Fede e bellezza: edizion ELTeC Tommaseo, Niccolò (1802-1874) ELTeC encoding Lou Burnard 46720 COST Action "Distant Reading for European Literary History" (CA16204) Zenodo.org Opere Tommaseo, Niccolo editor Puppo, Mario Sansoni Firenze 1968 2 v. 1852

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A MIA MADRE

LIBRO PRIMO

Scendevano il fiume. Le rive, or accostate, or ritraendosi in seni ameni, or lasciando all'acque quiete ampio letto, mostravano qui l'ombre rade e là conserte, qui l'erboso declivio, là 'l poggio sassoso, segnato di sentieretti che s'inerpicano lenti per l'erta. L'erbe che facevano sdrucciolevoli gli scogli dappiede, col verde vivo avvivavano il luccicare de' fiori sopra tremolanti: e sotto il ciel placido e fosco parevano gli alberi spandere il flusso marino; e scossa ad ora ad ora da un buffo di vento gocciolava la pioggia: sotto la pioggia vogavano taciti affannosamente pescatori, uomini e donne, a cercare nell'alto il vitto alla povera famigliuola. Gli era di giugno, ma rigido il tempo e mesto: se non che una modesta pace, una letizia raccolta spirava nell'aria, simile alla malinconia di timida giovanezza. Il canto lontano del gallo chiamava a destarsi la natura dormente: e molti uccelli con le vispe lor voci facevano alla primavera restìa dolce invito. Maria guardava alle nubi, all'acque dell'Odet, a Giovanni: egli sotto le nebbie di Bretagna pensava all'Italia.

Sbarcarono a dritta: e lasciat'ire il barchetto a Benodet, si raccolsero in una casuccia abbandonata, e misero fuori un desinarino di verdura, ova, frutte; e il sedile ch'era lor mensa e la terra sparsero di fiori gialli, bianchi, celesti, colti sui massi sporgenti. Finito, sedettero sull'orlo dell'acque, che 'l cielo era un po' serenato, e dopo breve silenzio, Maria cominciò:

— Voi volete da me la mia vita: e io l'ho promessa. Ma, v'avverto, né il bene né il male (e il male è grande) vi potrò dire intero. Che mai sono i fatti senza gli affetti? E come narrare gli affetti? Pure dirò.

Comincio da cosa ch'ho già detta, e ambisco ridire: ch'i' ho vensett'anni. Sui trentasette, se ci s'arriva, chi sa se saremo tanto sinceri? Quant'io senta di dovere a Dio dell'essere nata di donna senese, non saprei dire. I dolci suoni della favella materna, a me già 'mbevuta d'altra lingua e travolta nel vano vivere di Francia, venivano potenti, come ad uomo intirizzito ne' ghiacci di Russia verrebbe non la memoria ma il vivo calore del sol di Toscana. D'una canzoncina semplice, che mia madre cantava con voce languida ma sicura, cantava nelle purissime sere d'estate lavorando accanto alla finestra, di faccia a un tabernacolino ornato di fiori, due versi di questa canzoncina dicevano:

Delle viole a ciocche d'ogni stagion ce n'è.

Io quando in Francia, ne' teatri, ne' balli, nelle chiuse stanze amorose, mi s'offriva un fiore alla vista, pensavo sovente alla canzone toscana, al roseo candor di mia madre, alla Vergine: e quindi una tenerezza dolorosa, un rimorso desiderato.

Vivevamo in Pisa, dov'era accasata una sorella di mia madre, a lei cara: mio padre, capitano nelle guardie del Buonaparte e suo concittadino, sempre lontano da lei, non le aveva dato che il tempo d'innamorarsene tanto da sospirarlo sempre e tremare per esso. Le sue lettere che venivano or di ponente, ora di settentrione, e narravano gli orrori della guerra con parole di festa; eccitavano in me la voglia di vedere luoghi diversi, d'udir cose nuove. La fantasia cavalcava allegra col padre, il cuore gemeva sereno colla madre, e prendeva qualità da quella pia mestizia mansueta.

Caduto Napoleone, mio padre ottenne a stento un impieguccio in Bastia: ivi raccolse la sua famigliuola. Di que' tre anni ho poche memorie: solo mi rammento che il tragitto sul mare mi parve infernal cosa; e che a' poggi arridenti a Bastia avevo sempre gli occhi nel passeggiar con mia madre la sera lungo le onde con lento mormorio leggermente spumanti.

Il diciassette, ch'i' avevo ott'anni, mia madre morì. Non ne provai gran dolore, ma come uno stordimento; e corto: perché mio padre sentendosi inabile a educarmi egli stesso, mi rimandò in Pisa; dove la zia, di più gaio umore, e non più rattenuta dalla soave severità di mia madre, mi venne moltiplicando i trastulli. Pure, a giorni, le gioie semplici e meste mi tornavano care: la pioggia sui fiori, la luna sull'acque, un bello stellato tra le snelle colonne e gli archi leggiadri del cimitero di Pisa.

Mia zia, bella donna e piacente, era maritata ad un uomo piacente e già fortunato in amore, e cercatore tuttavia delle gioie del mondo, nelle quali s'aggiravano continuamente. Ell'aveva, come suol dirsi, fatte di molte passioni: ma nessuno poteva dir nulla di lei. Il mondo chiama onesta la donna che con gli ornamenti della persona ad arte vestita, ad arte ignuda, con gli atti, gli sguardi, le parole accennanti ad amore, s'ingegna di suscitare quanti può desideri, ma non degna saziarli perché i desideri suoi sono altrove. Io bambina, in quegli atti modestamente inverecondi, in quelle reticenze lecitamente libere, in quell'ebro danzare sull'orlo del grato pericolo, mi compiacevo, ma con non so che ripugnanza secreta, e dicevo in cuore: mia madre non era così.

Un giorno in campagna, di primavera, dopo il desinare, al margine d'un laghetto cinto di qua d'arboscelli verdeggianti, di là di gran piante tuttavia spogliate, vidi mia zia che credendosi sola seco, baciò avidamente con occhi inebriati il marito: e quell'imagine, che pur mi parve deforme, ritornava frequente al pensiero, e l'intorbidava. Ad un loro figliuolo, bel bambino di tredici anni, io di dieci, cominciavo a sentirmi così dolcemente affezionata come i suoi genitori eran tra sé: sempre insieme; innocenti ma troppo bramosi già l'un dell'altra, e contentissimi del piacerci.

Mio padre veniva ogni anno a vedermi: ma e' si figurava la mia educazione secondo il suo desiderio, sì per avere mio zio in grande stima com'uomo di mondo (parola che a molti significa cose belle), sì perché non avrebbe saputo far meglio. Né, uomo, corso, e soldato, e' temeva o pure imaginava gli effetti d'un'attitudine sbadata, d'uno sguardo languido, in cuor di fanciulla. Gli uomini che pigliano la vita indigrosso e senza tanti dàddoli, sarebbero i meglio educatori e mariti del mondo se avessero sempre che fare con anime non isteriche. Ma l'esser mio padre contento di me, me lo faceva più caro: e con brama aspettavo l'autunno per rivederlo, e sentirgli nelle serate già lunghette e già rigide, raccontare al fuoco de' suoi viaggi e delle battaglie, gli assedi e gli assalti, le proprie ferite e le morti de' suoi. «Questa qui nel petto, sull'Adige; questa sul cranio in Germania; questa alla mano in Dalmazia». Poi ci raccontava delle dolci pianure e delle affettuose donne di Lombardia, poi de' dirupi assassini e de' fucili infallibili di Montenegro, poi di que' Tirolesi santi che tanto forti cose fecero per rompere il giogo di Francia. E narrando passava dal mare alle selve, dal gelo agl'incendi.

Nel venticinque era il mese del venire di lui, quando giunge la nuova della sua malattia. Passano otto giorni; nessuno ne parla: domando, rispondono freddo, confuso: ogni dì sento qualcosa (e non so che cosa) mutato intorno a me. Prendo mio cugino in disparte, lo scongiuro mi dica la verità: mio padre era morto. Il buon giovanetto me lo disse piangendo. Oh di quanta consolazione in quel momento mi fu il suo dolore! Lo gridarono del non avermi mentito, come se fosse potuta starmi sempre nascosta la mia disgrazia. Allora conobbi il mio stato: cominciai a sentirmi forestiera in casa i miei zii. Piangevo spesso: e quando non potevo piangere, mi sentivo più malata dentro, che mai. Scansavo mio cugino: ma se ci abbattevamo insieme, suo padre o sua madre lo richiamavano, o venivano a sedersi tra me e lui, freddi e taciti. I' ero una povera orfana; e' non avevano più né riguardi né speranze. Intesi: sentii il dover mio; scrissi a una sorella di mio padre, vecchia e povera, ch'era in Aiaccio, mi raccettasse, mi facesse da madre: non le sarei a carico, lavorerei; se del lavoro non potessi, anderei a servire: ma mi levasse di Pisa. Rispose cordialmente la povera vecchia, venissi; la mi mandava la benedizione di mio padre (ch'era morto nella fede de' padri suoi): mi mandava pochi franchi ch'ella aveva potuto mettere insieme. E si scusava come di colpa, del non potere di più. Scrisse insieme a mio zio, richiedendomi. Egli, come gli uomini di mondo sanno, voll'escirne a onore, e propose d'accompagnarmi. Quando mio cugino lo seppe, venne con le lacrime agli occhi a pregar me, rimanessi: io mi sedetti di faccia a lui ritto in piedi; e lo guardavo, e non gli potevo rispondere, perché le mie parole sentivo dentro piene di pianto. A un tratto mi levai con le mani sugli occhi, e uscii singhiozzando.

I' avevo sedici anni, egli diciannove: il cuor mio non batteva a male, ma batteva. Egli semplice, e pio più di me; tanto affettuoso, quant'io passionata. Venne il momento delle dipartenze: pioveva. I' sedevo stordita senza sapermi risolvere: mia zia venne a abbracciarmi, e più commossa che intenerita, mi disse: — Addio, poverina. Quanto mi fece male questa parola! A mio cugino che piangeva in silenzio, chiesi perdono se in cosa l'avessi offeso, lo ringraziai dell'amor suo, gli presi la mano per baciargliela. Oh l'aveste veduto, con che tenerezza abbandonata mi stese le braccia e mi baciò! A quella vista mia zia pianse anch'essa, e tornò ad abbracciarmi, e disse: — Maria, figliuola mia, il cielo ti benedica.

Sulla soglia di quella casa lasciai la mia pace, la mia gioventù. Se avessi potuto prevedere i patimenti e i falli di questi undici anni di vita! A Bastia ci fermammo tre giorni. Volli, di nascosto di mio zio, visitare la casa dov'eravam dimorati: ci stava una francese, che mi mandò via.

Una sera che lo zio era a crocchio, uscii sola per vedere dal poggio alla Croce il cimitero dov'erano sepolti mio padre e mia madre. Salii l'erta ansando. La luna dava sul colle desolato, sulle rade tombe, e sull'umili croci. Cercai col pensiero sotterra tra' cadaveri ignoti le due spoglie care; mi parve di ritrovarle; e inginocchiata pregai. Ritta in piedi, guardai la marina spumante, la città queta, il cielo sereno; diedi un ultimo sguardo al poggio della morte: e scesi ora incespicando ne' cardi, ora sdrucciolando a passi spessi per la rapida china.

Sull'alba si partì per Aiaccio. Com'è fuggevol cosa in cuor giovanetto il dolore! Quella novità del cammino, que' poggi che l'un sull'altro si rizzano o si riposano, e dopo molto addossarsi e ondeggiare si confondono a' fianchi alteri del monte da cui paiono usciti; le vallette che in fondo al verde, giù in fondo, mostrano il biancheggiar de' villaggi; le tenui acque stillanti; e la selva di Vizzavona che sale con le grandi orme e scende pe' fianchi della forte montagna, e gode vestirli dell'ampie ombre de' frassini o delle spesse e diritte cime de' pini, mi distraevano malcontenta da' miei dolci pensieri.

Mia zia m'accolse con quell'amorevolezza semplice che sul primo non solletica le tenerezze, ma ogni momento più rassicura, e adagia l'anima nostra nella conoscenza e nella fede dell'anima altrui. Cominciavo a trovarmi tranquilla: quando venne in Aiaccio la vedova d'un cugino di mio padre, la qual viveva in Parigi, e si spacciava per ricca: donna sotto la quarantina, ma giovereccia ancora, e, se non galante, vispa. Saputo di me, profferse menarmi seco: e che la provvederebbe a raffinare la mia educazione, e che a Parigi potevo fare la mia felicità, e che in Aiaccio sarei stata infelice. E qui di molte massime sui bisogni del cuore, di molte lodi, di molte carezze; e compiangermi, e poi consolarmi, e dipingermi Parigi come il luogo di tutte le beatitudini. M'ero già affezionata a mia zia; e a quella vita beata di chiesa e casa, e di solitudine laboriosa e mestamente serena. Ma il tanto dire della Francese, il pensiero che la sorella di mio padre, vecchia, potrebbe da un giorno all'altro mancare, e il desiderio secreto di cose nuove, mi vinsero. La mia povera zia non voleva: ma, vistomi ferma, si rassegnò con dolore represso, come s'essa ci perdesse, non io. Volle ch'io non partissi senza qualche franco di mio (dicev'ella): vendé 'l vezzo delle sue nozze, la tabacchiera del suo marito, e altri argenti di casa. E perch'io ricusavo: — Maria, — mi disse — non mi date questo dolore, Maria. Vo' siete la figliuola del povero mio fratello. Maria, ricordatevi di vostra madre: raccomandatevi al vostr'Angelo che vi custodisca. E in ogni occorrenza pensate che vo' avete ancora una madre. Se intanto venissi a mancare, raccomando l'anima mia alla vostra memoria.

Oh sia benedetta la sua memoria! Ell'ebbe virtù di destare in me, ne' momenti più crudeli, una tenerezza consolata che mi fece meno angosciosi la vergogna e i rimorsi.

A Parigi, disposta già dall'esempio di mia zia di Pisa, pigliai subito il far del paese. Mia cugina (così chiamavo io madama Blandin) teneva presso la piazza Vendôme parecchi begli appartamenti, e dava a dozzina a gente ricca: la sera musica o ballo in casa o fuori, o al teatro. Gli ammaestramenti di galanteria non mancavano; e i libri più caldi, i vestiti meno accollati; e osservazioni sguaiate sulla parte più materiale della bellezza in donna e in uomo; e sbertare ogni atto modesto come monacelleria, e sogghignare d'ogni inverecondia come d'amabilità, e lungo dire e ridire i fatti scandalosi della giornata, e discorrere a tutto pasto del sentire la vita. Codesto m'ubriacava, non mi metteva ribrezzo: che mia zia senza volerlo mi ci aveva, ripeto, già preparata. M'accorsi ben presto che la Blandin alle massime accordava gli esempi: perché in Francia le donne dopo i trentacinque o cominciano o si rifanno da capo. Io tutta occupata a penetrare il mezzo secreto che involgeva gli atti suoi; conosciutili, non trovavo nella coscienza mia la forza di detestarli; e più che disistimar lei, avvilivo me stessa. Ma perché allegra, e di maniere a momenti leggiadre con dignità, ed ingegnosa, e colta, e carezzevole, e condiscendente a ogni mia voglia, l'amavo. Ella procacciarmi ogni più ambìto diporto, temere per me l'aria e il sole, ma non lo sguardo e la parola dell'uomo; ella misurarmi i cibi, scegliermi gli abbigliamenti, acconciarmi i capelli; e, ornata che m'aveva con lunga cura da impazientire fin la mia vanità giovanile, e, vagheggiatami, e lodata con molte parole in me l'opera sua, quasi contenta baciarmi. Non più bella, dico, ma libera gli atti, e dolcemente roca la voce; e negli occhi non so che d'imperioso, di supplichevole, di luccicante, di lubrico, che ad affissarvisi faceva paura. Le labbra amorose, ma sovente contratte da un pensiero inquieto: bellissimo il mento; colorite in cima le gote, ma tra le tempie e la mascella le invadeva un pallor livido come di morto. Io raffrontavo nel pensiero questa testa lusinghiera e tremenda alla fronte senza pieghe, senz'ombra, alla fronte italiana di mia madre, agli occhi di lei potenti sotto le chine palpebre, alle forme gracili, al lieve sorriso che dalle labbra non mosse lampeggiava negli occhi amorosi. La raffrontavo allo sguardo pronto e breve di mia zia di Pisa, che non chiedeva gli sguardi altrui né in elemosina né in tributo; all'impeto sincero de' suoi movimenti spiranti ilarità serena, non torba allegria; a quella grazia non pensata, non intenta a allettare, ma certa di piacere, e lieta della certezza, lieta senz'orgoglio feroce, senz'insidia lasciva. Questi paragoni mi facevano alquanto pensosa, ma i' ero già troppo più parigina ch'io non credessi.

Nel maggio del vensei prese alloggio in casa della Blandin un giovane conte russo, bello di bellezza russa, colto di coltura russa: colore parigino, sapore sarmatico: un misto d'orgoglio, di vanità, d'albagia. I minori di sé trattati come cose, gli uguali senza tenerezza, i maggiori senz'amore: sfoghi d'ira bestiale, repressi a lungo da vergogna di parer troppo russo, ma scoppianti a volte con impeti più selvaggi. Gli occhi volubili, il guardo secco, i capelli rossigni, aperta la fronte, il naso non russo; la bocca al sorriso indocile, composta al ghigno; i lineamenti grossi, le forme della persona bellissime.

