettatolo a terra in mezzo alla gente, uscì da lui senza fargli alcun male. E tutti furono presi da stupore e ragionavano fra loro, dicendo: “Che parola è questa? Egli comanda con autorità e potenza agli spiriti immondi ed essi escono”. E la sua fama si divulgò in ogni luogo della regione. Poi, alzatosi e uscito dalla sinagoga, entrò in casa di Simone. Ora la suocera di Simone era travagliata da una gran febbre e lo pregarono per lei. Egli, chinatosi verso di lei, sgridò la febbre, la febbre la lasciò ed ella, alzatasi subito, si mise a servirli. Al tramontare del sole, tutti quelli che avevano degli infermi di varie malattie li conducevano a lui ed egli li guariva, imponendo le mani a ciascuno. Anche i demòni uscivano da molti gridando, e dicendo: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Ma egli li sgridava e non permetteva loro di parlare, perché sapevano che egli era il Cristo. Poi, fattosi giorno, uscì e andò in un luogo deserto; e le folle lo cercavano e, giunte fino a lui, lo trattenevano perché non si allontanasse da loro. Ma egli disse loro: “Bisogna che io proclami la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città, poiché per questo sono stato mandato”. E andava predicando per le sinagoghe della Galilea. Avvenne che, mentre egli stava in piedi sulla riva del lago di Gennesaret e la folla lo stringeva da ogni parte per udire la parola di Dio, vide due barche ferme a riva, dalle quali erano smontati i pescatori e lavavano le reti. E montato in una di quelle barche che era di Simone, lo pregò di scostarsi un po’ da terra; poi, sedutosi sulla barca, insegnava alla folla. Com’ebbe cessato di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per pescare”. Simone, rispondendo, gli disse: “Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla, però, alla tua parola, calerò le reti”. E, fatto così, presero una tale quantità di pesci che le reti si rompevano. Allora fecero segno ai loro compagni dell’altra barca, di venire ad aiutarli. Quelli vennero e riempirono tutte e due le barche, tanto che affondavano. Simon Pietro, visto ciò, si gettò ai ginocchi di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Poiché spavento aveva preso lui e tutti quelli che erano con lui, per la quantità di pesci che avevano preso; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Ma Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Ed essi, tratte le barche a terra, lasciarono ogni cosa e lo seguirono. Mentre egli si trovava in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, visto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò, dicendo: “Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi”. Ed egli, stesa la mano, lo toccò, dicendo: “Lo voglio, sii purificato”. E in quell’istante la lebbra sparì da lui. Poi Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: “Ma va’”, gli disse, “mostrati al sacerdote e offri per la tua purificazione ciò che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza”. Però la sua fama si spandeva sempre più; moltissima gente si radunava per udirlo ed essere guarita dalle sue infermità. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava. Un giorno Gesù stava insegnando e c’erano, là seduti, dei farisei e dei dottori della legge, venuti da tutte le borgate della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme; e la potenza del Signore era con lui per compiere delle guarigioni. Ed ecco degli uomini che portavano sopra un letto un paralitico, e cercavano di portarlo dentro e di metterlo davanti a lui. Non trovando modo di introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e, fatta un’apertura fra le tegole, lo calarono giù con il suo lettuccio, in mezzo alla gente, davanti a Gesù. Ed egli, veduta la loro fede, disse: “O uomo, i tuoi peccati ti sono perdonati”. Allora gli scribi e i farisei cominciarono a ragionare, dicendo: “Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può perdonare i peccati se non Dio solo?”. Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, disse loro: “Di che ragionate nel vostro cuore? Che cosa è più facile dire: ‘I tuoi peccati ti sono perdonati’, oppure dire: ‘Àlzati e cammina’? Ora, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati, io ti dico”, disse al paralitico, “àlzati, prendi il tuo lettuccio e vattene a casa tua”. E in quell’istante si alzò in loro presenza, prese ciò su cui giaceva e se ne andò a casa sua, glorificando Dio. Tutti furono presi da stupore e glorificavano Dio e, pieni di spavento, dicevano: “Oggi abbiamo visto cose meravigliose”. Dopo queste cose, egli uscì e notò un pubblicano, di nome Levi, che sedeva al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli, lasciata ogni cosa, si alzò e si mise a seguirlo. Levi gli fece un grande banchetto in casa sua; c’era gran folla di pubblicani e di altri che erano a tavola con loro. I farisei e i loro scribi mormoravano contro i discepoli di Gesù, dicendo: “Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?”. E Gesù, rispondendo, disse loro: “I sani non hanno bisogno del medico, bensì i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori a ravvedimento”. Essi gli dissero: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e pregano, così pure i discepoli dei farisei, mentre i tuoi mangiano e bevono”. Gesù disse loro: “Potete voi far digiunare gli amici dello sposo, mentre lo sposo è con loro? Ma verranno i giorni per questo e, quando lo sposo sarà loro tolto, allora, in quei giorni, digiuneranno”. Disse loro anche una parabola: “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo a un vestito vecchio, altrimenti strappa il nuovo e il pezzo tolto dal nuovo non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino nuovo rompe gli otri vecchi, si spande e gli otri vanno perduti. Ma il vino nuovo va messo in otri nuovi. E nessuno che abbia bevuto del vino vecchio, ne desidera del nuovo, perché dice: ‘Il vecchio è buono’”. Avvenne che in un giorno di sabato egli passava per i campi di grano; i suoi discepoli strappavano delle spighe e, sfregandole con le mani, mangiavano. E alcuni dei farisei dissero: “Perché fate quello che non è lecito nel giorno del sabato?”. Gesù, rispondendo, disse loro: “Non avete letto neppure quel che fece Davide, quand’ebbe fame, egli e coloro che erano con lui? Com’entrò nella casa di Dio, e prese i pani di presentazione, ne mangiò e ne diede anche a coloro che erano con lui, benché non sia lecito mangiarne se non ai soli sacerdoti?”. E diceva loro: “Il Figlio dell’uomo è Signore del sabato”. Avvenne che in un giorno di sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era lì un uomo che aveva la mano destra secca. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se avrebbe fatto una guarigione in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. Ma egli conosceva i loro pensieri, e disse all’uomo che aveva la mano secca: “Àlzati, e mettiti nel mezzo!”. Ed egli, alzatosi, stette su. Poi Gesù disse loro: “Io vi domando: è lecito, in giorno di sabato, fare del bene o fare del male? Salvare una persona o ucciderla?”. E, girato lo sguardo intorno su tutti loro, disse a quell’uomo: “Stendi la mano!”. Egli fece così, e la sua mano tornò sana. Ed essi furono ripieni di furore e discutevano fra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù. In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare, e passò la notte in preghiera a Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne elesse dodici, ai quali diede anche il nome di “apostoli”: Simone, detto anche Pietro, e suo fratello Andrea, Giacomo e Giovanni, Filippo e Bartolomeo, Matteo e Tommaso, Giacomo d’Alfeo e Simone chiamato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che divenne traditore. Sceso con loro, si fermò sopra una pianura, insieme con una gran folla dei suoi discepoli e gran quantità di popolo da tutta la Giudea e da Gerusalemme e dalla marina di Tiro e di Sidone, i quali erano venuti per udirlo e per essere guariti delle loro infermità. Quelli che erano tormentati da spiriti immondi erano guariti e tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una potenza che sanava tutti. Egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: “Beati voi che siete poveri, perché il Regno di Dio è vostro. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi scacceranno da loro, quando vi insulteranno e metteranno al bando il vostro nome come malvagio a motivo del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno e saltate di gioia perché, ecco, il vostro premio è grande nei cieli, poiché i loro padri facevano lo stesso ai profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che siete ora sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché i padri loro facevano lo stesso con i falsi profeti. Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano. A chi ti percuote su una guancia porgi anche l’altra e a chi ti toglie il mantello non impedire di prenderti anche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede e a chi ti toglie il tuo non glielo ridomandare. E come volete che gli uomini facciano a voi, fate anche a loro. Ma se amate quelli che vi amano, quale grazia ve ne viene? Poiché anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a quelli che vi fanno del bene, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a quelli dai quali sperate ricevere, quale grazia ne avete? Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto. Ma amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne alcunché e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, poiché egli è benigno verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato. Date e vi sarà dato: vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante, perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi”. Poi disse loro anche una parabola: “Un cieco può guidare un cieco? Non cadranno entrambi nella fossa? Un discepolo non è più grande del maestro, ma ogni discepolo perfetto sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? Come puoi dire a tuo fratello: ‘Fratello, lascia che io ti tolga la pagliuzza che hai nell’occhio’, mentre tu stesso non vedi la trave che è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dall’occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello. Non c’è infatti albero buono che faccia frutto cattivo, né c’è albero cattivo che faccia frutto buono; poiché ogni albero si riconosce dal suo proprio frutto, perché non si colgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva dal pruno. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene e l’uomo malvagio dal malvagio tesoro del suo cuore trae fuori il male, poiché dall’abbondanza del cuore parla la sua bocca”. “Perché mi chiamate: ‘Signore, Signore’ e non fate quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, io vi mostrerò a chi somiglia. Somiglia a un uomo il quale, edificando una casa, ha scavato e scavato profondo e ha posto il fondamento sulla roccia; e, venuta una piena, la fiumana ha investito quella casa e non ha potuto scrollarla perché era stata edificata bene. Ma chi ha udito e non ha messo in pratica somiglia a un uomo che ha edificato una casa sulla terra, senza fondamento; la fiumana l’ha investita, e subito è crollata e la rovina di quella casa è stata grande”. Dopo che egli ebbe finito tutti i suoi ragionamenti al popolo che l’ascoltava, entrò in Capernaum. Il servo di un certo centurione, che gli era molto caro, era malato e stava per morire; il centurione, avendo udito di Gesù, gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a salvare il suo servo. Ed essi, presentatisi a Gesù, lo pregavano con insistenza, dicendo: “Egli è degno che tu gli conceda questo, perché ama la nostra nazione ed è lui che ci ha edificato la sinagoga”. Gesù s’incamminò con loro e ormai non si trovava più molto lontano dalla casa, quando il centurione mandò degli amici a dirgli: “Signore, non ti dare questo incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, perciò non mi sono neppure reputato degno di venire da te, ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Poiché anch’io sono uomo sottoposto all’autorità altrui e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: ‘Va' ’ ed egli va; e a un altro: ‘Vieni’ ed egli viene; e al mio servo: ‘Fa' questo’ ed egli lo fa”. Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui e, rivoltosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una così gran fede!”. E quando gli inviati furono tornati a casa, trovarono il servo guarito. In seguito egli si avviò a una città chiamata Nain, e i suoi discepoli e una gran folla andavano con lui. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che si portava a seppellire un morto, figlio unico di sua madre, che era vedova, e molta gente della città era con lei. Il Signore, vedutala, ebbe pietà di lei e le disse: “Non piangere!”. E, accostatosi, toccò la bara; i portatori si fermarono ed egli disse: “Ragazzo, dico a te, àlzati!”. Il morto si alzò, si mise seduto e cominciò a parlare. E Gesù lo diede a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: “Un gran profeta è sorto fra noi” e: “Dio ha visitato il suo popolo”. E questo dire intorno a Gesù si sparse per tutta la Giudea e per tutto il paese circostante. I discepoli di Giovanni gli riferirono tutte queste cose. Ed egli, chiamati a sé due dei suoi discepoli, li mandò al Signore a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o ne aspetteremo noi un altro?”. E quelli, presentatisi a Gesù, gli dissero: “Giovanni il battista ci ha mandati da te a dirti: ‘Sei tu colui che deve venire o ne aspetteremo un altro?’”. In quella stessa ora, Gesù guarì molti da malattie, da infermità e da spiriti maligni, e a molti ciechi donò la vista. E, rispondendo, disse loro: “Andate a riferire a Giovanni quel che avete visto e udito: i ciechi recuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, l’evangelo è annunciato ai poveri. Beato colui che non si sarà scandalizzato di me!”. Quando gli inviati di Giovanni se ne furono andati, Gesù cominciò a parlare di Giovanni alla folla: “Che andaste a vedere nel deserto? Una canna dimenata dal vento? Ma che andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Ecco, quelli che portano degli abiti magnifici e vivono in delizie stanno nei palazzi dei re. Ma che andaste a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e uno più che profeta. Egli è colui del quale è scritto: ‘Ecco, io mando il mio messaggero davanti al tuo cospetto che preparerà la tua via davanti a te’. Io vi dico: Fra i nati di donna non ve n’è nessuno maggiore di Giovanni; però, il minimo nel regno di Dio è maggiore di lui. E tutto il popolo che l’ha udito, anche i pubblicani, hanno reso giustizia a Dio, facendosi battezzare del battesimo di Giovanni, ma i farisei e i dottori della legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il consiglio di Dio per loro. A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione? E a chi sono simili? Sono simili ai fanciulli che stanno a sedere in piazza, e gridano gli uni agli altri: ‘Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto’. Difatti è venuto Giovanni il battista. non mangiando pane né bevendo vino, e voi dite: ‘Ha un demonio’. È venuto il Figlio dell’uomo, mangiando e bevendo, e voi dite: ‘Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori!’. Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli”. Uno dei farisei gli chiese di mangiare da lui ed egli, entrato in casa del fariseo, si mise a tavola. Ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato; e, stando ai suoi piedi, di dietro, piangendo cominciò a rigargli di lacrime i piedi, e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l’olio. Il fariseo che lo aveva invitato, visto ciò, disse fra sé: “Costui, se fosse profeta, saprebbe chi e quale sia la donna che lo tocca, perché è una peccatrice”. E Gesù, rispondendo, gli disse: “Simone, ho qualcosa da dirti”. Ed egli: “Maestro, di’ pure”. “Un creditore aveva due debitori; l’uno gli doveva cinquecento denari e l’altro cinquanta. E non avendo essi di che pagare, condonò il debito a entrambi. Chi di loro dunque lo amerà di più?”. Simone, rispondendo, disse: “Suppongo sia colui al quale ha condonato di più”. Gesù gli disse: “Hai giudicato rettamente”. E, voltandosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Io sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato dell’acqua ai piedi, ma lei mi ha rigato i piedi di lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato alcun bacio, ma lei, da quando sono entrato, non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non mi hai unto il capo d’olio, ma lei mi ha unto i piedi di profumo. Perciò io ti dico: Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato, ma colui a cui poco è perdonato, poco ama”. Poi disse alla donna: “I tuoi peccati ti sono perdonati”. E quelli che erano a tavola con lui cominciarono a dire dentro di sé: “Chi è costui che perdona anche i peccati?”. Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace”. In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio; con lui erano i dodici e certe donne che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità: Maria, detta Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre che assistevano Gesù e i suoi con i loro beni. Ora come si riuniva gran folla e la gente di ogni città accorreva a lui, egli disse in parabola: “Il seminatore uscì a seminare la sua semenza; mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada, fu calpestato e gli uccelli del cielo lo mangiarono. Un’altra cadde sulla roccia e, come fu nato, seccò perché non aveva umidità. Un’altra cadde in mezzo alle spine e le spine, nate insieme con il seme, lo soffocarono. Un’altra parte cadde nella buona terra e, germogliata, fruttò il cento per uno”. Dicendo queste cose, esclamava: “Chi ha orecchi da udire, oda!”. I suoi discepoli gli domandarono che volesse dire questa parabola. Ed egli disse: “A voi è dato di conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri se ne parla in parabole, affinché vedendo non vedano, e udendo non intendano. Ora questo è il senso della parabola: il seme è la parola di Dio. Quelli lungo la strada sono coloro che hanno udito, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, affinché non credano e non siano salvati. Quelli sulla roccia sono coloro i quali, quando hanno udito la Parola, la ricevono con gioia, ma costoro non hanno radice, credono per un tempo e, quando viene la prova, si traggono indietro. E quello che è caduto fra le spine, sono coloro che hanno udito, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita e non arrivano a maturità. E quello che è in buona terra, sono coloro i quali, dopo aver udito la Parola, la ritengono in un cuore onesto e buono e portano frutto con perseveranza”. “Nessuno, accesa una lampada, la copre con un vaso, o la mette sotto il letto; anzi, la mette sul candeliere, perché chi entra veda la luce. Poiché non c’è nulla di nascosto che non debba manifestarsi né di segreto che non debba sapersi e venire alla luce. Badate dunque a come ascoltate, perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, anche quel che pensa di avere gli sarà tolto”. Sua madre e i suoi fratelli vennero a lui, ma non potevano avvicinarglisi a motivo della folla. Allora gli fu riferito: “Tua madre e i tuoi fratelli sono là fuori, che ti vogliono vedere”. Ma egli, rispondendo, disse loro: “Mia madre e miei fratelli sono quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”. Un giorno egli entrò in una barca con i suoi discepoli e disse loro: “Passiamo all’altra riva del lago”. E presero il largo. Mentre navigavano, egli si addormentò; e si abbatté sul lago un turbine di vento, tanto che la barca si riempiva d’acqua, ed essi erano in pericolo. Essi, accostatisi, lo svegliarono, dicendo: “Maestro, Maestro, siamo perduti!”. Ma egli, destatosi, sgridò il vento e i flutti che si calmarono, e si fece bonaccia. Poi disse loro: “Dov’è la vostra fede?”. Ma essi, impauriti e meravigliati, dicevano l’uno all’altro: “Chi è mai costui che comanda anche ai venti e all’acqua e gli ubbidiscono?”. Approdarono nel paese dei Geraseni, che sta di fronte alla Galilea. Quando egli fu sceso a terra, gli venne incontro un uomo della città, il quale era posseduto da demòni; da lungo tempo non indossava vestiti e non abitava in una casa, ma stava fra i sepolcri. Quando vide Gesù, dato un gran grido, gli si prostrò davanti e disse a gran voce: “Che c’è fra me e te, o Gesù, Figlio del Dio Altissimo? Ti prego, non mi tormentare”. Poiché Gesù comandava allo spirito immondo di uscire da quell’uomo; molte volte, infatti, esso se ne era impadronito e, benché lo si fosse legato con catene e custodito in ceppi, aveva spezzato i legami ed era portato via dal demonio nei deserti. Gesù gli domandò: “Qual è il tuo nome?”. Ed egli rispose: “Legione”, perché molti demòni erano entrati in lui. Ed essi lo pregavano che non comandasse loro di andare nell’abisso. C’era là un branco numeroso di porci che pascolava sul monte e quei demòni lo pregarono di permettere loro di entrare in quelli. Ed egli lo permise. I demòni, usciti da quell’uomo, entrarono nei porci; quel branco si avventò a precipizio giù nel lago e affogò. Quando quelli che li pasturavano videro ciò che era avvenuto, se ne fuggirono e portarono la notizia in città e per la campagna. La gente uscì a vedere l’accaduto; e, venuta a Gesù, trovò l’uomo, dal quale erano usciti i demòni, che sedeva ai piedi di Gesù, vestito e sano di mente, e si impaurì. E quelli che avevano visto, raccontarono loro come l’indemoniato era stato liberato. E l’intera popolazione della circostante regione dei Geraseni pregò Gesù che se ne andasse via da loro, perché erano presi da grande spavento. Egli, montato nella barca, se ne tornò indietro. L’uomo dal quale erano usciti i demòni lo pregava di poter stare con lui, ma Gesù lo rimandò, dicendo: “Torna a casa tua e racconta le grandi cose che Dio ha fatto per te”. Ed egli se ne andò per tutta la città, proclamando tutte le grandi cose che Gesù aveva fatto per lui. Al suo ritorno, Gesù fu accolto dalla folla, perché tutti lo stavano aspettando. Ed ecco venire un uomo, chiamato Iairo, che era capo della sinagoga e, gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di entrare in casa sua, perché aveva una figlia unica di circa dodici anni, che stava per morire. Ora, mentre Gesù vi andava, la folla faceva ressa intorno a lui. Una donna che aveva un flusso di sangue da dodici anni e aveva speso nei medici tutte le sue sostanze senza poter essere guarita da nessuno, accostatasi da dietro, gli toccò il lembo della veste e in quell’istante il suo flusso ristagnò. E Gesù disse: “Chi mi ha toccato?”. E siccome tutti negavano, Pietro e quelli che erano con lui risposero: “Maestro, la folla ti stringe e ti preme”. Ma Gesù replicò: “Qualcuno mi ha toccato, perché ho sentito che una potenza è uscita da me”. E la donna, vedendo che non era rimasta inosservata, venne tutta tremante e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò, in presenza di tutto il popolo, per quale motivo l’aveva toccato e come era stata guarita in un istante. Ma egli le disse: “Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace”. Mentre egli parlava ancora, venne uno dalla casa del capo della sinagoga, a dirgli: “Tua figlia è morta; non incomodare più oltre il Maestro”. Ma Gesù, udito ciò, rispose a Iairo: “Non temere; solo abbi fede e lei sarà salva”. E, arrivato alla casa, non permise a nessuno di entrarvi con lui, salvo che a Pietro, a Giovanni, a Giacomo e al padre e alla madre della fanciulla. Ora tutti piangevano e facevano cordoglio per lei. Ma egli disse: “Non piangete; lei non è morta, ma dorme”. E ridevano di lui, sapendo che era morta. Ma egli, presala per la mano, disse ad alta voce: “Fanciulla, àlzati!”. E il suo spirito tornò; ella si alzò subito ed egli comandò che le si desse da mangiare. I suoi genitori rimasero sbigottiti, ma egli ordinò loro di non dire a nessuno quel che era avvenuto. Ora Gesù, convocati i dodici, diede loro l’autorità su tutti i demòni e il potere di guarire le malattie. Li mandò a predicare il regno di Dio e a guarire gli infermi. E disse loro: “Non prendete nulla per il viaggio: né bastone, né sacca, né pane, né denaro e non abbiate tunica di ricambio. In qualunque casa sarete entrati, in quella dimorate e da quella ripartite. Quanto a quelli che non vi riceveranno, uscendo dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, come testimonianza contro di loro”. Ed essi, partiti, andavano di villaggio in villaggio, evangelizzando e operando guarigioni dappertutto. Erode il tetrarca udì parlare di tutti quei fatti e ne era perplesso, perché alcuni dicevano: “Giovanni è risuscitato dai morti”, altri dicevano: “È apparso Elia”, e altri: “È risuscitato uno degli antichi profeti”. Ma Erode disse: “Giovanni l’ho fatto decapitare; chi è dunque costui del quale sento dire tali cose?”. E cercava di vederlo. Gli apostoli, essendo ritornati, raccontarono a Gesù tutte le cose che avevano fatte ed egli, presili con sé, si ritirò in disparte verso una città chiamata Betsaida. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono; ed egli, accoltele, parlava loro del regno di Dio e guariva quelli che avevano bisogno di guarigione. Ora il giorno cominciava a declinare e i dodici, accostatisi, gli dissero: “Lascia andare la folla, affinché se ne vada per i villaggi e per le campagne vicine per albergarvi e per trovarvi da mangiare, perché qui siamo in un luogo deserto”. Ma egli disse loro: “Date loro voi da mangiare”. Ed essi risposero: “Noi non abbiamo altro che cinque pani e due pesci; a meno che non andiamo noi a comprare dei viveri per tutta questa gente”. Poiché c’erano cinquemila uomini. Ed egli disse ai suoi discepoli: “Fateli accomodare a gruppi di una cinquantina”. E così li fecero accomodare tutti. Poi Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, alzàti gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli perché li distribuissero alla gente. Tutti mangiarono e furono sazi; e dei pezzi loro avanzati si portarono via dodici ceste. Mentre egli stava pregando in disparte, i discepoli erano con lui ed egli domandò loro: “Chi dice la gente che io sia?”. E quelli risposero: “Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; e altri, uno dei profeti antichi risuscitato”. Ed egli disse loro: “E voi, chi dite che io sia?”. E Pietro, rispondendo, disse: “Il Cristo di Dio”. Ed egli vietò loro severamente di dirlo ad alcuno, e aggiunse: “È necessario che il Figlio dell’uomo soffra molte cose e sia respinto dagli anziani, dai capi sacerdoti e dagli scribi, sia ucciso e risusciti il terzo giorno”. Diceva poi a tutti: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi avrà perduto la propria vita per me, la salverà. Infatti, che giova all’uomo aver guadagnato tutto il mondo, se poi ha perduto o rovinato sé stesso? Perché, se uno ha vergogna di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo avrà vergogna di lui, quando verrà nella gloria sua, del Padre e dei santi angeli. Ora io vi dico in verità che alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il regno di Dio”. Circa otto giorni dopo questi ragionamenti, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo, e salì sul monte per pregare. Mentre pregava, l’aspetto del suo volto fu mutato e la sua veste divenne candida sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, i quali, apparsi in gloria, parlavano della sua dipartita che stava per compiersi in Gerusalemme. Pietro e quelli che erano con lui erano aggravati dal sonno e, quando si furono svegliati, videro la sua gloria e i due uomini che erano con lui. E come questi si partivano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bene che stiamo qui; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia”, non sapendo quel che diceva. Mentre diceva così, venne una nuvola che li coprì della sua ombra; e i discepoli temettero quando quelli entrarono nella nuvola. E una voce venne dalla nuvola, dicendo: “Questi è mio Figlio, l’eletto mio; ascoltatelo”. E, mentre la voce parlava, Gesù si trovò solo. Allora essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno nulla di quello che avevano visto. Il giorno seguente, quando essi scesero dal monte, una gran folla andò incontro a Gesù. Ed ecco, un uomo dalla folla esclamò: “Maestro, te ne prego, volgi lo sguardo a mio figlio; è l’unico che io abbia; Ecco, uno spirito lo prende e subito egli grida; lo spirito lo contorce con delle convulsioni facendolo schiumare e a fatica si allontana da lui, dopo averlo straziato. Ho pregato i tuoi discepoli di scacciarlo, ma non hanno potuto”. Gesù, rispondendo, disse: “O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò io con voi e vi sopporterò? Porta qui tuo figlio”. Mentre il fanciullo si avvicinava, il demonio lo gettò per terra e lo contorse con delle convulsioni, ma Gesù sgridò lo spirito immondo, guarì il fanciullo e lo rese a suo padre. E tutti sbigottivano della grandezza di Dio. Ora, mentre tutti si meravigliavano delle cose che Gesù faceva, egli disse ai suoi discepoli: “Voi tenete bene a mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini”. Ma essi non capivano quelle parole che erano per loro coperte da un velo, in modo che non lo intendevano, e temevano di interrogarlo su quanto aveva detto. Poi sorse fra loro una disputa su chi di loro fosse il maggiore. Ma Gesù, conosciuto il pensiero del loro cuore, prese un piccolo fanciullo, se lo pose accanto e disse loro: “Chi riceve questo piccolo fanciullo nel mio nome, riceve me e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato. Poiché chi è il minimo fra tutti voi, quello è grande”. Allora Giovanni prese a dirgli: “Maestro, noi abbiamo visto un tale che scacciava i demòni nel tuo nome, e glielo abbiamo vietato perché non ti segue con noi”. Ma Gesù gli disse: “Non glielo vietate, perché chi non è contro di voi è per voi”. Poi, come si avvicinava il tempo della sua assunzione, Gesù si mise risolutamente in cammino verso Gerusalemme. E mandò davanti a sé dei servitori, i quali, partiti, entrarono in un villaggio dei Samaritani per preparargli alloggio. Ma quelli non lo ricevettero perché era diretto verso Gerusalemme. Visto ciò, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni dissero: “Signore, vuoi tu che diciamo che scenda fuoco dal cielo e li consumi? ”. Ma egli, voltatosi, li sgridò. E se ne andarono in un altro villaggio. Mentre camminavano per la via, qualcuno gli disse: “Io ti seguirò dovunque tu andrai”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. E a un altro disse: “Seguimi”. Ed egli rispose: “Permettimi prima di andare a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli disse: “Lascia i morti seppellire i loro morti, ma tu va’ ad annunciare il regno di Dio”. Un altro ancora gli disse: “Ti seguirò, Signore, ma permettimi prima di salutare quelli di casa mia”. Ma Gesù gli disse: “Nessuno che abbia messo la mano all’aratro e poi riguardi indietro, è adatto al regno di Dio”. Dopo queste cose, il Signore designò altri settanta discepoli e li mandò a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dove egli stesso stava per andare. E diceva loro: “La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della mèsse che spinga degli operai nella sua mèsse. Andate; ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. Non portate né borsa, né sacca, né calzari e non salutate nessuno per via. In qualunque casa sarete entrati, dite prima: ‘Pace a questa casa!’. Se lì vi è un figlio di pace, la vostra pace riposerà su lui; se no, tornerà a voi. Dimorate in quella stessa casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno del suo salario. Non passate di casa in casa. In qualunque città sarete entrati, se vi ricevono, mangiate di ciò che vi sarà messo davanti, guarite gli infermi che saranno in essa, e dite loro: ‘Il regno di Dio si è avvicinato a voi’. Ma in qualunque città sarete entrati, se non vi ricevono, uscite sulle piazze e dite: ‘Perfino la polvere che dalla vostra città si è attaccata ai nostri piedi noi la scuotiamo contro di voi; sappiate tuttavia questo, che il regno di Dio si è avvicinato a voi’. Io vi dico che in quel giorno la sorte di Sodoma sarà più tollerabile della sorte di quella città”. “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! Perché, se in Tiro e in Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute fra voi, già anticamente si sarebbero ravvedute, prendendo il cilicio e sedendo nella cenere. Perciò, nel giorno del giudizio la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra. E tu, o Capernaum, sarai tu forse innalzata fino al cielo? No, tu sarai abbassata fino nell’Ades! Chi ascolta voi ascolta me; chi respinge voi respinge me e chi rifiuta me rifiuta colui che mi ha mandato”. Ora i settanta tornarono pieni di gioia, dicendo: “Signore, anche i demòni ci sono sottoposti nel tuo nome”. Ed egli disse loro: “Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e su tutta la potenza del nemico; nulla potrà farvi del male. Eppure, non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. In quella stessa ora, Gesù giubilò per lo Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli fanciulli! Sì, o Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio e nessuno conosce chi è il Figlio, se non il Padre, né chi è il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”. E, rivoltosi ai suoi discepoli, disse loro in disparte: “Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete! Poiché vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere le cose che voi vedete e non le hanno viste, udire le cose che voi udite e non le hanno udite”. Ed ecco, un certo dottore della legge si alzò per metterlo alla prova e gli disse: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. Ed egli gli disse: “Nella legge che sta scritto? Come leggi?”. Egli, rispondendo, disse: “ Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutta la forza tua, e con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso ”. Gesù gli disse: “Tu hai risposto rettamente; fa’ questo e vivrai”. Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Gesù, replicando, disse: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e s’imbatté nei briganti i quali, spogliatolo e feritolo, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa via; lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Così pure un levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un samaritano che era in viaggio, giunto presso di lui, lo vide, ne ebbe compassione e, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra dell’olio e del vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a un albergo e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: ‘Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, quando tornerò, te lo renderò’. Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?”. E quello rispose: “Colui che gli usò misericordia”. E Gesù gli disse: “Va’ e fa’ anche tu la stessa cosa”. Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una certa donna, di nome Marta, lo ricevette in casa sua. Marta aveva una sorella chiamata Maria la quale, postasi a sedere ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola. Ma Marta, tutta presa dalle faccende domestiche, venne e disse: “Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore, rispondendo, le disse: “Marta, Marta, ti affanni e ti inquieti di molte cose, ma una cosa è necessaria. Maria ha scelto la buona parte che non le sarà tolta”. Gesù era in disparte a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: ‘Padre, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano; e perdonaci i nostri peccati, poiché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore; e non ci esporre alla tentazione’”. Poi disse loro: “Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte e gli dice: ‘Amico, prestami tre pani, perché un amico mi è arrivato in casa da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti’; e se colui da dentro gli risponde: ‘Non darmi fastidio; la porta è già chiusa e i miei bambini sono con me a letto; io non posso alzarmi per darteli’, io vi dico che, seppure non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gliene darà quanti ne ha di bisogno”. Io altresì vi dico: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Poiché chiunque chiede riceve, chi cerca trova e sarà aperto a chi bussa. E chi è quel padre tra voi che, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? O, se gli chiede un pesce, gli dia invece una serpe? Oppure, anche se gli chiede un uovo, gli dia uno scorpione? Se voi dunque che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo domandano!”. Gesù stava scacciando un demonio che era muto; quando il demonio fu uscito, il muto parlò e la folla si stupì. Ma alcuni di loro dissero: “È per l’aiuto di Belzebù, principe dei demòni, che egli scaccia i demòni”. Altri, per metterlo alla prova, chiedevano da lui un segno dal cielo. Ma egli, conoscendo i loro pensieri, disse loro: “Ogni regno diviso in parti contrarie è ridotto in deserto e una casa divisa contro sé stessa va in rovina. Se dunque anche Satana è diviso contro sé stesso, come potrà reggere il suo regno? Poiché voi dite che è per l’aiuto di Belzebù che io scaccio i demòni. E se io scaccio i demòni per l’aiuto di Belzebù, i vostri figli per l’aiuto di chi li scacciano? Perciò, essi stessi saranno i vostri giudici. Ma se è per il dito di Dio che io scaccio i demòni, allora il regno di Dio è giunto fino a voi. Quando l’uomo forte, ben armato, guarda l’ingresso della sua dimora, quello che egli possiede è al sicuro, ma, quando uno più forte di lui sopraggiunge e lo vince, gli toglie tutta l’armatura nella quale confidava e ne spartisce le spoglie. Chi non è con me, è contro di me e chi non raccoglie con me, disperde”. “Quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, si aggira per luoghi aridi, cercando riposo; e, non trovandone, dice: ‘Ritornerò nella mia casa da dove sono uscito’ e, giuntovi, la trova spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed entrano ad abitarla; e l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima”. Mentre egli diceva queste cose, dalla folla una donna alzò la voce e gli disse: “Beato il grembo che ti portò e i seni che tu poppasti!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto quelli che odono la parola di Dio e la osservano!”. Mentre la gente si affollava intorno, egli cominciò a dire: “Questa generazione è una generazione malvagia; essa chiede un segno, ma segno non le sarà dato, tranne il segno di Giona. Poiché come Giona fu un segno per i Niniviti, così anche il Figlio dell’uomo sarà per questa generazione. La regina del Mezzogiorno risusciterà nel giudizio con gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché lei venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c’è più che Salomone. I Niniviti risusciteranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c’è più che Giona”. “Nessuno, quando ha acceso una lampada, la mette in un luogo nascosto o sotto un vaso; anzi, la mette sul candeliere, affinché quelli che entrano vedano la luce. La lampada del tuo corpo è l’occhio; se l’occhio tuo è sano, anche tutto il tuo corpo è illuminato ma, se è viziato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Guarda dunque che la luce che è in te non sia tenebre. Se dunque tutto il tuo corpo è illuminato, senza avere alcuna parte tenebrosa, sarà tutto illuminato come quando la lampada ti illumina con il suo splendore”. Mentre egli parlava, un fariseo lo invitò a pranzo da lui. Ed egli, entrato, si mise a tavola. Il fariseo, visto questo, si meravigliò che non si fosse lavato prima del pranzo. Il Signore gli disse: “Voi farisei pulite l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di malvagità. Stolti, colui che ha fatto l’esterno, non ha anche fatto l’interno? Date piuttosto in elemosina quel che è dentro il piatto; e ogni cosa sarà pulita per voi. Ma guai a voi, farisei, poiché pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erba e trascurate la giustizia e l’amore di Dio! Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre. Guai a voi, farisei, perché amate i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e chi vi cammina sopra non ne sa niente”. Allora uno dei dottori della legge, rispondendo, gli disse: “Maestro, parlando così, offendi anche noi”. Ed egli disse: “Guai anche a voi, dottori della legge, perché caricate la gente di pesi difficili da portare e voi non toccate quei pesi neppure con un dito! Guai a voi, perché edificate i sepolcri dei profeti e i vostri padri li uccisero. Voi dunque testimoniate delle opere dei vostri padri e le approvate, perché essi li uccisero e voi edificate loro dei sepolcri. Per questo la sapienza di Dio ha detto: ‘Io manderò loro dei profeti e degli apostoli; ne uccideranno alcuni e ne perseguiteranno altri’, affinché il sangue di tutti i profeti sparso dalla fondazione del mondo sia ridomandato a questa generazione, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso fra l’altare e il tempio; sì, vi dico, sarà ridomandato a questa generazione. Guai a voi, dottori della legge, poiché avete tolto la chiave della scienza! Voi stessi non siete entrati e l’avete impedito a quelli che volevano entrare”. Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a incalzarlo duramente e a fargli domande su molte cose, tendendogli insidie, per cogliere qualche parola che gli uscisse di bocca. Intanto, la gente si era riunita a migliaia, così da calpestarsi gli uni gli altri, Gesù cominciò prima di tutto a dire ai suoi discepoli: “Guardatevi dal lievito dei farisei, che è ipocrisia. Ma non c’è niente di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Perciò tutto quel che avete detto nelle tenebre, sarà udito nella luce e quel che avete detto all’orecchio nelle stanze interne, sarà proclamato sui tetti. Ma a voi che siete miei amici io dico: Non temete quelli che uccidono il corpo ma che, oltre a questo, non possono fare nulla di più. Io vi mostrerò chi dovete temere: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella geenna. Sì, vi dico, temete Lui. Cinque passeri non si vendono per due soldi? Eppure non uno di essi è dimenticato davanti a Dio; anzi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete di più di molti passeri. Ora io vi dico: Chiunque mi avrà riconosciuto davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo riconoscerà lui davanti agli angeli di Dio, ma chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque avrà parlato contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato, ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato. Quando poi vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di cosa rispondere a vostra difesa o di quel che dovrete dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quell’ora stessa quel che dovrete dire”. Ora, uno della folla gli disse: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Ma Gesù gli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito su voi giudice o spartitore?”. Poi disse loro: “Badate e guardatevi da ogni avarizia, perché non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede che egli ha la sua vita”. E disse loro questa parabola: “La campagna di un certo uomo ricco fruttò in abbondanza; egli ragionava così fra sé: ‘Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?’. E disse: ‘Questo farò: demolirò i miei granai, ne fabbricherò di più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni e dirò all’anima mia: ‘Anima tu hai molti beni riposti per molti anni; riposati, mangia, bevi, godi’. Ma Dio gli disse: ‘Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata e quello che hai preparato di chi sarà?’. Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio”. Poi disse ai suoi discepoli: “Perciò vi dico: Non siate in ansia per la vostra vita di quel che mangerete, né per il corpo di che vi vestirete, poiché la vita è più del nutrimento e il corpo è più del vestito. Considerate i corvi: non seminano, non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. E voi, quanto più degli uccelli valete! E chi di voi può con la propria ansietà aggiungere alla sua statura un solo cubito? Se dunque non potete fare nemmeno ciò che è minimo, perché siete in ansia per il resto? Considerate come crescono i gigli: non faticano e non filano, eppure io vi dico che Salomone stesso, con tutta la sua gloria, non fu vestito come uno di loro. Ora, se Dio riveste così l’erba che oggi è nel campo e domani è gettata nel forno, quanto più vestirà voi o gente di poca fede! Anche voi non cercate che mangerete e che berrete, e non state in ansia, poiché è la gente del mondo che ricerca tutte queste cose, ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno sopraggiunte. Non temere, o piccolo gregge, poiché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno. Vendete i vostri beni e fatene elemosina; fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro che non venga meno nei cieli, dove ladro non si accosta e tignola non guasta. Perché dov’è il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore”. “I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando tornerà dalle nozze, per aprirgli subito, appena giungerà e busserà. Beati quei servitori che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si cingerà, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. Se giungerà alla seconda o alla terza vigilia e li troverà così, beati loro! Sappiate questo, che se il padrone di casa sapesse a che ora verrà il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi siate pronti, perché nell’ora che non pensate, il Figlio dell’uomo verrà”. Pietro disse: “Signore, questa parabola la dici tu per noi o anche per tutti?”. E il Signore rispose: “Chi è mai quell’economo fedele e avveduto che il padrone costituirà sui suoi domestici per dare loro a suo tempo la loro porzione di viveri? Beato quel servo che il padrone, al suo arrivo, troverà intento a fare così. In verità io vi dico che lo costituirà su tutti i suoi beni. Ma se quel servo dice in cuor suo: ‘Il mio padrone tarda a venire’ e comincia a battere i servi e le serve, a mangiare, bere e ubriacarsi, il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se l’aspetta e nell’ora che non sa; lo farà lacerare a colpi di flagello e gli assegnerà la sorte degli infedeli. Quel servo, che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà, sarà battuto con molti colpi, ma colui che non l’ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, sarà battuto con pochi colpi. A chi molto è stato dato, molto sarà ridomandato; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà”. “Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra e che mi resta da desiderare, se già è acceso? Ma c’è un battesimo del quale devo essere battezzato e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate voi che io sia venuto a mettere pace in terra? No, vi dico, ma piuttosto divisione, perché, da ora in avanti, se vi sono cinque persone in una casa, saranno divise tre contro due e due contro tre; saranno divisi il padre contro il figlio e il figlio contro il padre; la madre contro la figlia, la figlia contro la madre; la suocera contro la nuora e la nuora contro la suocera”. Diceva poi ancora alle folle: “Quando vedete una nuvola venire su da ponente, voi dite subito: ‘Viene la pioggia’ e così succede. Quando sentite soffiare lo scirocco, dite: ‘Farà caldo’ e avviene così. Ipocriti, sapete discernere bene l’aspetto della terra e del cielo; come mai non sapete discernere questo tempo? Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, fa’ di tutto, mentre sei per via, per accordarti con lui, affinché non ti porti davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esecutore giudiziario e l’esecutore ti metta in prigione. Io ti dico che non uscirai di là, finché tu non abbia pagato fino all’ultimo centesimo”. In quello stesso tempo vennero alcuni a riferirgli il fatto dei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con i loro sacrifici. Gesù, rispondendo, disse loro: “Pensate che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei perché hanno sofferto tali cose? No, vi dico, ma se non vi ravvedete, tutti, allo stesso modo, perirete. O quei diciotto sui quali cadde la torre in Siloe e li uccise, pensate che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma, se non vi ravvedete, tutti, allo stesso modo, perirete”. Disse pure questa parabola: “Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna; andò a cercarvi del frutto e non ne trovò. Disse dunque al vignaiuolo: ‘Ecco, sono ormai tre anni che vengo a cercare frutto da questo fico e non ne trovo; taglialo, perché sta lì a rendere improduttivo anche il terreno?’. Ma l’altro, rispondendo, gli disse: ‘Signore, lascialo ancora quest’anno, finché io gli zappi attorno e vi metta del concime; forse darà frutto in avvenire; se no, lo taglierai’”. Gesù stava insegnando in una delle sinagoghe in giorno di sabato. Ed ecco una donna che da diciotto anni aveva uno spirito d’infermità, era tutta curvata e incapace di raddrizzarsi in alcun modo. E Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: “Donna, tu sei liberata dalla tua infermità”. Pose le mani su lei e in quell’istante fu raddrizzata e glorificava Dio. Ora il capo della sinagoga, sdegnato che Gesù avesse fatto una guarigione in giorno di sabato, prese a dire alla folla: “Ci sono sei giorni nei quali si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire e non in giorno di sabato”. Ma il Signore gli rispose: “Ipocriti, non scioglie ciascuno di voi, di sabato, il suo bue o il suo asino dalla mangiatoia per condurlo a bere? E questa, che è figlia d’Abraamo e che Satana aveva tenuto legata per ben diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?”. Mentre diceva queste cose, tutti i suoi avversari erano confusi e la moltitudine si rallegrava di tutte le opere gloriose da lui compiute. Diceva dunque: “A che cosa è simile il regno di Dio e a che cosa lo paragonerò? Esso è simile a un granello di senape che un uomo ha preso e gettato nel suo orto; ed è cresciuto ed è divenuto albero e gli uccelli del cielo si sono riparati sui suoi rami”. E di nuovo disse: “A che cosa paragonerò il regno di Dio? Esso è simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre misure di farina, finché sia tutta lievitata”. Egli attraversava città e villaggi, insegnando e avvicinandosi a Gerusalemme. Un tale gli disse: “Signore, sono pochi i salvati?”. Ed egli disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché io vi dico che molti cercheranno di entrare e non potranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, stando di fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: ‘Signore, aprici’, ma egli, rispondendo, vi dirà: ‘Io non so da dove venite’. Allora comincerete a dire: ‘Noi abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze!’. Ed egli dirà: ‘Io vi dico che non so da dove venite; allontanatevi da me voi tutti operatori di iniquità’. Là ci sarà il pianto e lo stridore di denti, quando vedrete Abraamo e Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e che voi ne sarete cacciati fuori. E ne verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno, che si siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ve ne sono degli ultimi che saranno primi e dei primi che saranno ultimi”. In quello stesso momento vennero alcuni farisei a dirgli: “Parti e vattene di qui, perché Erode vuole farti morire”. Ed egli disse loro: “Andate a dire a quella volpe: ‘Ecco, io scaccio i demòni, compio guarigioni oggi e domani e il terzo giorno giungo al mio termine’. D’altronde, bisogna che io cammini oggi e domani e dopodomani, perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Io vi dico che non mi vedrete più, finché venga il giorno che diciate: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’”. Gesù entrò in casa di uno dei principali farisei in giorno di sabato per prendere cibo; essi lo stavano osservando. Ed ecco, gli stava davanti un uomo idropico. Gesù prese a dire ai dottori della legge e ai farisei: “È lecito o no fare guarigioni in giorno di sabato?”. Ma essi tacquero. Allora egli, presolo, lo guarì e lo congedò. Poi disse loro: “Chi di voi, se un figlio o un bue cade in un pozzo, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?”. Ed essi non potevano rispondere nulla in contrario. Notando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro questa parabola: “Quando sarai invitato a nozze da qualcuno, non ti mettere a tavola al primo posto, perché può darsi che sia stato invitato da lui qualcuno più importante di te e chi ha invitato te e lui non venga a dirti: ‘Cedi il posto a questo!’ e tu debba, con tua vergogna, cominciare allora a occupare l’ultimo posto. Ma quando sarai invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, affinché, quando colui che ti ha invitato verrà, ti dica: ‘Amico, sali più in su’. Allora ne avrai onore davanti a tutti quelli che saranno a tavola con te. Poiché chiunque si innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato”. Diceva pure a chi lo aveva invitato: “Quando fai un pranzo o una cena, non chiamare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i vicini ricchi, affinché anche loro t’invitino e ti sia reso il contraccambio; ma quando fai un convito, chiama i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi e sarai beato, perché non hanno modo di rendertene il contraccambio; infatti il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione dei giusti”. Uno degli invitati, udite queste cose, gli disse: “Beato chi mangerà del pane nel regno di Dio!”. Ma Gesù gli disse: “Un uomo fece una gran cena e invitò molti; e, all’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: ‘Venite, perché tutto è già pronto’. Tutti insieme cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: ‘Ho comprato un campo e ho necessità di andarlo a vedere; ti prego di scusarmi’. Un altro disse: ‘Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi’. Un altro disse: ‘Ho preso moglie, e perciò non posso venire’. E il servo, tornato, riferì queste cose al suo signore. Allora il padrone di casa, adiratosi, disse al suo servo: ‘Va’ presto per le piazze e per le vie della città e conduci qua i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi’. Poi il servo disse: ‘Signore, si è fatto come hai comandato e c’è ancora posto’. E il signore disse al servo: ‘Va’ fuori per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare, affinché la mia casa sia piena. Perché io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena’”. Ora molta gente andava con lui; ed egli, voltatosi, disse loro: “Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Infatti, chi è fra voi colui che, volendo edificare una torre, non si metta prima a sedere e calcoli la spesa per vedere se ha da poterla finire? Perché non succeda che, quando ne abbia posto le fondamenta e non la possa finire, tutti quelli che la vedranno comincino a beffarsi di lui, dicendo: ‘Quest’uomo ha cominciato a edificare e non ha potuto finire’. Ovvero, qual è il re che, partendo per muovere guerra a un altro re, non si metta prima a sedere ed esamini se possa, con diecimila uomini, affrontare chi gli viene contro con ventimila? Altrimenti, mentre quello è ancora lontano, gli manda un’ambasciata e chiede di trattare la pace. Così dunque ognuno di voi, che non rinunci a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo. Il sale, certo, è buono ma, se anche il sale diventa insipido, con che gli si darà sapore? Non serve né per terra, né per concime; lo si butta via. Chi ha orecchi da udire, oda”. Tutti i pubblicani e i peccatori si accostavano a lui per udirlo. E così i farisei come gli scribi mormoravano, dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola: “Chi è l’uomo fra voi che, avendo cento pecore, se ne perde una, non lasci le novantanove nel deserto e non vada dietro alla perduta finché non l’abbia ritrovata? E, trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle e, giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta’. Io vi dico che così vi sarà in cielo più gioia per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di ravvedimento”. “Ovvero, qual è la donna che, avendo dieci dramme, se ne perde una, non accende un lume e non spazzi la casa e non cerchi con cura finché non l’abbia ritrovata? Quando l’ha trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduto’. Così, vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede”. Disse ancora: “Un uomo aveva due figli; il più giovane di loro disse al padre: ‘Padre, dammi la parte dei beni che mi tocca’. Ed egli spartì fra loro i beni. Di lì a poco il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, se ne partì per un paese lontano e vi dissipò la sua sostanza, vivendo dissolutamente. E quando ebbe speso ogni cosa, una gran carestia venne in quel paese, tanto che cominciò a essere nel bisogno. Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Egli avrebbe bramato sfamarsi con i baccelli che i porci mangiavano, ma nessuno gliene dava. Allora, rientrato in sé, disse: ‘Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Io mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi’. Egli dunque si alzò e tornò da suo padre, ma, mentre era ancora lontano, suo padre lo vide e fu mosso a compassione; corse, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò. E il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio’. Ma il padre disse ai suoi servitori: ‘Presto, portate qua la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e rallegriamoci, perché questo mio figlio era morto ed è tornato a vita; era perduto ed è stato ritrovato’. E si misero a fare gran festa. Ora il figlio maggiore era ai campi; tornando, mentre fu vicino alla casa, udì la musica e le danze. Chiamato uno dei servitori, gli domandò che cosa stesse succedendo. Quello gli disse: ‘È giunto tuo fratello, e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché l’ha riavuto sano e salvo’. Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì fuori e lo pregava d’entrare. Ma egli, rispondendo, disse al padre: ‘Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici, ma, quando è venuto questo tuo figlio che ha divorato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato’. Allora il padre gli disse: ‘Figliolo, tu sei sempre con me, e ogni cosa mia è tua, ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato a vita; era perduto ed è stato ritrovato’”. Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: “Un uomo ricco aveva un economo, il quale fu accusato davanti a lui di dissipare i suoi beni. Egli lo chiamò e gli disse: ‘Che cos’è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio amministratore’. Allora l’economo disse fra sé: ‘Che farò io, ora che il padrone mi toglie l’amministrazione? A zappare non sono capace; a mendicare mi vergogno. So bene quel che farò, affinché, quando dovrò lasciare l’amministrazione, ci sia chi mi riceva in casa sua’. Chiamati quindi a sé uno per uno i debitori del suo padrone, disse al primo: ‘Quanto devi al mio padrone?’. Quello rispose: ‘Cento bati d’olio’. Egli disse: ‘Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta’. Poi disse a un altro: ‘E tu, quanto devi?’. Quello rispose: ‘Cento cori di grano’. Egli disse: ‘Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta’. E il padrone lodò l’amministratore infedele perché aveva operato con avvedutezza; poiché i figli di questo secolo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più accorti dei figli della luce. E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste, affinché, quand’esse verranno meno, quelli vi ricevano nei tabernacoli eterni. Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi. Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà le vere? E se non siete stati fedeli nell’altrui, chi vi darà il vostro? Nessun domestico può servire due padroni: perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona”. I farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si beffavano di lui. Ed egli disse loro: “Voi siete quelli che vi proclamate giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce il vostro cuore, poiché quel che è eccelso fra gli uomini, è abominazione davanti a Dio”. La legge e i profeti sono durati fino a Giovanni; da quel tempo è annunciata la buona notizia del regno di Dio e ognuno vi entra a forza. È più facile che passino il cielo e la terra, che cada un solo apice della legge”. “Chiunque manda via la moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio e chiunque sposa una donna mandata via dal marito, commette adulterio”. “C’era un uomo ricco, il quale vestiva porpora e bisso, e ogni giorno festeggiava sontuosamente; e c’era un mendicante chiamato Lazzaro, che giaceva alla sua porta, pieno di ulceri, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri. Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco e fu sepolto. E nell’Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo e Lazzaro nel suo seno ed esclamò: ‘Padre Abraamo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell’acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma’. Ma Abraamo disse: ‘Figlio, ricordati che tu ricevesti i tuoi beni in vita tua e che Lazzaro similmente ricevette i mali, ma ora qui egli è consolato e tu sei tormentato. E oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una gran voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi’. Ed egli disse: ‘Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose e non vengano anche loro in questo luogo di tormento’. Abraamo disse: ‘Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli’. Ed egli: ‘No, padre Abraamo, ma se uno va a loro dai morti, si ravvedranno’. Ma Abraamo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse’”. Disse poi ai suoi discepoli: “È impossibile che non avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono! Sarebbe meglio per lui che gli fosse messa al collo una macina da mulino e fosse gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno solo di questi piccoli. Badate a voi stessi! Se tuo fratello pecca, riprendilo e, se si pente, perdonalo. E se ha peccato contro te sette volte al giorno e sette volte torna a te e ti dice: ‘Mi pento’, perdonalo”. Allora gli apostoli dissero al Signore: “Aumentaci la fede”. Il Signore disse: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo sicomoro: ‘Sradicati e trapiantati nel mare’ e vi ubbidirebbe”. “Se uno di voi ha un servo che ara o bada alle pecore, quando quello torna a casa dai campi, gli dirà: ‘Vieni presto a metterti a tavola’? Non gli dirà invece: ‘Preparami la cena, rimboccati la veste e vieni a servirmi finché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu’? Si ritiene forse obbligato verso il suo servo perché ha fatto le cose che gli erano state comandate? Così anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: ‘Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quel che eravamo in obbligo di fare’”. Nel recarsi a Gerusalemme, egli passava sui confini della Samaria e della Galilea. Come entrava in un certo villaggio, gli vennero incontro dieci uomini lebbrosi, i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce dicendo: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!”. Vedutili, egli disse loro: “Andate a mostrarvi ai sacerdoti”. E, mentre andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendo che era guarito, tornò indietro glorificando Dio ad alta voce e si gettò ai suoi piedi con la faccia a terra, ringraziandolo; e questo era un samaritano. Gesù, rispondendo, disse: “I dieci non sono stati tutti purificati? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che sia tornato per dare gloria a Dio tranne questo straniero?”. E gli disse: “Àlzati e va’: la tua fede ti ha salvato”. Interrogato poi dai farisei sul quando verrebbe il regno di Dio, rispose loro dicendo: “Il regno di Dio non viene in maniera da attirare gli sguardi, né si dirà: ‘Eccolo qui’, o: ‘Eccolo là’; perché ecco, il regno di Dio è dentro di voi”. Disse pure ai suoi discepoli: “Verranno giorni che desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, e non lo vedrete. E vi si dirà: ‘Eccolo là’ o: ‘Eccolo qui’; non andate e non li seguite, perché com’è il lampo, che balenando risplende da un’estremità all’altra del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima bisogna che egli soffra molte cose e sia respinto da questa generazione. E come avvenne ai giorni di Noè, così pure avverrà ai giorni del Figlio dell’uomo. Si mangiava, si beveva, si prendeva moglie e si andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell’arca e venne il diluvio che li fece perire tutti. Avvenne allo stesso modo anche ai giorni di Lot: si mangiava, si beveva, si comprava, si vendeva, si piantava e si edificava, ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve dal cielo fuoco e zolfo, che li fece perire tutti. Lo stesso avverrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo sarà manifestato. In quel giorno, chi sarà sulla terrazza e avrà la sua roba in casa, non scenda a prenderla; così pure, chi sarà nei campi, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la sua vita, la perderà, ma chi la perderà, la preserverà. Io vi dico: In quella notte, due saranno in un letto; l’uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno assieme; l’una sarà presa e l’altra lasciata. [Due uomini saranno ai campi, l’uno sarà preso e l’altro lasciato”.] I discepoli risposero: “Dove sarà, Signore?”. Ed egli disse loro: “Dove sarà il corpo, là pure si raduneranno le aquile”. Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: “In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio né aveva rispetto per alcun uomo; e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui dicendo: ‘Fammi giustizia del mio avversario’. Egli per un tempo non volle farlo, poi disse fra sé: ‘Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per alcun uomo, tuttavia, poiché questa vedova continua a darmi fastidio, le farò giustizia, perché, a forza di venire, non finisca per sfiancarmi”. Il Signore disse: “Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà forse giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che farà loro subito giustizia. Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”. [Gesù] Disse ancora questa parabola per certuni che confidavano in sé stessi di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio per pregare, uno fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: ‘O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; neppure come quel pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quel che possiedo’. Il pubblicano, invece, se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, sii placato verso me peccatore!’. Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quell’altro, perché chiunque si innalza sarà abbassato, ma chi si abbassa sarà innalzato”. Portavano a Gesù anche i bambini, perché li toccasse, ma i discepoli, vedendo, li sgridavano. Allora Gesù li chiamò a sé e disse: “Lasciate i piccoli fanciulli venire a me e non glielo vietate, perché il regno di Dio appartiene a chi è come loro. In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un piccolo fanciullo, non vi entrerà affatto”. E uno dei capi lo interrogò, dicendo: “Maestro buono, che farò io per ereditare la vita eterna?”. E Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, salvo uno solo, cioè Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio; non uccidere; non rubare; non dire falsa testimonianza; onora tuo padre e tua madre ”. Ed egli rispose: “Tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. E Gesù, udito questo, gli disse: “Una cosa ti manca ancora: vendi tutto ciò che hai, distribuiscilo ai poveri e tu avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi”. Ma egli, udite queste cose, ne fu grandemente rattristato, perché era molto ricco. Gesù, vedendolo così triste, disse: “Quanto è difficile, per quelli che hanno delle ricchezze, entrare nel regno di Dio! Poiché è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio”. E quelli che udirono questo dissero: “Chi dunque può essere salvato?”. Ma egli rispose: “Le cose impossibili agli uomini sono possibili a Dio”. Pietro disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre case e ti abbiamo seguito”. Ed egli disse loro: “Io vi dico in verità che non c’è nessuno che abbia lasciato casa, o moglie, o fratelli, o genitori, o figli per amore del regno di Dio, il quale non ne riceva molte volte tanto in questo tempo e nell’età a venire la vita eterna”. Poi, presi con sé i dodici, disse loro: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e saranno adempiute rispetto al Figlio dell’uomo tutte le cose scritte dai profeti, poiché egli sarà dato in mano ai Gentili, sarà schernito e oltraggiato e gli sputeranno addosso e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno, ma il terzo giorno risusciterà”. Ed essi non capirono nulla di queste cose; quel parlare era per loro oscuro e non capivano cosa Gesù volesse dire. Come egli si avvicinava a Gerico, un cieco sedeva presso la strada, mendicando; udendo la folla che passava, domandò che cosa fosse. Gli fecero sapere che passava Gesù il Nazareno. Allora egli gridò: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. E quelli che precedevano lo sgridavano perché tacesse, ma lui gridava più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù, fermatosi, comandò che gli fosse condotto e, quando gli fu vicino, gli domandò: “Cosa vuoi che io ti faccia?”. Egli disse: “Signore, che io recuperi la vista”. E Gesù gli disse: “Recupera la vista; la tua fede ti ha salvato”. E in quell’istante recuperò la vista e lo seguiva glorificando Dio; e tutto il popolo, visto ciò, diede lode a Dio. Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco, un uomo, chiamato Zaccheo, il quale era capo dei pubblicani ed era ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era piccolo di statura. Allora, per vederlo, corse avanti e salì sopra un sicomoro, perché egli doveva passare per quella via. Quando Gesù fu giunto in quel luogo, alzàti gli occhi, gli disse: “Zaccheo, scendi presto, perché oggi devo fermarmi in casa tua”. Allora egli si affrettò a scendere e lo accolse con gioia. Visto questo, tutti mormoravano, dicendo: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma Zaccheo, presentatosi al Signore, gli disse: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho frodato qualcuno di qualcosa, gli rendo il quadruplo”. Gesù gli disse: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d’Abraamo: poiché il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto”. Mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio stesse per essere manifestato immediatamente. Disse dunque: “Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l’investitura di un regno e poi tornare. Chiamati a sé dieci suoi servitori, diede loro dieci mine e disse loro: ‘Fatele fruttare finché io venga’. Ma i suoi concittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasciata per dire: ‘Non vogliamo che costui regni su di noi’. Quando egli fu tornato, dopo aver ricevuto l’investitura del regno, fece venire quei servi ai quali aveva dato il denaro, per sapere quanto ognuno avesse guadagnato facendolo fruttare. Si presentò il primo e disse: ‘Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci’. Ed egli gli disse: ‘Va bene, servo buono; poiché sei stato fedele nelle minime cose, abbi potere su dieci città’. Poi venne il secondo, dicendo: ‘La tua mina, signore, ha fruttato cinque mine’. Ed egli disse anche a questo: ‘E tu sii a capo di cinque città’. Poi ne venne un altro che disse: ‘Signore, ecco la tua mina che ho tenuta riposta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato’. Ed egli a lui: ‘Dalle tue parole ti giudicherò, servo malvagio! Tu sapevi che io sono un uomo duro, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato; perché non hai messo il mio denaro in banca, e io, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l’interesse?’. Poi disse a quelli che erano presenti: ‘Toglietegli la mina e datela a colui che ha le dieci mine’. Essi gli dissero: ‘Signore, egli ha dieci mine’. ‘Io vi dico che a chiunque ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Quanto poi a quei miei nemici che non volevano che io regnassi su loro, conduceteli qui e uccideteli in mia presenza’”. Dette queste cose, Gesù andava avanti, salendo a Gerusalemme. Come fu vicino a Betfage e a Betania presso il monte detto degli Ulivi, mandò due discepoli, dicendo: “Andate nella borgata di fronte, nella quale, entrando, troverete legato un puledro d’asino, sopra il quale non è mai montato nessuno; scioglietelo e conducetelo qui da me. E se qualcuno vi domanda perché lo sciogliete, direte così: ‘Il Signore ne ha bisogno’”. E quelli che erano stati mandati partirono e trovarono tutto come egli aveva detto loro. Mentre essi slegavano il puledro, i suoi padroni dissero loro: “Perché slegate il puledro?”. Essi risposero: “Il Signore ne ha bisogno”. Lo condussero a Gesù e, gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla via. Quando fu vicino alla città, alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli cominciò con gioia a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: “ Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi!”. Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, sgrida i tuoi discepoli!”. Ed egli, rispondendo, disse: “Io vi dico che se costoro si tacciono, le pietre grideranno”. Come si fu avvicinato, vedendo la città, pianse su lei, dicendo: “Oh se tu pure avessi conosciuto in questo giorno quel che è per la tua pace! Ma ora è nascosto agli occhi tuoi. Poiché verranno su te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; atterreranno te e i tuoi figli dentro di te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata”. Poi, entrato nel tempio, cominciò a cacciare quelli che in esso vendevano, dicendo loro: “Sta scritto: ‘ La mia casa sarà una casa di preghiera ’, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladroni”. E ogni giorno insegnava nel tempio. Ma i capi sacerdoti, gli scribi e i primi fra il popolo cercavano di farlo morire, ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo, ascoltandolo, pendeva dalle sue labbra. Uno di quei giorni, mentre [Gesù] insegnava al popolo nel tempio ed evangelizzava, sopraggiunsero i capi sacerdoti e gli scribi con gli anziani e gli parlarono così: “Dicci con quale autorità fai queste cose, e chi ti ha dato questa autorità”. Ed egli, rispondendo, disse loro: “Anch’io vi domanderò una cosa: il battesimo di Giovanni era dal cielo o dagli uomini?”. Ed essi ragionavano fra loro, dicendo: “Se diciamo: ‘Dal cielo’, egli ci dirà: ‘Perché non gli credeste?’. Ma se diciamo: ‘Dagli uomini’, tutto il popolo ci lapiderà, perché è persuaso che Giovanni fosse un profeta”. E risposero che non sapevano da dove venisse. E Gesù disse loro: “Neppure io vi dico con quale autorità faccio queste cose”. Poi cominciò a dire al popolo questa parabola: “Un uomo piantò una vigna, l’affidò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio per lungo tempo. Nella stagione del raccolto mandò a quei lavoratori un servo perché gli dessero del frutto della vigna, ma i lavoratori, battutolo, lo rimandarono a mani vuote. Egli di nuovo mandò un altro servo, ma essi, dopo aver percosso e insultato anche questo, lo rimandarono a mani vuote. Egli ne mandò ancora un terzo ed essi, dopo aver ferito anche questo, lo scacciarono. Allora il padrone della vigna disse: ‘Che farò? Manderò il mio diletto figlio; forse a lui porteranno rispetto’. Ma quando i lavoratori lo videro, fecero tra loro questo ragionamento: ‘Costui è l’erede; uccidiamolo, affinché l’eredità diventi nostra’. E, cacciatolo fuori dalla vigna, lo uccisero. Che cosa farà loro dunque il padrone della vigna? Verrà e distruggerà quei lavoratori, e darà la vigna ad altri”. Ed essi, udito ciò, dissero: “Così non sia!”. Ma egli, guardatili in faccia, disse: “Che vuol dire dunque questo che è scritto: ‘La pietra che gli edificatori hanno rifiutata è quella che è diventata pietra angolare’? Chiunque cadrà su quella pietra sarà sfracellato ed essa stritolerà colui sul quale cadrà”. In quella stessa ora gli scribi e i capi sacerdoti cercarono di mettergli le mani addosso, ma temettero il popolo, poiché capirono che egli aveva detto quella parabola per loro. Essendosi messi a osservarlo, gli mandarono delle spie che simulassero di essere giusti per coglierlo in fallo e consegnarlo, così, all’autorità e al potere del governatore. Quelli allora gli fecero una domanda: “Maestro, noi sappiamo che tu parli e insegni rettamente e non hai riguardi personali, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito a noi pagare il tributo a Cesare o no?”. Ma egli, cogliendo la loro astuzia, disse loro: “Mostratemi un denaro; di chi porta l’effigie e l’iscrizione?”. Ed essi dissero: “Di Cesare”. Ed egli a loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Essi non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero. Poi, accostatisi alcuni sadducei, i quali negano che ci sia risurrezione, lo interrogarono, dicendo: “Maestro, Mosè ci ha scritto che, se il fratello di uno muore avendo moglie ma senza figli, il fratello ne prenda la moglie e dia una discendenza a suo fratello. C’erano dunque sette fratelli. Il primo prese moglie e morì senza figli. Il secondo pure la sposò; poi il terzo e così fu dei sette; non lasciarono figli e morirono. Infine morì anche la donna. Nella risurrezione, dunque, di chi sarà moglie la donna? Perché tutti e sette l’hanno avuta per moglie”. Gesù disse loro: “I figli di questo secolo sposano e sono sposati, ma quelli che saranno reputati degni di avere parte al mondo a venire e alla risurrezione dai morti non sposano e non sono sposati, perché neanche possono più morire, poiché sono simili agli angeli e sono figli di Dio, essendo figli della risurrezione. Che poi i morti risuscitino, lo dichiarò anche Mosè nel passo del ‘pruno’, quando chiama il Signore Dio d’Abraamo, Dio d’Isacco e Dio di Giacobbe. Ora, egli non è un Dio dei morti, ma dei viventi, poiché per lui vivono tutti”. E alcuni scribi, rispondendo, dissero: “Maestro, hai detto bene”. E non ardivano più fargli alcuna domanda. Ed egli disse loro: “Come mai dicono che il Cristo è Figlio di Davide? Poiché Davide stesso, nel libro dei Salmi, dice: ‘Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi’. Davide dunque lo chiama Signore; come può essere suo figlio?”. Mentre tutto il popolo lo udiva, egli disse ai suoi discepoli: “Guardatevi dagli scribi, i quali passeggiano volentieri in lunghe vesti, amano essere salutati nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti; essi che divorano le case delle vedove e fanno lunghe preghiere per apparenza. Costoro riceveranno maggior condanna”. Poi, alzàti gli occhi, Gesù vide dei ricchi che gettavano i loro doni nella cassa delle offerte. Vide pure una povera vedova che vi gettava due spiccioli e disse: “In verità vi dico che questa povera vedova ha gettato più di tutti, poiché tutti costoro hanno gettato nelle offerte del loro superfluo, ma lei vi ha messo del suo necessario, tutto quello che aveva per vivere”. Alcuni gli fecero notare come il tempio fosse adorno di belle pietre e di doni consacrati, ed egli disse: “Quanto a queste cose che voi contemplate, verranno i giorni che non sarà lasciata pietra sopra pietra che non sia diroccata”. Essi gli domandarono: “Maestro, quando avverranno dunque queste cose? E quale sarà il segno in cui queste cose staranno per avvenire?”. Egli disse: “Guardate di non essere sedotti, perché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: ‘Sono io’ e: ‘Il tempo è vicino’; non andate dietro a loro. Quando udrete parlare di guerre e di sommosse, non siate spaventati, perché bisogna che prima avvengano queste cose, ma la fine non verrà subito dopo”. Allora disse loro: “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno grandi terremoti e, in diversi luoghi, pestilenze e carestie; vi saranno fenomeni spaventosi e grandi segni dal cielo. Ma prima di tutte queste cose, vi metteranno le mani addosso e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e mettendovi in prigione, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Ma ciò vi darà occasione di rendere testimonianza. Mettetevi dunque in cuore di non premeditare come rispondere a vostra difesa, perché io vi darò una parola e una sapienza alle quali tutti i vostri avversari non potranno contrastare né contraddire. Voi sarete traditi perfino da genitori, da fratelli, da parenti e da amici; faranno morire parecchi di voi e sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma neppure un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza guadagnerete le anime vostre. Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti; quelli che sono nella città se ne allontanino; quelli che sono per la campagna non entrino in città. Perché quelli sono giorni di vendetta, affinché si adempia tutto quello che è stato scritto. Guai alle donne che saranno incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni! Perché vi sarà grande calamità nel paese e ira su questo popolo. Cadranno sotto il taglio della spada e saranno condotti in cattività fra tutte le genti; Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché i tempi dei Gentili siano compiuti. Vi saranno dei segni nel sole, nella luna e nelle stelle e, sulla terra, angoscia delle nazioni, sbigottite dal rimbombo del mare e delle onde; gli uomini verranno meno per la paurosa attesa di quello che starà per accadere al mondo, poiché le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nuvole con potenza e gran gloria. Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra redenzione è vicina”. E disse loro una parabola: “Guardate il fico e tutti gli alberi; quando cominciano a germogliare, voi, guardando, riconoscete da voi stessi che l’estate è oramai vicina. Così anche voi quando vedrete avvenire queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano aggravati da stravizio, da ubriachezza e dalle ansiose preoccupazioni di questa vita, e che quel giorno non vi venga addosso all’improvviso come un laccio, perché verrà sopra tutti quelli che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate dunque, pregando in ogni tempo, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. Di giorno Gesù insegnava nel tempio, e la notte usciva e la passava sul monte detto degli Ulivi. E tutto il popolo, la mattina di buon’ora, veniva a lui nel tempio per udirlo. La festa degli Azzimi, detta la Pasqua, si avvicinava; e i capi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di farlo morire, perché temevano il popolo. Satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era del numero dei dodici. Egli andò a conferire con i capi sacerdoti e i capitani su come lo avrebbe dato loro nelle mani. Essi se ne rallegrarono e pattuirono di dargli del denaro. Egli fu d’accordo e cercava l’opportunità di farlo di nascosto alla folla. Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva sacrificare la Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni, dicendo: “Andate a prepararci la Pasqua, affinché la mangiamo”. Essi gli dissero: “Dove vuoi che la prepariamo?”. Ed egli disse loro: “Ecco, quando sarete entrati nella città, vi verrà incontro un uomo che porterà una brocca d’acqua; seguitelo nella casa dove egli entrerà. E dite al padrone di casa: ‘Il Maestro ti manda a dire: dov’è la stanza nella quale mangerò la Pasqua con i miei discepoli?’. Ed egli vi mostrerà di sopra una grande sala ammobiliata; lì apparecchiate”. Ed essi andarono, trovarono come egli aveva detto loro e prepararono la Pasqua. E, quando giunse l’ora, egli si mise a tavola, e gli apostoli con lui. Egli disse loro: “Ho grandemente desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima che io soffra, poiché io vi dico che non la mangerò più finché sia compiuta nel regno di Dio”. E, preso un calice, rese grazie e disse: “Prendete questo e distribuitelo fra voi, perché io vi dico che ormai non berrò più del frutto della vigna, finché sia venuto il regno di Dio”. Poi, avendo preso del pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Questo è il mio corpo, il quale è dato per voi: fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice, dicendo: “Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, il quale è sparso per voi”. “Del resto, ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me a tavola. Perché il Figlio dell’uomo, certo, se ne va, come è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!”. Ed essi cominciarono a domandarsi gli uni gli altri chi sarebbe mai stato, tra di loro, a fare questo. Nacque poi anche una contesa fra loro per sapere chi di loro fosse reputato il più grande. Ma egli disse loro: “I re delle nazioni le signoreggiano e quelli che hanno autorità su di esse sono chiamati benefattori. Ma tra voi non deve essere così; anzi, il maggiore fra voi sia come il minore, e chi governa come colui che serve. Poiché chi è maggiore, colui che è a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve. Ora voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io dispongo che vi sia dato un regno, come il Padre mio ha disposto che fosse dato a me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno e sediate su troni per giudicare le dodici tribù d’Israele”. “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano, ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; tu, quando sarai convertito, fortifica i tuoi fratelli”. Ma egli gli disse: “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”. E Gesù: “Pietro, io ti dico che oggi il gallo non canterà, prima che tu abbia negato tre volte di conoscermi”. Poi disse loro: “Quando vi mandai senza borsa, senza sacca da viaggio e senza calzari, vi è mai mancato niente?”. Ed essi risposero: “Niente”. Ed egli disse loro: “Ma ora, chi ha una borsa la prenda; così pure una sacca e chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Poiché io vi dico che questo che è scritto deve essere adempiuto in me: ‘ Ed egli è stato annoverato tra i malfattori ’. Infatti, le cose che si riferiscono a me stanno per compiersi”. Ed essi dissero: “Signore, ecco qui due spade!”. Ma egli disse loro: “Basta!”. Poi, essendo uscito, andò come suo solito al monte degli Ulivi e anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate di non entrare in tentazione”. Egli si separò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava, dicendo: “Padre, se tu vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta”. Un angelo gli apparve dal cielo per rafforzarlo. Ed essendo in agonia, egli pregava ancora più intensamente e il suo sudore divenne come grosse gocce di sangue che cadevano a terra. E, dopo aver pregato, si alzò, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza, e disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, affinché non entriate in tentazione”. Mentre parlava ancora, ecco una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei dodici, la precedeva e si accostò a Gesù per baciarlo. Ma Gesù gli disse: “Giuda, tu tradisci il Figlio dell’uomo con un bacio?”. Quelli che erano con lui, vedendo quel che stava per succedere, dissero: “Signore, dobbiamo colpire con la spada?”. E uno di loro percosse il servo del sommo sacerdote e gli recise l’orecchio destro. Ma Gesù rivolse loro la parola e disse: “Lasciate, basta!”. E toccato l’orecchio di quello, lo guarì. Gesù disse ai capi sacerdoti, ai capitani del tempio e agli anziani che erano venuti contro di lui: “Voi siete usciti con spade e bastoni, come contro a un ladrone; mentre ero ogni giorno con voi nel tempio, non mi avete mai messo le mani addosso, ma questa è la vostra ora e la potenza delle tenebre”. Dopo averlo arrestato, lo portarono via e lo condussero dentro la casa del sommo sacerdote; Pietro seguiva da lontano. Essi accesero un fuoco in mezzo al cortile e vi si misero a sedere intorno; Pietro si sedette in mezzo a loro. Una serva, vedutolo sedere presso il fuoco, e avendolo guardato fisso, disse: “Anche costui era con lui”. Ma egli negò, dicendo: “Donna, io non lo conosco”. Poco dopo, un altro lo vide e disse: “Anche tu sei di quelli”. Ma Pietro rispose: “O uomo, non lo sono”. Trascorsa circa un’ora, un altro affermava lo stesso, dicendo: “Certo, anche costui era con lui, poiché è Galileo”. Ma Pietro disse: “O uomo, io non so quello che dici”. E subito, mentre parlava ancora, il gallo cantò. E il Signore, voltatosi, guardò Pietro e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti oggi, tu mi rinnegherai tre volte”. E uscito fuori pianse amaramente. Gli uomini che tenevano Gesù, lo schernivano percuotendolo; e, avendolo bendato, gli domandavano: “Indovina, profeta, chi ti ha percosso?”. E molte altre cose dicevano contro di lui, bestemmiando. Appena fu giorno, gli anziani del popolo, i capi sacerdoti e gli scribi si radunarono e lo condussero nel loro Sinedrio, dicendo: “Se tu sei il Cristo, diccelo”. Ma egli disse loro: “Se ve lo dicessi, non credereste e, se io vi facessi delle domande, non rispondereste. Ma da ora in avanti il Figlio dell’uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio ”. E tutti dissero: “Sei tu dunque il Figlio di Dio?”. Ed egli rispose loro: “Voi lo dite, poiché io lo sono”. E quelli dissero: “Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? Noi stessi lo abbiamo udito dalla sua bocca”. Poi tutta l’assemblea si alzò e lo condussero da Pilato. E cominciarono ad accusarlo, dicendo: “Abbiamo trovato costui che sovvertiva la nostra nazione, vietava di pagare i tributi a Cesare e diceva di essere lui il Cristo re”. Pilato lo interrogò, dicendo: “Sei tu il re dei Giudei?”. Ed egli, rispondendo, gli disse: “Tu lo dici”. Allora Pilato disse ai capi sacerdoti e alla folla: “Io non trovo nessuna colpa in quest’uomo”. Ma essi insistevano, dicendo: “Egli solleva il popolo insegnando per tutta la Giudea; ha cominciato dalla Galilea ed è giunto fin qui”. Quando Pilato udì questo, domandò se quell’uomo fosse Galileo. E, saputo che egli era della giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode, perché anche lui era a Gerusalemme in quei giorni. Erode, come vide Gesù, se ne rallegrò grandemente, perché da lungo tempo desiderava vederlo, avendo sentito parlare di lui, e sperava di vedergli fare qualche miracolo. Gli rivolse molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. Ora i capi sacerdoti e gli scribi stavano là, accusandolo con veemenza. Erode, con i suoi soldati, dopo averlo insultato e schernito, lo vestì di un manto splendido e lo rimandò a Pilato. In quel giorno, Erode e Pilato divennero amici, prima infatti erano stati nemici. Pilato, riuniti i capi sacerdoti, i magistrati e il popolo, disse loro: “Voi mi avete fatto comparire davanti quest’uomo come sovvertitore del popolo ed ecco, dopo averlo esaminato in vostra presenza, non ho trovato in lui nessuna delle colpe di cui lo accusate e neppure Erode, poiché egli l’ha rimandato a noi; ed ecco, egli non ha fatto nulla che sia degno di morte. Io dunque, dopo averlo castigato, lo libererò”. [Ora egli era in obbligo di liberare loro un carcerato in occasione della festa.] Ma essi gridarono tutti insieme: “Fa’ morire costui e liberaci Barabba!”. Barabba era stato messo in prigione a motivo di una insurrezione avvenuta in città e di un omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, desiderando liberare Gesù, ma essi gridavano: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. Per la terza volta egli disse loro: “Ma che male ha fatto? Io non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Io dunque, dopo averlo castigato, lo libererò”. Ma essi insistevano con gran grida, chiedendo che fosse crocifisso e le loro grida finirono con avere il sopravvento. Allora Pilato sentenziò che fosse fatto quello che domandavano. Liberò colui che era stato messo in prigione per insurrezione e omicidio e che essi avevano richiesto, ma abbandonò Gesù alla loro volontà. Mentre lo portavano via, presero un certo Simone, Cireneo, che veniva dalla campagna, e gli misero addosso la croce perché la portasse dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che facevano cordoglio e lamento per lui. Ma Gesù, voltatosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli. Perché, ecco, vengono i giorni nei quali si dirà: ‘Beate le sterili, i grembiche non hanno partorito e i seni che non hanno allattato’. Allora inizieranno a dire ai monti: ‘ Cadeteci addosso ’; e ai colli: ‘ Copriteci ’. Poiché, se fanno queste cose al legno verde, che cosa sarà fatto al secco?”. Ora altri due, malfattori, erano condotti con lui per essere messi a morte. Quando furono giunti al luogo detto “il Teschio”, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Poi, dividendo le sue vesti, le trassero a sorte. Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: “Ha salvato altri, salvi sé stesso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio!”. E pure i soldati lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell’aceto e dicendo: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!”. Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: “Questo è il Re dei Giudei”. Uno dei malfattori appesi lo ingiuriava, dicendo: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. Ma l’altro, rispondendo, lo sgridava e diceva: “Non hai nemmeno timore di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? Per noi è giusto, perché riceviamo la giusta pena per le nostre azioni, ma costui non ha fatto nulla di male”. E diceva: “Gesù, ricordati di me quando verrai nel tuo regno!”. E Gesù gli disse: “Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso”. Era circa l’ora sesta e si fecero tenebre per tutto il paese, fino all’ora nona, essendosi oscurato il sole. La cortina del tempio si squarciò nel mezzo. E Gesù, gridando con gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito”. E, detto questo. spirò. Il centurione, visto ciò che era accaduto, glorificava Dio, dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”. E tutta la folla che assisteva a questo spettacolo, viste le cose che erano accadute, se ne tornava battendosi il petto. Ma tutti i suoi conoscenti e le donne che lo avevano accompagnato dalla Galilea, stavano a guardare queste cose da lontano. Ed ecco un uomo di nome Giuseppe, membro del Consiglio, uomo buono e giusto, il quale non aveva consentito alla deliberazione e all’operato degli altri; egli era di Arimatea, città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si recò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. E, calatolo giù dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo pose in una tomba scavata nella roccia, dove nessuno era ancora stato deposto. Era il giorno della Preparazione e stava per cominciare il sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea, avendo seguito Giuseppe, guardarono la tomba e come vi era stato deposto il corpo di Gesù. Poi, tornate indietro, prepararono aromi e oli profumati. Durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento. Il primo giorno della settimana, la mattina molto presto, esse si recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparato. E trovarono la pietra rotolata dal sepolcro. Ma, essendo entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre se ne stavano perplesse di ciò, ecco che apparvero davanti a loro due uomini in vesti sfolgoranti; essendo impaurite, chinarono il viso a terra ed essi dissero loro: “Perché cercate il vivente fra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordatevi come egli vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell’uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori, essere crocifisso e il terzo giorno risuscitare”. Esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri. Quelle che dissero queste cose agli apostoli erano: Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo e le altre donne che erano con loro. Quelle parole parvero loro un vaneggiare, e non credettero alle donne. Ma Pietro, alzatosi, corse al sepolcro; essendosi chinato a guardare, vide soltanto le fasce e se ne andò meravigliandosi fra sé stesso di quello che era avvenuto. Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi, e parlavano tra loro di tutte le cose che erano accadute. Mentre parlavano e discutevano insieme, Gesù stesso si accostò e cominciò a camminare con loro. Ma i loro occhi erano impediti così da non riconoscerlo. Egli domandò loro: “Di che parlate fra di voi lungo il cammino?”. Ed essi si fermarono tutti tristi. Uno dei due, di nome Cleopa, rispondendo, gli disse: “Tu solo tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che vi sono avvenute in questi giorni?”. Ed egli disse loro: “Quali?”. Essi gli risposero: “Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo; di come i capi sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui che avrebbe riscattato Israele, invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono avvenute queste cose. È vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire; essendo andate la mattina di buon’ora al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli vive. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato la cosa così come avevano detto le donne, ma lui non lo hanno visto”. Allora Gesù disse loro: “O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! Non era necessario che il Cristo soffrisse queste cose ed entrasse quindi nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano. Quando si furono avvicinati al villaggio dove andavano, egli fece come se volesse andare oltre. Essi gli fecero forza, dicendo: “Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno è già declinato”. Ed egli entrò per rimanere con loro. Quando si fu messo a tavola con loro, prese il pane, lo benedisse e, spezzatolo, lo diede loro. Allora gli occhi loro furono aperti e lo riconobbero, ma egli scomparve alla loro vista. Ed essi dissero l’uno all’altro: “Non ardeva il nostro cuore dentro di noi, mentre egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?”. E, alzatisi in quella stessa ora, tornarono a Gerusalemme e trovarono riuniti gli undici e quelli che erano con loro, i quali dicevano: “Il Signore è veramente risuscitato ed è apparso a Simone”. Essi pure raccontarono le cose avvenute loro per la via e come era stato riconosciuto da loro nello spezzare il pane. Ora, mentre essi parlavano di queste cose, Gesù stesso comparve in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Ma essi, smarriti e impauriti, pensavano di vedere uno spirito. Ed egli disse loro: “Perché siete turbati? E perché vi sorgono in cuore tali pensieri? Guardate le mie mani e i miei piedi, perché sono proprio io; toccatemi e guardate, perché uno spirito non ha carne e ossa come vedete che ho io”. E, detto questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma, siccome per la gioia non credevano ancora e si stupivano, disse loro: “Avete qui nulla da mangiare?”. Essi gli porsero un pezzo di pesce arrostito, egli lo prese e mangiò in loro presenza. Poi disse loro: “Queste sono le cose che io vi dicevo quando ero ancora con voi: che era necessario che tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi, fossero adempiute”. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture, e disse loro: “Così è scritto: che il Cristo avrebbe sofferto, sarebbe risuscitato dai morti il terzo giorno e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento e il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. Voi siete testimoni di queste cose. Ed, ecco, io mando su voi quello che il Padre mio ha promesso; quanto a voi, rimanete in questa città, finché dall’alto siate rivestiti di potenza”. Poi li condusse fuori fin presso Betania e, alzate in alto le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si separò da loro e fu portato su nel cielo. Essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; ed erano continuamente nel tempio, benedicendo Dio. Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. In lei era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno sopraffatta. Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. La vera luce che illumina ogni uomo stava per venire nel mondo. Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha conosciuto. È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli, cioè, che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio. E la Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell’Unigenito venuto dal Padre. Giovanni gli ha reso testimonianza, esclamando: “Ecco colui di cui io dissi: ‘Colui che viene dietro a me mi ha preceduto, perché era prima di me’”. Infatti, è dalla sua pienezza che noi tutti abbiamo ricevuto, grazia sopra grazia. Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo. Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quel che l’ha fatto conoscere. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei mandarono da Gerusalemme dei sacerdoti e dei leviti per domandargli: “Tu chi sei?”. Ed egli lo confessò e non lo negò; lo confessò, dicendo: “Io non sono il Cristo”. Essi gli domandarono: “Chi sei dunque? Sei Elia?”. Egli rispose: “Non lo sono”. “Sei tu il profeta?”. Egli rispose: “No”. Essi dunque gli dissero: “Chi sei? Affinché diamo una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che dici tu di te stesso?”. Egli disse: “Io sono la voce di uno che grida nel deserto: ‘Raddrizzate la via del Signore’, come ha detto il profeta Isaia”. Quelli che erano stati mandati a lui erano dei farisei e gli domandarono: “Perché dunque battezzi, se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”. Giovanni rispose loro, dicendo: “Io battezzo in acqua; in mezzo a voi è presente uno che voi non conoscete, colui che viene dietro a me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari”. Queste cose avvennero in Betania al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! Questi è colui del quale dicevo: ‘Dietro a me viene un uomo che mi ha preceduto, perché egli era prima di me’. Io non lo conoscevo, ma, appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua”. Giovanni rese la sua testimonianza, dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi ha mandato a battezzare in acqua mi ha detto: ‘Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi è quello che battezza con lo Spirito Santo’. E io ho visto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio”. Il giorno seguente Giovanni era di nuovo là con due dei suoi discepoli e, avendo fissato lo sguardo su Gesù che stava passando, disse: “Ecco l’Agnello di Dio!”. I suoi due discepoli, avendolo udito parlare, seguirono Gesù. Gesù, voltatosi e osservando che lo seguivano, domandò loro: “Che cercate?”. Ed essi gli dissero: “Rabbì (che, interpretato, vuol dire: ‘Maestro’), dove abiti?”. Egli rispose loro: “Venite e vedrete”. Essi dunque andarono, videro dove abitava e stettero con lui quel giorno. Era circa la decima ora. Andrea, il fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano udito Giovanni e avevano seguito Gesù. Egli per primo trovò suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” (che, interpretato, vuol dire: ‘Cristo’) e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; tu sarai chiamato Cefa” (che significa Pietro). Il giorno seguente Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: “Seguimi”. Filippo era di Betsaida, della città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù figlio di Giuseppe, da Nazaret”. E Natanaele gli disse: “Può forse venire qualcosa di buono da Nazaret?”. Filippo gli rispose: “Vieni a vedere”. Gesù vide Natanaele che gli veniva incontro e disse di lui: “Ecco un vero israelita in cui non c’è frode”. Natanaele gli chiese: “Da cosa mi conosci?”. Gesù gli rispose: “Prima che Filippo ti chiamasse, quand’eri sotto il fico, io ti ho visto”. Natanaele gli rispose: “Maestro, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re di Israele”. Gesù rispose e gli disse: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, tu credi? Tu vedrai cose maggiori di queste”. Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico che vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”. Tre giorni dopo, ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. Alle nozze fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. Gesù le disse: “Che c’è fra me e te, o donna? La mia ora non è ancora venuta”. Sua madre disse ai servitori: “Fate tutto quello che vi dirà”. C’erano là sei pile di pietra, destinate alla purificazione dei Giudei, le quali contenevano ciascuna due o tre misure. Gesù disse loro: “Riempite di acqua le pile”. Ed essi le riempirono fino all’orlo. Poi disse loro: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l’acqua che era diventata vino (egli non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano bene i servitori che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Ognuno serve prima il vino buono, e, quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai conservato il vino buono fino a ora”. Gesù fece questo primo dei suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo, scese a Capernaum, egli con sua madre, con i suoi fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là non molti giorni. La Pasqua dei Giudei era vicina e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio quelli che vendevano buoi, pecore e colombi, e i cambiamonete seduti. Fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio, pecore e buoi; sparpagliò il denaro dei cambiamonete e rovesciò le tavole; a quelli che vendevano i colombi disse: “Portate via di qui queste cose; non fate della casa del Padre mio una casa di mercato”. E i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi consuma”. I Giudei allora presero a dirgli: “Quale segno ci mostri tu che fai queste cose?”. Gesù rispose loro: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Allora i Giudei dissero: “Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio e tu lo faresti risorgere in tre giorni?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando dunque fu risorto dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla parola che Gesù aveva detta. Mentre egli era in Gerusalemme, alla festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome vedendo i miracoli che egli faceva. Ma Gesù non si fidava di loro, perché conosceva tutti, e perché non aveva bisogno della testimonianza di nessuno sull’uomo, poiché egli stesso conosceva quello che era nell’uomo. C’era tra i farisei un uomo, chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte a Gesù e gli disse: “Maestro, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio, perché nessuno può fare questi miracoli che tu fai, se Dio non è con lui”. Gesù gli rispose dicendo: “In verità, in verità io ti dico che se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio”. Nicodemo gli disse: “Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?”. Gesù rispose: “In verità, in verità io ti dico che, se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: ‘Bisogna che nasciate di nuovo’. Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Nicodemo replicò e gli disse: “Come possono avvenire queste cose?”. Gesù gli rispose: “Tu sei il dottore di Israele e non sai queste cose? In verità, in verità io ti dico che noi parliamo di quello che sappiamo e testimoniamo di quello che abbiamo visto, ma voi non ricevete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato delle cose terrene e non credete, come crederete se vi parlerò delle cose celesti? E nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell’uomo che è nel cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Poiché chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, perché le sue opere non siano riprovate, ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifestate, perché sono fatte in Dio”. Dopo queste cose, Gesù venne con i suoi discepoli nelle campagne della Giudea; là si trattenne con loro e battezzava. Anche Giovanni stava battezzando a Enon, presso Salim, perché là c’era molta acqua e la gente veniva a farsi battezzare. Poiché Giovanni non era ancora stato messo in prigione. Nacque dunque una discussione sulla purificazione fra i discepoli di Giovanni e un Giudeo. E andarono a Giovanni e gli dissero: “Maestro, colui che era con te di là dal Giordano e al quale tu rendesti testimonianza, eccolo che battezza e tutti vanno da lui”. Giovanni rispose, dicendo: “L’uomo non può ricevere nulla, se non gli è dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: ‘Io non sono il Cristo, ma sono mandato davanti a lui’. Colui che ha la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, si rallegra grandemente alla voce dello sposo; questa gioia, che è la mia, è perciò completa. Bisogna che egli cresca e che io diminuisca. Colui che viene dall’alto è sopra tutti; colui che viene dalla terra è della terra e parla come uno della terra; colui che viene dal cielo è sopra tutti. Egli rende testimonianza di quello che ha visto e udito, ma nessuno riceve la sua testimonianza. Chi ha ricevuto la sua testimonianza ha confermato che Dio è verace. Poiché colui che Dio ha mandato, dice le parole di Dio, perché Dio non gli dà lo Spirito con misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato ogni cosa in mano. Chi crede nel Figlio ha vita eterna; chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio resta sopra lui”. Quando dunque il Signore ebbe saputo che i farisei avevano udito che egli faceva e battezzava più discepoli di Giovanni (sebbene non fosse Gesù che battezzava, ma i suoi discepoli), lasciò la Giudea e se ne andò di nuovo in Galilea. Ora doveva passare per la Samaria. Giunse dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al podere che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe; e là c’era la fonte di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del cammino, stava così a sedere presso la fonte. Era circa l’ora sesta. Una donna samaritana venne ad attingere l’acqua. Gesù le disse: “Dammi da bere” (Perché i suoi discepoli erano andati in città a comprare da mangiare). La samaritana allora gli disse: “Come mai tu che sei giudeo chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?”. Infatti i Giudei non hanno relazioni con i Samaritani. Gesù rispose e le disse: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: ‘Dammi da bere’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva”. La donna gli disse: “Signore, tu non hai nulla per attingere e il pozzo è profondo, dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu più grande di Giacobbe nostro padre che ci diede questo pozzo e ne bevve egli stesso con i suoi figli e il suo bestiame?”. Gesù rispose e le disse: “Chiunque beve di quest’acqua avrà sete di nuovo, ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”. La donna gli disse: “Signore, dammi di quest’acqua, affinché io non abbia più sete e non venga più fin qui ad attingere”. Gesù le disse: “Va’ a chiamare tuo marito e vieni qua”. La donna gli rispose: “Non ho marito”. E Gesù: “Hai detto bene: ‘Non ho marito’, perché hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. La donna gli disse: “Signore, io vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato su questo monte, ma voi dite che è a Gerusalemme il luogo dove bisogna adorare”. Gesù le disse: “Donna, credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, poiché tali sono gli adoratori che il Padre richiede. Dio è spirito e quelli che l’adorano bisogna che lo adorino in spirito e verità”. La donna gli disse: “Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; quando sarà venuto, ci annuncerà ogni cosa”. Gesù le disse: “Sono io che ti parlo!”. In quel mentre giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che egli parlasse con una donna, ma pure nessuno gli chiese: “Che cerchi?” o: “Perché discorri con lei?”. La donna lasciò dunque la sua secchia, se ne andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non potrebbe essere lui il Cristo?”. La gente uscì dalla città e veniva a lui. Intanto i discepoli lo pregavano, dicendo: “Maestro, mangia”. Ma egli disse loro: “Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete”. Perciò i discepoli si dicevano l’uno all’altro: “Forse qualcuno gli ha portato da mangiare?”. Gesù disse loro: “Il mio cibo è di fare la volontà di colui che mi ha mandato e di compiere l’opera sua. Non dite voi che ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Alzate gli occhi e guardate le campagne come già sono bianche da mietere. Il mietitore riceve premio e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme. Poiché in questo è vero il detto: ‘L’uno semina e l’altro miete’. Io vi ho mandati a mietere là dove non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete entrati nella loro fatica”. Molti Samaritani di quella città credettero in lui a motivo della testimonianza resa da quella donna: “Egli mi ha detto tutte le cose che ho fatto”. Quando dunque i Samaritani andarono da lui, lo pregarono di trattenersi da loro ed egli si trattenne là due giorni. E molti di più credettero a motivo della sua parola e dicevano alla donna: “Non è più a motivo di quel che tu ci hai detto, che crediamo, perché abbiamo udito da noi e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”. Passati quei due giorni, egli partì di là per andare in Galilea, poiché Gesù stesso aveva attestato che un profeta non è onorato nella sua patria. Quando dunque fu venuto in Galilea, fu accolto dai Galilei, perché avevano visto tutte le cose che egli aveva fatto in Gerusalemme alla festa, poiché anch’essi erano andati alla festa. Gesù dunque venne di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un ufficiale del re, il cui figlio era infermo a Capernaum. Come egli ebbe udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, andò a lui e lo pregò che scendesse e guarisse suo figlio, perché stava per morire. Perciò Gesù gli disse: “Se non vedete segni e miracoli, voi non crederete”. L’ufficiale reale gli disse: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli disse: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e se ne andò. E, come già stava scendendo, i suoi servitori gli vennero incontro e gli dissero: “Tuo figlio vive”. Allora egli domandò loro a che ora avesse cominciato a stare meglio ed essi gli risposero: “Ieri, all’ora settima, la febbre lo lasciò”. Così il padre riconobbe che ciò era avvenuto nell’ora in cui Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive” e credette, lui con tutta la sua casa. Questo fu il secondo miracolo fatto da Gesù, tornando dalla Giudea in Galilea. Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Ora a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c’è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. Sotto questi portici giaceva un gran numero d’infermi, di ciechi, di zoppi e di paralitici, [i quali aspettavano l’agitarsi dell’acqua, perché un angelo, in determinati momenti, scendeva nella vasca e agitava l’acqua e il primo che vi scendeva, dopo che l’acqua era stata agitata, era guarito di qualunque malattia fosse colpito.] Là c’era un uomo, che da trentotto anni era infermo. Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: “Vuoi essere guarito?”. L’infermo gli rispose: “Signore, io non ho nessuno che, quando l’acqua è mossa, mi metta nella vasca e, mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me”. Gesù gli disse: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. In quell’istante quell’uomo fu risanato e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare. Quel giorno era un sabato, perciò i Giudei dissero all’uomo guarito: “È sabato e non ti è lecito portare il tuo lettuccio”. Ma egli rispose loro: “È colui che mi ha guarito, che mi ha detto: ‘Prendi il tuo lettuccio e cammina’”. Essi gli domandarono: “Chi è quell’uomo che ti ha detto: ‘Prendi il tuo lettuccio e cammina?’”. Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse, infatti Gesù si era allontanato, essendovi molta gente in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco, tu sei guarito; non peccare più, che non ti accada di peggio”. Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che colui che lo aveva risanato era Gesù. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo, perché faceva quelle cose di sabato. Gesù rispose loro: “Il Padre mio opera fino a ora e anche io opero”. Perciò dunque i Giudei più che mai cercavano di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù quindi rispose e disse loro: “In verità, in verità io vi dico che il Figlio non può da sé stesso fare cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre, perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente. Poiché il Padre ama il Figlio, e gli mostra tutto quello che egli fa e gli mostrerà delle opere maggiori di queste, affinché ne restiate meravigliati. Difatti, come il Padre risuscita i morti e li vivifica, così anche il Figlio vivifica chi vuole. Oltre a ciò, il Padre non giudica nessuno, ma ha affidato tutto il giudizio al Figlio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che l’ha mandato. In verità, in verità io vi dico: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: L’ora viene, anzi è già venuta, che i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno udita, vivranno. Perché come il Padre ha vita in sé stesso, così ha dato anche al Figlio di avere vita in sé stesso e gli ha dato autorità di giudicare, perché è il Figlio dell’uomo. Non vi meravigliate di questo, perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne verranno fuori: quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita e quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio. Io non posso fare nulla da me stesso; come odo, giudico e il mio giudizio è giusto, perché cerco non la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. “Se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza non è vera. Vi è un altro che rende testimonianza di me; e io so che la testimonianza che egli rende di me è vera. Voi avete mandato a interrogare Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. Io però la testimonianza non la prendo dall’uomo, ma dico questo affinché voi siate salvati. Egli era la lampada ardente e splendente, e voi avete voluto per breve tempo godere alla sua luce. Ma io ho una testimonianza maggiore di quella di Giovanni; perché le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle opere stesse che faccio, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. Il Padre che mi ha mandato, ha egli stesso reso testimonianza di me. La sua voce voi non l’avete mai udita, né avete mai visto il suo volto e la sua parola non dimora in voi, perché non credete in colui che egli ha mandato. Voi investigate le Scritture, perché pensate di avere per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me, eppure non volete venire a me per avere la vita! Io non prendo gloria dagli uomini, ma io vi conosco, so che non avete l’amore di Dio in voi. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, voi lo riceverete. Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo? Non crediate che sia io colui che vi accuserà davanti al Padre; c’è chi vi accusa ed è Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Perché, se credeste a Mosè, credereste anche a me, poiché egli ha scritto di me. Ma, se non credete ai suoi scritti, come crederete alle mie parole?”. Dopo queste cose, Gesù se ne andò all’altra riva del mar di Galilea, che è il mar di Tiberiade. E una gran folla lo seguiva, perché vedeva i miracoli che egli faceva sugli infermi. Ma Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Ora la Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina. Gesù dunque, alzàti gli occhi e vedendo che una gran folla veniva a lui, disse a Filippo: “Dove compreremo noi del pane perché questa gente abbia da mangiare?”. Diceva così per provarlo, perché sapeva bene quel che stava per fare. Filippo gli rispose: “Duecento denari di pane non bastano perché ciascuno ne riceva un pezzetto”. Uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro, gli disse: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma che cosa sono per tanta gente?”. Gesù disse: “Fateli sedere”. C’era molta erba in quel luogo. La gente dunque si sedette ed erano circa cinquemila uomini. Gesù quindi prese i pani e, dopo aver rese grazie, li distribuì alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci, quanto volevano. Quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla se ne perda”. Essi quindi li raccolsero e riempirono dodici ceste di pezzi che di quei cinque pani d’orzo erano avanzati a quelli che avevano mangiato. La gente dunque, avendo visto il miracolo che Gesù aveva fatto, disse: “Costui è certamente il profeta che deve venire nel mondo”. Gesù quindi, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo. Quando fu sera, i suoi discepoli scesero al mare e, montati in una barca, si dirigevano all’altra riva, verso Capernaum. Già era buio e Gesù non era ancora venuto da loro. Il mare era agitato, perché tirava un gran vento. Come ebbero remato circa venticinque o trenta stadi, videro Gesù che camminava sul mare e si accostava alla barca ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Sono io, non temete”. Essi dunque lo vollero prendere nella barca e subito la barca toccò terra là dove erano diretti. Il giorno seguente la folla, che era rimasta all’altra riva del mare, aveva notato che là non c’era altro che una barca sola e che Gesù non vi era entrato con i suoi discepoli, ma che i discepoli erano partiti soli. Altre barche erano giunte da Tiberiade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie. La folla dunque, quando l’indomani ebbe visto che Gesù non era là, né che c’erano i suoi discepoli, montò in quelle barche e venne a Capernaum in cerca di Gesù. Trovatolo al di là del mare, gli dissero: “Maestro, quando sei giunto qui?”. Gesù rispose loro e disse: “In verità, in verità vi dico che voi mi cercate, non perché avete visto dei miracoli, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati. Adoperatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna, il quale il Figlio dell’uomo vi darà, poiché su lui il Padre, cioè Dio, ha apposto il proprio sigillo”. Essi dunque gli dissero: “Che dobbiamo fare per operare le opere di Dio?”. Gesù rispose e disse loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”. Allora essi gli dissero: “Quale segno fai tu dunque perché lo vediamo e ti crediamo? Che operi? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, com’è scritto: ‘Egli diede loro da mangiare del pane venuto dal cielo’ ”. Gesù disse loro: “In verità vi dico che non Mosè vi ha dato il pane che viene dal cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane che viene dal cielo. Poiché il pane di Dio è quello che scende dal cielo e dà vita al mondo”. Essi quindi gli dissero: “Signore, dacci sempre di questo pane”. Gesù disse loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà mai piùsete. Ma io ve l’ho detto: ‘Voi mi avete visto, eppure non credete!’. Tutto quello che il Padre mi dà, verrà a me e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori; perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di tutto quello che egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Perciò i Giudei mormoravano di lui, perché aveva detto: “Io sono il pane che è disceso dal cielo”. E dicevano: “Non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre? Come mai ora dice: ‘Io sono disceso dal cielo?’”. Gesù rispose e disse loro: “Non mormorate fra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. È scritto nei profeti: ‘Saranno tutti istruiti da Dio ’. Ogni uomo che ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Perché nessuno ha visto il Padre, se non colui che è da Dio; egli ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: Chi crede ha vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane che discende dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo”. I Giudei dunque disputavano fra di loro, dicendo: “Come può costui darci da mangiare la sua carne?”. Perciò Gesù disse loro: “In verità, in verità io vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me. Questo è il pane che è disceso dal cielo; non come quello che i padri mangiarono e morirono; chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga di Capernaum. Perciò molti dei suoi discepoli, dopo averlo ascoltato, dissero: “Questo parlare è duro; chi lo può ascoltare?”. Ma Gesù, conoscendo in sé stesso che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: “Questo vi scandalizza? E che sarebbe se vedeste il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima? È lo Spirito che vivifica; la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Ma fra di voi ci sono alcuni che non credono”. Poiché Gesù sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre”. Da allora molti suoi discepoli si trassero indietro e non andavano più con lui. Perciò Gesù disse ai dodici: “Non ve ne volete andare anche voi?”. Simon Pietro gli rispose: “Signore, da chi ce ne andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Gesù rispose loro: “Non ho io scelto voi dodici? Eppure uno di voi è un diavolo”. Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota, perché era lui, uno di quei dodici, che stava per tradirlo. Dopo queste cose, Gesù se ne andava per la Galilea, infatti non voleva più andare per la Giudea perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Ora la festa dei Giudei, detta delle Capanne, era vicina. Perciò i suoi fratelli gli dissero: “Parti di qua e vattene in Giudea, affinché i tuoi discepoli vedano anche loro le opere che tu fai. Poiché nessuno fa cosa alcuna in segreto, quando cerca di essere riconosciuto pubblicamente. Se tu fai queste cose, manifestati al mondo”. Poiché neppure i suoi fratelli credevano in lui. Gesù quindi disse loro: “Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo, invece, è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi, ma odia me perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie. Salite voi alla festa; io non salgo ancora a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto”. E, dette loro queste cose, rimase in Galilea. Quando poi i suoi fratelli furono saliti alla festa, allora vi salì anche lui; non palesemente, ma come di nascosto. I Giudei dunque lo cercavano durante la festa e dicevano: “Lui dov’è?”. Vi era tra la folla un gran mormorio riguardo a lui. Alcuni dicevano: “È un uomo perbene!”. Altri dicevano: “No, anzi svia la gente!”. Nessuno però parlava di lui apertamente, per paura dei Giudei. Verso la metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. Perciò i Giudei si meravigliavano e dicevano: “Come mai costui conosce così bene le Scritture, senza aver fatto studi?”. E Gesù rispose loro: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Se uno vuol fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio. Chi parla di suo cerca la propria gloria, ma chi cerca la gloria di colui che l’ha mandato è veritiero e non c’è ingiustizia in lui. Mosè non vi ha forse dato la legge? Eppure nessuno di voi mette in pratica la legge! Perché cercate d’uccidermi?”. La gente rispose: “Tu hai un demonio! Chi cerca d’ucciderti?”. Gesù rispose e disse loro: “Un’opera sola ho fatto e tutti ve ne meravigliate. Mosè vi ha dato la circoncisione (non che venga da Mosè, ma viene dai padri) e voi circoncidete l’uomo in giorno di sabato. Se un uomo riceve la circoncisione di sabato affinché la legge di Mosè non sia violata, voi vi adirate contro di me perché in giorno di sabato ho guarito un uomo tutto intero? Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate con giusto giudizio”. Alcuni di Gerusalemme dicevano: “Non è questi colui che cercano di uccidere? Eppure, ecco, egli parla liberamente e non gli dicono nulla. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Eppure costui sappiamo di dov’è ma, quando il Cristo verrà, nessuno saprà di dove egli sia”. Gesù dunque, insegnando nel tempio, esclamò: “Voi mi conoscete e sapete di dove sono, però io non sono venuto da me, ma colui che mi ha mandato è verità e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed è Lui che mi ha mandato”. Cercavano perciò di arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso, perché la sua ora non era ancora venuta. Ma molti della folla credettero in lui e dicevano: “Quando il Cristo sarà venuto, farà più miracoli di quanti ne abbia fatti costui?”. I farisei udirono la gente mormorare queste cose di lui; e i capi sacerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo. Perciò Gesù disse loro: “Io sono ancora con voi per poco tempo, poi me ne vado a colui che mi ha mandato. Voi mi cercherete e non mi troverete e dove io sarò voi non potete venire”. Perciò i Giudei dissero fra loro: “Dove dunque andrà egli che noi non lo troveremo? Andrà forse a quelli che sono dispersi fra i Greci a insegnare ai Greci? Che significa questo suo dire: ‘Voi mi cercherete e non mi troverete’; e: ‘Dove io sarò voi non potete venire’”? Nell’ultimo giorno, il gran giorno della festa, Gesù, stando in piedi, esclamò: “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Disse questo dello Spirito che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui, poiché lo Spirito non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato. Dunque una parte della gente, udite quelle parole, diceva: “Costui è davvero il profeta”. Altri dicevano: “Questi è il Cristo”. Altri, invece, dicevano: “Ma è forse dalla Galilea che viene il Cristo? La Scrittura non ha forse detto che il Cristo viene dalla discendenza di Davide e da Betlemme, il villaggio dove stava Davide?”. Vi fu dunque dissenso fra la gente, a causa sua; e alcuni di loro lo volevano arrestare, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie dunque tornarono dai capi sacerdoti e dai farisei, i quali dissero loro: “Perché non l’avete condotto?”. Le guardie risposero: “Nessun uomo parlò mai come quest’uomo!”. Perciò i farisei replicarono loro: “Siete stati sedotti anche voi? Qualcuno dei capi o dei farisei ha forse creduto in lui? Ma questa plebe, che non conosce la legge, è maledetta!”. Nicodemo (uno di loro, quello che prima era andato da lui) disse loro: “La nostra legge giudica forse un uomo prima che sia stato udito e che si sappia quello che ha fatto?”. Essi gli risposero: “Sei anche tu della Galilea? Investiga e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta”. E ognuno se ne andò a casa sua. Gesù andò al monte degli Ulivi. Sul far del giorno tornò nel tempio, tutto il popolo venne a lui ed egli, sedutosi, li istruiva. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna còlta in adulterio e, fattala stare in mezzo, gli dissero: “Maestro, questa donna è stata còlta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa; tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzatosi, disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e, accusati dalla loro coscienza, uscirono uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi, e non vedendo altri che la donna, le disse: “Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?”. Ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più”. Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: “Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Allora i farisei gli dissero: “Tu testimoni di te stesso; la tua testimonianza non è vera”. Gesù rispose e disse loro: “Anche se io testimonio di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado, ma voi non sapete da dove vengo né dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E, anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma sono io con il Padre che mi ha mandato. D’altronde nella vostra legge è scritto che la testimonianza di due uomini è vera. Ora sono io a testimoniare di me stesso e anche il Padre che mi ha mandato testimonia di me”. Essi perciò gli dissero: “Dov’è tuo padre?”. Gesù rispose: “Voi non conoscete né me né il Padre mio: se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio”. Gesù disse queste parole nel luogo del tesoro, insegnando nel tempio, e nessuno lo prese, perché la sua ora non era ancora venuta. Egli dunque disse loro di nuovo: “Io me ne vado e voi mi cercherete, e morirete nel vostro peccato; dove vado io, voi non potete venire”. Perciò i Giudei dicevano: “Si ucciderà forse, poiché dice: ‘Dove vado io voi non potete venire’?”. Egli diceva loro: “Voi siete di quaggiù; io sono di lassù; voi siete di questo mondo; io non sono di questo mondo. Perciò vi ho detto che morirete nei vostri peccati, perché, se non credete che io sono [il Cristo], morirete nei vostri peccati”. Allora gli domandarono: “Chi sei tu?”. Gesù rispose loro: “Sono ciò che vi ho detto da principio. Ho molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto, ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui le dico al mondo”. Essi non capirono che egli parlava loro del Padre. Gesù dunque disse loro: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono [il Cristo] e che non faccio nulla da me, ma dico queste cose come il Padre mi ha insegnato. E colui che mi ha mandato è con me; egli non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli piacciono”. Mentre egli parlava così, molti credettero in lui. Gesù allora prese a dire a quei Giudei che avevano creduto in lui: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Essi gli risposero: “Noi siamo discendenza d’Abraamo e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: ‘Voi diverrete liberi’?”. Gesù rispose loro: “In verità, in verità vi dico che chi commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non dimora per sempre nella casa: il figlio vi dimora per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi. Io so che siete discendenza di Abraamo; ma cercate di uccidermi, perché la mia parola non penetra in voi. Io dico quel che ho visto presso il Padre mio e voi pure fate le cose che avete udito dal padre vostro”. Essi risposero e gli dissero: “Nostro padre è Abraamo”. Gesù disse loro: “Se foste figli di Abraamo, fareste le opere di Abraamo, ma ora cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità che ho udito da Dio; Abraamo non fece così. Voi fate le opere del padre vostro”. Essi gli dissero: “Noi non siamo nati da fornicazione; abbiamo un solo Padre: Dio”. Gesù disse loro: “Se Dio fosse vostro Padre, amereste me, perché io sono proceduto e vengo da Dio, perché io non sono venuto da me, ma è Lui che mi ha mandato. Perché non comprendete il mio parlare? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi siete dal diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è bugiardo e padre della menzogna. E a me, perché dico la verità, voi non credete. Chi di voi mi convince di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate; perché non siete da Dio”. I Giudei risposero e gli dissero: “Non diciamo noi bene che sei un Samaritano e che hai un demonio?”. Gesù rispose: “Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Ma io non cerco la mia gloria; c’è Uno che la cerca e che giudica. In verità, in verità vi dico che, se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte”. I Giudei gli dissero: “Ora sappiamo che tu hai un demonio. Abraamo e i profeti sono morti e tu dici: ‘Se uno osserva la mia parola, non gusterà mai la morte’. Sei tu forse maggiore di nostro padre Abraamo, il quale è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?”. Gesù rispose: “Se io glorifico me stesso, la mia gloria è un nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, che voi dite essere vostro Dio e non l’avete conosciuto, ma io lo conosco e, se dicessi di non conoscerlo, sarei un bugiardo come voi, ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abraamo, vostro padre, ha giubilato nella speranza di vedere il mio giorno; l’ha visto e se ne è rallegrato”. I Giudei gli dissero: “Tu non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abraamo?”. Gesù disse loro: “In verità, in verità vi dico: Prima che Abraamo fosse nato, io sono”. Allora essi presero delle pietre per tirargliele, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio. Passando vide un uomo che era cieco fin dalla nascita. I suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: “Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Gesù rispose: “Non hanno peccato né lui né i suoi genitori, ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui. Bisogna che io compia le opere di colui che mi ha mandato, mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può operare. Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo”. Detto questo, sputò in terra, fece del fango con la saliva, ne spalmò gli occhi del cieco e gli disse: “Va’, làvati nella vasca di Siloe (che significa ‘Mandato’)”. Egli dunque andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Perciò i vicini e quelli che l’avevano visto prima, perché era mendicante, dicevano: “Non è questi colui che stava seduto a chiedere l’elemosina?”. Alcuni dicevano: “È lui”. Altri dicevano: “No, ma gli somiglia”. Egli diceva: “Sono io”. Allora essi gli domandarono: “Com’è che ti sono stati aperti gli occhi?”. Egli rispose: “Quell’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me ne ha spalmato gli occhi e mi ha detto: ‘Va’ a Siloe e làvati’. Io quindi sono andato, mi sono lavato e ho recuperato la vista”. Ed essi gli dissero: “Dov’è costui?”. Egli rispose: “Non so”. Condussero dai farisei colui che era stato cieco. Ora era in giorno di sabato che Gesù aveva fatto il fango e gli aveva aperto gli occhi. I farisei dunque gli domandarono di nuovo anche loro com’egli avesse recuperato la vista. Ed egli disse loro: “Egli mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo”. Perciò alcuni dei farisei dicevano: “Quest’uomo non è da Dio perché non osserva il sabato”. Ma altri dicevano: “Come può un uomo peccatore fare tali miracoli?”. E vi era disaccordo fra loro. Essi dunque dissero di nuovo al cieco: “E tu, che dici di lui, poiché ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose: “È un profeta”. I Giudei dunque non credettero che lui fosse stato cieco e avesse recuperato la vista, finché non ebbero chiamato i genitori di colui che aveva recuperato la vista, e li ebbero interrogati così: “È questo vostro figlio che dite essere nato cieco? Come mai dunque ora ci vede?”. I suoi genitori risposero: “Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco, ma come ora ci veda, non lo sappiamo; né sappiamo chi gli abbia aperto gli occhi; domandatelo a lui; egli è adulto; parlerà lui di sé”. I suoi genitori dissero questo perché avevano paura dei Giudei, poiché i Giudei avevano già stabilito che, se uno avesse riconosciuto Gesù come Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: “Egli è adulto, domandatelo a lui”. Essi dunque chiamarono per la seconda volta l’uomo che era stato cieco e gli dissero: “Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quell’uomo è un peccatore”. Egli rispose: “Se egli sia un peccatore, non so, una cosa so: che ero cieco e ora ci vedo”. Essi allora gli chiesero: “Che ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose loro: “Ve l’ho già detto e voi non avete ascoltato, perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. Essi lo insultarono e dissero: “Sei tu discepolo di costui, ma noi siamo discepoli di Mosè. Noi sappiamo che a Mosè Dio ha parlato, ma riguardo a costui non sappiamo di dove sia”. Quell’uomo rispose e disse loro: “Questo poi è strano: che voi non sappiate di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi! Si sa che Dio non ascolta i peccatori, ma, se uno è pio verso Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo non si è mai udito che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se quest’uomo non fosse da Dio, non potrebbe fare nulla”. Essi risposero e gli dissero: “Tu sei tutto quanto nato nel peccato e insegni a noi?”. E lo cacciarono fuori. Gesù udì che l’avevano cacciato fuori e, trovatolo, gli disse: “Credi tu nel Figlio di Dio?”. Colui rispose: “Chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gesù gli disse: “Tu l’hai già visto; egli è colui che ti sta parlando”. Ed egli disse: “Signore, io credo”. E lo adorò. Gesù disse: “Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. Quelli dei farisei che erano con lui udirono queste cose e gli dissero: “Siamo ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma, siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”. “In verità, in verità io vi dico che chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei”. Gesù disse loro questa similitudine ma essi non capirono di che cosa parlasse loro. Perciò Gesù di nuovo disse loro: “In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, ed entrerà e uscirà, e troverà pastura. Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano a esuberanza. Io sono il buon pastore; il buon pastore depone la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga, e il lupo le rapisce e disperde. Il mercenario si dà alla fuga perché è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie e le mie mi conoscono, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre; e do la mia vita per le pecore. Ho anche delle altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. Per questo mi ama il Padre, perché io depongo la mia vita, per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma la depongo da me. Io ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest’ordine ho ricevuto dal Padre mio”. Nacque di nuovo un dissenso fra i Giudei a motivo di queste parole. E molti di loro dicevano: “Egli ha un demonio ed è fuori di sé, perché lo ascoltate?”. Altri dicevano: “Queste non sono parole di un indemoniato. Può un demonio aprire gli occhi ai ciechi?”. In quel tempo ebbe luogo in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei dunque gli si fecero attorno e gli dissero: “Fino a quando terrai sospeso l’animo nostro? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente”. Gesù rispose loro: “Ve l’ho detto, e non lo credete; le opere che faccio nel nome del Padre mio, sono quelle che testimoniano di me, ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo uno”. I Giudei presero di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: “Vi ho mostrato molte buone opere da parte del Padre mio; per quale di queste opere voi mi lapidate?”. I Giudei gli risposero: “Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”. Gesù rispose loro: “Non è scritto nella vostra legge: ‘Io ho detto: Voi siete dèi’? Se chiama dèi coloro ai quali la parola di Dio è stata diretta (e la Scrittura non può essere annullata), come mai voi dite a colui che il Padre ha santificato e mandato nel mondo, che bestemmia, perché ho detto: ‘Sono Figlio di Dio?’. Se non faccio le opere del Padre mio, non mi credete, ma se le faccio, anche se non credete a me, credete alle opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in me e che io sono nel padre”. Essi cercavano di nuovo di arrestarlo, ma egli sfuggì loro dalle mani. Gesù se ne andò di nuovo al di là del Giordano, nel luogo dove Giovanni da principio battezzava, e là si trattenne. E molti vennero a lui e dicevano: “Giovanni, è vero, non fece alcun miracolo, ma tutto quello che Giovanni disse di quest’uomo era vero”. E là molti credettero in lui. C’era un ammalato, un certo Lazzaro di Betania, del villaggio di Maria e di Marta, sua sorella. Maria era quella che unse il Signore di olio profumato e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; Lazzaro, suo fratello, era malato. Le sorelle dunque mandarono a dire a Gesù: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. Gesù, udito ciò, disse: “Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato”. Ora Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro. Come dunque ebbe udito che egli era malato, si trattenne ancora due giorni nel luogo dov’era, poi disse ai discepoli: “Torniamo in Giudea!”. I discepoli gli dissero: “Maestro, i Giudei cercavano proprio ora di lapidarti e tu vuoi tornare là?”. Gesù rispose: “Non vi sono dodici ore in un giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo, ma se uno cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui”. Così parlò; e poi disse loro: “Il nostro amico Lazzaro si è addormentato, ma io vado a svegliarlo”. Perciò i discepoli gli dissero: “Signore, se egli dorme, sarà salvo”. Gesù aveva parlato della sua morte, ma essi pensarono che avesse parlato del dormire del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: “Lazzaro è morto e per voi mi rallegro di non essere stato là, affinché crediate, ma ora, andiamo da lui!”. Allora Tommaso, detto Didimo, disse ai suoi condiscepoli: “Andiamo anche noi, per morire con lui!”. Gesù dunque, arrivato, trovò che Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro. Ora Betania non distava da Gerusalemme che circa quindici stadi e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle del loro fratello. Come dunque Marta ebbe udito che Gesù veniva, gli andò incontro; ma Maria stava seduta in casa. Marta dunque disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto e anche adesso so che tutto quel che chiederai a Dio, Dio te lo darà”. Gesù le disse: “Tuo fratello risusciterà”. Marta gli disse: “Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell’ultimo giorno”. Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?”. Ella gli disse: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo”. Detto questo, se ne andò e chiamò di nascosto Maria, sua sorella, dicendole: “Il Maestro è qui e ti chiama”. Ed ella, udito questo, si alzò in fretta e andò da lui. Ora Gesù non era ancora entrato nel villaggio, ma era sempre nel luogo dove Marta lo aveva incontrato. Quando i Giudei, che erano in casa con lei e la consolavano, videro che Maria si era alzata in fretta ed era uscita, la seguirono, supponendo che si recasse al sepolcro a piangere. Appena Maria fu giunta dov’era Gesù e l’ebbe visto, gli si gettò ai piedi dicendogli: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Quando Gesù la vide piangere e vide i Giudei che erano venuti con lei piangere anch’essi, fremette nello spirito, si turbò e disse: “Dove l’avete posto?”. Essi gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. Gesù pianse. Perciò i Giudei dicevano: “Guarda come lo amava!”. Ma alcuni di loro dicevano: “Non poteva, lui che ha aperto gli occhi al cieco, anche far sì che questi non morisse?”. Gesù dunque, fremendo di nuovo in sé stesso, venne al sepolcro. Era una grotta e una pietra era posta all’apertura. Gesù disse: “Togliete via la pietra!”. Marta, la sorella del morto, gli disse: “Signore, egli puzza già, perché siamo al quarto giorno”. Gesù le disse: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Tolsero dunque la pietra. E Gesù, alzàti gli occhi in alto, disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai esaudito. Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre, ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato”. E detto questo, gridò ad alta voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì, avendo i piedi e le mani legati da fasce e il viso coperto da un sudario. Gesù disse loro: “Scioglietelo, e lasciatelo andare”. Perciò molti Giudei che erano venuti da Maria e avevano visto le cose fatte da Gesù, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e raccontarono loro quel che Gesù aveva fatto. I capi sacerdoti e i farisei, quindi, radunarono il Sinedrio e dicevano: “Che facciamo? Perché quest’uomo fa molti miracoli. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui; e i Romani verranno e ci distruggeranno, città e nazione”. Uno di loro, Caiafa, che era sommo sacerdote di quell’anno, disse loro: “Voi non capite nulla e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione”. Ora egli non disse questo di suo, ma, siccome era sommo sacerdote di quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non soltanto per la nazione, ma anche per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi. Da quel giorno dunque deliberarono di farlo morire. Gesù quindi non andava più apertamente fra i Giudei, ma si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città detta Efraim; là si trattenne con i suoi discepoli. La Pasqua dei Giudei era vicina e molti di quella regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Cercavano dunque Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: “Che ve ne pare? Verrà alla festa?”. Ora i capi sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che, se qualcuno avesse saputo dov’egli era, lo avrebbe dovuto denunciare per poterlo arrestare. Gesù dunque, sei giorni prima della Pasqua, venne a Betania dov’era Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. Qui gli prepararono una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno di quelli che erano a tavola con lui. Allora Maria, presa una libbra d’olio profumato di nardo puro, di gran valore, unse i piedi di Gesù, glieli asciugò con i suoi capelli e la casa fu ripiena del profumo dell’olio. Ma Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: “Perché non si è venduto quest’olio per trecento denari e non si sono dati ai poveri?”. Diceva così, non perché si curasse dei poveri, ma perché era ladro e, tenendo la borsa, ne portava via quel che vi si metteva dentro. Gesù dunque disse: “Lasciala stare; lei lo ha conservato per il giorno della mia sepoltura. Poiché i poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avrete me”. La gran folla dei Giudei seppe dunque che egli era lì; e vennero non soltanto a motivo di Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. Ma i capi sacerdoti deliberarono di far morire anche Lazzaro, perché, a causa sua, molti Giudei andavano e credevano in Gesù. Il giorno seguente, la gran folla che era venuta alla festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme, uscì a incontrarlo e gridava: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele!”. Gesù, trovato un asinello, vi montò su, secondo quanto scritto: “Non temere, o figlia di Sion! Ecco, il tuo Re viene, montato sopra un puledro d’asina!”. I suoi discepoli inizialmente non intesero queste cose, ma, quando Gesù fu glorificato, allora si ricordarono che queste cose erano state scritte di lui e che essi gliele avevano fatte. La folla dunque, che era con lui quando aveva chiamato Lazzaro fuori dal sepolcro e l’aveva risuscitato dai morti, ne rendeva testimonianza. Per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che egli aveva fatto quel miracolo. Perciò i farisei dicevano fra loro: “Vedete che non guadagnate nulla? Ecco, il mondo gli corre dietro!”. Ora tra quelli che salivano alla festa per adorare c’erano certi Greci. Questi dunque, accostatisi a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, gli fecero questa richiesta: “Signore, vorremmo vedere Gesù”. Filippo lo venne a dire ad Andrea; Andrea e Filippo vennero a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro, dicendo: “L’ora è venuta, in cui il Figlio dell’uomo deve essere glorificato. In verità, in verità io vi dico che, se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo, ma, se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. Se uno mi serve, mi segua e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà. Ora l’anima mia è turbata; e che dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma è per questo che sono venuto incontro a quest’ora. Padre, glorifica il tuo nome!”. Allora venne una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò di nuovo!”. Perciò la folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Gesù rispose e disse: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora sarà cacciato fuori il principe di questo mondo e io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me”. Così diceva per indicare di quale morte doveva morire. La folla quindi gli rispose: “Noi abbiamo udito dalla legge che il Cristo dimora in eterno: come dunque dici tu che bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo?”. Gesù dunque disse loro: “Ancora per poco la luce è fra voi. Camminate mentre avete la luce, affinché non vi colgano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, affinché diventiate figli di luce”. Queste cose disse Gesù, poi se ne andò e si nascose da loro. Sebbene avesse fatto tanti miracoli in loro presenza, non credevano in lui, affinché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia: “Signore, chi ha creduto a quello che ci è stato predicato? E a chi è stato rivelato il braccio del Signore?”. Perciò non potevano credere, per la ragione detta ancora da Isaia: “Egli ha accecato i loro occhi e ha indurito il loro cuore, affinché non vedano con gli occhi, e non intendano con il cuore, e non si convertano, e io non li guarisca”. Queste cose disse Isaia, perché vide la gloria di lui e di lui parlò. Tuttavia molti, anche fra i capi, credettero in lui, ma a causa dei farisei non lo confessavano, per non essere espulsi dalla sinagoga, perché amarono la gloria degli uomini più della gloria di Dio. Ma Gesù ad alta voce aveva detto: “Chi crede in me, crede non in me, ma in colui che mi ha mandato e chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. E, se uno ode le mie parole e non le osserva, io non lo giudico, perché io non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo. Chi mi respinge e non accetta le mie parole, ha chi lo giudica: la parola che ho annunciato è quella che lo giudicherà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato di mio, ma il Padre che mi ha mandato, mi ha comandato lui quel che devo dire e di che devo parlare; e io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che dico, così le dico, come il Padre me le ha dette”. Ora prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l’ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, che era venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio, se ne cinse. Poi mise dell’acqua in una bacinella, cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio del quale era cinto. Venne dunque a Simon Pietro, il quale gli disse: “Tu, Signore, lavare i piedi a me?”. Gesù gli rispose: “Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo”. Pietro gli disse: “Tu non mi laverai mai i piedi!”. Gesù gli rispose: “Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me”. E Simon Pietro: “Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo!”. Gesù gli disse: “Chi è lavato tutto non ha bisogno che di aver lavati i piedi; è tutto quanto puro e voi siete puri, ma non tutti”. Perché sapeva chi era colui che lo avrebbe tradito, per questo disse: “Non tutti siete puri”. Come dunque ebbe lavato loro i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola e disse loro: “Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Poiché io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io. In verità, in verità vi dico che il servo non è maggiore del suo signore, né il messaggero è maggiore di colui che l’ha mandato. Se sapete queste cose, siete beati se le fate”. “Io non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma, perché sia adempiuta la Scrittura: ‘Colui che mangia il mio pane, ha levato contro di me il suo calcagno’. Fin da ora ve lo dico, prima che accada, affinché, quando sia accaduto, voi crediate che sono io (il Cristo). In verità, in verità vi dico: Chi riceve colui che io avrò mandato riceve me e chi riceve me riceve colui che mi ha mandato”. Dette queste cose, Gesù fu turbato nello spirito e apertamente si espresse così: “In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà”. I discepoli si guardavano l’un l’altro, non capendo di chi parlasse. Ora, a tavola, inclinato sul petto di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che Gesù amava. Simon Pietro quindi gli fece cenno di chiedergli chi fosse quello del quale parlava. Ed egli, chinatosi così sul petto di Gesù, gli domandò: “Signore, chi è?”. Gesù rispose: “È quello al quale darò il boccone dopo averlo intinto”. E intinto un boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Per cui Gesù gli disse: “Quel che fai, fallo presto”. Ma nessuno dei commensali comprese perché gli avesse detto così. Difatti alcuni pensavano, siccome Giuda teneva la borsa, che Gesù gli avesse detto: “Compra quel che ci occorre per la festa” oppure che desse qualcosa ai poveri. Egli dunque, preso il boccone, uscì subito ed era notte. Quand’egli fu uscito, Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è glorificato e Dio è glorificato in lui. Se Dio è glorificato in lui, Dio lo glorificherà anche in sé stesso e presto lo glorificherà. Figlioli, è per poco che sono ancora con voi. Voi mi cercherete; e, come ho detto ai Giudei: ‘Dove vado io, voi non potete venire’, così lo dico ora a voi. Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”. Simon Pietro gli domandò: “Signore, dove vai?”. Gesù rispose: “Dove vado io, non puoi seguirmi per ora, ma mi seguirai più tardi”. Pietro gli disse: “Signore, perché non posso seguirti ora? Metterò la mia vita per te!”. Gesù gli rispose: “Metterai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico che il gallo non canterà prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte”. “Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, ve l’avrei detto; io vado a prepararvi un luogo e quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del dove io vado sapete anche la via”. Tommaso gli disse: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo sapere la via?”. Gesù gli disse: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se mi aveste conosciuto, avreste conosciuto anche mio Padre; fin da ora lo conoscete e l’avete visto”. Filippo gli disse: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gesù gli disse: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai dici tu: ‘Mostraci il Padre?’. Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio, ma il Padre che dimora in me fa le opere sue. Credetemi che io sono nel Padre e che il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle stesse opere. In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anche egli le opere che faccio io e ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre e quello che chiederete nel mio nome, lo farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò”. “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi. Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. Ancora un po’ e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi. Chi ha i miei comandamenti, e li osserva, quello mi ama e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui”. Giuda (non l’Iscariota) gli domandò: “Signore, come mai ti manifesterai a noi e non al mondo?”. Gesù rispose e gli disse: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole e la parola che voi udite non è mia, ma è del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose stando ancora con voi; ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Io vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti. Avete udito che vi ho detto: ‘Io me ne vado e torno a voi’; se voi mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è maggiore di me. E ora ve l’ho detto prima che avvenga, affinché, quando sarà avvenuto, crediate. Io non parlerò più molto con voi, perché viene il principe di questo mondo. Ed egli non ha nulla in me, ma così avviene, affinché il mondo conosca che amo il Padre e opero come il Padre mi ha ordinato. Alzatevi, andiamo via di qui”. “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via, e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. Voi siete già puri a motivo della parola che vi ho annunciata. Dimorate in me e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli. Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande che quello di dare la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate le cose che vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore, ma voi vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto sia permanente; affinché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, egli ve lo dia. Vi comando questo: che vi amiate gli uni gli altri. Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; siccome non siete del mondo, ma io vi ho scelti in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: ‘Il servo non è più grande del suo signore’. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo ve lo faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. Se io non fossi venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa, ma ora non hanno scusa del loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi fatto tra loro le opere che nessun altro ha mai fatto, non avrebbero colpa, ma ora le hanno viste, e hanno odiato me e il Padre mio. Ma questo è avvenuto affinché sia adempiuta la parola scritta nella loro legge: ‘ Mi hanno odiato senza motivo ’. Ma quando sarà venuto il Consolatore, che io vi manderò da parte del Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli testimonierà di me e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio”. “Vi ho detto queste cose, affinché non siate scandalizzati. Vi espelleranno dalle sinagoghe, anzi l’ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto a Dio. E questo faranno, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose, affinché, quando sia giunta l’ora in cui avverranno, vi ricordiate che ve le ho dette. Non ve le dissi da principio, perché ero con voi. Ma ora me ne vado a colui che mi ha mandato; e nessuno di voi mi domanda: ‘Dove vai?’. Invece, perché vi ho detto queste cose, la tristezza v’ha riempito il cuore. Pure, io vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore, ma, se me ne vado, io ve lo manderò. Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché me ne vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato. Molte cose ho ancora da dirvi, ma non sono per ora alla vostra portata, però quando sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l’annuncerà. Tutte le cose che ha il Padre, sono mie: per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà. Fra poco non mi vedrete più; e fra un altro poco mi vedrete, perché me ne vado al Padre”. Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: “Che cos’è questo che ci dice: ‘Fra poco non mi vedrete più’ e: ‘Fra un altro poco mi vedrete’ e: ‘Perché me ne vado al Padre’?”. Dicevano dunque: “Che cos’è questo ‘fra poco’ che egli dice? Noi non sappiamo quello che egli voglia dire”. Gesù conobbe che lo volevano interrogare e disse loro: “Vi domandate l’un l’altro che significhi quel mio dire: ‘Fra poco non mi vedrete più’ e: ‘Fra un altro poco mi vedrete’? In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà. Voi sarete rattristati, ma la vostra tristezza sarà mutata in gioia. La donna, quando partorisce, è in dolore, perché è venuta la sua ora, ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’angoscia, per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana. Così anche voi siete ora nel dolore, ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno vi toglierà la vostra gioia. In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda. In verità, in verità vi dico che tutto ciò che chiederete al Padre, egli ve lo darà nel nome mio. Fino ad ora non avete chiesto nulla nel nome mio; chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia completa. Vi ho detto queste cose in similitudini; l’ora viene in cui non vi parlerò più in similitudini, ma vi farò conoscere apertamente il Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che io pregherò il Padre per voi, poiché il Padre stesso vi ama, perché mi avete amato e avete creduto che sono proceduto da Dio. Sono proceduto dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e torno al Padre”. I suoi discepoli gli dissero: “Ecco, adesso tu parli apertamente e non usi similitudine. Ora sappiamo che sai ogni cosa e non hai bisogno che nessuno t’interroghi, perciò crediamo che sei proceduto da Dio”. Gesù rispose loro: “Adesso credete? Ecco, l’ora viene, anzi è venuta, in cui sarete dispersi, ciascuno per conto suo, e mi lascerete solo, ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione, ma fatevi animo, io ho vinto il mondo”. Gesù disse queste cose, poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: “Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, perché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare. Ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date vengono da te, poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno veramente conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, quelli che tu mi hai dato, affinché siano uno, come noi. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. Ma ora io vengo a te e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in sé stessi la mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Santificali nella verità: la tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo. E per loro io santifico me stesso, affinché anch’essi siano santificati nella verità. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; che, come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. Io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data, poiché tu mi hai amato prima della fondazione del mondo. Padre giusto, il mondo non t’ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; io ho fatto loro conoscere il tuo nome e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro”. Dette queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli di là dal torrente Chedron, dov’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Giuda, che lo tradiva, conosceva anch’egli quel luogo, perché Gesù si era ritrovato là molte volte con i suoi discepoli. Giuda dunque, presa la coorte e delle guardie mandate dai capi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. Ma Gesù, ben sapendo tutto quello che stava per accadergli, uscì e chiese loro: “Chi cercate?”. Gli risposero: “Gesù il Nazareno!”. Gesù disse loro: “Io sono”. E Giuda, che lo tradiva, era anch’egli là con loro. Come dunque ebbe detto loro: “Io sono”, indietreggiarono e caddero in terra. Egli dunque domandò loro di nuovo: “Chi cercate?”. Essi dissero: “Gesù il Nazareno”. Gesù rispose: “Vi ho detto che sono io; se dunque cercate me, lasciate andare questi”. E ciò affinché si adempisse la parola che egli aveva detto: “Di quelli che tu mi hai dato, non ne ho perduto nessuno”. Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la sguainò, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l’orecchio destro. Il nome di quel servo era Malco. Ma Gesù disse a Pietro: “Rimetti la tua spada nel fodero; non berrò io il calice che il Padre mi ha dato?”. Allora la coorte, il tribuno e le guardie dei Giudei presero Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna, perché era suocero di Caiafa, il quale era sommo sacerdote di quell’anno. Ora Caiafa era quello che aveva consigliato ai Giudei che fosse utile che un uomo solo morisse per il popolo. Intanto Simon Pietro e un altro discepolo seguivano Gesù; e quel discepolo era noto al sommo sacerdote, ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; ma Pietro stava di fuori, alla porta. Allora quell’altro discepolo che era noto al sommo sacerdote uscì, parlò con la portinaia e fece entrare Pietro. La serva portinaia dunque disse a Pietro: “Non sei anche tu dei discepoli di quest’uomo?”. Egli disse: “Non lo sono”. Ora i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e stavano là a scaldarsi; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Il sommo sacerdote dunque interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: “Io ho parlato apertamente al mondo; ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel tempio, dove tutti i Giudei si radunano, e non ho detto nulla in segreto. Perché m’interroghi? Domanda a quelli che mi hanno udito, quello che ho detto loro; ecco, essi sanno le cose che ho dette”. E com’ebbe detto questo, una delle guardie che gli stava vicino, diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: “Così rispondi al sommo sacerdote?”. Gesù gli disse: “Se ho parlato male, dimostra il male che ho detto; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. Quindi Anna lo mandò legato a Caiafa, sommo sacerdote. Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi e gli dissero: “Non sei anche tu dei suoi discepoli?”. Egli lo negò e disse: “Non lo sono”. Uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: “Non ti ho visto nel giardino con lui?”. Pietro lo negò di nuovo e subito il gallo cantò. Poi, da Caiafa, condussero Gesù nel pretorio. Era mattina ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi, così da poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì fuori verso di loro e domandò: “Quale accusa portate contro quest’uomo?”. Essi risposero e gli dissero: “Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani”. Pilato quindi disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”. I Giudei gli dissero: “A noi non è lecito far morire nessuno”. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, indicando di quale morte doveva morire. Pilato dunque rientrò nel pretorio, chiamò Gesù e gli disse: “Sei tu il Re dei Giudei?” Gesù gli rispose: “Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?” Pilato gli rispose: “Sono io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t’hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?”. Gesù rispose: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei, ma ora il mio regno non è di qui”. Allora Pilato gli disse: “Ma, dunque, tu sei re?”. Gesù rispose: “Tu lo dici, io sono re; sono nato per questo e per questo sono venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce”. Pilato gli disse: “Che cos’è verità?”. E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: “Io non trovo nessuna colpa in lui. Ma voi avete l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re dei Giudei?”. Allora gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. Ora Barabba era un ladrone. Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un manto di porpora; si accostavano a lui e dicevano: “Salve, re dei Giudei!” e lo schiaffeggiavano. Pilato uscì di nuovo e disse loro: “Ecco, ve lo conduco fuori, affinché sappiate che non trovo in lui alcuna colpa”. Gesù dunque uscì, portando la corona di spine e il manto di porpora. E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”. Come dunque i capi sacerdoti e le guardie lo ebbero visto, gridarono: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. Pilato disse loro: “Prendetelo voi e crocifiggetelo, perché io non trovo in lui alcuna colpa”. I Giudei gli risposero: “Noi abbiamo una legge e secondo questa legge egli deve morire, perché egli si è fatto Figlio di Dio”. Quando Pilato udì questa parola, ebbe ancor più paura e, rientrato nel pretorio, disse a Gesù: “Di dove sei tu?”. Ma Gesù non gli diede alcuna risposta. Allora Pilato gli disse: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di liberarti e il potere di crocifiggerti?”. Gesù gli rispose: “Tu non avresti alcuna autorità su di me se ciò non ti fosse stato dato dall’alto, perciò chi mi ha dato nelle tue mani ha maggior colpa”. Da quel momento Pilato cercava di liberarlo, ma i Giudei gridavano, dicendo: “Se liberi costui, non sei amico di Cesare. Chiunque si fa re, si oppone a Cesare”. Pilato dunque, udite queste parole, condusse fuori Gesù e si sedette in tribunale nel luogo detto Lastrico, e in ebraico Gabbatà. Era la preparazione della Pasqua ed era circa l’ora sesta. Ed egli disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”. Allora essi gridarono: “Toglilo, toglilo di mezzo, crocifiggilo!”. Pilato disse loro: “Crocifiggerò io il vostro re?”. I capi sacerdoti risposero: “Noi non abbiamo altro re che Cesare”. Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Presero dunque Gesù; ed egli, portando la sua croce, venne al luogo del Teschio, che in ebraico si chiama Golgota, dove lo crocifissero, assieme ad altri due, uno di qua, l’altro di là, e Gesù nel mezzo. E Pilato fece pure un’iscrizione e la pose sulla croce. V’era scritto: “Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei”. Molti Giudei, dunque, lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; l’iscrizione era in ebraico, in latino e in greco. Perciò i capi sacerdoti dei Giudei dicevano a Pilato: “Non scrivere: ‘Il re dei Giudei’, ma che egli ha detto: ‘Io sono il re dei Giudei’”. Pilato rispose: “Quel che ho scritto, ho scritto”. I soldati dunque, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato, e la tunica. La tunica era senza cuciture, tessuta per intero dall’alto in basso. Dissero dunque tra loro: “Non la strappiamo, ma tiriamo a sorte a chi tocchi”, affinché si adempisse la Scrittura che dice: ‘Hanno spartito fra loro le mie vesti, e hanno tirato la sorte sulla mia tunica ’. Questo dunque fecero i soldati. Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria moglie di Cleopa e Maria Maddalena. Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua. Dopo questo Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché la Scrittura fosse adempiuta, disse: “Ho sete”. C’era lì un vaso pieno d’aceto; i soldati dunque, posta in cima a un ramo d’issopo una spugna imbevuta di aceto, l’accostarono alla sua bocca. Quando Gesù ebbe preso l’aceto, disse: “È compiuto!”. E chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato (poiché era la Preparazione e quel sabato era un gran giorno), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero tolti via. I soldati dunque vennero e spezzarono le gambe al primo e poi anche all’altro che era crocifisso con lui, ma venuti a Gesù, come lo videro già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Colui che lo ha visto ne ha reso testimonianza, e la sua testimonianza è vera; ed egli sa che dice il vero, affinché anche voi crediate. Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: “Nessun osso di lui sarà spezzato”. E anche un’altra Scrittura dice: “Guarderanno a colui che hanno trafitto”. Dopo queste cose, Giuseppe d’Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma in segreto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù e Pilato glielo permise. Egli dunque venne e prese il corpo di Gesù. Nicodemo, che in precedenza era andato da Gesù di notte, venne anch’egli, portando una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi dunque presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in fasce con gli aromi, com’è usanza di seppellire presso i Giudei. Nel luogo dove egli fu crocifisso c’era un orto e in quell’orto un sepolcro nuovo, dove nessuno era ancora stato deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, perché il sepolcro era vicino. Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena venne al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. Allora corse da Simon Pietro e dall’altro discepolo che Gesù amava e disse loro: “Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’abbiano messo”. Dunque, Pietro e l’altro discepolo uscirono e si avviarono al sepolcro. I due correvano assieme, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro e, chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva; entrò nel sepolcro e vide le fasce per terra e il sudario, che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo che era giunto primo al sepolcro, vide e credette. Perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. I discepoli dunque se ne tornarono a casa. Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva si chinò per guardare dentro il sepolcro ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l’altro ai piedi, là dov’era stato il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Ella disse loro: “Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l’abbiano deposto”. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi, ma non sapeva che fosse Gesù. Gesù le disse: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Ella, pensando che fosse l’ortolano, gli disse: “Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai deposto e io lo prenderò”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: “Rabbunì!” che vuol dire: “Maestro!”. Gesù le disse: “Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre, ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: ‘Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al mio Dio e vostro Dio’”. Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore e che egli le aveva detto queste cose. La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre le porte del luogo dove si trovavano i discepoli erano serrate per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse loro: “Pace a voi!”. E, detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli dunque, visto il Signore, si rallegrarono. Allora Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti”. Ora Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli dunque gli dissero: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se io non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò”. Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa e Tommaso era con loro. Gesù venne, a porte chiuse, si presentò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente”. Tommaso gli rispose e disse: “Signore mio e Dio mio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Ora Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri miracoli, che non sono scritti in questo libro, ma queste cose sono scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome. Dopo queste cose, Gesù si fece vedere di nuovo ai discepoli presso il mar di Tiberiade e si fece vedere in questa maniera. Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e due altri suoi discepoli erano insieme. Simon Pietro disse loro: “Io vado a pescare”. Essi gli dissero: “Anche noi veniamo con te”. Uscirono e salirono nella barca; ma quella notte non presero nulla. Quando era già mattina, Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che fosse Gesù. Allora Gesù disse loro: “Figlioli, avete voi del pesce?”, essi gli risposero: “No”. Ed egli disse loro: “Gettate la rete dal lato destro della barca e ne troverete”. Essi dunque la gettarono e non potevano più tirarla su per il gran numero dei pesci. Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”. Simon Pietro, udito che era il Signore, si cinse il camiciotto, perché era nudo, e si gettò nel mare. Ma gli altri discepoli vennero con la barca, perché non erano molto distanti da terra (circa duecento cubiti), traendo la rete con i pesci. Appena scesero a terra, videro là della brace e del pesce messovi su e del pane. Gesù disse loro: “Portate qua dei pesci che avete presi ora”. Simon Pietro quindi montò nella barca, tirò a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci e, benché ce ne fossero tanti, la rete non si strappò. Gesù disse loro: “Venite a fare colazione”. E nessuno dei discepoli osava domandargli: “Chi sei?”, sapendo che era il Signore. Gesù venne, prese il pane e lo diede loro; e così anche il pesce. Questa era già la terza volta che Gesù si faceva vedere ai suoi discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Quando ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi?”. Egli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti voglio bene”. Gesù gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo una seconda volta: “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. Egli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti voglio bene”. Gesù gli disse: “Pastura le mie pecore”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza volta: “Mi vuoi bene?”. E gli rispose: “Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene”. Gesù gli disse: “Pasci le mie pecore. In verità, in verità ti dico che, quando eri più giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti”. Disse questo per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, dopo aver parlato così, gli disse: “Seguimi”. Pietro, voltatosi, vide venirgli dietro il discepolo che Gesù amava, quello stesso che durante la cena stava inclinato sul petto di Gesù e aveva detto: “Signore, chi è che ti tradisce?”. Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: “Signore, e di lui che ne sarà?”. Gesù gli rispose: “Se voglio che rimanga finché io venga, che t’importa? Tu, seguimi”. Perciò si sparse tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto; Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: “Se voglio che rimanga finché io venga, che t’importa?”. Questo è il discepolo che rende testimonianza di queste cose e che ha scritto queste cose; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Ora vi sono ancora molte altre cose che Gesù ha fatte, le quali, se si scrivessero una a una, credo che il mondo stesso non potrebbe contenere i libri che se ne scriverebbero. Nel mio primo libro, o Teofilo, ho parlato di tutto quel che Gesù iniziò a fare e a insegnare, fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che aveva scelto. Ai quali anche, dopo che ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi vedere da loro per quaranta giorni e ragionando delle cose riguardanti il regno di Dio. Trovandosi con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, “la quale”, egli disse, “avete udita da me. Poiché Giovanni battezzò sì in acqua, ma voi sarete battezzati in Spirito Santo fra non molti giorni”. Quelli dunque che erano riuniti gli domandarono: “Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?”. Egli rispose loro: “Non sta a voi sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riservato alla propria autorità. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra”. Dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi. E come essi avevano gli occhi fissi in cielo, mentre egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: “Uomini galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che è stato tolto da voi e assunto in cielo, verrà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo”. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell’Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato. E, come furono entrati, salirono nella sala di sopra dove erano soliti trattenersi Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d’Alfeo e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera con le donne e con Maria, madre di Gesù, e con i fratelli di lui. In quei giorni Pietro, alzatosi in mezzo ai fratelli (il numero delle persone riunite era di circa centoventi), disse: “Fratelli, era necessario che si adempisse la profezia della Scrittura pronunciata dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fu la guida di quelli che arrestarono Gesù. Poiché egli era annoverato fra noi e aveva ricevuto la sua parte di questo ministerio. Costui dunque acquistò un campo con il prezzo della sua iniquità; poi, essendosi precipitato, gli si squarciò il ventre e tutte le sue interiora si sparsero. E ciò è divenuto così noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel campo è stato chiamato nel loro proprio linguaggio ‘Acheldama’, cioè ‘Campo di sangue’. Poiché è scritto nel libro dei Salmi: ‘Divenga la sua dimora deserta, e non vi sia chi abiti in essa’; e: ‘L’ufficio suo lo prenda un altro’. Bisogna dunque che fra gli uomini che sono stati in nostra compagnia tutto il tempo che il Signore Gesù è andato e venuto fra noi, a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui egli, tolto da noi, è stato assunto in cielo, uno sia fatto testimone con noi della sua risurrezione”. Essi ne presentarono due: Giuseppe, detto Barsabba, il quale era soprannominato Giusto, e Mattia. E, pregando, dissero: “Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due hai scelto per prendere in questo ministerio e apostolato il posto che Giuda ha abbandonato per andarsene al suo luogo”. Li trassero a sorte e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli. Quando il giorno della Pentecoste fu giunto, tutti erano insieme nel medesimo luogo. Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia e riempì tutta la casa dov’essi sedevano. Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. Tutti furono ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi. Ora a Gerusalemme soggiornavano dei Giudei, uomini religiosi di ogni nazione di sotto il cielo. Essendosi fatto quel suono, la folla si radunò e fu confusa, perché ciascuno li udiva parlare nel proprio linguaggio. E tutti stupivano e si meravigliavano, dicendo: “Ecco, tutti costoro che parlano non sono Galilei? E com’è che li udiamo parlare ciascuno nel nostro linguaggio natio? Noi Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia Cirenaica e pellegrini Romani, tanto Giudei che proseliti, Cretesi e Arabi, li udiamo parlare delle cose grandi di Dio nelle nostre lingue”. Tutti stupivano ed erano perplessi, dicendosi l’uno all’altro: “Che significa questo?”. Ma altri, beffandosi, dicevano: “Sono pieni di vino dolce”. Ma Pietro, levatosi in piedi con gli undici, alzò la voce e parlò loro in questa maniera: “Uomini giudei e voi tutti che abitate in Gerusalemme, vi sia noto questo e prestate orecchio alle mie parole. Perché costoro non sono ubriachi, come voi supponete, poiché non è che la terza ora del giorno ma questo è quel che fu detto per mezzo del profeta Gioele: ‘Avverrà negli ultimi giorni’, dice Dio, ‘che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani vedranno delle visioni, i vostri vecchi sogneranno dei sogni. Anche sui miei servi e sulle mie serve, in quei giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno. E farò prodigi su nel cielo e segni giù sulla terra; sangue e fuoco e vapore di fumo. Il sole sarà mutato in tenebre, e la luna in sangue, prima che venga il grande e glorioso giorno, che è il giorno del Signore. E avverrà che chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato’. Uomini Israeliti, udite queste parole: Gesù il Nazareno, uomo che Dio ha accreditato fra voi mediante opere potenti, prodigi e segni che Dio fece per mezzo di lui fra voi, come voi stessi ben sapete, quest’uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste, ma Dio lo risuscitò, avendo sciolto gli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli fosse da essa trattenuto. Poiché Davide dice di lui: ‘Io ho avuto continuamente il Signore davanti agli occhi, perché egli è alla mia destra, affinché io non sia smosso. Perciò si è rallegrato il cuor mio, e ha giubilato la mia lingua, e anche la mia carne riposerà in speranza; poiché tu non lascerai l’anima mia nell’Ades, e non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita; tu mi riempirai di letizia con la tua presenza’. Fratelli, si può ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide che egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora oggi fra noi. Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò, dicendo che non sarebbe stato lasciato nell’Ades e che la sua carne non avrebbe visto la corruzione. Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato, di ciò noi tutti siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite. Poiché Davide non è salito in cielo, anzi egli stesso dice: ‘Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi’. Dunque, tutta la casa d’Israele sappia con certezza che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Udite queste cose, essi furono compunti nel cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Fratelli, che dobbiamo fare?”. E Pietro a loro: “Ravvedetevi, ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Poiché per voi è la promessa, per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, per quanti il Signore Dio nostro ne chiamerà”. E con molte altre parole li scongiurava e li esortava dicendo: “Salvatevi da questa perversa generazione”. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola, furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone. Ed erano perseveranti nell’attendere all’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni erano fatti dagli apostoli. Tutti quelli che credevano erano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E tutti i giorni andavano assidui e concordi al tempio e, rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo insieme con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati. Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera dell’ora nona. E si portava un certo uomo, zoppo fin dalla nascita, che ogni giorno deponevano alla porta del tempio detta “Bella”, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Costui, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Pietro, con Giovanni, fissando gli occhi su lui, disse: “Guarda noi!”. Ed egli li guardava attentamente, aspettando di ricevere qualcosa da loro. Ma Pietro disse: “Dell’argento e dell’oro io non ne ho, ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno cammina!”. Lo prese per la mano destra e lo sollevò; in quell’istante le piante e le caviglie dei piedi gli si rafforzarono. E con un balzo si alzò in piedi e cominciò a camminare; ed entrò con loro nel tempio, camminando, saltando e lodando Dio. Tutto il popolo lo vide che camminava e lodava Dio; e lo riconoscevano per quello che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta “Bella” del tempio; e furono ripieni di meraviglia e di stupore per quel che gli era avvenuto. E mentre egli teneva stretti a sé Pietro e Giovanni, tutto il popolo, attonito, accorse a loro al portico detto di Salomone. E Pietro, visto ciò, parlò al popolo, dicendo: “Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo? O perché fissate gli occhi su noi, come se per la nostra propria potenza o pietà avessimo fatto camminare quest’uomo? Il Dio d’Abraamo, d’Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo Servitore Gesù, che voi metteste nelle mani di Pilato e rinnegaste davanti a lui, mentre egli aveva giudicato di doverlo liberare. Ma voi rinnegaste il Santo e il Giusto, chiedeste che vi fosse concesso un omicida e uccideste il Principe della vita, che Dio ha risuscitato dai morti; di ciò noi siamo testimoni. E per la fede nel suo nome, il suo nome ha fortificato quest’uomo che vedete e conoscete; ed è la fede che si ha per mezzo di lui, che gli ha dato questa perfetta guarigione alla presenza di voi tutti. E ora, fratelli, io so che lo faceste per ignoranza, al pari dei vostri capi. Ma quello che Dio aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, cioè che il suo Cristo avrebbe sofferto, egli l’ha adempiuto in questa maniera. Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati, affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di refrigerio e che egli vi mandi il Cristo che vi è stato designato, cioè Gesù, che il cielo deve tenere accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, tempi dei quali Dio parlò per bocca dei suoi santi profeti che sono stati fin dal principio. Mosè, infatti, disse: ‘ Il Signore Dio vi susciterà di fra i vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà. E avverrà che ogni anima la quale non avrà ascoltato questo profeta, sarà del tutto distrutta tra il popolo ’. Tutti i profeti, da Samuele in poi, quanti hanno parlato, hanno anch’essi annunciato questi giorni. Voi siete i figli dei profeti e del patto che Dio fece con i vostri padri, dicendo ad Abraamo: ‘ E nella tua discendenza tutte le nazioni della terra saranno benedette ’. A voi per i primi Dio, dopo aver suscitato il suo Servitore, l’ha mandato per benedirvi, convertendo ciascuno di voi dalle sue malvagità”. Mentre essi parlavano al popolo, i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei sopraggiunsero, indignati perché essi ammaestravano il popolo e annunciavano in Gesù la risurrezione dei morti. Misero loro le mani addosso e li gettarono in prigione fino al giorno seguente, perché già era sera. Ma molti di quelli che avevano udito la Parola credettero e il numero degli uomini salì a circa cinquemila. Il giorno seguente i loro capi, con gli anziani e gli scribi, si radunarono in Gerusalemme, con Anna, il sommo sacerdote, Caiafa, Giovanni, Alessandro e tutti quelli che erano della famiglia dei sommi sacerdoti. E fatti comparire in mezzo a loro Pietro e Giovanni, domandarono: “Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?”. Allora Pietro, ripieno dello Spirito Santo, disse loro: “Capi del popolo e anziani, se oggi siamo interrogati riguardo a un beneficio fatto a un uomo infermo, per sapere com’è che quest’uomo è stato guarito, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele che ciò è stato fatto nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti; in virtù d’esso quest’uomo compare guarito in vostra presenza. Egli è ‘ la pietra che è stata rigettata da voi costruttori, ed è diventata la pietra angolare ’. In nessun altro è la salvezza, poiché non vi è sotto il cielo alcun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati”. Essi, vista la franchezza di Pietro e di Giovanni, e avendo capito che erano popolani senza istruzione, si meravigliavano e riconoscevano che erano stati con Gesù e, vedendo l’uomo che era stato guarito, lì presente con loro, non potevano dire nulla in contrario. Ma quando ebbero comandato loro di uscire dal Sinedrio, conferirono fra loro dicendo: “Che faremo a questi uomini? Che un evidente miracolo sia stato fatto per mezzo di loro, è noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme e noi non lo possiamo negare. Ma, affinché ciò non si sparga maggiormente fra il popolo, ordiniamo loro con minacce di non parlare più a nessuno di questo nome”. E, avendoli chiamati, imposero loro di non parlare né insegnare affatto nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni, rispondendo, dissero loro: “Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Poiché, quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite”. Ed essi, minacciatili di nuovo, li lasciarono andare, non trovando nulla per poterli castigare, a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per ciò che era accaduto. Poiché l’uomo in cui questo miracolo della guarigione era stato compiuto aveva più di quarant’anni. Rimessi quindi in libertà, vennero ai loro e riferirono tutte le cose che i capi sacerdoti e gli anziani avevano detto loro. Ed essi, uditele, alzarono concordi la voce a Dio e dissero: “Signore, tu sei colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi; colui che mediante lo Spirito Santo, per bocca del padre nostro e tuo servitore Davide, ha detto: ‘Perché si sono adirate le genti, e i popoli hanno tramato cose vane? I re della terra si sono fatti avanti, e i principi si sono riuniti insieme contro il Signore, e contro il suo Unto’. Proprio in questa città, contro il tuo santo Servitore Gesù, che tu hai unto, si sono radunati Erode e Ponzio Pilato, insieme con i Gentili e con tutto il popolo d’Israele, per fare tutte le cose che la tua volontà e il tuo consiglio avevano prestabilito che avvenissero. Adesso, Signore, considera le loro minacce e concedi ai tuoi servitori di annunciare la tua parola con ogni franchezza, stendendo la tua mano per guarire, perché si facciano segni e prodigi mediante il nome del tuo santo Servitore Gesù”. Dopo che ebbero pregato, il luogo dove erano riuniti tremò; e furono tutti ripieni dello Spirito Santo, e annunciavano la parola di Dio con franchezza. La moltitudine di quelli che avevano creduto era di un solo cuore e di un’anima sola; non vi era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era in comune tra loro. Gli apostoli, con grande potenza, rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e grande grazia era sopra tutti loro. Non c’era nessun bisognoso fra loro, perché tutti quelli che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute, e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno. Ora Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba (il che, interpretato, vuol dire “figlio di consolazione”), levita, cipriota di nascita, avendo un campo, lo vendette e portò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli. Ma un certo uomo chiamato Anania, con Saffira sua moglie, vendette una proprietà, e tenne per sé parte del prezzo, essendone consapevole anche la moglie, e, portatane una parte, la pose ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: “Anania, perché Satana ha così riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo e trattenere parte del prezzo del podere? Se questo rimaneva invenduto, non restava tuo? E, una volta venduto, non ne era il prezzo in tuo potere? Perché ti sei messo in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio”. E Anania, udendo queste parole, cadde e spirò. E gran paura prese tutti quelli che udirono queste cose. I giovani, alzatisi, avvolsero il corpo e, portatolo fuori, lo seppellirono. Circa tre ore dopo sua moglie, non sapendo ciò che era avvenuto, entrò. E Pietro, rivolgendosi a lei: “Dimmi”, le disse, “avete venduto il podere per tanto?”. Ed ella rispose: “Sì, per tanto”. Ma Pietro a lei: “Perché vi siete accordati a tentare lo Spirito del Signore? Ecco, i piedi di quelli che hanno sepolto tuo marito sono alla porta e porteranno via anche te”. E lei, in quell’istante, cadde ai suoi piedi e spirò. I giovani, entrati, la trovarono morta e, portatala via, la seppellirono accanto a suo marito. Allora una gran paura venne sulla chiesa intera e su tutti quelli che udivano queste cose. Molti segni e prodigi erano fatti fra il popolo per le mani degli apostoli e tutti di comune accordo si ritrovavano sotto il portico di Salomone. Ma nessuno degli altri osava unirsi a loro, il popolo però li magnificava. E sempre più credenti si aggiungevano al Signore: un gran numero di uomini e donne, tanto che portavano perfino gli infermi per le piazze e li mettevano su lettucci e giacigli, affinché, quando Pietro passava, l’ombra sua almeno ne coprisse qualcuno. Anche dalle città vicine la folla accorreva a Gerusalemme, portando dei malati e dei tormentati da spiriti immondi e tutti erano sanati. Il sommo sacerdote e tutti quelli che erano con lui, cioè la setta dei sadducei, si alzarono, pieni di invidia, e misero le mani sugli apostoli e li gettarono nella prigione pubblica. Ma un angelo del Signore, nella notte, aprì le porte della prigione e, condottili fuori, disse: “Andate, presentatevi nel tempio e annunciate al popolo tutte le parole di questa Vita”. Ed essi, udito ciò, entrarono sullo schiarire del giorno nel tempio e insegnavano. Ora il sommo sacerdote e quanti erano con lui vennero, convocarono il Sinedrio e tutti gli anziani del popolo d’Israele e mandarono alla prigione per far condurre davanti a loro gli apostoli. Ma le guardie che vi andarono non li trovarono nella prigione e, tornate, fecero il loro rapporto, dicendo: “La prigione l’abbiamo trovata chiusa con ogni diligenza e le guardie in piedi davanti alle porte ma, avendo aperto, non abbiamo trovato nessuno dentro”. Quando il capitano del tempio e i capi sacerdoti udirono queste cose, erano perplessi sul conto loro, non sapendo che cosa ciò potesse essere. Ma sopraggiunse uno che disse loro: “Ecco, gli uomini che voi metteste in prigione sono nel tempio e stanno insegnando al popolo”. Allora il capitano del tempio, con le guardie, andò e li condusse via, però non con violenza, perché temevano di essere lapidati dal popolo. Avendoli portati via, li presentarono al Sinedrio; e il sommo sacerdote li interrogò, dicendo: “Non vi abbiamo del tutto vietato di insegnare nel nome di costui? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo”. Ma Pietro e gli altri apostoli, rispondendo, dissero: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi uccideste appendendolo al legno, e lo ha innalzato con la sua destra, costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele e perdono dei peccati. Noi siamo testimoni di queste cose e anche lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che gli ubbidiscono”. Ma essi, udendo queste cose, fremevano d’ira e si proponevano d’ucciderli. Ma un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, alzatosi in piedi nel Sinedrio, comandò che gli apostoli venissero allontanati un momento. Poi disse loro: “Uomini d’Israele, badate bene a quello che state per fare circa questi uomini. Poiché, prima d’ora, sorse Teuda, dicendo di essere qualcuno, e presso di lui si raccolsero circa quattrocento uomini; egli fu ucciso e tutti quelli che gli avevano prestato fede furono sbandati e ridotti a nulla. Dopo costui, sorse Giuda il Galileo, ai giorni del censimento, e si trascinò dietro della gente; anch’egli perì e tutti coloro che gli avevano prestato fede furono dispersi. E ora vi dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli stare, perché, se questo disegno o quest’opera è dagli uomini, sarà distrutta, ma se è da Dio, voi non li potrete distruggere, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio”. Essi furono del suo parere e, chiamati gli apostoli, li batterono, ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù e li lasciarono andare. Ed essi se ne andarono dalla presenza del Sinedrio, rallegrandosi di essere stati reputati degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù. E ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano di insegnare e di annunciare la buona notizia che Gesù è il Cristo. In quei giorni, moltiplicandosi il numero dei discepoli, sorse un mormorio degli Ellenisti contro gli Ebrei, perché le loro vedove erano trascurate nell’assistenza quotidiana. I dodici, convocata la moltitudine dei discepoli, dissero: “Non è giusto che noi lasciamo la parola di Dio per servire alle mense. Perciò, fratelli, cercate di trovare fra voi sette uomini, dei quali si abbia buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza, e che noi incaricheremo di quest’opera. Ma quanto a noi, continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministerio della Parola”. Questo ragionamento piacque a tutta la moltitudine ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmena e Nicola, proselito di Antiochia, e li presentarono agli apostoli, i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani. La parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli si moltiplicava grandemente a Gerusalemme; anche una gran quantità di sacerdoti ubbidiva alla fede. Ora Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni fra il popolo. Ma alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini, di quelli di Cilicia e d’Asia si misero a discutere con Stefano, ma non potevano resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. Allora istigarono degli uomini, che dissero: “Noi lo abbiamo udito dire parole di bestemmia contro Mosè e contro Dio”. Essi sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi e, piombatigli addosso, lo afferrarono, lo condussero al Sinedrio e presentarono dei falsi testimoni, che dicevano: “Quest’uomo non cessa di proferire parole contro il luogo santo e contro la legge. Infatti gli abbiamo udito dire che quel Nazareno, Gesù, distruggerà questo luogo e cambierà gli usi che Mosè ci ha tramandati”. E tutti quelli che sedevano nel Sinedrio, avendo fissati in lui gli occhi, videro la sua faccia simile alla faccia di un angelo. Il sommo sacerdote disse: “Queste cose stanno proprio così?”. Egli rispose: “Fratelli e padri, ascoltate. Il Dio della gloria apparve ad Abraamo, nostro padre, mentre era in Mesopotamia, prima che abitasse in Caran, e gli disse: ‘Esci dal tuo paese e dal tuo parentado e va’ nel paese che io ti mostrerò’. Allora egli uscì dal paese dei Caldei e abitò in Caran; e di là, dopo che morì suo padre, Dio lo fece venire in questo paese, che ora voi abitate. E non gli diede alcuna eredità in esso, neppure un palmo di terra, ma gli promise di darla in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui, quando egli non aveva ancora alcun figlio. Dio parlò così: ‘ La sua discendenza soggiornerà in terra straniera, e sarà ridotta in servitù e maltrattata per quattrocento anni. Ma io giudicherò la nazione alla quale avranno servito ’, disse Dio; ‘ e dopo questo essi partiranno e mi renderanno il loro culto in questo luogo ’. Poi gli diede il patto della circoncisione, così Abraamo generò Isacco e lo circoncise l’ottavo giorno; e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. I patriarchi, portando invidia a Giuseppe, lo vendettero perché fosse condotto in Egitto, ma Dio era con lui, lo liberò da ogni sua tribolazione e gli diede grazia e sapienza davanti a Faraone, re d’Egitto, che lo costituì governatore dell’Egitto e di tutta la sua casa. Sopraggiunse una carestia in tutto l’Egitto e in Canaan e i nostri padri non trovavano viveri. Ma, avendo Giacobbe udito che in Egitto c’era grano, vi mandò una prima volta i nostri padri. La seconda volta Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli e Faraone conobbe di che stirpe fosse Giuseppe. Allora Giuseppe mandò a chiamare Giacobbe suo padre e tutto il suo parentado, che era di settantacinque anime. Giacobbe scese in Egitto, dove morirono lui e i nostri padri, i quali furono trasportati a Sichem e posti nel sepolcro che Abraamo aveva comprato con una somma di denaro dai figli di Emmor in Sichem. Ma come si avvicinava il tempo della promessa che Dio aveva fatto ad Abraamo, il popolo crebbe e moltiplicò in Egitto, finché sorse sull’Egitto un altro re, che non sapeva nulla di Giuseppe. Costui, procedendo con astuzia contro la nostra stirpe, trattò male i nostri padri fino a costringerli a esporre i loro piccoli fanciulli, perché non sopravvivessero. In quel tempo nacque Mosè ed era bello agli occhi di Dio; egli fu nutrito per tre mesi in casa di suo padre e, quando fu esposto, la figlia del Faraone lo raccolse e se lo allevò come figlio. Mosè fu educato in tutta la sapienza degli Egizi ed era potente in parole e opere. Ma quando raggiunse l’età di quarant’anni, gli venne in animo di andare a visitare i suoi fratelli, i figli d’Israele. Vedendo che uno di loro era maltrattato, lo difese e vendicò l’oppresso, uccidendo l’Egiziano. Ora egli pensava che i suoi fratelli avrebbero capito che Dio li voleva salvare per mano sua, ma essi non compresero. Il giorno seguente egli comparve fra loro, mentre litigavano, e cercava di riconciliarli, dicendo: ‘O uomini, voi siete fratelli, perché fate torto gli uni agli altri?’. Ma colui che faceva torto al suo prossimo lo respinse dicendo: ‘ Chi ti ha costituito capo e giudice su noi? Vuoi uccidere me come ieri uccidesti l’Egiziano? ’. A questa parola Mosè fuggì e dimorò come forestiero nel paese di Madian, dove ebbe due figli. Passati quarant’anni, un angelo gli apparve nel deserto del monte Sinai, nella fiamma di un pruno ardente. Mosè, visto ciò, si meravigliò della visione e, come si accostava per osservare, si fece udire questa voce del Signore: ‘Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio d’Abraamo, d’Isacco e di Giacobbe’. Mosè, tutto tremante, non ardiva osservare. E il Signore gli disse: ‘ Sciogliti i calzari dai piedi; perché il luogo dove stai è suolo sacro. Certo, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito i loro sospiri, e sono disceso per liberarli; e ora vieni, ti manderò in Egitto ’. Quel Mosè che avevano rinnegato, dicendo: ‘ Chi ti ha costituito capo e giudice? ’. Dio lo mandò loro come capo e come liberatore con l’aiuto dell’angelo che gli era apparso nel pruno. Egli li condusse fuori, avendo fatto prodigi e segni nel paese di Egitto, nel Mar Rosso e nel deserto per quarant’anni. Questi è il Mosè che disse ai figli d’Israele: ‘Il Signore Dio vostro susciterà, tra i vostri fratelli, un profeta come me’. Questi è colui che nell’assemblea del deserto fu con l’angelo che gli parlava sul monte Sinai e con i nostri padri, e che ricevette rivelazioni viventi per darcele. A lui i nostri padri non vollero essere ubbidienti, ma lo ripudiarono e rivolsero il loro cuore all’Egitto, dicendo ad Aaronne: ‘ Facci degli dèi che vadano davanti a noi; perché quanto a questo Mosè che ci ha condotti fuori del paese d’Egitto, noi non sappiamo quel che ne sia avvenuto ’. E in quei giorni fecero un vitello, offrirono sacrifici all’idolo e si rallegrarono dell’opera delle loro mani. Ma Dio si ritrasse da loro e li abbandonò al culto dell’esercito del cielo, com’è scritto nel libro dei profeti: ‘Casa d’Israele, mi avete forse offerto vittime e sacrifici durante quarant’anni nel deserto? Anzi, voi portaste la tenda di Moloc e la stella del dio Refàn, immagini che voi faceste per adorarle. Perciò io vi deporterò al di là di Babilonia’. Il tabernacolo della testimonianza fu con i nostri padri nel deserto, come aveva comandato colui che aveva detto a Mosè che lo facesse secondo il modello che aveva visto. I nostri padri, guidati da Giosuè, ricevutolo, lo introdussero nel paese posseduto dalle genti che Dio scacciò davanti a loro. Là rimase fino ai giorni di Davide, il quale trovò grazia davanti a Dio, e chiese di preparare una dimora al Dio di Giacobbe. Ma Salomone fu quello che gli edificò una casa. L’Altissimo però non abita in templi fatti da mano d’uomo, come dice il profeta: ‘Il cielo è il mio trono, e la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi edificherete voi?’ dice il Signore, ‘o quale sarà il luogo del mio riposo? Non ha la mia mano fatte tutte queste cose?’. Gente di collo duro e incirconcisa di cuore e d’orecchi, voi contrastate sempre lo Spirito Santo; come fecero i padri vostri, così fate anche voi. Quale dei profeti non perseguitarono i vostri padri? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete stati i traditori e gli uccisori; voi, che avete ricevuto la legge promulgata dagli angeli e non l’avete osservata”. Essi, udendo queste cose, fremevano di rabbia nei loro cuori e digrignavano i denti contro di lui. Ma egli, essendo pieno dello Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: “Ecco, io vedo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio”. Ma essi, gettando grida fortissime, si turarono gli orecchi e tutti insieme si avventarono sopra lui; poi, cacciatolo fuori dalla città, si misero a lapidarlo; i testimoni deposero le loro vesti ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano che invocava Gesù e diceva: “Signore Gesù, ricevi il mio spirito”. Poi, postosi in ginocchio, gridò ad alta voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”. E, detto questo, si addormentò. Saulo approvava la sua uccisione e in quel tempo vi fu una grande persecuzione contro la chiesa che era in Gerusalemme. Tutti furono dispersi per le contrade della Giudea e della Samaria, salvo gli apostoli. E degli uomini devoti seppellirono Stefano e fecero gran cordoglio di lui. Ma Saulo devastava la chiesa, entrando di casa in casa e, trascinandone uomini e donne, li metteva in prigione. Allora quelli che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola. Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo. E le folle unanimi prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva. Infatti gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce, e molti paralitici e molti zoppi erano guariti. E vi fu grande gioia in quella città. Ora vi era un certo uomo, chiamato Simone, che già da tempo esercitava nella città le arti magiche e faceva stupire la gente di Samaria, spacciandosi per un personaggio importante. Tutti, dal più piccolo al più grande, gli davano ascolto, dicendo: “Costui è ‘la potenza di Dio’, che si chiama ‘la Grande’”. E gli davano ascolto, perché già da lungo tempo li aveva fatti stupire con le sue arti magiche. Ma, quando ebbero creduto a Filippo che annunciava loro la buona notizia relativa al regno di Dio e al nome di Gesù Cristo, furono battezzati, uomini e donne. Anche Simone credette e, dopo essere stato battezzato, stava sempre con Filippo; e, vedendo i miracoli e le grandi opere potenti che erano fatte, stupiva. Allora gli apostoli che erano a Gerusalemme, saputo che la Samaria aveva ricevuto la parola di Dio, vi mandarono Pietro e Giovanni. I quali, essendo discesi là, pregarono per loro affinché ricevessero lo Spirito Santo, poiché non era ancora disceso sopra alcuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imposero loro le mani ed essi ricevettero lo Spirito Santo. Simone, vedendo che per l’imposizione delle mani degli apostoli era dato lo Spirito Santo, offrì loro del denaro, dicendo: “Date anche a me questo potere, affinché colui al quale io imponga le mani riceva lo Spirito Santo”. Ma Pietro gli disse: “Il tuo denaro vada con te in perdizione, poiché hai stimato che il dono di Dio si acquisti con denaro. Tu, in questo, non hai parte né sorte alcuna, perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Ravvediti dunque di questa tua malvagità e prega il Signore affinché, se è possibile, ti sia perdonato il pensiero del tuo cuore. Vedo infatti che tu sei pieno di amarezza e prigioniero d’iniquità”. E Simone, rispondendo, disse: “Pregate voi il Signore per me, affinché nulla di ciò che avete detto mi venga addosso”. Essi dunque, dopo aver testimoniato e annunciato la parola del Signore, ritornarono a Gerusalemme, evangelizzando molti villaggi dei Samaritani. Un angelo del Signore parlò a Filippo, dicendo: “Àlzati e vattene dalla parte di mezzodì, sulla via che scende da Gerusalemme a Gaza. Essa è una via deserta”. Egli, alzatosi, partì. Ed ecco un Etiope, un eunuco, ministro di Candace, regina degli Etiopi, il quale era sovrintendente di tutti i suoi tesori, era venuto a Gerusalemme per adorare: ora stava ritornandosene, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. Lo Spirito disse a Filippo: “Accostati, e raggiungi quel carro”. Filippo accorse, l’udì che leggeva il profeta Isaia e disse: “Capisci le cose che leggi?”. Ed egli rispose: “E come potrei comprenderle, se nessuno mi guida?”. E pregò Filippo che salisse e sedesse con lui. Ora il passo della Scrittura che leggeva era questo: ‘Egli è stato condotto all’uccisione come una pecora; e come un agnello che è muto davanti a colui che lo tosa, così egli non ha aperta la bocca. Nella sua umiliazione fu tolta via la sua condanna; chi descriverà la sua generazione? Poiché la sua vita è stata tolta dalla terra’. L’eunuco, rivolto a Filippo, gli disse: “Di chi, ti prego, dice questo il profeta? Di sé stesso, oppure di un altro?”. Allora Filippo prese a parlare e, cominciando da questo passo della Scrittura, gli annunciò Gesù. Strada facendo giunsero a un luogo dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: “Ecco dell’acqua; che impedisce che io sia battezzato?”. Filippo disse: “Se tu credi con tutto il cuore, è possibile”. L’eunuco rispose: “Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio”. Allora comandò che il carro si fermasse e discesero entrambi nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. Quando uscirono fuori dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco, continuando il suo cammino tutto allegro, non lo vide più. Poi Filippo si ritrovò in Azot e, proseguendo, evangelizzò tutte le città, finché giunse a Cesarea. Saulo, sempre spirante minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si recò dal sommo sacerdote e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco, affinché, se avesse trovato quelli che seguivano la Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme. E, mentre era in viaggio e si avvicinava a Damasco, avvenne che, d’improvviso, sfolgorò intorno a lui una luce dal cielo. E, caduto in terra, udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Ed egli disse: “Chi sei, Signore?”. E il Signore: “Io sono Gesù che tu perseguiti. [Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo”. Ed egli, tutto tremante e spaventato, disse: “Signore, che vuoi tu che io faccia?”. E il Signore gli disse:] “Àlzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”. Gli uomini che facevano il viaggio con lui rimasero attoniti, udendo la voce, ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra, ma, quando aprì gli occhi, non vedeva nulla e quelli, conducendolo per mano, lo condussero a Damasco. E rimase tre giorni senza vedere e non mangiò né bevve. Ora a Damasco c’era un discepolo di nome Anania; e il Signore gli disse in visione: “Anania!”. Ed egli rispose: “Eccomi, Signore”. E il Signore a lui: “Àlzati, vattene nella strada detta ‘Diritta’ e cerca in casa di Giuda un uomo chiamato Saulo, da Tarso, poiché, ecco, egli è in preghiera e ha visto un uomo, chiamato Anania, entrare e imporgli le mani perché recuperi la vista”. Ma Anania rispose: “Signore, io ho udito dire da molti di quest’uomo, quanti mali abbia fatto ai tuoi santi in Gerusalemme. E qui ha ricevuto autorità dai capi sacerdoti d’incatenare tutti quelli che invocano il tuo nome”. Ma il Signore gli disse: “Va’, perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai Gentili, ai re e ai figli d’Israele, poiché io gli mostrerò quante cose debba soffrire per il mio nome”. Allora Anania andò, entrò in quella casa e, avendogli imposte le mani, disse: “Fratello Saulo, il Signore, cioè Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale tu venivi, mi ha mandato perché tu recuperi la vista e sii ripieno dello Spirito Santo”. In quell’istante gli caddero dagli occhi come delle scaglie e recuperò la vista; poi, alzatosi, fu battezzato. E, avendo preso cibo, riacquistò le forze. Saulo rimase alcuni giorni con i discepoli che erano a Damasco e subito si mise a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Figlio di Dio. Tutti quelli che lo udivano stupivano e dicevano: “Non è costui quel che in Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed è venuto qui allo scopo di condurli incatenati ai capi sacerdoti?”. Ma Saulo si fortificava sempre di più e confondeva i Giudei che abitavano in Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo. Passati molti giorni, i Giudei si misero d’accordo per ucciderlo; ma Saulo venne a conoscenza del loro complotto. Essi facevano perfino la guardia alle porte, giorno e notte, per ucciderlo, ma i discepoli, presolo di notte, lo calarono giù dalle mura in una cesta. Quando fu giunto a Gerusalemme, tentava di unirsi ai discepoli, ma avevano tutti paura di lui, non credendo che egli fosse un discepolo. Allora Barnaba, presolo con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, lungo la strada, aveva visto il Signore e il Signore gli aveva parlato, e come a Damasco aveva predicato con franchezza nel nome di Gesù. Da allora Saulo andava e veniva con loro in Gerusalemme e predicava con franchezza nel nome del Signore; discorreva pure e discuteva con gli Ellenisti, ma questi cercavano di ucciderlo. I fratelli, avendolo saputo, lo condussero a Cesarea e di là lo mandarono a Tarso. Così la Chiesa, per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria aveva pace, essendo edificata, e, camminando nel timore del Signore e nella consolazione dello Spirito Santo, moltiplicava. Avvenne che, mentre Pietro andava a far visita a tutti, venne anche dai santi che abitavano a Lidda. Là trovò un uomo chiamato Enea, che già da otto anni giaceva in un lettuccio, essendo paralitico. E Pietro gli disse: “Enea, Gesù Cristo ti sana; àlzati e rifatti il letto”. Ed egli subito si alzò. E tutti gli abitanti di Lidda e di Saron lo videro e si convertirono al Signore. A Ioppe c’era una certa discepola chiamata Tabita, che, interpretato, vuol dire “Gazzella”; ella faceva molte opere buone ed elemosine. Proprio in quei giorni si ammalò e morì. E, dopo averla lavata, la posero in una sala di sopra. Poiché Lidda era vicina a Ioppe, i discepoli, udito che Pietro era là, gli mandarono due uomini per pregarlo che andasse da loro senza indugio. Pietro allora si alzò e partì con loro. E, come fu giunto, lo condussero nella sala di sopra e tutte le vedove si presentarono a lui piangendo e mostrandogli tutte le tuniche e i vestiti che Gazzella faceva, mentre era con loro. Ma Pietro, messi tutti fuori, si pose in ginocchio, pregò e, voltatosi verso il corpo, disse: “Tabita, àlzati”. Ed ella aprì gli occhi e, visto Pietro, si mise a sedere. Egli le diede la mano e la sollevò; poi, chiamati i santi e le vedove, la presentò loro in vita. Ciò fu risaputo per tutta Ioppe e molti credettero nel Signore. Pietro dimorò molti giorni a Ioppe, presso un certo Simone, conciatore di pelli. Vi era in Cesarea un uomo chiamato Cornelio, centurione della coorte detta l’“Italica”, il quale era pio e timorato di Dio con tutta la sua casa, faceva molte elemosine al popolo e pregava Dio continuamente. Egli vide chiaramente in visione, verso l’ora nona del giorno, un angelo di Dio che entrò da lui e gli disse: “Cornelio!”. Ed egli, guardandolo fisso e preso da spavento, rispose: “Che c’è, Signore?”. E l’angelo gli disse: “Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite come una ricordanza davanti a Dio. E ora manda degli uomini a Ioppe e fai chiamare un certo Simone, che è soprannominato Pietro. Egli alloggia da un certo Simone, conciatore di pelli, che ha la casa vicino al mare”. Appena l’angelo che gli parlava se ne fu andato, Cornelio chiamò due suoi domestici e un soldato pio di quelli che stavano sempre con lui e, raccontata loro ogni cosa, li mandò a Ioppe. Il giorno seguente, mentre quelli erano in viaggio e si avvicinavano alla città, Pietro salì sul terrazzo, verso l’ora sesta, per pregare. Ebbe fame e desiderava prendere cibo; mentre glielo preparavano, fu rapito in estasi, vide il cielo aperto e scenderne una certa cosa, simile a un gran lenzuolo che, tenuto per i quattro angoli, veniva calato in terra. In esso c’erano dei quadrupedi, dei rettili della terra e degli uccelli del cielo, di ogni specie. E una voce gli disse: “Àlzati, Pietro, ammazza e mangia”. Ma Pietro rispose: “In nessun modo, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla d’impuro e di contaminato”. E la voce gli disse per la seconda volta: “Le cose che Dio ha purificate, non le fare tu impure”. Questo avvenne per tre volte e subito quell’oggetto fu risollevato in cielo. Mentre Pietro, dentro di sé, era perplesso sul significato della visione avuta, ecco gli uomini mandati da Cornelio, i quali, avendo domandato della casa di Simone, si fermarono alla porta. Avendo chiamato, domandarono se Simone, soprannominato Pietro, alloggiasse lì. Mentre Pietro stava pensando alla visione, lo Spirito gli disse: “Ecco tre uomini che ti cercano. Àlzati dunque, scendi e va’ con loro, senza fartene scrupolo, perché sono io che li ho mandati”. Pietro, sceso verso quegli uomini, disse loro: “Ecco, sono io quello che cercate; qual è il motivo per cui siete qui?”. Ed essi risposero: “Il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio, del quale rende buona testimonianza tutto il popolo dei Giudei, è stato divinamente avvertito da un santo angelo di farti chiamare in casa sua e di ascoltare quel che avrai da dirgli”. Allora, fattili entrare, li ospitò. Il giorno seguente andò con loro e alcuni fratelli di Ioppe lo accompagnarono. L’indomani arrivarono a Cesarea. Cornelio li stava aspettando e aveva chiamato i suoi parenti e i suoi intimi amici. Mentre Pietro entrava, Cornelio, andandogli incontro, s’inginocchiò davanti a lui. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: “Àlzati, anch’io sono uomo!” e, discorrendo con lui, entrò e trovò molte persone radunate in quel luogo. Allora disse loro: “Voi sapete come non sia lecito a un Giudeo avere relazioni con uno straniero o di entrare da lui, ma Dio mi ha mostrato che non devo chiamare alcun uomo impuro o contaminato. È per questo che, essendo stato chiamato, sono venuto senza fare obiezioni. Ora vi domando dunque: per quale motivo mi avete mandato a chiamare?”. Cornelio rispose: “Quattro giorni ora sono stavo pregando, all’ora nona, in casa mia, quand’ecco un uomo mi si presentò davanti, in veste risplendente, e disse: ‘Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita e le tue elemosine sono state ricordate davanti a Dio. Manda dunque a Ioppe a far chiamare Simone, soprannominato Pietro; egli è ospite in casa di Simone cuoiaio, vicino al mare’. Perciò mandai a chiamarti subito e tu hai fatto bene a venire; ora dunque siamo tutti qui presenti davanti a Dio, per udire tutte le cose che ti sono state comandate dal Signore”. Allora Pietro, prendendo a parlare, disse: “In verità io comprendo che Dio non ha riguardo alla qualità delle persone, ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito. Questa è la parola che egli ha diretta ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo. Egli è il Signore di tutti. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni, vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret: come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza e come egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose che egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme ed essi lo hanno ucciso, appendendolo a un legno. Ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e ha fatto sì che egli si manifestasse non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio, cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. Egli ci ha comandato di predicare al popolo e di testimoniare che egli è colui che da Dio è stato costituito Giudice dei vivi e dei morti. Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome”. Mentre Pietro parlava così, lo Spirito Santo cadde su tutti coloro che udivano la Parola. E tutti i credenti circoncisi che erano venuti con Pietro rimasero stupiti che il dono dello Spirito Santo fosse sparso anche sui Gentili, poiché li udivano parlare in altre lingue, e magnificare Dio. Allora Pietro prese a dire: “Può qualcuno vietare l’acqua perché non siano battezzati questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi?”. E comandò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Allora essi lo pregarono di rimanere alcuni giorni con loro. Gli apostoli e i fratelli che si trovavano nella Giudea vennero a sapere che i Gentili avevano anch’essi ricevuto la parola di Dio. E, quando Pietro salì a Gerusalemme, i credenti circoncisi contendevano con lui, dicendo: “Tu sei entrato da uomini incirconcisi e hai mangiato con loro”. Ma Pietro iniziò a raccontare loro le cose per ordine fin dal principio, dicendo: “Io ero nella città di Ioppe in preghiera e in un’estasi ebbi una visione; una certa cosa simile a un gran lenzuolo tenuto per i quattro angoli scendeva giù dal cielo e veniva fino a me; io, fissatolo con attenzione, lo considerai bene e vidi i quadrupedi della terra, le fiere, i rettili e gli uccelli del cielo. E udii anche una voce che mi diceva: ‘Pietro, àlzati, ammazza e mangia’. Ma io dissi: ‘In nessun modo, Signore, poiché nulla di impuro o contaminato mi è mai entrato in bocca’. Ma una voce mi rispose per la seconda volta dal cielo: ‘Le cose che Dio ha purificate, non le fare tu impure’. E ciò avvenne per tre volte, poi ogni cosa fu ritirata in cielo. Ed ecco che in quell’istante tre uomini, mandatimi da Cesarea, si presentarono alla casa dove eravamo. Lo Spirito mi disse di andare con loro, senza farmene scrupolo. Anche questi sei fratelli vennero con me ed entrammo in casa di quell’uomo. Egli ci raccontò come aveva visto l’angelo che si era presentato in casa sua e gli aveva detto: ‘Manda qualcuno a Ioppe e fa chiamare Simone, soprannominato Pietro, il quale ti parlerà di cose per le quali sarai salvato tu e tutta la casa tua’. Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo scese su di loro, proprio come era sceso su noi da principio. Mi ricordai allora della parola del Signore, che diceva: ‘Giovanni ha battezzato con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo’. Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato anche a noi che abbiamo creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io da potermi opporre a Dio?”. Allora, udite queste cose, si calmarono e glorificarono Dio, dicendo: “Dio dunque ha dato il ravvedimento anche ai Gentili affinché abbiano vita”. Quelli dunque che erano stati dispersi per la persecuzione avvenuta a causa di Stefano, giunsero fino in Fenicia, a Cipro e ad Antiochia, annunciando la Parola soltanto ai Giudei e a nessun altro. Ma alcuni di loro, che erano Ciprioti e Cirenei, arrivati ad Antiochia, si misero a parlare anche ai Greci, annunciando il Signore Gesù. La mano del Signore era con loro e gran numero di persone, avendo creduto, si convertì al Signore. La notizia del fatto giunse agli orecchi della chiesa che era in Gerusalemme, la quale mandò Barnaba fino ad Antiochia. Quando egli giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò e li esortò tutti ad attenersi al Signore con cuore risoluto, perché egli era un uomo buono, pieno di Spirito Santo e di fede. E una gran folla fu aggiunta al Signore. Poi Barnaba se ne andò a Tarso a cercare Saulo e, avendolo trovato, lo condusse ad Antiochia. Per un anno intero parteciparono alle riunioni della chiesa e istruirono un gran popolo; ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati “Cristiani”. In quei giorni, alcuni profeti scesero da Gerusalemme ad Antiochia. E uno di loro, chiamato Agabo, alzatosi, predisse per lo Spirito che ci sarebbe stata una grande carestia per tutta la terra ed essa ci fu sotto Claudio. Allora i discepoli determinarono di mandare, ciascuno secondo le proprie possibilità, una sovvenzione ai fratelli che abitavano in Giudea, cosa che fecero, mandandola agli anziani, per mano di Barnaba e di Saulo. In quel periodo il re Erode iniziò a maltrattare alcuni della chiesa e fece morire di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, continuò e fece arrestare anche Pietro. Erano i giorni degli Azzimi. Fattolo arrestare, lo mise in prigione, affidandolo in custodia a quattro mute di soldati di quattro ciascuna, perché voleva farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro dunque era custodito nella prigione, ma fervide preghiere erano fatte dalla chiesa a Dio per lui. Ora la notte prima di quando Erode voleva farlo comparire, Pietro stava dormendo in mezzo a due soldati, legato con due catene, e le guardie davanti alla porta custodivano la prigione. Ed ecco, un angelo del Signore sopraggiunse e una luce risplendette nella cella; l’angelo, toccato il fianco a Pietro, lo svegliò, dicendo: “Àlzati, presto!”. E le catene gli caddero dalle mani. Poi l’angelo disse: “Vestiti e legati i sandali”. E Pietro fece così. Poi gli disse: “Mettiti il mantello e seguimi”. Ed egli, uscito, lo seguiva, non sapendo che fosse vero quel che avveniva per mezzo dell’angelo, ma pensando di avere una visione. Come ebbero oltrepassato la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro che immette in città, la quale si aprì da sé davanti a loro; usciti, s’inoltrarono per una strada e in quell’istante l’angelo si allontanò da lui. Pietro, rientrato in sé, disse: “Ora so per certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha liberato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si aspettavano i Giudei”. E, considerando la cosa, si recò a casa di Maria, madre di Giovanni soprannominato Marco, dove molti fratelli erano riuniti in preghiera. Appena Pietro bussò alla porta del vestibolo, una serva chiamata Rode si avvicinò per ascoltare e, riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse dentro ad annunciare che Pietro stava davanti alla porta. E quelli le dissero: “Tu sei pazza!”. Ma ella insisteva che era così. Ed essi dicevano: “È il suo angelo”. Pietro intanto continuava a bussare e, quando ebbero aperto, lo videro e stupirono. Ma egli, fatto loro cenno con la mano che tacessero, raccontò loro in quale modo il Signore lo aveva fatto uscire dal carcere. Poi disse: “Fate sapere queste cose a Giacomo e ai fratelli”. Poi uscì e se ne andò in un altro luogo. Fattosi giorno, i soldati furono molto agitati, perché non sapevano che cosa fosse avvenuto di Pietro. Erode, cercatolo e non avendolo trovato, esaminate le guardie, comandò che fossero condotte al supplizio. Poi, sceso dalla Giudea a Cesarea, vi si trattenne. Erode era fortemente adirato contro i Tiri e i Sidoni, ma essi di comune accordo si presentarono a lui e, guadagnato il favore di Blasto, ciambellano del re, chiesero pace, perché il loro paese traeva i viveri dal paese del re. Nel giorno fissato Erode, indossato l’abito reale e, postosi a sedere sul trono, tenne loro un pubblico discorso. E il popolo si mise a gridare: “Voce di un dio e non di un uomo!”. In quell’istante un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato a Dio la gloria, e morì roso dai vermi. Ma la parola di Dio progrediva e si spandeva di più in più. Barnaba e Saulo, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme, prendendo con loro Giovanni soprannominato Marco. Nella chiesa di Antiochia c’erano dei profeti e dei dottori: Barnaba, Simeone chiamato Niger, Lucio di Cirene, Manaem, fratello di latte di Erode il tetrarca, e Saulo. Mentre celebravano il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: “Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati”. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li lasciarono partire. Essi dunque, mandati dallo Spirito Santo, scesero a Seleucia e di là navigarono verso Cipro. Giunti a Salamina, annunciarono la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei; avevano con loro Giovanni come aiuto. Poi, traversata tutta l’isola fino a Pafo, trovarono un certo mago, un falso profeta giudeo, che aveva nome Bar-Gesù, il quale era con il proconsole Sergio Paolo, uomo intelligente. Questi, chiamati a sé Barnaba e Saulo, chiese di udire la parola di Dio. Ma Elima, il mago (perché così s’interpreta il suo nome), resisteva loro, cercando di distogliere il proconsole dalla fede. Allora Saulo, chiamato anche Paolo, pieno di Spirito Santo, guardandolo fisso, gli disse: “O pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, non cesserai tu di pervertire le diritte vie del Signore? E ora, ecco, la mano del Signore è sopra di te e sarai cieco, senza vedere il sole, per un certo tempo”. In quell’istante oscurità e tenebre piombarono su di lui e, andando qua e là, cercava chi lo conducesse per la mano. Allora il proconsole, visto quel che era accaduto credette, essendo stupito della dottrina del Signore. Paolo e i suoi compagni, imbarcatisi a Pafo, arrivarono a Perga di Panfilia, ma Giovanni, separatosi da loro, ritornò a Gerusalemme. Essi, passando oltre Perga, giunsero ad Antiochia di Pisidia e, recatisi il sabato nella sinagoga, si misero a sedere. Dopo la lettura della legge e dei profeti, i capi della sinagoga mandarono a dire loro: “Fratelli, se avete qualche parola di esortazione da rivolgere al popolo, ditela”. Allora Paolo, alzatosi, e fatto cenno con la mano, disse: “Uomini Israeliti e voi che temete Dio, udite. Il Dio di questo popolo di Israele scelse i nostri padri, fece grande il popolo durante la sua dimora nel paese di Egitto e, con braccio potente, lo trasse fuori. E per circa quarant’anni sopportò la loro condotta nel deserto. Poi, dopo aver distrutto sette nazioni nel paese di Canaan, distribuì loro come eredità il paese di quelle. Dopo queste cose, per circa quattrocentocinquant’anni, diede loro dei giudici fino al profeta Samuele. Dopo chiesero un re e Dio diede loro Saul, figlio di Chis, della tribù di Beniamino, per lo spazio di quarant’anni. Poi, rimossolo, suscitò loro Davide per re, al quale rese anche questa testimonianza: ‘Io ho trovato Davide, figlio di Isai, un uomo secondo il mio cuore, che eseguirà ogni mio volere’. Dalla sua discendenza, secondo la sua promessa, Dio ha suscitato a Israele un Salvatore nella persona di Gesù, avendo Giovanni, prima della sua venuta, predicato il battesimo del ravvedimento a tutto il popolo d’Israele. E mentre Giovanni stava completanto il suo corso, diceva: ‘Che cosa pensate voi che io sia? Io non sono il Messia ma, ecco, dietro di me viene uno al quale io non sono degno di slacciare i calzari’. Fratelli miei, figli della discendenza d’Abraamo, e voi tutti che temete Dio, a noi è stata mandata la parola di questa salvezza. Infatti gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi, avendo disconosciuto questo Gesù e le dichiarazioni dei profeti che si leggono ogni sabato, le adempirono, condannandolo. E, benché non trovassero in lui nulla che fosse degno di morte, chiesero a Pilato che fosse fatto morire. Dopo aver compiuto tutte le cose che erano scritte di lui, lo trassero giù dal legno e lo deposero in un sepolcro. Ma Dio lo risuscitò dai morti e per molti giorni egli si fece vedere da quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, i quali sono ora suoi testimoni davanti al popolo. E noi vi annunciamo la buona notizia che, la promessa fatta ai padri, Dio l’ha adempiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche è scritto nel salmo secondo: ‘Tu sei mio Figlio, oggi io t’ho generato’. Siccome lo ha risuscitato dai morti, per non tornare più nella corruzione, egli ha detto così: ‘Io vi manterrò le sacre e fedeli promesse fatte a Davide’. Difatti egli dice altrove: ‘Tu non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione’. Poiché Davide, dopo aver servito al consiglio di Dio nella sua generazione, si è addormentato ed è stato riunito con i suoi padri e ha visto la corruzione; ma colui che Dio ha risuscitato non ha subito la corruzione. Vi sia dunque noto, fratelli, che per mezzo di lui vi è annunciato il perdono dei peccati e, per mezzo di lui, chiunque crede è giustificato di tutte le cose, delle quali voi non avete potuto essere giustificati per la legge di Mosè. Guardate dunque che non venga su voi quello che è detto nei profeti: ‘Guardate, o disprezzatori, stupite e nascondetevi, perché io compio un’opera ai giorni vostri, un’opera che voi non credereste, se qualcuno ve la narrasse’”. Mentre uscivano, furono pregati di parlare di quelle medesime cose al popolo il sabato seguente. Dopo che la riunione fu sciolta, molti dei Giudei e dei proseliti pii seguirono Paolo e Barnaba, i quali, parlando loro, li persuasero a perseverare nella grazia di Dio. Il sabato seguente, quasi tutta la città si radunò per udire la parola del Signore. Ma i Giudei, vedendo la folla, furono ripieni d’invidia e, bestemmiando, contradicevano le cose dette da Paolo. Allora Paolo e Barnaba dissero loro francamente: “Era necessario che a voi per primi si annunciasse la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: ‘Io ti ho posto per essere luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra’”. I Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola del Signore e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna credettero. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, scatenarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dai loro confini. Ma essi, scossa la polvere dei piedi contro di loro, se ne andarono a Iconio e i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo. Anche a Iconio Paolo e Barnaba entrarono nella sinagoga dei Giudei e parlarono in maniera che una gran folla di Giudei e di Greci credette. Ma i Giudei, rimasti increduli, aizzarono e inasprirono gli animi dei Gentili contro i fratelli. Tuttavia rimasero là per molto tempo, predicando con franchezza e fiduciosi nel Signore, il quale rendeva testimonianza alla parola della sua grazia, concedendo che per mano loro si facessero segni e prodigi. Ma la popolazione della città era divisa: alcuni tenevano per i Giudei e gli altri per gli apostoli. Ma quando ci fu un tentativo dei Gentili e dei Giudei, con i loro capi, di maltrattare gli apostoli e lapidarli, questi, saputa la cosa, se ne fuggirono nelle città di Licaonia, Listra e Derba e nei dintorni; e là si misero a evangelizzare. A Listra c’era un uomo, paralizzato ai piedi, che stava sempre seduto, ed essendo zoppo dalla nascita non aveva mai camminato. Egli udì parlare Paolo, il quale, fissati in lui gli occhi e vedendo che aveva fede da essere guarito, disse ad alta voce: “Àlzati in piedi”. Ed egli saltò su e si mise a camminare. La folla, visto ciò che Paolo aveva fatto, alzò la voce, dicendo in lingua licaonica: “Gli dèi hanno preso forma umana e sono discesi fino a noi”. E chiamavano Barnaba, Giove e Paolo, Mercurio, perché lui era il primo a parlare. Il sacerdote di Giove, il cui tempio era all’entrata della città, condusse davanti alle porte tori e ghirlande e voleva offrire un sacrificio con la folla. Ma gli apostoli Barnaba e Paolo, udito ciò, si stracciarono le vesti e saltarono in mezzo alla folla, esclamando: “Uomini, perché fate queste cose? Anche noi siamo uomini della vostra stessa natura e vi predichiamo che da queste cose vane vi convertiate al Dio vivente, che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi; che nelle età passate ha lasciato camminare nelle loro vie tutte le nazioni, ma non ha lasciato sé stesso senza testimonianza, facendo del bene, mandandovi dal cielo piogge e stagioni fruttifere, dandovi cibo in abbondanza e letizia nei vostri cuori”. Con queste parole riuscirono a stento a impedire che la folla offrisse loro un sacrificio. Allora giunsero da Antiochia e da Iconio alcuni Giudei, i quali sobillarono la folla; essi lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. Ma, essendosi i discepoli riuniti intorno a lui, egli si rialzò ed entrò nella città. Il giorno seguente partì con Barnaba per Derba. E, dopo aver evangelizzato quella città e fatti molti discepoli, se ne tornarono a Listra, a Iconio e ad Antiochia, fortificando gli animi dei discepoli ed esortandoli a perseverare nella fede, dicendo loro che dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni. E, fatti eleggere per ciascuna chiesa degli anziani, dopo aver pregato e digiunato, raccomandarono i fratelli al Signore, nel quale avevano creduto. E attraversata la Pisidia, vennero in Panfilia. Dopo aver annunciato la Parola a Perga, scesero ad Attalia e di là navigarono verso Antiochia, da dove erano stati raccomandati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuta. Giunti là e riunita la chiesa, riferirono tutte le cose che Dio aveva compiuto per mezzo di loro e come aveva aperto la porta della fede ai Gentili. E stettero non poco tempo con i discepoli. Alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: “Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati”. Ed essendo nata una non piccola disputa e controversia fra Paolo e Barnaba e costoro, fu deciso che Paolo, Barnaba e alcuni altri fratelli salissero a Gerusalemme agli apostoli e anziani per trattare la questione. Essi dunque, accompagnati per un tratto dalla chiesa, traversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei Gentili e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. Poi, giunti a Gerusalemme, furono accolti dalla chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutte le grandi cose che Dio aveva fatte per mezzo di loro. Ma alcuni della setta dei farisei, che avevano creduto, si alzarono dicendo: “Bisogna circonciderli e comandare loro di osservare la legge di Mosè”. Allora gli apostoli e gli anziani si riunirono per esaminare la questione. Ed essendone nata una grande discussione, Pietro si alzò in piedi e disse loro: “Fratelli, voi sapete che fin dai primi giorni Dio scelse fra voi me, affinché dalla bocca mia i Gentili udissero la parola del Vangelo e credessero. E Dio, che conosce i cuori, rese loro testimonianza, dando lo Spirito Santo a loro, come a noi e non fece alcuna differenza fra noi e loro, purificando i loro cuori mediante la fede. Perché dunque tentate adesso Dio, mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi abbiamo potuto portare? Anzi, noi crediamo che siamo salvati per la grazia del Signore Gesù, nello stesso modo di loro”. Tutta l’assemblea tacque e stava ad ascoltare Barnaba e Paolo che narravano quali segni e prodigi Dio aveva fatto per mezzo di loro fra i Gentili. Quando ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: “Fratelli, ascoltatemi. Simone ha narrato come Dio all’inizio ha voluto scegliersi, tra i Gentili, un popolo consacrato al suo nome. E con ciò si accordano le parole dei profeti, come sta scritto: ‘Dopo queste cose io tornerò ed edificherò di nuovo la tenda di Davide, che è caduta; e restaurerò le sue rovine, e la rimetterò in piedi, affinché il rimanente degli uomini e tutti i Gentili sui quali è invocato il mio nome, cerchino il Signore, dice il Signore che fa queste cose, le quali a lui sono note fin dall’eternità’. Per la qual cosa io giudico che non si debbano turbare i Gentili che si convertono a Dio, ma che si scriva loro di astenersi dalle cose contaminate nei sacrifici agl’idoli, dalla fornicazione, dalle cose soffocate e dal sangue. Poiché Mosè, fin dalle antiche generazioni, ha chi lo predica in ogni città, essendo letto nelle sinagoghe ogni sabato”. Allora parve bene agli apostoli e agli anziani con tutta la chiesa di mandare ad Antiochia con Paolo e Barnaba, certi uomini scelti fra loro: Giuda, soprannominato Barsabba, e Sila, uomini autorevoli tra i fratelli, ai quali consegnarono questa lettera: “Gli apostoli, e i fratelli anziani, ai fratelli di fra i Gentili che sono in Antiochia, in Siria e in Cilicia, salute. Poiché abbiamo saputo che alcuni, fra noi, vi hanno turbato con i loro discorsi, sconvolgendo le anime vostre, benché non avessimo dato loro mandato di sorta, è parso bene a noi, riuniti di comune accordo, di scegliere degli uomini e di mandarveli insieme ai nostri cari Barnaba e Paolo, i quali hanno esposto la propria vita per il nome del Signore nostro Gesù Cristo. Vi abbiamo dunque mandato Giuda e Sila; anch’essi vi diranno a voce le medesime cose. Poiché è parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso tranne queste cose, che sono necessarie: che vi asteniate dalle cose sacrificate agl’idoli, dal sangue, dalle cose soffocate e dalla fornicazione, dalle quali cose farete bene a guardarvi. State sani”. Essi dunque, dopo essersi accomiatati, scesero ad Antiochia e, radunata la moltitudine, consegnarono la lettera. E, quando i fratelli l’ebbero letta, si rallegrarono della consolazione che recava. Giuda e Sila, anch’essi profeti, con molte parole li esortarono e li confermarono. Dopo essersi trattenuti là diverso tempo, furono congedati dai fratelli in pace perché se ne tornassero a quelli che li avevano inviati. [Ma parve bene a Sila di rimanere qui.] Paolo e Barnaba rimasero invece ad Antiochia insegnando e annunciando, con molti altri ancora, la parola del Signore. Dopo diversi giorni, Paolo disse a Barnaba: “Torniamo ora a visitare i fratelli in ogni città dove abbiamo annunciato la parola del Signore, per vedere come stanno”. Barnaba voleva prendere con loro anche Giovanni, detto Marco. Ma Paolo giudicava che non dovessero prendere come compagno chi si era separato da loro fin dalla Panfilia e che non era andato con loro all’opera. E ne nacque un’aspra contesa, tanto che si separarono: Barnaba, preso con sé Marco, navigò verso Cipro, ma Paolo, sceltosi Sila, partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore. E percorse la Siria e la Cilicia, rafforzando le chiese. Egli raggiunse anche Derba e Listra; là c’era un certo discepolo, di nome Timoteo, figlio di una donna giudea credente, ma di padre greco. Di lui rendevano buona testimonianza i fratelli che erano a Listra e Iconio. Paolo volle che egli partisse con lui e, presolo, lo circoncise a causa dei Giudei che erano in quei luoghi, perché tutti sapevano che suo padre era greco. Passando per le città, essi trasmisero le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani che erano a Gerusalemme, perché le osservassero. Le chiese dunque erano confermate nella fede, e crescevano ogni giorno di numero. Poi traversarono la Frigia e il paese della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di annunciare la Parola in Asia. Giunti ai confini della Misia, tentavano di andare in Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro e, oltrepassata la Misia, discesero a Troas. Paolo di notte ebbe una visione: un uomo macedone gli stava davanti e lo pregava, dicendo: “Passa in Macedonia e soccorrici”. Appena ebbe quella visione, cercammo subito di partire per la Macedonia, essendo convinti che Dio ci aveva chiamati là ad annunciare loro l’Evangelo. Perciò, salpando da Troas, tirammo diritto verso Samotracia e, il giorno seguente, verso Neapolis; di là ci recammo a Filippi, che è colonia romana e città primaria di quella parte della Macedonia, e restammo in quella città alcuni giorni. Nel giorno di sabato andammo fuori dalla porta, presso il fiume, dove supponevamo vi fosse un luogo di preghiera e, postici a sedere, parlavamo alle donne là radunate. Una certa donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiatiri, che temeva Dio, ci stava ad ascoltare; il Signore le aprì il cuore per renderla attenta alle cose dette da Paolo. Dopo che fu battezzata con la sua famiglia, ci pregò, dicendo: “Se mi avete giudicato fedele al Signore, entrate in casa mia e dimoratevi”. E ci costrinse ad accettare. Mentre andavamo al luogo di preghiera incontrammo una certa serva che aveva uno spirito di divinazione e che, facendo l’indovina, procurava molto guadagno ai suoi padroni. Costei, messasi a seguire Paolo e noi, gridava: “Questi uomini sono servitori dell’Iddio altissimo e vi annunciano la via della salvezza”. Così fece per molti giorni, ma Paolo, infastidito, si voltò e disse allo spirito: “Io ti comando, nel nome di Gesù Cristo, che tu esca da costei”. Ed esso uscì in quell’istante. Ma i suoi padroni, vedendo che la speranza del loro guadagno era svanita, presero Paolo e Sila, li trascinarono sulla pubblica piazza, davanti alle autorità, e, presentatili ai pretori, dissero: “Questi uomini, che sono Giudei, turbano la nostra città e predicano dei riti che non è lecito a noi che siamo Romani né di ricevere, né di osservare”. Allora la folla insorse contro di loro e i pretori, strappate loro di dosso le vesti, comandarono che fossero battuti con le verghe. E, dopo aver loro dato molte battiture, li gettarono in prigione, comandando al carceriere di custodirli attentamente. Ricevuto tale ordine, egli li gettò nella prigione più interna e serrò loro i piedi nei ceppi. Verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio e i carcerati li ascoltavano. A un tratto ci fu un gran terremoto, la prigione fu scossa dalle fondamenta; in quell’istante tutte le porte si aprirono e i legami di tutti si sciolsero. Il carceriere, svegliatosi e viste le porte della prigione aperte, estrasse la spada per uccidersi, pensando che i carcerati fossero fuggiti. Ma Paolo gridò ad alta voce: “Non farti del male, perché siamo tutti qui”. Ed egli, chiesto un lume, saltò dentro e, tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila; poi li condusse fuori e disse: “Signori, cosa devo fare per essere salvato?”