Al primo vedermi parve (e senza affettazione, ché affettato non era) com'uomo sorpreso d'affetto nuovo: quando mi seppe italiana (egli che, solo tra quanti eran lì, d'italiano sapeva assai) ne fu lieto. Mi trattava con rispettosa domestichezza, ai più de' Francesi non nota, che usciti del complimento, escono d'ogni limite: e le impazienze sue furibonde placava per riguardo di me, e le superbie ammansava. La Blandin non faceva che darmelo per bello, con libertà d'osservazioni materialissime che m'avrebbero messo ribrezzo due mesi innanzi. Cominciava la smania in me d'uscire di quello stato di ragazza nubile, incerto, insidiato, bramoso, accattatore, nel quale la verginità dell'anima è disfiorata dai desideri propri ed altrui; e il pudore è men velo che maschera. Costei ci lasciava soli: e ogni facilità le era buona a impegnare (dicev'ella) l'uomo. Si fu presto ai baci: quindi alle lunghe veglie frementi di silenzi amorosi, di sguardi con penoso ardore protratti, e di lunghissimi abbracciamenti. Una notte passeggiando ci trovammo presso il cimitero La-Chaise; il biancheggiare de' marmi tra il cupo degli alberi mi spaurì: parevano spettri. Abbassando gli occhi, mi venne osservato il bruno che ancora portavo in certi giorni a memoria di mio padre: e parvemi sentire una voce che, fioca, mi chiamasse. Egli in quel momento, preso da uno degl'impeti suoi che me lo rendevano terribile e caro, mi strinse il braccio di forza. Io spaventata ne' miei pensieri, mi sferrai da lui con un grido: e, fatti due passi, rimasi stupida e vergognosa. E' m'interroga: non oso dire il perché di quel grido. Allora conobbi che non c'intendevamo: se n'ebbe a male: tornammo senza parola. Passai la notte piangendo, d'orgoglio, non di dolore: la prima delle tante notti angosciose mie. La mattina lo rividi: gli tesi la mano e quasi le braccia: mi parve d'amarlo.

Un vincolo, e non mio, m'obbligava a lui. Grandi spese facev'egli in casa, ch'era rincalzo alle faccende un po' dissestate di quella donna. Cosa ch'avrei abborrito di soffrire per me, mi ci adattavo per essa. Si prese (com'ell'era solita per i dozzinanti ogni state), una villa in affitto co' danari di lui. Tuttoché spensierata, sentivo avvicinarsi quell'ora che mi pareva tremenda perché inevitabile.

Per conoscere il mio stato e me stessa e questa donna che mi diventava ogni giorno più buia, una mattina, sedute in giardino, le entrai di codesto. Ella, presami, e posato sulle ginocchia il mio capo, come soleva, e chinando voluttuosamente gli occhi sugli occhi miei, e baciandomi con baci ardenti, rompeva le mie parole. «Terribili amori (pensavo) deve aver fatti e patiti costei!». Tuttavia risoluta a dire e a sentire qualcosa, ripigliavo i miei dubbi tra' suoi baci. Ed ella:

— Tu se' pur bambina! Mattuccia, che credi? Non saresti la prima. Non si muor, sai? Quando poi finisce in un bel matrimonio! Gli è 'l modo d'arrivarci più presto.

— Ma se?...

— Che, ti pare? Quella gente se ne fanno un punto d'onore. Non ti parlo di me, né del bene che tu mi puoi fare. Le cose mie...

E sospirò. Io soggiungevo: — Ma si potrebbe... —. Allora questa donna mi prese, posata com'ero su lei, mi rizzò come una bambina d'ott'anni, e senza guardarmi uscì scotendo il ventaglio in atto d'ira e di spregio. Quel dispregio mi vinse. Essere sospettata di semplicità parvemi insopportabile: mi vergognai de' rimorsi e della dignità dell'anima mia. Dopo lungamente scherzato col disonore, in quel momento me gli sposai: mi sentii perduta, e venduta.

Giunse la sera, tranquilla, odorata, tiepida, lieta di stelle. Lo sguardo, tra le fronde appena tremolanti che vestivano il dolce pendio, ritrovava l'onda argentata del fiume, e si perdeva con quella. La pace serena della terra e del cielo m'erano gravi; socchiusi la finestra, crollando il capo (chi sa che cosa il Russo pensò di quell'atto?), e mi misi a sedere; e disperata, con un pensiero che non andò certamente perduto, raccomandai a Dio la povera vita mia. Cedei, non concessi: senza piacere, senza rimorso; non inebriata ma astratta.

Venne a grado a grado il piacere: venne pur troppo. Stimavo dover mio attaccarmi tutta a lui, come moglie fida a marito: e la paura di perderlo, d'offenderlo, di non gli gradire ogni giorno più, mi faceva sommessa, sollecita, timida del consentire, timida del negare, cupidamente pudica. Sotto l'ombra quasi del dovere crescevano i desideri: il corpo macchiato, ma l'animo forse era più puro di prima, ché il fatto attutava e addirizzava la vaga fantasia. Sentivo il bisogno di Dio: e or sola or seco (che ci veniva non devoto ma docile come bambino) nelle chiese di campagna, laddove all'alte finestre un albero inchinato del vento fa capolino, e le empie di verdura, e lista d'ombra tremule il lastrico screpolato, oravo breve ma caldo. Egli era sempre intorno a me, supplichevole, quasi sopraffatto da' desideri insaziati, e attonito della potenza loro, e immemore degl'impeti antichi: liberale di presenti, de' quali io ricusavo gran parte, o li serbavo a quella donna, sempre più impicciata sì che mi faceva pietà. E la fuggivo. Il sorriso suo lusinghiero e il balenare degli occhi mi sapevano di lenocinio: ed ella pareva adesso vergognosa di me. Ne' momenti quand'ero sola, mi sentivo svogliata, affranta come bracciante che torna da disamata fatica: non più leggere, non più lavorare. Seduta sul poggio di Meudon, guardavo lunghissimamente il bosco a diritta, la Senna a manca, di faccia Parigi. Potessi ancora montare quegli scalini, e seduta sull'angolo della terrazza, raccogliere a uno a uno i pensieri che cadevano languidi sul verde sottoposto, e rifarli nel pentimento! Rimeditavo su quell'altura i baci, gli sguardi, ricomponevo il peccato, pensando le parole di lui, interpretando i silenzi, esagerando i timori e i desideri, e questi aguzzando con quelli; fattomi del piacere tormento.

Desideravo i desideri di lui; li avrei fino attizzati se non era timore o di non li poter appagare o di spegnerli. Del suo, non del mio piacere, gioivo. Il titolo di moglie sua ambivo, misera omai: per ismania d'uscir d'abiezione mi facevo più abietta agli occhi miei. Orribile schiavitù!

Raffrescava. Le vivid'aure d'autunno mi rinnovellavano i sensi al piacere, e l'anima a gioia mesta. Ma le serate si facevano più lunghe: io le noie di lui, uomo di poco pensiero, temevo come la morte. Temevo d'altra parte Parigi, e le parigine, e i signori russi, non me lo rubassero: e mi pareva sempre più bello; e quand'ero a braccetto seco, me ne tenevo, come bambina di vestito nuovo: e ogni sguardo di giovane donna mi faceva trepidare di gioia e di gelosia; gioia d'orgoglio più che d'amore. Mi scappò detto di ritornare a Parigi: ed egli acconsentì subito; che mi dispiacque. A Parigi le ore sentii più lunghe che per le salite e le scese del bosco di Meudon, e attorno agli zampilli di Saint-Cloud: perché uno stormire di foglie occupa l'anima umana più pienamente che tre commediuole dello Scribe. Eravamo a tutti i passatempi: ma egli ne usciva svogliato e più facile a imbestialire: onde, dopo pochi dì, pensando sul serio alla faccenda, cominciai a dire tra me: «e ora, come me lo digerisco io quest'uomo?» Le cose che m'andavano meno, garbeggiavano a lui: le corse de' cavalli, i drammi urlati, il ballo (ballavo per servirlo), la musichetta francese, le donne letterate, la visita de' campanili. Si divertì più alla galleria delle monete che a quella de' quadri: e ne' quadri abbracciava con gli occhi la ciccia del Rubens, le arie di teste di Frate Angelico non capiva. Passando dal ponte dell'Arti gli mostravo quel po' di verdura che cresce modesta nell'isoletta appiè degli archi del ponte Nuovo, e consola le meste acque dove si specchia il palazzo di Luigi Filippo: ed egli: , bene: e guardava la facciata dell'Istituto, e le fide colonne appiccicate agli edifizi di Francia, che pare vogliano entrar loro in corpo.

A Parigi, dico, la gli montava più spesso: e incolleritosi, non vedeva più lume. Temevo sempre duelli, e fino baruffe. E' m'ondeggiava tra il boiardo e il piazzino. Pure anco quest'impeti mi piacevano in lui, che potevo ammansarli: il mio sguardo mestamente severo lo ingentiliva. Natura buona; ma troppo ci voleva a educarla: e una ganza non educa se non per miracolo. Più ci trovavo difetti, e più m'affezionavo: più intepidiva la mente, e più i sensi ardevano: lo dominavo con l'anima, con la persona me gli abbandonavo tutta. L'affetto mio, come segue, trasportavo in lui: troppo timida in prima, or troppo sicura.

Dopo la villeggiatura avevam casa da noi: la Blandin ci veniva, sempre per chiedere. Una mattina ell'entra spaurita: «Se non pago dumila franchi stamane, ci ho la cattura». Feci faccia, e chiesi, avvertendo lei che questa era l'ultima: chiesi, sa Dio con qual cuore. E' diede pronto, ma freddo. Nel raccattar quel danaro di sulla scrivania, mi pareva ricevere il prezzo del mio disonore.

Questo mi dicevano gli sguardi, il silenzio della gente. L'anima, nessuno la vede: e con che sentimenti nobilitassi il mio stato, con che dolori lo espiassi, nessuno sapeva: ma ch'i' ero una mantenuta, lo vedevano tutti. Il mondo è così: i più corrotti scusano certe cose in generale e per sé; nel fatto, e in altrui, le giudicano secondo moralità, con freddezza crudele.

Venne l'inverno: l'inverno annebbiato, fangoso, interminabile di Parigi. Lo invitano dall'ambasciatore a pranzo: e' non se ne può scusare, ci va. Gl'inviti spesseggiano: dai pranzi si viene alle conversazioni, alle feste da ballo. Io lasciavo fare, chiusa in silenzio tra rassegnato, superbo, timido, e disperato. Mai che lo ritenessi: ma s'egli dubitava: «Rimango?» lo guardavo con sorriso supplichevole; e, se accanto a lui, l'abbracciavo. Del suo tornare a qualunque ora si fosse, ero lieta senza querela. Spiarlo non degnavo; né avrei saputo, infelice. Con vicine non m'ero affiatata mai: già sapevo in che conto i Francesi tengano gl'Italiani; e quel pregiudizio stolto mi faceva stizza e pietà. Mi struggevo sola in pensieri senza lagrime, accanto a un fuoco che mi bruciava sovente il vestito, o su un terrazzino che dava sui campi Elisii, a sentir l'acqua scrosciare, e passar le carrozze delle peccatrici onorate.

Egli verso me di giorno in giorno men tenero, ma più cortese. Qualche lite per bazzecole, stiracchiata fino a stuccare; qualche bottata da nobile, fredda e acuta: ma a giorni ardenza d'amante, cordialità di marito.

Questi giorni però diradavano. La pazienza in me diventava più cupa, mormorava il dispetto. Nel febbraio del vensette ricevo una lettera della Blandin che diceva:

«Maria.

Scrivo dalla carcere de' debitori di via Clichy. Vel nascosi perché la vergogna mi tenne. Io son rea verso voi di colpe gravi: e comincio a scontarle. Perdonatemi».

Il primo pensiero fu correre per consolarla; ma con che? con parole? Aspettai ch'e' tornasse: e temevo il ritorno, che quel giorno appunto ci eravam bisticciati forte. Contavo i minuti. Tornò a mezzanotte; innasprita dall'attendere, appena entrato, l'assalgo:

— Sapete voi di madama Blandin?

— Lo so.

— Che ne dite?

Non rispondeva: io tremando di rabbia:

— Vi prego di dirmene l'intenzion vostra.

— Ho fatto abbastanza. Non posso più.

— Volete dire che siete stanco?

— Maria, non mi fate dire più di quel che vorrei.

— Ma se lo desidero, se lo pretendo! Dite che non potendo più soffrir me...

— Io distinguo voi da costei. Ma se pretendete esser messa a mazzo seco...

— Seguitate, signor conte — fec'io con un ghigno angoscioso, e rizzandomi, e già fuor di me.

Egli irritato e alzando la voce:

— Ma per chi mi pigliate voi dunque? I' ho pagato e per lei e per voi: ho pagato, intendete, abbastanza. Credete voi che io non vedessi fin dal primo la cosa? Qual contratto credete voi d'aver fatto meco? Io son forestiero, ma collegiale non sono. Ho comprato un piacere al prezzo ch'i' ho voluto: ora basta.

Io, messemi le mani ne' capelli, e rovesciatigli in sugli occhi, con voce soffocata dall'agonia della rabbia, protendendomi ritta su lui seduto:

— Ah uomo indegno! Così tu mi tratti? Che t'ho fatto io per meritare d'esser così calpestata da te? Che t'ho fatt'io altro che amarti?

Egli ghignando:

— Amarmi voi, signorina? Voi proffertami da una Blandin?

— Profferta? (a questa parola io lo afferrai per il braccio). Profferta? Conte, spiegati: parla, conte.

— Minacci? Meno parole. Quest'è casa mia. Finché mi piacque, vi ci ho tenuta...

— Tua questa casa? Ell'è mia questa casa, ti dico. I' l'ho pagata coll'onor mio. Esci di qui, s'hai cara la vita.

Fosse paura o rimorso, non so: ma ne' miei gridi era tale un accento di verità, che coscienza umana non potea dubitare. Abbassò la voce; e voleva calmarmi.

— Esci, ti dico: per l'amore ch'i' t'ho portato; per l'amore di Dio.

Appena ebbe chiusa la porta, io caddi sopra una seggiola, come stecchita. Quanto così rimanessi, non so. Scossa a un tratto, presi una coroncina, memoria di mia madre; i cento franchi che la mia povera zia d'Aiaccio m'aveva messi insieme al partire, la santa donna: e così in capelli, uscii lungo Senna.

Uscii senza pensiero di morte. Chi ha forza d'uccidersi, segno è che soffre meno: perché il gran dolore stronca la volontà. Non conoscevo nessuno a chi confidarmi. Fosse stata aperta una chiesa, o il giardino: il primo pensiero fu di prostrarmi a pregare: poi, di gettarmi sotto un albero delle Tuilerie, ed abbracciare la terra, e urlare nel pianto. Giunsi al ponte Reale; e mi posi sugli scalini, la fronte sulle ginocchia, i capelli sugli occhi. Non lacrimavo ma gemevo; e ad ora ad ora alzavo gli occhi e la voce come bambino picchiato. Sopraffatta, più che disperata, non potevo fissare il pensiero nello stato mio; mi parevo un'altra. Quel ch'io sentissi, non rammento: ma veggo ancora la notte tranquilla e cupa, la luna simile a nuvola pallida, le stelle dubbie, ritirate nel fondo. Stavo come in letargo, quando sento una voce che in italiano mi dice: — Oh quella donna, costì! — Levai la testa; e vidi una ragazza a braccetto a un uomo, la qual posava la mano sulla mia spalla; e guardatami in viso, con voce più pietosa soggiunse: — Povera signorina, che v'è egli seguito? — Conobbi l'accento toscano; mi parve di sentire mia madre: non so quel che rispondessi; ma presa per mano, le tenni dietro come una bambinuccia d'ott'anni, piangendo forte. Giunti a casa sua in via di Sèvre, il giovinotto la lasciò: noi salimmo. Le raccontai il caso mio, Dio sa con quali parole: ma ella intese. Parlare in italiano, ad un'Italiana, in quella notte, che sollievo! Conobbi buona ragazza ch'ell'era. Figliuola d'un Lucchese, maestro di musica; perduto il padre, la campava stentato a cucire di bianco. Ora stava per maritarsi a un oriuolaio svizzero che le voleva bene. M'offerse l'assistenza sua (non l'amicizia: la povera gente usano poco questa parola): volle ch'i' mi mettessi a letto seco: e vegliò ne' miei pianti.

La mattina andò dal Russo a pigliare quella poca roba di mio, lasciando gioie, scialli, ogni cosa di prezzo. Egli giubbilò nel sapermi viva: mi voleva vedere; e le offerse danaro, la lo conducesse da me: la Lucchese ferma.

Di lì a qualche giorno ella raccapezzò che l'ambasciatore russo aveva saputo dalla polizia della scena di quella notte, e ordinatogli di partirsene subito. Il conte che aveva paura dello Zar, e ne sperava cariche e croci, ubbidì. Voleva scrivermi, avesse saputo il ricapito: ma portò in Russia il mio ritratto. Questa nuova mi torse l'animo a inaspettati pensieri. Uomo che avendo in cuor suo quella vile stima di me, pur mostrava d'amarmi, e che nondimeno mi lasciava così, parvemi indegno che fosse pianto. A momenti non mi potevo dar pace del suo disprezzo: ero lieta d'avergli ricacciate in gola co' miei gridi le indegne parole: ripensavo con lunga tenerezza i segni ch'e' m'aveva dati d'affetto, sinceri perché involontari quasi: e abbacavo pensando, e mi tormentavo. Aiutata poi dal senno spassionato della mia compagna, e più tardi dall'esperienza propria, m'accorsi che i ricchi non virtuosi sono senza saperselo, i più, finti, ambigui, e calunniatori in pensiero.

Il secondo giorno avevo mandato già la Lucchese dalla Blandin; e per compassione, e per ismania di sapere del vero. Mercato espresso non fu: ma la mia disgraziata donna, strascinata dai voraci bisogni, e corrotta fin nel midollo, speculò senza quasi volerlo, sul corpo mio. Così segue alle anime infradiciate nel male: lo commettono distrattamente, e com'altri sufola quando non sa pensare. Povera carne umana, straziata e dagli odi e dagli amori!

Chiusa ne' debitori, ammalò. Era già in fine, quando chiese per carità di vedermi. Ci andai: nevicava. Di via di Sèvre in via Clichy camminammo noi due poverette, mal coperte; e l'acqua diaccia spruzzata dal vento c'inzuppava di sopra, la mota di sotto. Arrivammo intirizzite tossicando al letto di lei che moriva.

Quanto mutata dall'ancora vispa donna d'un mese fa! L'alito sibilante, rotta la voce e dura, le occhiaie azzurre sul giallo, le grinze intorno fitte, e schifose più che di vecchia; gli occhi erranti. Sole le braccia, bellissime tuttavia, facevano più spaventosa la morte. Sprofondata in sé, quell'anima pareva non sentire le cose di fuori; e pur si tendeva in esse, e cercava brancolando la vita. Mi disse: — Addio per sempre, Maria. Vi ringrazio; vi domando perdono. Pigliate esempio. Pregate per me che non lascio nessuno al mondo... Dio mio! — Si contrasse, si distese, e spirò!

Quand'uscimmo, era notte, e pioveva forte. Le genti, i muricciuoli, mi parevano spettri: e la luce de' lampioni sparpagliata e annacquata dalle strisce cadenti, si ritondava in pallidi colori, e confondeva la vista. Il lastrico smosso per raccomodare (malanno perpetuo di Parigi), l'impetuoso incorrere di carri e carrozze ne' trebbi, c'eran uggia paurosa. Sfangavamo in silenzio; abbattute. Gli è pur selvaggio nel verno alla povera gente Parigi!

Stetti più giorni smelensita, e più nel passato che in me. A diciott'anni mi pareva d'aver finito la vita: perch'alla donna un amore è un destino. Mi stringevo più e più con l'anima alla mia compagna; e lavoravo con seco dalla mattina alla sera: e perché non occupata io dalle faccende di casa, facevo più, e n'ero lieta. Ogni cosa in comune. La festa s'usciva, se non piovesse, a goder della prima verdura, lenta a venire e scarsa. Avevo ripigliata con gioia la pratica della messa, e confessatami. Mi sentivo forte.

Ero tanto beata della mia pace, e sì piena di me, che non m'avvidi sul primo come la Lucchese cominciava a ingelosire per il suo damo: non ch'e' mi badasse punto più del dovere, ma, sapend'io di francese un po' più di lei, gli veniva barattato qualche parola con me, sempre del più e del meno, e senza malizia. Egli amava la Lucchese di quell'affetto sodo che riman sempre affetto appunto perché non è mai passione: ella, e più finemente educata di lui, e più piacente di me. Grazia semplice e disinvolta, come di gran signora; occhi velati dalle sopracciglia e dimessi, però più potenti: bocca tra il voluttuoso e lo schietto, tra di città e di campagna, piena di desideri. Quando m'accorsi ch'io le dav'ombra, m'impensierii; in ogni parola, in ogni atto diventai come impacciata: temevo di guardarlo; gli facevo fin de' mal garbi, che avranno attizzati i sospetti di lei, perché non di me dubitava ella, ma di lui, o piuttosto (modesta, come la gente di cuore e la gente disgraziata) di sé. Cercavo tutti i modi di farle intendere che il suon della voce, i fari del suo damo non m'andavano: ma col dirgliene male, temevo o d'offenderla o di più insospettirla. Egli buon uomo, tirava diritto, e non capiva niente. La sarebbe stata una commedia se quella ragazza non ci avesse patito. Ma nella notte la sentivo dar le volte nel letto, e sospirare; il giorno o canticchiava raccolta in sé, o stava zitta. — Rosa, che hai? — Nulla. E fingeva allegria, o si faceva malata. Io pativo già più di lei.

Nulla più insopportabile ad orgoglio delicato, dell'essere sospettata in voi debolezza non vera, ma non impossibile. La stessa probabilità della cosa addolora o indispettisce. Vidi che non si poteva ire innanzi così: feci un animo risoluto; e, un giorno che sedevamo sulla gradinata vicino alla fonte del Lussemburgo:

— Rosa — le dissi — tu hai dei pensieri che tu non mi vuo' dire.

— Non è vero.

— Non chieggo di saperli da te, né mi dolgo del tuo silenzio. Io farei forse il medesimo: non avrei forse la tua virtù.

La mi cinse col braccio la persona, e non disse parola. Io seguitai:

— Ti ringrazio della fiducia ch'ha' in me: ti ringrazio dell'amor tuo. Ma non posso soffrire che tu patisca.

Ella arrossendo:

— Maria, tu t'inganni.

— No, non mi inganno. L'amore è cosa delicata: so quanto poco ci vuole a appannarlo: e appannarlo talvolta è peggio che infrangerlo. Così nol sapessi! Lascia ch'io m'allontani.

La mi guardò accorata, abbattuta. I' la baciai.

— Per poco. Quando sarò maritata, se pur sarò... (questo dissi con un fiero presentimento, che mi passò come coltello nel cuore)... potremo rifar casa insieme. Intanto ci vedremo sovente. Verrai: non è vero?

— Se verrò!

Sclamò ella: poi come ravvedendosi:

— Ma perché distaccarci?

Questo disse sommessamente, e quasi arrossendo. Ci leggevamo nel cuore entrambe, e sapevamo che il silenzio meglio d'ogni parola diceva i sentir nostri. Tacque un poco, e poi ripigliò:

— Tu rispetti l'amor mio, io la tua delicatezza, o Maria. Lo sa Dio s'io ti stimi; e so che tu m'ami. Pensa ch'hai qui una sorella. A ogni disgrazia, a ogni dolore, il giorno, la notte, s'hai bisogno di difesa, di ricovero, vieni. Tu sarai sempre la mia Maria.

M'abbracciò lagrimando. Soggiunsi:

— Spero che Dio mi provvederà di lavoro. Se mai te n'avanza, ricordati di me poveretta.

Ella, stringendo il mio capo al suo seno:

— Per il tuo campamento non temere, temi per il cuor tuo, povera Maria.

Questa parola parve che mi pungesse: ma poi quante volte la mi venne a mente, e con quanta tenerezza!

Mi trovai due stanzine allegre a un quinto piano, in via dell'Este; che davano sul giardino del Lussemburgo, e dominavano il grigio de' tetti e il verde de' campi; fuor di Parigi perché più su di Parigi. Rosa non si volle trovare al mio distacco: mi portai da me a pezzolate quella poca di roba. Soletta lasciai quella casina già cara; soletta entrai nelle mie povere stanze: m'inginocchiai, volta al sole di giugno che moriva sereno, e pregai.

Ma quella solitudine deserta cominciava a farmisi grave, e le memorie ad accorrere com'aria che faccia forza d'entrar nel vuoto; e, dalle memorie covati, i desideri; dapprima lontani e languidi; poi, cupi o caldi, ma prossimi, e pesanti sull'anima fragile. Con Rosa parlavo italiano, vedevo passeggiando un po' di campagna: adesso tutte le ore uguali, senz'aspettazione di cosa nuova, come chi naviga senza veder altro che mare. Rosa veniva: ma anch'ella doveva badare alla casa, al damo: e che cos'è la visita d'un'ora in una giornata solitaria? Poi, in due, s'hanno tante piccole comodità che, a star soli, mancano. A me s'affaceva il vitto povero, ma certi disagi non li potevo. Questa nostra società è così bene congegnata, che una donna sola non ci campa che o guitta o colpevole. Allora mi ricordai della mia zia d'Aiaccio: scrissi, confessando in ombra i miei falli, chiedendo ricovero. Nell'impostar quella lettera mi pareva di buttare in un bossolo la sorte mia.

A star sempre china al lavoro, mi si cominciò a guastare lo stomaco: sentii bisogno di moto. Per dar meno nell'occhio, appena giorno, uscivo nel giardino di faccia a passeggiare soletta. Rientravo alle sei, mi facevo un caffè e latte (di quel che chiamano latte a Parigi); e così me ne stavo a languire fino alle sei della sera. Nel passeggiare rincontrando chi volesse attaccar discorso, fingevo di non intendere il francese, e svoltavo ratta.

Ci cominciai a vedere un giovane, all'aria scolaro, ma sodo, che pigliava il viale vicino, qualche volta il mio stesso; e mi salutava con riguardo passando. In pochi dì m'ero tanto avvezza a scontrarlo, che s'e' tardava un po', mi sentivo inquieta: e, rivedendolo di lontano, per la gioia arrossivo. Pensai di smettere le passeggiate: mi costò; ma la vinsi. E' cominciava a uscirmi di mente; quando un giorno lo riscontro sulla scala commosso dal piacere di ritrovarmi, e sento ch'egli è mio casigliano, al secondo. Parlava francese con accento da farmelo sperare italiano. Desideravo riabbattermici per risaperlo: fui ben presto contenta. Gli era di Provenza: e pareva a me che nell'anima de' Provenzali qualcosa ci avess'a essere d'italiano. E v'è: ma ci corre!

Colla scusa del lume, del rassettare i panni, picchiava al mi' uscio. Qualche volta non rispondevo: ma la mia solitudine era più forte di me. Seppi ch'e' veniva a addottorarsi in lettere per avere una cattedra: povero; protetto dagli opposti al governo, allora potenti. Mi piacque e com'uomo d'ingegno e come povero. De' signori che non sapevano nulla e di nulla, n'avevo assai per un pezzo. Un barone, a vederlo, mi faceva paura. Poi quelle franche ed alte parole del giovane mi scaldavano. Gli piacqui, mi piacque: si promise marito, fu amante. Si penò poco: e già col pensiero ero sua. Quella mobilità gaiamente loquace mi toglieva a me stessa. Avevo patito tanto, che godere a ogni costo mi pareva diritto.

E' prese la laurea: e stava per condurmi a Marsiglia. Quando venne la risposta di Aiaccio, tardata di molto, come suole dall'isole: mia zia buona sempre, mia zia mi attendeva a braccia aperte. Già imbarcata a nuovo errore, risposi non so che pretesti; ma in quel momento cominciò il mio rimorso (sempre dall'affetto mi venne medicina all'amore).

Pensai: se invece di tener dietro a quella disgraziata francese, i' fossi rimasta in Aiaccio; sarei già maritata, vivrei tranquilla. E ora chi sono? L'amica d'un giovane che m'è quasi ignoto. Quando mi segno, debbo nascondermi da lui: non posso pregare seco, dunque né piangere. Abbiamo comuni le voluttà, no i dolori. Povera me, quanta strada ho fatta, e che strada! Dove ritroverò l'onor mio? I giudizi del mondo sono spietati, e perenni. Così pensavo: ma stordita dallo scoppiettio de' suoi motti, dal canterellare del suo Béranger (ruffiano più che poeta), seguitai (dicev'io) il mio destino. Rosa lo seppe, ma tardi: non mi sgridò, mi compianse. Ci lasciammo con lacrime. Dopo un viaggio a me, come sempre, penoso, per la disamena via da Parigi in Provenza, arrivammo in Marsiglia.

Vi stetti un anno, divagata in sul primo, poi sempre più inchinevole a ricadere sopra me stessa in pensieri men tetri d'ogni trastullo. Quel cielo diffuso d'ampio lume quieto, mi serenava: ma l'alidor della terra ignuda mi rimandava con desiderio alla macchia frondeggiante di Vincennes, ai viali inghiaiati e a' sentieretti gai di Boulogne. Vedere pochi alberi persi in un piano, stenti, polverosi, aspettanti sempre una bufera che li ritormenti, mi pare la più squallida imagine della miseria umana. Io ch'avevo il mare a noia, a Marsiglia, per disperazione della terra, invaghivo del mare: e m'era bello errare in barchetto tra quella mobile selva da tutte le acque navigante alla Francia; tra le vele che sentirono i venti dell'Atlantico, tra l'ancore battute dalle incudini danesi, presso le feritoie de' cannoni russi, sotto agli alti fianchi del vascello che forse fulminò a Trafalgar. Fra le grida allegre di chi viene, e quasi pensose di chi va, fra i saluti tonati dal cannone, e i cenni delle campane, e lo scricchiolare de' pesi, e l'urlo concorde di chi li regge, e le canzoni d'amore che si scontrano in aria con le bestemmie, cercavo i suoni della lingua soave mia: e fosse pur genovese la favella, li scernevo con gioia. Ma pochi al paragone gli arrivati d'Italia: ond'io gemevo in cuore della ricchezza povera della mia patria. Piacevami dopo la burrasca veder dall'altura della chiesa maggiore la marina ricomposta riflettere a strisce or chiare or cupe la luce, secondo che il vento ci gioca; o i raggi del sole inclinato distendersi in lunga colonna, che, rotta qua e là, s'assottiglia, e, com'onda, si frange tremolando alla riva.

Del mio Marsigliese certe qualità mi piacevano: mi stuccava quel suo non saper né tacere né lasciar tacere la gente, quell'aver sempre qualcosa o di profondo o di gaietto da dire. Il Francese non conosce la voluttà del silenzio.

La gente del paese mi parevano non senza naturalezza vivaci, ma vivacità grossolana: e tra quelle voci roche, tra quella vita materialmente operosa e contenta, mi pareva di stare come nella galleria magra ch'egli hanno, l'unico Perugino tra i Rubens ed i Champagne.

Con lui ch'avev'a essere mio marito, ero rassegnata a aspettare: né pressarlo era cosa da me. La cattedra gli era fallita: quindi più liberale che mai. Il lavoro mio, con il poco ch'egli aveva o che beccava scrivendo, era assai per campare: e a me la povertà di lui piaceva siccome guarentigia d'affetto. Ma quel suo non credere mi seccava dentro: e pur qualcosa perdevo della fede mia; la freschezza, la sicurtà, la gioia e la forza che vengono dal professarla liberamente. Smettevo le pratiche: dubitavo non come chi disama il vero, ma come chi nol discerne; m'indispettivo contro lui, contro me. Ma al venir d'un'ondata di dolore, Maria ricredeva.

E venivano. Non parlo delle strettezze domestiche, del dover mettere in pegno il vestito o lo scialle: non parlo de' debiti ch'e' faceva di nascosto da me per trincare co' suoi colleghi in politica qualche bottiglia spumante di brindisi amari. M'accorsi che lì non finivano le sue spese: ma mostrarmi gelosa i' non degno, o non oso. Ero come chi patisce della marea, che gridare non giova, né sperare che a mezzo il golfo la barca si fermi: bisogna soffrire rannicchiati in sé, e pregar Dio che gli archi di stomaco non vi rompano qualche vena.

A un tratto, di burlone ch'egli era, cominciò a rabbruscarsi, fare il geloso fuor di proposito, maltrattarmi rammentando il Russo; perch'io negli scrupoli della mia sincerità gli avevo confidato ogni cosa: ma egli aveva interpretata la mia con l'anima sua. Un bel giorno (s'era di ottobre) e' m'annunzia una gita in campagna; non sapeva per quanto; ma scriverebbe. Passa quindici giorni: nulla. Ricevo alla fine una lettera di scritto non suo: l'apro ansiosa, tremando (povera ingannata) per la salute di lui. Leggo: un droghiere di Marsiglia m'annunzia il matrimonio vicino tra una sua nipote e il mio coso: mi consiglia di partire, e passassi da lui a riscuotere un cento di franchi per il viaggio. Come rimaness'io, non dirò. Fu soffocato il dolore dalla rabbia, e l'affetto dal disprezzo. Risposi ch'i' non ero né una bottegaia né una donna da strada; che a Marsiglia starei quanto mi piacesse; che scioglievo il giovane indegno dai vincoli meco contratti, e gli regalavo i cento franchi da comprarsi una giubba per il dì delle nozze. Questo droghiere eran gente devota a' Borboni, e piissima: e il mio Bruto s'imparentava con loro vogliosamente, e portava in dote la sua parlantina, i suoi be' capelli riccioluti, e certi titoli di nobiltà che gli era venuto fatto di pescar non so dove. E' diventava a un tratto nobile, regio, terziario, e droghiere. Alla mia lettera il mercante rispose che s'io non isgombravo fra tre dì, me ne sare' ita con iscorta non troppo amorosa.

Che fare? Ad Aiaccio neppur pensarci; che mi sentivo indegna di mia zia: né avrei potuto confessare le vergogne mie, né tacerle. Anderò, dissi, a Firenze; per cameriera, per badare a' bambini, per serva. Vendei, tranne il vestito che avevo in dosso, ogni cosa: ne cavai cento franchi: m'imbarcai in un legnetto genovese (che col vapore la spesa era troppa); ed eccomi a diciannov'anni, sfiorita dell'anima, del corpo meno spiacente che mai, portata come aliga dalla tempesta verso le rive d'Italia.

Sotto coperta non potei reggere; sopra, piovigginava con vento. Al vedermi tremare dal freddo, un vecchio marinaro mi diede il suo cappotto; di che gli altri ridevano con celie oscene. L'onda gonfiata, nel fosco biancheggiare pareva come schiuma vomitata contro il povero legno da un mostro immenso. I' pensavo al passato, e dicevo tra me: «Calunniata dal primo, e compera: dall'altro abbandonata, scacciata come un'infame: che mi valse la fede portata agli uomini? che l'amor mio? Se li avessi traditi, e' m'avrebbero adorata e temuta. Non bisogna aprir loro il cuore: e se un fil d'affetto c'impiglia, romperlo. E' ci trattano com'arnesi: e così noi. Né rincorrerli né temerli».

Così pensavo esulcerata, infetta della loro viltà: ma così non sentivo. A me misera non pareva dover meritare tanti gastighi: ma a chi volontaria dona l'onor suo, la sorte della famiglia a cui la serbava Iddio, quali gastighi son troppi? E s'altre soffrono meno, hann'elleno sprecati i doni tanti che Dio diede a me? E il disinganno non è forse un dono? Se già sì rea, senza il fren del dolore che sar'io? Ma questi pensieri non mi parlavano allora: e l'orgoglio irritato più fremeva che non gemesse l'amore tradito.

Nella vettura da Livorno a Firenze rincontro due Bolognesi, marito e moglie, dimoranti in Toscana, che mi presero con buon salario più a compagnia che a servizio. Ma che? Il marito, vecchio sudicio, pigliandomi, pensava a più che a compagnia: e alla moglie, più giovane, premeva dargli un balocco. Io dovevo distrarre lui, e lei aiutare a distrarsi: servire a doppio. Intesi: mi feci intendere: mi rispettarono: in capo al mese uscii. Con quel po' di danaro, stillando, campai: e frattanto trovai del lavoro. Mi si proffersero parecchi partiti: ma io in un marito, per essere sicura d'amarlo, volevo troppe cose: non sapevo che non bisogna, per rispetto del matrimonio, aspettare a sposo un arcangelo. Tra gli altri un pittore sassone, onesto d'onestà quadra; che non mi dispiaceva, e m'amava. Ma col suo desiderio inquieto di quadrarmi, di capacitarmi, col suo attaccamento di cataplasma, con le interrogazioni interminabili, con gli occhi e i baffi e la voce e la persona tesi in me a guisa di balestra, e' pareva dire: «Donna, sii felice, o t'ammazzo». Zelo così ferocemente devoto mi fece paura.

Conobbi un suo conoscente, pittore senese, artista vero, e colto più ch'artista non soglia; che mi diede a sentire il bello dell'arte, massime cristiana, e mi fece quel po' ch'io sono. Con lui visitavo giardini e gallerie, chiese e poggi; ammiravo la natura nell'arte. Sulle alture di Fiesole, e in Val d'Arno laddove il fiume è più amorosamente cinto d'ombre quiete, leggevam poesia. L'amavo vivamente quel giovane: ma spaventata dal passato, e sfidata più di me che di lui, rompevo a mezzo la foga dell'affetto corrente, e fingevo rivolgermi altrove. E tanto feci ch'e' si stancò. Del suo lasciarmi, amaramente godei: quindi mi buttai in un amore senz'affetto, che vi dirò forse un giorno.