. Ed essi risposero: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”. Poi annunciarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. Ed egli, presili con sé in quella stessa ora della notte, lavò loro le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola e giubilava con tutta la sua casa, perché aveva creduto in Dio. Come fu giorno, i pretori mandarono i littori a dire: “Lascia andare quegli uomini”. Il carceriere riferì a Paolo queste parole, dicendo: “I pretori hanno mandato a dire di mettervi in libertà; ora dunque uscite e andate in pace”. Ma Paolo disse loro: “Dopo averci pubblicamente battuti senza essere stati condannati, noi che siamo cittadini romani, ci hanno gettato in prigione e ora ci mandano via di nascosto? No davvero! Anzi vengano loro stessi a condurci fuori”. E i littori riferirono queste parole ai pretori; e questi ebbero paura quando intesero che erano Romani; essi vennero, li pregarono di scusarli e, accompagnandoli fuori, chiesero loro di andarsene dalla città. Allora essi, usciti dalla prigione, entrarono in casa di Lidia e, visti i fratelli, li confortarono e partirono. Essendo passati per Amfipoli e per Apollonia, andarono a Tessalonica, dove si trovava una sinagoga dei Giudei; Paolo, secondo la sua usanza, entrò da loro e per tre sabati tenne loro ragionamenti tratti dalle Scritture, spiegando e dimostrando che era stato necessario che il Cristo soffrisse e risuscitasse dai morti. “E il Cristo”, egli diceva, “è quel Gesù che io vi annuncio”. Alcuni di loro furono persuasi e si unirono a Paolo e Sila; e così fecero una gran folla di Greci pii e non poche delle donne principali. Ma i Giudei, mossi da invidia, presero con loro certi uomini malvagi fra la gente di piazza; e, raccolta quella plebaglia, misero in tumulto la città e, assalita la casa di Giasone, cercavano di trascinare Paolo e Sila davanti al popolo. Ma, non avendoli trovati, trascinarono Giasone e alcuni dei fratelli davanti ai magistrati della città, gridando: “Costoro, che hanno messo sottosopra il mondo, sono venuti anche qu, e Giasone li ha accolti; e tutti costoro vanno contro gli statuti di Cesare, dicendo che c’è un altro re, Gesù”. E misero in agitazione la popolazione e i magistrati della città, che udivano queste cose. Questi, dopo che ebbero ricevuto una cauzione da Giasone e dagli altri, li lasciarono andare. I fratelli, di notte, fecero subito partire Paolo e Sila per Berea ed essi, giuntivi, si recarono nella sinagoga dei Giudei. Ora questi erano d’animo più nobile di quelli di Tessalonica, perché ricevettero la Parola con ogni premura, esaminando tutti i giorni le Scritture per vedere se le cose stavano così. Molti di loro, dunque, credettero e così pure un gran numero di nobildonne greche e d’uomini. Ma quando i Giudei di Tessalonica vennero a sapere che la parola di Dio era stata annunciata da Paolo anche a Berea, andarono anche là, agitando e mettendo sottosopra la folla. I fratelli, allora, fecero partire immediatamente Paolo, conducendolo fino al mare; ma Sila e Timoteo rimasero ancora là. Quelli che accompagnavano Paolo lo condussero fino ad Atene e, ricevuto l’ordine di dire a Sila e a Timoteo che quanto prima andassero da lui, se ne tornarono indietro. Mentre Paolo li aspettava in Atene, lo spirito gli s’inacerbiva dentro a vedere la città piena di idoli. Egli dunque ragionava nella sinagoga con i Giudei e con le persone pie e sulla piazza, ogni giorno, con quelli che vi si trovavano. E anche certi filosofi epicurei e stoici si confrontavano con lui. Alcuni dicevano: “Che vuol dire questo ciarlatano?”. E altri: “Egli pare essere un predicatore di divinità straniere”, perché annunciava Gesù e la risurrezione. E, presolo con sé, lo condussero su nell’Areòpago, dicendo: “Potremmo noi sapere quale sia questa nuova dottrina che tu proponi? Poiché tu stai portando ai nostri orecchi delle cose strane. Noi vorremmo dunque sapere che cosa vogliano dire queste cose”. Ora tutti gli Ateniesi e i forestieri che vi dimoravano non passavano il tempo in altro modo che a dire o ad ascoltare quel che c’era di più nuovo. E Paolo, stando in piedi in mezzo all’Areòpago, disse: “Ateniesi, vedo che siete in ogni cosa quasi troppo religiosi. Poiché, passando e considerando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: ‘al dio sconosciuto’. Ciò dunque che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annuncio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi fatti d’opera di mano e non è servito da mani d’uomini; come se avesse bisogno di qualche cosa; egli, che dà a tutti la vita, il fiato e ogni cosa. Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui viviamo, ci muoviamo e siamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: ‘Poiché siamo anche sua discendenza’. Essendo dunque discendenza di Dio, non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, argento o a pietra, scolpiti dall’arte e dall’immaginazione umana. Dio dunque, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia, per mezzo dell’uomo che egli ha stabilito; ne ha dato prova a tutti, avendolo risuscitato dai morti”. Quando sentirono parlare della risurrezione dei morti, alcuni se ne facevano beffe e altri dicevano: “Su questo noi ti sentiremo un’altra volta”. Così Paolo uscì dal mezzo di loro. Ma alcuni si unirono a lui e credettero, fra i quali anche Dionisio l’areopagita, una donna chiamata Damaris e altri con loro. Dopo questi fatti egli lasciò Atene e andò a Corinto. Trovatovi un certo Giudeo di nome Aquila, oriundo del Ponto, venuto di recente dall’Italia insieme con sua moglie Priscilla, perché Claudio aveva comandato che tutti i Giudei se ne andassero da Roma, si unì a loro. E, siccome era del medesimo mestiere, dimorava e lavorava con loro, poiché, di mestiere, erano fabbricanti di tende. Ogni sabato dialogava nella sinagoga e persuadeva Giudei e Greci. Quando poi Sila e Timoteo giunsero dalla Macedonia, Paolo si dedicò interamente alla predicazione, testimoniando ai Giudei che Gesù era il Cristo. Poiché essi lo contrastavano e lo insultavano, egli scosse le sue vesti e disse loro: “Il vostro sangue ricada sul vostro capo; io ne sono netto; d’ora in poi andrò dai Gentili”. E, uscito di là, entrò in casa di un tale, chiamato Tizio Giusto, il quale temeva Dio e aveva la casa contigua alla sinagoga. E Crispo, il capo della sinagoga, credette nel Signore con tutta la sua casa; anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano ed erano battezzati. Il Signore disse di notte, in visione a Paolo: “Non temere, ma parla e non tacere, perché io sono con te e nessuno metterà le mani su te per farti del male poiché io ho un grande popolo in questa città”. Ed egli rimase là un anno e sei mesi, insegnando fra loro la parola di Dio. Poi, quando Gallione fu proconsole d’Acaia, i Giudei, tutti d’accordo, insorsero contro Paolo e lo condussero davanti al tribunale, dicendo: “Costui va persuadendo gli uomini ad adorare Dio in modo contrario alla legge”. E come Paolo stava per aprire la bocca, Gallione disse ai Giudei: “Se si trattasse di qualche ingiustizia o di qualche cattiva azione, o Giudei, io vi ascolterei pazientemente, come ragione vuole. Ma se si tratta di questioni intorno a parole, a nomi e alla vostra legge, provvedeteci voi; io non voglio essere giudice di queste cose”. E li mandò via dal tribunale. Allora tutti, afferrato Sostene, il capo della sinagoga, lo picchiavano davanti al tribunale. E Gallione non si curava affatto di queste cose. Quanto a Paolo, egli rimase ancora molti giorni a Corinto; poi, preso commiato dai fratelli, navigò verso la Siria, con Priscilla e Aquila, dopo essersi fatto radere il capo a Cencrea, perché aveva fatto un voto. Quando giunsero a Efeso, Paolo li lasciò là; egli, intanto, entrato nella sinagoga, si mise a dialogare con i Giudei. E, pregandolo essi di trattenersi da loro più a lungo, non acconsentì, ma, dopo aver preso commiato e aver detto che, Dio volendo, sarebbe tornato da loro un’altra volta, salpò da Efeso. Sbarcato a Cesarea, salì a Gerusalemme e, salutata la chiesa, scese ad Antiochia. Essendosi fermato qui qualche tempo, partì, percorrendo di luogo in luogo il paese della Galazia e la Frigia, confermando tutti i discepoli. Ora un Ebreo di nome Apollo, oriundo d’Alessandria, uomo eloquente e potente nelle Scritture, arrivò a Efeso. Egli era stato istruito nella via del Signore; ed essendo fervente di spirito, parlava e insegnava accuratamente le cose relative a Gesù, benché avesse conoscenza soltanto del battesimo di Giovanni. Egli cominciò pure a parlare francamente nella sinagoga. Ma Priscilla e Aquila, uditolo, lo presero con loro e gli esposero più accuratamente la via di Dio. Poi, volendo egli passare in Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli che l’accogliessero. Giunto là, egli fu di grande aiuto a quelli che avevano creduto mediante la grazia di Dio, perché con gran vigore confutava pubblicamente i Giudei, dimostrando con le Scritture che Gesù è il Cristo. Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, dopo aver attraversato la parte alta del paese, andò a Efeso e vi trovò alcuni discepoli, ai quali disse: “Riceveste voi lo Spirito Santo dopo aver creduto?”. Ed essi a lui: “Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo”. Egli disse loro: “Di che battesimo siete dunque stati battezzati?”. Essi risposero: “Del battesimo di Giovanni”. Paolo disse: “Giovanni battezzò con il battesimo di ravvedimento, dicendo al popolo di credere in colui che veniva dopo di lui, cioè in Gesù”. Udito questo, furono battezzati nel nome del Signore Gesù e, dopo che Paolo ebbe loro imposto le mani, lo Spirito Santo scese su loro e parlavano in altre lingue e profetizzavano. Erano, in tutto, circa dodici uomini. Poi entrò nella sinagoga e qui parlò con molta franchezza per tre mesi, discorrendo con parole persuasive delle cose relative al regno di Dio. Ma, siccome alcuni si ostinavano e rifiutavano di credere, dicendo male della Via davanti alla folla, egli, ritiratosi da loro, separò i discepoli, discorrendo ogni giorno nella scuola di Tiranno. Questo durò due anni; così tutti coloro che abitavano nell’Asia, Giudei e Greci udirono la parola del Signore. E Dio faceva dei miracoli straordinari per le mani di Paolo, al punto che si portavano sui malati degli asciugatoi e dei grembiuli che erano stati sul suo corpo, e le malattie si allontanavano da loro e gli spiriti maligni uscivano. Ora alcuni esorcisti itineranti giudei tentarono anch’essi di invocare il nome del Signore Gesù su quelli che avevano degli spiriti maligni, dicendo: “Io vi scongiuro, per quel Gesù che Paolo proclama”. E quelli che facevano questo erano sette figli di un certo Sceva, giudeo, capo sacerdote. Ma lo spirito maligno, rispondendo, disse loro: “Gesù, lo conosco e Paolo so chi è, ma voi chi siete?”. E l’uomo che aveva lo spirito maligno si avventò su due di loro, li sopraffece e fece loro tale violenza che se ne fuggirono da quella casa, nudi e feriti. Questo fatto fu risaputo da tutti, Giudei e Greci, che abitavano in Efeso; e tutti furono presi da spavento e il nome del Signore Gesù era magnificato. E molti di quelli che avevano creduto venivano a confessare e a dichiarare le cose che avevano fatte. E molti di quelli che avevano esercitato le arti magiche, portarono i loro libri, li arsero alla presenza di tutti e, calcolatone il prezzo, trovarono che ammontava a cinquantamila dramme d’argento. Così la parola di Dio cresceva potentemente e si rafforzava. Dopo questi fatti, Paolo si mise in animo di andare a Gerusalemme, passando per la Macedonia e per l’Acaia. “Dopo che sarò stato là”, diceva, “bisogna che io veda anche Roma”. Mandati in Macedonia due di quelli che lo aiutavano, Timoteo ed Erasto, egli si trattenne ancora in Asia per qualche tempo. In quel periodo vi fu un gran tumulto a proposito della Via. Poiché un tale chiamato Demetrio, orefice, che faceva dei tempietti di Diana in argento, procurava non poco guadagno agli artigiani. Riuniti questi e gli altri che lavoravano queste cose, disse: “Uomini, voi sapete che dall’esercizio di quest’arte viene la nostra prosperità. E voi vedete e udite che questo Paolo ha persuaso e sviato molta gente non solo a Efeso, ma quasi in tutta l’Asia dicendo che quelli fatti con le mani non sono dèi. E non solo vi è pericolo che questo ramo della nostra arte cada in discredito, ma che anche il tempio della gran dea Diana sia reputato un nulla e che sia perfino spogliata della sua maestà colei che tutta l’Asia e il mondo adorano”. Essi, udite queste cose, accesi di sdegno, si misero a gridare: “Grande è la Diana degli Efesini!”. E tutta la città fu ripiena di confusione e, trascinando con sé a forza Gaio e Aristarco, Macedoni, compagni di viaggio di Paolo, si precipitarono tutti d’accordo verso il teatro. Paolo voleva presentarsi al popolo, ma i discepoli non glielo permisero. E anche alcuni magistrati dell’Asia che gli erano amici mandarono a pregarlo di non avventurarsi a venire nel teatro. Alcuni dunque gridavano una cosa e gli altri un’altr,; perché l’assemblea era in confusione e i più non sapevano per quale motivo si fossero riuniti. Dalla folla fecero uscire Alessandro, che i Giudei spingevano avanti. E Alessandro, fatto cenno con la mano, voleva arringare il popolo a loro difesa. Ma, quando ebbero riconosciuto che era giudeo, tutti, a una voce, per circa due ore si misero a gridare: “Grande è la Diana degli Efesini!”. Ma il segretario, calmata la folla, disse: “Uomini di Efeso, chi è mai quell'uomo che non sappia che la città degli Efesini è la guardiana del tempio della gran Diana e dell’immagine caduta da Giove? Queste cose sono incontestabili, perciò dovete calmarvi e non fare nulla di precipitoso, poiché avete condotto qua questi uomini, i quali non sono né sacrileghi né bestemmiatori della nostra dea. Se dunque Demetrio e gli artigiani che sono con lui hanno qualcosa contro qualcuno, ci sono i tribunali e ci sono i proconsoli; si facciano citare gli uni e gli altri. Se poi volete ottenere qualcosa riguardo ad altri affari, la questione si risolverà in un’assemblea legale. Perché noi siamo in pericolo di essere accusati di sedizione per la riunione d’oggi, non essendovi alcuna ragione con la quale noi possiamo giustificare questo assembramento”. E, dette queste cose, sciolse l’assemblea. Cessato il tumulto, Paolo, fatti chiamare i discepoli ed esortatili, li abbracciò e partì per andare in Macedonia. Dopo aver attraversato quelle regioni e aver rivolto loro molte esortazioni, arrivò in Grecia. Qui si fermò tre mesi; poi, avendogli i Giudei teso delle insidie mentre stava per imbarcarsi per la Siria, decise di tornare per la Macedonia. Lo accompagnarono Sòpatro di Berea, figlio di Pirro, i Tessalonicesi Aristarco e Secondo, Gaio di Derba e Timoteo e, della provincia d’Asia, Tichico e Trofimo. Costoro, andati avanti, ci aspettarono a Troas. E noi, dopo i giorni degli Azzimi, partimmo da Filippi e dopo cinque giorni li raggiungemmo a Troas, dove dimorammo sette giorni. Il primo giorno della settimana, mentre eravamo radunati per rompere il pane, Paolo, dovendo partire il giorno seguente, si mise a ragionare con loro e prolungò il suo discorso fino a mezzanotte. Nella sala di sopra, dove eravamo radunati, c’erano molte lampade; un certo giovane chiamato Eutico, che stava seduto sul davanzale della finestra, fu preso da profondo sonno; poiché Paolo tirava in lungo il suo dire, sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto. Ma Paolo, sceso giù, si gettò su di lui e, abbracciatolo, disse: “Non fate tanto strepito, perché l’anima sua è in lui”. Ed essendo risalito, spezzò il pane e prese cibo e, dopo aver ragionato lungamente sino all’alba, partì. Il ragazzo poi fu ricondotto vivo ed essi ne furono oltremodo consolati. Quanto a noi, che eravamo partiti con la nave, facemmo vela per Asso, con l’intenzione di prendere con noi Paolo, poiché egli aveva disposto così, volendo fare quel tragitto per terra. E, essendoci incontrati ad Asso, lo prendemmo con noi e arrivammo a Mitilene. Di là, navigando, il giorno dopo giungemmo di fronte a Chio; il giorno seguente approdammo a Samo e il giorno seguente arrivammo a Mileto. Poiché Paolo aveva deciso di navigare oltre Efeso, per non perdere tempo in Asia, dato che si affrettava per trovarsi, se gli fosse possibile, a Gerusalemme il giorno della Pentecoste. Da Mileto mandò a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa. Quando giunsero da lui, egli disse loro: “Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che entrai nell’Asia, io mi sono sempre comportato con voi, servendo il Signore con ogni umiltà e con lacrime, fra le prove venutemi dalle insidie dei Giudei, e come io non mi sono tratto indietro dall’annunciarvi e dall’insegnarvi in pubblico e per le case cosa alcuna di quelle che vi fossero utili, scongiurando Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo. E ora, ecco, vincolato dallo Spirito, vado a Gerusalemme, non sapendo le cose che là mi avverranno, salvo che lo Spirito Santo mi attesta in ogni città, che mi aspettano legami e afflizioni. Ma io non faccio alcun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di compiere il mio corso e il ministerio che ho ricevuto dal Signore Gesù, che è di testimoniare dell’Evangelo della grazia di Dio. E ora, ecco, io so che voi tutti, fra i quali sono passato predicando il Regno, non vedrete più la mia faccia. Perciò io vi dichiaro quest’oggi che sono netto del sangue di tutti, perché io non mi sono tirato indietro dall’annunciarvi tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, la quale egli ha acquistata con il proprio sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi dei lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge, e anche fra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinare i discepoli dietro a sé. Perciò vegliate, ricordandovi che per un periodo di tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime. E ora io vi raccomando a Dio e alla parola della sua grazia; a lui che può edificarvi e darvi l’eredità con tutti i santificati. Io non ho bramato né l’argento, né l’oro, né il vestito di nessuno. Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di quelli che erano con me. In ogni cosa vi ho mostrato che lavorando duramente così bisogna venire in aiuto ai deboli e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: ‘Più felice cosa è il dare che il ricevere’”. Quando ebbe detto queste cose, si pose in ginocchio e pregò con tutti loro. Tutti scoppiarono in un gran pianto e, gettatisi al collo di Paolo, lo baciavano, addolorati soprattutto per la parola che aveva detta, che non avrebbero più visto la sua faccia. E lo accompagnarono alla nave. Dopo esserci separati da loro, salpammo e giungemmo direttamente a Cos, il giorno seguente a Rodi e di là a Patara e, trovata una nave che passava in Fenicia, ci imbarcammo e salpammo. Giunti in vista di Cipro e lasciatala a sinistra, navigammo verso la Siria e approdammo a Tiro, perché qui si doveva scaricare la nave. Trovati i discepoli, dimorammo là sette giorni. Essi, mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non mettere piede a Gerusalemme; quando però fummo al termine di quei giorni, partimmo per continuare il viaggio, accompagnati da tutti loro, con le mogli e i figli, fin fuori della città; postici in ginocchio sul lido, pregammo e ci dicemmo addio, poi montammo sulla nave e quelli se ne tornarono alle loro case. Terminata la navigazione, da Tiro arrivammo a Tolemaide e, salutati i fratelli, ci trattenemmo un giorno con loro. Ripartiti l’indomani, giungemmo a Cesarea ed, entrati in casa di Filippo l’evangelista, che era uno dei sette, dimorammo con lui. Egli aveva quattro figlie non sposate, le quali profetizzavano. Eravamo là da molti giorni, quando scese dalla Giudea un certo profeta, di nome Agabo, il quale, venuto da noi, prese la cintura di Paolo, se ne legò i piedi e le mani e disse: “Questo dice lo Spirito Santo: ‘Così legheranno i Giudei a Gerusalemme l’uomo di cui è questa cintura e lo metteranno nelle mani dei Gentili’”. Quando udimmo queste cose, tanto noi che quelli del luogo lo pregavamo di non salire a Gerusalemme. Paolo allora rispose: “Che fate voi, piangendo e spezzandomi il cuore? Poiché io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”. E, poiché non si lasciava persuadere, ci rassegnammo, dicendo: “Sia fatta la volontà del Signore”. Dopo quei giorni, fatti i nostri preparativi, salimmo a Gerusalemme. E vennero con noi anche alcuni dei discepoli di Cesarea, portando con loro un certo Mnasone di Cipro, vecchio discepolo, presso il quale dovevamo alloggiare. Quando fummo giunti a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero gioiosamente. Il giorno seguente Paolo si recò con noi da Giacomo e vi si trovarono tutti gli anziani. Dopo averli salutati, Paolo si mise a raccontare a una a una le cose che Dio aveva fatte fra i Gentili, per mezzo del suo ministerio. Ed essi, uditele, glorificavano Dio. Poi dissero a Paolo: “Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei ci sono che hanno creduto e tutti sono zelanti per la legge. Ora sono stati informati di te, che tu insegni a tutti i Giudei che sono fra i Gentili di abbandonare Mosè, dicendo loro di non circoncidere i figli e di non conformarsi ai riti. E allora? Certamente [molti di loro si raduneranno, perché] udranno che tu sei venuto. Fa’ dunque questo che ti diciamo: noi abbiamo quattro uomini che hanno fatto un voto; prendili con te, purificati con loro e paga le spese per loro, affinché possano radersi il capo; così tutti conosceranno che non c’è nulla di vero nelle informazioni che hanno ricevuto di te, ma che tu pure ti comporti da osservatore della legge. Quanto ai Gentili che hanno creduto, noi abbiamo loro scritto, avendo deciso che debbano astenersi dalle cose sacrificate agl’idoli, dal sangue, dalle cose soffocate e dalla fornicazione”. Allora Paolo, il giorno seguente, prese con sé quegli uomini e, dopo essersi con loro purificato, entrò nel tempio, annunciando di voler compiere i giorni della purificazione, fino alla presentazione dell’offerta per ciascuno di loro. Quando i sette giorni stavano per compiersi, i Giudei dell’Asia, vedutolo nel tempio, aizzarono tutta la folla e gli misero le mani addosso, gridando: “Uomini Israeliti, venite in aiuto; questo è l’uomo che va predicando a tutti e dappertutto contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo; oltre a ciò, ha condotto anche dei Greci nel tempio e ha profanato questo santo luogo”. Infatti, avevano visto prima Trofimo di Efeso in città con Paolo e pensavano che egli l’avesse condotto nel tempio. Tutta la città fu in agitazione e la gente accorreva assembrandosi; preso Paolo, lo trascinarono fuori del tempio e subito le porte furono chiuse. Mentre cercavano di ucciderlo, al tribuno della coorte giunse voce che tutta Gerusalemme era in subbuglio. Ed egli immediatamente prese con sé dei soldati e dei centurioni e corse giù ai Giudei, i quali, vedendo il tribuno e i soldati, cessarono di battere Paolo. Allora il tribuno, accostatosi, lo prese e comandò che fosse legato con due catene; poi domandò chi egli fosse e che cosa avesse fatto. E nella folla alcuni gridavano una cosa, e gli altri un’altra, per cui, non potendo sapere nulla di certo a causa del tumulto, comandò che fosse condotto nella fortezza. Quando Paolo arrivò alla gradinata dovette, per la violenza della folla, essere portato di peso dai soldati, perché il popolo in gran folla lo seguiva, gridando: “Toglilo di mezzo!”. Quando Paolo stava per essere introdotto nella fortezza, disse al tribuno: “Mi è lecito dirti qualcosa?”. Quegli rispose: “Sai tu il greco? Non sei tu dunque quell’Egiziano che tempo fa sollevò e condusse nel deserto quei quattromila briganti?”. Ma Paolo disse: “Io sono un Giudeo di Tarso, cittadino di quella non oscura città di Cilicia; ti prego che tu mi permetta di parlare al popolo”. E, avendolo egli permesso, Paolo, stando in piedi sulla gradinata, fece cenno con la mano al popolo. E, fattosi gran silenzio, parlò loro in lingua ebraica dicendo: “Fratelli e padri, ascoltate ciò che ora vi dico a mia difesa”. Quando ebbero udito che egli parlava loro in lingua ebraica, fecero ancora più silenzio. Poi disse: “Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma allevato in questa città, ai piedi di Gamaliele, educato nella rigida osservanza della legge dei padri; fui zelante per la causa di Dio, come voi tutti siete oggi; e perseguitai a morte questa Via, legando e mettendo in prigione uomini e donne; come me ne sono testimoni il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani, dai quali, avendo pure ricevuto lettere per i fratelli, mi recavo a Damasco per condurre legati a Gerusalemme anche quelli che erano là, perché fossero puniti. Mentre ero in cammino e mi avvicinavo a Damasco, sul mezzogiorno, all’improvviso dal cielo mi sfolgorò intorno una gran luce. Caddi a terra e udii una voce che mi disse: ‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?’. Io risposi: ‘Chi sei, Signore?’. Ed egli mi disse: ‘Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti’. Coloro che erano con me videro sì la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. E io dissi: ‘Signore, che devo fare?’. E il Signore mi disse: ‘Àlzati, va’ a Damasco e là ti saranno dette tutte le cose che ti è ordinato di fare’. Siccome non ci vedevo più per il fulgore di quella luce, fui condotto per mano da quelli che erano con me e così giunsi a Damasco. Un certo Anania, uomo pio secondo la legge, al quale tutti i Giudei che abitavano là rendevano buona testimonianza, venne a me e, standomi vicino, mi disse: ‘Fratello Saulo, recupera la vista’. E in quell’istante recuperai la vista e lo guardai. Egli disse: ‘Il Dio dei nostri padri ti ha destinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e a udire una voce dalla sua bocca. Poiché tu gli sarai un testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora, che indugi? Àlzati, sii battezzato, e lavato dei tuoi peccati, invocando il suo nome’. Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi e vidi Gesù che mi diceva: ‘Affrettati, esci presto da Gerusalemme, perché essi non riceveranno la tua testimonianza su di me’. E io dissi: ‘Signore, essi sanno che io incarceravo e battevo nelle sinagoghe quelli che credevano in te e, quando si spandeva il sangue di Stefano tuo testimone, anche io ero presente, approvavo e custodivo le vesti di coloro che l’uccidevano’. Ed egli mi disse: ‘Va’, perché io ti manderò lontano, ai Gentili’”. Lo ascoltarono fino a questa parola; poi alzarono la voce, dicendo: “Togli via dal mondo un uomo simile, perché non è degno di vivere”. Come essi gridavano, gettavano via i loro vestiti e lanciavano polvere in aria, il tribuno comandò che Paolo fosse condotto nella fortezza e che venisse interrogato mediante tortura, allo scopo di sapere per quale motivo gridassero così contro a lui. Ma come lo ebbero disteso e legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che era presente: “È lecito flagellare un cittadino romano, che non è stato condannato?”. E il centurione, udito questo, venne a riferirlo al tribuno, dicendo: “Che stai per fare? Perché quest’uomo è romano”. Il tribuno venne a Paolo e gli chiese: “Dimmi, sei tu romano?”. Ed egli rispose: “Sì”. Il tribuno replicò: “Io ho acquistato questa cittadinanza con una gran somma di denaro”. E Paolo disse: “Io, invece, l’ho di nascita”. Allora quelli che stavano per inquisirlo si ritirarono subito da lui e anche il tribuno, sapendo che egli era romano, ebbe paura perché l’aveva fatto legare. Il giorno seguente, volendo sapere con certezza di che cosa egli fosse accusato dai Giudei, lo fece slegare, comandò ai capi dei sacerdoti e a tutto il Sinedrio di radunarsi e, condotto giù Paolo, lo fece comparire davanti a loro. Paolo, fissati gli occhi sul Sinedrio, disse: “Fratelli, fino a questo giorno, mi sono condotto davanti a Dio in tutta buona coscienza”. Il sommo sacerdote Anania comandò a coloro che erano vicini a lui di percuoterlo sulla bocca. Allora Paolo gli disse: “Dio percuoterà te, parete imbiancata; tu siedi per giudicarmi secondo la legge e, violando la legge, comandi che io sia percosso?”. Coloro che erano là presenti dissero: “Insulti tu il sommo sacerdote di Dio?”. E Paolo disse: “Fratelli, io non sapevo che fosse sommo sacerdote, perché sta scritto: ‘ Non dirai male del principe del tuo popolo ’”. Ora Paolo, sapendo che una parte era di sadducei e l’altra di farisei, esclamò nel Sinedrio: “Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei ed è a motivo della speranza e della risurrezione dei morti che sono chiamato in giudizio”. E, come ebbe detto questo, nacque contesa tra i farisei e i sadducei e l’assemblea fu divisa. Poiché i sadducei dicono che non vi è risurrezione, né angelo, né spirito, mentre i farisei affermano l’una e l’altra cosa. Sorse un gran clamore e alcuni degli scribi del partito dei farisei, alzatisi, cominciarono a disputare, dicendo: “Noi non troviamo alcun male in quest’uomo; se gli avesse parlato uno spirito o un angelo?”. Siccome il dissenso andava crescendo, il tribuno, temendo che Paolo fosse fatto a pezzi da loro, comandò ai soldati di scendere, di portarlo via dal mezzo di loro e di condurlo nella fortezza. La notte seguente il Signore si presentò a Paolo e gli disse: “Coraggio, perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme così bisogna che tu la renda anche a Roma”. Quando fu giorno, i Giudei ordirono una congiura e giurarono contro se stessi, facendo voto di non mangiare né bere finché non avessero ucciso Paolo. Ora quelli che avevano fatto questa congiura erano più di quaranta. Si presentarono ai capi sacerdoti e agli anziani e dissero: “Abbiamo fatto voto, giurando contro noi stessi, di non mangiare nulla, finché non abbiamo ucciso Paolo. Perciò voi con il Sinedrio presentatevi al tribuno per chiedergli di condurlo da voi, come se voleste conoscere più esattamente il fatto suo, e noi, prima che egli arrivi, siamo pronti a ucciderlo”. Ma il figlio della sorella di Paolo, venuto a conoscenza dell’agguato, corse alla fortezza e, una volta entrato, riferì la cosa a Paolo. Paolo, chiamato a sé uno dei centurioni, disse: “Conduci questo giovane al tribuno, perché ha qualcosa da riferirgli”. Egli dunque lo prese, lo condusse al tribuno e disse: “Paolo, il prigioniero, mi ha chiamato e mi ha pregato che ti conducessi questo giovane, il quale ha qualcosa da dirti”. Il tribuno, presolo per mano e ritiratosi in disparte, gli domandò: “Che cosa hai da riferirmi?”. Ed egli rispose: “I Giudei si sono messi d’accordo per pregarti che domani tu riconduca giù Paolo nel Sinedrio, come se volessero informarsi meglio del suo caso, ma tu non dar loro retta, perché più di quaranta uomini di loro gli tendono un agguato e, con imprecazioni contro se stessi, hanno fatto voto di non mangiare né bere, finché non l’abbiano ucciso; ora sono già pronti, aspettando il tuo consenso”. Il tribuno dunque congedò il giovane, ordinandogli di non dire a nessuno quanto gli aveva svelato. Allora, chiamati due dei centurioni, disse loro: “Tenete pronti fino dalla terza ora della notte duecento soldati, settanta cavalieri e duecento lancieri, per andare fino a Cesarea; abbiate pronte anche delle cavalcature per farvi montare su Paolo e condurlo sano e salvo al governatore Felice”. E scrisse una lettera del seguente tenore: “Claudio Lisia, all’eccellentissimo governatore Felice, salute. Quest’uomo era stato preso dai Giudei, stava per essere ucciso da loro, quando sono intervenuto con i soldati e l’ho liberato dalle loro mani, avendo saputo che era cittadino romano. E, volendo sapere di che l’accusavano, lo condussi nel loro Sinedrio. E ho trovato che era accusato per questioni relative alla loro legge, ma che non era incolpato di nulla che fosse degno di morte o di prigione. Essendomi però stato riferito che si tendeva un agguato contro quest’uomo, l’ho subito mandato a te, ordinando anche ai suoi accusatori di dire davanti a te quello che hanno contro di lui”. I soldati dunque, come era stato loro ordinato, presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipatrìda. E il giorno seguente, lasciati partire i cavalieri con lui, ritornarono alla fortezza. E quelli, giunti a Cesarea e consegnata la lettera al governatore, gli presentarono anche Paolo. Egli, avendo letta la lettera e domandato a Paolo di quale provincia fosse, saputo che era di Cilicia, gli disse: “Io ti ascolterò meglio quando saranno arrivati anche i tuoi accusatori”. E comandò che fosse custodito nel palazzo di Erode. Cinque giorni dopo, il sommo sacerdote Anania discese con alcuni anziani e con un certo Tertullo, oratore, e si presentarono al governatore per accusare Paolo. Quando questi fu chiamato a parlare, Tertullo cominciò ad accusarlo, dicendo: “Siccome per merito tuo, o eccellentissimo Felice, godiamo molta pace e per la tua previdenza sono state fatte delle riforme a favore di questa nazione, noi, in tutto e per tutto, lo riconosciamo con ogni gratitudine. Ora, per non trattenerti troppo a lungo, ti prego che, secondo la tua benevolenza, tu ascolti quel che abbiamo a dirti in breve. Abbiamo dunque trovato che quest’uomo è una peste, che scatena sedizioni fra tutti i Giudei del mondo ed è capo della setta dei Nazareni. Egli ha perfino tentato di profanare il tempio, perciò lo abbiamo preso; [noi lo volevamo giudicare secondo la nostra legge, ma il tribuno Lisia, sopraggiunto, ce lo ha strappato con violenza dalle mani, ordinando che i suoi accusatori si presentassero davanti a te;] da lui, esaminandolo, potrai tu stesso avere piena conoscenza di tutte le cose, delle quali noi l’accusiamo”. I Giudei si unirono anch’essi nelle accuse, affermando che le cose stavano così. Allora Paolo, dopo che il governatore gli ebbe fatto cenno di parlare, rispose: “Sapendo che già da molti anni tu sei giudice di questa nazione, parlo con più coraggio a mia difesa. Poiché tu puoi accertarti che non sono più di dodici giorni da quando salii a Gerusalemme per adorare; eessi non mi hanno trovato nel tempio, né nelle sinagoghe, né in città a discutere con alcuno, né a fare assembramenti di popolo e non possono provarti le cose delle quali ora mi accusano. Ma questo ti confesso, che, secondo la Via che essi chiamano setta, io adoro il Dio dei padri, credendo tutte le cose che sono scritte nella legge e nei profeti e avendo in Dio la speranza che nutrono anche costoro che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti. Per questo anch’io mi esercito ad avere continuamente una coscienza pura davanti a Dio e davanti agli uomini. Dopo molti anni, io sono venuto a portare elemosine alla mia nazione e a presentare offerte. Mentre io stavo facendo questo, mi hanno trovato purificato nel tempio, senza assembramento e senza tumulto; vi erano alcuni Giudei dell’Asia: questi avrebbero dovuto comparire davanti a te e accusarmi, se avevano cosa alcuna contro a me. D’altronde dicano costoro quale misfatto hanno trovato in me, quando mi presentai davanti al Sinedrio, a meno che non si tratti di quest’unica parola che gridai, quando comparvi davanti a loro: ‘È a motivo della risurrezione dei morti, che io sono oggi giudicato da voi’”. Allora Felice, che conosceva bene quel che riguardava questa Via, li rimandò a un’altra volta, dicendo: “Quando verrà il tribuno Lisia, esaminerò il fatto vostro”. E ordinò al centurione che Paolo fosse custodito, ma lasciandogli una qualche libertà e non vietando a nessuno dei suoi di rendergli dei servizi. Dopo alcuni giorni Felice, venuto con Drusilla, sua moglie, che era giudea, mandò a chiamare Paolo e l’ascoltò circa la fede in Cristo Gesù. E, siccome Paolo ragionava di giustizia, di temperanza e del giudizio a venire, Felice, tutto spaventato, replicò: “Per ora, vattene e, quando ne troverò l’opportunità, ti manderò a chiamare”. Egli sperava, allo stesso tempo, che Paolo gli avrebbe dato del denaro, per questo lo mandava spesso a chiamare e discorreva con lui. Trascorsi due anni, Felice ebbe per successore Porcio Festo; Felice, volendo fare cosa grata ai Giudei, lasciò Paolo in prigione. Festo dunque, giunse nella sua provincia, e tre giorni dopo salì da Cesarea a Gerusalemme. I capi dei sacerdoti e i notabili dei Giudei gli presentarono le loro accuse contro Paolo e lo pregavano, chiedendolo come favore contro di lui [Paolo], che lo facesse venire a Gerusalemme. Essi intanto avrebbero posto insidie per ucciderlo per via. Festo allora rispose che Paolo era custodito a Cesarea e che egli stesso doveva partire presto. “Quelli dunque di voi”, disse, “che sono in autorità, scendano con me e, se vi è in quest’uomo qualche colpa, lo accusino”. Rimasto presso di loro non più di otto o dieci giorni, discese a Cesarea e il giorno seguente, postosi a sedere in tribunale, comandò che Paolo gli fosse condotto davanti. E come egli fu giunto, i Giudei che erano discesi da Gerusalemme lo circondarono, portando contro lui molte e gravi accuse, che non potevano provare, mentre Paolo diceva a sua difesa: “Io non ho peccato né contro la legge dei Giudei, né contro il tempio, né contro Cesare”. Ma Festo, volendo fare cosa grata ai Giudei, disse a Paolo: “Vuoi salire a Gerusalemme ed essere giudicato davanti a me riguardo a queste cose?”. Ma Paolo rispose: “Io sto qui davanti al tribunale di Cesare, dove devo essere giudicato; io non ho fatto torto alcuno ai Giudei, come anche tu sai molto bene. Se dunque sono colpevole e ho commesso cosa degna di morte, non rifiuto di morire, ma, se nelle cose delle quali costoro mi accusano non c’è nulla di vero, nessuno mi può consegnare nelle loro mani. Io mi appello a Cesare”. Allora Festo, dopo aver conferito con il consiglio, rispose: “Tu ti sei appellato a Cesare; a Cesare andrai”. Dopo diversi giorni il re Agrippa e Berenice arrivarono a Cesarea, per salutare Festo. Poiché si trattenevano là per molti giorni, Festo raccontò al re il caso di Paolo, dicendo: “Vi è un uomo che è stato lasciato in carcere da Felice, contro il quale, quando fui a Gerusalemme, i capi dei sacerdoti e gli anziani dei Giudei sporsero denuncia, chiedendomi di condannarlo. Risposi loro che non è usanza dei Romani di consegnare nessuno, prima che l’accusato abbia avuto gli accusatori di fronte e gli sia stato dato modo di difendersi dall’accusa. Quando dunque furono venuti qua, senza indugio, il giorno seguente, sedetti in tribunale e comandai che quell’uomo mi fosse condotto davanti. I suoi accusatori però, presentatisi, non gli imputavano alcuna delle cattive azioni che io supponevo, ma avevano contro lui certe questioni intorno alla propria religione e intorno a un certo Gesù morto, che Paolo affermava essere vivente. E io, essendo in dubbio sul come procedere in questi casi, gli dissi se voleva andare a Gerusalemme e là essere giudicato riguardo a queste cose. Ma, avendo Paolo interposto appello per essere rimesso al giudizio dell’imperatore, io comandai che fosse custodito, finché lo mandassi a Cesare”. E Agrippa disse a Festo: “Anch’io vorrei ascoltare quest’uomo”. Ed egli rispose: “Domani lo ascolterai”. Il giorno seguente, dunque, essendo venuti Agrippa e Berenice con molta pompa, entrarono nella sala d’udienza con i tribuni e con i principali della città, dove, per ordine di Festo, fu condotto Paolo. Festo disse: “Re Agrippa e voi tutti che siete qui presenti con noi, voi vedete quest’uomo, a proposito del quale una folla di Giudei si è rivolta a me, in Gerusalemme e qui, gridando che non deve vivere più oltre. Io però non ho trovato che avesse fatto cosa alcuna degna di morte ed, essendosi egli stesso appellato all’imperatore, ho deciso di mandarglielo. Siccome non ho nulla di certo da scriverne al mio signore, l’ho condotto qui davanti a voi e principalmente davanti a te, o re Agrippa, affinché, dopo esame, io abbia qualcosa da scrivere. Perché non mi pare cosa ragionevole mandare un prigioniero, senza notificare le accuse che gli sono mosse contro”. E Agrippa disse a Paolo: “Ti è permesso parlare a tua difesa”. Allora Paolo, distesa la mano, disse a sua difesa: “Re Agrippa, io mi reputo felice di potermi oggi discolpare davanti a te di tutte le cose delle quali sono accusato dai Giudei, principalmente perché tu hai conoscenza di tutti i riti e di tutte le questioni che sono fra i Giudei, perciò ti prego di ascoltarmi pazientemente. Quale sia stato il mio modo di vivere dalla mia giovinezza, fin dal principio trascorsa in mezzo alla mia nazione e in Gerusalemme, tutti i Giudei lo sanno, poiché mi hanno conosciuto fin da allora e sanno, se pur vogliono renderne testimonianza, che, secondo la più rigida setta della nostra religione, sono vissuto fariseo. E ora sono chiamato in giudizio per la speranza della promessa fatta da Dio ai nostri padri, della quale promessa le nostre dodici tribù, che servono con fervore Dio notte e giorno, sperano di vedere il compimento. Per questa speranza, o re, io sono accusato dai Giudei! Perché mai si giudica da voi cosa incredibile che Dio risusciti i morti? Quanto a me, avevo sì pensato anch’io di dover fare molte cose contro il nome di Gesù il Nazareno. Infatti feci questo a Gerusalemme e, avutane facoltà dai capi sacerdoti, io rinchiusi nelle prigioni molti santi e, quando erano messi a morte, io davo il mio voto. Spesso, per tutte le sinagoghe, punendoli li costringevo a bestemmiare; e, infuriato oltremodo contro di loro, li perseguitavo fino nelle città straniere. Mentre mi dedicavo a queste cose e andavo a Damasco con potere e commissione dei capi sacerdoti, io vidi, o re, per strada a mezzogiorno una luce dal cielo, più risplendente del sole, la quale sfolgorò intorno a me e a coloro che viaggiavano con me. Ed, essendo noi tutti caduti in terra, udii una voce che mi disse in lingua ebraica: ‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo’. E io dissi: ‘Chi sei tu, Signore?’. E il Signore rispose: ‘Io sono Gesù, che tu perseguiti. Ma àlzati e sta in piedi, perché per questo ti sono apparso: per stabilirti ministro e testimone delle cose che hai visto, e di quelle per le quali ti apparirò ancora, liberandoti da questo popolo e dai Gentili, ai quali io ti mando per aprire loro gli occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio e ricevano, per la fede in me, il perdono dei peccati e la loro parte di eredità fra i santificati’. Perciò, o re Agrippa, io non sono stato disubbidiente alla visione celeste, ma, prima a quelli di Damasco, poi a Gerusalemme e per tutto il paese della Giudea e ai Gentili, ho annunciato che si ravvedano e si convertano a Dio, facendo opere degne del ravvedimento. Per questo i Giudei, avendomi preso nel tempio, tentavano di uccidermi. Ma, per l’aiuto che viene da Dio, sono durato fino a questo giorno, rendendo testimonianza a piccoli e a grandi, non dicendo nulla all’infuori di quello che i profeti e Mosè hanno detto dover avvenire, cioè che il Cristo avrebbe sofferto e che egli, il primo a risuscitare dai morti, avrebbe annunciato la luce al popolo e ai Gentili”. Mentre egli diceva queste cose a sua difesa, Festo disse ad alta voce: “Paolo, tu vaneggi; la molta dottrina ti mette fuori di senno”. Ma Paolo disse: “Io non vaneggio, eccellentissimo Festo, ma pronuncio parole di verità e di buon senno. Poiché il re, al quale io parlo con franchezza, conosce queste cose, perché sono persuaso che nessuna di esse gli è nascosta, poiché questo non è stato fatto in segreto. O re Agrippa, credi tu ai profeti? Io so che tu ci credi”. E Agrippa disse a Paolo: “Per poco non mi persuadi a diventare cristiano”. E Paolo: “Piacesse a Dio che per poco o per molto non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventaste tali, quale sono io, all’infuori di questi legami”. Allora il re si alzò e con lui il governatore, Berenice e quanti sedevano con loro; ritiratisi in disparte, parlavano gli uni agli altri, dicendo: “Quest’uomo non fa nulla che meriti morte o prigione”. E Agrippa disse a Festo: “Quest’uomo poteva essere liberato, se non si fosse appellato a Cesare”. Quando fu deciso che noi salpassimo per l’Italia, Paolo e certi altri prigionieri furono consegnati a un centurione, per nome Giulio, della coorte Augusta. E, montati sopra una nave di Adramitto, che doveva toccare i porti della costa d’Asia, salpammo, avendo con noi Aristarco, macedone di Tessalonica. Il giorno seguente arrivammo a Sidone e Giulio, usando umanità verso Paolo, gli permise di andare dai suoi amici per ricevere le loro cure. Poi, essendo partiti di là, navigammo sotto Cipro, perché i venti erano contrari. E, attraversato il mare di Cilicia e di Panfilia, arrivammo a Mira di Licia. Il centurione, trovata qui una nave alessandrina che faceva vela per l’Italia, ci fece salire su quella. Navigando per molti giorni lentamente, giungemmo a fatica, per l’impedimento del vento, di fronte a Cnido, veleggiammo sotto Creta, al largo di Salmone, e, costeggiandola con difficoltà, arrivammo a un certo luogo, detto Beiporti, vicino al quale era la città di Lasea. Intanto era trascorso molto tempo ed, essendo la navigazione ormai pericolosa, poiché anche il giorno del digiuno era già passato, Paolo li ammonì dicendo loro: “Uomini, vedo che la navigazione si farà con pericolo e grave danno, non soltanto del carico e della nave, ma anche delle nostre persone”. Ma il centurione prestava più fede al pilota e al padrone della nave che alle cose dette da Paolo. E, siccome quel porto non era adatto a svernare, i più furono del parere di partire di là per cercare di arrivare a Fenice, porto di Creta che guarda a Libeccio e a Maestro, e di passarvi l’inverno. Intanto si era alzato un leggero scirocco e, credendo di poter attuare il loro proposito, levate le ancore, si misero a costeggiare l’isola di Creta più da vicino. Ma poco dopo si scatenò giù dall’isola un vento turbinoso, che si chiama Euroaquilone; essendo la nave portata via e non potendo reggere al vento, la lasciammo andare ed eravamo portati alla deriva. E, passati rapidamente sotto un’isoletta chiamata Clauda, a stento potemmo impadronirci della scialuppa. Quando l’ebbero tirata a bordo, corsero ai ripari, cingendo la nave di sotto; temendo di finire incagliati nelle Sirti, calarono le vele ed erano così portati alla deriva. Siccome eravamo violentemente sbattuti dalla tempesta, il giorno dopo cominciarono a gettare il carico. Il terzo giorno, con le proprie mani, buttarono in mare gli arredi della nave. Non apparendo né sole né stelle già da molti giorni ed essendoci sopra di noi una forte tempesta, era ormai persa ogni speranza di scampare. Dopo che furono stati lungamente senza prendere cibo, Paolo si alzò in mezzo a loro e disse: “Uomini, bisognava darmi ascolto, non partire da Creta e risparmiare così questo pericolo e questa perdita. Ora però vi esorto a stare di buon animo, perché non vi sarà perdita della vita di nessuno di voi ma soltanto della nave. Poiché un angelo del Dio, al quale appartengo e che io servo, mi è apparso questa notte, dicendo: ‘Paolo, non temere; bisogna che tu compaia davanti a Cesare ed, ecco, Dio ti ha donato tutti coloro che navigano con te’. Perciò, o uomini, state di buon animo, perché ho fede in Dio che avverrà come mi è stato detto. Ma dobbiamo essere gettati sopra un’isola”. E la quattordicesima notte da quando eravamo portati qua e là per l’Adriatico, verso la mezzanotte i marinai sospettavano di essere vicini a terra e, calato lo scandaglio, trovarono venti braccia, poi, passati un po’ più oltre e scandagliato di nuovo, trovarono quindici braccia. Temendo allora di urtare contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando ansiosamente che facesse giorno. Siccome i marinai cercavano di fuggire dalla nave e stavano calando la scialuppa in mare con il pretesto di voler gettare le ancore dalla prua, Paolo disse al centurione e ai soldati: “Se costoro non restano nella nave, voi non potete scampare”. Allora i soldati tagliarono le funi della scialuppa e la lasciarono cadere. E, mentre si aspettava che facesse giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo, dicendo: “Oggi sono quattordici giorni che state aspettando, sempre digiuni, senza prendere nulla. Perciò, io vi esorto a prendere cibo, perché questo contribuirà alla vostra salvezza, poiché neppure un capello del vostro capo perirà”. Detto questo, preso del pane, rese grazie a Dio in presenza di tutti, poi, spezzatolo, cominciò a mangiare. E tutti, incoraggiati, presero anch’essi del cibo. Sulla nave eravamo duecentosettantasei persone in tutto. E quando furono saziati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare. Quando fu giorno, non riconoscevano il paese, ma scorsero una certa baia che aveva una spiaggia e deliberarono, se fosse loro possibile, di spingervi la nave. E staccate le ancore, le lasciarono andare in mare; sciolsero al tempo stesso i legami dei timoni e, alzata la vela maestra al vento, si diressero verso la spiaggia. Ma, essendo incorsi in un luogo che aveva il mare d’ambo i lati, vi fecero arenare la nave e, mentre la prua, incagliata, rimaneva immobile, la poppa si sfasciava per la violenza delle onde. Il parere dei soldati era di uccidere i prigionieri, perché nessuno fuggisse a nuoto. Ma il centurione, volendo salvare Paolo, li distolse da quel proposito e comandò che quelli che sapevano nuotare si gettassero in mare per primi e raggiungessero terra, e gli altri vi arrivassero, chi sopra tavole, e chi sopra altri pezzi della nave. Così avvenne che tutti giunsero salvi a terra. Dopo che fummo scampati, riconoscemmo che l’isola si chiamava Malta. I nativi usarono verso noi umanità non comune, poiché, acceso un gran fuoco, ci accolsero tutti, a causa della pioggia che cadeva e del freddo. Mentre Paolo raccoglieva una quantità di legna secca e avendola posta sul fuoco, una vipera, sentito il caldo, uscì fuori e gli si attaccò alla mano. Quando i nativi videro la bestia che gli pendeva dalla mano, dissero fra loro: “Certo, quest’uomo è un omicida perché, pur essendo scampato dal mare, la Giustizia divina non lo lascia vivere”. Ma Paolo, scossa la bestia nel fuoco, non ne risentì alcun male. Ora essi si aspettavano di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo; ma dopo aver lungamente aspettato, vedendo che non gli avveniva alcun male, cambiarono parere, e cominciarono a dire che egli era un dio. Nei dintorni di quel luogo vi erano dei poderi dell’uomo principale dell’isola, chiamato Publio, il quale ci accolse amichevolmente e ci ospitò per tre giorni. Avvenne che il padre di Publio giaceva malato di febbre e di dissenteria. Paolo andò a trovarlo e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì. Quando ciò ebbe luogo, anche gli altri che avevano delle infermità nell’isola vennero e furono guariti; essi ci fecero grandi onori e, quando salpammo, ci portarono a bordo tutte le cose necessarie. Tre mesi dopo partimmo sopra una nave alessandrina che aveva per insegna Castore e Polluce, che aveva svernato nell’isola. Facendo scalo a Siracusa, vi restammo tre giorni. Di là, costeggiando, arrivammo a Reggio. Dopo un giorno, levatosi un vento di scirocco, in due giorni arrivammo a Pozzuoli. Qui trovammo dei fratelli e fummo pregati di rimanere presso di loro sette giorni. E così giungemmo a Roma. Ora i fratelli, avute nostre notizie, di là ci vennero incontro sino al Foro Appio e alle Tre Taverne; Paolo, quando li vide, rese grazie a Dio e si fece coraggio. Quando entrammo a Roma, a Paolo fu concesso di abitare da sé con il soldato che lo custodiva. Tre giorni dopo, Paolo convocò i principali fra i Giudei e, quando furono riuniti, disse loro: “Fratelli, senza aver fatto nulla contro il popolo né contro i riti dei padri, io fui arrestato a Gerusalemme e di là consegnato in mano ai Romani. I quali, avendomi esaminato, volevano rilasciarmi perché non vi era in me colpa degna di morte. Ma i Giudei si opponevano e fui costretto ad appellarmi a Cesare, senza però avere in animo di portare alcuna accusa contro la mia nazione. Per questa ragione dunque vi ho chiamati per vedervi e per parlarvi, perché è a causa della speranza d’Israele che io sono stretto da questa catena”. Ma essi gli dissero: “Noi non abbiamo ricevuto lettere dalla Giudea sul tuo conto, né è venuto qui nessuno dei fratelli a riferire o a dire male di te. Vogliamo, però, sentire da te quel che tu pensi; perché, quanto a questa setta, ci è noto che dappertutto essa incontra opposizione”. E, avendogli fissato un giorno, vennero a lui nel suo alloggio in gran numero; egli dalla mattina alla sera esponeva loro le cose, testimoniando del regno di Dio e persuadendoli riguardo a Gesù, con la legge di Mosè e con i profeti. Alcuni furono persuasi delle cose dette, altri invece non credettero. E, non essendo d’accordo fra loro, se ne andarono, dopo che Paolo ebbe detta quest’unica parola: “Ben parlò lo Spirito Santo ai vostri padri per mezzo del profeta Isaia dicendo: ‘Va’ a questo popolo e di’: Voi udrete con i vostri orecchi e non intenderete; guarderete con i vostri occhi, e non vedrete; perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile, sono diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, affinché non vedano con gli occhi, e non odano con gli orecchi, e non intendano con il cuore, e non si convertano, e io non li guarisca ’. Sappiate dunque che questa salvezza di Dio è rivolta ai Gentili ed essi presteranno ascolto”. [Quando ebbe detto questo, i Giudei se ne andarono discutendo vivamente fra loro]. Paolo rimase due anni interi in una casa da lui presa in affitto e riceveva tutti quelli che venivano a trovarlo, predicando il regno di Dio e insegnando le cose relative al Signore Gesù Cristo con tutta franchezza e senza impedimento. Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, appartato per l’Evangelo di Dio, che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità mediante la sua risurrezione dai morti, cioè Gesù Cristo nostro Signore, per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato per trarre all’ubbidienza della fede tutti i Gentili, per il suo nome - fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo - a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Prima di tutto io rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo per tutti voi perché la vostra fede è annunciata per tutto il mondo. Poiché Dio, il quale servo nello spirito mio annunciando l’Evangelo del Figlio suo, mi è testimone che faccio continuamente menzione di voi in tutte le mie preghiere, chiedendo che in qualche modo mi sia data finalmente, per la volontà di Dio, l’occasione di venire a voi. Poiché desidero vivamente di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale affinché siate fortificati o, meglio, perché quando sarò tra voi ci confortiamo a vicenda mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. Non voglio che ignoriate, fratelli, che molte volte mi sono proposto di recarmi da voi (ma finora ne sono stato impedito) per avere qualche frutto anche fra voi come fra il resto dei Gentili. Io sono debitore tanto ai Greci quanto ai Barbari, tanto ai sapienti quanto agli ignoranti; così, per quanto dipende da me, io sono pronto ad annunciare l’Evangelo anche a voi che siete in Roma. Poiché io non mi vergogno dell’Evangelo, perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco, poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: “ Ma il giusto vivrà per fede ”. Poiché l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia, infatti quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio loro manifestato, poiché le perfezioni invisibili di lui, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo, essendo intese per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato, né l’hanno ringraziato come Dio, ma si sono dati a vani ragionamenti e l’insensato loro cuore si è ottenebrato. Dicendosi sapienti, sono diventati stolti e hanno mutato la gloria dell’incorruttibile Dio in immagini simili a quelle dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Per questo Dio li ha abbandonati all’impurità, secondo le concupiscenze del loro cuore, perché disonorassero fra di loro i loro corpi; essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna, e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è benedetto in eterno. Amen. Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: le loro femmine hanno mutato l’uso naturale in quello che è contro natura; allo stesso modo anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri, commettendo uomini con uomini cose ignobili, ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento. Siccome non si sono curati di ritenere la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati a una mente perversa, perché facessero le cose che sono sconvenienti, ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia, pieni di invidia, d’omicidio, di contesa, di frode, di malignità, calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, inventori di mali, disubbidienti ai genitori, insensati, senza fede nei patti, senza affetto naturale, spietati, i quali, pur conoscendo che secondo il giudizio di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma approvano anche chi le commette. Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi, sei inescusabile, perché, nel giudicare gli altri, tu condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le stesse cose. Ora noi sappiamo che il giudizio di Dio su quelli che fanno tali cose è conforme a verità. Pensi tu, o uomo che giudichi quelli che fanno tali cose e le fai tu stesso, di scampare al giudizio di Dio? O disprezzi tu le ricchezze della sua bontà, della sua sopportazione e della sua pazienza, non riconoscendo che la bontà di Dio ti conduce al ravvedimento? Tu invece, seguendo la tua durezza e il tuo cuore impenitente, ti accumuli un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: vita eterna a quelli che con la perseveranza nell’operare il bene cercano gloria, onore e immortalità, ma a quelli che sono contenziosi e non ubbidiscono alla verità ma all’ingiustizia, ira e indignazione. Tribolazione e angoscia sopra ogni anima d’uomo che fa il male, del Giudeo prima e poi del Greco, ma gloria, onore e pace a chiunque opera bene, al Giudeo prima e poi al Greco, poiché davanti a Dio non c’è parzialità. Infatti, tutti coloro che hanno peccato senza legge periranno pure senza legge e tutti coloro che hanno peccato avendo legge saranno giudicati con quella legge, poiché non quelli che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che la osservano saranno giustificati. Infatti, quando i Gentili che non hanno legge adempiono per natura le cose della legge, essi, che non hanno legge, sono legge a sé stessi; essi mostrano che quel che la legge comanda è scritto nei loro cuori per la testimonianza che rende loro la coscienza e perché i loro pensieri si accusano o si scusano a vicenda. Tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio Evangelo. Ora, se tu ti chiami Giudeo, ti riposi sulla legge, ti glori in Dio, conosci la sua volontà, distingui la differenza delle cose essendo istruito dalla legge e ti persuadi di essere guida dei ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre, educatore degli insensati, maestro dei fanciulli, perché hai nella legge la forma della conoscenza e della verità, come mai, dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? Tu, che predichi che non si deve rubare, rubi? Tu, che dici che non si deve commettere adulterio, commetti adulterio? Tu, che detesti gli idoli, saccheggi i templi? Tu, che ti glori della legge, disonori Dio trasgredendo la legge? Infatti, come è scritto: “ Il nome di Dio, per causa vostra, è bestemmiato fra i Gentili ”. La circoncisione è certo utile, se tu osservi la legge, ma, se tu sei trasgressore della legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione. Se l’incirconciso osserva i precetti della legge, la sua incirconcisione non sarà essa reputata circoncisione? Così colui che per natura è incirconciso, se adempie la legge, giudicherà te, che con la lettera e la circoncisione sei un trasgressore della legge. Poiché Giudeo non è colui che è tale all’esterno né la circoncisione è quella esterna, nella carne, ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini ma da Dio. Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? O qual è l’utilità della circoncisione? Grande sotto ogni aspetto; prima di tutto perché a loro furono affidate le parole di Dio. Che vuol dire, infatti, se alcuni non hanno creduto? La loro incredulità può forse annullare la fedeltà di Dio? Così non sia! Anzi sia Dio riconosciuto veritiero, ma ogni uomo bugiardo, com’è scritto: “Affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole, e resti vincitore quando sei giudicato”. Ma, se la nostra ingiustizia fa risaltare la giustizia di Dio, che diremo noi? Che Dio è ingiusto quando dà corso alla sua ira? (Io parlo umanamente). Così non sia, perché, altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo? Ma, se per la mia menzogna la verità di Dio è abbondata a sua gloria, perché sono ancora giudicato come peccatore? Perché non “facciamo il male affinché ne venga il bene”, secondo la calunnia che ci è lanciata e la colpa che alcuni ci attribuiscono? La condanna di costoro è giusta. Che dunque? Abbiamo noi qualche superiorità? Niente affatto! Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sotto il peccato, com’è scritto: “Non c’è alcun giusto, neppure uno. Non c’è nessuno che abbia intendimento, non c’è nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti sono diventati inutili. Non c’è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno”. “La loro gola è un sepolcro aperto; con la loro lingua tramano inganni”; “C’è un veleno di aspidi sotto le loro labbra”. “La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza”. “I loro piedi sono veloci a spargere il sangue. Sulle loro vie c’è rovina e calamità, e non hanno conosciuto la via della pace”. “Non c’è timor di Dio davanti ai loro occhi”. Ora noi sappiamo che, tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia chiusa e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio, poiché per le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui, infatti la legge dà soltanto la conoscenza del peccato. Ora, però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, attestata dalla legge e dai profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti i credenti, poiché non c’è distinzione, difatti tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù, il quale Dio ha prestabilito come propiziazione mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo egli usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza, per dimostrare, dico, la sua giustizia nel tempo presente, affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù. Dov’è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede, perché riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede, senza le opere della legge. Dio è soltanto il Dio dei Giudei? Non è anche il Dio dei Gentili? Certo lo è anche dei Gentili, poiché c’è un Dio solo, il quale giustificherà il circonciso per fede e l’incirconciso ugualmente per mezzo della fede. Annulliamo dunque la legge mediante la fede? Così non sia, anzi stabiliamo la legge. Che diremo dunque che l’antenato nostro Abraamo abbia ottenuto secondo la carne? Poiché, se Abraamo fosse stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che gloriarsi, ma non davanti a Dio, infatti, che dice la Scrittura? “Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia”. Ora a chi opera il salario non è messo in conto come grazia, ma come debito, mentre a chi non opera, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli è messa in conto di giustizia. Così pure Davide proclama la beatitudine dell’uomo al quale Dio imputa la giustizia senza opere, dicendo: “Beati quelli le cui iniquità sono perdonate, e i cui peccati sono coperti. Beato l’uomo al quale il Signore non imputa il peccato”. Questa beatitudine è soltanto per i circoncisi o anche per gli incirconcisi? Poiché noi diciamo che la fede fu messa in conto ad Abraamo come giustizia. In che modo dunque gli fu messa in conto? Quando era circonciso o quando era incirconciso? Non quando era circonciso, ma quando era incirconciso; poi ricevette il segno della circoncisione, quale sigillo della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando era incirconciso, affinché fosse il padre di tutti quelli che credono essendo incirconcisi, in modo che anche a loro sia messa in conto la giustizia, e il padre dei circoncisi, di quelli, cioè, che non soltanto sono circoncisi, ma seguono anche le orme della fede del nostro padre Abraamo quando era ancora incirconciso. Poiché la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abraamo o alla sua discendenza in base alla legge, ma in base alla giustizia che viene dalla fede. Poiché, se sono eredi quelli della legge, la fede è resa vana e la promessa è annullata, poiché la legge produce ira, ma dove non c’è legge, non c’è neppure trasgressione. Perciò l’eredità è per fede, affinché sia per grazia, in modo che la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che è sotto la legge, ma anche per quella che ha la fede di Abraamo, il quale è padre di noi tutti (com’è scritto: “ Io ti ho costituito padre di molte nazioni ”) davanti al Dio a cui egli credette, il quale fa rivivere i morti e chiama le cose che non sono come se fossero. Egli, sperando contro speranza, credette per diventare padre di molte nazioni, secondo quel che gli era stato detto: “ Così sarà la tua discendenza ”. Senza venire meno nella fede, egli vide bensì che il suo corpo era svigorito (aveva quasi cent’anni) e che Sara non era più in grado di essere madre, ma davanti alla promessa di Dio non vacillò per incredulità, ma fu fortificato per la sua fede dando gloria a Dio ed essendo pienamente convinto che, ciò che aveva promesso, egli era anche potente da effettuarlo. Perciò gli fu messo in conto di giustizia. Ora non per lui soltanto sta scritto che questo gli fu messo in conto di giustizia, ma anche per noi ai quali sarà così messo in conto, per noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore, il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato a motivo della nostra giustificazione. Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio, e non soltanto questo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza e l’esperienza speranza. Ora la speranza non rende confusi, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, mentre eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno muore per un giusto, ma forse per un uomo buono qualcuno ardirebbe morire, ma Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi, in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall’ira. Perché se, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, essendo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. E non soltanto questo, ma ci gloriamo anche in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, per il quale abbiamo ora ricevuto la riconciliazione. Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, e in questo modo la morte si è estesa su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato… Poiché fino alla legge il peccato era nel mondo, ma il peccato non è imputato quando non c’è legge. Eppure la morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella d’Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Però la grazia non è come la trasgressione. Perché, se per la trasgressione di uno solo, molti sono morti, molto più la grazia di Dio e il dono per la grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, hanno abbondato verso i molti. Riguardo al dono non avviene quel che è avvenuto nel caso dell’uno che ha peccato, poiché il giudizio, da una sola trasgressione, ha portato alla condanna, mentre il dono di grazia, da molte trasgressioni, ha portato alla giustificazione. Perché, se per la trasgressione di quell’uno la morte ha regnato a causa di quell’uno, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo di quell’uno che è Gesù Cristo. Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così con un solo atto di giustizia la giustificazione che dà vita si è estesa a tutti gli uomini. Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’ubbidienza di uno solo i molti saranno costituiti giusti. La legge poi è intervenuta a moltiplicare la trasgressione, ma dove il peccato è abbondato la grazia è sovrabbondata, affinché, come il peccato regnò nella morte, così anche la grazia regni, mediante la giustizia, a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Che diremo dunque? Rimarremo nel peccato affinché la grazia abbondi? Così non sia. Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso? O ignorate voi che, quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché, se siamo diventati una stessa cosa con lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua, sapendo questo: il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui, affinché il corpo del peccato fosse annullato, e noi non serviamo più al peccato, perché colui che è morto è libero dal peccato. Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, sapendo che Cristo, essendo risuscitato dai morti, non muore più; la morte non lo signoreggia più. Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre, ma il suo vivere è un vivere a Dio. Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù. Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidirgli nelle sue concupiscenze e non prestate le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma presentate voi stessi a Dio come di morti fatti viventi e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio, perché il peccato non vi dominerà più, poiché non siete sotto la legge ma sotto la grazia. Che faremo dunque? Peccheremo noi perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? Assolutamente no! Non sapete voi che, se vi date a uno come servi per ubbidirgli, siete servi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell’ubbidienza che conduce alla giustizia? Ma sia ringraziato Dio che eravate servi del peccato, ma avete di cuore ubbidito a quel tenore d’insegnamento che vi è stato trasmesso ed, essendo stati liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. Io parlo alla maniera degli uomini, per la debolezza della vostra carne, poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità per commettere l’iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. Poiché, quando eravate servi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia. Quale frutto dunque avevate allora delle cose delle quali oggi vi vergognate? Poiché la loro fine è la morte. Ma ora, essendo stati liberati dal peccato e fatti servi a Dio, voi avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna, poiché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore. O ignorate voi, fratelli (poiché io parlo a persone che hanno conoscenza della legge), che la legge ha potere sull’uomo per tutto il tempo che egli vive? Infatti la donna sposata è per legge legata al marito mentre egli vive, ma se il marito muore è sciolta dalla legge che la lega al marito. Perciò se, mentre vive il marito, lei diventa moglie di un altro uomo, sarà chiamata adultera, ma se il marito muore, lei è libera da quella legge; così non è adultera se diventa moglie di un altro uomo. Quindi, fratelli miei, anche voi siete morti alla legge mediante il corpo di Cristo, per appartenere a un altro, cioè a colui che è risuscitato dai morti, e questo affinché portiamo del frutto a Dio. Poiché, mentre eravamo nella carne, le passioni peccaminose, suscitate dalla legge, agivano nelle nostre membra per portare frutto per la morte, ma ora siamo stati sciolti dai legami della legge, essendo morti a quella che ci teneva soggetti, per cui serviamo in novità di Spirito, e non nella vecchiezza della lettera. Che diremo dunque? La legge è peccato? Assolutamente no! Anzi io non avrei conosciuto il peccato, se non per mezzo della legge, poiché io non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: “ Non concupire ”. Ma il peccato, còlta l’occasione per mezzo del comandamento, produsse in me ogni concupiscenza, perché senza la legge il peccato è morto. Ci fu un tempo nel quale io vivevo senza legge, ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita e io morii e il comandamento, che era inteso a darmi vita, risultò che mi dava morte. Perché il peccato, còlta l’occasione per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno e, per mezzo di esso, mi uccise. Così la legge è santa e il comandamento è santo, giusto e buono. Ciò che è buono diventò dunque morte per me? Assolutamente no! Ma è il peccato che mi è divenuto morte, perché si palesasse come peccato, causandomi la morte mediante ciò che è buono affinché, per mezzo del comandamento, il peccato diventasse estremamente peccante. Noi sappiamo, infatti, che la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Perché io non approvo quello che faccio, poiché non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la legge è buona e allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. Difatti, io so che in me, vale a dire nella mia carne, non abita alcun bene, poiché in me si trova il volere, ma non il modo di compiere il bene. Perché il bene che voglio, non lo faccio, ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se ciò che non voglio è quello che faccio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. Io mi trovo dunque sotto questa legge: che volendo fare il bene, il male si trova in me. Poiché io mi diletto nella legge di Dio, secondo l’uomo interiore, ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. Misero me uomo! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Così dunque io stesso con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato. Non c’è dunque ora alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù [i quali non camminano secondo la carne, ma secondo lo Spirito], perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Poiché quello che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva debole, Dio lo ha fatto mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito. Poiché quelli che sono secondo la carne hanno l’animo alle cose della carne, ma quelli che sono secondo lo Spirito hanno l’animo alle cose dello Spirito. Perché ciò a cui la carne ha l’animo è morte, ma ciò a cui lo Spirito ha l’animo è vita e pace, poiché ciò a cui la carne ha l’animo è inimicizia contro Dio, perché non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo; e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se davvero lo Spirito di Dio abita in voi ma, se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non è di lui. Ma se Cristo è in voi, benché il corpo sia morto a causa del peccato, lo Spirito è vita a motivo della giustificazione. Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non alla carne per vivere secondo la carne perché, se vivete secondo la carne, voi morrete, ma, se mediante lo Spirito fate morire gli atti del corpo, voi vivrete, poiché tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Poiché voi non avete ricevuto lo spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, per il quale gridiamo: “Abba! Padre!”. Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio e, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pur soffriamo con lui, affinché siamo anche glorificati con lui. Perché io stimo che le sofferenze del tempo presente non siano per nulla paragonabili alla gloria che deve essere manifestata a nostro riguardo. Infatti la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio, perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta, non senza speranza però che la creazione stessa sarà anch’ella liberata dalla servitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Poiché sappiamo che fino ad ora tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro noi stessi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo stati salvati in speranza. Ora la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma, se speriamo quello che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza. Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto nella nostra debolezza, perché noi non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili e colui che investiga i cuori conosce quale sia il sentimento dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo Dio. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo proposito. Perché quelli che egli ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito fra molti fratelli, e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati. Che diremo dunque a queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà egli anche tutte le cose con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica. Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi. Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come è scritto: “Per amor di te noi siamo tutto il giorno messi a morte; siamo stati considerati come pecore da macello”. Anzi in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Poiché io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore. Io dico la verità in Cristo, non mento, la mia coscienza me lo attesta per lo Spirito Santo: ho una grande tristezza e un continuo dolore nel mio cuore, perché vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, che sono Israeliti, ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il culto e le promesse, ai quali appartengono i padri e dai quali è venuto, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen! Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra, perché non tutti i discendenti da Israele sono Israele, né per il fatto che sono discendenza d’Abraamo, sono tutti figli d’Abraamo, anzi: “ In Isacco ti sarà nominata una discendenza ”. Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio, ma i figli della promessa sono considerati come discendenza. Poiché questa è la parola della promessa: “ In questa stagione io verrò, e Sara avrà un figlio ”. Non solo, ma anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quando ebbe concepito da uno stesso uomo, vale a dire Isacco nostro padre, due gemelli, poiché, prima che fossero nati e che avessero fatto alcunché di bene o di male, affinché rimanesse fermo il proponimento dell’elezione di Dio, che dipende non dalle opere ma da colui che chiama, le fu detto: “ Il maggiore servirà al minore ”; com’è scritto: “ Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù ”. Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio? Assolutamente no! Poiché egli dice a Mosè: “ Io avrò misericordia di chi avrò misericordia, e avrò compassione di chi avrò compassione ”. Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. Poiché la Scrittura dice a Faraone: “ Appunto per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato per tutta la terra ”. Così dunque egli fa misericordia a chi vuole, e indurisce chi vuole. Tu allora mi dirai: “Perché rimprovera egli ancora? Poiché chi può resistere alla sua volontà?”. Piuttosto, o uomo, chi sei tu che replichi a Dio? La cosa formata dirà a colui che la formò: “Perché mi facesti così?”. Il vasaio non è forse padrone dell’argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile? Che c’è da contestare se Dio, volendo mostrare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con molta pazienza dei vasi d’ira preparati per la perdizione e se, per far conoscere le ricchezze della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria, li ha anche chiamati (parlo di noi) non soltanto fra i Giudei ma anche fra i Gentili? Così egli dice anche in Osea: “ Io chiamerò ‘mio popolo’ quello che non era mio popolo, e ‘amata’ quella che non era amata ”; e “ avverrà che nel luogo dov’era loro stato detto: ‘Voi non siete mio popolo’, là saranno chiamati ‘figli del Dio vivente’ ”. E Isaia esclama riguardo a Israele: “Quand’anche il numero dei figli d’Israele fosse come la sabbia del mare, soltanto il resto sarà salvato; perché il Signore eseguirà la sua parola sulla terra, in modo completo e rapido”. E come Isaia aveva già detto prima: “Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un seme, saremmo diventati come Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra”. Che diremo dunque? Diremo che i Gentili, i quali non cercavano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, ma la giustizia che viene dalla fede, mentre Israele, che cercava una legge che lo avrebbe condotto alla giustizia, non ha conseguito quella legge. Perché? Perché l’ha cercata non per fede, ma per opere. Essi hanno urtato nella pietra d’inciampo, come è scritto: “Ecco, io pongo in Sion un sasso d’inciampo e una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non sarà svergognato”. Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera a Dio per loro è che siano salvati. Poiché io rendo loro testimonianza che hanno zelo per le cose di Dio, ma zelo senza conoscenza. Perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottoposti alla giustizia di Dio, poiché il termine della legge è Cristo, per essere giustizia a ognuno che crede. Infatti Mosè descrive così la giustizia che viene dalla legge: “ L’uomo che farà quelle cose, vivrà per esse ”. Ma la giustizia che viene dalla fede dice così: “ Non dire in cuor tuo: ‘Chi salirà in cielo?’ (questo è un farne scendere Cristo) né: ‘Chi scenderà nell’abisso?’ (questo è un far risalire Cristo dai morti)”. Ma che dice invece? “La parola è presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore”; questa è la parola della fede che noi proclamiamo, perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. Difatti la Scrittura dice: “Chiunque crede in lui, non sarà svergognato”. Poiché non vi è distinzione fra Giudeo e Greco, perché lo stesso Signore è Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano, infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvato. Come dunque invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come udranno, se non c’è chi predichi? E come predicheranno se non sono mandati? Com’è scritto: “Quanto sono belli i piedi di quelli che annunciano buone novelle!”. Ma tutti non hanno ubbidito all’Evangelo; perché Isaia dice: “Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?”. Così la fede viene dall’udire e l’udire si ha per mezzo della parola di Cristo. Ma io dico: Non hanno essi udito? Anzi “la loro voce è andata per tutta la terra, e le loro parole fino agli estremi confini del mondo”. Ma io dico: Israele non ha compreso? Mosè per primo dice: “ Io vi muoverò a gelosia di una nazione che non è nazione; contro una nazione senza intelletto provocherò il vostro sdegno ”. E Isaia si fa ardito quando dice: “Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano; mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me”. Ma riguardo a Israele dice: “Tutto il giorno ho teso le mani verso un popolo disubbidiente e contestatore”. Io dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Assolutamente no! Perché anch’io sono Israelita, della discendenza di Abraamo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto. Non sapete voi quel che la Scrittura dice, nella storia di Elia? Com’egli ricorre a Dio contro Israele, dicendo: “ Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, e io sono rimasto solo, e cercano la mia vita? ”. Ma che gli rispose la voce divina? “ Mi sono riservato settemila uomini, che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal ”. Così anche nel tempo presente c’è un residuo eletto per grazia. Ma se è per grazia non è più per opere, altrimenti grazia non è più grazia. Che dunque? Quello che Israele cerca, non lo ha ottenuto, mentre il residuo eletto lo ha ottenuto e gli altri sono stati induriti, com’è scritto: “Dio ha dato loro uno spirito di stordimento, degli occhi per non vedere e degli orecchi per non udire, fino a questo giorno”. E Davide dice: “La loro mensa sia per loro un laccio, una rete, un inciampo, e una retribuzione. Siano gli occhi loro oscurati perché non vedano, e piega la loro schiena per sempre”. Io dico dunque: sono forse inciampati perché cadessero? Assolutamente no! Ma per la loro caduta la salvezza è giunta ai Gentili per provocare la loro gelosia. Ora, se la loro caduta è una ricchezza del mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per i Gentili, quanto più lo sarà la loro pienezza! Ma io parlo a voi, o Gentili, perché io sono apostolo dei Gentili, onoro il mio ministerio, nella speranza di provocare a gelosia quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Infatti, se il loro ripudio è stato la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non un rivivere dai morti? Se la primizia è santa, anche la massa è santa e se la radice è santa, anche i rami sono santi. Sebbene alcuni rami sono stati troncati e tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al posto loro e sei divenuto partecipe della radice e della grassezza dell’ulivo, non ti insuperbire contro i rami, ma, se ti insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. Allora tu dirai: “Sono stati troncati dei rami perché io fossi innestato”. Bene: sono stati troncati per la loro incredulità e tu sussisti per la fede; non ti insuperbire, ma temi. Perché, se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neppure te. Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti, ma verso te la bontà di Dio, se perseveri nella sua bontà, altrimenti anche tu sarai reciso. E anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati, perché Dio è potente da innestarli di nuovo. Poiché, se tu sei stato tagliato dall’ulivo per sua natura selvatico, e sei stato contro natura innestato nell’ulivo domestico, quanto più essi, che sono dei rami naturali, saranno innestati nel loro proprio ulivo. Perché, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi, che cioè, un indurimento parziale si è prodotto in Israele, finché sia entrata la pienezza dei Gentili; e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: “Il liberatore verrà da Sion; Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando io toglierò via i loro peccati”. Per quanto concerne l’Evangelo, essi sono nemici per causa vostra, ma quanto all’elezione, sono amati per via dei loro padri, perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento. Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio, e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, così anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia. Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti. O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e incomprensibili le sue vie! Poiché: “Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato il suo consigliere? O chi gli ha dato per primo, e gli sarà contraccambiato?”. Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen. Io vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, che è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà. Per la grazia che mi è stata concessa, io dico quindi a ciascuno fra voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura della fede che Dio ha assegnata a ciascuno. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno la medesima funzione, così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro. Avendo pertanto doni differenti secondo la grazia che ci è stata data, se abbiamo dono di profezia, profetizziamo secondo la proporzione della nostra fede; se di ministerio, attendiamo al ministerio; se d’insegnamento, all’insegnare; se di esortazione, all’esortare; chi dà, dia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere pietose, le faccia con gioia. L’amore sia senza ipocrisia. Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene. Quanto all’amore fraterno, siate pieni d’affetto gli uni per gli altri, quanto all’onore, precedetevi gli uni gli altri, quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore; siate allegri nella speranza, pazienti nell’afflizione, perseveranti nella preghiera; provvedete alle necessità dei santi, esercitate con premura l’ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono allegri, piangete con quelli che piangono. Abbiate fra voi un medesimo sentimento; non abbiate l’animo alle cose alte, ma lasciatevi attirare dalle umili. Non vi stimate saggi da voi stessi. Non rendete ad alcuno male per male. Applicatevi alle cose buone davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini. Non fate le vostre vendette, cari miei, ma cedete il posto all’ira di Dio, poiché sta scritto: “ A me la vendetta; io darò la retribuzione ”, dice il Signore. Anzi “ se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo ”. Non essere vinto dal male, ma vinci il male con il bene. Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori, perché non c’è autorità se non da Dio e le autorità che esistono sono istituite da Dio. Perciò chi resiste all’autorità si oppone all’ordine di Dio e quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna, poiché i magistrati non sono da temere per le opere buone, ma per le cattive. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ quel che è bene e riceverai lode da essa, perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene, ma, se fai quel che è male, temi, perché egli non porta la spada invano, poiché egli è un ministro di Dio, per infliggere una giusta punizione contro colui che fa il male. Perciò è necessario stare sottomessi non soltanto a causa della punizione, ma anche per motivo di coscienza. Poiché è anche per questa ragione che voi pagate le imposte, perché si tratta di ministri di Dio, i quali attendono continuamente a questo ufficio. Rendete a tutti quel che dovete loro: l’imposta a chi è dovuta l’imposta, la tassa a chi la tassa, il timore a chi il timore, l’onore a chi l’onore. Non abbiate altro debito con alcuno se non di amarvi gli uni gli altri, perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il “ non commettere adulterio ”, “ non uccidere ”, “ non rubare ”, “ non concupire ” e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: “ Ama il prossimo tuo come te stesso ”. L’amore non fa alcun male al prossimo; l’amore, quindi, è l’adempimento della legge. E questo tanto più dovete fare, conoscendo il tempo nel quale siamo: è ora ormai che vi svegliate dal sonno, perché la salvezza ci è adesso più vicina di quando credemmo. La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come di giorno: non in gozzoviglie e ubriachezze, non in lussuria e dissolutezza, non in contese e invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbiate cura della carne per soddisfarne le concupiscenze. Quanto a colui che è debole nella fede, accoglietelo, ma non per discutere opinioni. Uno crede di poter mangiare di tutto, mentre l’altro, che è debole, mangia soltanto verdure. Colui che mangia di tutto, non sprezzi colui che non mangia di tutto e colui che non mangia di tutto, non giudichi colui che mangia di tutto, perché Dio lo ha accolto. Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi. Uno stima un giorno più di un altro, l’altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore, perché rende grazie a Dio; chi non mangia di tutto fa così per il Signore e rende grazie a Dio. Poiché nessuno di noi vive per sé stesso e nessuno muore per sé stesso, perché, se viviamo, viviamo per il Signore e, se moriamo, moriamo per il Signore; sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi. Ma tu, perché giudichi tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio, infatti sta scritto: “ Come io vivo ”, dice il Signore, “ ogni ginocchio si piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio ”. Così dunque ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio. Quindi non giudichiamoci più gli uni gli altri, ma decidetevi piuttosto a non porre pietra d’inciampo sulla via del fratello, né essergli occasione di caduta. Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nessuna cosa è impura in sé stessa, però, se uno stima che una cosa è impura, per lui è impura. Ora, se a causa di un cibo il tuo fratello è rattristato, tu non procedi più secondo amore. Non perdere, con il tuo cibo, colui per il quale Cristo è morto! Il privilegio che avete non sia dunque oggetto di biasimo, perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione. Non disfare, per un cibo, l’opera di Dio. Certo, tutte le cose sono pure ma è male quando uno mangia dando scandalo. È bene non mangiare carne, né bere vino, né fare cosa alcuna che possa essere d’intoppo al fratello. Tu, la fede che hai, tienila per te stesso davanti a Dio. Beato chi non condanna sé stesso in quello che approva. Ma chi dubita, se mangia è condannato, perché non mangia con fede e tutto quello che non viene da fede è peccato. Ora noi, che siamo forti, dobbiamo sopportare le debolezze dei deboli e non compiacere a noi stessi. Ciascuno di noi compiaccia al prossimo nel bene, a scopo di edificazione. Poiché anche Cristo non compiacque a sé stesso, ma come è scritto: “Gli oltraggi di quelli che ti oltraggiano sono caduti sopra di me”. Perché tutto quello che fu scritto in passato fu scritto per nostra istruzione, affinché, mediante la pazienza e la consolazione delle Scritture, riteniamo la speranza. Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù, affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio. Infatti io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri, mentre i Gentili possono glorificare Dio per la sua misericordia, come sta scritto: “Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome”. Ed è detto ancora: “Rallegratevi, o Gentili, con il suo popolo”. E altrove: “Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino”. E di nuovo Isaia dice: “Vi sarà la radice di Isai, e colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili”. Ora il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, affinché abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo. Ora, fratelli miei, io pure sono persuaso, a vostro riguardo, che anche voi siete pieni di bontà, ricolmi di ogni conoscenza, capaci anche di ammonirvi a vicenda. Ma vi ho scritto un po’ arditamente su alcuni punti, per ricordarveli di nuovo, a motivo della grazia che mi è stata fatta da Dio, di essere un ministro di Cristo Gesù per i Gentili, esercitando il sacro servizio dell’Evangelo di Dio, affinché l’offerta dei Gentili sia gradita, santificata dallo Spirito Santo. Io ho dunque di che vantarmi in Cristo Gesù, per quel che concerne le cose di Dio, perché io non ardirei dire cosa che Cristo non abbia operata per mio mezzo, in vista dell’ubbidienza dei Gentili, in parola e in opera, con potenza di segni e prodigi, con potenza dello Spirito Santo. Così, da Gerusalemme e dintorni fino all’Illiria, ho predicato dovunque l’Evangelo di Cristo, avendo l’ambizione di predicare l’Evangelo là dove Cristo non era già stato nominato, per non edificare sul fondamento altrui, come è scritto: “Coloro ai quali nulla era stato annunciato di lui, lo vedranno; e coloro che non ne avevano udito parlare, intenderanno”. Per questa ragione appunto sono stato tante volte impedito di venire a voi, ma ora, non avendo più campo da lavorare in queste contrade e avendo già da molti anni gran desiderio di recarmi da voi, quando andrò in Spagna, spero, passando, di vedervi e di essere da voi aiutato nel mio viaggio fin là, dopo che mi sarò in parte saziato della vostra compagnia. Ma per ora vado a Gerusalemme per rendere un servizio ai santi, perché la Macedonia e l’Acaia si sono compiaciute di raccogliere una contribuzione per i poveri fra i santi che sono in Gerusalemme. Si sono compiaciute, dico, ed è anche un debito che esse hanno verso di loro, perché, se i Gentili sono stati fatti partecipi dei loro beni spirituali, sono anche in obbligo di aiutarli con i beni materiali. Quando dunque avrò compiuto questo servizio e consegnato questo frutto, andrò in Spagna passando da voi e so che, recandomi da voi, verrò con la pienezza delle benedizioni di Cristo. Ora, fratelli, vi esorto per il Signore nostro Gesù Cristo e per l’amore dello Spirito a combattere con me nelle vostre preghiere a Dio in mio favore, affinché io sia liberato dai disubbidienti di Giudea e la sovvenzione che porto a Gerusalemme sia gradita ai santi, in modo che, se piace a Dio, io possa venire da voi con gioia e rinfrancarmi in vostra compagnia. Ora il Dio della pace sia con tutti voi. Amen. Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencrea, perché la riceviate nel Signore, in modo degno dei santi, e le prestiate assistenza, in qualunque cosa ella possa aver bisogno di voi, poiché ella pure ha prestato assistenza a molti e anche a me. Salutate Prisca e Aquila, miei compagni d’opera in Cristo Gesù, i quali per la vita mia hanno rischiato il loro collo; a loro, non io soltanto ma anche tutte le chiese dei Gentili rendono grazie. Salutate anche la chiesa che è in casa loro. Salutate il mio caro Epeneto, che è la primizia dell’Asia per Cristo. Salutate Maria, che si è molto affaticata per voi. Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigione, i quali sono segnalati fra gli apostoli e anche sono stati in Cristo prima di me. Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore. Salutate Urbano, nostro compagno d’opera in Cristo, e il mio caro Stachi. Salutate Apelle, che ha dato buona prova in Cristo. Salutate quei di casa di Aristobulo. Salutate Erodione, mio parente. Salutate quei di casa di Narcisso che sono nel Signore. Salutate Trifena e Trifosa, che si affaticano nel Signore. Salutate la cara Perside, che si è molto affaticata nel Signore. Salutate Rufo, l’eletto nel Signore, e sua madre, che è anche mia. Salutate Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba, Erma e i fratelli che sono con loro. Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, Olimpia e tutti i santi che sono con loro. Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio. Tutte le chiese di Cristo vi salutano. Ora io vi esorto, fratelli, tenete d’occhio quelli che provocano le divisioni e gli scandali contro l’insegnamento che avete ricevuto e allontanatevi da loro. Costoro, infatti, non servono il nostro Signore Gesù Cristo ma il proprio ventre e con dolce e lusinghiero parlare seducono il cuore dei semplici. Quanto a voi, la vostra ubbidienza è giunta a conoscenza di tutti. Io dunque mi rallegro per voi, ma desidero che siate saggi nel bene e semplici per quel che concerne il male. Il Dio della pace triterà presto Satana sotto i vostri piedi. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi. Timoteo, mio compagno d’opera, vi saluta e vi salutano anche Lucio, Giasone e Sosipatro, miei parenti. Io, Terzio, che ho scritto la lettera, vi saluto nel Signore. Gaio, che ospita me e tutta la chiesa, vi saluta. Erasto, il tesoriere della città, e il fratello Quarto vi salutano. La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. Amen. A colui che può fortificarvi secondo il mio Evangelo e la predicazione di Gesù Cristo, conformemente alla rivelazione del mistero che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti ma che ora è rivelato e reso noto mediante le Scritture profetiche, per ordine dell’eterno Dio, a tutte le nazioni perché ubbidiscano alla fede, a Dio unico in saggezza, per mezzo di Gesù Cristo, sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen. Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per la volontà di Dio, e il fratello Sostene alla chiesa di Dio che è in Corinto, ai santificati in Cristo Gesù, chiamati a essere santi, con tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore loro e nostro, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Io ringrazio sempre il mio Dio per voi per la grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti in ogni cosa, in ogni dono di parola e in ogni conoscenza, essendo stata la testimonianza di Cristo confermata tra voi, in modo che non difettiate di alcun dono, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, il quale vi confermerà sino alla fine, perché siate irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, nostro Signore. Ora, fratelli, io vi esorto, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad avere tutti un medesimo parlare e a non avere divisioni fra voi, ma a stare perfettamente uniti in una medesima mente e in un medesimo sentire. Perché, fratelli miei, mi è stato riferito da quelli di casa Cloe che vi sono fra voi delle contese. Voglio dire che ciascuno di voi dichiara: “Io sono di Paolo”; “Io, di Apollo”; “Io di Cefa” e “Io di Cristo”. Cristo è forse diviso? Paolo è forse stato crocifisso per voi? O siete voi stati battezzati nel nome di Paolo? Io ringrazio Dio che non ho battezzato alcun di voi, salvo Crispo e Gaio, cosicché nessuno può dire che foste battezzati nel mio nome. Ho battezzato anche la famiglia di Stefana; del resto non so se ho battezzato qualcun altro. Infatti Cristo non mi ha mandato a battezzare ma a evangelizzare; non con sapienza di parola, affinché la croce di Cristo non sia resa vana. Poiché la parola della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che siamo salvati, è la potenza di Dio, poiché è scritto: “Io farò perire la sapienza dei saggi, e annienterò l’intelligenza degli intelligenti”. Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Dio non ha forse resa pazza la sapienza di questo mondo? Poiché, visto che nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio con la propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. Poiché i Giudei chiedono dei miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per i Gentili pazzia, ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini. Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili, ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti, Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti e Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose sprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, affinché nessuno si vanti di fronte a Dio. Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, affinché, com’è scritto: “Chi si gloria, si glori nel Signore”. Quanto a me, fratelli, quando venni a voi, non venni ad annunciarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza, poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso. Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore, e la mia parola e la mia predicazione non hanno consistito in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio. Nondimeno, fra quelli che sono maturi, noi esponiamo una sapienza, però una sapienza non di questo secolo né dei dominatori di questo secolo che stanno per essere annientati, ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria e che nessuno dei principi di questo mondo ha conosciuta perché, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, com’è scritto: “ Le cose che occhio non ha visto, e che orecchio non ha udite e che non sono salite in cuor d’uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che l’amano ”. A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito, perché lo spirito investiga ogni cosa, anche le cose profonde di Dio. Infatti chi, fra gli uomini, conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? E così nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, affinché conosciamo le cose che ci sono state donate da Dio, e noi ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali. Ma l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché gli sono pazzia, e non le può conoscere, perché si giudicano spiritualmente. L’uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa ed egli stesso non è giudicato da alcuno. Poiché “chi ha conosciuto la mente del Signore da poterlo istruire?”. Ma noi abbiamo la mente di Cristo. E io, fratelli, non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma ho dovuto parlarvi come a carnali, come a bambini in Cristo. Vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, perché non eravate ancora da tanto; anzi, non lo siete neppure adesso, perché siete ancora carnali. Infatti, poiché vi è tra voi gelosia e contesa, non siete voi carnali e non camminate voi secondo l’uomo? Quando uno dice: “Io sono di Paolo” e un altro: “Io sono d’Apollo”, non siete voi uomini carnali? Che cos’è dunque Apollo? E che cos’è Paolo? Sono servitori, per mezzo dei quali voi avete creduto, e lo sono nel modo che il Signore ha dato a ciascuno. Io ho piantato, Apollo ha annaffiato, ma è Dio che ha fatto crescere, quindi né colui che pianta né colui che annaffia sono alcunché, ma Dio che fa crescere è tutto. Ora, colui che pianta e colui che annaffia sono una medesima cosa, ma ciascuno riceverà il proprio premio secondo la propria fatica. Poiché noi siamo collaboratori di Dio, voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio. Io, secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; altri vi edifica sopra. Ma badi ciascuno come vi edifica sopra, poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù. Ora, se uno edifica su questo fondamento oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà manifestata, perché il giorno di Cristo la paleserà, poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha edificata sul fondamento sussiste, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno, ma egli stesso sarà salvo, però come attraverso il fuoco. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui, poiché il tempio di Dio è santo e questo tempio siete voi. Nessuno s’inganni. Se qualcuno tra di voi presume di essere un saggio in questo secolo, diventi pazzo per diventare saggio, perché la sapienza di questo mondo è pazzia davanti a Dio. Infatti è scritto: “Egli prende i sapienti nella loro astuzia ”; e altrove: “Il Signore conosce i pensieri dei sapienti, e sa che sono vani”. Nessuno dunque si vanti degli uomini, perché ogni cosa è vostra: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, le cose presenti e le cose future, tutto è vostro; voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. Così ci stimi ognuno come dei ministri di Cristo e degli amministratori dei misteri di Dio. Del resto quel che si richiede dagli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele. A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, non mi giudico neppure da me stesso. Poiché non ho coscienza di alcuna colpa; non per questo però sono giustificato, ma colui che mi giudica è il Signore. Perciò non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce le cose occulte nelle tenebre e manifesterà i propositi dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio. Ora, fratelli, queste cose, per amor vostro, le ho applicate a me stesso e ad Apollo, perché per nostro mezzo impariate a praticare il “non oltre quel che è scritto”, affinché non vi gonfiate d’orgoglio esaltando l’uno a danno dell’altro. Infatti chi ti distingue dagli altri? E che hai tu che non l’abbia ricevuto? E se pur l’hai ricevuto, perché ti glori come se tu non l’avessi ricevuto? Già siete saziati, già siete arricchiti, senza di noi siete giunti a regnare! E fosse pure che voi foste giunti a regnare, affinché anche noi potessimo regnare con voi! Poiché io stimo che Dio abbia messo in mostra noi, gli apostoli, ultimi fra tutti, come uomini condannati a morte, poiché siamo diventati uno spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi siamo pazzi a causa di Cristo, ma voi siete sapienti in Cristo; noi siamo deboli, ma voi siete forti; voi siete gloriosi, ma noi siamo disprezzati. Fino a questa stessa ora, noi abbiamo fame e sete; siamo nudi, schiaffeggiati, non abbiamo fissa dimora e ci affatichiamo lavorando con le nostre proprie mani; ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; diffamati, esortiamo; siamo diventati e siamo tuttora come la spazzatura del mondo, come il rifiuto di tutti. Io vi scrivo queste cose non per farvi vergognare, ma per ammonirvi come miei cari figli. Poiché, quand’anche aveste diecimila pedagoghi in Cristo, non avete però molti padri, poiché sono io che vi ho generati in Cristo Gesù, mediante l’Evangelo. Io vi esorto dunque: Siate miei imitatori. Appunto per questo vi ho mandato Timoteo, che è mio figlio diletto e fedele nel Signore; egli vi ricorderà quali siano le mie vie in Cristo Gesù, come insegno dappertutto, in ogni chiesa. Ora alcuni si sono gonfiati come se io non dovessi recarmi da voi, ma, se il Signore vorrà, mi recherò presto da voi, e conoscerò non il parlare ma la potenza di coloro che si sono gonfiati, perché il regno di Dio non consiste in parola, ma in potenza. Che volete? Che venga da voi con la verga o con amore e con spirito di mansuetudine? Si ode addirittura affermare che vi è tra voi fornicazione, una tale fornicazione che non si trova neppure fra i Gentili, al punto che uno di voi si tiene la moglie di suo padre. Siete gonfi e non avete invece fatto cordoglio perché chi ha commesso quell’azione fosse tolto di mezzo a voi! Quanto a me, assente di persona ma presente in spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha commesso un tale atto. Nel nome del Signore Gesù, essendo insieme riuniti voi e lo spirito mio, con l’autorità del Signore nostro Gesù, ho deciso che quel tale sia dato in mano a Satana, per la distruzione della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù. Il vostro vanto non è buono. Non sapete voi che un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta? Purificatevi del vecchio lievito, affinché siate una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità. Vi ho scritto nella mia lettera di non mischiarvi con i fornicatori, non del tutto però con i fornicatori di questo mondo o con gli avari e i ladri, o con gli idolatri, perché altrimenti dovreste uscire dal mondo, ma quel che vi ho scritto è di non mischiarvi con alcuno che, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, un avaro, un idolatra, un oltraggiatore, un ubriacone o un ladro; con costoro non dovete neppure mangiare. Poiché, devo io forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudica Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi. Quando qualcuno di voi ha una lite con un altro, ha il coraggio di chiamarlo in giudizio davanti agli ingiusti anziché davanti ai santi? Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? Se dunque il mondo è giudicato da voi, siete voi indegni di giudicare delle cose minime? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più possiamo giudicare delle cose di questa vita! Quando dunque avete da giudicare su cose di questa vita, costituite come giudici quelli che sono i meno stimati nella chiesa. Dico questo per farvi vergogna. È possibile che non vi sia tra di voi neppure una persona saggia, capace di pronunciare un giudizio tra un fratello e l’altro? Ma il fratello processa il fratello e lo fa dinanzi agli infedeli. Certo è già in ogni modo un vostro difetto avere fra voi dei processi. Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno? Invece, siete voi che fate torto e danno e ciò a dei fratelli. Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v’illudete: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti, né i ladri, né gli avari, né gli ubriachi, né gli oltraggiatori, né i rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni, ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio. Ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è utile. Ogni cosa mi è lecita, ma io non mi lascerò dominare da cosa alcuna. Le vivande sono per il ventre e il ventre è per le vivande, ma Dio distruggerà e queste e quello. Il corpo però non è per la fornicazione, ma è per il Signore e il Signore è per il corpo; Dio, come ha risuscitato il Signore, così risusciterà anche noi mediante la sua potenza. Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo? Toglierò io dunque le membra di Cristo per farne membra di una prostituta? Così non sia. Non sapete che chi si unisce a una prostituta è un corpo solo con lei? “ Poiché ”, dice Dio, “ i due diventeranno una sola carne ”. Ma chi si unisce al Signore è uno spirito solo con lui. Fuggite la fornicazione. Ogni altro peccato che l’uomo commetta è fuori del corpo, ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo. E non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Poiché foste comprati a prezzo; glorificate dunque Dio nel vostro corpo. Ora, riguardo alle cose di cui mi avete scritto, è bene per l’uomo non toccare donna, ma, per evitare le fornicazioni, ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito renda alla moglie quello che le è dovuto e lo stesso faccia la moglie verso il marito. La moglie non ha potere sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo anche il marito non ha potere sul proprio corpo, ma la moglie. Non vi private l’uno dell’altro, se non di comune accordo, per un tempo, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate insieme, perché Satana non vi tenti a motivo della vostra incontinenza. Ma questo dico per concessione, non per comando, perché io vorrei che tutti gli uomini fossero come sono io; ma ciascuno ha il suo proprio dono da Dio; l’uno in un modo, l’altro in un altro. Ai celibi e alle vedove, però, dico che è bene per loro che se ne stiano come sto anch’io. Ma se non si contengono, sposino, perché è meglio sposarsi che ardere. Ma ai coniugi ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito (e se mai si separa, rimanga senza maritarsi o si riconcili con il marito) e che il marito non lasci la moglie. Ma agli altri dico io, non il Signore: se un fratello ha una moglie non credente ed ella è contenta di abitare con lui, non la lasci e la donna che ha un marito non credente, s’egli consente ad abitare con lei, non lasci il marito, perché il marito non credente è santificato nella moglie e la moglie non credente è santificata nel marito credente, altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre ora sono santi. Però, se il non credente si separa, si separi pure; in tali casi, il fratello o la sorella non sono vincolati, ma Dio ci ha chiamati a vivere in pace, perché tu, moglie, che sai se salverai il marito? E tu, marito, che sai se salverai la moglie? Del resto, ciascuno continui a vivere nella condizione assegnatagli dal Signore, nella quale si trovava quando Dio lo chiamò. Così ordino in tutte le chiese. Qualcuno è stato chiamato essendo circonciso? Non faccia sparire la sua circoncisione. Qualcuno è stato chiamato essendo incirconciso? Non si faccia circoncidere. La circoncisione non conta nulla e l’incirconcisione non conta nulla, ma l’osservanza dei comandamenti di Dio è tutto. Ognuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei tu stato chiamato essendo schiavo? Non curartene, ma se puoi diventare libero è meglio valerti dell’opportunità. Poiché chi è stato chiamato nel Signore, essendo schiavo, è un affrancato del Signore; ugualmente, chi è stato chiamato essendo libero è schiavo di Cristo. Voi siete stati riscattati a prezzo; non diventate schiavi degli uomini. Fratelli, ognuno rimanga davanti a Dio nella condizione nella quale si trovava quando fu chiamato. Quanto alle vergini, io non ho comandamento dal Signore, ma do il mio parere, come avendo ricevuto dal Signore la grazia di essere fedele. Io penso, dunque, che a causa della presente necessità sia bene per loro restare come sono, poiché per l’uomo in genere è bene di starsene così. Sei tu legato a una moglie? Non cercare d’esserne sciolto. Sei tu sciolto da moglie? Non cercare moglie. Se però prendi moglie, non pecchi e se una vergine si sposa, non pecca, ma tali persone avranno tribolazione nella carne e io vorrei risparmiarvela. Ma io dichiaro questo, fratelli: il tempo è ormai abbreviato; da ora in poi, anche quelli che hanno moglie, siano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che si rallegrano, come se non si rallegrassero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano di questo mondo, come se non ne usassero, perché la figura di questo mondo passa. Vorrei che foste senza preoccupazioni. Chi non è sposato ha cura delle cose del Signore, del come potrebbe piacere al Signore, ma colui che è sposato ha cura delle cose del mondo, del come potrebbe piacere alla moglie. C’è anche una differenza tra la donna sposata e la vergine: la non sposata ha cura delle cose del Signore, per essere consacrata a lui nel corpo e nello spirito, ma la sposata ha cura delle cose del mondo, di come potrebbe piacere al marito. Dico questo nel vostro interesse, non per tendervi un tranello, ma in vista di ciò che è decoroso e affinché possiate consacrarvi al Signore senza distrazione. Ma, se qualcuno crede di fare cosa indecorosa verso la propria figlia nubile se ella passi il fiore dell’età, e se così bisogna fare, faccia quello che vuole; egli non pecca, la dia a marito. Ma chi sta fermo in cuor suo, e non è costretto da necessità ma è padrone della sua volontà e ha determinato in cuor suo di mantenere vergine sua figlia, fa bene. Perciò, chi dà sua figlia a marito fa bene e chi non la dà a marito fa meglio. La moglie è vincolata per tutto il tempo che vive suo marito, ma, se il marito muore, ella è libera di sposarsi chi vuole, purché sia nel Signore. Tuttavia ella è più felice, a parer mio, se rimane com’è e credo di avere anch’io lo Spirito di Dio. Quanto alle carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che tutti abbiamo conoscenza. La conoscenza gonfia, ma l’amore edifica. Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, costui non conosce ancora come si deve conoscere; ma se qualcuno ama Dio, egli è conosciuto da lui. Quanto dunque al mangiare delle carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che l’idolo non è nulla nel mondo e che non c’è alcun Dio fuori di uno solo. Poiché, sebbene vi siano dei cosiddetti dèi tanto in cielo che in terra, come infatti ci sono molti dèi e molti signori, nondimeno per noi c’è un Dio solo, il Padre, dal quale sono tutte le cose e per il quale noi esistiamo, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose e mediante il quale siamo noi. Ma non in tutti è la conoscenza, anzi alcuni, abituati finora all’idolo, mangiano quel cibo come se fosse cosa sacrificata a un idolo e la loro coscienza, essendo debole, ne è contaminata. Ora non è il cibo che ci farà graditi a Dio; se non mangiamo, non abbiamo nulla di meno e, se mangiamo, non abbiamo nulla di più. Ma badate che questo vostro diritto non diventi un inciampo per i deboli. Perché, se qualcuno vede te, che hai conoscenza, seduto a tavola in un tempio di idoli, la sua coscienza, se egli è debole, non sarà incoraggiata a mangiare carni sacrificate agli idoli? Così, per la tua conoscenza, perisce il debole, il fratello per il quale Cristo è morto. Ora, peccando in tal modo contro i fratelli e ferendo la loro coscienza che è debole, voi peccate contro Cristo. Perciò, se un cibo scandalizza il mio fratello, io non mangerò mai più carne, per non scandalizzare il mio fratello. Non sono io libero? Non sono io apostolo? Non ho visto Gesù, il nostro Signore? Non siete voi l’opera mia nel Signore? Se per altri non sono apostolo, lo sono almeno per voi, perché il sigillo del mio apostolato siete voi, nel Signore. Questa è la mia difesa di fronte a quelli che mi sottopongono a inchiesta. Non abbiamo noi il diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo il diritto di condurre con noi una moglie, sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? O siamo soltanto io e Barnaba a non avere il diritto di non lavorare? Chi è mai che fa il soldato a proprie spese? Chi è che pianta una vigna e non ne mangia del frutto? O chi è che pasce un gregge e non si ciba del latte del gregge? Dico io queste cose secondo l’uomo? Non le dice anche la legge? Difatti, nella legge di Mosè è scritto: “Non mettere la museruola al bue che trebbia il grano”. Forse che Dio si dà pensiero dei buoi? O non dice così proprio per noi? Certo, per noi fu scritto così, perché chi ara deve arare con speranza e chi trebbia il grano deve trebbiarlo con la speranza d’averne la sua parte. Se abbiamo seminato per voi i beni spirituali, è forse gran cosa se mietiamo i vostri beni materiali? Se altri hanno questo diritto su voi, non l’abbiamo noi molto più? Ma noi non abbiamo fatto uso di questo diritto; anzi sopportiamo ogni cosa, per non creare alcun ostacolo all’Evangelo di Cristo. Non sapete voi che quelli i quali fanno il servizio sacro mangiano di quel che è offerto nel tempio? E che coloro i quali attendono all’altare, hanno parte all’altare? Così ancora, il Signore ha ordinato che coloro i quali annunciano l’Evangelo vivano dell’Evangelo. Io però non ho fatto alcun uso di questi diritti e non ho scritto questo perché si faccia così a mio riguardo, poiché preferirei morire, anziché vedere qualcuno rendere vano il mio vanto. Perché se io evangelizzo, non devo vantarmi, poiché necessità me n’è imposta; e guai a me, se non evangelizzo! Se lo faccio volenterosamente, ne ho ricompensa, ma, se non lo faccio volenterosamente, è pur sempre un’amministrazione che mi è affidata. Qual è dunque la mia ricompensa? Questa: che, annunciando l’Evangelo, io offra l’Evangelo gratuitamente, senza valermi del diritto che mi dà l’Evangelo. Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo a tutti, per guadagnarne il maggior numero; con i Giudei, mi sono fatto Giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge e con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (benché io non sia senza legge riguardo a Dio, ma sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi faccio ogni cosa a tutti, per salvarne a ogni modo alcuni. E faccio tutto per l’Evangelo, al fine di esserne partecipe insieme con altri. Non sapete voi che coloro i quali corrono nello stadio, corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo. Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile, ma noi, una incorruttibile. Io quindi corro, ma non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso non sia squalificato. Fratelli, non voglio che ignoriate che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti passarono attraverso il mare e tutti furono battezzati, nella nuvola e nel mare, per essere di Mosè; tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale, perché bevevano alla roccia spirituale che li seguiva e la roccia era Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque, poiché furono abbattuti nel deserto. Ora queste cose avvennero per servire da esempio a noi, affinché non siamo bramosi di cose malvagie come lo furono costoro; e perché non diventiate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto è scritto: “ Il popolo si sedette per mangiare e per bere, poi s’alzò per divertirsi ”; non fornichiamo come alcuni di loro fornicarono e ne caddero, in un giorno solo, ventitremila; non tentiamo il Signore, come alcuni di loro lo tentarono e perirono morsi dai serpenti. E non mormorate come alcuni di loro mormorarono e perirono colpiti dal distruttore. Ora, queste cose avvennero loro per servire d’esempio e sono state scritte per nostra ammonizione, che ci troviamo agli ultimi termini dei tempi. Perciò, chi pensa di stare in piedi guardi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha colti, che non sia stata umana; ma Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, affinché la possiate sopportare. Perciò, cari miei, fuggite l’idolatria. Io parlo come a persone intelligenti; giudicate voi quello che dico. Il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse la comunione con il sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo non è forse la comunione con il corpo di Cristo? Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane. Guardate l’Israele secondo la carne; quelli che mangiano i sacrifici non hanno forse comunione con l’altare? Che dico dunque? Che la carne sacrificata agl’idoli sia qualcosa? Che un idolo sia qualcosa? Tutt’altro; io dico che le carni che i Gentili sacrificano, le sacrificano ai demòni e non a Dio; ora io non voglio che abbiate comunione con i demòni. Voi non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; voi non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. O vogliamo noi provocare il Signore a gelosia? Siamo noi più forti di lui? Ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa edifica. Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma ciascuno cerchi l’altrui. Mangiate di tutto quello che si vende al macello senza fare inchieste per motivo di coscienza; perché al Signore appartiene la terra e tutto quello ch’essa contiene. Se qualcuno dei non credenti v’invita e voi volete andarci, mangiate di tutto quello che vi è posto davanti, senza fare inchieste per motivo di coscienza. Ma, se qualcuno vi dice: “Questa è cosa di sacrifici”, non ne mangiate per riguardo a chi vi ha avvertito e per riguardo alla coscienza; alla coscienza, dico, non tua, ma di quell’altro, infatti, perché la mia libertà sarebbe giudicata dalla coscienza altrui? E, se io mangio di una cosa con rendimento di grazie, perché sarei biasimato per quello di cui io rendo grazie? Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio. Non siate d’inciampo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio, così come anch’io compiaccio a tutti in ogni cosa, non cercando l’utile mio, ma quello dei molti, affinché siano salvati. Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo. Ora vi lodo perché vi ricordate di me in ogni cosa e ritenete i miei insegnamenti quali ve li ho trasmessi. Ma io voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo e che il capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto, fa disonore al suo capo; ma ogni donna che prega o profetizza senza avere il capo coperto da un velo fa disonore al suo capo, perché è come se fosse rasa. Perché, se la donna non si copre il capo, si faccia anche tagliare i capelli! Ma, se è cosa vergognosa per una donna farsi tagliare i capelli o radere il capo, si metta un velo. Poiché, quanto all’uomo, egli non deve coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio, ma la donna è la gloria dell’uomo, perché l’uomo non viene dalla donna, ma la donna dall’uomo; e l’uomo non fu creato a motivo della donna, ma la donna a motivo dell’uomo. Perciò la donna deve, a motivo degli angeli, avere sul capo un segno di autorità. D’altronde, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna. Infatti, come la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo esiste per mezzo della donna e ogni cosa è da Dio. Giudicate voi stessi: è appropriato che una donna preghi Dio senza avere il capo coperto da un velo? La natura stessa non vi insegna che, se l’uomo porta la chioma, ciò è per lui un disonore? Mentre, se una donna porta la chioma, ciò è per lei un onore, perché la chioma le è data come un velo. Se poi a qualcuno piace essere litigioso, noi non abbiamo tale usanza; e neppure le chiese di Dio. Mentre vi do queste istruzioni, io non vi lodo perché vi radunate non per il meglio ma per il peggio. Poiché, prima di tutto, sento che quando vi riunite in assemblea ci sono fra voi delle divisioni, e in parte lo credo; infati è necessario che ci siano fra voi anche delle fazioni, affinché quelli che sono approvati siano riconosciuti tali fra voi. Quando poi vi riunite insieme, quel che fate non è mangiare la Cena del Signore, poiché al pasto comune ciascuno prende prima la propria cena e, mentre uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete voi delle case per mangiare e bere? O disprezzate voi la chiesa di Dio e fate vergognare quelli che non hanno nulla? Che vi dirò? Vi loderò io? In questo io non vi lodo. Poiché ho ricevuto dal Signore quello che anche vi ho trasmesso, cioè che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me”. Poiché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangerà il pane o berrà del calice del Signore indegnamente sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ora ciascuno esamini sé stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro sé stesso, se non discerne il corpo del Signore. Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono. Ora, se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati; ma, quando siamo giudicati, siamo corretti dal Signore, affinché non siamo condannati con il mondo. Dunque, fratelli miei, quando vi riunite per mangiare, aspettatevi gli uni gli altri. Se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi riuniate per attirare su di voi un giudizio. Le altre cose le regolerò quando verrò. Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell’ignoranza. Voi sapete che quando eravate Gentili eravate trascinati dietro agl’idoli muti, secondo come vi si conduceva. Perciò vi faccio sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: “Gesù è anatema!” e nessuno può dire: “Gesù è il Signore!”, se non per lo Spirito Santo. Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. E vi è diversità di ministeri, ma non vi è che un medesimo Signore. E vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti. Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l’utile comune. Infatti a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro doni di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro potenza di operare miracoli; a un altro profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro diversità di lingue e a un altro l’interpretazione delle lingue, ma tutte queste cose le opera quell’uno e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole. Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un unico corpo, così è anche di Cristo. Infatti noi tutti abbiamo ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un unico Spirito. Infatti il corpo non si compone di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: “Siccome io non sono mano, non sono del corpo”, non per questo non sarebbe del corpo. E, se l’orecchio dicesse: “Siccome io non sono occhio, non sono del corpo”, non per questo non sarebbe del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ma ora Dio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto. Se tutte le membra fossero un unico membro, dove sarebbe il corpo? Invece ci sono molte membra, ma c’è un unico corpo; l’occhio non può dire alla mano: “Io non ho bisogno di te” né il capo può dire ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Al contrario, le membra del corpo che sembrano essere più deboli sono invece necessarie; quelle parti del corpo che noi stimiamo essere le meno onorevoli, le circondiamo di maggior onore e le parti nostre meno decorose sono fatte oggetto di maggior decoro, mentre le parti nostre decorose non ne hanno bisogno; ma Dio ha formato il corpo in modo da dare maggior onore alla parte che ne mancava, affinché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre. Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui e, se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui. Ora voi siete il corpo di Cristo e membra d’esso, ciascuno per parte sua. E Dio ha costituito nella chiesa in primo luogo degli apostoli; in secondo luogo dei profeti; in terzo luogo dei dottori; poi i miracoli; poi i doni di guarigione, le assistenze, i doni di governo, la diversità delle lingue. Sono forse tutti apostoli? Sono forse tutti profeti? Sono forse tutti dottori? Fanno tutti dei miracoli? Tutti hanno forse i doni delle guarigioni? Parlano tutti in altre lingue? Interpretano tutti? Ma desiderate ardentemente i doni maggiori. E ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza. Anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho amore, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho amore, non sono nulla. Anche se distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri e dessi il mio corpo a essere arso, se non ho amore, non mi gioverebbe a niente. L’amore è paziente, è benigno; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non verrà mai meno. Quanto alle profezie, esse saranno abolite; quanto alle lingue, esse cesseranno; quanto alla conoscenza, essa sarà abolita, poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo, ma, quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte sarà abolito. Quand’ero fanciullo, parlavo da fanciullo, pensavo da fanciullo, ragionavo da fanciullo, ma, quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da fanciullo. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto. Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza e amore, ma la più grande di esse è l’amore. Ricercate l’amore, ma desiderate con ardore i doni spirituali, principalmente il dono di profezia. Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio, poiché nessuno lo comprende, ma in spirito dice cose misteriose. Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione. Chi parla in altra lingua edifica sé stesso, ma chi profetizza edifica la chiesa. Vorrei che tutti parlaste in altre lingue, ma molto più che profetizzaste; chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno che egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione. Infatti, fratelli, se io venissi a voi parlando in altre lingue, a che vi servirebbe se la mia parola non vi recasse qualche rivelazione o qualche conoscenza o qualche profezia o qualche insegnamento? Perfino le cose inanimate che danno suono, come il flauto o la cetra, se non danno distinzione di suoni, come si conoscerà quel che è suonato con il flauto o con la cetra? E, se la tromba dà un suono sconosciuto, chi si preparerà alla battaglia? Così anche voi, se con la lingua non proferite un parlare comprensibile, come si capirà quel che dite? Parlerete in aria. Ci sono nel mondo tante e tante specie di linguaggi e nessuno di essi è senza significato. Se quindi io non capisco il significato del linguaggio, sarò uno straniero per chi parla e chi parla sarà uno straniero per me. Così anche voi, poiché siete bramosi dei doni spirituali, cercate di abbondarne per l’edificazione della chiesa. Perciò, chi parla in altra lingua preghi di poter interpretare, poiché, se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l’intelligenza. Altrimenti, se tu benedici Dio soltanto con lo spirito, come potrà chi occupa il posto del semplice uditore dire: “Amen” al tuo rendimento di grazie, dal momento che non comprende quello che dici? Quanto a te, certo, tu fai un bel ringraziamento, ma l’altro non è edificato. Io ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi, ma nella chiesa preferisco dire cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua. Fratelli, non siate fanciulli per senno; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto al ragionare siate uomini compiuti. È scritto nella legge: “Io parlerò a questo popolo per mezzo di gente d’altra lingua, e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi ascolteranno”, dice il Signore. Pertanto le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti; la profezia, invece, serve di segno non per i non credenti, ma per i credenti. Quando dunque tutta la chiesa si riunisce, se tutti parlano in altre lingue ed entrano degli estranei o dei non credenti, non diranno essi che siete pazzi? Ma, se tutti profetizzano ed entra qualche non credente o qualche estraneo, egli è convinto da tutti, è scrutato da tutti, i segreti del suo cuore sono palesati e così, gettandosi giù con la faccia a terra, adorerà Dio, proclamando che Dio è veramente fra voi. Che dunque, fratelli? Quando vi radunate, avendo ciascuno di voi un salmo o un insegnamento o una rivelazione o un parlare in altra lingua o un’interpretazione, si faccia ogni cosa per l’edificazione. Se c’è chi parla in altra lingua, siano due o tre al più a farlo, l’uno dopo l’altro e uno interpreti; se non vi è chi interpreti, tacciano nella chiesa e parlino a sé stessi e a Dio. Parlino due o tre profeti e gli altri giudichino e, se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia. Poiché tutti, uno a uno, potete profetizzare, affinché tutti imparino e tutti siano consolati; gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti, perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace. Come si fa in tutte le chiese dei santi, le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare, ma devono stare sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualcosa, interroghino i loro mariti a casa, perché è cosa indecorosa per una donna parlare in assemblea. La parola di Dio è forse proceduta da voi? O è forse pervenuta a voi soli? Se qualcuno ritiene di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore. E se qualcuno lo vuole ignorare, lo ignori. Pertanto, fratelli, desiderate ardentemente il profetizzare e non impedite il parlare in altre lingue, ma ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine. Fratelli, io vi rammento l’Evangelo che vi ho annunciato, che voi ancora avete anche ricevuto, nel quale state anche saldi, mediante il quale siete salvati, se pure lo ritenete quale ve l’ho annunciato; a meno che non abbiate creduto invano. Poiché io vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io, che Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu sepolto; che risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture; che apparve a Cefa, poi ai dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo; poi a tutti gli apostoli e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto, perché io sono il minimo degli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono e la sua grazia verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non già io, però, ma la grazia di Dio che è con me. Sia dunque io o siano loro, così noi predichiamo e così voi avete creduto. Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come mai alcuni fra voi dicono che non c’è risurrezione dei morti? Ma se non vi è risurrezione dei morti, neppure Cristo è risuscitato e, se Cristo non è risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede. Noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiamo testimoniato di Dio che egli ha risuscitato il Cristo, il quale egli non ha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano. Difatti, se i morti non risuscitano, neppure Cristo è risuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati. Anche quelli che dormono in Cristo, sono dunque periti. Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini. Ma ora Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati, ma ciascuno nel suo proprio ordine: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine, quando avrà rimesso il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna che egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto, sarà la morte. Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi, ma, quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa ne è eccettuato. Quando ogni cosa gli sarà sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti. Altrimenti, che faranno quelli che sono battezzati per i morti? Se i morti non risuscitano affatto, perché dunque sono battezzati per loro? E perché anche noi siamo ogni momento in pericolo? Ogni giorno sono esposto alla morte, sì, fratelli, com’è vero che io mi vanto di voi, in Cristo Gesù, nostro Signore. Se soltanto per fini umani ho lottato con le belve a Efeso, che utile ne ho io? Se i morti non risuscitano, “mangiamo e beviamo, perché domani morremo ”. Non v’ingannate, le cattive compagnie corrompono i buoni costumi. Ritornate sobri, com’è giusto che sia, e non peccate, perché alcuni non hanno conoscenza di Dio; lo dico a vostra vergogna. Ma qualcuno dirà: “Come risuscitano i morti? E con quale corpo ritornano?”. Insensato, quello che tu semini non è vivificato se prima non muore e, quanto a quello che tu semini, non semini il corpo che deve nascere, ma un granello nudo, forse di frumento o di qualche altro seme; e Dio gli dà un corpo come lo ha stabilito e a ogni seme il proprio corpo. Non ogni carne è la stessa carne; ma altra è la carne degli uomini, altra la carne delle bestie, altra quella degli uccelli, altra quella dei pesci. Ci sono anche dei corpi celesti e dei corpi terrestri, ma altra è la gloria dei celesti e altra quella dei terrestri. Altra è la gloria del sole, altra la gloria della luna e altra la gloria delle stelle, perché un astro è differente dall’altro in gloria. Così pure della risurrezione dei morti. Il corpo è seminato corruttibile e risuscita incorruttibile; è seminato ignobile e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita potente; è seminato corpo naturale e risuscita corpo spirituale. Se c’è un corpo naturale, c’è anche un corpo spirituale. Così anche sta scritto: “ Il primo uomo, Adamo, fu fatto anima vivente ”; l’ultimo Adamo è spirito vivificante. Però, ciò che è spirituale non viene prima, ma prima ciò che è naturale, poi viene ciò che è spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è terreno; il secondo uomo è dal cielo. Quale è il terreno, tali sono anche i terreni e quale è il celeste, tali saranno anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine del terreno, così porteremo anche l’immagine del celeste. Ora io dico questo, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità. Ecco, io vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo mutati, in un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Perché la tromba suonerà, i morti risusciteranno incorruttibili e noi saremo mutati. Poiché bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità. Quando questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità, e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: “La morte è stata sommersa nella vittoria”. “O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo dardo?”. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge; ma ringraziato sia Dio che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore. Quanto poi alla colletta per i santi, come ho ordinato alle chiese di Galazia, così fate anche voi. Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi metta da parte a casa quel che potrà secondo la prosperità concessagli, affinché, quando verrò, non ci siano più collette da fare. E quando sarò giunto, quelli che avrete approvati, io li manderò con delle lettere a portare la vostra liberalità a Gerusalemme e, se converrà che ci vada anch’io, essi verranno con me. Io poi mi recherò da voi, quando sarò passato per la Macedonia, perché passerò per la Macedonia, ma da voi forse mi fermerò o ci passerò anche l’inverno, affinché voi mi facciate proseguire per dove mi recherò. Perché, questa volta, io non voglio vedervi di passaggio, infatti spero di fermarmi qualche tempo da voi, se il Signore lo permette. Ma rimarrò a Efeso fino alla Pentecoste, perché qui una larga porta mi si è aperta per un lavoro efficace e vi sono molti avversari. Ora, se viene Timoteo, guardate che stia fra voi senza timore, perché egli lavora nell’opera del Signore, come faccio anch’io. Nessuno dunque lo disprezzi, ma fatelo proseguire in pace, affinché venga da me, poiché io l’aspetto con i fratelli. Quanto al fratello Apollo, io l’ho molto esortato a recarsi da voi con i fratelli; ma egli non ha avuto alcuna volontà di farlo adesso; verrà però quando ne avrà l’opportunità. Vegliate, state fermi nella fede, comportatevi virilmente, fortificatevi. Tutte le cose vostre siano fatte con amore. Ora, fratelli, voi conoscete la famiglia di Stefana; sapete che è la primizia dell’Acaia e che si è dedicata al servizio dei santi; io vi esorto a sottomettervi anche voi a tali persone e a chiunque lavora e fatica nell’opera comune. Io mi rallegro della venuta di Stefana, di Fortunato e d’Acaico, perché essi hanno riempito il vuoto prodotto dalla vostra assenza; poiché hanno ricreato lo spirito mio e il vostro; sappiate apprezzare tali persone. Le chiese dell’Asia vi salutano. Aquila e Priscilla, con la chiesa che è in casa loro, vi salutano molto nel Signore. Tutti i fratelli vi salutano. Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio. Il saluto è di mia propria mano: di me, Paolo. Se qualcuno non ama il Signore, sia anatema. Marana tha. La grazia del Signore Gesù sia con voi. Il mio amore è con tutti voi in Cristo Gesù. Paolo, apostolo di Cristo Gesù per la volontà di Dio, e il fratello Timoteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto, con tutti i santi che sono in tutta l’Acaia, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Benedetto sia Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione. Perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Perciò, se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza e, se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel rendervi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi patiamo. E la nostra speranza nei vostri riguardi è ferma, sapendo che come siete partecipi delle sofferenze siete anche partecipi della consolazione. Poiché, fratelli, non vogliamo che ignoriate, circa l’afflizione che ci colse in Asia, che siamo stati oltremodo aggravati, al di là delle nostre forze, tanto che stavamo in gran dubbio anche della vita. Anzi avevamo già noi stessi pronunciata la nostra sentenza di morte, affinché non confidassimo in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti, il quale ci ha liberati e ci libererà da un così gran pericolo di morte e nel quale abbiamo la speranza che ci libererà ancora, aiutandoci anche voi con la preghiera, affinché per il favore ottenuto per mezzo di tante persone, siano rese grazie per noi da molti. Questo, infatti, è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza, che ci siamo condotti nel mondo, e più che mai verso voi, con santità e sincerità di Dio, non con sapienza carnale, ma con la grazia di Dio. Poiché noi non vi scriviamo altro se non quel che leggete e anche riconoscete e spero che sino alla fine riconoscerete, come in parte avete già riconosciuto, che noi siamo il vostro vanto, come anche voi sarete il nostro nel giorno del nostro Signore Gesù. Con questa fiducia, per procurarvi un duplice beneficio, io volevo venire prima da voi e, passando da voi, volevo andare in Macedonia, poi dalla Macedonia venire di nuovo a voi e voi mi avreste fatto proseguire per la Giudea. Prendendo dunque questa decisione ho agito con leggerezza? Ovvero, le cose che decido, le decido secondo la carne, così che un momento io dica “Sì, sì” e l’altro “No, no?” Ora, com’è vero che Dio è fedele, la parola che vi abbiamo rivolta non è “sì” e “no”. Perché il Figlio di Dio, Cristo Gesù, che è stato da noi predicato fra voi, cioè da me, da Silvano e da Timoteo, non è stato “sì” e “no”, ma è “sì” in lui. Poiché quante sono le promesse di Dio, tutte hanno in lui il loro “sì”, perciò pure per mezzo di lui si pronuncia l’Amen alla gloria di Dio, in grazia del nostro ministerio. Ora colui che con voi ci rende fermi in Cristo e che ci ha unti è Dio, il quale ci ha pure segnati con il proprio sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori. Ora io chiamo Dio a testimone sull’anima mia che è per risparmiarvi che io non sono più venuto a Corinto. Non signoreggiamo sulla vostra fede, ma siamo collaboratori della vostra gioia, poiché nella fede voi state saldi. Avevo infatti deciso in me stesso di non venire a rattristarvi una seconda volta. Perché, se io vi rattristo, chi sarà dunque colui che mi rallegrerà, se non colui che sarà stato da me rattristato? E vi ho scritto a quel modo affinché, al mio arrivo, io non abbia tristezza da coloro dai quali dovrei avere gioia, avendo di voi tutti fiducia che la mia gioia è la gioia di tutti voi. Poiché in grande afflizione e in angoscia di cuore vi scrissi con molte lacrime, non già per rattristarvi, ma per farvi conoscere l’amore grandissimo che nutro per voi. Ora, se qualcuno ha causato tristezza, egli non ha rattristato me, ma, in parte, per non esagerare, voi tutti. Basta a quel tale la riprensione inflittagli dalla maggioranza e quindi ora, al contrario, dovreste piuttosto perdonarlo e confortarlo, perché non abbia a essere sopraffatto da troppa tristezza. Perciò vi prego di confermargli il vostro amore, poiché anche per questo vi ho scritto: per mettervi alla prova e vedere se siete ubbidienti in ogni cosa. A chi voi perdonate qualcosa, perdono anch’io, poiché anch’io quel che ho perdonato, se ho perdonato qualcosa, l’ho fatto per amor vostro, davanti a Cristo, affinché non siamo raggirati da Satana, poiché non ignoriamo le sue macchinazioni. Giunto a Troas per l’Evangelo di Cristo ed essendomi aperta una porta nel Signore, non ebbi pace nel mio spirito perché non vi trovai Tito, mio fratello; così, congedatomi da loro, partii per la Macedonia. Ma grazie siano rese a Dio che sempre ci conduce in trionfo in Cristo e che per mezzo nostro spande dappertutto il profumo della sua conoscenza. Poiché noi siamo dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che sono sulla via della salvezza e fra quelli che sono sulla via della perdizione; a questi, un odore di morte che conduce a morte; a quelli, un odore di vita che conduce a vita. E chi è sufficiente a queste cose? Poiché noi non siamo come quei molti che falsificano la parola di Dio, ma parliamo mossi da sincerità, da parte di Dio, in presenza di Dio, in Cristo. Cominciamo di nuovo a raccomandare noi stessi? O abbiamo bisogno, come alcuni, di lettere di raccomandazione presso di voi o da voi? Siete voi la nostra lettera, scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini, essendo manifesto che voi siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro ministerio, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne. Una simile fiducia noi l’abbiamo per mezzo di Cristo presso Dio. Non già che siamo da noi stessi capaci di pensare alcun che, come se venisse da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha anche resi capaci di essere ministri di un nuovo patto, non di lettera, ma di spirito, perché la lettera uccide, ma lo spirito vivifica. Ora, se il ministerio della morte, scolpito in lettere su pietre, fu circondato di gloria, al punto che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo nel volto di Mosè a motivo della gloria, che pur svaniva, del volto di lui, non sarà il ministerio dello Spirito circondato di molto maggior gloria? Se, infatti, il ministerio della condanna fu con gloria, molto più abbonda in gloria il ministerio della giustizia. Anzi quel che nel primo fu reso glorioso, non fu reso veramente glorioso, quando lo si confronti con la gloria di tanto superiore del secondo, perché, se ciò che doveva sparire fu circondato di gloria, molto più glorioso sarà ciò che deve durare. Avendo dunque una tale speranza, noi usiamo grande franchezza e non facciamo come Mosè, che si metteva un velo sulla faccia, perché i figli d’Israele non fissassero lo sguardo sulla fine di ciò che doveva sparire. Ma le loro menti furono rese ottuse; infatti, sino al giorno d’oggi, quando fanno la lettura dell’antico patto, lo stesso velo rimane, senza essere rimosso, perché è in Cristo che esso è tolto via. Ma fino a oggi, quando si legge Mosè, un velo rimane steso sul loro cuore; quando però si saranno convertiti al Signore, il velo sarà rimosso. Ora, il Signore è lo Spirito e dov’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà. E noi tutti, contemplando a viso scoperto, come in uno specchio, la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di lui, di gloria in gloria, secondo il Signore, che è lo Spirito. Perciò, avendo questo ministerio in virtù della misericordia che ci è stata fatta, noi non veniamo meno nell’animo, ma abbiamo rifiutato le cose nascoste e vergognose, non procedendo con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma mediante la manifestazione della verità raccomandiamo noi stessi alla coscienza di ogni uomo davanti a Dio. E, se il nostro vangelo è ancora velato, è velato per quelli che sono sulla via della perdizione, per gli increduli, dei quali il dio di questo secolo ha accecato le menti, affinché la luce dell’Evangelo della gloria di Cristo, che è l’immagine di Dio, non risplenda loro. Poiché noi non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù quale Signore e quanto a noi ci dichiariamo vostri servitori per amore di Gesù, perché il Dio che disse: “Splenda la luce fra le tenebre” è quel che risplendé nei nostri cuori, affinché noi facessimo brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo. Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché l’eccellenza di questa potenza sia di Dio e non da noi. Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi; portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo, poiché noi che viviamo, siamo sempre esposti alla morte per amor di Gesù, affinché anche la vita di Gesù sia manifestata nella nostra carne mortale. Di modo che la morte opera in noi, ma la vita in voi. Siccome abbiamo lo stesso spirito di fede, che è in quella parola della Scrittura: “ Ho creduto, perciò ho parlato ”, anche noi crediamo e perciò parliamo, sapendo che colui che risuscitò il Signore Gesù risusciterà anche noi con Gesù e ci farà comparire con voi alla sua presenza. Poiché tutte queste cose avvengono per voi, affinché la grazia abbondi e faccia sì che sovrabbondi per mezzo di un gran numero di persone il ringraziamento alla gloria di Dio. Perciò noi non veniamo meno nell’animo ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne. Noi sappiamo infatti che, se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, noi abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna nei cieli. Poiché in questa tenda noi gemiamo, bramando di essere rivestiti della nostra abitazione che è celeste, se pure saremo trovati vestiti e non nudi. Poiché noi che stiamo in questa tenda, gemiamo, aggravati, e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita. Ora colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito. Noi siamo dunque sempre pieni di fiducia e sappiamo che, mentre abitiamo nel corpo, siamo assenti dal Signore, poiché camminiamo per fede e non per visione, ma siamo pieni di fiducia e preferiamo piuttosto partire dal corpo e abitare con il Signore. Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo. Poiché dobbiamo tutti comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte quando era nel corpo, secondo quel che avrà operato, o bene o male. Sapendo dunque il timore che si deve avere del Signore, noi persuadiamo gli uomini; e Dio ci conosce a fondo e spero che nelle vostre coscienze anche voi ci conosciate. Non ci raccomandiamo di nuovo a voi, ma vi diamo l’occasione di gloriarvi di noi, affinché abbiate di che rispondere a quelli che si gloriano di ciò che è apparenza e non di ciò che è nel cuore. Perché, se siamo fuori di senno, lo siamo per Dio e, se siamo di buon senno, lo siamo per voi; infatti l’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono, e che egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per loro stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Quindi, da ora in poi, noi non conosciamo più alcuno secondo la carne e, se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così. Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ha dato a noi il ministerio della riconciliazione; infatti Dio riconciliava con sé il mondo in Cristo non imputando agli uomini le loro colpe e ha posto in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto essere peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui. Come collaboratori di Dio, vi esortiamo a non ricevere la grazia di Dio invano, poiché egli dice: “Ti ho esaudito nel tempo favorevole, e ti ho soccorso nel giorno della salvezza”. Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza! Noi non diamo motivo di scandalo in cosa alcuna, affinché il ministerio non sia biasimato, ma in ogni cosa ci raccomandiamo come ministri di Dio per una grande costanza, per afflizioni, necessità, angustie, percosse, prigionie, sommosse, fatiche, veglie, digiuni, per purezza, conoscenza, longanimità, benignità, per lo Spirito Santo, per amore non finto, per la parola di verità, per la potenza di Dio, per le armi di giustizia a destra e a sinistra, in mezzo alla gloria e all’umiliazione, nella buona e nella cattiva fama; tenuti per seduttori, eppur veraci; sconosciuti, eppur ben conosciuti; moribondi, eppur eccoci viventi; castigati, eppur non messi a morte; contristati, eppur sempre allegri; poveri, eppure arricchendo molti; non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa! La nostra bocca vi ha parlato apertamente, o Corinzi; il nostro cuore si è allargato. Voi non siete allo stretto in noi, ma è il vostro cuore che si è ristretto. Ora, per renderci il contraccambio (parlo come a figli), allargate il cuore anche voi! Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione fra la luce e le tenebre? E quale armonia fra Cristo e Beliar? O quale relazione c’è tra il fedele e l’infedele? E quale accordo fra il tempio di Dio e gli idoli? Poiché noi siamo il tempio del Dio vivente, come disse Dio: “Io abiterò in mezzo a loro e camminerò fra loro; e sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo”. “Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’impuro; e io vi accoglierò”, e “Vi sarò per Padre e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente”. Poiché dunque abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci di ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio. Fateci posto nei vostri cuori! Noi non abbiamo fatto torto a nessuno, non abbiamo rovinato nessuno, non abbiamo sfruttato nessuno. Non lo dico per condannarvi, perché ho già detto prima che voi siete nei nostri cuori per la morte e per la vita. Grande è la franchezza che uso con voi; molto ho da vantarmi di voi; sono ripieno di consolazione e trabocco di gioia in tutta la nostra afflizione. Poiché, anche dopo che fummo giunti in Macedonia, la nostra carne non ha avuto requie alcuna, ma siamo stati afflitti in ogni maniera; combattimenti di fuori, timori di dentro. Ma Dio, che consola gli abbattuti, ci consolò con la venuta di Tito e non soltanto con la venuta di lui, ma anche con la consolazione da lui provata a vostro riguardo. Egli ci ha raccontato il vostro vivo desiderio di vedermi, il vostro pianto, il vostro zelo per me; così mi sono più che mai rallegrato. Anche se vi ho rattristato con la mia lettera, non me ne rincresce e, se ne ho provato dispiacere - poiché vedo che quella lettera, anche se soltanto per breve tempo, vi ha rattristati - ora mi rallegro, non perché siete stati rattristati, ma perché siete stati rattristati a ravvedimento, poiché siete stati rattristati secondo Dio, in modo che non aveste a ricevere alcun danno da noi. Poiché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza e del quale non c’è mai da pentirsi, ma la tristezza del mondo produce la morte. Infatti, questo essere stati rattristati secondo Dio, vedete quanta premura ha prodotto in voi! Anzi, quanta giustificazione, quanto sdegno, quanto timore, quanto desiderio, quanto zelo, qual punizione! In ogni maniera avete dimostrato di essere puri in questo affare. Sebbene dunque io vi abbia scritto, non è a motivo di chi ha fatto l’ingiuria né a motivo di chi l’ha patita, ma perché la premura che avete per noi fosse manifestata presso di voi davanti a Dio. Perciò siamo stati consolati e oltre a questa nostra consolazione ci siamo più che mai rallegrati per la gioia di Tito, perché il suo spirito è stato ricreato da voi tutti. Anche se in qualcosa mi sono vantato di voi con lui, non ne sono stato svergognato, ma come tutto ciò che vi abbiamo detto era verità, così anche il nostro vanto di voi con Tito è risultato verità. E il suo affetto per voi è più che mai abbondante, perché ricorda l’ubbidienza di voi tutti e come l’avete ricevuto con timore e tremore. Io mi rallegro che in ogni cosa posso avere fiducia in voi. Ora, fratelli, vogliamo farvi sapere della grazia di Dio concessa alle chiese di Macedonia. In mezzo alle molte afflizioni con le quali esse sono provate, l’abbondanza della loro gioia e la loro estrema povertà hanno abbondato nelle ricchezze della loro generosità. Poiché, io ne rendo testimonianza, secondo le loro possibilità, anzi al di là delle loro possibilità, hanno dato volenterosi, chiedendoci con molta insistenza la grazia di contribuire a questa sovvenzione destinata ai santi. E l’hanno fatto non solo come avevamo sperato, ma prima si sono dati loro stessi al Signore e poi a noi, per la volontà di Dio. Così, noi abbiamo esortato Tito che, come l’ha già cominciata, così porti a compimento fra voi anche quest’opera di grazia. Ma siccome abbondate in ogni cosa, in fede, in parola, in conoscenza, in ogni zelo e nell’amore che avete per noi, vedete di abbondare anche in quest’opera di grazia. Non lo dico per darvi un ordine, ma per mettere alla prova, con l’esempio dell’altrui premura, anche la sincerità del vostro amore. Perché voi conoscete la grazia del nostro Signore Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per amor vostro, affinché, mediante la sua povertà, voi poteste diventare ricchi. E a tal proposito vi do un consiglio a vostro vantaggio, a voi i quali fin dall’anno passato avete per primi cominciato non soltanto a fare ma anche a volere: portate ora a compimento anche il fare; come ci fu la prontezza del volere, così ci sia anche il compiere secondo i vostri mezzi. Poiché, se c’è la prontezza d’animo, essa è gradita in ragione di quello che uno ha e non di quello che non ha. Poiché questo non si fa per recare sollievo ad altri e aggravio a voi, ma per principio di uguaglianza; nelle attuali circostanze, la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno, perché la loro abbondanza supplisca altresì al vostro bisogno, affinché ci sia uguaglianza, secondo quel che è scritto: “ Chi aveva raccolto molto non ne ebbe in eccesso, e chi aveva raccolto poco, non ne ebbe mancanza ”. Ringraziato sia Dio che ha messo in cuore a Tito lo stesso zelo per voi, poiché non soltanto egli ha accettato la nostra esortazione, ma mosso da zelo anche maggiore si è spontaneamente messo in cammino per venire da voi. Con lui abbiamo mandato questo fratello, la cui lode nella predicazione dell’Evangelo è sparsa per tutte le chiese; non solo, ma egli è stato anche scelto dalle chiese a viaggiare con noi per quest’opera di grazia, da noi amministrata per la gloria del Signore stesso e per dimostrare la prontezza dell’animo nostro. Evitiamo così che qualcuno abbia a biasimarci circa quest’abbondante colletta che è da noi amministrata, perché ci preoccupiamo di agire onestamente non soltanto davanti al Signore, ma anche di fronte agli uomini. E con loro abbiamo mandato quel nostro fratello del quale spesse volte e in molte cose abbiamo sperimentato lo zelo e che ora è più zelante che mai per la gran fiducia che ha in voi. Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore in mezzo a voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono gli inviati delle chiese e gloria di Cristo. Date loro dunque, in presenza delle chiese, la prova del vostro amore e mostrate loro che abbiamo ragione di gloriarci di voi. Quanto alla sovvenzione destinata ai santi, è superfluo che io ve ne scriva, perché conosco la prontezza dell’animo vostro, per la quale mi vanto di voi presso i Macedoni, dicendo che l’Acaia è pronta fin dall’anno passato, e il vostro zelo ne ha stimolati moltissimi. Ma ho mandato i fratelli affinché il nostro vantarci di voi non risulti vano a questo riguardo; affinché, come dicevo, siate pronti, perché, se venissero con me dei Macedoni e vi trovassero impreparati, noi (per non dire voi) saremmo svergognati per questa nostra fiducia. Perciò ho reputato necessario esortare i fratelli a venire da voi prima di me e preparare la vostra offerta già promessa, affinché sia pronta come atto di generosità e non di avarizia. Ora dico questo: chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente e chi semina liberalmente mieterà altresì liberalmente. Dia ciascuno come ha deliberato in cuor suo, non di mala voglia né per forza, perché Dio ama un donatore allegro. Dio è potente da far abbondare su di voi ogni grazia, affinché, avendo sempre in ogni cosa tutto quel che vi è necessario, abbondiate in ogni opera buona, come sta scritto: “Egli ha sparso, egli ha dato ai poveri, la sua giustizia dimora in eterno”. Colui che fornisce la semenza al seminatore e il pane da mangiare, fornirà e moltiplicherà la semenza vostra e accrescerà i frutti della vostra giustizia. Così, arricchiti in ogni cosa, potrete esercitare una larga generosità, la quale produrrà rendimento di grazie a Dio per mezzo di noi. Poiché la prestazione di questo servizio sacro non soltanto supplisce ai bisogni dei santi ma più ancora produce abbondanza di ringraziamenti a Dio, in quanto la prova pratica fornita da questa sovvenzione li porta a glorificare Dio per l’ubbidienza con cui professate l’Evangelo di Cristo e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti. E con le loro preghiere a vostro favore essi dimostrano di essere mossi da vivo affetto per voi a motivo della sovrabbondante grazia di Dio che è sopra voi. Ringraziato sia Dio per il suo dono ineffabile! Io poi, Paolo, vi esorto per la mansuetudine e la mitezza di Cristo, io, che quando sono presente fra voi sono umile, ma quando sono assente sono ardito verso di voi, vi prego di non obbligarmi, quando sarò presente, a procedere arditamente con quella fermezza con la quale intendo agire contro taluni che pensano che noi camminiamo secondo la carne. Perché, sebbene camminiamo nella carne, non combattiamo secondo la carne, infatti le armi della nostra guerra non sono carnali, ma hanno da Dio il potere di distruggere le fortezze, poiché demoliamo i ragionamenti e tutto ciò che si eleva contro la conoscenza di Dio, e facciamo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo, e siamo pronti a punire ogni disubbidienza, quando la vostra ubbidienza sarà completa. Voi guardate all’apparenza delle cose. Se uno confida dentro di sé di essere di Cristo, consideri anche questo dentro di sé: che com’egli è di Cristo, così lo siamo anche noi. Infatti, se anche volessi vantarmi un po’ di più dell’autorità che il Signore ci ha data per l’edificazione vostra e non per la vostra rovina, non ne sarei svergognato. Dico questo perché non sembri che io cerchi d’intimidirvi con le mie lettere. Qualcuno infatti dice: “Le sue lettere sono gravi e forti, ma la sua presenza personale è debole, e la sua parola è cosa da nulla”. Quel tale sappia per certo che quali siamo a parole, per via di lettere, quando siamo assenti, tali saremo anche a fatti quando saremo presenti. Poiché noi non osiamo annoverarci o paragonarci con certuni che si raccomandano da sé, i quali però, misurandosi alla propria misura e paragonandosi con sé stessi, sono senza intelligenza. Noi, invece, non ci vanteremo oltre misura, ma entro la misura del campo di attività di cui Dio ci ha segnato i limiti, dandoci di giungere anche fino a voi. Infatti, noi non ci estendiamo oltre il dovuto, quasi che non fossimo giunti fino a voi, perché siamo realmente giunti fino a voi con l’Evangelo di Cristo, né ci vantiamo oltre misura di fatiche altrui, ma nutriamo la speranza che, mentre cresce la vostra fede, noi saremo tenuti, entro i nostri limiti, in maggiore considerazione da voi, in modo da evangelizzare anche i paesi che sono al di là del vostro e da non vantarci, entrando nel campo altrui, di cose già preparate. Ma chi si vanta, si vanti nel Signore. Poiché non colui che raccomanda sé stesso è approvato, ma colui che il Signore raccomanda. Quanto desidererei che sopportaste da parte mia un po’ di follia! Ma, pure, sopportatemi! Poiché io sono geloso di voi di una gelosia di Dio, perché vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo. Ma temo che, come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così le vostre menti siano corrotte e sviate dalla semplicità e dalla purezza rispetto a Cristo. Infatti, se uno viene a predicarvi un altro Gesù, diverso da quello che abbiamo predicato noi, o se si tratta di ricevere uno Spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un vangelo diverso da quello che avete accettato, voi ben lo sopportate! Ora io stimo di non essere stato in nulla da meno di questi sommi apostoli. Ma anche se sono rozzo nel parlare, non lo sono però nella conoscenza; e l’abbiamo dimostrato tra di voi, in tutti i modi e in ogni cosa. Ho io commesso peccato quando, abbassando me stesso perché voi foste innalzati, vi ho annunciato l’Evangelo di Dio gratuitamente? Ho spogliato altre chiese, prendendo da loro un salario, per poter servire voi e quando, durante il mio soggiorno fra voi, mi trovai nel bisogno, non fui di peso a nessuno, perché i fratelli, venuti dalla Macedonia, supplirono al mio bisogno; in ogni cosa mi sono astenuto e mi asterrò ancora dall’esservi di peso. Com’è vero che la verità di Cristo è in me, questo vanto non mi sarà tolto nelle contrade dell’Acaia. Perché? Forse perché non vi amo? Dio lo sa. Ma quel che faccio lo farò ancora per togliere ogni occasione a quanti desiderano un pretesto per essere considerati uguali a noi in ciò di cui si vantano. Quei tali sono dei falsi apostoli, degli operai fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo. E non c’è da meravigliarsene, perché anche Satana si traveste da angelo di luce. Non è dunque gran cosa se anche i suoi ministri si travestono da ministri di giustizia; la fine loro sarà secondo le loro opere. Lo dico di nuovo: nessuno mi prenda per pazzo o, se no, accettatemi anche come pazzo, affinché anch’io possa vantarmi un po’. Quello che dico, quando mi vanto con tanta fiducia, non lo dico secondo il Signore, ma come un pazzo. Poiché molti si vantano secondo la carne, anch’io mi vanterò. Difatti voi, che siete saggi, li sopportate volentieri i pazzi. Che se uno vi riduce in schiavitù, se uno vi divora, se uno vi prende il vostro, se uno s’innalza sopra voi, se uno vi percuote in faccia, voi lo sopportate. Lo dico a nostra vergogna, come se noi fossimo stati deboli, eppure, di qualunque cosa uno possa vantarsi - parlo da pazzo - oso vantarmene anch’io. Sono Ebrei? Lo sono anch’io. Sono Israeliti? Lo sono anch’io. Sono discendenza d’Abraamo? Lo sono anch’io. Sono ministri di Cristo? - Parlo come uno fuori di sé - io lo sono più di loro, più di loro per le fatiche, più di loro per le prigionie, assai più di loro per le battiture sofferte. Sono spesso stato in pericolo di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte nell’abisso. Spesse volte in viaggio, in pericolo sui fiumi, in pericolo di ladroni, in pericoli da parte dei miei connazionali, in pericoli per parte dei Gentili, in pericoli in città, in pericoli nei deserti, in pericoli sul mare, in pericoli tra falsi fratelli, in fatiche e in pene; spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo e nella nudità. E, per non parlare d’altro, c’è quel che mi assale tutti i giorni, l’ansietà per tutte le chiese. Chi è debole che io non sia debole? Chi è scandalizzato che io non frema per lui? Se bisogna vantarsi, io mi vanterò delle cose che concernono la mia debolezza. Il Dio e Padre del nostro Signore Gesù, che è benedetto in eterno, sa che io non mento. A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie alla città dei Damasceni per arrestarmi, ma da una finestra fui calato, in una cesta, lungo il muro, e scampai dalle sue mani. Bisogna vantarsi? non è cosa buona, tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. Io conosco un uomo in Cristo, che quattordici anni fa - se fu con il corpo non so né so se fu senza il corpo, Dio lo sa - fu rapito fino al terzo cielo. So che quel tale - se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa - fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo pronunciare. Di quel tale io mi vanterò, ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. Che, se pur volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità, ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere o sente da me. E, perché io non avessi a insuperbire a motivo dell’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me ed egli mi ha detto: “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza”. Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su me. Per questo io mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo perché, quando sono debole, allora sono forte. Sono diventato pazzo; siete voi che mi ci avete costretto, poiché io avrei dovuto essere da voi raccomandato e perché in nulla sono stato da meno di quei sommi apostoli, benché io non sia nulla. Certo, i segni dell’apostolo sono stati manifestati in atto fra voi nella perseveranza a tutta prova, nei miracoli, nei prodigi e opere potenti. In che cosa siete stati ritenuti inferiori rispetto alle altre chiese, se non nel fatto che io stesso non vi sono stato di aggravio? Perdonatemi questo torto! Ecco, questa è la terza volta che sono pronto a venire da voi e non vi sarò di peso, poiché io non cerco i vostri beni, ma voi; perché non sono i figli che devono accumulare per i genitori, ma i genitori per i figli. E io molto volentieri spenderò e sarò speso per le anime vostre. Se io vi amo tanto, devo essere da voi amato di meno? Ma sia pure così, che io non vi sia stato di peso, ma, forse, da uomo astuto, vi ho presi con l’inganno. Mi sono io approfittato di voi per mezzo di qualcuno di quelli che io vi ho mandato? Ho pregato Tito di venire da voi e ho mandato quell’altro fratello con lui. Tito si è forse approfittato di voi? Non abbiamo noi camminato con il medesimo spirito e seguito le medesime orme? Da tempo voi v’immaginate che noi ci difendiamo davanti a voi. È davanti a Dio, in Cristo, che noi parliamo e tutto questo, carissimi, per la vostra edificazione. Poiché io temo, quando verrò, di trovarvi non quali vorrei e di essere io stesso da voi trovato quale non mi vorreste; temo che vi siano tra voi contese, gelosie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, tumulti; e che al mio arrivo il mio Dio abbia di nuovo a umiliarmi davanti a voi e io debba piangere per molti di quelli che hanno peccato precedentemente e non si sono ravveduti dell’impurità, della fornicazione e della dissolutezza a cui si erano dati. Questa è la terza volta che io vengo da voi. Ogni parola sarà confermata dalla bocca di due o tre testimoni. Ho avvertito, quand’ero presente fra voi la seconda volta, e avverto ora che sono assente, tanto quelli che hanno peccato in precedenza quanto tutti gli altri che, se tornerò da voi, non userò indulgenza; giacché cercate la prova che Cristo parla in me: lui che verso voi non è debole, ma potente in mezzo a voi. Poiché egli fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio, anche noi siamo deboli in lui, ma vivremo con lui per la potenza di Dio, nel nostro procedere verso di voi. Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete voi medesimi che Gesù Cristo è in voi? Sempre che non falliate la prova. Ma io spero che riconoscerete che noi non abbiamo fallito la prova. Ora noi preghiamo Dio che non facciate alcun male, non già per apparire noi approvati, ma perché voi facciate quello che è bene, anche se noi dovessimo apparire riprovati. Perché noi non possiamo nulla contro la verità, quel che possiamo è per la verità. Poiché noi ci rallegriamo quando siamo deboli e voi siete forti; e noi preghiamo per il vostro perfezionamento. Perciò vi scrivo queste cose mentre sono assente, affinché, quando sarò presente, io non abbia a procedere rigorosamente secondo l’autorità che il Signore mi ha dato per edificare e non per distruggere. Del resto, fratelli, rallegratevi, ricercate la perfezione, siate consolati, abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace; e il Dio d’amore e di pace sarà con voi. Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio. Tutti i santi vi salutano. La grazia del Signore Gesù Cristo e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi. Paolo, apostolo non dagli uomini né per mezzo d’alcun uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che l’ha risuscitato dai morti, e tutti i fratelli che sono con me, alle chiese della Galazia; grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo, che ha dato sé stesso per i nostri peccati per sottrarci al presente secolo malvagio, secondo la volontà del nostro Dio e Padre, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen. Io mi meraviglio che così presto voi passiate da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, a un altro vangelo. Il quale poi non è un altro vangelo, ma ci sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire l’Evangelo di Cristo. Ma, anche se noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema. Come l’abbiamo detto prima d’ora, torno a ripeterlo anche adesso: se alcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema. Vado forse cercando di conciliarmi il favore degli uomini oppure quello di Dio? O cerco io di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo. Vi dichiaro, fratelli, che l’Evangelo da me annunciato non è opera d’uomo, poiché io stesso non l’ho ricevuto né l’ho imparato da alcun uomo, ma l’ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo. Difatti voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel passato, quando ero nel giudaismo, come perseguitavo oltremisura la Chiesa di Dio e la devastavo, e mi segnalavo nel giudaismo più di molti della mia età fra i miei connazionali, essendo estremamente zelante delle tradizioni dei miei padri. Ma quando Dio, che mi aveva appartato fin dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché io lo annunciassi fra i Gentili, io non mi consigliai con nessun uomo e non salii a Gerusalemme da quelli che erano stati apostoli prima di me, ma subito me ne andai in Arabia, quindi tornai di nuovo a Damasco. Poi, dopo tre anni, salii a Gerusalemme per visitare Cefa e stetti da lui quindici giorni; non vidi alcun altro degli apostoli, ma solo Giacomo, il fratello del Signore. Ora, circa le cose che vi scrivo, ecco, vi dichiaro davanti a Dio che non mento. Poi venni nelle contrade della Siria e della Cilicia, ma ero sconosciuto, di persona, alle chiese della Giudea, che sono in Cristo; esse sentivano soltanto dire: “Colui che già ci perseguitava, ora predica la fede, che una volta cercava di distruggere”. E per causa mia glorificavano Dio. Poi, trascorsi quattordici anni, salii di nuovo a Gerusalemme con Barnaba, prendendo anche Tito con me. Vi salii in seguito a una rivelazione ed esposi loro l’Evangelo che io predico fra i Gentili, ma lo esposi privatamente ai più ragguardevoli, per il timore di correre o di aver corso invano. Ma neppure Tito, che era con me ed era greco, fu costretto a farsi circoncidere; questo a causa dei falsi fratelli, introdottisi di soppiatto, i quali si erano insinuati fra noi per spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, con il fine di ridurci in servitù. Alle imposizioni di costoro noi non cedemmo neppure per un momento, affinché la verità del Vangelo rimanesse ferma tra voi. Ma quelli che godono di particolare considerazione (quali già siano stati a me non importa; Dio non ha riguardi personali), quelli, dico, che godono di maggiore considerazione non m’imposero nulla di più, anzi, quando videro che a me era stata affidata l’evangelizzazione degli incirconcisi, come a Pietro quella dei circoncisi (poiché colui che aveva operato in Pietro per farlo apostolo della circoncisione aveva anche operato in me per farmi apostolo dei Gentili) e quando conobbero la grazia che mi era stata accordata, Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me e a Barnaba la mano in segno di comunione perché noi andassimo ai Gentili ed essi ai circoncisi; soltanto ci raccomandarono di ricordarci dei poveri, cosa che mi sono preoccupato di fare. Ma, quando Cefa fu venuto ad Antiochia, io gli resistei in faccia perché era da condannare. Difatti, prima che fossero venuti alcuni provenienti da Giacomo, egli mangiava con i Gentili, ma, quando quelli furono arrivati, egli iniziò a ritrarsi e a separarsi per timore di quelli della circoncisione. E gli altri Giudei si misero a simulare con lui a tal punto che perfino Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia. Ma, quando vidi che non procedevano con rettitudine rispetto alla verità del Vangelo, io dissi a Cefa alla presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i Gentili e non come i Giudei, come mai costringi i Gentili a vivere alla maniera dei Giudei?”. Noi che siamo Giudei di nascita e non peccatori fra i Gentili, avendo tuttavia riconosciuto che l’uomo non è giustificato per le opere della legge, ma lo è soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della legge, perché per le opere della legge nessuno sarà giustificato. Ma, se nel cercare di essere giustificati in Cristo, siamo anche noi trovati peccatori, Cristo è un ministro di peccato? Assolutamente no! Perché, se io riedifico le cose che ho distrutto, mi dimostro trasgressore. Poiché per mezzo della legge io sono morto alla legge per vivere a Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me e la vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato sé stesso per me. Io non annullo la grazia di Dio, perché, se la giustizia si ottiene per mezzo della legge, Cristo è dunque morto inutilmente. O Galati insensati, chi vi ha ammaliati, voi, davanti agli occhi dei quali Gesù Cristo è stato apertamente raffigurato crocifisso? Questo soltanto desidero sapere da voi: avete voi ricevuto lo Spirito per via delle opere della legge o per la predicazione della fede? Siete voi così insensati? Dopo aver cominciato con lo Spirito, volete ora raggiungere la perfezione con la carne? Avete voi sofferto tante cose invano? Se pure è proprio invano. Colui dunque che vi somministra lo Spirito e opera fra voi dei miracoli, lo fa per mezzo delle opere della legge o per la predicazione della fede? Così anche Abraamo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto di giustizia. Riconoscete anche voi che coloro i quali hanno la fede, sono figli d’Abraamo. La Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i Gentili per la fede, preannunciò ad Abraamo questa buona notizia: “ In te saranno benedette tutte le genti ”. In tal modo, quelli che hanno la fede sono benedetti con il credente Abraamo. Poiché tutti coloro che si basano sulle opere della legge sono sotto maledizione, perché è scritto: “ Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per metterle in pratica! ”. Che nessuno sia giustificato per la legge davanti a Dio, è evidente perché il giusto vivrà per fede. Ma la legge non si basa sulla fede, anzi essa dice: “ Chi avrà messo in pratica queste cose, vivrà per via di esse ”. Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi (poiché sta scritto: “ Maledetto chiunque è appeso al legno ”), affinché la benedizione d’Abraamo venisse sui Gentili in Cristo Gesù e ricevessimo, per mezzo della fede, lo Spirito promesso. Fratelli, io parlo secondo le usanze degli uomini: un patto che sia stato validamente concluso, sia pur soltanto un patto d’uomo, nessuno l’annulla o vi aggiunge alcun che. Le promesse furono fatte ad Abraamo e alla sua discendenza. Non dice: “E alle progenie”, come se si trattasse di molte, ma, come parlando di una sola, dice: “E alla tua progenie”, che è Cristo. Ecco quello che voglio dire: un patto già in precedenza stabilito da Dio, la legge, che venne quattrocentotrent’anni dopo, non lo invalida in modo da annullare la promessa. Perché, se l’eredità viene dalla legge, essa non viene più dalla promessa; ora Dio l’ha donata ad Abraamo per mezzo di una promessa. Che cos’è dunque la legge? Essa fu aggiunta a causa delle trasgressioni, finché venisse la progenie alla quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli, per mano di un mediatore. Ora, un mediatore non è mediatore di uno solo; Dio, invece, è uno solo. La legge è dunque contraria alle promesse di Dio? Assolutamente no! Perché, se fosse stata data una legge capace di produrre la vita, allora sì, la giustizia sarebbe venuta dalla legge, ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto peccato, affinché i beni promessi alla fede in Gesù Cristo fossero dati ai credenti. Ma prima che venisse la fede eravamo tenuti rinchiusi in custodia sotto la legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è stata il nostro pedagogo per condurci a Cristo, affinché fossimo giustificati per fede. Ma, ora che la fede è venuta, non siamo più sotto pedagogo, perché siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù. Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina, poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. E, se siete di Cristo, siete dunque discendenza d’Abraamo, eredi secondo la promessa. Ora io dico: finché l’erede è fanciullo non differisce in nulla dal servo, benché sia padrone di tutto, ma è sotto tutori e curatori fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo tenuti in servitù sotto gli elementi del mondo, ma, quando giunse la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato di donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione di figli. E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: “Abba, Padre”. Così tu non sei più servo, ma figlio, e, se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio. In quel tempo, è vero, non avendo conoscenza di Dio, voi avete servito a quelli che per natura non sono dèi, ma, ora che avete conosciuto Dio, o piuttosto che siete stati conosciuti da Dio, come mai vi rivolgete di nuovo ai deboli e poveri elementi, di cui volete essere di nuovo schiavi? Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni. Temo per voi, forse, che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo. Siate come sono io, fratelli, ve ne prego, perché anch’io sono come voi. Voi non mi faceste alcun torto, anzi sapete bene che fu a motivo di un’infermità della carne che vi evangelizzai la prima volta e quella mia infermità corporale, che era per voi una prova, voi non la disprezzaste né vi fece ripugnanza, al contrario, mi accoglieste come un angelo di Dio, come Cristo Gesù stesso. Dove sono dunque quelle espressioni di benedizione? Poiché io vi rendo questa testimonianza: che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi e me li avreste dati. Sono dunque divenuto vostro nemico dicendovi la verità? Costoro sono zelanti per voi, ma non per fini onesti, anzi vi vogliono separare da noi perché il vostro zelo si volga a loro. Ora è una buona cosa essere oggetto dello zelo altrui nel bene in ogni tempo e non soltanto quando sono presente fra voi. Figli miei, per i quali io sono di nuovo in doglie finché Cristo sia formato in voi, oh, come vorrei essere ora presente fra voi e cambiare tono perché sono perplesso a vostro riguardo! Ditemi: voi che volete essere sotto la legge, non ascoltate la legge? Poiché sta scritto che Abraamo ebbe due figli: uno dalla schiava e uno dalla donna libera; quello della schiava nacque secondo la carne, mentre quello della libera nacque in virtù della promessa. Queste cose hanno un senso allegorico, poiché queste donne sono due patti; uno, del monte Sinai, genera per la schiavitù, ed è Agar. Infatti Agar è il monte Sinai in Arabia e corrisponde alla Gerusalemme del tempo presente, la quale è schiava con i suoi figli. Ma la Gerusalemme di sopra è libera ed essa è nostra madre. Poiché è scritto: “Rallegrati, o sterile che non partorivi! Prorompi in grida, tu che non avevi sentito doglie di parto! Poiché i figli dell’abbandonata saranno più numerosi di quelli di colei che aveva il marito”. Ora, fratelli, voi siete figli della promessa come Isacco. Ma, come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava il nato secondo lo Spirito, così succede anche ora. Ma che dice la Scrittura? Caccia via la schiava e suo figlio; perché il figlio della schiava non sarà erede con il figlio della libera. Perciò, fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della libera. Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate di nuovo porre sotto il giogo della schiavitù! Ecco, io, Paolo, vi dichiaro che, se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla. Di nuovo dichiaro: ogni uomo che si fa circoncidere è obbligato a osservare tutta quanta la legge. Voi che volete essere giustificati per la legge avete rinunciato a Cristo; siete scaduti dalla grazia. Poiché, quanto a noi, è in spirito, per fede, che aspettiamo la speranza della giustizia. Infatti in Cristo Gesù né la circoncisione né l’incirconcisione hanno valore alcuno; quel che vale è la fede operante per mezzo dell’amore. Voi correvate bene; chi vi ha fermati perché non ubbidiate alla verità? Una tale persuasione non viene da colui che vi chiama. Un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta. Riguardo a voi, io ho questa fiducia nel Signore, che non la penserete diversamente, ma colui che vi turba ne porterà la pena, chiunque egli sia. Quanto a me, fratelli, se io predico ancora la circoncisione, perché sono ancora perseguitato? Lo scandalo della croce sarebbe allora tolto via. Si facciano pure evirare quelli che vi mettono sottosopra! Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne, ma, per mezzo dell’amore, servite gli uni agli altri, poiché tutta la legge è adempiuta in quest’unica parola: “ Ama il tuo prossimo come te stesso ”. Ma, se vi mordete e divorate gli uni gli altri, guardate di non essere consumati gli uni dagli altri. Io dico: Camminate per lo Spirito e non adempirete i desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra loro, in modo che non potete fare quello che vorreste. Ma se siete condotti dallo Spirito, voi non siete sotto la legge. Ora le opere della carne sono manifeste e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, gozzoviglie, e altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito, invece, è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo e contro queste cose non c’è legge. Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze. Se viviamo per lo Spirito, camminiamo altresì per lo Spirito. Non siamo vanagloriosi, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri. Fratelli, quand’anche uno sia sorpreso in colpa, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine. E bada bene a te stesso, che anche tu non sia tentato. Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo. Poiché, se qualcuno si stima essere qualcosa pur non essendo nulla, egli inganna sé stesso. Ciascuno esamini invece l’opera propria e allora avrà motivo di gloriarsi rispetto a sé stesso soltanto e non rispetto ad altri. Poiché ciascuno porterà il proprio carico. Chi viene istruito nella Parola faccia parte di tutti i suoi beni a chi lo istruisce. Non v’ingannate: non ci si può beffare di Dio, poiché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà. Perché chi semina per la propria carne, mieterà dalla carne corruzione, ma chi semina per lo Spirito, mieterà dallo Spirito vita eterna. E non ci scoraggiamo nel fare il bene, perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo. Così dunque, finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma specialmente ai fratelli in fede. Guardate con che grosso carattere vi ho scritto, di mia propria mano. Tutti quelli che vogliono fare bella figura nella carne vi costringono a farvi circoncidere e ciò al solo fine di non essere perseguitati per la croce di Cristo. Poiché neppure loro, che sono circoncisi, osservano la legge, ma vogliono che siate circoncisi per potersi vantare della vostra carne. Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti d’altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo. Poiché tanto la circoncisione quanto l’incirconcisione non sono nulla; quello che importa è l’essere una nuova creatura. E su quanti cammineranno secondo questa regola siano pace e misericordia, e così siano sull’Israele di Dio. Da ora in poi nessuno mi dia molestia, perché io porto nel mio corpo il marchio di Gesù. La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen. Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso e ai fedeli in Cristo Gesù. Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo. Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il quale ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo, in lui ci ha eletti, prima della creazione del mondo, perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui nell’amore, avendoci predestinati a essere adottati, per mezzo di Gesù Cristo, come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà: a lode della gloria della sua grazia, che egli ci ha concesso nell’Amato suo. Poiché in lui noi abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, della quale egli è stato abbondante verso di noi, dandoci ogni sorta di sapienza e di intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che egli aveva già prima in sé stesso formato, per tradurlo in atto nella pienezza dei tempi; esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nei cieli, quanto quelle che sono sulla terra. In lui, dico, nel quale siamo pure stati fatti eredi, a ciò predestinati secondo il proposito di colui che opera tutte le cose secondo il consiglio della propria volontà, affinché fossimo a lode della sua gloria, noi, che per i primi abbiamo sperato in Cristo. In lui voi pure, dopo aver udito la parola della verità, l’Evangelo della vostra salvezza, avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati, a lode della sua gloria. Perciò anch’io, avendo udito parlare della vostra fede nel Signore Gesù e del vostro amore per tutti i santi, non smetto mai di essere grato per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per la piena conoscenza di lui e illumini gli occhi del vostro cuore, affinché sappiate a quale speranza egli vi abbia chiamati, quale sia la ricchezza della gloria della sua eredità nei santi e quale sia verso noi che crediamo l’immensità della sua potenza. Questa potente efficacia della sua forza egli l’ha messa in opera in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla propria destra nei luoghi celesti, al di sopra di ogni principato e autorità, potenza, signoria e di ogni altro nome che si nomina non solo in questo mondo, ma anche in quello a venire. Ogni cosa egli ha posta sotto i suoi piedi e l’ha dato per capo supremo alla Chiesa, che è il corpo di lui, il compimento di colui che porta a compimento ogni cosa in tutti. E voi pure ha vivificato, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l’andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell’aria, di quello spirito che opera al presente negli uomini ribelli, nel numero dei quali anche noi vivevamo un tempo, immersi nelle nostre concupiscenze carnali, ubbidendo alle voglie della carne e dei pensieri, ed eravamo per natura figli d’ira, come gli altri. Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù, per mostrare nelle età a venire l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù. Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le buone opere, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo. Perciò ricordatevi che un tempo voi, Gentili di nascita, chiamati i non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi, perché tali sono nella carne per mano d’uomo, voi, dico, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, non avendo speranza ed essendo senza Dio nel mondo. Ma ora in Cristo Gesù voi, che già eravate lontani, siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo. Poiché è lui che è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nella sua carne la causa dell’inimicizia, la legge fatta di comandamenti in forma di precetti, per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace e per riconciliarli tutti e due in un corpo unico con Dio, mediante la croce, sulla quale fece morire la loro inimicizia. Con la sua venuta ha annunciato la buona notizia della pace a voi che eravate lontani e la pace a quelli che erano vicini. Poiché per mezzo di lui e gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito. Voi dunque non siete più né stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio, essendo stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. In lui voi pure entrate a far parte dell’edificio, che serve da dimora a Dio per lo Spirito. Per questa ragione io, Paolo, il carcerato di Cristo Gesù per voi, o Gentili… senza dubbio avete udito della dispensazione della grazia di Dio che mi è stata affidata per voi; come, per rivelazione, mi sia stato fatto conoscere il mistero, di cui più sopra vi ho scritto in poche parole; leggendole, potete capire la conoscenza che io ho del mistero di Cristo. Questo mistero, nelle altre epoche, non fu fatto conoscere ai figli degli uomini nel modo che ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui, vale a dire che i Gentili sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante l’Evangelo, del quale io sono stato fatto ministro, in virtù del dono della grazia di Dio largitami secondo la virtù della sua potenza. A me, dico, che sono da meno del minimo di tutti i santi, è stata data questa grazia di recare ai Gentili la buona notizia delle imperscrutabili ricchezze di Cristo e di manifestare a tutti quale sia il piano seguito da Dio riguardo al mistero che è stato fin dalle più remote età nascosto in Dio, il creatore di tutte le cose, affinché i principati e le potenze nei luoghi celesti conoscano oggi, per mezzo della Chiesa, la infinitamente varia sapienza di Dio, conforme al proponimento eterno che egli ha mandato a effetto nel nostro Signore, Cristo Gesù, nel quale abbiamo la libertà di accostarci a Dio, con piena fiducia, mediante la fede in lui. Vi chiedo, perciò, che non veniate meno nell’animo a causa delle tribolazioni che io patisco per voi, poiché esse sono la vostra gloria. … Per questa ragione io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, perché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, affinché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. Ora a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente al di là di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen. Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore, impegnandovi per conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace. Vi è un corpo unico e un unico Spirito, come pure siete stati chiamati a un’unica speranza, quella della vostra vocazione. Vi è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti, che è sopra tutti, fra tutti e in tutti. Ma a ciascuno di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono largito da Cristo. È per questo che è detto: “Salito in alto, egli ha portato con sé un gran numero di prigionieri e ha fatto dei doni agli uomini”. Ora, questo “è salito” che cosa vuol dire se non che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra? Colui che è disceso è lo stesso che è salito al di sopra di tutti i cieli, affinché riempisse ogni cosa. Ed è lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministerio, per l’edificazione del corpo di Cristo, finché tutti siamo arrivati all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini compiuti, all’altezza della statura perfetta di Cristo, affinché non siamo più dei bambini, sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina, per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore, ma che, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo. Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare sé stesso nell’amore. Questo dunque io dico e attesto nel Signore: non comportatevi più come si comportano i pagani nella vanità dei loro pensieri, con l’intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo dell’ignoranza che è in loro, a motivo dell’indurimento del loro cuore. Essi, avendo perduto ogni sentimento, si sono abbandonati alla dissolutezza fino a commettere ogni sorta d’impurità con insaziabile avidità. Ma, quanto a voi, non è così che avete imparato a conoscere Cristo. Se pure l’avete udito e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, avete imparato, per quanto concerne la vostra condotta di prima, a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici, a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità. Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri. Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira e non fate posto al diavolo. Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a chi ne ha bisogno. Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca, ma, se ne avete qualcuna buona che edifichi, secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta. Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione. Sia tolta via da voi ogni amarezza, ogni cruccio, ira, clamore e parola offensiva con ogni sorta di malignità. Siate invece gli uni verso gli altri benevoli e misericordiosi, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo. Siate dunque imitatori di Dio, come suoi cari figli; camminate nell’amore come anche Cristo ci ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio, quale profumo di odor soave. Ma come si addice a dei santi né fornicazione, né alcuna impurità, né avarizia sia neppure nominata fra voi; né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti, ma piuttosto rendimento di grazie. Poiché voi sapete molto bene che nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi seduca con vani ragionamenti, poiché è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli. Non siate dunque loro compagni, perché già eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce, poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità, esaminando che cosa sia accetto al Signore. Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, anzi piuttosto denunciatele, poiché è vergognoso perfino parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono riprese dalla luce, diventano manifeste, poiché tutto ciò che è manifesto è luce. Perciò dice: “Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo t’inonderà di luce”. Guardate dunque con diligenza come vi comportate, non da stolti ma da saggi, riscattando il tempo, perché i giorni sono malvagi. Perciò non siate disavveduti, ma intendete bene quale sia la volontà del Signore. Non v’inebriate di vino, porta alla dissolutezza, ma siate ripieni dello Spirito, parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore, ringraziando sempre di ogni cosa Dio Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo e sottoponendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Mogli, siate soggette ai vostri mariti, come al Signore, poiché il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, egli, che è il Salvatore del corpo. Ma, come la Chiesa è soggetta a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa. Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei, per santificarla, dopo averla purificata lavandola con l’acqua della Parola, per farla comparire davanti a sé gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come i propri corpi. Chi ama sua moglie ama sé stesso. Poiché nessuno odiò mai la sua carne, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la Chiesa, poiché noi siamo membra del suo corpo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e s’unirà a sua moglie, e i due diverranno una stessa carne. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla Chiesa. Ma d’altronde, anche fra voi, ciascuno individualmente così ami sua moglie, come ama sé stesso, e altresì la moglie rispetti il marito. Figliuoli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori, poiché ciò è giusto. “Onora tuo padre e tua madre” (questo è il primo comandamento con promessa) “affinché ti sia bene e tu abbia lunga vita sulla terra”. E voi, padri, non provocate a ira i vostri figli, ma allevateli in disciplina e in ammonizione del Signore. Servi, ubbidite ai vostri padroni secondo la carne, con timore e tremore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per essere visti, ma come servi di Cristo. Fate la volontà di Dio di buon animo, servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini, sapendo che ognuno, quando abbia fatto qualche bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore, servo o libero che sia. Voi, padroni, fate altrettanto a loro astenendovi dalle minacce, sapendo che il Signore vostro e loro è nel cielo e che presso di lui non c’è favoritismo. Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo, poiché il nostro combattimento non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e, dopo aver compiuto tutto il vostro dovere, restare in piedi. State dunque saldi, avendo preso la verità a cintura dei fianchi, essendovi rivestiti della corazza della giustizia e calzati i piedi della prontezza che dà l’Evangelo della pace; prendendo oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio, pregando in ogni tempo, per lo Spirito, con ogni sorta di preghiere e suppliche; a questo vegliando con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi e anche per me, affinché mi sia dato di parlare apertamente per far conoscere con franchezza il mistero dell’Evangelo, per il quale io sono ambasciatore in catene, e affinché l’annunci francamente, come conviene che ne parli. Ora, affinché anche voi sappiate come sto e quello che faccio, Tichico, il caro fratello e fedele ministro del Signore, vi farà sapere tutto. Ve l’ho mandato apposta, affinché abbiate conoscenza del nostro stato ed egli consoli i vostri cuori. Pace ai fratelli e amore con fede, da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. La grazia sia con tutti quelli che amano il nostro Signore Gesù Cristo con amore incorruttibile. Paolo e Timoteo, servitori di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono in Filippi, con i vescovi e con i diaconi, grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo. Io rendo grazie al mio Dio di tutto il ricordo che ho di voi e sempre, in ogni mia preghiera, prego per voi tutti con gioia a motivo della vostra partecipazione all’Evangelo, dal primo giorno fino ad ora, avendo fiducia in questo: che colui che ha cominciato un’opera buona in voi, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Ed è ben giusto che io senta così di tutti voi, perché io vi ho nel cuore, voi tutti che, tanto nelle mie catene quanto nella difesa e nella conferma dell’Evangelo, siete partecipi con me della grazia. Poiché Dio mi è testimone come io vi ami tutti con affetto profondo in Cristo Gesù. E la mia preghiera è che il vostro amore sempre più abbondi in conoscenza e in ogni discernimento, perché possiate distinguere le cose eccellenti, affinché siate sinceri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ripieni di frutti di giustizia che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio. Ora, fratelli, voglio che sappiate che quanto mi è accaduto ha piuttosto contribuito al progresso dell’Evangelo, tanto che a tutta la guardia pretoriana e a tutti gli altri è divenuto noto che io sono in catene per Cristo e la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dai miei legami, hanno avuto più ardire nell’annunciare senza paura la Parola di Dio. Vero è che alcuni predicano Cristo anche per invidia e per rivalità, ma ce ne sono anche altri che lo predicano di buon animo. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono incaricato della difesa del Vangelo, ma quelli annunciano Cristo con spirito di parte, non sinceramente, credendo di suscitarmi afflizione nelle mie catene. Che importa? Comunque sia, o per pretesto o in sincerità, Cristo è annunciato; di questo mi rallegro e mi rallegrerò ancora, perché so che ciò tornerà a mia salvezza, mediante le vostre suppliche e l’assistenza dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia viva attesa e la mia speranza di non essere svergognato di nulla, ma che con ogni franchezza ora come sempre Cristo sarà magnificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte. Poiché per me il vivere è Cristo e il morire guadagno. Ma, se il continuare a vivere nella carne reca frutto all’opera mia, non saprei cosa preferire. Io sono stretto dai due lati: ho desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è cosa di gran lunga migliore, ma il rimanere nella carne è più necessario per voi. Ho questa ferma fiducia: io rimarrò e dimorerò con tutti voi per il vostro progresso e per la gioia della vostra fede, affinché il vostro gloriarvi abbondi in Cristo Gesù a motivo di me, per la mia presenza di nuovo in mezzo a voi. Soltanto, conducetevi in modo degno dell’Evangelo di Cristo, affinché, o che io venga a vedervi o che sia assente, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del Vangelo e non essendo per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione, ma per voi di salvezza e ciò da parte di Dio. Poiché a voi è stato dato, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, sostenendo voi la stessa lotta che mi avete visto sostenere e nella quale ora udite che io mi trovo. Se dunque vi è qualche consolazione in Cristo, se vi è qualche conforto d’amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza d’affetto e qualche compassione, rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo sentimento, un medesimo amore, essendo di un animo solo, di un unico sentire, non facendo nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso, avendo ciascuno di voi riguardo non alle cose proprie, ma anche a quelle degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi, ma annichilì sé stesso, prendendo forma di servo e divenendo simile agli uomini; essendo trovato nell’esteriore come un uomo, abbassò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre. Così, miei cari, come sempre siete stati ubbidienti, non soltanto come se io fossi presente, ma molto più adesso che sono assente, compite la vostra salvezza con timore e tremore, poiché Dio è quel che opera in voi il volere e l’operare, per la sua benevolenza. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, affinché siate irreprensibili e schietti, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale voi risplendete come luci nel mondo, tenendo alta la Parola della vita, in modo che nel giorno di Cristo io abbia da vantarmi di non aver corso invano né invano faticato. E, se anche debba essere offerto come libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, io ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me. Ora spero nel Signore Gesù di mandarvi presto Timoteo, affinché io pure sia incoraggiato, ricevendo notizie dello stato vostro. Perché non ho alcuno d’animo pari al suo, che abbia sinceramente a cuore quel che vi concerne. Poiché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Cristo Gesù. Ma voi lo conoscete per prova, poiché nella maniera che un figlio serve il padre egli ha servito con me la causa del Vangelo. Spero dunque di mandarvelo, appena avrò visto come andranno le mie cose, ma ho fiducia nel Signore che anch’io verrò presto. Però ho stimato necessario mandarvi Epafròdito, mio fratello, mio collaboratore e compagno di lotta, inviatomi da voi per sovvenire alle mie necessità, perché aveva un gran desiderio di vedervi tutti ed era angosciato perché avevate udito che era stato infermo. Difatti è stato ammalato e ben vicino alla morte, ma Dio ha avuto pietà di lui e non soltanto di lui, ma anche di me, perché io non avessi tristezza su tristezza. Perciò ve l’ho mandato con tanta maggior premura, affinché, vedendolo di nuovo, vi rallegriate e anch’io sia meno rattristato. Accoglietelo dunque nel Signore con ogni gioia, e abbiate stima di uomini simili, perché per l’opera di Cristo egli è stato vicino alla morte, avendo rischiato la propria vita per supplire ai servizi che non potevate rendermi voi stessi. Del resto, fratelli miei, rallegratevi nel Signore. A me certo non è grave scrivervi le medesime cose, per voi è garanzia di sicurezza. Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli della mutilazione, poiché i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci vantiamo in Cristo Gesù e non confidiamo nella carne, benché anche nella carne io avessi di che confidarmi. Se qualcun altro pensa di avere di che confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più; io, circonciso l’ottavo giorno, della razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo d’Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, io l’ho reputato danno a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, io reputo anche ogni cosa essere un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale rinunciai a tutte queste cose e le reputo tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui avendo non una giustizia mia, derivante dalla legge, ma quella che si ha mediante la fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione e la comunione delle sue sofferenze, essendo reso conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti. Non che io abbia già ottenuto il premio o che sia già arrivato alla perfezione, ma proseguo la corsa se mai io possa afferrare il premio, poiché anch’io sono stato afferrato da Cristo Gesù. Fratelli, io non reputo d’avere ancora ottenuto il premio, ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, proseguo la corsa verso la mèta per ottenere il premio della suprema vocazione di Dio in Cristo Gesù. Sia questo dunque il sentimento di quanti siamo maturi e, se in qualche cosa voi sentite altrimenti, Dio vi rivelerà anche quella. Soltanto, dal punto al quale siamo arrivati, continuiamo a camminare per la stessa via. Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a quelli che camminano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti camminano, ve l’ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo, da nemici della croce di Cristo, la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l’animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa. Perciò, fratelli miei cari e desideratissimi, allegrezza e corona mia, state in questa maniera fermi nel Signore, o diletti. Esorto Evodia ed esorto Sintìche ad avere un medesimo sentimento nel Signore. Sì, io prego te pure, mio vero collega, vieni in aiuto a queste donne, le quali hanno lottato con me per l’Evangelo, insieme a Clemente e agli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita. Rallegratevi sempre nel Signore. Da capo dico: Rallegratevi. La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non siate in ansia per cosa alcuna, ma in ogni cosa siano le vostre richieste rese note a Dio in preghiera e suppliche con ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode siano oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparate, ricevute, udite da me e vedute in me, fatele e il Dio della pace sarà con voi. Mi sono grandemente rallegrato nel Signore perché finalmente avete fatto rinverdire le vostre cure per me; ci pensavate sì, ma vi mancava l’opportunità. Non lo dico perché io mi trovi in bisogno, poiché ho imparato a essere contento nello stato in cui mi trovo. Io so essere abbassato e so anche abbondare; in tutto e per tutto ho imparato a essere saziato e ad avere fame; a essere nell’abbondanza e a essere nella penuria. Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica. Nondimeno avete fatto bene a prendere parte alla mia afflizione. Anche voi sapete, o Filippesi, che quando cominciai a predicare l’Evangelo, dopo aver lasciato la Macedonia, nessuna chiesa mi fece parte di nulla per quanto concerne il dare e l’avere, se non voi soli, poiché anche a Tessalonica mi avete mandato una prima e poi una seconda volta di che sovvenire al mio bisogno. Non già che io ricerchi i doni; ricerco piuttosto il frutto che abbondi a conto vostro. Ora ho ricevuto ogni cosa e abbondo. Sono pienamente provvisto, avendo ricevuto da Epafròdito quel che mi avete mandato e che è un profumo d’odor soave, un sacrificio accettevole, gradito a Dio. Il mio Dio soddisferà abbondantemente ogni vostra necessità, secondo le sue ricchezze e con gloria, in Cristo Gesù. Ora, al Dio e Padre nostro sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen. Salutate ognuno dei santi in Cristo Gesù. I fratelli che sono con me vi salutano. Tutti i santi vi salutano, specialmente quelli della casa di Cesare. La grazia del Signore Gesù Cristo sia con lo spirito vostro. Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timoteo, ai santi e fedeli fratelli in Cristo che sono in Colosse, grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre. Noi rendiamo grazie a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, nelle continue preghiere che facciamo per voi, avendo udito parlare della vostra fede in Cristo Gesù e dell’amore che avete per tutti i santi, a motivo della speranza che è riposta nei cieli per voi, speranza che avete da tempo conosciuta mediante la predicazione della verità del Vangelo che è arrivato fino a voi, come sta portando frutto e crescendo in tutto il mondo e come avviene anche tra di voi dal giorno che udiste e conosceste la grazia di Dio in verità, secondo quel che avete imparato da Epafra, il nostro caro compagno di servizio, che è fedele ministro di Cristo per voi, e che ci ha anche fatto conoscere il vostro amore nello Spirito. Perciò anche noi, dal giorno in cui abbiamo saputo questo, non cessiamo di pregare per voi e di domandare che siate ripieni della profonda conoscenza della volontà di Dio in ogni sapienza e intelligenza spirituale, affinché camminiate in modo degno del Signore per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio, essendo fortificati in ogni forza secondo la potenza della sua gloria, affinché possiate essere in tutto pazienti e perseveranti; e rendendo grazie con gioia al Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Egli ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio, nel quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati, il quale è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito di ogni creatura, poiché in lui sono state create tutte le cose, che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui; egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli è il capo del corpo, cioè della Chiesa, egli che è il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato. Poiché in lui si compiacque il Padre di far abitare tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli. E voi, che già eravate estranei e nemici nella vostra mente e nelle vostre opere malvagie, ora Dio vi ha riconciliati nel corpo della sua carne, per mezzo della sua morte, per farvi comparire davanti a sé santi, immacolati e irreprensibili, se pur perseverate nella fede, fondati e saldi, non essendo smossi dalla speranza dell’Evangelo che avete udito, che fu predicato in tutta la creazione sotto il cielo e del quale io, Paolo, sono stato fatto ministro. Ora io mi rallegro nelle mie sofferenze per voi e quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a favore del corpo di lui che è la Chiesa, della quale io sono stato fatto ministro, secondo l’ufficio datomi da Dio per voi di annunciare nella sua totalità la parola di Dio, cioè il mistero che è stato nascosto per tutti i secoli e da tutte le generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi, ai quali Dio ha voluto far conoscere quale sia la ricchezza della gloria di questo mistero fra i Gentili, che è Cristo in voi, speranza della gloria, il quale noi proclamiamo, ammonendo ciascun uomo e ciascun uomo istruendo in ogni sapienza, affinché presentiamo ogni uomo, perfetto in Cristo. A questo fine io mi affatico, combattendo con la sua energia, che opera in me con potenza. Poiché desidero che sappiate quale arduo combattimento io sostengo per voi, per quelli di Laodicea e per tutti quelli che non hanno mai visto la mia faccia, affinché i loro cuori siano incoraggiati essendo stretti insieme dall’amore, per ottenere tutte le ricchezze della completa intelligenza e per giungere alla piena conoscenza del mistero di Dio, cioè di Cristo, nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti. Dico questo affinché nessuno v’inganni con parole seducenti, perché, sebbene sia assente di persona, sono con voi spiritualmente e mi rallegro vedendo il vostro ordine e la fermezza della vostra fede in Cristo. Come dunque avete ricevuto Cristo Gesù il Signore, così camminate uniti a lui, essendo radicati ed edificati in lui e confermati nella fede, come vi è stato insegnato, e abbondando in gratitudine. Guardate che non vi sia qualcuno che faccia di voi sua preda con la filosofia e con la vanità ingannatrice secondo la tradizione degli uomini, gli elementi del mondo e non secondo Cristo, poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità e in lui voi avete tutto pienamente. Egli è il capo di ogni principato e di ogni potenza; in lui voi siete anche stati circoncisi di una circoncisione non fatta da mano d’uomo, ma della circoncisione di Cristo, che consiste nello spogliamento del corpo della carne, essendo stati con lui sepolti nel battesimo, nel quale siete anche stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, avendoci perdonato tutti i peccati, avendo cancellato l’atto accusatore scritto in precetti contro di noi e che ci era ostile; quell’atto ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce, e, avendo spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce. Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, noviluni o a sabati, che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire, ma il corpo è di Cristo. Nessuno vi privi del vostro premio a suo piacimento per via d’umiltà e di culto degli angeli, affidandosi alle proprie visioni, gonfio di vanità dalla sua mente carnale, e non attenendosi al Capo, dal quale tutto il corpo, ben fornito e congiunto insieme per via delle giunture e articolazioni, progredisce nella crescita voluta da Dio. Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste nel mondo, vi lasciate imporre dei precetti, quali: “Non toccare, non assaggiare, non maneggiare” (tutte cose destinate a sparire con l’uso), secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini? Quelle cose hanno, è vero, una parvenza di sapienza per quel tanto che è in esse di culto volontario, di umiltà e di austerità nel trattare il corpo, ma non hanno alcun valore e servono soltanto a soddisfare la carne. Se dunque voi siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di sopra dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Abbiate l’animo alle cose di sopra, non a quelle che sono sulla terra, poiché voi moriste e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria. Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla terra: fornicazione, impurità, lussuria, desideri cattivi e cupidigia, la quale è idolatria. Per queste cose viene l’ira di Dio sui figli della disubbidienza e in quelle camminaste un tempo anche voi, quando vivevate in esse. Ma ora deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, malignità, maldicenza e non vi escano di bocca parole disoneste. Non mentite gli uni agli altri, perché vi siete spogliati dell’uomo vecchio con i suoi atti e vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a immagine di colui che l’ha creato. Qui non c’è Greco e Giudeo, circoncisione e incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti. Vestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di tenera compassione, di benignità, di umiltà, di dolcezza, di pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonandovi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. Sopra tutte queste cose rivestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori e siate riconoscenti. La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali. Qualunque cosa facciate, in parola o in opera, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui. Mogli, siate soggette ai vostri mariti, come si conviene nel Signore. Mariti, amate le vostre mogli e non v’inasprite contro di loro. Figli, ubbidite ai vostri genitori in ogni cosa, poiché questo è gradito al Signore. Padri, non irritate i vostri figli, affinché non si scoraggino. Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne, non servendoli soltanto quando vi vedono come per piacere agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore. Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete per ricompensa l’eredità. Servite Cristo, il Signore! Poiché chi fa torto riceverà la retribuzione del torto che avrà fatto e non ci sono riguardi personali. Padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un Padrone nel cielo. Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie, pregando allo stesso tempo anche per noi, affinché Dio ci apra una porta per la parola perché possiamo annunciare il mistero di Cristo, a motivo del quale io mi trovo anche prigioniero e che io lo faccia conoscere, parlandone come devo. Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, approfittando delle opportunità. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno. Tutte le cose mie ve le farà sapere Tichico, il caro fratello, fedele ministro e mio compagno di servizio nel Signore. Ve l’ho mandato appunto per questo: affinché sappiate il nostro stato ed egli consoli i vostri cuori; con lui ho mandato il fedele e caro fratello Onesimo, che è dei vostri. Essi vi faranno sapere tutte le cose di qui. Vi salutano Aristarco, il mio compagno di prigione, Marco, il cugino di Barnaba (rispetto al quale avete ricevuto degli ordini: se viene da voi, accoglietelo), e Gesù, detto Giusto, i quali sono della circoncisione; questi sono i miei soli collaboratori per il regno di Dio che mi siano stati di conforto. Epafra, che è dei vostri e servo di Cristo Gesù, vi saluta. Egli lotta sempre per voi nelle sue preghiere affinché, perfetti e pienamente saldi, stiate fermi in tutta la volontà di Dio. Poiché io gli rendo questa testimonianza che egli si dà molta pena per voi, per quelli di Laodicea e per quelli di Ierapoli. Luca, il medico diletto, e Dema vi salutano. Salutate i fratelli che sono in Laodicea, Ninfa e la chiesa che è in casa sua. Quando questa lettera sarà stata letta fra voi, fate che sia letta anche nella chiesa dei Laodicesi e che anche voi leggiate quella che vi sarà mandata da Laodicea. Dite ad Archippo: “Bada al ministerio che hai ricevuto nel Signore, per adempierlo”. Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi. Paolo, Silvano e Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo, grazia a voi e pace. Noi rendiamo sempre grazie a Dio per voi tutti, facendo menzione di voi nelle nostre preghiere, ricordandoci continuamente davanti al nostro Dio e Padre, dell’opera della vostra fede, delle fatiche del vostro amore e della costanza della vostra speranza nel nostro Signore Gesù Cristo e conoscendo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione. Poiché il nostro Evangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con gran pienezza di convinzione; infatti voi sapete che tipo di uomini abbiamo dato prova di essere fra di voi, per il vostro bene. E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo ricevuto la Parola in mezzo a molte afflizioni, con la gioia che dà lo Spirito Santo, tanto da diventare un esempio per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia. Poiché da voi la parola del Signore ha echeggiato non soltanto nella Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della fede che avete in Dio si è sparsa in ogni luogo, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne, perché essi stessi raccontano di noi quale sia stata la nostra venuta tra voi, e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio per servire il Dio vivente e vero, e per aspettare dai cieli il Figlio suo, che egli ha risuscitato dai morti, cioè Gesù, che ci libera dall’ira a venire. Voi stessi, fratelli, sapete che la nostra venuta tra voi non è stata vana, anzi, sebbene avessimo prima patito e fossimo stati oltraggiati, come sapete, a Filippi, abbiamo trovato il coraggio nel nostro Dio per annunciarvi l’Evangelo di Dio in mezzo a molte lotte. Poiché la nostra esortazione non proviene da finzione, né da motivi impuri, né è fatta con frode, ma, come siamo stati approvati da Dio che ci ha stimati tali da poterci affidare l’Evangelo, parliamo in modo da piacere non agli uomini, ma a Dio che prova i nostri cuori. Difatti, non abbiamo mai usato un parlare lusinghiero, come ben sapete, né pretesti ispirati da avidità; Dio ne è testimone. E non abbiamo cercato gloria dagli uomini, né da voi, né da altri, sebbene, come apostoli di Cristo, avessimo potuto far valere la nostra autorità, invece siamo stati mansueti in mezzo a voi, come una nutrice che cura teneramente i suoi bambini. Così, nel nostro grande affetto per voi, eravamo disposti a darvi non soltanto l’Evangelo di Dio, ma anche la nostra stessa vita, tanto ci eravate diventati cari. Perché, fratelli, voi ricordate la nostra fatica e la nostra pena, infatti è lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, che vi abbiamo predicato l’Evangelo di Dio. Voi siete testimoni, e Dio lo è pure, del modo santo, giusto e irreprensibile con cui ci siamo comportati verso voi che credete e sapete pure che, come fa un padre con i suoi figli, noi abbiamo esortato, confortato e scongiurato ciascuno di voi a comportarsi in modo degno di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria. E per questa ragione anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio: perché quando riceveste da noi la parola della predicazione, cioè la parola di Dio, voi l’accettaste non come parola d’uomini, ma quale essa è veramente, come parola di Dio, la quale opera efficacemente in voi che credete. Infatti, fratelli, voi siete diventati imitatori delle chiese di Dio che sono in Cristo Gesù nella Giudea, perché anche voi avete sofferto dai vostri connazionali le stesse cose che quelle chiese hanno sofferto dai Giudei, i quali hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, hanno cacciato noi, non piacciono a Dio e sono avversi a tutti gli uomini, impedendoci di parlare ai Gentili perché siano salvati. Essi vengono così colmando senza posa la misura dei loro peccati, ma ormai li ha raggiunti l’ira finale. Quanto a noi, fratelli, privati di voi per breve tempo, di persona, ma non di cuore, abbiamo tanto maggiormente cercato, con gran desiderio, di vedere la vostra faccia. Perciò abbiamo voluto, almeno io, Paolo, non una ma due volte, venire da voi, ma Satana ce lo ha impedito. Qual è infatti la nostra speranza o la nostra gioia o la corona di cui ci gloriamo? Non siete forse voi, davanti al nostro Signore Gesù quand’egli verrà? Sì, certo, il nostro vanto e la nostra gioia siete voi. Perciò, non potendo più reggere, stimammo bene di essere lasciati soli ad Atene e mandammo Timoteo, nostro fratello e ministro di Dio nel Vangelo di Cristo, per confermarvi e confortarvi nella vostra fede, affinché nessuno fosse scosso in mezzo a queste afflizioni, poiché voi stessi sapete che a questo siamo destinati. Perché, anche quando eravamo fra voi, vi preannunciavamo che avremmo dovuto subire tribolazioni, come anche è avvenuto e voi lo sapete. Perciò anch’io, non potendo più resistere, mandai a informarmi della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse tentati e la nostra fatica fosse risultata vana. Ma ora Timoteo è ritornato, ci ha recato buone notizie della vostra fede e del vostro amore e ci ha detto che conservate sempre un buon ricordo di noi desiderando di vederci, come anche noi desideriamo vedervi; per questa ragione, fratelli, siamo stati consolati a vostro riguardo, in mezzo a tutte le nostre angustie e afflizioni, mediante la vostra fede, perché ora viviamo davvero, se voi state saldi nel Signore. Come potremmo, infatti, esprimere a Dio la nostra gratitudine a vostro riguardo, per la gioia che ci date davanti al nostro Dio, mentre notte e giorno preghiamo intensamente di poter vedere la vostra faccia e supplire alle lacune della vostra fede? Ora Dio stesso, nostro Padre, e il nostro Signore Gesù ci appianino la via per venire da voi; quanto a voi, il Signore vi faccia crescere e abbondare in amore gli uni verso gli altri e verso tutti, come anche noi abbondiamo verso di voi, per confermare i vostri cuori, affinché siano irreprensibili in santità davanti a Dio nostro Padre, quando il nostro Signore Gesù verrà con tutti i suoi santi. Del resto, fratelli, avete imparato da noi il modo in cui dovete comportarvi e piacere a Dio ed è così che già fate. Vi preghiamo e vi esortiamo nel Signore Gesù a progredire sempre di più. Infatti sapete quali istruzioni vi abbiamo date nel nome del Signore Gesù. Perché questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate, che vi asteniate dalla fornicazione, che ciascuno di voi sappia possedere il proprio corpo in santità e onore, non dandosi a passioni disordinate come fanno i pagani che non conoscono Dio; che nessuno opprima il fratello né lo sfrutti negli affari, perché il Signore è un vendicatore in tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e dichiarato prima. Infatti Dio ci ha chiamati non a impurità, ma a santificazione. Chi dunque disprezza questi precetti, non disprezza un uomo, ma quel Dio che vi fa anche dono del suo Santo Spirito. Quanto all’amore fraterno non avete bisogno che io ve ne scriva, perché voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri; e infatti lo fate verso tutti i fratelli che sono nell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, ad abbondare in questo sempre di più; sforzatevi di vivere in pace, di fare i fatti vostri e di lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato di fare, affinché vi comportiate onestamente verso quelli di fuori e non abbiate bisogno di nessuno. Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Poiché, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, così pure, quelli che si sono addormentati, Dio, per mezzo di Gesù, li ricondurrà con lui. Poiché questo vi diciamo per parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati, perché il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insieme con loro rapiti sulle nuvole a incontrare il Signore nell’aria e così saremo sempre con il Signore. Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole. Ora quanto ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva, perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte. Quando diranno: “Pace e sicurezza”, allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta, e non scamperanno affatto. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro, poiché voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre, non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri. Poiché quelli che dormono, dormono di notte e quelli che si inebriano, si inebriano di notte, ma noi, che siamo del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e dell’amore, e preso per elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati a ira, ma a ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, il quale è morto per noi affinché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò, consolatevi gli uni gli altri ed edificatevi gli uni gli altri, come d’altronde già fate. Fratelli, vi preghiamo di avere in considerazione quelli che faticano fra voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono, di tenerli in grande stima e amarli a motivo dell’opera loro. Vivete in pace fra voi. Vi esortiamo, fratelli, ad ammonire i disordinati, a confortare gli scoraggiati, a sostenere i deboli, a essere pazienti verso tutti. Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male, anzi procacciate sempre il bene gli uni degli altri, e quello di tutti. Siate sempre allegri, non cessate mai di pregare e in ogni cosa rendete grazie, poiché tale è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito e non disprezzate le profezie, ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene; astenetevi da ogni specie di male. Ora il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente e l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile, per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Fedele è colui che vi chiama ed egli farà anche questo. Fratelli, pregate per noi. Salutate tutti i fratelli con un santo bacio. Io vi scongiuro per il Signore di far sì che questa lettera sia letta a tutti i fratelli. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi. Paolo, Silvano e Timoteo, alla chiesa dei Tessalonicesi, che è in Dio, nostro Padre, e nel Signore Gesù Cristo, grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. Noi siamo in obbligo di rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli, com’è ben giusto che facciamo, perché la vostra fede cresce sommamente e l’amore di ciascuno di voi tutti per gli altri abbonda sempre di più, in modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio, a motivo della vostra costanza e fede in tutte le vostre persecuzioni e nelle afflizioni che voi sostenete. Questa è una prova del giusto giudizio di Dio, affinché siate riconosciuti degni del regno di Dio, per il quale anche patite. Poiché è cosa giusta presso Dio rendere a quelli che vi affliggono, afflizione e a voi che siete afflitti, riposo con noi, quando il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante, per fare vendetta di coloro che non conoscono Dio e di coloro che non ubbidiscono al Vangelo del nostro Signore Gesù. I quali saranno puniti di eterna distruzione, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando verrà per essere in quel giorno glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che hanno creduto, e in voi pure, poiché avete creduto alla nostra testimonianza in mezzo a voi. Ed è a quel fine che preghiamo continuamente anche per voi, affinché il nostro Dio vi ritenga degni della vocazione e porti a compimento, con potenza, ogni vostro buon desiderio e l’opera della vostra fede, in modo che il nome del nostro Signore Gesù sia glorificato in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo. Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente né turbare sia da ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche lettera data come nostra, quasi che il giorno del Signore fosse presente. Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera, poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto, fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e dicendo che egli è Dio. Non vi ricordate che quand’ero ancora presso di voi io vi dicevo queste cose? E ora voi sapete ciò che lo trattiene, affinché sia manifestato a suo tempo. Poiché il mistero dell’empietà è già all’opera, soltanto c’è chi ora lo trattiene finché sia tolto di mezzo. Allora sarà manifestato l’empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca e annienterà con l’apparizione della sua venuta. La venuta di quell’empio avrà luogo, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni, di prodigi bugiardi, con ogni sorta di inganno e di ingiustizia a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati. Perciò Dio manda loro efficacia d’errore perché credano alla menzogna, affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma si sono compiaciuti nell’ingiustizia, siano giudicati. Ma noi siamo in obbligo di rendere continuamente grazie di voi a Dio, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità. A questo egli vi ha pure chiamati per mezzo del nostro Evangelo, affinché otteniate la gloria del Signore nostro Gesù Cristo. Così dunque, fratelli, state saldi e ritenete gli insegnamenti che vi abbiamo trasmessi sia con la parola, sia con una nostra lettera. Ora lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, nostro Padre, che ci ha amati e ci ha dato per la sua grazia una consolazione eterna e una buona speranza, consoli i vostri cuori e vi confermi in ogni opera buona e in ogni buona parola. Per il resto, fratelli, pregate per noi perché la parola del Signore si spanda e sia glorificata com’è tra voi, e perché noi siamo liberati dagli uomini molesti e malvagi, poiché non tutti hanno la fede. Ma il Signore è fedele, egli vi renderà saldi e vi guarderà dal maligno. Noi abbiamo, a vostro riguardo, questa fiducia nel Signore, che fate e farete le cose che vi ordiniamo. Il Signore diriga i vostri cuori all’amore di Dio e alla paziente attesa di Cristo. Fratelli, vi ordiniamo nel nome del nostro Signore Gesù Cristo che vi ritiriate da ogni fratello che si comporta disordinatamente e non secondo l’insegnamento che avete ricevuto da noi. Poiché voi stessi sapete com’è che ci dovete imitare: perché noi non ci siamo condotti disordinatamente fra voi né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di nessuno, ma con fatica e con pena abbiamo lavorato notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non perché non avessimo il diritto di farlo, ma abbiamo voluto darvi noi stessi a esempio, perché ci imitaste. Infatti, quando eravamo con voi, vi comandavamo questo: che, se alcuno non vuol lavorare, neppure deve mangiare. Perché sentiamo che alcuni si conducono fra voi disordinatamente, non lavorando affatto, ma affaccendandosi in cose vane. A quei tali noi ordiniamo e li esortiamo, nel Signore Gesù Cristo, che mangino il proprio pane, lavorando quietamente. Quanto a voi, fratelli, non vi stancate di fare il bene. E se qualcuno non ubbidisce a ciò che diciamo in questa lettera, notatelo e non abbiate relazione con lui, affinché si vergogni. Però non lo considerate un nemico, ma ammonitelo come un fratello. Il Signore della pace vi dia egli stesso continuamente la pace in ogni maniera. Il Signore sia con tutti voi. Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo; questo serve di segno in ogni mia lettera; scrivo così. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi. Paolo, apostolo di Cristo Gesù per comandamento di Dio nostro Salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, a Timoteo, mio vero figlio in fede, grazia, misericordia, pace, da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore. Ti ripeto l’esortazione che ti feci quando andavo in Macedonia, di rimanere a Efeso per ordinare ad alcuni che non insegnino dottrina diversa né si occupino di favole e di genealogie senza fine, le quali producono discussioni, anziché promuovere la dispensazione di Dio, che è fondata sulla fede. Ma il fine di quest’incarico è l’amore che procede da un cuore puro, da una buona coscienza e da fede non finta, dalle quali cose alcuni, avendo deviato, si sono rivolti a un vano parlare, volendo essere dottori della legge; in realtà non sanno né quello che dicono né quello che affermano con certezza. Noi sappiamo che la legge è buona, se uno la usa legittimamente, riconoscendo che la legge è fatta non per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per gli scellerati e gli irreligiosi, per coloro che uccidono padre e madre, per gli omicidi, per i fornicatori, per i sodomiti, per i ladri d’uomini, per i bugiardi, per gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, secondo l’Evangelo della gloria del beato Dio, che egli mi ha affidato. Io rendo grazie a colui che mi ha reso forte, a Cristo Gesù, nostro Signore, per avermi reputato degno della sua fiducia, chiamando al ministerio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ma misericordia mi è stata fatta, perché lo facevo ignorantemente nella mia incredulità e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l’amore che è in Cristo Gesù. Certa è questa parola e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me per primo tutta la sua pazienza e io servissi di esempio a quelli che in avvenire avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re eterno, immortale, invisibile, solo Dio, siano onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen. Ti affido questo incarico, o figlio mio Timoteo, in armonia con le profezie che sono state in precedenza fatte a tuo riguardo, perché tu combatta in virtù di esse la buona battaglia, avendo fede e buona coscienza, alla quale alcuni hanno rinunciato e così hanno naufragato quanto alla fede. Fra questi sono Imeneo e Alessandro, i quali ho dato in mano a Satana affinché imparino a non bestemmiare. Io esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono in autorità, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e quieta, in ogni pietà e dignità. Questo è buono e accettevole davanti a Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità. Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, il quale diede sé stesso come prezzo di riscatto per tutti; fatto che doveva essere attestato a suo tempo e del quale io fui costituito araldo e apostolo (io dico il vero, non mento), insegnante dei Gentili nella fede e nella verità. Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure, senza ira e senza dispute. Allo stesso modo, le donne si vestano in modo decoroso, con pudore e modestia: non di trecce d’oro o di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, come si addice a donne che fanno professione di pietà. La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna di insegnare né di usare autorità sull'uomo, ma stia in silenzio. Perché Adamo fu formato per primo e poi Eva; Adamo non fu sedotto, ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia. Certa è questa parola: se uno aspira all’incarico di vescovo, desidera un’opera buona. Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, assennato, rispettabile, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino né violento, ma sia mite, non litigioso, non amante del denaro, che governi bene la propria famiglia e tenga i figli in sottomissione e in tutta riverenza (perché se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà avere cura della chiesa di Dio?), che non sia convertito di recente, affinché non inorgoglisca e non cada nella condanna del diavolo. Bisogna inoltre che abbia una buona testimonianza da quelli di fuori, affinché non cada in discredito e nel laccio del diavolo. Allo stesso modo i diaconi devono essere dignitosi, non doppi nel parlare, non propensi a troppo vino, non avidi di illeciti guadagni; uomini che ritengano il mistero della fede in pura coscienza. Anche questi siano prima provati, poi assumano l’incarico di diaconi se sono irreprensibili. Allo stesso modo siano le donne dignitose, non maldicenti, sobrie, fedeli in ogni cosa. I diaconi siano mariti di una sola moglie e governino bene i loro figli e le loro famiglie. Perché quelli che hanno svolto bene il servizio di diaconi si acquistano un buon grado e una grande franchezza nella fede che è in Cristo Gesù. Io ti scrivo queste cose sperando di venire presto da te e, se mai dovessi tardare, affinché tu sappia come bisogna comportarsi nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e base della verità. Senza contraddizione, grande è il mistero della pietà: colui che è stato manifestato in carne è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra i Gentili, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria. Ora lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni per via dell’ipocrisia di uomini che proferiranno menzogna, segnati da un marchio nella loro propria coscienza, i quali vieteranno il matrimonio e ordineranno l’astensione da cibi che Dio ha creati affinché quelli che credono e hanno ben conosciuto la verità ne usino con rendimento di grazie. Poiché tutto quello che Dio ha creato è buono e nulla è da rigettare, se usato con rendimento di grazie, perché è santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera. Esponendo queste cose ai fratelli, tu sarai un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito delle parole della fede e della buona dottrina che hai seguita da vicino. Ma schiva le favole profane e da vecchie, esercitati invece alla pietà, perché l’esercizio fisico è utile a poca cosa, mentre la pietà è utile a ogni cosa, avendo la promessa della vita presente e di quella a venire. Certa è questa parola e degna di essere pienamente accettata. Poiché per questo noi fatichiamo e lottiamo: perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, principalmente dei credenti. Ordina queste cose e insegnale. Nessuno disprezzi la tua giovinezza, ma sii d’esempio ai credenti nel parlare, nel comportamento, nell’amore, nella fede, nella purezza. Applicati finché io torni alla lettura, all’esortazione, all’insegnamento. Non trascurare il dono che è in te, il quale ti fu dato per profezia quando ti furono imposte le mani dal collegio degli anziani. Cura queste cose e datti a esse interamente, affinché il tuo progresso sia manifesto a tutti. Bada a te stesso e all’insegnamento; persevera in queste cose perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano. Non riprendere aspramente l’uomo anziano, ma esortalo come un padre; i giovani, come fratelli; le donne anziane, come madri; le giovani, come sorelle, in tutta purezza. Onora le vedove che sono veramente vedove. Ma, se una vedova ha dei figli o dei nipoti, imparino essi prima a mostrarsi pii verso la propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, perché questo è gradito davanti a Dio. La vedova che è veramente tale e sola al mondo ha posto la sua speranza in Dio e persevera in suppliche e preghiere notte e giorno, ma quella che si dà ai piaceri, benché viva, è morta. Anche queste cose ordina, perché siano irreprensibili. Se uno non provvede ai suoi, e principalmente a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede ed è peggiore dell’incredulo. Sia la vedova iscritta nel registro quando non abbia meno di sessant’anni, quando sia stata moglie di un solo marito e quando sia conosciuta per le sue buone opere: per aver allevato figli, esercitato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, soccorso gli afflitti, concorso a ogni opera buona. Ma rifiuta le vedove più giovani, perché, quando sono prese dal desiderio, lasciano Cristo, vogliono risposarsi e si attirano una condanna perché hanno violato la prima fede; inoltre imparano a essere oziose, andando attorno per le case e non soltanto a essere oziose, ma anche chiacchierone e curiose, parlando di cose delle quali non si deve parlare. Io voglio dunque che le vedove giovani si sposino, abbiano figli, governino la casa, non diano agli avversari alcuna occasione di maldicenza, poiché già alcune si sono sviate per andare dietro a Satana. Se qualche credente ha delle vedove, le soccorra, e non ne sia gravata la chiesa, perché possa soccorrere quelle che sono veramente vedove. Gli anziani che tengono bene la presidenza siano reputati degni di doppio onore, specialmente quelli che faticano nella predicazione e nell’insegnamento, poiché la Scrittura dice: “Non mettere la museruola al bue che trebbia”; e “L’operaio è degno del suo salario”. Non ricevere accusa contro un anziano, se non sulla deposizione di due o tre testimoni. Quelli che peccano, riprendili in presenza di tutti, perché anche gli altri abbiano timore. Io ti scongiuro, davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti, che tu osservi queste cose senza pregiudizi, non facendo nulla con parzialità. Non imporre precipitosamente le mani a nessuno e non partecipare ai peccati altrui; conservati puro. Non continuare a bere acqua soltanto, ma prendi un poco di vino a motivo del tuo stomaco e delle tue frequenti infermità. I peccati di alcune persone sono manifesti prima ancora del giudizio; di altre, invece, si conosceranno in seguito. Così pure, anche le opere buone sono manifeste e quelle che non lo sono non possono rimanere nascoste. Tutti coloro che sono sotto il giogo della servitù, reputino i loro padroni come degni di ogni onore, affinché il nome di Dio e la dottrina non vengano bestemmiati. E quelli che hanno padroni credenti non li disprezzino perché sono fratelli, ma tanto più li servano, perché quelli che ricevono il beneficio del loro servizio sono fedeli e amati. Queste cose insegna e incoraggia. Se qualcuno insegna una dottrina diversa e non si attiene alle sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e alla dottrina che è secondo pietà, è un orgoglioso e non sa nulla, ma ha un interesse morboso per questioni e dispute di parole, dalle quali nascono invidia, contese, maldicenza, cattivi sospetti, acerbe discussioni d’uomini corrotti di mente e privati della verità, i quali stimano la pietà essere fonte di guadagno. La pietà, con animo contento del proprio stato, è un grande guadagno, poiché non abbiamo portato nulla nel mondo, perché non ne possiamo neanche portare via nulla, ma, avendo di che nutrirci e di che coprirci, saremo di questo contenti. Ma quelli che vogliono arricchire cadono in tentazione, in inganno e in molte insensate e funeste concupiscenze, che affondano gli uomini nella distruzione e nella perdizione. Poiché l’amore del denaro è radice di ogni specie di mali e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono inflitti molti dolori. Ma tu, o uomo di Dio, fuggi queste cose e ricerca giustizia, pietà, fede, amore, costanza e dolcezza. Combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato e in vista della quale facesti quella bella confessione alla presenza di molti testimoni. Al cospetto di Dio che vivifica tutte le cose e di Cristo Gesù che rese testimonianza davanti a Ponzio Pilato con quella bella confessione, io ti ordino di osservare il comandamento divino da uomo immacolato, irreprensibile, fino all’apparizione del nostro Signore Gesù Cristo, la quale sarà a suo tempo manifestata dal beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il quale solo possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile, che nessun uomo ha visto né può vedere; a lui siano onore e potenza eterna. Amen. A quelli che sono ricchi in questo mondo ordina che non siano d’animo altero, che non ripongano la loro speranza nell’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, il quale ci fornisce abbondantemente ogni cosa perché ne godiamo; che facciano del bene, che siano ricchi in buone opere, pronti a dare, a far parte dei loro averi, in modo da farsi un tesoro ben fondato per l’avvenire, per conseguire la vera vita. O Timoteo, custodisci il deposito, evita le chiacchiere vuote e profane e le opposizioni di quella che falsamente si chiama scienza, della quale alcuni, facendo professione, si sono sviati dalla fede. La grazia sia con voi. Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù, a Timoteo, mio caro figlio, grazia, misericordia, pace da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore. Rendo grazie a Dio, che servo con pura coscienza, come l’hanno servito i miei antenati, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere giorno e notte; memore come sono delle tue lacrime, desidero ardentemente vederti per essere ricolmo di gioia. Io ricordo, infatti, la fede non finta che è in te, la quale abitò prima in tua nonna Loide e in tua madre Eunice e, sono persuaso, abita anche in te. Per questa ragione ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Poiché Dio ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, di amore e di correzione. Non avere dunque vergogna della testimonianza del nostro Signore né di me che sono in catene per lui, ma soffri anche tu per l’Evangelo, sorretto dalla potenza di Dio, il quale ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non secondo le nostre opere, ma secondo il proprio proponimento e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma che è stata ora manifestata con l’apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesù, il quale ha distrutto la morte e ha portato alla luce la vita e l’immortalità mediante il vangelo, in vista del quale io sono stato costituito araldo, apostolo e dottore. È anche per questo motivo che soffro queste cose, ma non me ne vergogno, perché so in chi ho creduto e sono persuaso che egli è potente da custodire il mio deposito fino a quel giorno. Attieniti con fede e con l’amore che è in Cristo Gesù al modello delle sane parole che hai udite da me. Custodisci il buon deposito per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi. Tu sai questo: che tutti quelli che sono in Asia mi hanno abbandonato, fra i quali Figello ed Ermogene. Conceda il Signore misericordia alla famiglia di Onesiforo, poiché egli mi ha molte volte confortato e non si è vergognato della mia catena, anzi, quando è venuto a Roma, mi ha cercato premurosamente e mi ha trovato. Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso di lui in quel giorno; quanti servizi egli mi abbia reso a Efeso tu lo sai molto bene. Tu dunque, figlio mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù, e le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni affidale a uomini fedeli, i quali siano capaci di insegnarle anche ad altri. Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Uno che va alla guerra non s’immischia nelle faccende della vita civile, se vuol piacere a colui che l’ha arruolato. Allo stesso modo quando uno lotta come atleta non è coronato, se non ha lottato secondo le regole. Il lavoratore che fatica dev’essere il primo ad avere la sua parte dei frutti. Considera quello che dico, poiché il Signore ti darà intelligenza in ogni cosa. Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendenza di Davide, secondo il mio Vangelo, per il quale io soffro afflizione fino a essere incatenato come un malfattore, ma la parola di Dio non è incatenata. Perciò io sopporto ogni cosa per amore degli eletti, affinché anch’essi conseguano la salvezza che è in Cristo Gesù con gloria eterna. Certa è questa parola: che se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se abbiamo costanza nella prova, con lui altresì regneremo; se lo rinnegheremo, anch’egli ci rinnegherà; se siamo infedeli, egli rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso. Ricorda loro queste cose, scongiurandoli davanti a Dio che non facciano dispute di parole, che non servono a nulla e rovinano chi le ascolta. Sforzati di presentare te stesso approvato davanti a Dio: operaio che non abbia di che vergognarsi, che tagli rettamente la parola della verità. Ma schiva le chiacchiere profane, perché quelli che vi si danno progrediranno nell’empietà e la loro parola andrà rodendo come fa la cancrena; fra questi sono Imeneo e Fileto, uomini che si sono sviati dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni. Ma pure il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: “Il Signore conosce quelli che sono suoi” e: “Si ritragga dall’ingiustizia chiunque nomina il nome del Signore”. In una grande casa non ci sono soltanto dei vasi d’oro e d’argento, ma anche dei vasi di legno e di terra; alcuni sono destinati a un uso nobile e altri a un uso ignobile. Se dunque uno si conserva puro da quelle cose, sarà un vaso nobile, santificato, utile al servizio del padrone, preparato per ogni opera buona. Fuggi le passioni giovanili e ricerca giustizia, fede, amore, pace con quelli che con cuore puro invocano il Signore. Ma schiva le questioni stolte e insensate, sapendo che generano contese. Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente, correggendo con dolcezza quelli che contraddicono, se mai avvenga che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità, in modo che, rientrati in se stessi, escano dal laccio del diavolo, che li aveva presi prigionieri perché facessero la sua volontà. Ora sappi questo, che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili, perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi, senza affetto naturale, inaffidabili, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene, traditori, avventati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio, aventi le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza. Anche costoro schiva! Poiché nel numero di costoro ci sono quelli che si insinuano nelle case e circuiscono donnette cariche di peccati, agitate da varie passioni, le quali cercano sempre di imparare senza mai riuscire a giungere alla piena conoscenza della verità. E come Iannè e Iambrè contrastarono Mosè, così anche costoro contrastano la verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini. Quanto a te, tu hai seguito da vicino il mio insegnamento, la mia condotta, i miei propositi, la mia fede, la mia pazienza, il mio amore, la mia costanza, le mie persecuzioni, le mie sofferenze e quello che mi avvenne ad Antiochia, a Iconio e a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato e il Signore mi ha liberato da tutte. D’altronde, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati, mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e per il suo regno: predica la Parola, insisti al momento opportuno e in quello sfavorevole, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina, ma per prurito di udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie, distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, compi l’opera di evangelista e adempi tutti i doveri del tuo ministerio. Quanto a me io sto per essere offerto in libazione e il tempo della mia partenza è giunto. Io ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede; ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione. Fa’ il possibile per venire presto da me, poiché Dema, avendo amato il presente secolo, mi ha lasciato e se n’è andato a Tessalonica. Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e conducilo con te, poiché egli mi è molto utile per il ministerio. Quanto a Tichico, l’ho mandato a Efeso. Quando verrai porta il mantello che ho lasciato a Troas da Carpo e i libri, specialmente le pergamene. Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. Il Signore gli renderà secondo le sue opere. Da lui guardati anche tu, poiché egli ha fortemente contrastato le nostre parole. Nella mia prima difesa nessuno si è trovato al mio fianco, ma tutti mi hanno abbandonato; non sia loro imputato! Ma il Signore è stato con me e mi ha fortificato, affinché l’Evangelo fosse per mezzo mio pienamente proclamato e tutti i Gentili l’udissero, e sono stato liberato dalla gola del leone. Il Signore mi libererà da ogni azione malvagia e mi salverà nel suo regno celeste. A lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen. Saluta Prisca, Aquila e la famiglia d’Onesiforo. Erasto è rimasto a Corinto; Trofimo l’ho lasciato infermo a Mileto. Affrettati a venire prima dell’inverno. Ti salutano Eubulo, Pudente, Lino, Claudia e i fratelli tutti. Il Signore sia con il tuo spirito. La grazia sia con voi. Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo per la fede degli eletti di Dio e la conoscenza della verità che è secondo pietà, nella speranza della vita eterna la quale Dio, che non può mentire, promise prima dei secoli, manifestando poi nei suoi tempi la sua parola mediante la predicazione che mi è stata affidata per mandato di Dio, nostro Salvatore, a Tito, mio vero figlio secondo la fede che ci è comune, grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro Salvatore. Per questa ragione ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine alle cose che rimangono da fare e costituisca degli anziani per ogni città, come ti ho ordinato, quando si trovi chi sia irreprensibile, marito di una sola moglie, avente figli fedeli, che non siano accusati di dissolutezza né insubordinati. Poiché il vescovo bisogna che sia irreprensibile, come economo di Dio; non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di disonesto guadagno, ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, temperante, attaccato alla Parola fedele come gli è stata insegnata, per essere in grado di esortare nella sana dottrina e di convincere i contradittori. Poiché vi sono molti ribelli, ciarlatani e seduttori di menti, specialmente fra quelli della circoncisione, ai quali bisogna turare la bocca; uomini che sovvertono le case intere, insegnando cose che non dovrebbero, per amor di disonesto guadagno. Uno dei loro, un loro profeta, disse: “I Cretesi sono sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri”. Questa testimonianza è vera. Riprendili perciò severamente, affinché siano sani nella fede, non dando retta a favole giudaiche né a comandamenti d’uomini che voltano le spalle alla verità. Tutto è puro per quelli che sono puri, ma per i contaminati e gli increduli niente è puro; anzi tanto la mente quanto la coscienza loro sono contaminate. Fanno professione di conoscere Dio, ma lo rinnegano con le loro opere, essendo abominevoli, ribelli e incapaci di qualsiasi opera buona. Ma tu esponi le cose che si convengono alla sana dottrina: i vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, sani nella fede, nell’amore, nella pazienza; allo stesso modo le donne anziane abbiano un portamento convenevole a santità, non siano maldicenti né dedite a molto vino, siano maestre di ciò che è buono, affinché insegnino alle giovani ad amare i mariti, ad amare i figli, a essere assennate, pure, dedite ai lavori domestici, buone, soggette ai loro mariti, affinché la parola di Dio non sia bestemmiata. Esorta ugualmente i giovani a essere assennati, dando te stesso in ogni cosa come esempio di opere buone, mostrando nell’insegnamento purezza incorrotta, dignità, parlare sano, irreprensibile, perché l’avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire di noi. Esorta i servi a essere sottomessi ai loro padroni, a compiacerli in ogni cosa, a non contraddirli, a non frodarli, ma a mostrare sempre lealtà perfetta, per onorare in ogni cosa la dottrina di Dio, nostro Salvatore. Poiché la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, è apparsa e ci insegna a rinunciare all’empietà e alle mondane concupiscenze, per vivere in questo mondo temperatamente, giustamente e piamente, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù, il quale ha dato sé stesso per noi al fine di riscattarci da ogni iniquità e di purificarsi un popolo suo proprio, zelante nelle opere buone. Insegna queste cose, esorta e riprendi con ogni autorità. Nessuno ti disprezzi. Ricorda loro che stiano soggetti ai magistrati e alle autorità, che siano ubbidienti, pronti a fare ogni opera buona, che non dicano male di nessuno, che non siano contenziosi, che siano benigni, mostrando ogni mansuetudine verso tutti gli uomini. Perché anche noi eravamo una volta insensati, ribelli, traviati, servi di varie concupiscenze e piaceri, vivendo nella cattiveria e nell’invidia, odiosi e odiandoci gli uni gli altri. Ma, quando la benignità di Dio, nostro Salvatore, e il suo amore verso gli uomini sono stati manifestati, egli ci ha salvati non per opere giuste che noi avessimo fatte, ma secondo la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, che egli ha copiosamente sparso su noi per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, affinché, giustificati per la sua grazia, noi fossimo fatti eredi secondo la speranza della vita eterna. Certa è questa parola e queste cose voglio che tu affermi con forza, affinché quelli che hanno creduto a Dio abbiano cura di attendere a buone opere. Queste cose sono buone e utili agli uomini. Ma quanto alle questioni stolte, alle genealogie, alle contese e alle dispute intorno alla legge, stattene lontano, perché sono inutili e vane. L’uomo settario, dopo una prima e una seconda ammonizione, evitalo, sapendo che un tal uomo è corrotto e pecca, condannandosi da sé. Quando ti avrò mandato Artemas o Tichico, cerca di venire subito da me a Nicopoli, perché ho deciso di passarci l’inverno. Provvedi con cura al viaggio di Zena, il giurista, e di Apollo, affinché nulla manchi loro. Anche i nostri devono imparare a dedicarsi alle buone opere per provvedere alle necessità, affinché non stiano senza portare frutto. Tutti quelli che sono con me ti salutano. Saluta quelli che ci amano in fede. La grazia sia con tutti voi! Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timoteo a Filemone, nostro caro compagno d’opera, e alla sorella Apfia, ad Archippo, nostro compagno d’armi, e alla chiesa che è in casa tua, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Io rendo sempre grazie al mio Dio, facendo menzione di te nelle mie preghiere, perché sento parlare dell’amore e della fede che hai nel Signore Gesù e verso tutti i santi, e domando che la nostra comunione di fede sia efficace nel farti riconoscere ogni bene che si compia in noi alla gloria di Cristo. Poiché ho provato una grande gioia e consolazione per il tuo amore, perché il cuore dei santi è stato ricreato per mezzo tuo, o fratello. Perciò, benché io abbia molta libertà in Cristo di comandarti quello che conviene fare, preferisco fare appello al tuo amore, semplicemente come Paolo, vecchio e adesso anche prigioniero di Cristo Gesù; ti prego per mio figlio che ho generato mentre ero in catene, per Onesimo, che un tempo ti fu inutile, ma che ora è utile a te e a me. Io te l’ho rimandato, lui, il mio stesso cuore. Avrei voluto tenerlo presso di me, affinché al posto tuo mi servisse nelle catene che porto a motivo dell’Evangelo, ma senza il tuo parere non ho voluto fare nulla, affinché il tuo beneficio non fosse come forzato, ma volontario. Infatti per questo forse egli è stato per breve tempo separato da te, perché tu lo recuperassi per sempre, non più come uno schiavo, ma come da più di uno schiavo, come un fratello caro specialmente a me, ma ora quanto più a te, nella carne e nel Signore! Se dunque mi ritieni in comunione con te, ricevilo come faresti con me; se ti ha fatto qualche torto o ti deve qualcosa, addebitalo a me. Io, Paolo, lo scrivo di mio pugno: io lo pagherò, per non dirti che tu mi sei debitore perfino di te stesso. Sì, fratello, io vorrei da te un qualche utile nel Signore; ricrea il mio cuore in Cristo. Ti scrivo confidando nella tua ubbidienza, sapendo che tu farai anche al di là di quel che dico. Preparami al tempo stesso un alloggio, perché spero che, per le vostre preghiere, io vi sarò donato. Epafra, mio compagno di prigione in Cristo Gesù, ti saluta. Così fanno Marco, Aristarco, Dema, Luca, miei compagni d’opera. La grazia del Signore Gesù Cristo sia con lo spirito vostro. Dio, dopo aver molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi, il quale, essendo lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza e sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi ed è diventato così di tanto superiore agli angeli, di quanto il nome che ha ereditato è più eccellente del loro. Infatti, a quale degli angeli disse egli mai: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato?”. E di nuovo: “Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio?”. E quando di nuovo introduce il Primogenito nel mondo, dice: “Tutti gli angeli di Dio l’adorino!”. E mentre degli angeli dice: “Dei suoi angeli egli fa dei venti, e dei suoi ministri fiamme di fuoco”, del Figlio invece dice: “Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli, e lo scettro di rettitudine è lo scettro del tuo regno. Tu hai amato la giustizia e hai odiato l’iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ha unto te d’olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni”. E ancora: “Tu, Signore, nel principio, fondasti la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito, e li avvolgerai come un mantello, e saranno mutati; ma tu rimani lo stesso, e i tuoi anni non verranno meno”. E a quale degli angeli disse egli mai: “Siedi alla mia destra finché abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi”? Essi non sono forse tutti spiriti al servizio di Dio, mandati a servire in favore di quelli che hanno da ereditare la salvezza? Perciò bisogna che ci atteniamo ancora di più alle cose udite, affinché non siamo portati via lontano da esse. Perché, se la parola pronunciata per mezzo d’angeli si dimostrò ferma e ogni trasgressione e disubbidienza ricevettero una giusta retribuzione, come scamperemo noi se trascuriamo una così grande salvezza? La quale, dopo essere stata prima annunciata dal Signore, ci è stata confermata da quelli che l’avevano udita, mentre Dio stesso aggiungeva la sua testimonianza alla loro, con segni e prodigi, con svariate opere potenti e con doni dello Spirito Santo, secondo la sua volontà. Difatti, non è ad angeli che egli ha sottoposto il mondo a venire del quale parliamo; anzi, qualcuno, in un certo passo della Scrittura, ha reso questa testimonianza: “Che cos’è l’uomo che ti ricordi di lui o il figlio dell’uomo che ti curi di lui? Tu l’hai fatto di poco inferiore agli angeli; l’hai coronato di gloria e d’onore; tu gli hai posto ogni cosa sotto i piedi”. Con il sottoporgli tutte le cose, egli non ha lasciato nulla che non gli sia sottoposto. Ma al presente non vediamo ancora che tutte le cose gli siano sottoposte, però ben vediamo colui che è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e di onore a motivo della morte che ha sofferto, affinché, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti. Infatti, per condurre molti figli alla gloria, ben si addiceva a colui a causa del quale sono tutte le cose e per mezzo del quale sono tutte le cose, di rendere perfetto, per via di sofferenze, l’autore della loro salvezza. Poiché colui che santifica e quelli che sono santificati provengono tutti da uno, per questa ragione egli non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: “Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli; in mezzo all’assemblea canterò la tua lode”. E di nuovo: “Io metterò la mia fiducia in Lui”. E di nuovo: “Ecco me e i figli che Dio mi ha dati”. Poiché dunque i figli partecipano del sangue e della carne, anch’egli vi ha similmente partecipato, affinché, con la sua morte, distruggesse colui che aveva l’impero della morte, cioè il diavolo, e liberasse tutti quelli che dal timore della morte erano per tutta la vita soggetti a schiavitù. Poiché, certo, egli non viene in aiuto ad angeli, ma viene in aiuto alla discendenza di Abraamo. Perciò egli doveva essere fatto in ogni cosa simile ai suoi fratelli, affinché diventasse un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose appartenenti a Dio, per compiere l’espiazione dei peccati del popolo. Infatti, in quanto egli stesso ha sofferto essendo tentato, può soccorrere quelli che sono tentati. Perciò, fratelli santi, che siete partecipi di una celeste vocazione, considerate Gesù, l’apostolo e il sommo sacerdote della nostra professione di fede, il quale è fedele a colui che l’ha costituito, come anche lo fu Mosè in tutta la casa di Dio. Infatti Gesù è stato reputato degno di una gloria tanto maggiore di quella di Mosè, quanto è maggiore l’onore di colui che costruisce la casa, in confronto a quello della casa stessa. Poiché ogni casa è costruita da qualcuno, ma chi ha costruito tutte le cose è Dio. Mosè fu bensì fedele in tutta la casa di Dio come servitore per testimoniare delle cose che dovevano essere dette, ma Cristo lo è come Figlio, sopra la sua casa, e la sua casa siamo noi, se riteniamo ferma sino alla fine la nostra franchezza e il vanto della nostra speranza. Perciò, come dice lo Spirito Santo: “Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori, come nel giorno della ribellione, come nel giorno della tentazione nel deserto dove i vostri padri mi tentarono mettendomi alla prova, e videro le mie opere per quarant’anni! Perciò mi disgustai di quella generazione, e dissi: ‘Si sviano sempre nel loro cuore; e non hanno conosciuto le mie vie’, così giurai nell’ira mia: ‘Non entreranno nel mio riposo!’”. Guardate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un malvagio cuore incredulo, che vi allontani dal Dio vivente, ma esortatevi gli uni gli altri tutti i giorni, finché si può dire: “Oggi”, perché nessuno di voi si indurisca per inganno del peccato, poiché siamo diventati partecipi di Cristo, a condizione che riteniamo ferma sino alla fine la fiducia che avevamo da principio, mentre ci viene detto: “Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori, come nel giorno della ribellione”. Infatti, chi furono quelli che dopo averlo udito lo provocarono? Non furono forse tutti quelli che erano usciti dall’Egitto, condotti da Mosè? Chi furono quelli di cui si disgustò durante quarant’anni? Non furono essi quelli che peccarono, i cui cadaveri caddero nel deserto? E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che furono disubbidienti? Infatti vediamo che non vi poterono entrare a motivo della loro incredulità. Perciò, mentre la promessa di entrare nel suo riposo è ancora valida, temiamo che qualcuno di voi pensi di rimanerne escluso. Poiché a noi come a loro è stata annunciata una buona notizia, ma la parola udita non giovò loro nulla non essendo stata assimilata per fede da quelli che l’avevano udita. Poiché noi che abbiamo creduto entriamo in quel riposo, come Dio ha detto: “Così giurai nella mia ira: ‘Non entreranno nel mio riposo!’”. E così disse, benché le sue opere fossero terminate fin dalla fondazione del mondo. Perché in qualche luogo, a proposito del settimo giorno, è detto così: E Dio si riposò il settimo giorno da tutte le sue opere e di nuovo in questo passo disse: “Non entreranno nel mio riposo!”. Poiché dunque rimane ad alcuni d'entrarvi e quelli ai quali la buona notizia fu prima annunciata non vi entrarono a motivo della loro disubbidienza, egli determina di nuovo un giorno: “Oggi”, dicendo per mezzo di Davide, dopo tanto tempo, come si è detto prima: “Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!”. Infatti, se Giosuè avesse dato loro il riposo, Dio non avrebbe poi parlato di un altro giorno. Rimane dunque un riposo di sabato per il popolo di Dio, poiché chi è entrato nel suo riposo si riposa anch’egli dalle proprie opere, come Dio si riposò dalle sue. Sforziamoci dunque di entrare in quel riposo, affinché nessuno cada seguendo lo stesso esempio di disubbidienza. Perché la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a due tagli, penetra fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla e giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non c’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto. Avendo noi dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, riteniamo fermamente la professione della nostra fede. Perché non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi al momento opportuno. Infatti ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, è costituito per il bene degli uomini, nelle cose concernenti Dio, affinché offra doni e sacrifici per i peccati; può avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti, perché anch’egli è circondato da debolezza ed è a motivo di questa che egli è obbligato a offrire dei sacrifici per i peccati, tanto per sé stesso quanto per il popolo. Nessuno si prende da sé quell’onore, ma lo prende quando sia chiamato da Dio, come nel caso di Aaronne. Così anche Cristo non si prese da sé la gloria di essere fatto sommo sacerdote, ma l’ebbe da colui che gli disse: “Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato” come anche altrove egli dice: “Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec”. Il quale, nei giorni della sua carne, avendo con alte grida e con lacrime offerto preghiere e suppliche a colui che lo poteva salvare dalla morte e avendo ottenuto di essere liberato dal timore, benché fosse figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono autore di una salvezza eterna, essendo da Dio proclamato sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec. Su questo abbiamo da dire molte cose, ma difficili da spiegare a voi, perché siete diventati duri d’orecchi. Infatti, dopo tanto tempo dovreste già essere maestri, invece avete di nuovo bisogno che vi siano insegnati i primi elementi degli oracoli di Dio; siete giunti al punto che avete bisogno di latte e non di cibo solido. Ora, chiunque usa il latte non ha esperienza della parola della giustizia, perché è bambino; ma il cibo solido è per gli adulti, per quelli che per via dell’uso hanno i sensi esercitati a discernere il bene e il male. Perciò, lasciando l’insegnamento elementare intorno a Cristo, tendiamo a quello perfetto e non stiamo a porre di nuovo il fondamento del ravvedimento dalle opere morte e della fede in Dio, della dottrina dei battesimi e dell’imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno. Così faremo, se Dio lo permette. Perché quelli che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste, e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo a venire, se cadono, è impossibile rinnovarli da capo a ravvedimento, poiché crocifiggono di nuovo per conto loro il Figlio di Dio e lo espongono a infamia. Infatti, la terra che beve la pioggia che viene spesse volte su lei e produce erbe utili a quelli per i quali è coltivata, riceve benedizione da Dio, ma, se porta spine e triboli, è senza valore e vicina a essere maledetta; e la sua fine è di essere arsa. Tuttavia, diletti, benché parliamo così, siamo persuasi, riguardo a voi, di cose migliori e attinenti alla salvezza, poiché Dio non è ingiusto da dimenticare l’opera vostra e l’amore che avete dimostrato per il suo nome con i servizi che avete reso e che rendete tuttora ai santi. Ma desideriamo che ciascuno di voi dimostri sino alla fine il medesimo zelo per giungere alla pienezza della speranza, affinché non diventiate pigri, ma siate imitatori di quelli che per fede e pazienza ereditano le promesse. Infatti, quando Dio fece la promessa ad Abraamo, siccome non poteva giurare per qualcuno maggiore di lui, giurò per sé stesso, dicendo: “ Certo, ti benedirò e ti moltiplicherò grandemente ”. Così, avendo aspettato con pazienza, Abraamo ottenne la promessa. Perché gli uomini giurano per qualcuno maggiore di loro e per essi il giuramento è la conferma che pone fine a ogni contestazione. Così, volendo Dio mostrare con maggiore evidenza agli eredi della promessa l’immutabilità del suo consiglio, intervenne con un giuramento, affinché, mediante due cose immutabili, nelle quali è impossibile che Dio abbia mentito, troviamo una potente consolazione noi, che abbiamo cercato il nostro rifugio nell’afferrare saldamente la speranza che ci era posta dinanzi. Questa speranza la teniamo quale àncora dell’anima, sicura e ferma, che penetra al di là della cortina, dove Gesù è entrato per noi quale precursore, essendo diventato sommo sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec. Perché questo Melchisedec, re di Salem, sacerdote dell’Iddio altissimo, andò incontro ad Abraamo quando egli tornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse; a lui Abraamo diede anche la decima di ogni cosa. Egli è innanzitutto, secondo l’interpretazione del suo nome, re di giustizia e poi anche re di Salem, vale a dire re di pace; senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, ma reso simile al Figlio di Dio, egli rimane sacerdote in eterno. Pertanto considerate quanto grande fosse colui al quale Abraamo, il patriarca, diede la decima del meglio del bottino. Ora, tra i figli di Levi, quelli che ricevono il sacerdozio hanno bensì ordine, secondo la legge, di prendere le decime dal popolo, cioè dai loro fratelli, benché questi siano usciti dai lombi d’Abraamo; quello, invece, che non è della loro stirpe, prese la decima da Abraamo e benedisse colui che aveva le promesse! Ora, senza contraddizione, l’inferiore è benedetto dal superiore e poi, qui, quelli che prendono le decime sono degli uomini mortali, ma là le prende uno di cui si attesta che vive. E, per così dire, nella persona d’Abraamo Levi stesso, che prende le decime, fu sottoposto alla decima, perché egli era ancora nei lombi di suo padre, quando Melchisedec incontrò Abraamo. Ora, se la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico (perché su quello è basata la legge data al popolo), che bisogno c’era ancora che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec e non scelto secondo l’ordine di Aaronne? Poiché, cambiato il sacerdozio, avviene per necessità anche un cambiamento di legge. Difatti, colui a proposito del quale queste parole sono dette è appartenuto a un’altra tribù, della quale nessuno si è accostato all’altare, perché è ben noto che il nostro Signore è sorto dalla tribù di Giuda, circa la quale Mosè non disse nulla che concernesse il sacerdozio. E la cosa è ancora più evidente quando sorge, a somiglianza di Melchisedec, un altro sacerdote che è stato fatto tale non per disposizione di una legge dalle prescrizioni carnali, ma in virtù della potenza di una vita indissolubile, perché gli è resa questa testimonianza: “Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec”. Così, qui vi è sì l’abrogazione del comandamento precedente a motivo della sua debolezza e inutilità (poiché la legge non ha condotto nulla a compimento), ma vi è anche l’introduzione di una migliore speranza, mediante la quale ci accostiamo a Dio. Inoltre, questo non è avvenuto senza giuramento (poiché quelli sono stati fatti sacerdoti senza giuramento, ma egli lo è con giuramento, per opera di colui che ha detto: “Il Signore l’ha giurato e non si pentirà: ‘Tu sei sacerdote in eterno’” ). Per questo Gesù è diventato garante di un patto più eccellente del primo. Inoltre, quelli sono stati fatti sacerdoti in gran numero, perché per la morte erano impediti di durare, ma costui, perché dimora in eterno, ha un sacerdozio che non si trasmette, perciò può anche salvare appieno quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, vivendo egli sempre per intercedere per loro. Infatti a noi si addiceva un sacerdote come quello: santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al disopra dei cieli, il quale non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire dei sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, perché questo egli ha fatto una volta per sempre, quando ha offerto sé stesso. La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza, ma la parola del giuramento fatto dopo la legge costituisce il Figlio, che è stato reso perfetto per sempre. Ora, il punto più importante delle cose che stiamo dicendo, è questo: abbiamo un sommo sacerdote tale che si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto. Poiché ogni sommo sacerdote è costituito per offrire doni e sacrifici; perciò è necessario che anche questo sommo sacerdote abbia qualcosa da offrire. Ora, se fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, perché ci sono quelli che offrono i doni secondo la legge, i quali celebrano quel che è figura e ombra delle cose celesti, come Dio disse a Mosè quando questi stava per costruire il tabernacolo: “ Guarda ”, egli disse, “ di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte ”. Ma ora egli ha ottenuto un ministerio tanto più eccellente, che egli è mediatore di un patto anch’esso migliore, fondato su migliori promesse. Perché, se quel primo patto fosse stato senza difetto, non vi sarebbe stato bisogno di sostituirlo con un secondo. Infatti, Dio, biasimando il popolo, dice: “Ecco i giorni vengono, dice il Signore, che io concluderò con la casa d’Israele e con la casa di Giuda, un patto nuovo; non un patto come quello che feci con i loro padri nel giorno che li presi per la mano per trarli fuori dal paese d’Egitto; perché essi non hanno perseverato nel mio patto, e a mia volta non mi sono curato di loro, dice il Signore. E questo è il patto che farò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: io porrò le mie leggi nelle loro menti, e le scriverò sui loro cuori; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo. E non istruiranno più ciascuno il proprio concittadino e ciascuno il proprio fratello, dicendo: ‘Conosci il Signore!’. Perché tutti mi conosceranno, dal minore al maggiore di loro, poiché avrò misericordia delle loro iniquità, e non mi ricorderò più dei loro peccati”. Dicendo: “ Un nuovo patto ”, egli ha dichiarato antico il primo. Ora, quel che diventa antico e invecchia è vicino a sparire. Ora anche il primo patto aveva delle norme per il culto e un santuario terreno. Infatti fu preparato un primo tabernacolo, nel quale si trovavano il candeliere, la tavola e la presentazione dei pani; questo si chiamava il Luogo santo. Dietro la seconda cortina c’era il tabernacolo detto il luogo santissimo, contenente un incensiere d’oro e l’arca del patto, tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un vaso d’oro contenente la manna, la verga di Aaronne che era fiorita e le tavole del patto. E sopra l’arca i cherubini della gloria, che adombravano il propiziatorio. Di queste cose non possiamo ora parlare dettagliatamente. Ora, essendo le cose così disposte, i sacerdoti entrano continuamente nel primo tabernacolo per compiervi gli atti del culto, ma nel secondo entra solo il sommo sacerdote una volta all’anno, e non senza sangue, che egli offre per sé stesso e per i peccati d'ignoranza del popolo. Lo Spirito Santo voleva con questo significare che la via al santuario non era ancora manifestata finché sussisteva ancora il primo tabernacolo. Esso è una figura per il tempo attuale, conformemente alla quale si offrono doni e sacrifici che non possono, quanto alla coscienza, rendere perfetto colui che offre il culto, poiché si tratta solo di cibi, di bevande e di varie abluzioni, insomma di regole carnali imposte fino al tempo della riforma. Ma, venuto Cristo, sommo sacerdote dei futuri beni, egli, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano, vale a dire, non di questa creazione, e non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, è entrato una volta per sempre nel santuario, avendo acquistata una redenzione eterna. Perché, se il sangue di capri e di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati santificano in modo da dare la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno ha offerto sé stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente? Per questa ragione egli è mediatore di un nuovo patto, affinché, avvenuta la sua morte per la redenzione delle trasgressioni commesse sotto il primo patto, i chiamati ricevano l’eterna eredità promessa. Infatti, dove c’è un testamento, bisogna che sia accertata la morte del testatore. Perché un testamento è valido quando è avvenuta la morte, infatti non ha valore finché vive il testatore. Per questo neanche il primo patto è stato inaugurato senza sangue. Difatti, quando tutti i comandamenti furono secondo la legge proclamati da Mosè a tutto il popolo, egli prese il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issopo e ne asperse il libro stesso e tutto il popolo, dicendo: “Questo è il sangue del patto che Dio ha ordinato sia fatto con voi”. Asperse di sangue anche il tabernacolo e tutti gli arredi del culto. Secondo la legge, quasi ogni cosa è purificata con sangue, e senza spargimento di sangue non c’è perdono. Era dunque necessario che le cose raffiguranti quelle nei cieli fossero purificate con questi mezzi, ma le cose celesti stesse dovevano esserlo con sacrifici più eccellenti di questi. Poiché Cristo non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora, alla presenza di Dio per noi, non per offrire sé stesso più volte, come il sommo sacerdote, che entra ogni anno nel santuario con sangue non suo, in questo caso, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo, ma ora, una volta sola, alla fine dei secoli, è stato manifestato per annullare il peccato con il suo sacrificio. E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio, così anche Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola, per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a quelli che lo aspettano per la loro salvezza. Poiché la legge, avendo un’ombra dei futuri beni, non la realtà stessa delle cose, non può mai con quei sacrifici, che sono offerti continuamente, anno dopo anno, rendere perfetti quelli che si accostano a Dio. Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, non avendo più gli adoratori, una volta purificati, alcuna coscienza di peccati? Invece in quei sacrifici è rinnovato ogni anno il ricordo dei peccati, perché è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati. Perciò, entrando nel mondo, egli dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo; non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: ‘Ecco, io vengo’ (nel rotolo del libro è scritto di me) ‘per fare, o Dio, la tua volontà’”. Dopo aver detto prima: “ Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte, né olocausti, né sacrifici per il peccato ” ( i quali sono offerti secondo la legge), egli dice poi: “Ecco, io vengo per fare la tua volontà”. Egli toglie via il primo per stabilire il secondo. In virtù di questa “volontà” noi siamo stati santificati, mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre. Mentre ogni sacerdote è in piedi ogni giorno a svolgere il suo servizio e offrire molte volte gli stessi sacrifici che non possono mai togliere i peccati, questi, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati e per sempre, si è posto a sedere alla destra di Dio, aspettando soltanto che i suoi nemici siano ridotti a essere lo sgabello dei suoi piedi. Perché con un’unica offerta egli ha per sempre resi perfetti quelli che sono santificati. E anche lo Spirito Santo ce ne rende testimonianza. Infatti, dopo aver detto: “Questo è il patto che farò con loro dopo quei giorni, dice il Signore: io metterò le mie leggi nei loro cuori; e le scriverò nelle loro menti”, egli aggiunge: “E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità”. Ora, dove c’è perdono di queste cose, non c’è più bisogno di offerta per il peccato. Avendo dunque, fratelli, libertà d’entrare nel santuario in virtù del sangue di Gesù, via recente e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne, e avendo noi un grande sacerdote sopra la casa di Dio, accostiamoci di vero cuore, con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica dalla cattiva coscienza e il corpo lavato d’acqua pura. Riteniamo fermamente la confessione della nostra speranza, senza vacillare, perché fedele è colui che ha fatto le promesse. E facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere, non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda; tanto più che vedete avvicinarsi il giorno. Perché, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non resta più alcun sacrificio per i peccati; rimangono una terribile attesa del giudizio e l’ardore di un fuoco che divorerà gli avversari. Uno che abbia violato la legge di Mosè muore senza misericordia sulla parola di due o tre testimoni. Di quale peggiore castigo, pensate voi, sarà giudicato degno colui che avrà calpestato il Figlio di Dio e avrà tenuto per profano il sangue del patto con il quale è stato santificato, e avrà oltraggiato lo Spirito della grazia? Poiché noi sappiamo chi è colui che ha detto: “A me appartiene la vendetta! Io darò la retribuzione!”. E ancora: “Il Signore giudicherà il suo popolo”. È spaventoso cadere nelle mani del Dio vivente. Ma ricordatevi di quei primi giorni, quando, dopo essere stati illuminati, voi sosteneste una così grande lotta con sofferenze: talvolta esposti agli oltraggi e ad afflizioni, altre volte partecipi della sorte di quelli che erano trattati così. Infatti, voi simpatizzaste con i carcerati e accettaste con gioia la ruberia dei vostri beni, sapendo di avere per voi una ricchezza migliore e permanente. Non gettate dunque via la vostra franchezza che ha una grande ricompensa! Poiché avete bisogno di costanza, affinché, avendo fatta la volontà di Dio, otteniate quel che vi è promesso. Perché: “ Ancora un brevissimo tempo, e colui che deve venire verrà e non tarderà; ma il mio giusto vivrà per fede; e se si trae indietro, l’anima mia non lo gradisce ”. Ma noi non siamo di quelli che si tirano indietro a loro perdizione, ma di quelli che hanno fede per salvare l’anima. Ora la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono. Infatti, per essa fu resa buona testimonianza agli antichi. Per fede intendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio, cosicché le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti. Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino; per mezzo di essa gli fu resa testimonianza che egli era giusto, quando Dio attestò di gradire le sue offerte, e per mezzo di essa, benché morto, egli parla ancora. Per fede Enoc fu trasportato perché non vedesse la morte; e non fu più trovato, perché Dio l’aveva portato via, poiché prima che fosse portato via fu di lui testimoniato che era piaciuto a Dio. Ora senza fede è impossibile piacergli, poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è e che è il rimuneratore di quelli che lo cercano. Per fede Noè, divinamente avvertito di cose che non si vedevano ancora, mosso da pio timore, preparò un’arca per la salvezza della propria famiglia; per quella fede condannò il mondo e fu fatto erede della giustizia che si ha per mezzo della fede. Per fede Abraamo, essendo chiamato, ubbidì per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa, come in terra straniera, abitando in tende con Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha i veri fondamenti e il cui architetto e costruttore è Dio. Per fede anche Sara, benché fuori d’età, ricevette forza di concepire, perché reputò fedele colui che aveva fatto la promessa. Perciò, da uno solo, come se fosse morto, è nata una discendenza numerosa come le stelle del cielo, come la sabbia lungo la riva del mare che non si può contare. In fede morirono tutti costoro, senza aver ricevuto le cose promesse, ma avendole vedute e salutate da lontano, e avendo confessato che erano forestieri e pellegrini sulla terra. Poiché quelli che dicono tali cose dimostrano che cercano una patria. E, se pure si ricordavano di quella dove erano usciti, certo avevano tempo di ritornarvi. Ma ora ne desiderano una migliore, cioè una celeste, perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, poiché ha preparato loro una città. Per fede Abraamo, quando fu provato, offrì Isacco; egli, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito; egli, al quale era stato detto: “ È in Isacco che ti sarà chiamata una discendenza ”. Egli ritenne Dio potente anche da far risuscitare i morti, tant’è che lo riebbe per una specie di risurrezione. Per fede Isacco diede a Giacobbe e a Esaù una benedizione riguardante cose future. Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e adorò appoggiato in cima al suo bastone. Per fede Giuseppe, quando stava per morire, fece menzione dell’esodo dei figli d’Israele e diede ordini circa le sue ossa. Per fede Mosè, quando nacque, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché vedevano che il bambino era bello e non temettero il comandamento del re. Per fede Mosè, diventato grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del Faraone, scegliendo piuttosto di essere maltrattato con il popolo di Dio che di godere per breve tempo i piaceri del peccato, stimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto, perché riguardava alla ricompensa. Per fede abbandonò l’Egitto, non temendo l’ira del re, perché rimase costante, come vedendo colui che è invisibile. Per fede celebrò la Pasqua e fece l’aspersione del sangue, affinché lo sterminatore dei primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti. Per fede passarono il Mar Rosso come per l’asciutto, mentre gli egiziani, che tentarono di fare la stessa cosa, furono inabissati. Per fede caddero le mura di Gerico, dopo che vi ebbero girato attorno per sette giorni. Per fede Raab, la prostituta, non perì con i disubbidienti, avendo accolto le spie in pace. Che dirò di più? Poiché il tempo mi verrebbe meno se narrassi di Gedeone, di Barac, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti, i quali per fede vinsero regni, operarono giustizia, ottennero adempimento di promesse, chiusero le fauci di leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trassero forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri. Le donne riebbero per risurrezione i loro morti; altri furono martirizzati non avendo accettata la loro liberazione per ottenere una risurrezione migliore; altri patirono scherni e flagelli, e anche catene e prigionia. Furono lapidati, furono segati, furono uccisi di spada; andarono attorno coperti di pelli di pecora e di capra; bisognosi, afflitti, maltrattati (di loro il mondo non era degno), vaganti per deserti, monti, spelonche e per le grotte della terra. Tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero quello che era stato promesso, perché Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio, in modo che essi non giungessero alla perfezione senza di noi. Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deposto ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, riguardando a Gesù, autore e compitore di fede, il quale, per la gioia che gli era posta dinanzi, sopportò la croce disprezzando l’infamia e si è posto a sedere alla destra del trono di Dio. Perciò, considerate colui che sostenne una tale opposizione dei peccatori contro di sé, affinché non vi stanchiate, perdendovi d’animo. Voi non avete ancora resistito fino al sangue, lottando contro il peccato e avete dimenticata l’esortazione a voi rivolta come a figli: “Figlio mio, non fare poca stima della disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge colui che egli ama, e flagella ogni figlio che egli gradisce”. È a scopo di disciplina che dovete sopportare queste cose. Dio vi tratta come figli, poiché qual è il figlio che il padre non corregga? Perché se siete senza quella disciplina, della quale tutti hanno avuto la loro parte, siete dunque bastardi e non figli. Inoltre, abbiamo avuto per correttori i padri della nostra carne, eppure li abbiamo riveriti; non ci sottoporremo noi molto più al Padre degli spiriti e vivere? Quelli, infatti, ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro opportuno, ma egli lo fa per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità. Ora, ogni disciplina sembra, è vero, al presente non essere causa di gioia, ma di tristezza; poi, però, rende un pacifico frutto di giustizia per quelli che sono stati esercitati per mezzo di essa. Perciò, rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia vacillanti e “ fate dei sentieri diritti per i vostri passi ”, affinché chi è zoppo non esca fuori di strada, ma sia piuttosto guarito. Cercate la pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore, badando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio, che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia così che molti di voi restino infetti e che nessuno sia fornicatore o profano come Esaù, che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura. Poiché voi sapete che quando più tardi volle ereditare la benedizione fu respinto, perché non ci fu pentimento, sebbene la richiedesse con lacrime. Voi non siete venuti al monte che si toccava con la mano, avvolto nel fuoco, né all’oscurità, né alle tenebre, né alla tempesta, né al suono della tromba, né alla voce che parlava in modo che quelli che la udirono richiesero che nessuna parola fosse loro più rivolta perché non potevano sopportare l’ordine: “Se anche una bestia tocchi il monte sia lapidata”; tanto spaventoso era lo spettacolo, che Mosè disse: “Io sono tutto spaventato e tremante”, ma voi siete venuti al monte di Sion e alla città del Dio vivente, che è la Gerusalemme celeste, alla festante assemblea delle miriadi degli angeli, alla chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, il mediatore del nuovo patto, e al sangue dell’aspersione che parla meglio di quello di Abele. Guardate di non rifiutare colui che parla, perché se quelli non scamparono quando rifiutarono colui che rivelava loro in terra la sua volontà, molto meno scamperemo noi se voltiamo le spalle a colui che parla dal cielo, la cui voce scosse allora la terra, ma che adesso ha fatto questa promessa: “ Ancora una volta farò tremare non solo la terra, ma anche il cielo ”. Ora questo “ ancora una volta ” indica la rimozione delle cose scosse, come di cose fatte, perché sussistano quelle che non sono scosse. Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti e offriamo così a Dio un culto accettevole, con riverenza e timore! Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante. L’amore fraterno continui fra voi. Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, senza saperlo, hanno ospitato angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se foste in carcere con loro; di quelli che sono maltrattati, ricordando che anche voi lo foste. Il matrimonio sia tenuto in onore da tutti e il letto coniugale sia incontaminato, poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adùlteri. Non siate amanti del denaro, siate contenti delle cose che avete, poiché egli stesso ha detto: “ Io non ti lascerò, e non ti abbandonerò ”. Così noi possiamo dire con piena fiducia: “Il Signore è il mio aiuto; non temerò. Che mi potrà fare l’uomo?”. Ricordatevi dei vostri conduttori che vi hanno annunciato la parola di Dio, e, considerando il risultato della loro condotta, imitate la loro fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno. Non siate trasportati qua e là da diverse e strane dottrine, poiché è bene che il cuore sia reso saldo dalla grazia e non da pratiche relative a vivande dalle quali non trassero alcun beneficio quelli che le osservarono. Noi abbiamo un altare del quale non hanno diritto di mangiare quelli che servono il tabernacolo. Poiché i corpi degli animali il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario come un’offerta per il peccato, sono arsi fuori dall’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori dalla porta. Usciamo quindi fuori dal campo e andiamo a lui, portando il suo obbrobrio. Poiché non abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella futura. Per mezzo di lui, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra confessanti il suo nome! Non dimenticate di esercitare la beneficenza e di far parte agli altri dei vostri beni, perché è di tali sacrifici che Dio si compiace. Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro, perché essi vegliano per le vostre anime, come chi deve renderne conto, affinché facciano questo con gioia e non sospirando, perché ciò non vi sarebbe di alcuna utilità. Pregate per noi, perché siamo convinti di avere una buona coscienza, desiderando di comportarci onestamente in ogni cosa. Ma ancor più vi esorto a farlo, affinché io vi sia restituito al più presto. Ora il Dio della pace che in virtù del sangue del patto eterno ha tratto dai morti il grande pastore delle pecore, Gesù nostro Signore, vi renda compiuti in ogni bene, affinché facciate la sua volontà, operando in voi ciò che è gradito davanti a lui, per mezzo di Gesù Cristo; a Lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen. Ora, fratelli, sopportate con pazienza, vi prego, la mia parola d’esortazione, perché vi ho scritto brevemente. Sappiate che il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà; se viene presto, vi vedrò con lui. Salutate tutti i vostri conduttori e tutti i santi. Quelli d’Italia vi salutano. La grazia sia con tutti voi. Amen. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella dispersione, salute. Fratelli miei, considerate una grande gioia le prove svariate in cui venite a trovarvi, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. E la costanza compia appieno l’opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti. Che se alcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio che dona a tutti liberalmente senza rinfacciare, e gli sarà donata. Ma chieda con fede, senza dubitare, perché chi dubita è simile a un’onda di mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Non pensi già quel tale di ricevere nulla dal Signore, essendo uomo di animo doppio, instabile in tutte le sue vie. Il fratello di umile condizione si glori della sua elevazione e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell’erba. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l’erba, il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; così anche il ricco appassirà nelle sue imprese. Beato l’uomo che sostiene la prova, perché, una volta approvato, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano. Nessuno, quando è tentato, dica: “Io sono tentato da Dio”, perché Dio non può essere tentato dal male né egli stesso tenta alcuno, ma ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo adesca. Poi la concupiscenza avendo concepito partorisce il peccato e il peccato, quando è compiuto, produce la morte. Non errate, fratelli miei carissimi; ogni donazione buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto, discendendo dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento. Egli ci ha di sua volontà generati mediante la parola di verità, affinché siamo in certo modo le primizie delle sue creature. Questo lo sapete, fratelli miei carissimi, ma sia ogni uomo pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira, perché l’ira dell’uomo non mette in opera la giustizia di Dio. Perciò, deposta ogni impurità e resto di malizia, ricevete con mansuetudine la Parola che è stata piantata in voi e che può salvare le anime vostre. Ma siate facitori della Parola e non soltanto uditori, illudendo voi stessi. Perché, se uno è ascoltatore della Parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va e subito dimentica com’era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera, questi, non essendo un ascoltatore smemorato ma facitore dell’opera, sarà beato nel suo operare. Se uno pensa di essere religioso e non tiene a freno la sua lingua ma seduce il cuor suo, la religione di quel tale è vana. La religione pura e immacolata davanti a Dio e Padre è questa: prendersi cura degli orfani e delle vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri dal mondo. Fratelli miei, la vostra fede nel nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria, sia immune da riguardi personali. Perché, se nella vostra assemblea entra un uomo con l’anello d’oro, vestito splendidamente, e vi entra pure un povero con vesti sudicie, voi avete riguardo a quello che veste splendidamente e gli dite: “Tu, siedi qui in un posto onorevole” e al povero dite: “Tu, stattene là in piedi o siedi in terra accanto al mio sgabello”, non fate in voi stessi una discriminazione e non diventate giudici dai pensieri malvagi? Ascoltate, fratelli miei diletti: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Ma voi avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi quelli che vi opprimono e che vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi quelli che bestemmiano il buon nome che è stato invocato su di voi? Certo, se adempite la legge regale, come dice la Scrittura: “ Ama il tuo prossimo come te stesso ”, fate bene; ma se avete dei riguardi personali, voi commettete un peccato essendo dalla legge convinti quali trasgressori. Poiché chiunque avrà osservato tutta la legge, e avrà fallito in un solo punto, si rende colpevole su tutti i punti. Poiché colui che ha detto: “ Non commettere adulterio ” ha detto anche: “ Non uccidere ”. Ora, se tu non commetti adulterio ma uccidi, sei diventato trasgressore della legge. Parlate e agite, perciò, come dovendo essere giudicati da una legge di libertà. Perché il giudizio è senza misericordia per colui che non ha usato misericordia: la misericordia invece trionfa sul giudizio. A che giova, fratelli miei, se uno dice di avere fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Se un fratello o una sorella sono nudi e mancanti del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, scaldatevi e saziatevi”, ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che giova? Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta. Anzi uno piuttosto dirà: “Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Tu credi che c’è un solo Dio e fai bene, anche i demòni lo credono e tremano. Ma vuoi, o insensato, renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? Abraamo, nostro padre, non fu egli giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare? Tu vedi che la fede operava insieme con le sue opere e che per le opere la sua fede fu resa completa; così fu adempiuta la Scrittura che dice: “ Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia ” e fu chiamato amico di Dio. Voi vedete che l’uomo è giustificato per opere e non per fede soltanto. E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li mandò via per un’altra strada? Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta. Fratelli miei, non siate molti a fare da maestri, sapendo che ne riceveremo un più severo giudizio. Poiché tutti sbagliamo in molte cose. Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci ubbidiscano, noi guidiamo anche tutto quanto il loro corpo. Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e siano sospinte da venti impetuosi, sono dirette da un piccolissimo timone, dovunque vuole il timoniere. Così anche la lingua è un piccolo membro e si vanta di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco, che grande foresta incendia! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’ingiustizia. Posta com’è fra le nostre membra, contamina tutto il corpo, infiamma il corso della vita ed è infiammata dalla geenna. Ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di animali marini si doma, ed è stata domata dalla razza umana, ma la lingua nessun uomo la può domare: è un male inquieto, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini che sono fatti a somiglianza di Dio. Dalla medesima bocca procede benedizione e maledizione. Fratelli miei, non dev’essere così. La fonte getta forse dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può, fratelli miei, un fico fare olive o una vite fichi? Neppure una fonte salata può dare acqua dolce. Chi è saggio e intelligente fra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere in mansuetudine di sapienza. Ma, se avete nel vostro cuore dell’invidia amara e uno spirito di contesa, non vi gloriate e non mentite contro la verità. Questa non è la sapienza che scende dall’alto, anzi è terrena, carnale, diabolica. Poiché dove sono invidia e contesa, c’è disordine e ogni cattiva azione. Ma la sapienza dall’alto prima è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità e senza ipocrisia. Il frutto della giustizia si semina nella pace per quelli che si adoperano alla pace. Da dove vengono le guerre e le contese fra voi? Non è forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere; voi contendete e guerreggiate; non avete, perché non domandate; domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri. O gente adultera, non sapete voi che l’amicizia del mondo è inimicizia contro Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. Oppure pensate che la Scrittura dichiari invano che lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi ci brama fino alla gelosia? Ma egli dà maggior grazia; perciò la Scrittura dice: “Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili”. Sottomettetevi dunque a Dio, ma resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Pulite le vostre mani, o peccatori, e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo! Siate afflitti, fate cordoglio e piangete! Sia il vostro riso convertito in lutto e la vostra gioia in tristezza! Umiliatevi davanti al Signore ed egli v’innalzerà. Non parlate gli uni contro gli altri, fratelli. Chi parla contro un fratello o giudica suo fratello, parla contro la legge e giudica la legge. Ora, se tu giudichi la legge, non sei uno che osserva la legge, ma un giudice. Uno soltanto è il legislatore e il giudice, colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo? E ora a voi che dite: “Oggi o domani andremo nella tale città e vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo”, mentre non sapete quel che avverrà domani! Che cos’è la vita vostra? Poiché siete un vapore che appare per un po’ di tempo e poi svanisce. Invece dovreste dire: “Se piace al Signore, saremo in vita e faremo questo o quest’altro”. Ma ora vi vantate con la vostra arroganza. Tale vanto è cattivo. Colui dunque che sa fare il bene e non lo fa commette peccato. A voi ora, o ricchi; piangete e urlate per le calamità che stanno per venirvi addosso! Le vostre ricchezze sono marcite e le vostre vesti sono rose dai tarli. Il vostro oro e il vostro argento sono arrugginiti, la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni. Ecco, il salario dei lavoratori, che hanno mietuto i vostri campi e del quale li avete frodati, grida e le grida di quelli che hanno mietuto sono giunte agli orecchi del Signore degli eserciti. Voi siete vissuti sulla terra nelle delizie e vi siete dati ai piaceri; avete pasciuto i vostri cuori in giorno di strage. Avete condannato, avete ucciso il giusto; egli non vi resiste. Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Ecco, l’agricoltore aspetta il prezioso frutto della terra pazientando, finché esso abbia ricevuto la pioggia della prima e dell’ultima stagione. Siate anche voi pazienti; rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Fratelli, non mormorate gli uni contro gli altri, affinché non siate giudicati; ecco, il Giudice è alle porte. Prendete, fratelli, per esempio di sofferenza e di pazienza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sofferto con costanza. Avete udito parlare della costanza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è pieno di compassione e misericordioso. Soprattutto, fratelli miei, non giurate né per il cielo né per la terra né con altro giuramento, ma sia il vostro sì, sì, e il vostro no, no, affinché non cadiate sotto giudizio. C’è fra voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno d’animo lieto? Salmeggi. C’è qualcuno fra voi infermo? Chiami gli anziani della chiesa e preghino su lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore; la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno rimessi. Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; molto può la preghiera del giusto, fatta con efficacia. Elia era un uomo sottoposto alle nostre stesse passioni, pregò ardentemente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Pregò di nuovo, il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto. Fratelli miei, se qualcuno fra voi si svia dalla verità e uno lo fa tornare indietro, costui sappia che chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima sua dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati. Pietro, apostolo di Gesù Cristo, agli eletti che vivono come forestieri nella dispersione del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia, eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e ad essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo: grazia e pace vi siano moltiplicate. Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il quale nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, a una speranza viva in vista di una eredità incorruttibile, immacolata e inalterabile, conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi, mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi. In questo voi esultate anche se ora, per un po’ di tempo, se necessario, siate afflitti da svariate prove, affinché la prova della vostra fede, molto più preziosa dell’oro che perisce, eppure è provato con il fuoco, risulti a vostra lode, gloria e onore alla rivelazione di Gesù Cristo, il quale, benché non l’abbiate visto, voi amate; nel quale credendo, benché ora non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede: la salvezza delle anime. Questa salvezza è stata oggetto delle ricerche e delle investigazioni dei profeti che profetizzarono della grazia a voi destinata. Essi indagavano quale fosse il tempo e quali le circostanze a cui accennava lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguire. E fu loro rivelato che non per sé stessi ma per voi ministravano quelle cose che ora vi sono state annunciate da coloro che vi hanno evangelizzato per mezzo dello Spirito Santo mandato dal cielo; cose nelle quali gli angeli desiderano guardare bene dentro. Perciò, avendo cinti i fianchi della vostra mente e stando sobri, abbiate piena speranza nella grazia che vi sarà recata nella rivelazione di Gesù Cristo; come figli ubbidienti, non vi conformate alle concupiscenze del tempo passato quando eravate nell’ignoranza, ma, come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: “Siate santi, perché io sono santo”. E se invocate come Padre colui che senza riguardi personali giudica secondo l’opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro pellegrinaggio, sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come d’agnello senza difetto né macchia, ben preordinato prima della fondazione del mondo, ma manifestato negli ultimi tempi per voi, i quali per mezzo di lui credete in Dio che l’ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio. Avendo purificate le anime vostre con l’ubbidienza alla verità per arrivare a un amore fraterno non finto, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore, poiché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, mediante la parola di Dio vivente e permanente. Poiché “Ogni carne è com’erba, e ogni sua gloria come il fior dell’erba. L’erba si secca, e il fiore cade; ma la parola del Signore rimane in eterno”. E questa è la Parola della Buona Notizia che vi è stata annunciata. Gettando dunque lontano da voi ogni malizia, ogni frode, le ipocrisie e le invidie, e ogni sorta di maldicenze, come bambini appena nati, appetite il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la salvezza, se pure avete gustato che il Signore è buono. Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati qual casa spirituale, per essere un sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Poiché si legge nella Scrittura: “Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, eletta, preziosa; e chiunque crede in lui non sarà confuso”. Per voi dunque che credete essa è preziosa, ma per gli increduli “la pietra che gli edificatori hanno rigettata è quella che è diventata la pietra angolare, e una pietra d’inciampo e un sasso d’intoppo”: essi, infatti, essendo disubbidienti, inciampano nella Parola e a questo sono stati anche destinati. Ma voi siete una generazione eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, affinché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce; voi, che già non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia. Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dalle carnali concupiscenze, che guerreggiano contro l’anima, avendo una buona condotta fra i Gentili, affinché laddove sparlano di voi come di malfattori, essi, per le vostre buone opere che avranno osservate, glorifichino Dio nel giorno che egli li visiterà. Siate soggetti, per amore del Signore, a ogni autorità creata dagli uomini: al re, come al sovrano; ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori e per dare lode a quelli che fanno il bene. Poiché questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti, come uomini liberi, che non usano la propria libertà come un velo per coprire la malignità, ma come servi di Dio. Onorate tutti. Amate la fratellanza. Temete Dio. Rendete onore al re. Domestici, siate con ogni timore soggetti ai vostri padroni, non soltanto ai buoni e giusti, ma anche a quelli che sono difficili. Perché è una grazia se qualcuno, per motivo di coscienza davanti a Dio, sopporta afflizioni, soffrendo ingiustamente. Infatti, che vanto c’è se, peccando ed essendo malmenati, voi sopportate pazientemente? Ma, se facendo il bene e soffrendo per questo, voi sopportate pazientemente, questa è cosa grata a Dio. Perché a questo siete stati chiamati: poiché anche Cristo ha patito per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme; “egli, che non commise peccato, e nella cui bocca non fu trovata alcuna frode”; che, oltraggiato, non rendeva gli oltraggi; che, soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva nelle mani di colui che giudica giustamente; egli stesso ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno, affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia, e mediante le sue lividure siete stati sanati. Poiché eravate erranti come pecore; ma ora siete tornati al Pastore e Vescovo delle anime vostre. Anche voi, mogli, siate sottomesse ai vostri mariti affinché, se anche ve ne sono che non ubbidiscono alla Parola, siano guadagnati senza parola dalla condotta delle loro mogli, quand’avranno considerato la vostra condotta casta e rispettosa. Il vostro ornamento non sia l’esteriore che consiste nell’intrecciatura dei capelli, nel mettersi addosso gioielli d’oro e nell’indossare belle vesti ma quello che è intimo e nascosto nel cuore, la purezza incorruttibile di uno spirito dolce e pacifico, che agli occhi di Dio è di grande valore. E così infatti si adornavano una volta le sante donne che speravano in Dio, stando soggette ai loro mariti, come Sara che ubbidiva ad Abraamo, chiamandolo signore, della quale voi siete ora figlie, se fate il bene e non vi lasciate turbare da spavento alcuno. Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché sono anch’esse eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite. Infine, siate tutti concordi, compassionevoli, pieni d’amor fraterno, misericordiosi e umili, non rendete male per male od oltraggio per oltraggio ma, al contrario, benedite, poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione. Perché: “Chi vuol amare la vita e vedere buoni giorni, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra dal parlare con frode; si ritragga dal male e faccia il bene; cerchi la pace e la persegua; perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti alle loro supplicazioni; ma la faccia del Signore è contro quelli che fanno il male”. E chi vi farà del male, se siete zelanti del bene? Ma, anche se doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomenti la paura che incutono e non vi agitate, anzi santificate Cristo come Signore nei vostri cuori, sempre pronti a rispondere a vostra difesa a chiunque vi domanda ragione della speranza che è in voi, ma con dolcezza e rispetto, avendo una buona coscienza, affinché quando sparlano di voi, siano svergognati quelli che calunniano la vostra buona condotta in Cristo. Perché è meglio, se pur tale è la volontà di Dio, che soffriate facendo il bene, anziché facendo il male. Poiché anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, egli giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio, essendo stato messo a morte, quanto alla carne, ma vivificato quanto allo spirito. In esso andò anche a predicare agli spiriti ritenuti in carcere, i quali un tempo furono ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava, ai giorni di Noè, mentre si preparava l’arca, nella quale poche anime, cioè otto, furono salvate attraverso l’acqua. Figura, questa, che corrisponde al battesimo, che non è eliminazione di sporcizia dal corpo, ma la richiesta di una buona coscienza verso Dio, il quale ora salva anche voi, mediante la risurrezione di Gesù Cristo, che, essendo andato in cielo, è alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti. Poiché dunque Cristo ha sofferto nella carne, anche voi armatevi di questo stesso pensiero, che, cioè, colui che ha sofferto nella carne ha cessato dal peccare, per consacrare il tempo che resta da passare nella carne, non più alle concupiscenze degli uomini, ma alla volontà di Dio. Infatti, già basta il tempo che avete passato a fare la volontà dei Gentili vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle gozzoviglie, negli sbevazzamenti e nelle illecite idolatrie. Perciò trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza e parlano male di voi. Essi renderanno ragione a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti. Poiché per questo è stato annunciato l’Evangelo anche ai morti; affinché, dopo aver subìto nel corpo il giudizio comune a tutti gli uomini, possano vivere mediante lo Spirito, secondo la volontà di Dio. La fine di ogni cosa è vicina, siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati. Siate ospitali gli uni verso gli altri senza mormorare. Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo faccia valere al servizio degli altri. Se uno parla, lo faccia come annunciando oracoli di Dio; se uno svolge un servizio, lo faccia come con la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen. Carissimi, non vi stupite della fornace accesa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano, anzi rallegratevene, in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, affinché anche alla rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi giubilando. Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia nei fatti altrui, ma, se uno patisce come cristiano, non se ne vergogni, ma glorifichi Dio portando questo nome. Infatti è giunto il tempo in cui il giudizio deve cominciare dalla casa di Dio e, se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non ubbidiscono all’Evangelo di Dio? E se il giusto è appena salvato, dove compariranno l’empio e il peccatore? Perciò anche quelli che soffrono secondo la volontà di Dio, raccomandino le anime loro al fedele Creatore, facendo il bene. Io esorto dunque gli anziani che sono fra voi, io che sono anziano con loro e testimone delle sofferenze di Cristo e che sarò pure partecipe della gloria che deve essere manifestata: pascete il gregge di Dio che è fra voi, non forzatamente, ma volonterosamente secondo Dio; non per vile guadagno, ma di buon animo; non come dominando quelli che vi sono affidati, ma essendo gli esempi del gregge. E quando apparirà il sommo Pastore, otterrete la corona della gloria che non appassisce. Così anche voi più giovani, siate soggetti agli anziani. E tutti rivestitevi d’umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli v’innalzi a suo tempo, gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze si compiono nella vostra fratellanza sparsa per il mondo. Ora il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà e vi stabilirà. A lui sia la potenza, nei secoli dei secoli. Amen. Per mezzo di Silvano, nostro fedele fratello, come io lo stimo, vi ho scritto brevemente esortandovi; e attestando che questa è la vera grazia di Dio; in essa state saldi. La chiesa che è in Babilonia, eletta come voi, vi saluta e così fa Marco, mio figlio. Salutatevi gli uni gli altri con un bacio d’amore. Pace a voi tutti che siete in Cristo. Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a quelli che hanno ottenuto una fede preziosa quanto la nostra nella giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo: grazia e pace vi siano moltiplicate nella conoscenza di Dio e di Gesù nostro Signore. La sua potenza divina ci ha donato tutte le cose che appartengono alla vita e alla pietà mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la propria gloria e virtù, attraverso le quali egli ci ha largito le sue preziose e grandissime promesse, perché per mezzo di esse voi foste fatti partecipi della natura divina, dopo essere fuggiti dalla corruzione che è nel mondo per via della concupiscenza. Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni premura, aggiungete alla fede vostra la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza l’autocontrollo, all’autocontrollo la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l’affetto fraterno e all’affetto fraterno l’amore. Perché, se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né oziosi né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo. Poiché colui nel quale queste cose non si trovano è cieco e miope, avendo dimenticato di essere stato purificato dei suoi vecchi peccati. Perciò, fratelli, impegnatevi sempre di più a rendere sicura la vostra vocazione ed elezione perché, facendo queste cose, non inciamperete mai. Così, infatti, vi sarà largamente provveduta l’entrata nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Perciò avrò cura di ricordarvi continuamente queste cose, benché le conosciate e siate stabiliti nella verità che vi è stata recata. E stimo cosa giusta, finché io sono in questa tenda, di risvegliarvi ricordandovele, perché so che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come il Signore nostro Gesù Cristo mi ha dichiarato. Ma mi sforzerò affinché, dopo la mia partenza, abbiate sempre modo di ricordarvi di queste cose. Poiché non è con l’andare dietro a favole artificiosamente composte che vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà. Poiché egli ricevette da Dio Padre onore e gloria quando giunse a lui quella voce dalla magnifica gloria: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”. E noi stessi udimmo quella voce che veniva dal cielo, quando eravamo con lui sul monte santo. Abbiamo pure la parola profetica più ferma, alla quale fate bene a prestare attenzione, come una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori, sapendo prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura procede da un’interpretazione personale, poiché non è dalla volontà dell’uomo che venne mai alcuna profezia, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo. Ma sorsero anche falsi profeti fra il popolo, come ci saranno anche fra voi falsi dottori che introdurranno di nascosto eresie di perdizione e, rinnegando il Signore che li ha riscattati, si attireranno addosso una rovina immediata. Molti li seguiranno nelle loro immoralità e, a causa loro, la via della verità sarà diffamata. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false, ma la loro condanna già da tempo è all’opera e la loro rovina non si farà aspettare. Perché, se Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li inabissò, confinandoli in antri tenebrosi per esservi custoditi per il giudizio; se non risparmiò il mondo antico ma salvò Noè predicatore di giustizia, con sette altri, quando fece venire il diluvio su un mondo di empi; se, riducendo in cenere le città di Sodoma e Gomorra, le condannò alla distruzione perché servissero d’esempio a quelli che in avvenire avrebbero vissuto empiamente e se salvò il giusto Lot che era contristato dalla condotta dissoluta degli scellerati (perché quel giusto, che abitava fra loro, per quanto vedeva e udiva si tormentava ogni giorno l’anima giusta a motivo delle loro opere inique), il Signore sa liberare i pii dalla tentazione e riservare gli ingiusti per essere puniti nel giorno del giudizio, soprattutto quelli che vanno dietro alla carne nelle passioni immonde e disprezzano l’autorità. Audaci, arroganti, non hanno orrore di dire male delle dignità, mentre gli angeli, benché maggiori di loro per forza e potenza, non portarono contro di esse, davanti al Signore, alcun giudizio maldicente. Ma costoro, come bruti senza ragione, nati alla vita animale per essere presi e distrutti, dicendo male di quel che ignorano, periranno nella loro corruzione, ricevendo il salario della propria iniquità. Essi trovano il loro piacere nel fare baldoria in pieno giorno; sono macchie e vergogne, godendo dei loro inganni mentre partecipano ai vostri conviti; hanno occhi pieni di adulterio e non possono smettere di peccare; adescano le anime instabili; hanno il cuore esercitato alla cupidigia; sono figli di maledizione. Lasciata la strada dritta, si sono smarriti, seguendo la via di Balaam, figlio di Beor che amò il salario dell’ingiustizia, ma fu ripreso per la sua prevaricazione: un’asina muta, parlando con voce umana, represse la follia del profeta. Costoro sono fonti senz’acqua e nuvole sospinte da un vento tempestoso; a loro è riservata la caligine delle tenebre. Con discorsi pomposi e vacui, adescano con i desideri carnali e le immoralità quelli che si erano già un poco allontanati da coloro che vivono nell’errore, promettono loro la libertà, mentre essi stessi sono schiavi della corruzione, perché uno diventa schiavo di ciò che l’ha vinto. Poiché, se dopo essere fuggiti dalle contaminazioni del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo, si lasciano di nuovo avviluppare in quelle e vincere, la loro condizione ultima diventa peggiore della prima. Perché meglio sarebbe stato per loro non aver conosciuto la via della giustizia, che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato dato loro. È avvenuto di loro quel che dice con verità il proverbio: “Il cane è tornato al suo vomito”, e: “La scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango”. Diletti, questa è già la seconda lettera che vi scrivo e in entrambe tengo desta la vostra mente sincera facendo appello alla vostra memoria, perché vi ricordiate delle parole già dette dai santi profeti e del comandamento del Signore e Salvatore, trasmessovi dai vostri apostoli, sapendo prima di tutto questo: negli ultimi giorni verranno degli schernitori con i loro scherni i quali si condurranno secondo le loro concupiscenze e diranno: “Dov’è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui i padri si sono addormentati tutte le cose continuano nel medesimo stato come dal principio della creazione”. Costoro dimenticano volontariamente questo: che nel passato, per effetto della parola di Dio, esistettero dei cieli e una terra tratta dall’acqua e sussistente in mezzo all’acqua, per i quali mezzi il mondo d’allora, sommerso dall’acqua, perì, mentre i cieli di adesso e la terra per la medesima parola sono custoditi, essendo riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della distruzione degli uomini empi. Ma voi, carissimi, non dimenticate quest’unica cosa: per il Signore un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno. Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come alcuni reputano che faccia, ma egli è paziente verso di voi, non volendo che alcuni periscano, ma che tutti giungano al ravvedimento. Ma il giorno del Signore verrà come un ladro; in esso i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno arse. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi, per santità di condotta e per pietà, aspettando e affrettando la venuta del giorno di Dio, per mezzo del quale i cieli infuocati si dissolveranno e gli elementi infiammati si scioglieranno! Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia. Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate di tutto per essere trovati, agli occhi suoi, immacolati e irreprensibili nella pace; e considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo ve l’ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue lettere, parlando di questi argomenti; in esse ci sono alcune cose difficili da capire, che gli uomini ignoranti e instabili torcono, come anche le altre Scritture, a loro propria perdizione. Voi dunque, carissimi, sapendo già queste cose, state in guardia, per non essere trascinati dall’errore degli scellerati e scadere così dalla vostra fermezza, ma crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. A lui sia la gloria, ora e in eterno. Amen. Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con gli occhi nostri, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della Parola della vita (e la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista, ne rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata), quello, dico, che abbiamo visto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, affinché voi pure abbiate comunione con noi, e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Noi vi scriviamo queste cose affinché la nostra gioia sia completa. Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunciamo: Dio è luce, e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo che abbiamo comunione con lui e camminiamo nell’oscurità, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità; ma se camminiamo nella luce, com’egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni ingiustizia. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo e la sua parola non è in noi. Figlioli miei, io vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto; egli è la propiziazione per i nostri peccati e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. E da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Io l’ho conosciuto”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui, ma chi osserva la sua parola, l’amore di Dio è in lui veramente compiuto. Da questo conosciamo che siamo in lui: chi dice di dimorare in lui, deve, anche lui, camminare nel modo in cui egli camminò. Diletti, non è un nuovo comandamento che io vi scrivo, ma un comandamento vecchio, che aveste dal principio: il comandamento vecchio è la Parola che avete udita. Tuttavia è un comandamento nuovo che io vi scrivo; il che è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno passando e la vera luce già risplende. Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello è tuttora nelle tenebre. Chi ama suo fratello dimora nella luce e non c’è in lui nulla che lo faccia inciampare. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove egli vada, perché le tenebre gli hanno accecato gli occhi. Figlioli, io vi scrivo perché i vostri peccati vi sono rimessi per il suo nome. Padri, vi scrivo perché avete conosciuto colui che è dal principio. Giovani, vi scrivo perché avete vinto il maligno. Fanciulli, vi ho scritto perché avete conosciuto il Padre. Padri, vi ho scritto perché avete conosciuto colui che è dal principio. Giovani, vi ho scritto perché siete forti, la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno. Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Poiché tutto quello che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non è dal Padre, ma è dal mondo. E il mondo passa via con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio dimora in eterno. Fanciulli, è l’ultima ora e, come avete udito, l’anticristo deve venire e fin da ora sono sorti molti anticristi. Da ciò conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri, perché, se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi, ma sono usciti affinché fossero manifestati e si vedesse che non tutti sono dei nostri. Quanto a voi, avete l’unzione dal Santo e tutti avete conoscenza. Io vi ho scritto non perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché tutto quel che è menzogna non ha a che fare con la verità. Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? Esso è l’anticristo, che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non ha neppure il Padre; chi confessa il Figlio ha anche il Padre. Quanto a voi, dimori in voi quel che avete udito dal principio. Se quel che avete udito dal principio dimora in voi, anche voi dimorerete nel Figlio e nel Padre. E questa è la promessa che egli ci ha fatta: la vita eterna. Vi ho scritto queste cose riguardo a quelli che cercano di sedurvi. Ma, quanto a voi, l’unzione che avete ricevuta da lui dimora in voi e non avete bisogno che alcuno vi insegni, ma, siccome l’unzione sua vi insegna ogni cosa, è veritiera e non è menzogna, dimorate in lui come essa vi ha insegnato. E ora, figlioli, dimorate in lui, affinché, quando egli apparirà, abbiamo fiducia e alla sua venuta non dobbiamo ritirarci da lui, coperti di vergogna. Se sapete che egli è giusto, sappiate che anche tutti quelli che praticano la giustizia sono nati da lui. Vedete quale amore ci ha dato il Padre, quello di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo non ci conosce il mondo: perché non ha conosciuto lui. Diletti, ora siamo figli di Dio e non è ancora stato manifestato quel che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è. E chiunque ha questa speranza in lui si purifica com’egli è puro. Chiuque commette il peccato commette una violazione della legge e il peccato è la violazione della legge. E voi sapete che egli è stato manifestato per togliere i peccati; e in lui non c’è peccato. Chiunque dimora in lui non pecca; chiunque pecca non l’ha visto né conosciuto. Figlioli, nessuno vi seduca. Chi opera la giustizia è giusto, come egli è giusto. Chi commette il peccato è dal diavolo, perché il diavolo pecca dal principio. Per questo il Figlio di Dio è stato manifestato: per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché il suo seme dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio. Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chiunque non opera la giustizia non è da Dio e così pure chi non ama suo fratello. Poiché questo è il messaggio che avete udito dal principio: che ci amiamo gli uni gli altri, non come Caino che era dal maligno e uccise suo fratello. Perché l’uccise? Perché le sue opere erano malvagie e quelle di suo fratello erano giuste. Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia suo fratello è omicida e voi sapete che nessun omicida ha la vita eterna dimorante in sé stesso. Noi abbiamo conosciuto l’amore da questo: egli ha dato la sua vita per noi; noi pure dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se uno ha dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno, e non ha pietà di lui, come potrebbe dimorare l’amore di Dio in lui? Figlioli, non amiamo a parole e con la lingua, ma a fatti e in verità. Da questo conosceremo che siamo della verità e renderemo sicuri i nostri cuori davanti a Lui. Poiché, se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Diletti, se il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo le cose che gli sono grate. E questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il comandamento che ci ha dato. E chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. Da questo conosciamo che egli dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato. Diletti, non crediate a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti fuori nel mondo. Da questo conoscete lo Spirito di Dio: ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto in carne è da Dio, e ogni spirito che non confessa Gesù non è da Dio; quello è lo spirito dell’anticristo, del quale avete udito che deve venire e ora è già nel mondo. Voi siete da Dio, figlioli, e li avete vinti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Costoro sono del mondo, perciò parlano come chi è del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio; chi conosce Dio ci ascolta, chi non è da Dio non ci ascolta. Da questo conosciamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore. Diletti, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché, per mezzo di lui, vivessimo. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi e ha mandato suo Figlio per essere la propiziazione per i nostri peccati. Diletti, se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio dimora in noi e il suo amore diventa perfetto in noi. Da questo conosciamo che dimoriamo in lui ed egli in noi: egli ci ha dato del suo Spirito. E noi abbiamo visto e testimoniamo che il Padre ha mandato il Figlio per essere il Salvatore del mondo. Chi confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto. Dio è amore e chi dimora nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. In questo l’amore è reso perfetto in noi, affinché abbiamo piena fiducia nel giorno del giudizio: che quale egli è, tali siamo anche noi in questo mondo. Nell’amore non c’è paura; anzi, l’amore perfetto caccia via la paura, perché la paura implica apprensione di castigo e chi ha paura non è perfetto nell’amore. Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è bugiardo, perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. E questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: chi ama Dio ami anche suo fratello. Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio e chiunque ama colui che ha generato ama anche chi è stato da lui generato. Da questo conosciamo che amiamo i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. Perché questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti e i suoi comandamenti non sono gravosi. Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. Chi è colui che vince il mondo, se non colui che crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e con sangue, cioè Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che ne rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e i tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, maggiore è la testimonianza di Dio e la testimonianza di Dio è quella che egli ha reso al Figlio suo. Chi crede nel Figlio di Dio ha questa testimonianza in sé; chi non crede a Dio l’ha fatto bugiardo, perché non ha creduto alla testimonianza che Dio ha resa al proprio Figlio. E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel Figlio suo. Chi ha il Figlio ha la vita, chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita. Io vi ho scritto queste cose affinché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio. Questa è la fiducia che abbiamo in lui: se domandiamo qualcosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce e, se sappiamo che egli ci esaudisce in quello che gli chiediamo, noi sappiamo di avere le cose che gli abbiamo domandate. Se uno vede il suo fratello commettere un peccato che non conduca a morte, pregherà, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono un peccato che non conduca a morte. Vi è un peccato che conduce a morte, non è per quello che dico di pregare. Ogni ingiustizia è peccato, ma c’è un peccato che non conduce a morte. Noi sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca, ma chi è stato generato da Dio lo tiene al sicuro e il maligno non lo tocca. Noi sappiamo che siamo da Dio e che tutto il mondo giace nel maligno, ma sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere colui che è il vero; noi siamo in colui che è il vero, nel Figlio suo Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna. Figlioli, guardatevi dagli idoli. L’anziano alla signora eletta e ai suoi figli che io amo nella verità (e non soltanto io ma anche tutti quelli che hanno conosciuto la verità), a motivo della verità che dimora in noi e sarà con noi in eterno: grazia, misericordia, pace saranno con noi da Dio Padre e da Gesù Cristo, il Figlio del Padre, nella verità e nell’amore. Mi sono grandemente rallegrato di aver trovato dei tuoi figli che camminano nella verità, come ne abbiamo ricevuto comandamento dal Padre. E ora ti prego, signora, non come se ti scrivessi un comandamento nuovo, ma quello che abbiamo avuto dal principio: amiamoci gli uni gli altri! E questo è l’amore, che camminiamo secondo i suoi comandamenti. Questo è il comandamento in cui dovete camminare come avete imparato fin da principio. Poiché molti seduttori sono usciti per il mondo i quali non confessano Gesù Cristo essere venuto in carne. Quello è il seduttore e l’anticristo. Badate a voi stessi affinché non perdiate il frutto delle opere compiute, ma riceviate piena ricompensa. Chi passa oltre e non dimora nella dottrina di Cristo non ha Dio. Chi dimora nella dottrina ha il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non reca questa dottrina, non lo ricevete in casa e non lo salutate, perché chi lo saluta partecipa alle sue opere malvagie. Pur avendo molte cose da scrivervi, non ho voluto farlo per mezzo di carta e d’inchiostro, ma spero di venire da voi e di parlarvi a voce, affinché la nostra gioia sia completa. I figli della tua sorella eletta ti salutano. L’anziano al diletto Gaio, che io amo nella verità. Carissimo, io prego che in ogni cosa tu prosperi e stia in salute, come prospera l’anima tua. Perché mi sono grandemente rallegrato quando sono venuti dei fratelli che hanno reso testimonianza della tua verità, del modo nel quale tu cammini nella verità. Io non ho maggiore allegrezza di questa: udire che i miei figli camminano nella verità. Carissimo, tu operi fedelmente in quel che fai a favore dei fratelli che sono, per di più, stranieri. Essi hanno reso testimonianza del tuo amore davanti alla chiesa e farai bene a provvedere al loro viaggio in modo degno di Dio, perché sono partiti per amore del nome di Cristo, senza prendere alcunché dai pagani. Noi dunque dobbiamo accogliere persone come queste, per essere cooperatori con la verità. Ho scritto qualcosa alla chiesa ma Diotrefe, che cerca d’avere il primato fra loro, non ci riceve. Perciò, se vengo, io ricorderò le opere che fa, sparlando contro di noi con male parole e, non contento di questo, non soltanto non riceve egli stesso i fratelli, ma a quelli che vorrebbero riceverli impedisce di farlo e li caccia fuori dalla chiesa. Carissimo, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha visto Dio. A Demetrio è resa testimonianza da tutti e dalla verità stessa; anche noi gli rendiamo testimonianza; e tu sai che la nostra testimonianza è vera. Avevo molte cose da scriverti, ma non voglio scrivertele con inchiostro e penna. Ma spero di vederti presto e ci parleremo a voce. La pace sia con te. Gli amici ti salutano. Saluta gli amici a uno a uno. Giuda, servo di Gesù Cristo e fratello di Giacomo, ai chiamati che sono amati in Dio Padre e custoditi da Gesù Cristo, misericordia, pace e amore vi siano moltiplicate. Diletti, avendo un grande desiderio di scrivervi della nostra comune salvezza, mi sono trovato costretto a farlo per esortarvi a combattere strenuamente per la fede, che è stata una volta per sempre tramandata ai santi. Poiché si sono infiltrati fra noi certi uomini (per i quali già da tempo è scritta questa condanna), empi che volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio e negano il nostro unico Padrone e Signore Gesù Cristo. Ora voglio ricordare a voi che avete da tempo conosciuto tutto questo, che il Signore, dopo aver tratto in salvo il popolo dal paese di Egitto, fece in seguito perire quelli che non credettero. Egli ha pure custodito in catene eterne e nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno, gli angeli che non conservarono la loro dignità, ma lasciarono la loro dimora. Allo stesso modo Sodoma e Gomorra e le città vicine, essendosi abbandonate alla fornicazione nella stessa maniera di costoro ed essendo andate dietro a vizi contro natura, sono poste come un esempio, portando la pena di un fuoco eterno. Tuttavia anche costoro, nello stesso modo, facendo affidamento sui loro sogni, contaminano la carne e disprezzano l’autorità e calunniano le dignità. Invece l’arcangelo Michele quando, contendendo con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non ardì lanciare contro di lui un giudizio ingiurioso, ma disse: “Ti sgridi il Signore!”. Ma costoro dicono male di tutte le cose che non sanno e si corrompono in quelle che sanno per istinto, come bestie senza ragione. Guai a loro! Perché si sono incamminati per la via di Caino e, per amor di lucro, si sono gettati nei traviamenti di Balaam e sono periti per la ribellione di Core. Costoro sono delle macchie nelle vostre agapi quando banchettano con voi senza ritegno, pascendo sé stessi; nuvole senza acqua, portate qua e là dai venti; alberi d’autunno senza frutti, due volte morti, sradicati; furiose onde del mare, schiumanti la loro bruttura; stelle erranti, a cui è riservata l’oscurità delle tenebre in eterno. Per loro pure profetizzò Enoc, il settimo da Adamo, dicendo: “Ecco, il Signore è venuto con le sue sante miriadi per giudicare tutti e per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà che hanno empiamente commesse e di tutti gli insulti che gli empi peccatori hanno pronunciati contro di lui”. Costoro sono dei mormoratori, degli scontenti; camminano secondo le loro passioni; la loro bocca proferisce cose incredibilmente gonfie e circondano di ammirazione le persone per motivi d’interesse. Ma voi, diletti, ricordatevi delle parole predette dagli apostoli del Signore nostro Gesù Cristo, come essi vi dicevano: “Nell’ultimo tempo vi saranno degli schernitori che cammineranno secondo le loro empie passioni”. Costoro sono quelli che provocano le divisioni, gente sensuale, che non ha lo Spirito. Ma voi, diletti, edificando voi stessi sulla vostra santissima fede, pregando mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, aspettando la misericordia del nostro Signore Gesù Cristo per avere la vita eterna. Abbiate pietà di quelli che sono nel dubbio, salvateli, strappandoli dal fuoco, e degli altri abbiate pietà mista a timore, odiando perfino la veste contaminata dalla carne. A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria irreprensibili, con giubilo, al Dio unico, nostro Salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, siano gloria, maestà, forza e potere, da ogni eternità, ora e per tutti i secoli. Amen. La rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire tra breve; egli l’ha fatta conoscere mandandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni, il quale ha attestato la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo e tutto ciò che ha visto. Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che sono scritte in essa, poiché il tempo è vicino! Giovanni alle sette chiese che sono nell’Asia: grazia a voi e pace da colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che sono davanti al suo trono e da Gesù Cristo, il fedele testimone, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A lui che ci ama, ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue e ci ha fatti essere un regno e dei sacerdoti del Dio e Padre suo, a lui siano la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero e tutte le tribù della terra faranno cordoglio per lui. Sì, Amen. “Io sono l’Alfa e l’Omega”, dice il Signore Dio, “che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. Io, Giovanni, vostro fratello e partecipe con voi della tribolazione, del regno e della costanza in Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos a motivo della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui rapito nello Spirito nel giorno del Signore, e udii dietro a me una grande voce, come il suono di una tromba, che diceva: “Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea”. Io mi voltai per vedere la voce che mi parlava; come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un figlio d’uomo, vestito di una veste lunga fino ai piedi e cinto di una cintura d’oro all’altezza del petto. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana, candida come neve; i suoi occhi erano come una fiamma di fuoco; i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace, e la sua voce era come il suono di molte acque. Nella sua mano destra egli teneva sette stelle; dalla sua bocca usciva una spada affilata, a due tagli, e il suo volto era come il sole quando splende nella sua forza. Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli mise la sua mano destra su di me, dicendo: “Non temere; io sono il primo e l’ultimo, e il Vivente; fui morto, ma ecco sono vivente per i secoli dei secoli e tengo le chiavi della morte e dell’Ades. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito, il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia destra e dei sette candelabri d’oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese e i sette candelabri sono le sette chiese”. “All’angelo della chiesa d’Efeso scrivi: queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro: ‘Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza e che non puoi sopportare i malvagi; hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi. Hai costanza, hai sopportato molte cose per amore del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai lasciato il tuo primo amore. Ricordati dunque da dove sei caduto; ravvediti e fa’ le opere di prima, se no verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi. Tuttavia hai questo: odi le opere dei Nicolaiti, le quali odio anch’io. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio’”. “All’angelo della chiesa di Smirne scrivi: queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita: ‘Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (eppure sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, perché siate provati, e avrete una tribolazione di dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda’”. “All’angelo della chiesa di Pergamo scrivi: queste cose dice colui che ha la spada affilata a due tagli: ‘Io conosco dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana, tuttavia tu ritieni fermamente il mio nome, e non hai rinnegato la mia fede, neppure nei giorni in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu ucciso fra voi, dove abita Satana. Ma ho alcune poche cose contro di te: hai di quelli che professano la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac a porre un intoppo davanti ai figli d’Israele, inducendoli a mangiare delle cose sacrificate agli idoli e a fornicare. Così anche tu hai di quelli che, similmente, professano la dottrina dei Nicolaiti. Ravvediti dunque, se no verrò presto a te, e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò della manna nascosta, e gli darò una pietruzza bianca, e sulla pietruzza scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve’”. “E all’angelo della chiesa di Tiatiri scrivi: queste cose dice il Figlio di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i cui piedi sono simili a bronzo incandescente: ‘Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza e so che le tue opere ultime sono più numerose delle prime. Ma ho questo contro di te: tu tolleri quella donna Iezabel che si dice profetessa e insegna e seduce i miei servitori perché commettano fornicazione e mangino cose sacrificate agli idoli. Le ho dato tempo per ravvedersi, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione. Ecco, io getto lei sopra un letto di dolore e quelli che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, se non si ravvedono delle opere che ella compie. E metterò a morte i suoi figli; tutte le chiese conosceranno che io sono colui che investigo le reni e i cuori e darò a ciascuno di voi secondo le vostre opere. Ma agli altri di voi in Tiatiri, che non professate questa dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non v’impongo altro peso. Soltanto, quello che avete tenetelo fermamente finché io venga. A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine io darò potere sulle nazioni ed egli le governerà con una verga di ferro, frantumandole come vasi d’argilla, come anch’io ho ricevuto potere dal Padre mio. E gli darò la stella mattutina. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese’”. “All’angelo della chiesa di Sardi scrivi: queste cose dice colui che ha i sette spiriti di Dio e le sette stelle: ‘Io conosco le tue opere: tu hai fama di vivere e sei morto. Sii vigilante e rafforza il resto che sta per morire, poiché non ho trovato le tue opere compiute davanti al mio Dio. Ricordati dunque di quanto hai ricevuto e udito; serbalo e ravvediti. Perché, se tu non vegli, io verrò come un ladro e tu non saprai a quale ora verrò da te. Tuttavia hai alcuni pochi in Sardi che non hanno contaminato le loro vesti; essi cammineranno con me in vesti bianche, perché ne sono degni. Chi vince sarà così vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese’”. “All’angelo della chiesa di Filadelfia scrivi: queste cose dice il Santo, il Verace, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, colui che chiude e nessuno apre: ‘Io conosco le tue opere. Ecco, io ti ho posta davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere, perché, pur avendo poca forza, hai custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Ecco, io ti do di quelli della sinagoga di Satana, i quali dicono di essere Giudei e non lo sono, ma mentono; ecco, io li farò venire a prostrarsi ai tuoi piedi e conosceranno che io ti ho amato. Perché tu hai custodito la parola della mia costanza, anch’io ti guarderò dall’ora della prova che sta per venire su tutto il mondo, per mettere alla prova quelli che abitano sulla terra. Io vengo presto; tieni fermamente quello che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona. Chi vince io lo farò una colonna nel tempio del mio Dio ed egli non ne uscirà mai più; scriverò su lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso il mio Dio, e il mio nuovo nome. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese’”. “All’angelo della chiesa di Laodicea scrivi: queste cose dice l’Amen, il testimone fedele e verace, il principio della creazione di Dio: ‘Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca. Poiché tu dici: sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla; non sai che tu sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. Io ti consiglio di comprare da me dell’oro affinato con il fuoco, affinché tu arricchisca, e delle vesti bianche, affinché tu ti vesta e non appaia la vergogna della tua nudità e del collirio per ungertene gli occhi, affinché tu veda. Tutti quelli che amo, io li riprendo e li disciplino; abbi dunque zelo e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e busso: se uno ode la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. Chi vince lo farò sedere con me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono posto a sedere con il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese’”. Dopo queste cose io vidi una porta aperta nel cielo, e la prima voce, che mi aveva già parlato come uno squillo di tromba, mi disse: “Sali qua e io ti mostrerò le cose che devono avvenire in seguito”. Subito fui rapito nello Spirito; ed ecco, un trono era posto nel cielo e sul trono c’era uno seduto. Colui che vi sedeva era nell’aspetto simile a una pietra di diaspro e di sardonico e intorno al trono c’era un arcobaleno che, a vederlo, somigliava a uno smeraldo. Attorno al trono c’erano ventiquattro troni; sui troni sedevano ventiquattro anziani, vestiti di vesti bianche, e avevano delle corone d’oro sul capo. Dal trono procedevano lampi, voci e tuoni; davanti al trono c’erano sette lampade ardenti, che sono i sette spiriti di Dio; davanti al trono c’era come un mare di vetro, simile al cristallo; in mezzo al trono e intorno al trono, quattro creature viventi, piene di occhi davanti e di dietro. La prima creatura vivente era simile a un leone, la seconda simile a un vitello, la terza aveva la faccia come di un uomo e la quarta era simile a un’aquila volante. Le quattro creature viventi avevano ognuna sei ali, ed erano piene d’occhi tutt’intorno e di dentro, e non cessavano mai, giorno e notte, di dire: “Santo, santo, santo è il Signore Dio, l’Onnipotente, che era, che è e che viene”. Ogni volta che le creature viventi rendono gloria, onore e grazie a colui che siede sul trono, a colui che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro anziani si prostrano davanti a colui che siede sul trono e adorano colui che vive nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono, dicendo: “Degno sei, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza, poiché tu creasti tutte le cose, e per la tua volontà esistettero e furono create”. Vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo potente che gridava con gran voce: “Chi è degno d’aprire il libro e di romperne i sigilli?”. E nessuno, né in cielo né sulla terra né sotto la terra, poteva aprire il libro o guardarlo. Io piangevo forte perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro o di guardarlo. E uno degli anziani mi disse: “Non piangere; ecco, il leone della tribù di Giuda, la radice di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli”. Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che pareva essere stato immolato e aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio, mandati per tutta la terra. Egli venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono. Quando ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e delle coppe d’oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi. Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti, e regneranno sulla terra”. E vidi e udii una voce di molti angeli intorno al trono, alle creature viventi e agli anziani, il loro numero era di miriadi di miriadi e di migliaia di migliaia, che dicevano con gran voce: “Degno è l’Agnello che è stato immolato di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la benedizione”. E tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose che sono in essi, le udii che dicevano: “A colui che siede sul trono e all’Agnello siano la benedizione, l’onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli”. Le quattro creature viventi dicevano: “Amen!” e gli anziani si prostrarono e adorarono. Poi vidi quando l’Agnello aprì uno dei sette sigilli e udii una delle quattro creature viventi che diceva, con voce come di tuono: “Vieni”. Guardai e vidi un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli venne fuori da vincitore, e per vincere. Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii la seconda creatura vivente che diceva: “Vieni”. E venne fuori un altro cavallo, rosso; e a colui che lo cavalcava fu dato di togliere la pace dalla terra, affinché gli uomini si uccidessero gli uni gli altri, e gli fu data una grande spada. Quando aprì il terzo sigillo, udii la terza creatura vivente che diceva: “Vieni”. Io vidi, ed ecco un cavallo nero; colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii come una voce in mezzo alle quattro creature viventi che diceva: “Una misura di frumento per un denaro e tre misure d’orzo per un denaro, ma non danneggiare né l’olio né il vino”. Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce della quarta creatura vivente che diceva: “Vieni”. Io vidi, ed ecco un cavallo giallastro; colui che lo cavalcava aveva nome Morte e gli teneva dietro l’Ades. Fu loro dato potere sopra la quarta parte della terra di uccidere con la spada, con la fame, con la mortalità e con le belve della terra. Quando aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano resa; essi gridarono con gran voce, dicendo: “Fino a quando, o nostro Signore che sei santo e verace, non giudicherai e non vendicherai il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?”. E a ciascuno di essi fu data una veste bianca e fu detto loro che si riposassero ancora un po’ di tempo, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro. Vidi quando l’Agnello aprì il sesto sigillo; si fece un grande terremoto, il sole divenne nero come un sacco di crine e tutta la luna diventò come sangue; le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da un gran vento lascia cadere i suoi fichi immaturi. Il cielo si ritrasse come una pergamena che si arrotola; ogni montagna e ogni isola fu rimossa dal suo luogo. I re della terra, i grandi, i capitani, i ricchi, i potenti e ogni servo e ogni libero si nascosero nelle spelonche e nelle rocce dei monti e dicevano ai monti e alle rocce: “Cadeteci addosso e nascondeteci dalla presenza di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, perché è venuto il gran giorno della sua ira e chi può resistere?”. Dopo questo, vidi quattro angeli che stavano in piedi ai quattro angoli della terra; essi trattenevano i quattro venti della terra, affinché non soffiasse alcun vento sulla terra né sopra il mare né sopra alcun albero. E vidi un altro angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il sigillo del Dio vivente; egli gridò con gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso di danneggiare la terra e il mare, dicendo: “Non danneggiate la terra né il mare né gli alberi, finché non abbiamo segnato sulla fronte, con il sigillo, i servi del nostro Dio”. E udii il numero dei segnati: centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù dei figli d’Israele: della tribù di Giuda dodicimila segnati, della tribù di Ruben dodicimila, della tribù di Gad dodicimila, della tribù di Aser dodicimila, della tribù di Neftali dodicimila, della tribù di Manasse dodicimila, della tribù di Simeone dodicimila, della tribù di Levi dodicimila, della tribù di Issacar dodicimila, della tribù di Zabulon dodicimila, della tribù di Giuseppe dodicimila, della tribù di Beniamino dodicimila segnati. Dopo queste cose vidi una grande folla, che nessun uomo poteva contare, di tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di vesti bianche e con delle palme in mano. E gridavano a gran voce, dicendo: “La salvezza appartiene al nostro Dio, il quale siede sul trono, e all’Agnello”. E tutti gli angeli stavano in piedi intorno al trono, agli anziani e alle quattro creature viventi; si prostrarono sulle loro facce davanti al trono e adorarono Dio, dicendo: “Amen! Al nostro Dio la benedizione, la gloria, la sapienza, il ringraziamento, l’onore, la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen”. Allora uno degli anziani mi rivolse la parola, dicendomi: “Chi sono queste persone vestite di bianco e da dove sono venute?”. Io gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. Ed egli mi disse: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione; essi hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Perciò sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte nel suo tempio; colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura, perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pasturerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita e Dio asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro”. Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa lo spazio di mezz’ora. Vidi i sette angeli che stanno in piedi davanti a Dio e furono date loro sette trombe. Un altro angelo venne e si fermò presso l’altare, avendo un turibolo d’oro, e gli furono dati molti profumi affinché li unisse alle preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro posto davanti al trono. E il fumo dei profumi, unendosi alle preghiere dei santi, salì dalla mano dell’angelo davanti a Dio. Poi l’angelo prese il turibolo, lo riempì del fuoco dell’altare e lo gettò sulla terra; e ne seguirono tuoni, voci, lampi e un terremoto. I sette angeli che avevano le sette trombe si prepararono a suonare. Il primo suonò e vi fu grandine e fuoco, mescolati con sangue, che furono gettati sulla terra; la terza parte della terra fu arsa, la terza parte degli alberi fu arsa e ogni erba verde fu arsa. Il secondo angelo suonò e una massa simile a una grande montagna ardente fu gettata nel mare; e la terza parte del mare divenne sangue, e la terza parte delle creature viventi che erano nel mare morì, e la terza parte delle navi fu distrutta. Il terzo angelo suonò e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia; cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle fonti delle acque. Il nome della stella è Assenzio; la terza parte delle acque divenne assenzio e molti uomini morirono a causa di quelle acque, perché erano diventate amare. Il quarto angelo suonò e un terzo del sole, un terzo della luna e un terzo delle stelle furono colpiti, in modo che un terzo di essi si oscurasse e il giorno non brillasse per un terzo, e la notte allo stesso modo. Allora guardai e udii un’aquila che volava in mezzo al cielo e diceva con gran voce: “Guai, guai, guai a quelli che abitano sulla terra, a causa degli altri suoni di tromba che tre angeli stanno per suonare!”. Poi il quinto angelo suonò e io vidi una stella caduta dal cielo sulla terra; e a lui fu data la chiave del pozzo dell’abisso. Egli aprì il pozzo dell’abisso e dal pozzo salì un fumo simile al fumo di una gran fornace e il sole e l’aria furono oscurati dal fumo del pozzo. Dal fumo uscirono sulla terra delle cavallette, a cui fu dato un potere pari al potere che hanno gli scorpioni della terra. Fu detto loro di non danneggiare l’erba della terra né alcuna verdura né alcun albero, ma soltanto gli uomini che non avevano il sigillo di Dio in fronte. Fu loro concesso, non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi con un dolore simile a quello prodotto dallo scorpione quando punge un uomo. In quei giorni gli uomini cercheranno la morte e non la troveranno, desidereranno morire e la morte fuggirà da loro. L’aspetto delle cavallette era simile a cavalli pronti per la guerra; sulla testa avevano come delle corone simili a oro e le loro facce erano come facce di uomini. Avevano dei capelli come capelli di donne e i denti erano come denti di leoni. Avevano delle corazze come corazze di ferro e il rumore delle loro ali era come il rumore di carri, tirati da molti cavalli che si precipitano in battaglia. Avevano delle code come quelle degli scorpioni e degli aculei; e nelle code stava il loro potere di danneggiare gli uomini per cinque mesi. E avevano come re sopra di loro l’angelo dell’abisso, il cui nome in ebraico è Abaddon e in greco Apollion. Il primo guaio è passato: ecco, vengono ancora due guai dopo queste cose. Poi il sesto angelo suonò e io udii una voce dalle quattro corna dell’altare d’oro che era davanti a Dio, la quale diceva al sesto angelo che aveva la tromba: “Sciogli i quattro angeli che sono legati sul grande fiume Eufrate”. E furono sciolti i quattro angeli che erano stati preparati per quell’ora, per quel giorno e mese e anno, per uccidere la terza parte degli uomini. Il numero degli eserciti della cavalleria era di venti migliaia di decine di migliaia; io udii il loro numero. Ed ecco come mi apparvero nella visione i cavalli e quelli che li cavalcavano: avevano delle corazze color di fuoco, di giacinto e di zolfo; le teste dei cavalli erano come teste di leoni e dalla loro bocca usciva fuoco, fumo e zolfo. Da queste tre piaghe: dal fuoco, dal fumo e dallo zolfo, che usciva dalla loro bocca, fu uccisa la terza parte degli uomini. Il potere dei cavalli era nella loro bocca e nelle loro code, poiché le loro code erano simili a serpenti: avevano delle teste e con esse danneggiavano. I restanti uomini, che non furono uccisi da queste piaghe, non si ravvidero delle opere delle loro mani, non smisero di adorare i demòni e gli idoli d’oro, d’argento, di rame, di pietra e di legno, i quali non possono né vedere, né udire, né camminare, e non si ravvidero dei loro omicidi né delle loro magie né delle loro fornicazioni né dei loro furti. Vidi un altro angelo potente che scendeva dal cielo, avvolto in una nuvola; sopra il suo capo vi era l’arcobaleno; la sua faccia era come il sole e i suoi piedi come colonne di fuoco; egli aveva in mano un libretto aperto e posò il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra; e gridò con gran voce nel modo in cui rugge il leone e, quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire le loro voci. Quando i sette tuoni ebbero fatto udire le loro voci, io stavo per scrivere, ma udii una voce dal cielo che mi disse: “Sigilla le cose che i sette tuoni hanno detto e non le scrivere”. Poi l’angelo che avevo visto stare in piedi sul mare e sulla terra alzò la mano destra al cielo e giurò per colui che vive nei secoli dei secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso, la terra e le cose che sono in essa, il mare e le cose che sono in esso, che non ci sarebbe stato più indugio, ma che nei giorni della voce del settimo angelo, quando egli avrebbe suonato, si sarebbe compiuto il mistero di Dio, secondo ciò che egli ha annunciato ai suoi servitori, i profeti. Allora la voce che avevo udita dal cielo mi parlò di nuovo e disse: “Va’, prendi il libro che è aperto in mano all’angelo che sta in piedi sul mare e sulla terra”. Io andai dall’angelo, dicendogli di darmi il libretto. Ed egli mi disse: “Prendilo e divoralo: esso sarà amaro alle tue viscere, ma in bocca ti sarà dolce come miele”. Presi il libretto dalla mano dell’angelo e lo divorai; mi fu dolce in bocca, come miele, ma quando lo ebbi divorato, le mie viscere sentirono amarezza. E mi fu detto: “Bisogna che tu profetizzi di nuovo sopra molti popoli, nazioni, lingue e re”. Poi mi fu data una canna simile a una verga e mi fu detto: “Àlzati, misura il tempio di Dio e l’altare e conta quelli che vi adorano, ma tralascia il cortile che è fuori del tempio, e non lo misurare, perché esso è stato dato ai Gentili e questi calpesteranno la santa città per quarantadue mesi. Io darò ai miei due testimoni di profetizzare ed essi profetizzeranno per milleduecentosessanta giorni, vestiti di cilicio. Questi sono i due ulivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra. E, se qualcuno vorrà fare loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici così, se qualcuno vorrà fare loro del male, bisogna che sia ucciso in questa maniera. Essi hanno il potere di chiudere il cielo, affinché non cada pioggia durante i giorni della loro profezia, e hanno il potere di cambiare le acque in sangue e di percuotere la terra con qualsiasi piaga, quante volte vorranno. E quando avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra, li vincerà e li ucciderà. E i loro cadaveri giaceranno sulla piazza della grande città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore è stato crocifisso. Gli uomini dei vari popoli, tribù, lingue e nazioni vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non lasceranno che i loro cadaveri siano posti in un sepolcro. Gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra. E dopo tre giorni e mezzo uno spirito di vita procedente da Dio entrò in loro, essi si alzarono in piedi e grande spavento cadde su quelli che li videro. Ed essi udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: ‘Salite qua’. Essi salirono al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro. In quell’ora ci fu un grande terremoto che fece crollare la decima parte della città e settemila persone furono uccise nel terremoto; i superstiti furono spaventati e diedero gloria al Dio del cielo”. Il secondo guaio è passato; ma ecco, il terzo guaio verrà presto. Poi il settimo angelo suonò e si fecero grandi voci nel cielo, che dicevano: “Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo ed egli regnerà nei secoli dei secoli”. E i ventiquattro anziani seduti davanti a Dio sui loro troni si prostrarono con la faccia a terra e adorarono Dio, dicendo: “Noi ti ringraziamo, Signore Dio onnipotente, che sei e che eri, perché hai preso il tuo grande potere e hai cominciato a regnare. Le nazioni si erano adirate, ma l’ira tua è giunta ed è giunto il tempo di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servitori, ai profeti, ai santi e a quelli che temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra”. Allora il tempio di Dio che è in cielo fu aperto, nel suo tempio si vide l’arca del suo patto e vi furono lampi, voci, tuoni, un terremoto e una forte grandinata. Poi apparve nel cielo un grande segno: una donna rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie tormentose del parto. Apparve un altro segno nel cielo ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi. La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le gettò sulla terra. Il dragone si fermò davanti alla donna che stava per partorire, per divorarne il figlio, quando l’avrebbe partorito. Ed ella partorì un figlio maschio che deve governare tutte le nazioni con verga di ferro; e il figlio di lei fu rapito vicino a Dio e al suo trono. Allora la donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, affinché vi sia nutrita per milleduecentosessanta giorni. E vi fu battaglia in cielo: Michele e i suoi angeli combatterono contro il dragone. Il dragone e i suoi angeli combatterono, ma non vinsero e non si trovò più posto per loro in cielo. E il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato Diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù; fu gettato sulla terra e con lui furono gettati i suoi angeli. E io udii una grande voce nel cielo che diceva: “Ora è venuta la salvezza, la potenza, il regno del nostro Dio e il potere del suo Cristo, perché è stato gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava davanti al nostro Dio, giorno e notte. Ma essi l’hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e per mezzo della parola della loro testimonianza; non hanno amata la loro vita, anzi l’hanno esposta alla morte. Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi. Guai a voi, o terra, o mare! Perché il diavolo è sceso a voi con gran furore, sapendo di non avere che breve tempo”. E quando il dragone si vide gettato sulla terra, perseguitò la donna che aveva partorito il figlio maschio. Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila, affinché se ne volasse nel deserto, nel suo luogo, dove è nutrita un tempo, dei tempi e la metà di un tempo, lontano dalla presenza del serpente. E il serpente gettò dell’acqua dalla sua bocca, dietro alla donna, come un fiume, per farla portare via dalla corrente. Ma la terra soccorse la donna; la terra aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il dragone aveva gettato fuori dalla sua bocca. Allora il dragone si adirò contro la donna e andò a far guerra a quelli che restano della discendenza di lei, che osservano i comandamenti di Dio e possiedono la testimonianza di Gesù. E si fermò sulla riva del mare. E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle sue corna dieci diademi e sulle sue teste un nome blasfemo. E la bestia che io vidi era simile a un leopardo; i suoi piedi erano come di orso e la sua bocca come bocca di leone. Il dragone le diede la propria potenza, il proprio trono e grande autorità. E io vidi una delle sue teste come ferita a morte; la sua piaga mortale fu sanata e tutta la terra meravigliata andò dietro alla bestia. E adorarono il dragone perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia, dicendo: “Chi è simile alla bestia? E chi può guerreggiare contro di lei?”. E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo. Le fu anche dato di far guerra ai santi e di vincerli, di avere autorità sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione. E tutti gli abitanti della terra, i cui nomi non sono scritti fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato, l’adoreranno. Se uno ha orecchio, ascolti. Se uno deve andare in cattività, andrà in cattività; se uno uccide con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada. Qui sta la costanza e la fede dei santi. Poi vidi un’altra bestia, che saliva dalla terra e aveva due corna come quelle di un agnello, ma parlava come un dragone. Essa esercitava tutto il potere della prima bestia, in sua presenza, e faceva sì che la terra e quelli che abitano in essa adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata sanata. E operava grandi segni, fino a far scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini. E seduceva quelli che abitavano sulla terra con i segni che le era dato di fare in presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di fare una immagine della bestia che aveva ricevuta la ferita della spada ed era tornata in vita. E le fu concesso di dare uno spirito all’immagine della bestia, affinché l’immagine della bestia parlasse e facesse sì che tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia fossero uccisi. E faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intendimento conti il numero della bestia, poiché è numero d’uomo e il suo numero è 666. Poi vidi l’Agnello che stava in piedi sul monte Sion, e con lui erano centoquarantaquattromila persone che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulla loro fronte. E udii una voce dal cielo come il suono di molte acque e come rumore di gran tuono; la voce che udii era come il suono prodotto da arpisti che suonano le loro arpe. Essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti alle quattro creature viventi e agli anziani; nessuno poteva imparare il cantico se non i centoquarantaquattromila, i quali sono stati riscattati dalla terra. Essi sono quelli che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini. Essi sono quelli che seguono l’Agnello dovunque vada. Essi sono stati riscattati fra gli uomini per essere primizie a Dio e all’Agnello. E nella bocca loro non è stata trovata menzogna: sono irreprensibili. Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo, recante l’Evangelo eterno per annunciarlo a quelli che abitano sulla terra, a ogni nazione, tribù, lingua e popolo; e diceva a gran voce: “Temete Dio e dategli gloria poiché l’ora del suo giudizio è venuta e adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque”. Poi un altro, un secondo angelo, seguì dicendo: “Caduta, caduta è Babilonia la grande, che ha fatto bere a tutte le nazioni del vino dell’ira della sua fornicazione”. E un altro, un terzo angelo, venne dietro a quelli, dicendo con gran voce: “Se qualcuno adora la bestia e la sua immagine e ne prende il marchio sulla fronte o sulla mano, berrà anch’egli del vino dell’ira di Dio, versato puro nel calice della sua ira, e sarà tormentato con fuoco e zolfo davanti ai santi angeli e davanti all’Agnello”. Il fumo del loro tormento sale nei secoli dei secoli; quelli che adorano la bestia e la sua immagine, e chiunque prende il marchio del suo nome, non hanno requie né giorno né notte. Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù. E udii una voce dal cielo che diceva: “Scrivi: Beati i morti che d’ora in poi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essendo che si riposano dalle loro fatiche, poiché le loro opere li seguono”. Poi vidi una nuvola bianca e sulla nuvola stava seduto uno simile a un figlio d’uomo, che aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce tagliente. E un altro angelo uscì dal tempio, gridando con gran voce a colui che sedeva sulla nuvola: “Metti mano alla tua falce e mieti, poiché l’ora di mietere è giunta, perché la mèsse della terra è ben matura”. E colui che sedeva sulla nuvola lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta. Poi un altro angelo uscì dal tempio che è nel cielo, avendo anch’egli una falce tagliente. E un altro angelo, che aveva potere sul fuoco, uscì dall’altare e gridò con gran voce a quello che aveva la falce tagliente, dicendo: “Metti mano alla tua falce tagliente e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve sono mature”. Allora l’angelo lanciò la sua falce sulla terra e vendemmiò la vigna della terra e gettò le uve nel gran tino dell’ira di Dio. Il tino fu pigiato fuori della città e dal tino uscì del sangue che giungeva fino alle briglie dei cavalli, per una distesa di milleseicento stadi. Poi vidi nel cielo un altro segno, grande e meraviglioso: sette angeli che avevano sette piaghe, le ultime, poiché con esse si compie l’ira di Dio. E vidi come un mare di vetro e di fuoco e quelli che avevano ottenuto vittoria sulla bestia, sulla sua immagine e sul numero del suo nome, i quali stavano in piedi sul mare di vetro avendo delle arpe di Dio. E cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello, dicendo: “Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci sono le tue vie, o Re delle nazioni. Chi non temerà, o Signore, e chi non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo e tutte le nazioni verranno e adoreranno davanti a te, poiché i tuoi giudizi sono stati manifestati”. Dopo queste cose vidi aprirsi in cielo il tempio del tabernacolo della testimonianza e i sette angeli che recavano le sette piaghe uscirono dal tempio, vestiti di lino puro e risplendente, con il petto cinto di cinture d’oro. E una delle quattro creature viventi diede ai sette angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio, il quale vive nei secoli dei secoli. E il tempio fu ripieno di fumo a motivo della gloria di Dio e della sua potenza; nessuno poteva entrare nel tempio finché fossero compiute le sette piaghe dei sette angeli. Poi udii una gran voce dal tempio che diceva ai sette angeli: “Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio”. Allora il primo andò e versò la sua coppa sulla terra, e un’ulcera maligna e dolorosa colpì gli uomini che avevano il marchio della bestia e che adoravano la sua immagine. Poi il secondo angelo versò la sua coppa nel mare; esso divenne sangue come di morto e ogni essere vivente che si trovava nel mare morì. Poi il terzo angelo versò la sua coppa nei fiumi e nelle fonti delle acque e le acque diventarono sangue. E udii l’angelo delle acque che diceva: “Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo, per aver così giudicato. Hanno sparso il sangue dei santi e dei profeti e tu hai dato loro a bere del sangue; essi ne sono degni!”. E udii l’altare che diceva: “Sì, o Signore Dio onnipotente, i tuoi giudizi sono veraci e giusti”. Poi il quarto angelo versò la sua coppa sul sole e al sole fu dato di bruciare gli uomini con il fuoco. E gli uomini furono arsi dal gran calore, e bestemmiarono il nome di Dio che ha il potere su queste piaghe e non si ravvidero per dargli gloria. Poi il quinto angelo versò la sua coppa sul trono della bestia e il suo regno fu avvolto dalle tenebre. Gli uomini si mordevano la lingua per il dolore e bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro ulceri, ma non si ravvidero dalle loro opere. Il sesto angelo versò la sua coppa sul gran fiume Eufrate e l’acqua ne fu asciugata, affinché fosse preparata la via ai re provenienti dall'Oriente. E vidi uscire dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi simili a rane, perché sono spiriti di demòni che fanno dei segni e si recano dai re di tutto il mondo per radunarli per la battaglia del gran giorno del Dio Onnipotente. (Ecco, io vengo come un ladro; beato chi veglia e serba le sue vesti perché non cammini nudo e non si vedano le sue vergogne). Ed essi li radunarono nel luogo che si chiama in ebraico Harmaghedon. Poi il settimo angelo versò la sua coppa nell’aria e una gran voce uscì dal tempio, dal trono, dicendo: “È fatto”. Allora ci furono lampi, voci e tuoni e ci fu un gran terremoto, tale che, da quando gli uomini sono stati sulla terra, non si ebbe mai terremoto così grande e così forte. La grande città fu divisa in tre parti, le città delle nazioni caddero e Dio si ricordò di Babilonia la grande per darle il calice del vino del furore della sua ira. Ogni isola fuggì e i monti non furono più trovati. E cadde dal cielo sugli uomini una grandine enorme con chicchi del peso di circa un talento; gli uomini bestemmiarono Dio a causa della grandine, perché era una piaga estremamente grave. Poi uno dei sette angeli che avevano le sette coppe venne e mi parlò, dicendo: “Vieni, io ti mostrerò il giudizio della grande prostituta, che siede su molte acque e con la quale hanno fornicato i re della terra; e gli abitanti della terra sono stati inebriati dal vino della sua fornicazione”. Egli, in spirito, mi trasportò in un deserto; e vidi una donna che sedeva sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia e avente sette teste e dieci corna. La donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle; aveva in mano un calice d’oro pieno di abominazioni e delle immondizie della sua fornicazione e, sulla fronte, aveva scritto un nome, un mistero: Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra. E vidi la donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Quando la vidi, mi meravigliai di grande meraviglia. E l’angelo mi disse: “Perché ti meravigli? Io ti dirò il mistero della donna e della bestia che la porta, la quale ha le sette teste e le dieci corna. La bestia che hai vista era, e non è, e sta per salire dall’abisso e andare in perdizione. E quelli che abitano sulla terra, i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo, si meraviglieranno vedendo che la bestia era, e non è, e verrà di nuovo. Qui sta la mente che ha sapienza. Le sette teste sono sette monti sui quali la donna siede, e sono anche sette re: cinque sono caduti, uno è, l’altro non è ancora venuto e, quando sarà venuto, dovrà durare poco. E la bestia che era e non è, è anch’essa un ottavo re, viene dai sette e se ne va in perdizione. E le dieci corna che hai viste sono dieci re, che non hanno ancora ricevuto regno, ma riceveranno potere regale, insieme alla bestia, per un’ora. Costoro hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia. Essi guerreggeranno contro l’Agnello e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e i fedeli”. Poi mi disse: “Le acque che hai viste e sulle quali siede la prostituta sono popoli, moltitudini, nazioni e lingue. Le dieci corna che hai viste e la bestia odieranno la prostituta, la renderanno desolata e nuda, mangeranno le sue carni e la consumeranno con il fuoco. Poiché Dio ha messo in cuor loro di eseguire il suo disegno, di avere un medesimo pensiero e di dare il loro regno alla bestia finché le parole di Dio siano adempiute. La donna che hai vista è la grande città che impera sui re della terra”. Dopo queste cose vidi un altro angelo che scendeva dal cielo, il quale aveva grande autorità e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Ed egli gridò con voce potente, dicendo: “Caduta, caduta è Babilonia la grande! È diventata ricettacolo di demòni, e covo di ogni spirito immondo, rifugio di ogni uccello impuro e abominevole. Poiché tutte le nazioni hanno bevuto del vino dell’ira della sua fornicazione, i re della terra hanno fornicato con lei e i mercanti della terra si sono arricchiti per l’abbondanza del suo lusso”. Udii un’altra voce dal cielo che diceva: “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non abbiate parte alle sue piaghe, poiché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità. Rendetele il contraccambio per quello che lei vi ha fatto e rendetele il doppio per la retribuzione delle sue opere; nel calice in cui ha versato ad altri, versatele il doppio. Nella misura in cui si è glorificata e ha vissuto in modo lussuoso, nella stessa misura datele tormento e cordoglio. Poiché lei dice in cuor suo: ‘Io sono regina, e non sono vedova e non vedrò mai cordoglio’. Perciò in uno stesso giorno verranno le sue piaghe: mortalità, cordoglio e fame, e sarà consumata dal fuoco, poiché potente è il Signore Dio che l’ha giudicata. I re della terra che fornicavano e vivevano con lei nel lusso la piangeranno, faranno cordoglio per lei quando vedranno il fumo del suo incendio e, standosene lontani per paura del suo tormento, diranno: ‘Ahi! ahi! Babilonia, la grande città, la potente città! Il tuo giudizio è venuto in un momento!’. I mercanti della terra piangeranno e faranno cordoglio per lei, perché nessuno compra più le loro mercanzie: carichi d’oro, d’argento, di pietre preziose, di perle, di lino fino, di porpora, di seta, di scarlatto; ogni sorta di legno odoroso, ogni sorta d’oggetti di avorio e ogni sorta di oggetti di legno preziosissimo, di rame, di ferro e di marmo, la cannella, le essenze, i profumi, gli unguenti, l’incenso, il vino, l’olio, il fior di farina, il grano, i buoi, le pecore, i cavalli, i carri, i corpi e le anime d’uomini. I frutti che la tua anima desiderava se ne sono andati lontani da te; tutte le cose delicate e sontuose sono perdute per te e non si troveranno mai più. I mercanti di queste cose, che sono stati arricchiti da lei, se ne staranno lontani per timore del suo tormento, piangendo, facendo cordoglio e dicendo: ‘Ahi! ahi! La grande città che era vestita di lino fino, di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle! Una così grande ricchezza è stata annientata in un momento’. E tutti i piloti, tutti i naviganti, i marinai e quanti trafficano sul mare se ne staranno lontani e vedendo il fumo del suo incendio esclameranno: ‘Quale città era simile a questa grande città?’. E si getteranno della polvere sul capo e grideranno, piangendo, facendo cordoglio e dicendo: ‘Ahi! ahi! La grande città nella quale tutti quelli che avevano navi in mare si erano arricchiti con la sua magnificenza! In un momento è stata ridotta in un deserto’. Rallegrati, o cielo, per la sua rovina! E voi santi, apostoli e profeti, rallegratevi poiché Dio, giudicandola, vi ha reso giustizia”. Poi un potente angelo sollevò una pietra grossa come una grande macina e la gettò nel mare, dicendo: “Così, con impeto, sarà precipitata Babilonia, la grande città, e non sarà più ritrovata. E in te non sarà più udito suono di arpisti né di musici né di flautisti né di suonatori di tromba, né sarà più trovato in te alcun artefice di una qualsiasi arte né si udrà più in te rumore di macina. E in te non brillerà più luce di lampada e non si udrà più in te voce di sposo e di sposa, perché i tuoi mercanti erano i prìncipi della terra, perché tutte le nazioni sono state sedotte dalle tue magie. E in lei è stato trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che sono stati uccisi sopra la terra”. Dopo queste cose udii nel cielo una gran voce come di una folla immensa, che diceva: “Alleluia! La salvezza, la gloria e la potenza appartengono al nostro Dio, perché veritieri e giusti sono i suoi giudizi, poiché egli ha giudicato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua fornicazione e ha vendicato il sangue dei suoi servitori, ridomandandolo dalla mano di lei”. E dissero una seconda volta: “Alleluia! Il suo fumo sale per i secoli dei secoli”. Allora i ventiquattro anziani e le quattro creature viventi si prostrarono e adorarono Dio che siede sul trono, dicendo: “Amen! Alleluia!”. E dal trono venne una voce dicendo: “Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servitori, voi che lo temete, piccoli e grandi”. Poi udii come la voce di una grande moltitudine, e come il suono di molte acque e come il rumore di forti tuoni, che diceva: “Alleluia! Perché il Signore Dio nostro, l’Onnipotente, ha iniziato a regnare. Rallegriamoci, giubiliamo e diamo a lui la gloria, poiché sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa si è preparata. Le è stato dato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro, poiché il lino fino sono le opere giuste dei santi”. E l’angelo mi disse: “Scrivi: ‘Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello’”. E mi disse: “Queste sono le veritiere parole di Dio”. Allora io mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ed egli mi disse: “Guàrdati dal farlo; io sono tuo conservo e dei tuoi fratelli che custodiscono la testimonianza di Gesù: adora Dio! Perché la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia”. Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; e colui che lo cavalcava si chiama Fedele e Veritiero, ed egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi erano una fiamma di fuoco, sul suo capo vi erano molti diademi e portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui. Era vestito di una veste tinta di sangue e il suo nome è: la Parola di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi ed erano vestiti di lino fino bianco e puro. E dalla bocca gli usciva una spada affilata per colpire con essa le nazioni; egli le governerà con una verga di ferro e pigerà il tino dell’ardente ira dell’Onnipotente Dio. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: Re dei re e Signore dei signori. Poi vidi un angelo che stava in piedi nel sole, ed egli gridò a gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: “Venite, radunatevi per il gran banchetto di Dio, per mangiare carni di re, carni di capitani, carni di prodi, carni di cavalli e di cavalieri e carni d’ogni sorta di uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”. E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per muovere guerra a colui che cavalcava il cavallo e al suo esercito. Ma la bestia fu presa e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto i miracoli davanti a lei, con i quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. Il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che cavalcava il cavallo e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni. Poi vidi un angelo che scendeva dal cielo e aveva la chiave dell’abisso e una grande catena in mano. Egli afferrò il dragone, il serpente antico, che è il diavolo e Satana, e lo legò per mille anni, lo gettò nell’abisso che chiuse e sigillò sopra di lui perché non seducesse più le nazioni finché fossero compiuti i mille anni, dopo i quali dovrà essere sciolto per un po’ di tempo. Poi vidi dei troni e a coloro che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. E vidi le anime di quelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio e di quelli che non avevano adorato la bestia né la sua immagine e non avevano preso il marchio sulla loro fronte e sulla loro mano; ed essi tornarono in vita e regnarono con Cristo mille anni. Gli altri morti non tornarono in vita prima che fossero trascorsi i mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni. E quando i mille anni saranno trascorsi, Satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni che sono ai quattro canti della terra, Gog e Magog, per radunarle per la battaglia: il loro numero è come la sabbia del mare. E salirono sulla distesa della terra e attorniarono il campo dei santi e la città diletta, ma dal cielo discese del fuoco e le divorò. E il diavolo che le aveva sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta, e saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli. Poi vidi un grande trono bianco e colui che vi sedeva sopra, dalla cui presenza fuggirono terra e cielo, e non fu più trovato posto per loro. E vidi i morti, grandi e piccoli in piedi davanti al trono; i libri furono aperti, e un altro libro fu aperto, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le opere loro. E il mare restituì i morti che erano in esso; la morte e l’Ades restituirono i loro morti ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere. Poi la morte e l’Ades furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, cioè lo stagno di fuoco. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati e il mare non era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal trono, che diceva: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini; egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio, e asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro e non ci sarà più la morte, non ci sarà più cordoglio né pianto, né dolore; le cose di prima sono passate”. E colui che siede sul trono disse: “Ecco, io faccio tutte le cose nuove”. E aggiunse: “Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere”. Poi mi disse: “È compiuto. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita. Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio; ma per i codardi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda”. Poi venne uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene delle sette ultime piaghe e mi parlò, dicendo: “Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello”. Ed egli mi trasportò in spirito su di una grande e alta montagna e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, avendo la gloria di Dio. Il suo splendore era simile a una pietra preziosissima, come una pietra di diaspro cristallino. Aveva un muro grande e alto; aveva dodici porte e, alle porte, dodici angeli; sulle porte erano scritti dei nomi, che sono quelli delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente c’erano tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. E il muro della città aveva dodici fondamenti e su quelli stavano i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. E colui che mi parlava aveva una misura, una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e il suo muro. La città era quadrangolare e la sua lunghezza era uguale alla larghezza; egli misurò la città con la canna ed era dodicimila stadi; la sua lunghezza, la sua larghezza e la sua altezza erano uguali. Ne misurò anche il muro ed era di centoquarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, cioè d’angelo. Il muro era costruito di diaspro e la città era d’oro puro, simile a vetro puro. I fondamenti del muro della città erano adorni d’ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento era di diaspro; il secondo di zaffiro; il terzo di calcedonio; il quarto di smeraldo; il quinto di sardonico; il sesto di sardio; il settimo di crisolito; l’ottavo di berillo; il nono di topazio; il decimo di crisopazio; l’undecimo di giacinto; il dodicesimo di ametista. Le dodici porte erano dodici perle e ognuna delle porte era fatta di una perla; e la piazza della città era d’oro puro, simile a vetro trasparente. Non vidi in essa alcun tempio, perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. E la città non ha bisogno di sole né di luna che risplendano in lei, perché la illumina la gloria di Dio e l’Agnello è la sua lampada. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria. E le sue porte non saranno mai chiuse di giorno (la notte non vi sarà più) e in lei si porterà la gloria e l’onore delle nazioni. E nulla d’impuro né chi commetta abominazione o falsità vi entrerà; ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello. Poi mi mostrò il fiume dell’acqua della vita, limpido come cristallo, che procedeva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e d’ambo i lati del fiume stava l’albero della vita che dà dodici raccolti e porta il suo frutto ogni mese; e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni. Non ci sarà più alcuna maledizione; in essa sarà il trono di Dio e dell’Agnello, i suoi servitori lo serviranno. Essi vedranno la sua faccia e avranno in fronte il suo nome. E non ci sarà più notte; essi non avranno bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché li illuminerà il Signore Dio ed essi regneranno nei secoli dei secoli. Poi mi disse: “Queste parole sono fedeli e veritiere e il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire in breve”. “Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro”. Io, Giovanni, sono quello che ha udito e visto queste cose. E dopo averle udite e viste, mi prostrai per adorare ai piedi dell’angelo che mi aveva mostrato queste cose. Ma egli mi disse: “Guàrdati dal farlo; io sono tuo conservo e dei tuoi fratelli, i profeti, e di quelli che custodiscono le parole di questo libro. Adora Dio”. Poi mi disse: “Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Chi è ingiusto sia ingiusto ancora; chi è contaminato si contamini ancora; e chi è giusto pratichi ancora la giustizia e chi è santo si santifichi ancora”. “Ecco, io vengo presto e con me avrò il premio da dare a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Beati quelli che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e per entrare per le porte nella città! Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna. Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella mattutina”. E lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni”. E chi ode dica: “Vieni”. E chi ha sete venga: chi vuole prenda in dono dell’acqua della vita. Io lo dichiaro a ognuno che ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe descritte in questo libro e, se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della città santa, delle cose scritte in questo libro. Colui che attesta queste cose dice: “Sì, vengo presto!”. Amen! Vieni, Signore Gesù! La grazia del Signore Gesù sia con tutti.