Di tanto in tanto mi riavevo; e, pur nell'impeto delle follie, raffrenavo me stessa. Queste non sempre brevi astinenze dal male, Dio m'avrà forse computate a virtù.

Una vittoria fra l'altre mi consola il pensiero. S'era nel settembre del trenta: salivamo verso Bellosguardo, io e una mia pigionale di Pescia, semplice donna e di cuore. Alzo gli occhi, e ravviso sull'alto le care fattezze di quel mio cugino di Pisa che m'aveva detto addio con tanta pietà.

«Pietro!» «Maria!» e mi si getta al collo e mi bacia. Quant'ero beata in me dell'averlo rincontrato in un momento ch'i' ero pura di tresche, e riconciliata con Dio! Come gentile mi parve d'aspetto! come desiderabile! I' non l'aveva dimenticato mai. Egli allora di ventiquattr'anni, io di ventuno. Faceva pratica di medicina in Firenze: sempre buono, e innamorato delle lettere più generose e più pure. Quando l'incontrai e' leggeva il Manzoni. Veggo ancora l'albero presso il quale l'abbracciai, sento il tremito della pura sua voce. Il vederlo rinnovellava d'antiche dolcezze l'anima mia. Suo padre era morto: sua madre, di sgargiante, un po' bacchettona. Pregai non le scrivesse di me: gli confessai delle colpe mie quanto l'orgoglio, quanto il pudore concedevano: lo sguardo suo mi rinverginava i pensieri. Egli mi sgridò, mi compianse: io l'amai. Ma gliel tacqui. E come profferirmegli? Come sperar da sua madre l'assenso? Allora sentii la gravezza de' miei peccati che mi toglievano l'uomo bramato tanto. Avvilita, disperata, deliberai di fuggire. Gli scrissi, e mandai la lettera nell'atto del partire, sperando non lo rivedere più: ma un indugio mi ritenne. E' corse da me: l'abbracciai ancora una volta: — Addio, Pietro, addio per sempre. Ricordati della tua povera Maria, che sarà sempre tua, che t'ha sempre desiderosamente amato. —

Questo dissi bagnando di lacrime i biondi capelli di lui chiuso tra le mie braccia. E' m'intese; ruppe gli amplessi, e rimase come sbigottito: poi ritornò. Io fuggii senza più dir parola. Né più lo rividi. So ch'egli è maritato, e a donna (mi scrisse) che mi somiglia. Iddio lo faccia felice, e benedica i suoi figli.

Giunta a Livorno, trovai per buona sorte da accomodarmi in una famiglia milanese dove il lavoro non mancava, e non mancava l'affetto. Le tre ragazze m'amavano come sorella, il vecchio come figliuola. Io guardia a loro, esse a me. A giorni però le memorie venivano sopra all'anima spaurita, come torbo torrente in piantagione novella: e a poco a poco si ritraevano. Iddio mi dava forza, invocato; egli sì buono!

Accorcio il racconto già troppo lungo: altra volta rianderemo le parti soppresse. Stata così tre anni, mi cominciò a rigirare intorno un mercante francese. Per più di sei mesi stetti alle dure. Ma la costanza sua (ed era ostinazione d'orgoglio presuntuoso) mi parve, in uomo francese, di buono augurio, e mi vinse. Permisi venisse: e la famiglia dov'ero, acconsentiva. Naturalmente affezionabile, e stanca già del mio stato incerto, gli posi affetto. Nulla mi piaceva in lui, ma nulla mi dispiaceva forte: ch'è il merito de' Francesi. Si conchiude il matrimonio: sull'ultimo e' fa un viaggio a Lione: di là, invece di venire, mi chiama a sé, e mi manda il danaro. Lascio con dispiacere la casa dov'ero; arrivo: fallito e in fuga. Colpa non in tutto di lui, ma d'un altro fallimento seguìto a suo danno. Egli stesso però tentennava; e a Livorno dov'erano i suoi maggior debiti, per addormentare la gente, trattava di matrimonio: prese me per zimbello. E m'amava: m'al modo suo mercantesco. Mi scrisse che lo seguitassi, e che aveva danaro. Arrossii: non risposi.

Adesso ringrazio il cielo di non essere divenuta sua moglie: ma allora pensate lo stato mio. Sola, tra le nebbie di quella mesta città mercatante, sotto l'odioso inverno di Francia (eravamo all'ottobre del trentaquattro), al verde di quel po' di danaro, stanca di ricominciare tante volte e così duramente la vita, caddi malata di male di petto. Mi portarono allo spedale: fui in fin di morte. Un prete m'assisté con sollecitudine rispettosa: ascoltò con pietà la mia confession generale; soggiunse parole affettuose e semplici. Rinsanicata, mi collocò tra le suore della carità, rare donne, che conoscono il mondo tanto da amarlo per lui, non per sé. Di quando in quando egli veniva a vedermi in loro presenza. Sapendolo di Bretagna, e che nel suo paese si campa a buon patto, gli chiesi indirizzo: e' mi promise con gioia l'ospitalità in casa di sua sorella vedova; e il giorno dopo mi portò la lettera col denaro. L'accettai senza rossore da lui.

Lasciai Lione abbattuta, e quasi atterrita: ma quella città senza gioie parve imbellire agli occhi miei, dacché ci lasciavo persona che non mi avrebbe dimenticata mai, e che poteva pensarmi senza rimorso.

A Quimper trovai accoglienza di cuore, e lavoro assai. La gente, altra affatto dagli Italiani, m'avevano dell'italiano la naturalezza, massima delle doti. M'era dolce conversar con persone che non arrossiscono dell'essere e del mostrarsi cristiani, che non conoscono gioia maggiore. Gran confusione e gran conforto insieme era a me sentir le cose chiamate co' propri lor nomi: la fornicazione fornicazione, l'adulterio adulterio. V'è chi sa i nomi e gli usi della buona società (come dicono): ma il popolo è sano, buono al suo modo. Or la metà de' falli e de' guai viene dal palliar che si fa con parole nuove le vecchie ulcere dell'anima umana.

Sulla fine del trentacinque morì la sorella del mio benefattore: al principio di quest'anno i' vi conobbi, Giovanni. Eccovi confessate indigrosso le mie mancanze: dei particolari alcuni le aggraverebbero, altri le attenuerebbero forse. Ma tutto non si può dire: o l'orgoglio o la modestia lo vietano. Pur potete ora, se non conoscermi, indovinarmi. Giovanni, sfiorita sono dell'anima, sì; disfiorata della coscienza non sono.-

Sentivano voci venire per le acque solitarie: il barchetto tornava. Montarono verso Quimper. I rematori cantavano un canto bretone; e a Maria lo traducevano di strofa in strofa, e lo ricantavano. Il canto diceva d'una fanciulla che fu morta da due masnadieri:

«Camminavano. Marianna tremava, e cercava con gli occhi qualche lume di malato che luccicasse dalle finestre, per farsi cuore. I due parlavano piano tra sé: la fanciulla si mise a piangere...».

«... Trovarono la fanciulla morta, e la lanterna accanto a lei».

«Addio Marianna, addio povera fanciulla; addio la più bella delle vergini che battessero le vie di Lannione».

Come il canto ebbe fine, tutti si tacquero. Il sole aveva nudate di nebbia le spalle de' poggi: luccicavano di recenti stille l'erbe e i fiori gemmanti; fremivano con più piacevole stormire le fronde: biancheggiavano le capre dall'erta; lo sparviere correva per l'alto; la rondine radeva con l'ala l'acque lievemente gonfiate affluenti dal mare; la lodoletta vibrava più gaio nell'aria serena lo snello e svariato suo canto.

LIBRO SECONDO

Ad esprimere quel che Giovanni sentisse fra il dir di Maria, ogni parola era poco. Perché le parole significano alla meglio i sentimenti a uno a uno; non il complesso loro, il contrasto: e in quel complesso è la vita, in quel contrasto il mistero dell'anima. Ond'egli taceva: e con gli occhi intenti e pur timidi, con la fronte serena e dimessa, intendeva rispondere alla donna; che, incerta di sé (come i buoni, e gli erranti non tristi sogliono, come suole chi comincia ad amare davvero), traeva quel silenzio a senso di disistima, e si tormentava dentro, ma senza pentirsi dell'avere parlato. Più volte fu lì lì per aprire la bocca, e o ragionare di tutt'altra cosa, o riandar sulle dette: ma l'istinto di donna, e l'abito del crucciarsi in cuore senza parola, la tenne. Alla fine e' cominciò:

«S'i' avessi a dirvi la mia vita, o Maria, trovereste men dolori e più colpe, meno passioni e più vizi; germi di virtù soffocati, affetti generosi trarotti: ma sotto a questi quasi frammenti di vita vedreste un sentimento continovo, che, quieto, invincibile, mi solleva al mio fine. Una sottile e ampia tela m'aveva data a lavorare Iddio, trapunta d'ardito e gentile disegno: io la insudiciai, la stracciai; e, là dov'era intatta, la colorii d'imagini invereconde; e, quasi a mia condanna, ad esse intramischiai qualche forma delicata, delineatami in cuore dalla mano degli Angeli. Un po' del mio bene, e un po' del male (ma di questo più poco) affidai a un giornaluccio, tenuto a sbalzi, dal trentuno al trentacinque, dal ventotto al trentadue di mia vita. Lo leggerete: il resto confesserò di viva voce, quando il cuore (ch'ha i suoi giorni anch'egli) lo soffra o comandi. Leggerete senza disprezzo, io spero, Maria. Chi patì, compatisce».

Due giorni dopo ell'ebbe il quaderno, e lesse:

1831, Milano. L'Epifania.

Ero a Padova: dal prato della Valle ammiravo, di là delle aperte finestre d'un vecchio palazzo, le calde tinte del sole occidente nell'aria estiva: e in quella prima impressione di queta voluttà cominciò la natura a rivelarsi a me giovanetto. Chi m'avesse detto che in quel palazzo i' sarei dimorato: e che, passando da quella sala che m'era quasi traguardo a vagheggiare il cielo, i' non avrei più sentito quel che da lontano sentii! E che dalle finestre vicine alle mie si sarebbe volto a me il primo sguardo d'amore, non chiesto, non noto; e che la giovanetta desiosa avrebbe a me, ancor bambino dell'anima, mandato con una viola in dono se stessa! E ch'io quel fiore lascerei languire sul mio caminetto, e ritormelo! Virtù non era, non innocenza la semplicità mia; era un de' tanti misteri dell'annebbiata mia vita. E ora, tagliato il viso dal vento frizzante del verno, veggo il rosseggiare modesto di quel cielo estivo e quel fiore; ricerco, rimedito la fanciulla smarrita. Poi penso: ma se quel fiore accettato, e l'amore concesso, mi fossero stati ritolti poi? Che dolore in quegli anni vogliosi e gracili! E Dio me l'ha risparmiato: e in cambio di un diletto volgare che, forse non compreso, forse trovato minor dell'idea, m'avrebbe addolorato e corrotto, mi lasciò la memoria pura d'un lieto occaso, d'una cortese giovanetta, e d'un fiore.

Crema.

Uomo forse non visse più ricco ad amici, di me. Non parlo delle amistanze del mondo, né delle famigliarità tra ceremoniose e amorevoli, né delle benevolenze tiepide e inerti, né di quella stima confidente che dall'affetto incomincia e mette ad esso: parlo dell'amicizia tenera, ardente, pensata, pietosa. A me nell'adolescenza e nella gioventù prima, l'amicizia era simpatia prepotente; e mi faceva piacere o il pallore o il rossore d'un viso, o il suon di voce non nota, o il fanciullo la cui compagnia mi fosse interdetta. E il senso in sul primo confondeva la roca sua voce al gemito indistinto del cuore; e quei desideri, tra timidi e baldi, e, quasi serpe, ravviluppati in se stessi, m'aiutarono a indovinare molti tristi secreti. Rammento ancora il sito, il punto de' luoghi dove que' giovanetti commossero l'anima mia; rammento la verdura de' campi passeggiata con essi. Parecchi già morti!

Bergamo.

Calunniare una donna, e per vanità! Altri lo fanno maturi, e se ne lavan la bocca: io a diciassett'anni, e negli orecchi d'un solo. Non rinnovai più, che una volta a vent'anni, questo vile peccato: né allora ne sentivo la crudeltà e la stoltezza. Ella sì tenera del marito, e sì pia! Sensualmente s'amavano, ed eran pii. Troppi pensieri di lei s'aggiravano intorno alla persona propria, giovane e desiderata; ma quand'ella pregava, non pensava che a Dio. Calunniarla! Favoleggiare a lungo il disonor suo!

Brescia.

Strano che l'uomo debba in quasi ogni cosa parere o migliore o peggiore di quel ch'egli è. E io peggiore, se ci metto punto del mio. A diciott'anni scrissi:

E il bello intero dell'auguste membra.

A ventiquattro recitando questa cosetta a un poeta vero, dimenticato il mio verso, mi venne detto:

E dal candor delle divine membra:

roba foscolesca e pagana e carnale; dove l'altro più giovane era spiritualissimo, e mio.

La luna rosseggiante al basso, candida in su, stendeva sul mare commosso da un principio di vento, la sua colonna di luce lunga più miglia: una stella solitaria spuntava timida nel sereno, come sposa che prega in tempio deserto; poi una, poi una, qua e là rade per l'immenso. Un rusignolo sospira tra gli alberi irradiati dalla luna; un altro di lontano risponde: l'un canto s'accorda e si discerne nell'altro, come colori simili di varia tinta. Il cielo or mi pare innamorato specchiarsi in quest'atomo, or quasi mano immensa che minacci serrarsi e schiacciare la terra.

Verona.

Quando penso a tre o quattro azionacce della mia gioventù, n'ho paurosa vergogna: e conforto unico mi è il credere che l'anima umana, or in male or in bene, s'immuti di pianta. Tale che nel pieno delle sue facoltà sarà buono, nel crescere, ad ora ad ora, par tristo: fanciulla malata a quattordici anni; indonnita, imbellisce.

Penso a una povera serva contadina, ch'i' ho fatta cacciare di casa nostra, perché onesta meco. Meco e con tutti. Le forme e l'andare già matronali, e pur di vergine: gli occhi soavi, delicata la voce, l'anima lieta. I miei che le sapean grado del contegno suo meco, credettero poterla tenere in casa, e nasconderla a me giovanetto. Me n'avvidi; richiesi, o lei fuora o me. I miei temendo dell'umor mio vagabondo, la congedarono con rammarico grande. La si partì lagrimando. Odo tuttavia la sua voce modesta dappiè della scala piangere addio: e quando penso alla mia patrizia freddezza in quel punto, sento che non ho diritto di condannare veruna delle più dispregevoli umane malvagità.

Servire altrove non volle: ma noi serviva di fuori in più duri servigi. Un giorno, nell'alzare un peso maggior delle grandi sue forze, e' le cascò addosso, e le ruppe il fil delle reni. Gli è come se di mia mano l'avessi fracassata io. Forse ne' suoi dolori, ella ripensa a me sua rovina, imprecando. Quali ambasce potranno espiare sì vile delitto?

La vidi poi patita, e bella tuttavia: moglie e madre. Per amore de' miei la mi salutava con rispetto amorevole: e forse la m'avrà perdonato.

Ella mi vide partire di casa mia (l'ultima volta: da quel giorno più non rividi mia madre); e vide un'altra giovane serva di casa farmi le sue dipartenze piangendo: ed ella m'osservava fredda e severa. Quello sguardo, che valse per molti rimproveri, mi rimarrà memorabile.

Noi scrivacchianti vantiamo, e ci crediam forse, d'avere il cuor buono, perché abbiam piagnona la penna. Non c'è gente più grossolana della gente sensibile: non badano che a se stessi. Dopo straziato per vezzo il cuore altrui, quand'e' sentono scalfitto il proprio, belano. Mi par di vedere una baronessa attempata che, mostrando le sue bellezze, si fa scarrozzare di galoppo per le vie fitte di gente, e desta il desiderio d'un collegiale, l'invidia d'una mercante, il sogghigno d'una marchesa; fa fuggire i bambini, spaventa le donne, rompe le gambe ad un vecchio; poi torna a casa per piangere con misericordia molta un suo canino morto d'indigestione di chicche.

Duomo di Pisa.

In questo tempio mi giova imaginare un concilio tenuto da uomini somiglianti a te (pari, è impossibile), o gloria eterna d'Italia, Tommaso d'Aquino. Quante rimembranze, quante bellezze qui entro disposte, fitte, ammontate! La memoria e l'occhio confusi corrono or su questa, or su quella; il pensiero le accoglie con gioia: ma la gioia, come liquore in vaso non sano, infortisce in dolore. Oh maraviglie dell'arti e della fede, quanto pochi v'intendono! Ma fosse un solo, quel solo è l'erede e il trasmettitore di feconda ricchezza. Dalle colonne, dagli archi, dagli altari, dalle statue, da' dipinti, dalle tombe, si spande, come di molti e possenti strumenti, piena, pacata armonia. Ed eran pure guerrieri forti coloro che ispirarono e fecero così miti bellezze. Da tutti gli angoli della terra accorrete, o voi quanti amate le cose grandi, innanzi che questo tempio rovini scalzato dai peccati degli uomini. Appena di mirarlo siam degni. E io temo a ogni tratto ch'e' non dispaia. Oh potess'io in questo tempio, comunicatomi all'Amico mio, in un sospiro di possente interceditrice speranza, morire!

Prato.

Molti si dolgono che il cuor loro non è bene inteso. Voglion dire, adulato. Che importa essere intesi? Ci si guadagnerebbe egli sempre? Meglio sovente non essere.

Allora, quand'altri v'indovina a mezzo, la gioia è più viva perché non solita. E chi, indovinandovi, v'abbellisce; e il comento talvolta è meglio del testo. Poi il dubbio di non esser bene intesi fa studiare il modo più acconcio, ed è scuola al cuore e all'ingegno. Per me, le donne ch'io desiderai mi capissero, m'hanno quasi sempre capito. Fin troppo. Il difficile a questo mondo non è già essere conosciuto; è conoscere. Non degnate d'un guardo gli altri; e pretendete che gli altri si cavino gli occhi a studiare in voi.

Firenze. 1832.

Più lungo lo scandalo del peccato: ma anche il peccato ben lungo! Non fu merito, fu miracolo di quell'Amore che sì dolcemente fa forza all'anima umana, s'io vissi puro tre anni accanto a donna non mia, e già appropriatami, e sempre affettuosa, e benemerita della vita e dell'ingegno e dell'animo mio. Ella li esercitò al modo suo; ben altro da quel delle scuole e de' libri: e me mondò della buccia letteraria che mi rendeva aspro ad altri e a me stesso: mi insegnò ad onorare il popolo in atti e in parole com'io l'amavo ne' chiusi pensieri. Ma dir poche cose di lei mi pare ingiustizia, e tutte non posso. Meglio tacerne.

Ell'era marchesa: prosa mal verseggiata. E aveva, quanto a prosa è lecito, amato d'amore; e me adesso diceva somigliante all'amor suo già morto. Una donna le era accanto men ricca di memorie gentilizie e amorose, e di debiti e di parole; che più mi piacque, a cui meglio piacqui.

Luglio. Padova.

Su questo tempo, anni sono, i' bruciavo. Una donna, passata i trentatré, ma pur bella, s'intendeva molto materialmente in me giovanetto che molto spiritualmente l'andavo considerando: e non m'accorgevo de' suoi consumati ma pure schietti artifizi, né discernevo le tenerezze ch'ella mi scoccava tratte da' libri, e volevo a forza adorarla com'angelo: e lei che prima posava la sua sulla mia mano, e mi si abbandonava in provocatrici attitudini, non capivo e con lunghissimi abbracciamenti, a me quasi puri, ferocemente la tormentavo e la rimandavo delusa, ma non disperata di vincermi, e maledicente in cuore i letterati matterugi e le meteore platoniche. Io, distaccatomi da quegli amplessi, me n'andavo a leggere Bartolomeo frate da san Concordio, e notare i suoi modi, e inzepparli nella mia prosa amorosa. Della qual prosa amorosa leggevo all'idolo mio qualcosa.

E pure il frate pisano e la padovana non soddisfatta, poterono sul mio stile: qual più, non saprei. Né a tuffarmi a gola nel pantano, avrei tanto imparato né di stile né d'amore quanto a tenermene fuori, per semplicioneria, non per merito. Molte volte poscia richiamai quegli amplessi, e li rinsudiciai col pensiero. Dunque tutte le gioie ch'io provai sul primo sì calde, erano sogni di fanciullo inesperto? E tutti i dolori ch'ebbi da lei delusa e uggita di me, io non n'ho indovinato il mistero se non anni e anni dopo passati? Povero cuore dell'uomo, di che tante volte gioisce, di che sospira!

Il teatro dov'io la sapevo, la imaginavo, era un tempio per me. Di lei sola vivevo.

Non l'ho più riveduta: meglio. Ma nell'idea la riveggo qual era, grande la persona, e le forme in pieno rilievo: ignude le braccia bellissime, e sul collo ignudo una pezzolina non distesa ma attorta, illecebra di pudore: e il sorriso intendente, e modesta la voce; e candida tutta: ma il viso tinto d'un timido rosseggiar di viola, raggio della bellezza che lenta e a malincuore tramonta da un corpo ancor pieno di lei.

Sett'anni quasi, intorbidati da brighe letterarie, pure a me d'odio, non di disprezzo! Oh disprezzare è ben più acerbo dell'essere disprezzato. E fin nell'abbaruffarmi, amai; ma d'amore ombroso, immite; battagliai, il più per difendere persone a me care; ma meglio era abbracciarle nell'anima vereconda, e tacere.

Qui sapit, in tacito gaudeat ille sinu.

Vero non pur dell'amore, ma e d'ogni gioia.

Baia presso Lussino. 1833.

La spiaggia pietrosa e deserta, e senza il concento dell'onde; i poggi erti senza grandezza, senz'orrore disameni: barchetti fradici di pesci saltellanti, e orridi delle branche tenaci delle ariuste ammontate: bonaccia torba, pioggia tediosa. Oh potessi ora, superando quel sentiero tristo, giunto in cima, vedere non la terricciuola di Lussino, ma, seduta nella ricca pianura, te, madre d'anime sincere, Milano! E scendere nell'ampie tue vie, e rivedere gli aspetti noti; e ragionando rifare il passato, e domandare e rispondere e fare scuse.

Scuse a te, buona, che, non badata, mi amasti. Altri amori forse, e più caldi e non più lieti, hanno esercitata nei più giovani anni la vita tua: ed eri schiva, e fredda a studio, e quasi velata nel cuore, quand'io ti conobbi. A poco a poco venisti: e le parole mie ch'erano di pietà, a te sonarono non so che più forte, o anima desiderosa e romita. Né mai mi sorse pensiero che a pochi passi da me forse era una moglie amorosa, forse la pace della vita mia: ho io mai pensato a aver pace?

Vistomi in casa freddo, provò fuori; e cercava rincontrarmi per vie che sapeva a me solite: ma io, orbo e distratto, non m'avvedevo di lei. Un giorno parlando co' miei pensieri, sorrisi; ed ella passava, e la vidi, che quel sorriso credendo di scherno, si cambiò tutta. Non mi disamò pertanto: ma ridivenne schiva e fredda a studio, e si raccolse più alto nella vergine solitudine del cuore vedovato.

Che vita stagnante! che lunga vecchiaia! Nutrisca Iddio delle tacite sue rugiade la sitibonda, e non arida, anima tua.

Passeggio sotto cielo piovoso una pianura biancheggiante di sassi, gialleggiante di cardi: due medici meco, che si tengono per gente trincata, e guardano me con pietà, che non so fare complimenti alle signore, e passo daccanto a quelle a capo basso. Disputavano, qual più potente, il sorriso o lo sguardo; e se l'uno aiutasse all'altro, o indebolisse: sguazzavano in quel tema con maraviglioso diletto. Domandano in aria di canzonatura il parer mio; risposi: non me ne intendo.

Calen di maggio 1834. Firenze.

Lieto giorno era questo, Firenze, a te. Ora le tue gentildonne non ballano in sulla piazza di santa Trinita: e fanno bene. Perché le lumiere del casino vicino costano più che il sole: e trista ombra sulle danzanti cadrebbe dalla colonna di Cosimo.

Marsiglia. 1834.

Nel correre col pensiero al viso e alla voce e alle parole e all'andare di donne che mi riguardarono affettuose, (confesso) mi buttai talvolta all'amplesso degl'idoli lontani, belli perché lontani e perch'intatti.

Cette. 1834.

I Francesi (e più quelli che non l'hanno punto provata) dicono l'infinita abbracciabilità delle donne d'Italia. Io, entrato a pena in Francia, ritrovo in vettura una signora francese, che mi si mostra a chiari segni abbracciabile: e perch'io, per buone ragioni, non le do retta, ed ella si butta a un altro Italiano lì accosto, e scende seco la notte a contemplare il firmamento de' cieli. Io non conchiusi da questo che le Francesi fossero tutte dirottamente amorose: ma conoscendole meglio, vidi che in Francia è men che in Italia il merito del resistere, e più la colpa del cedere; che la Francese, naturalmente più fredda, ha più veli da gettar via per ignudarsi, e quindi più tempo al ravvedimento. L'Italiana non riscalduccica col pensiero gli amori suoi, non ne fa teoria. Merito grande innanzi a Dio e innanzi agli uomini. Taccio che in Francia l'amore è, più sovente che da noi, un'acqua lenta e buia a cui non dispiace nascondere tra la melma qualche pagliucola d'oro. In Italia l'amore si sente, si patisce; in Francia si disserta, si computa. Non già che qui pure non s'ami: la donna è una bontà inesauribile, un candore impossibile a contaminar tutto quanto. Ma s'ama meno che in Italia, e s'abbraccia... — Più? — Voglio largheggiare: non meno.

Gli amplessi colpevoli miei furon forse lungo dolore: e chi sa per quante vite quel vergognoso dolore si propagò? Gl'incerti ed ignoti, e non pure i veri ma i possibili patimenti altrui, pesano sulla coscienza mia. E questo male, appetto al contagio degli esempi rei, delle molli o sprezzanti parole, è nulla. Vero è che qualch'esempio diedi anco di bene, che qualche parola dissi d'amore: ma chi sa da qual parte penderà la bilancia? Affrettiamoci, anima, con ansiosa pace ad espiare; affrettiamoci.

Ella sedeva rimpetto a me, e con lo sguardo intento e discernitore cercava il mio spensierato e quasi errante. Non pura, ma buona; ignara del vincere, ma devota in cuore a essere vinta, cercavi a che braccia non dure e non ingrate abbandonarti. E lo sguardo umile tuo, Luisa, e caldo di rispettosa fiducia, m'onorava. Ma io non badai: meglio forse per te.

Lasciò la casa dov'io la conobbi: né più seppi di lei. Povera Luisa, anche tu delle tante che mi passaron dinanzi per iscuotermi, come baleno che mostra ampiamente schiarate dalla fiamma breve le nubi fonde e la lunga campagna.

Il pensier mio da più dì è muto, sordo. Sogni orgogliosi o sozzi fantasmi lo intorbidano: non isfonda, non sale. La preghiera è languida, leggera; sento venir meno la virtù dell'affetto: i fratelli giudico con disprezzo o con ira. Qualche caduta è vicina. Oh meglio morire!

Parigi, aprile 1834.

Il tamburo chiama all'arme soldati e cittadini: in queste contrade ogni cosa quieto; in altre forse si comincia a morire. Rivoluzione? o tumulto? Chi sa? che frutterà questo sangue? altro certamente da quel che si spera o si teme.

Lascio la casa del Lamartine (questa voce canora esc'ella del cuore? o della fantasia?); passo il ponte rimpetto al palazzo del re: silenzio minaccioso. Armati a cavallo caracollano per la piazza del Carosello; o si celano le schiere nell'ombra; se non che scivolando fra tetto e tetto, la luna fa luccicare le corazze e i cimieri.

In quel palazzo sì splendido di lumiere, che batticuori! come aspettati i messaggi! Il timore lascia egli luogo all'amore? Che si domanda egli a Dio? C'è chi prega pe' vivi: ma per gli uccisi? per gli agonizzanti nelle abbarrate vie, sotto la zampa ferrata, sotto una carretta riversa? Quante coscienze in bilico! Il sol di domani darà loro il tracollo. Le esclamazioni son pronte: i nomi in bianco. Dicono molti svegliandosi: «Son io un altr'uomo? Il giornale me lo annunzierà. Un sonnellino ancora». E aspettano dal portinaio l'ispirazione fresca di torchio, e fradicia.

Quando non sai se la donna desideri a' tuoi pochi quattrini o a te, gli è un imbroglio. All'affetto vorrebbe unirsi la stima, e non sempre può. Ma può più spesso che taluno non creda. E quand'anco desideri ad altro che all'uomo, la donna più volte desidera l'uomo. Tale è questa ch'io penso. Ardita, e ardente, e profferentesi a me: la persona alta, roca la voce, le fattezze ora composte a bellezza, ora turbate, e quasi rimpastate in forma tutt'altra. Io la vidi piangere: né sapeva ch'i' la vedessi; e non badava s'altri guardassero a lei. Piangeva in chiesa una donna morta.

Costei forse m'avrebbe veramente amato. Ma io delle quattro mie casigliane, di me più giovani, e non abborrenti da me, diedi nella meno gentile e meno amorosa. Due di loro vagheggiai ne' versi (ad esse, com'io soglio, celati); e la morta n'ebbe anch'essa; ma questa ch'io vidi piangere, non ebbe né versi né desideri. Sgomberando, mi disse dove tornava: non curai rivederla.

1835.

Amav'io in essa l'affetto che a quando a quando traspariva dalle parole delicatamente lusinghevoli e dagli occhi vaganti? Amavo io l'ingegno agile, aperto? Amavo io il nome? e l'esile persona schiettamente adorna, e la casa riccamente addobbata, e la frequenza elegante poteva anco in me? Non credo. I suoi titoli a lei negai con reticenza affettata, e la trattai ora con famigliarità, or con durezza; e al suo sorriso feci più volte cipiglio. Ma pur mi sedetti alla sua mensa: e un giorno, perch'io disavvedutamente pigliavo il posto d'un conte, ella sollecita m'additò il mio minore. E io soffersi: né quello fu l'ultimo pranzo accettato da me. Fu bene il penultimo.

M'amava ella? No. M'avrebbe annoverato fra i tanti a cui non si diede ma si permise. E io volevo meglio di lei: volevo cosa che il cuor suo non poteva dare né a me né a uomo del mondo. Perché ne' desideri languidamente soddisfatti l'anima, come il corpo, infiacchisce. Bellezza vuole battaglia: e di battaglia esce amore. Troppo stimava io lei, ella me.

Lei, la donna ch'io penso, signoreggiare avrei voluto, tutta: ma come maneggiar francamente vaso incrinato? Gli era pur bello e lavorato con arte! Mente serena: ma faceva sovente il cuor severo, e freddo cercatore de' difetti altrui. Chi sa qual vecchiaia l'attende? I piaceri, incautamente agitati, lasciano feccia di dolore: e io lo so.

1835.

Una tomba lontana pens'io, e dentrovi te che lasciai viva, o Teresa, e vidi nel partir mio commossa correre a celare le lagrime. Tu m'amavi d'amore ultimo e combattuto; e mel dicesti in linguaggio degno di te, facendomiti un giorno vedere inginocchiata a un'imagine cara, e chiedente vittoria sul cuor tuo. Nessun uomo forse ebbe dichiarazione d'amore più pura; pochi rimprovero più potente. Quanto devota a' servigi miei! Quanto riverente della mia povertà! Perché povera tu pure; e non sempre stata così: e bella un tempo, e pur non amata, e dal disamore altrui forse tratta a fallire. Come mi parlavi accorata e modesta del tempo passato! Che gioia ne' tuoi sguardi al vedermi, che pietà nel tuo viso, e che sublime sommissione di donna ne' tuoi silenzi!

Sul morire si rammentò la dolorosa di me, da dieci anni lontano, e pregò mi scrivessero ch'ell'era morta.

Quel primo moto d'affetto, di gioia, di stima confidente, che brilla in viso di donna al primo vederti, comeché si dilegui poi, riman tuttavia memorabile. Perché l'uomo conosce meglio la donna col tempo; ma ella meglio indovina lui sin dal primo; e se esperta, prerapisce col pensiero l'amore; se novella, divien più modesta, e si svoglia delle gioie usate, e nella nuova mestizia da quelle riposa.

Vedere negli occhi ardenti e profondi, nel lieve sorriso di donna, l'amore; vederlo nelle cure di lei tacite e trepide, nell'incerto prolungare de' rotti colloqui; veder l'amore, e pur dubitarne, e ondeggiar tra il rimorso, l'orgoglio, la timidezza, il rispetto; e svogliatamente combattendo, eccitare le proprie voglie e le altrui; dolce e reo tormento, che intreccia con la colpa la pena.

1835.

Ripenso a quelle ch'io conobbi men gaie, e che più piacquero agli occhi miei. Una tra tutte memorabile per la dolce pietà degli sguardi, e il sorriso socchiuso, e la voce del cuore, e gli atti tra confidenti e supplichevoli, ma non servili né baldanzosi mai; e le parole brevi e quasi gremite d'affetto, e l'aria della testa raffaellesca. Il corpo, bersaglio ai desideri insultatori della gente che passa, nell'anima ancora una fiammella eterea che tremola incerta, e sparge intorno un bagliore mesto, non sai se timida o vogliosa di spegnersi. Ell'aveva lasciati già dietro a sé gli anni più sconsigliati; e il venticinquesimo, primavera ad altre, er'a lei quasi autunno. A lei scorreva nel sangue la pena del suo fallire: ell'era a me, senz'avvedersene, ministra e di gastigo lungo e di ravvedimento, e di nuove esperienze salutari d'ignominioso dolore. Oh misere membra contaminate, chi sa se la vita e il dolore serpeggino ancora per voi? o se il dolore si sia già mangiata la vita coi lenti suoi morsi? Ella mi diceva, infelice: «Pregar Dio? L'ho pregato tanto quand'ero più giovanetta: e nondimeno!» — Ma tu l'avrai ripregato, e lo ripregherai se tu vivi, quel Dio che creò i fiori a te amati tanto, che sì graziosa ti fece, o donna, e sì mansueta.

1835.

Raccolgo nella memoria le donne, non amate a me, ma piacenti, o che a me guardarono con affetto. Pur lieta schiera a vederla, e pure infelice! E sotto a que' visi arridenti, come sotto maschera fine ma opaca, altri visi si nascondono (gli aspetti dell'anime) assecchiti, contratti, grondanti di pianto. Oh chi potesse in un punto vedere quant'arie e quante cere e quante fisonomie fece aspetto di donna dalla pubertà all'agonia! Varietà tremenda, tremenda unità.

Lieta schiera a vederla! Candide nel pallore, candide nel rossore, pallide nel bruno bramoso; gracili e forti, alte o poche della persona, ardite fattezze o tenere; di città, di campagna; sull'erta, sul pendio della vita; da' suoi spregiate o dilette; beate di povertà monda o afflitte di grave ricchezza; in Dio raccolte, di lui non curanti; significanti l'amore con lode lontana, con lunghi sguardi, con brevi parole, con domestichezza procace, con l'ebbre attitudini della sciolta persona. Non lunga schiera, e pur troppa! E già i nomi delle più mi fuggirono; e i visi, riflessi quasi in acqua commossa, tremolano nel pensiero, e l'un nell'altro si confondono; e da quell'ondeggiare contraffatti per poco, si ricompongono più gentili che mai.

Se alla catena de' vostri falli e de' dolori io aggiunsi un anello, o sventurate, perdono. E poiché già nel pensier mio non vivete distinte vita propria; siate tutte, o affetti senza nome, in un affetto rinvolti e in un pentimento.

1835, 8 ottobre.

Compiti i trentadue anni della mia languida vita. L'ingegno si schiara in lume più nobile, più sicuro; ma forse più ardente a' miei danni. Sento di salire; ma veggo insieme spazio immenso ch'è tra miei passi e la meta. L'ingegno sale; ma l'anima? Aleggia a momenti, poi s'accascia, e grufola più bestialmente che mai. Quante volte sorto, e quante caduto! Che vergogna dell'essere sì fiacco e sì spensierato! Che gioia dell'essere sì caro a Dio!

Sono io degno d'annunziare agli uomini il vero? O anni avvenire, rispondete al desiderio della umiliata, e pur balda, anima mia.

Finita dunque la mia gioventù! Addio speranze d'amore e di pace. Come passati quest'anni! In languore affannoso, in solitudine profana, in voluttà senza piaceri, in sacrifizi senza virtù. O gioventù disgraziata mia, addio per sempre! Come al vedere il sole alto, l'uomo spegne un lume fioco che muor fumicando, così vegg'io te finire.

La nuova giornata sarà ella non dico felice, ma tranquilla, ma pura? Potrò io resistere alla battaglia continova delle cose e del cuor mio? Potrò io vivere solo nel mondo? Abbandonata la famiglia che t'ha data Iddio, potrai tu creartene un'altra? La merito io? E che recare in comune? Un'anima sgannata, un corpo stanco, e la mia povertà. — Dimenticavo l'ingegno. Oh buon mantello contro il freddo, bella consolazione per una donna, l'ingegno!

26 dicembre.

Sempre combattere fino all'estrema vecchiaia! E serbarsi puro fin de' pensieri! Non aver chi t'assista infermo, scorato ti rinfranchi; pagare a contanti quei servigi che mia madre sarebbe lieta di profondermi, e me ne saprebbe grado, e piange a calde lagrime di non lo potere. O madre mia, il tuo dolore non m'è così acuto come dovrebbe. Io non soffro, non amo abbastanza.

Ma se non lieta la vita mia, passi almeno non vile. Il vero al quale ella è sacra, esca franco e vestito di nette parole. A giorni la mente anch'essa tentenna: e le bellezze della santa natura mi si velano agli occhi, come ad uomo assonnato. Dio del nobile amore, pietà di me.

Quimper 1836.

Conosco Maria.

Qui finiva. Maria lesse compiangendo, esultando, arrossendo: altre cose non intese, altre troppo, e col proprio cuore abbellì; altre frantese, ma le più in bene. Molti sentimenti le vennero da quella lettura, commisti insieme, nessuno ben chiaro: confidenza con timore, pietà con rispetto, coscienza di somigliarli ma in meno e con differenze, al parer suo, troppe; e ciò le doleva. Far giudizio dell'uomo intero né poteva né voleva: ché sempre nell'affetto è una parte indeterminata, misteriosa; e quella è il fomite dell'affetto.

LIBRO TERZO

Neri il vestito, il cappello, lo scialle; neri i lunghi capelli, e gli occhi intenti e modesti; pallido e mesto il viso, bianca la fronte verginalmente serena; la statura alta, le forme snelle, ma non senza rilievo; languida la mossa del capo sovente dimesso, l'andare agile ma composto, gli atti in sé raccolti e severi; esile la voce dedotta dal petto profondo; raro e visibile appena il sorriso; frequente ma mansueto il cipiglio. Varia d'umore, e nei giorni neri tremenda; ombrosa, delicata fino all'orgoglio; non sensuale, ma sensibile, men delle fibre che della fantasia: impaziente de' tedi, paziente de' dolori; ignara del mentire sia con parole sia col silenzio; dell'ammirare lieta, bramosa e timida dell'amare.

Giovanni la vide in prima, che saliva sola nell'ore più sole il passeggio di Quimper che chiamano la montagna. Era di marzo. Il sole mattutino imbiancava o squarciava la nebbia, sì che le cime circostanti parevano tagliate e rifatte in forme nuove; e struggendo della neve ammontata, mostrava la nera terra e i massi biancheggianti, e qualche fil di verdura. Giovanni seduto a mezzo il poggio su un sedile di pietra, sentiva il canto degli uccelli che invocavano e presentivano l'ombre su per gli alberi ignudi; sentiva ascendere confuso il rumore della soggiacente città: guardava or al fiume mormorante, or al mare lontano, or agli archi arditi del tempio che, con la nave di mezzo inchinata a diritta, figura il capo di Gesù in agonia. E lo spettacolo di fuori, e i sentir suoi dentro, e le memorie proprie e dell'arte mescendo insieme, si perdeva in error di pensieri tra mesti e lieti, da cui (secondo l'ultimo che prevale) l'anima sorge o rifatta o più fiaccata che mai. Riandava in mente un canto di Dante, e giunto là dove dice: innanellata pria Disposando m'avea con la sua gemma; sentì bisogno di sentire i vivi suoni delle dolci parole, e le gridò ad alta voce; al solito suo cupa sì che parevano parole d'ira. Ma e' non aveva finito, che al sentir gente, si volse: e perché quivi la via svolta a un tratto e fa biscanto, si vide vicino il pallor di Maria. Il pallore, e il lungo suo sguardo; perch'ella all'intendere i suoni della sua dolce lingua, e versi a lei non ignoti, si sentì percossa di gioia simile a stupore e lo guardava fiso salendo a passo lento. Egli che col volto pareva talvolta dire il contrario del suo sentire, la guatò accipigliato: onde Maria abbassò gli occhi, tingendo di rossor languido il pallore suo bruno, e affrettò il passo ansando. Che italiana fosse, non sognav'egli; e avendo in Quimper veduti pallori di donne belli e sereni, e severi come d'imagini, credeva lei del paese: se non che nella modestia gli pareva intravedere non so che più sentito, e più sobbollente.

Giovanni, trovatosi in Francia per certi suoi casi, o piuttosto pensieri, stufo della mota di Parigi, e sentendo lodare la gente e il suolo della Bretagna, e che il vitto men caro (perché Giovanni era povero); deliberò d'andarvi a stare per un anno, tanto da cogliere qualche nuova ricordanza d'affetto, di dolore, e di poesia; ché a lui le tre cose eran uno.

Fu raccomandato a una signora parigina che peccava alquanto di lettere; già di là de' quaranta, in quel dubbio autunno della vita, che non sai se aprir le finestre al sole o chiuderle al vento. La si confessava attempata, affinché la smentissero; esser vecchia con grazia, cioè con virtù, non sapeva. Il viso ammencito imbacuccava ne' riccioli: il livido delle gote tingeva: rigoglioso il corpo, la testa passata. La bocca pari, e chiusa (segno d'anima fredda), non aveva sorriso ma sogghigno o cachinno. Quanti potessero della presenza loro solleticare la sua vanità, circuiva con sollecitudine urgente, lieta del farli parere più sensitivi, e più fortunati ch'e' non volessero: e a questo fine sapeva (dotta di certi effetti d'amore) commettere certe imprudenze pensate, certe avvedute semplicità, e lasciarsi andare a certi calori a freddo, da dare appicco a certe calunnie più ambite da essa che verisimili. Si sbracciava per ottenere un cenno di riconoscenza pia: e di quel cenno trionfava nella vista altrui, come d'inizio di molte recondide cose. Buona, e culta della mente; ma la vanità la vacuava dentro, e i più veri sentimenti falsava. La vanità sola poteva in lei vincere l'avarizia: la vanità la rendeva sprezzante de' grandi a sé inutili, agli utili china. Lodava i pregi altrui affinché della lode cadesse una stilla sui propri: alle occorrenze piangeva.

Fece a Giovanni sul primo accoglienza fredda: saputolo letterato, si buttava via. Egli credendo questi artifizi bontà non profonda ma schietta, e fastidiosa di natura sua, non corrispondeva, ma non rigettava; né carezze né pugni: messo al muro, faceva le viste di non intendere. Ben vedev'egli i giudizi ch'altri pensava e mormorava di lui: ma, non curante (con sua colpa e danno) de' rumori del mondo, lasciava correre.

Un giorno a pranzo da lei, due settimane dopo il primo incontro, e' ritrova Maria; che veniva a lavorare in casa: e ve la trattavano con rispetto, sì perché così vogliono un poco i tempi, sì perché Maria era tal donna da ornare una tavola e un discorso qualsiasi. Quando la signora li disse l'uno all'altro italiani, a lei di gioia fiorì sul viso il rossore, egli rasserenò la fronte accigliata dall'uggia della straniera compagnia; ma lieto non parve. Ignote gli erano e temute le noie improvvise.

C'era, venuto di Parigi, un letterato di provincia, il quale ai parigini difetti toglieva quell'agilità che li invola a ogni momento allo sguardo, e li fa quasi cangi: già stato de' sansimonisti; formulatore (come in Francia dicono) per la vita. Parlava sempre; tante cose belle aveva da porgere: e la signora era beata del pur sentire un uomo tanto innanzi nelle vie del secolo. Cadde il discorso del cristianesimo: l'uomo, com'è da credere, disse il cristianesimo cosa ita. Maria domandò: — Perché? Il Francese con un sorriso: — Oh signora, voi lo sapete meglio di me. A ciascuna religione il suo tempo: la cristiana fu buona nel suo: adesso altri bisogni...

Maria: — Che bisogni?

— Dio buono! Il mondo esterno, la materia, la metà della vita... tutto codesto Gesù non lo vide, e non solamente non vide, ma insegnò avere in odio.

— Domando scusa: i' ho letto il vangelo; e inteso che Gesù Cristo insegnasse far del bene anco materialmente agli uomini, e ne facesse. Ma i beni materiali volev'egli che l'uomo cercasse per altrui, non per sé: che non mi pare sproposito.

Giovanni che parlava stentato il francese (lingua da lui stimata pe' suoi vecchi prosatori, compianta per lo strazio che ne fanno oggidì deputati, poeti, e bottegai), resse Maria: la qual rispondeva interrogando: e questo impicciava forte il Francese. Da quel punto si piacquero.

Giovanni a cui la sicurezza dell'essere ascoltato con affetto concitava la parola restìa, prese a dire: — Sul termine del secolo andato, uomini ardenti gridarono, la vittoria de' pregiudizi certa, e quella ch'eglin chiamavano filosofia, trionfare. E avevan armi e patiboli e leggi e stampe e coraggio; ed eran prodighi dell'altrui sangue, del sangue proprio. Ma i pregiudizi decapitati si rizzarono e camminarono. Alta cosa l'entusiasmo; ma se crudele e funesto a se stesso, è, se non misfatto, follia.

Il Francese annaspicava: e non più di tolleranza e di repubblica e d'umanità, ma parlava di gloria. Giovanni, lontano da ogni politico eccesso, poteva queste cose dire senza taccia d'ipocrisia venale né di servile paura.

Da quel giorno accettò più sovente i desinari della signora dotta, sebbene ci patisse, e vedesse come costei si credeva di fargli regalo grande: li accettò quando sperava trovarvi Maria. Profferse timidamente d'accompagnarla a casa, ed ella dubitando acconsentì. Osò pregarla di lavorare per lui; e a tal fine, si restringeva nelle altre spese pur per avere come vederla; ella sospettava di questo; ma lo credeva men povero, e poi non avrebbe saputo negare a sé l'occasione di parlargli: e tirava in lungo il lavoro acciò che queste congiunture durassero senza grave danno di lui. Egli le parlava di sé: poco poteva rilevare della presente di lei povertà, de' suoi anni passati. Ben seppe dal primo dì che maritata non era: il resto imaginava, come si suole, parte meno, parte più bello del vero. L'amore s'illude non solo in bene (sentenza vecchia) ma in male. Dove le illusioni in bene svaniscono, l'amore intiepida; dove l'altre, s'infiamma.

A Giovanni l'entrata prima nelle vie dell'amore, quasi sempre ebbe non so che come d'infausto. Egli, con le comparazioni sue strane, l'assomigliava al tragitto che mette a Venezia per la muta laguna; che, nel radere, lungo i pali schierati, quelle sterili isole e meste, tu non imagini lì vicino tanta pompa di colori, di suoni, d'agi, di rimembranze. — Ma il presente amore era a lui più de' soliti sereno e queto; come sole che dopo molt'ore torbide e dubbie, rallegra di dolce saluto l'aria tranquillata, e le terribili acque composte, e le forti piante che non muovono fronda.

Passeggiavano di tanto in tanto, in compagnia sempre d'una pigionale di Maria, più giovane di lei, ma che pareva più esperta delle cose del cuore. Era una sera di maggio. Da levante leggiere nubi rossigne cingevano l'orizzonte quasi di fascia delicata; e sopra il rosso, un colore tra il candido e il celeste, con nubi qua e là biancicanti. Da occidente un candor vivo e diffuso con rossor poco: la luna novella: il resto dell'orizzonte lucido e quietissimo di pace allegra. E ragionavano delle cose ad entrambi note e dilette: e in parlar d'altro, mostravano meglio il cuore proprio, che a parlare di sé.

Ragionavano dell'Italia: di te, dolce Siena: erravano col pensiero nel duomo fitto d'immortali memorie, s'inginocchiavano con l'anima al crocifisso di Montaperti; e sotto la piena de' secoli passati gemeva dolcemente oppresso il pensiero. Maria amava Siena come madre lontana, e caduta di stato, e bella e giovane tuttavia, e ignorata dal mondo. Giovanni l'amava come casta e candida amica, come un gioiello dell'arte, come un fiore più bello tra bellissimi, come il nido di dolci suoni, di forme care, come un'ideale bellezza. E raffrontava quella città toscana non grande a non grande di Lombardia, Siena e Crema. E Crema diceva più ricca, e bella anch'essa del celeste sereno, né povera di forme leggiadre né d'animi schietti; e a lui cara per un amico che quivi gli aveva collocato Iddio: ma né il Serio né l'Oglio valevano a lui Fontebranda; e le quaranta carrozze dei signori cremaschi avrebbe date per una assicina di bara antica dipinta da mano senese.

Aveva egli chiesto di vedere dalle finestre di Maria la processione del Corpus Domini, smessa in Francia da più anni, or ripresa. Il cielo, di tetro, s'era d'un subito fatto lieto; la gente empieva le vie. Le vie ornate di tabernacoli con istatue, con vasi d'argento prestati alla breve pompa; le mura d'arazzi, le finestre di tappeti, la terra di fiori. I ricchi a' terrazzini; i poveri giù, lieti quasi di gioia domestica, di gioia novella: que' di campagna più composti insieme e più contenti. Sola qualche fronte tra tante accigliata. I colori vari de' cappelli e del vestire distinguon la calca, tacita sì che lo scalpiccio de' piedi è il rumore più alto. Le trombe e i canti annunziano la processione che viene: bambini e bambine vestite di bianco portano l'imagine della Vergine; soldati assiepano di moschetti il sacramento; e sui preti parati e sul baldacchino un nembo di fiori. Le madri mostrano a' bambini Gesù; altre fanno mostra di sé: qualche sapiente vorrebbe scherzare; ma di queste nuov'onte fatte alla filosofia si sente sdegnoso; e appena ridestano l'antico suo ghigno i turiboli librati in alto da' chierici con difficile maestria. Questo spettacolo commosse Giovanni. E' diceva: — Ha fiori ancora la terra da spargere sul capo immortale del povero crocifisso. Questo nome da venti secoli calunniato e deriso, c'è chi l'adora. — Maria nel vedere una donna incinta allato ad un vecchio disse: — Chi sa che tra poco a codesto uomo questo crocifisso non venga confortator della morte? Chi sa che a noi? Chi sa se quella madre preghi a Dio pe' destini del frutto ch'ell'ha nel seno? Noi non preghiamo ciechi per l'avvenire, ma per il presente; e non nelle gioie. Pietoso dono il dolore!

Sfollata la gente, erano ancora a una finestra loro due; Matilde all'altra, la pigionale e custode di Maria; stufa di que' lunghi discorsi in lingua a lei barbara; sì che in suo cuore mandava di là da Roma gl'Italiani e l'Italia. Gli era sull'imbrunire, quando una pioggerella fine incominciando faceva correre le donnuccole ridendo tementi per l'unico cappellino. Ecco veggon passare la donna dotta: che, aocchiatili, con la scusa d'aspettare che spiova, degnò salire nelle stanzuccie della cucitora di bianco. A certe scappate di popolarità, quando le quadrassero alle sue mire, la ci si lasciava ire a sommo studio; perché le negligenze stesse di lei, donna erudita, erano pesate e gravi. Consumata in esperienze d'amore, la s'accorse in breve del senso che Giovanni destava in Maria, e Maria in lui. Sul primo, superba d'avere lavorante tale per casa, ne parlava con lodi lunghe; poi intiepidì. Se non che di tanto in tanto domandava con voce bassa e quasi svogliata, ma con occhi tesi come uncini, a Giovanni, quant'era ch'e' non avesse veduta Maria. Egli che mai non le aveva voluto concedere neppure il pretesto di certe pretese, o rispondeva secco o s'allargava apposta in lodar la Senese. L'altra taceva o prendeva un aspetto di mortificazione virginea. Giovanni faceva le viste di non intendere niente affatto: e' pareva in amore un coso tra il collegiale, l'arcade e l'ostrogoto.

Dell'animo di lei s'addiede Maria: ché tra donne si frugano con un'occhiata: né più ci rimaneva a desinare i dì che andava a giornata. Quando Giovanni se ne fu accorto, anch'egli diradò. Senza Maria s'annoiava. Gli erano già note le conversazioni parigine, che, sfiorita che sia la novità, come s'entra un po' sotto a quell'orpello di faceziuole spicciole e di graziosità prestabilite, non ci si trova base né d'idee né d'affetto. Pensa, in provincia. Ma e' non si potette tenere un giorno dal domandare a Maria perché avesse smesso. Ella che questo aspettava come cenno d'affetto, si turbò dalla gioia; e del turbamento fu più confusa che mai. Rassicurata rispose (e questo era vero) d'essersi accorta come a quella signora paresse un gran che il trattenerla a pranzo; e come, forse non volendo, la gliene aveva fatto capire. Da quel giorno non si sedette più alla sua tavola. Poi balbettando, mostrava d'aver qualcos'altro sul cuore: e dopo qualche esitazione, fattosi promettere prudenza; disse: — Io credo l'animo di questa donna non tanto sincero quant'ella vanta. Gli è una piccola cosa; e se l'avesse fatta a me, non ci baderei; ma... Un giorno si discorreva di religione: voi professavate le vostre credenze, sul serio come solete e come si deve: ella guardò a suo marito (del quale a momenti l'incredulità le fa schifo: e lo dice): e ammiccò sogghignando con un'aria che mi fece male.

Maria in così dire arrossì: Giovanni commosso: — Lo so: me ne sono avveduto: ma a queste cose, sapete, io non bado. Vi ringrazio però dell'avermelo detto, Maria.

Quel nome pronunziato là in fine, la consolò.

— Fra Italiani mi parve dovere avvertirsene. Non ne sarete, io spero, offeso né contro di lei né contro di me.

— Contro di voi? — esclamò Giovanni; e non osando prenderle la mano, le stese la sua. Ella mostrò di non se ne avvedere, e lo guardò tra affettuosa e accorata.

Non la potendo vedere in casa terza, e' cercava le occasioni d'andar da lei; ma si peritava, sì per un po' d'orgogliuzzo e sì per riguardo. Ella più lo desiderava e più mostravasi riservata, memore del passato, e tenuta a dovere dall'occhio della Matilde, la sua pigionale; ch'era, tra il pazzerellone e l'astore, una buona ragazza: nata a Valenciennes, ma, da piccola, stata sempre a Quimper con sua madre che quivi morì.

Se roba v'era da riportare a Giovanni, v'andava Matilde. Un giorno, egli che già s'era accorto delle strettezze di Maria, volle entrarle di questo. Ma trovare il verso da presentare la cosa per benino a quel capettaccio della Matilde, qui stava il punto: e Giovanni ne' discorsi punto punto difficili, annaspava a maraviglia. Ma fattosi cuore incominciò:

— Matilde, posso io dirvi una cosa?

Ella che, alto alto, capiva già:

— Due, tre delle cose.

— Ma voi m'avete a dire la verità.

— Naturale.

— Da poco in qua mi pare che non abbiate troppo lavoro, voi altre.

— Si campa.

— Si campa: ma come?

— Si campa: e tanto serve.

— Mi pare di non v'aver detto cosa da offendere: scusate.

— Anzi grazie: scusi lei.

Giovanni al sentirsi così tagliare le gambe, non osava riattaccare il discorso: ma vedendola ripigliar la paniera, con ansietà mal repressa: — Sentite, Matilde — soggiunse — voi m'avete a promettere che in qualunque siasi bisogno di Maria e vostro...

— E mio?

— Vostro e di lei, certamente.

— Ma per chi la mi piglia? Conosco: sa ella?

— Conoscete ch'i' ho della stima per una persona.

— Oh così: per una. Ma che c'entro io?

E' voleva rispondere; ma Matilde guardatolo fiso, continuava:

— E poi, la stima! Si sa quel che vuol dire la stima degli uomini per le donne.

— Che cosa?

— Sul primo voglia, e da ultima noia.

— Oh cara Matilde...

— Cara Matilde, cara Matilde! Le so io, queste cose. Non le ho provate, ma tanto...

— Se le aveste provate voi, allora potreste discorrerne.

— E se le avessi provate io, per modo d'esempio?

In così dire Matilde tirava un par d'occhi spiritati e si faceva rossa.

— A quel che pare, vo' avete un tristo concetto degli uomini: non credete che ce ne possa essere degli onesti?

— Onesti a barche. Gli uomini quando non rubano, e che non fanno la spia, sono onesti. Ma canzonare una povera donna, scherzar coll'onor suo, rubarle la pace forse di tutta la vita, oh codesto, come bere un bicchier d'acqua.

— Scherzar coll'onore! Matilde, voi non direste così se sapeste quello ch'io provo.

— Quel che provate voi? poverino! lo so a mente io. Un gran dolore, qui, dalla parte manca: non è egli vero? Un gran vuoto. Oh tutti hanno il vuoto. Qualche romanzuccio, e' si legge anche noi, sa ella? , nelle ore perse.

— In somma, Matilde, non mi fate disperare.

— A risico!

— Io non dico che negli anni più spensierati, non abbia anch'io...

— Corsa la cavallina? In nome di Dio, eccone uno che dice un minuzzolino di verità.

— Ma se voi mi leggeste nel cuore, v'ispirerei un po' di pietà.

— Può essere: non ci ha nessunissima difficoltà.

— Matilde, da banda le celie. Io vorrei persuadere Maria...

— Gliene dica.

— Non credeste ch'io voglia... Troppo vi stimo. Ma mi pareva che, come ad amica sua di cuore, io potessi aprirmi a voi. Se v'avessi offeso, scusate, ripeto.

A queste parole Matilde abbonì: e pur volendo far la sdegnosa, borbottò, m'a stento: — Allora siamo d'accordo. — E usciva. Giovanni la ritenne per un braccio, e guardandola fiso: — Voi non siete corrucciata meco, Matilde? — Ella lo mirò con cipiglio di sospetto e con occhio commosso; e scrollando il capo: — Ah son pure birboni gli uomini!

Non era in Giovanni né vana curiosità, né pretesto a ficcarsi, il desiderio di sapere le angustie di Maria; voleva sovvenirla, e poteva: non per sé, ma un amico gliene avrebbe fornito il modo, pronto a prestargli quanto danaro e' volesse, e impronto ad offrirgliene quant'altri a chiedere: un Italiano dalla sventura sbalzato in Bretagna, che per aver con che provvedere a' suoi studi e a' bisogni altrui, si cibava, de' mesi con de' mesi, di pane e latte: e una libbra di carne la faceva fare ribollita, riscalducciata, rifatta cogli erbucci, cinque dì della settimana: uomo d'antica semplicità che solo bastava a lavare negli occhi dello straniero l'Italia delle macchie d'altri suoi figli, se lo straniero sapesse essere pietoso e giusto alla sventura. L'amicizia di tali uomini consolava d'ogni suo tedio Giovanni: il quale soleva paragonarla al prospetto di ridente pianura che appaia improvvisa dopo il salire di lunga via disastrosa.

Matilde nel ritornare si sentiva turbata in modo uggioso: troppo le pareva d'aver detto; e pensando le proprie parole, e le parole e gli atti dell'Italiano, scopriva a un tratto in lui certa sincerità tra timida e altera, che la faceva quasi pentire della sua diffidenza. Le donne, di sincerità sen'intendono quando vogliono; e poi, dal diffidare al fidarsi passano qualche volta con facilità grande. Sin dal primo Giovanni gli aveva più fatto paura che dispiaciutole: non lo capiva. La natura italiana è a' Francesi come un libro latino: quand'anche lo intendano (che non è sempre), lo sciupano pronunziando. Ma le donne, men vane e di più cuore che gli uomini, ci azzeccano meglio.

Matilde aveva nelle sue maniere pazzesche non so che di piacente, che bisognava darle retta: snelle le forme, armoniosa la voce, lesta la parola, leggiero il rossor delle guance: negli atti e vivacità e quiete molta; tanto nella rapidità eran leggiadri. Ma da quella pace balzavano più vividi gl'impeti dello sdegno: e la fronte, serena più che di donna francese (le più non han fronte), si rabbruscava con minaccia sinistra, poi subito si componeva alla pace di prima.

Ella veniva pensando al sentimento nuovo dell'animo suo, e quasi spaventata diceva: «Sta, vedi, che questo Italiano è venuto per rompermi le tasche davvero. Eh, ma or ora la finisc'io». Così entrava inquieta: e Maria sen'accorse; che non diffidava punto di Matilde; ma le disgrazie le avevano insegnato a temer di se stessa.

L'altra non voleva né attizzar l'amore de' due, né metter male: e il nuovo senso provato or ora, le era nuovo scrupolo che la impicciava. Maria cominciò:

— Tu ha' le lune. Se' stata da lui? T'ha detto qualcosa?

— Nulla.

— Me lo dici d'un modo...

— Al modo che so.

— Ma non si potrebbe sapere il discorso che t'ha fatto imbronciare così?

— Discorsi degli uomini! Dargli retta.

— Gli è dunqu'entrato nel patetico teco?

— Meco? Fammi il piacere, smettiamo.

Maria, tra l'affetto e il sospetto, voleva pur raccapezzare qualcosa, e temeva d'offenderla; e la guardava fisso: l'altra indispettita, canterellava in francese. Questo, a Maria, pareva una canzonatura; e:

— Stamane tu mi fai de' misteri.

— E tu mi fai de' miracoli.

— Insomma nelle cose io ci vo' veder fino in fondo.

— Se la ci vuol veder fino in fondo, oh la ci vada.

— Sicuro che ci anderò.

A Matilde venne sulla bocca una risposta crudele, quando s'accorse che la cominciava a perder la bussola, e che il torto era suo. Però ravveduta, ma non abbonita:

— Insomma tu vuo' sapere il discorso suo, non è vero? Domandava se tu eri più tribolata di lui, domandava. Ora tu l'ha' saputa.

— E perché domandava codesto?

— Il perché? Non lo conosci il perché degli uomini tu?

— E nel parlarti, come ti parv'egli?

— Faceva il viso patetico, va. Ma poi chi lo 'ntende? Vo' altri Italiani siete una razzaccia cupa.

— Come sarebbe a dire?

Matilde s'avvide di nuovo che usciva della carreggiata: e delicata com'era, volle finirla di questo negozio con altri e con sé: onde seduta di faccia a Maria, e cangiando tono, le disse: — Senti Maria: non accade andar per le lunghe. Quell'uomo ti vuol bene, e tu gliene vuoi. In que' suoi fari ci leggo poco: ma galantuomo mi pare. Questo te lo dico una volta per sempre; e me ne lavo le mani. Cogli innamorati gli è un brutto impicciarsi: meglio non ci mettere né sal né olio. Credigli, non gli credere: fa quel che Dio t'ispira: io non vo' rimorsi né rimbrotti; e non intendo né anco portare il candelliere. Se la mia compagnia guasta, dimmelo, sorella mia, e io... Qui la buona fanciulla si sentì commossa e tremare la voce. Maria, l'abbracciò con tanta pietà con quanto non aveva abbracciato altri che suo cugino al mondo. Tacquero un poco; poi parlarono di tutt'altro con voce sommessa, guardandosi come persone che si riveggano dopo lunga assenza e lungo patire.

Da quel giorno Matilde cansava con cura quasi trepida ogni occasion di dissapore; e se parola gli veniva detta non torta ma men ch'ilare e mite, la riparava con quante amorevolezze cordiali potesse mai. Temeva la povera fanciulla di romperla con Maria, e doversen'ire. Quand'entrava Giovanni, ella di lì a poco con una scusa se n'andava nella stanza sua; e lì, parlassero piano o tacessero, rimaneva sospesa come a chi manca il fiato. Bisognava ripregarla venisse; e Maria, sì per amore di lei, sì per riguardo di sé, la forzava a venire con loro le poche volte ch'uscivano.

Una sera se n'andavano a passo lento in silenzio: la luna, ora leggermente velata, or tuffata nelle nuvole spesse, nuotava in esse; e pur nel vincerle, torbido aveva l'aspetto, e segnava ombre incerte, e tremolava quasi svogliata sull'acque: correndo per poco in un tratto di ciel puro, imbelliva, poi, rintorbidata, si perdeva nel fosco. — Così la mia vita — disse Giovanni. Maria soggiunse: — E la mia. — Matilde tacque; e quelle parole, senza ben sapere il perché, le facevano male.

Cadde il discorso sulla signora Teodolinda, la letterata suddetta. Matilde, pur per dire qualcosa e per mostrarsi di buon umore, si mise a scherzarci con quelle parole delicatamente crudeli che le donne sanno. Giovanni a cui qualche volta gustava lo scherzo, anche amaro, troppo più che ad uomo malinconico e affettuoso non si convenisse, ci aveva genio: ma Maria non amava sentir mentovare codesta donna né in bene né in male. Que' due, ubriacati nella celia, vennero a questa di fare un paragone tra la signora Teodolinda e la cuoca sua, donna sui venticinque, dal viso tanto ingenuo e amorevole quanto l'altra impiastricciato e di finta; la voce agile ma lungamente vibrante, lunghi gli sguardi, candida la carnagione come di persona allevata negli agi, con certi rossori improvvisi che le donne agiate poco conoscono; patita come suole ragazza nubile oltre al desiderio suo; arguta nella bontà. Giovanni affermava che, tra una letterata e una cuoca, e' piglierebbe sempre la cuoca.

Il celiare ostinato, e il parlar d'altre donne, e l'andar tanto d'accordo Matilde e Giovanni, afflissero Maria e l'irritarono: onde, rimaste sole, gliene fece capire con parole durette. Si bisticciarono. La mattina dopo, Matilde, che aveva già da una famiglia di suoi parenti ricevuto invito d'andare a Pontcroix, disse che la ci andava, non sapere per quanto. Maria rimase umiliata, senza parola. L'orgoglio ripugnava a pregare: ma la coscienza e l'affetto vinsero. Chiese scusa; pregò non la lasciasse sola, confessò la propria debolezza, il pericolo. L'altra, combattuta da affetti diversi, e gentili tutti, non sapea che si fare: ma sentì quella vita esserle omai insopportabile: e, promesso di ritornare fra breve, e fingendo allegria chiassona; e sorridendo col cuore straziato, e, abbracciando strettamente la misera amica sua (che l'accompagnò fino alla piazza dov'era la vettura, e entrò seco a pregare in una chiesetta gotica lì vicino, e la riabbracciò molte volte piangendo) partì.

Maria divenne tanto più riservata quanto più libera, e quanto più lieta in core dell'essere sola. Ma questa gioia dissimulava a se stessa; e pensando a Matilde, n'aveva come rimordimento. L'amore intanto, il quale nell'anime distratte da altro affetto o dolore, s'insinua meglio, lavorava. Allora si condussero a raccontarsi la propria vita, e fecero la scampagnata che ho detto. Conosciutisi meglio, amarono l'uno nell'altro, e compiansero, i propri difetti. Perché l'amore che risulta da un difetto confuso ad un pregio, è più tenace in noi miseri.

Giovanni stava a dozzina da una buona donna di Normandia, che gli voleva bene; leggiera a vederla più che invero non fosse. Quella voce che pareva, strillante e senza accento, sdrucciolare inavvertita fuori dell'anima, di tanto in tanto sonava o soavemente sommessa, o lenta e come impressa de' moti d'entro: quegli occhi che vagavano qua e là impazienti; ad ora ad ora si raccoglievano in un lungo sguardo, possente di languore intenso. Piccoletta e grassoccia, e più bella che avvenente, aveva in sé tanto da sperare un affetto, non tanto da eccitarlo profondo. Il marito, perso in viaggi continui, la lasciava da banda come arnese casalingo, inutile ad uomo pellegrino. La s'era abbattuta a uno di que' Polacchi che imbevuti delle empietà francesi del secolo passato e delle cupidità del presente, s'ingegnavano di ridurre in danaro contante e in piaceri senz'amore, la gloria, i dolori ed il sangue de' loro pii ed animosi compatriotti. Da costui fu rubata, insudiciata, tormentata: ora da più d'un anno viveva in quella pace morta che vien dietro a guerreggiar faticoso, quando le memorie tengono luogo di desideri.

Ma Giovanni con la sua negletta e cordiale semplicità le accostava. Il quale ne l'era grato, ma non la voleva ingannare: se non che quel sorriso mesto di lui, che diceva: noi non ci possiamo amare, o sfortunata, ella traeva appunto a senso d'amore. Oh se noi conoscessimo gl'inganni tutti che ordisce a noi il desiderio nostro, che umiliazioni affannose!

Fece un giorno Maria con esso un'altra giterella in barchetto sul far della sera. Vennero a discorrere del bretone Abelardo: Maria diceva di lui che non sentì mai l'amore, perch'amore è umiltà; Giovanni teneva il contrario, e a torto: e quel giorno le contraddiceva malgrado suo quasi; e pur voleva finire la disputa, e non sapeva spiccicarsene. Ma alla fine tagliò corto, e venne di lancio a quel che più gli premeva. Accennò della sua padrona di casa, esagerò un poco il pericolo, per pregare Maria lo salvasse prendendolo a dozzina lei: ma il discorso mal preparato non attaccava; e Maria voleva pur ricusando manifestare l'animo suo. L'altro non ne dava il destro alla sua modestia: ed ella più era desiderosa, e più s'irritava. Le venne detto alla fine: — Troppo ho sofferto in vita mia. — Egli, con quella semplicità tra d'affetto e d'orgoglio, che fa dire tante parole frantese, e che impiccia le faccende, soggiunse: — Credete voi, Maria, ch'io possa farvi soffrire? — Ella lo guardò con cert'occhi che gli davano del buon uomo molto evidentemente; e senza rispondergli, al navicellaio accennò di dar volta. E tornarono senza fare parola.

Ma egli volle riaversi; e con quella franchezza alla quale la donna o ubbidisce o si ribella per sempre: — Ma no — disse a un tratto; — io non sono contento di voi. La proposta mia meritava un rifiuto più schietto. Non mi rispondete ora: ci vedremo domani. Maria sorrise; lieta, come le donne sogliono, dell'essere comandata; e promise di dire. E si lasciarono contentati.

Il giorno dopo uscirono insieme: salirono per un sentieretto a cui fanno spalliera or i massi, or le siepi, ora gli alberi. Le pietre, mosse da' loro passi, rotolavano saltellando alla valle: sopra e sotto s'udivano voci bretoni senza vedere di chi. Giovanni soffermatosi:

— Dalle vette — disse — la natura si domina, non s'ammira: s'ammira dal basso in alto: si gode pienamente da' luoghi acclivi, quando lo spettacolo è sopra il capo e sotto a' piedi. Dalle alture supreme l'ondeggiar de' terreni sparisce; e le selve paiono quasi macchie: da mezza l'erta si vede più al vero; e le altezze circostanti, umiliando, v'esaltano. Vedete i monti salire arditi, e respirare nel puro del cielo; e le cime rincorrersi, e riposarsi, e rincorrersi nuovamente.

Tacquero. Non voleva Giovanni rammentarle la promessa d'ieri, per quel suo antico vezzo in amore, di lasciar molto fare in sul prima alla donna; ch'era non tutto timidità, ma voglia di sperimentare, ed orgoglio. Maria, quasi scossa da altro pensiero, e prendend'animo da quel silenzio a entrare come disperatamente in materia:

— Veniamo a noi. Ma promettete di non m'interrompere.

Promesso ch'egli ebbe, la cominciò:

— Giovanni, io vi stimo; e perdere la stima vostra mi sarebbe dolor grande: e non più saper nuove di voi mi pare che difficilmente comporterei. L'affezione mia, mi prepara ella nuovo dolore o pericolo? Non lo so. M'amate voi?... Non rispondete di grazia: che neppur voi lo sapete. Solo due prove certe ha l'amore: la noia e la sconoscenza. Se a queste resiste, dice davvero; se no, gli è affezione, solletico, patimento; amore non è. Ma se voi veniste a volermi del bene, e s'io a voi, bisogna pensare alla fine. Una sola io ne voglio: e questa impossibile. Io sono povera...

— Ed io?

— Io sono stata colpevole...

— Ed io?

— Lasciatemi dire (ma Maria che senz'esse avrebbe seguitato titubando, di quelle interruzioni fu lieta). Il passato m'è scuola: e questo temer di me stessa, m'è pegno che saprei vincere. Ma bisogna badare anco al mondo: e già, credete voi che il nostro essere insieme sì spesso non dia che dire? Gli è tempo di risolversi, ora che si può a sangue freddo: se amate la mia pace, Giovanni, non direte di no. Seguitare a vederci sarebbe o colpa o tormento, e materia inutile di calunnie. O non m'amate, e smettiamo; o vi pare che un giorno potrete volermi un po' di bene; e dividiamoci; lasciamo Quimper l'un de' due. Se siam destinati, io a confortare la vita mia della vostra, voi a sostenere il peso della misera mia; Iddio, Giovanni, ci saprà ricongiungere, Iddio.

Tacque: né seguitare avrebbe potuto senza commoversi più che la non volesse. Egli all'inaspettata proposta, sul primo rimase, poi vide d'aver fatto più strada di quel che sperava: onde rispose:

— Se così vogliono la pace vostra, e le speranze del mio amore, del mio amore, Maria (e le prese la mano, ed ella la ritrasse, chiedendo dell'atto quasi scusa con gli occhi); obbedirò, ma ad un patto: che ci scriviamo sovente.

— Quanto la mia povertà mel' concede: perch'io non permetto che affranchiate. Siamo (e m'è gioia il pensarlo) poveri tutti e due. L'amore del resto si prova con altro che con lo spendere. Ci scriveremo ogni quindici giorni.

— Come volete. Ma poss'io chiedervi, Maria, una promessa? Se un'occasione vi si presentasse...

— Lo saprete, prometto; e Maria, questa sfortunata che voi vedete, non ha mai promesso invano. Io da voi promesse non chieggo.

— Oh l'avete non chiesta, o Maria.

— No, no, siate lento al promettere. Chi prevede il domani? Altri già mi promise. Io sono avvezza a... (qui, per non piangere, tacque).

— Io non dirò che m'offendete: ma voi mi trafiggete, Maria. Se mi vedeste nel cuore...

— Credo al cuor vostro: ma non ispero.

— Desiderate voi almeno? Ditemi, desiderate?

— E se ve lo dicessi, sarei io più amata o più sicura di voi?

— Oh Maria, oh simile a me negli errori e ne' dolori; oh serbatami da Dio, dal buono Iddio; o moglie mia!

Fermarono che fra tre giorni e' partirebbe per Parigi: e partì. Si dissero addio senza lagrime, con quella gioia sommessa e soavemente agitata che nasce da una lontana, e né sicura né troppo incerta speranza.

Matilde scriveva a Maria, consigliandola con ischiettezza d'amica e come di spassionata, a credere alla bontà di Giovanni e diffidar della propria. Lui partito, Matilde tornò. Ma qual fu lo stupore di Maria, al sentirle dire di secco in secco:

— Mi marito, sai? Ho trovato un uomo... un impiegato: tarpàno, figliuola! ma buono.

— Lo canzoni già, pover'uomo! Si comincia bene.

— Non lo canzono io. Meglio vedere i difetti, prima che poi. Mariti dotti, mariti vispi, non ne voglio io. Questo almeno so che sarà sempre il medesimo sino in fondo. Lo conosco da bimba.

— Sì, ma se gli ha essere un gianfrullone proprio.

— Chi gli dice gianfrullo? Gli è un po' duro: ma ragiona bene quando ci si mette: meglio di me.

— Ti piace?

— Non mi dispiace. Lo vedrai quando vieni alle nozze.

— Ma dunque gli è bell'e conchiuso. Me ne parli in un modo... Matilde, ci hai tu ben pensato?

E Matilde, mutando voce e colore: — Sì, che ci ho pensato: bisogna finirla.

Maria, come sbigottita di pietà:

— Ma tu hai cosa in cuore che non mi vuoi dire.

— Nulla: e per essere più sicura di non ci avere ma' nulla, piglio marito.

— Ma s'egli dovesse fare la tua infelicità?

— Eh via! Chi non vuol essere infelice, non è. Per non essere infelice, io ci ho un rimedio bellissimo, e te lo dico subito: basta non voler esser felice. Allora si campa, si tira innanzi per infino a quel giorno che, allegra o trista, la scena finisce. Sorella mia, chi gli ha meglio, gli ha peggio. Del tuo non parlo: non lo conosco. Onesto mi pare; e piacente è, appunto perché non si studia di piacere: e so che t'ama. Infelice non sarai, spero. Io pregherò per voi due.

Poi mutava discorso; e parlava del suo damo, or affettando dispregio or tenerezza chiacchierina e chiassona più dell'usato.

Giovanni da Parigi scrisse lettera poco tenera al vedere; e che per questa più piacque a Maria; con molte audacie liriche ch'erano il suo naturale linguaggio; e ella omai c'era avvezza. Tra l'altre cose diceva:

«Rintoppai nella vettura una giovanetta zoppa, già conosciuta a Parigi, il cui pallore giallastro rischiaratosi con gli anni, permette esser piacente a quelle forme non ben digrossate. E rammentando la famigliarità timida e confidente del suo sguardo d'un tempo, e raccapezzando i discorsi d'allora e d'adesso, deduco, se non è vanità (e chi mi dice non sia?), che la mi volesse del bene. Ma né prima intesi, né ora volevo intendere; e pur m'era dolce discorrere seco. E nel lasciarla mi costò non le chiedere dove stesse a Parigi. Pure m'astenni. Ecco confessati e il fallo e il merito. Sarete voi del par sincera, o Maria?

«Mi conforta qui la compagnia d'un amico vero, e come fratello; quieto uomo, ma caldo di fuoco nascosto, e però sicuro: affettuoso, con viscere d'uomo insieme e di madre...».

Maria rispose senza gelosie, senza malinconie, e col linguaggio d'antica amica. Andò poi nel settembre alle nozze di Matilde a Pontcroix.

Le occupavano gli occhi e l'anima il variare de' larghi prospetti a ciascuna delle frequenti salite; e la terra, pura e liberal madre di fiori e d'ombre; e gli stagni in cui tremolava la nube nera soggiacente al puro sereno; e le severe donne bretoni posate sotto gli alberi antichi, o appiè delle croci ne' trebbi campestri; e la pace de' cieli consonante alla pace delle pie coscienze.

Vide Maria lo sposo; e gli piacque la semplicità di lui, non inelegante appunto perché non voleva apparire vezzosa: tardo il movere degli occhi, il vestire dimesso: presunzione nessuna; pietà fervente, e delle opinioni contrarie pazientissima, ma non degli scherni. Matilde il dì delle nozze era lieta; quasi fuor di sé: il suo marito la riguardava con affetto intenso e riverentemente severo.

Il giorno dopo stavano le due donne ragionando di tutt'altro: quando Maria alzando gli occhi vide le lacrime che le gocciolavano tacite fino alla pezzuola che mal nascondeva il sobbalzare del seno. Maria la baciò senza dire parola: ché sentiva in quel punto l'interrogazione irriverente, e il conforto importuno. Matilde, grata del silenzio, prese la pezzuola bianca di lei, e s'asciugò con quella le lacrime. Poi riscossa, come chi getta dal capo un velo pesante, esclamò: — Passerà. — E si ricomponeva i lunghi capelli, che turbati dall'amplesso, ondeggiavano sul seren della fronte.

Di lì a due giorni Maria, con quel pudore timido che gli esperti del dolore picchiano alle porte del cuore altrui, le domandò del suo stato, come sorella interroga fratello malato, e teme dolorosa risposta. E Matilde: — Sto meglio. Ho un'imagine qui; che non la vo' svellere perché pura, e perché spero mi preserverà da cadute vili. Verrà tempo che potrò confessarti ogni cosa.

Maria intravedeva il vero: ma temerità le pareva il crederlo, e tormento inutile ormai. Misera vita umana! Non l'odio solamente con l'odio, ma amore pugna con amore: e l'alito dell'uomo nuoce ai più cari suoi; né si può gioire un minuto senza ch'altri per ore pianga del gioir nostro; né fare un passo senz'urtare in creatura che risponda gemendo.

Sui primi d'ottobre ebbe Maria di Parigi un'altra lettera che diceva:

«Venite: i' ho bisogno di voi. Sono di fronte a un pericolo facile a vincere: ma nei più facili sovente è più insidia. Cercavo di dozzina, perché la vita della trattoria mi ammala, quando m'abbatto a sapere che un Italiano caduto in miseria chiedeva a chi dare a dozzina per vivere. Gli ha moglie, e giovane: e non so se la gelosia possa in lui più della miseria e degli esempi parigini. Perché qui non donano (come talune in Italia), ma trafficano, come le schiave al Brasile; e per questo si credono più oneste. Con me c'è pochi pasti da fare: ma per il momento ogni cosa serve. La donna non ha né civetteria né passioni, ma né anco pudore; si lascierebb'ire a lasciarsi amare, non m'amarebbe: la quale rilassatezza ha i suoi pericoli anch'essa. Ora ve la dipingo: gli occhi vivaci; i capelli neri gentilmente spartiti sopra la fronte non pura ma schietta; non regolari le fattezze, le guancie poco rilevate nell'alto, fossette al mento; voce non soave ma ingenua: non alta la persona, bellezza non soda. Ha un vestitino trito color di rosa, e rose al cappello, che fanno grazioso il pallore. La mestizia di lei mi solleticherebbe forse, non mi commuove: buon segno. Suo marito mi si raccomandava andassi a pranzo da lui, gli trovassi dozzinanti: dissi che io non potevo; e trovargli gente è un tristo servizio. E nondimeno mi fanno pietà. Di questa tentazione levatemi voi che sola potete: venite, Maria. Saremo l'uno all'altro custodi: e del combattere e del vincere avremo un vicino conforto. Non aggiungo preghiera.

«Qui troverete lavoro a tanto miglior patto che a Quimper, quante più son le spese. E quand'anco non consentiste a quel ch'io bramo, a far meco comune in tanto la mensa, questo stato penoso non sarà lungo, spero. Quanto a me (gli è pur forza ch'i' vi parli di queste miserie dalle quali dipende non l'affetto ma il modo di soddisfare all'affetto) un pane non ci mancherà. Dallo scrivere francese rifuggo; ma ad un bisogno, alla meglio potrei. Frattanto mi giova sostenere dell'Italia e il pensiero e la vita. Ho un amico nella vostra Toscana, di fede rara, che nulla ometterà per fornirmene i modi; che con l'affetto suo mi trasporta l'Italia in Parigi, provvedendomi di libri, di meditazione operosa. L'affetto d'un uomo tien vece di molta ricchezza, e l'avanza.

«Per fuggire quel ch'ho detto e che non vo' chiamare pericolo, me ne son venuto a Versailles. Stanno ammontando qui nella galleria quadri a migliaia, per onorar, dicono, con questi imbratti tutte le glorie di Francia. Onore degno del tempo, e di parecchi di loro. Questo palazzo, testimone di tante adulate infamie, questi giardini simili ai versi di Niccolò Boalò, mandano un alito pestilenziale alla Francia per secoli. Da queste misere delizie il pensier mio vola agl'ignudi poggi di Sebenico a' quali il sole addopandosi innanzi che muoia, dipinge le nuvolette serene, ed esse la quieta marina, di colori mestamente gai. Perché un raggio di sole sui greppi e sui cardi, è più bello che tra le colonne portanti in lettere d'oro non so che nomi, e tra le bestie di marmo vomitanti acqua calda dalle gole di piombo.

«La risposta indirizzate a Versailles. Deh sia tale che mi riconduca lieto a Parigi. Io non amo le esclamazioni, Maria: ma pensate che dalla vostra lettera dipende il destino della mia vita».

Maria scrisse per consiglio a Matilde: e Matilde le mandò per risposta un bigliettino a Giovanni, che diceva così:

«Ella verrà. Io a ciò la esorto: che credo conoscervi; e spero non vorrete far sì che il mio nome sia maledetto da lei ch'amo tanto. Possiate voi benedire un giorno, o Giovanni, me e il mio consiglio. Io pregherò Dio per voi altri: e voi non dimenticherete, spero, la lontana Matilde».

Scrisse la lettera, e la riscrisse. Prima diceva: Pregherò Dio per voi; ma il voi le pareva equivoco; e fece voi altri. Voleva aggiungere: e voi altri non dimenticherete; ma le parve ripetizione affettata; e lasciò voi. Diceva prima: vi rammenterete senz'odio: ma sentì ch'era troppo.

E che s'intendeva l'infelice di fare con questo biglietto? Vincere i riguardi dell'amica, affrettare il desiderio di lui, compiere un nuovo dovere, frapporre un nuovo ostacolo tra sé e l'uomo che quasi suo malgrado le piacque. Non altro? Altro ancora. Voleva non lo perdere affatto, voleva farlo contento, rammentarsi a lui, significargli ch'ella bramava il suo bene; scrivergli insomma.

La lettera di Pontcroix fu impostata per Parigi a Quimper, dopo aggiuntovi:

visto

MARIA

LIBRO QUARTO

Intanto Giovanni, uggito delle ombre annoiate di Versailles, e sentendo che la donnetta color di rosa aveva trovato pane, era torno a Parigi. Ma una nuova tentazioncella aspettava lui debole, e non bene ancora tenuto in soggezione dalla modesta imagine di Maria. La portinaia dell'albergo suo aveva una sorella seco, e la manteneva col suo poco guadagno: pie con affetto ambedue: non parigine punto; ma come fiori di siepe colti e messi nella stanza d'un conte ammalato. Questa sorella, pienotta di forme oltre all'età sua di ventiquattr'anni, mansueta il viso, e pietosa gli sguardi, e lieta di languido rossore, con voce umile e timida, in tanto gli piacque in quanto egli a lei. Non sapeva che un altro vincolo, e di lei buona non degno, la teneva; e che quel suo volgersi a lui era desiderio forse di sciorsene. Egli, avveduto a indovinare gli enimmi già spiegatigli e a farci su i suoi commenti, è stato sempre duro ad intendere se donna l'amasse, e di quale amore. Venne intanto la lettera di Matilde a dileguare questa nuvoletta importuna.

Il giorno ch'e' l'ebbe, uscì a passeggiar da Vincennes, ed ecco rincontra la giovine donna dell'albergo, con un capitano di nave, che la teneva per mano. Ella in vederlo arrossì. A lui quell'aspetto che in altro tempo l'avrebbe sedotto a immonde speranze, mortificò i pensieri, e li ricondusse a Maria. Questi sùbiti passaggi dai desideri affollati, esultanti, alla romita castità dell'anima, erano frequenti a lui; e davano non so che moto lirico alla sua vita. La quale e' soleva celiando paragonare tutt'altro ch'a un'ode; alla città di Sinigaglia, che un mese dell'anno è frequente di genti diverse e di gioie strepitanti; poi deserta in un subito, e muta le ampie vie, pur serena.

Maria venne; e, prima che lui, vide Rosa, la buona Lucchese, che, avvertita per lettera, fu alla vettura ad attenderla, e la condusse in sua casa più affettuosamente che mai. Di tempo in tempo Maria le aveva scritto; ma quand'era men tribolata di fuori, forse più piagata dentro. E Rosa rimproverava a se stessa l'averla lasciata, per gelosia del suo Svizzero, uscire di sua casa, anni fa; e a sé imputava i falli e le pene della misera donna. Lo Svizzero l'accolse come se l'avesse lasciata ieri o conosciuta ieri: e aveva dati già tali saggi alla Rosa di sé ch'ella più non poteva adombrare. Giovanni e Maria si videro con la quieta, e quasi timida contentezza d'anime che ad amarsi non hanno impedimento, ma temono ignoti guai. Le confessò egli i suoi trascorsi, fin di pensiero; e uguale sincerità le promise per l'avvenire: e ella a lui.

Rosa essendo custode insieme e mediatrice, le cose andarono presto innanzi, e si venne al discorso del matrimonio. Ma egli che voleva prima trovare a sua moglie un pane non incerto, cercò di mettere a profitto l'ingegno. Maria non osava pressare: ma questo indugio vedeva con dolore secreto. E' trovò lavoro in un giornale francese, dove gli era fatt'adito anche a ragionare dell'Italia con tanto di compenso da campare la vita, e da restargli non poche ore libere per gli studi suoi cari. Ma ecco nel giornale medesimo comparire uno scritto di francese, irriverente all'Italia: Giovanni volle rispondere; non gli fu consentito: e' rinunziò al suo guadagno. I Francesi ne lo stimarono; degli Italiani taluno ne lo biasimò: egli rimase non dolente della perdita propria ma dell'altrui sconoscenza. Non osò parlarne a Maria: ma in uno sfogo di rammarico ne toccò un poco a Rosa, che ne fu dolente di cuore. Maria lo vedeva più cupo del solito; e se ne turbava in silenzio.

Una domenica eran ite con Rosa a Auteuil, là sotto san Martino, quando gli ultimi sereni con malinconica dolcezza consolano l'anima già piena del verno imminente. Passeggiavano ora pe' lunghi viali inghiaiti, ora per le viottole serpeggianti, sotto il sole di gioia insolita lieto. Rosa la confortava; e, come suole chi poco spera in cuor suo, ingrandiva a lei le speranze, non per finzione ma per pietà. Pur vedendo i suoi tetri presentimenti, non seppe stare alle mosse, e le palesò lo stato di Giovanni, pensando trarre dal male un rimedio.

— Senza tanto aspettare la fortuna che venga di non si sa dove, fate una cosa: maritatevi a dirittura, e finitela. Oh che? a questo modo ciascun da sé, non dovete campare? Se i non maritati vivessero d'aria, direi. Fate casa insieme, e spenderete meno.

— Ma l'avvenire?

— E Dio? E le tue braccia? E Rosa? Codesto non mi dà punto noia. Sai tu quel che mi mette in pensiero? Ch'egli è un letterato. Chi li capisce? Questo qui, tanto, pare più uomo a momenti: a momenti poi gli è più capone degli altri. Il cuore, a giorni, se lo ritirano su nella testa: e le povere donne hanno un bel che fare a cercarlo. Letterati? passa là. Meglio uno Svizzero.

Maria, a ogni discorso aspettava ch'egli le entrasse di questo: e, delusa, se n'accorava in sé più che mai. Quel silenzio or le pareva delicatezza, or caparbietà, ed ora peggio. Avvezza a essere ingannata, temeva fin le apparenze del male; ma, buona com'era, del proprio timore aveva vergogna e rimorso. Egli, non povero di suo, ma per istraordinari impedimenti (men dolorosi perché da gran tempo aspettati) aveva appena del suo da campare la vita. E parte per dignità d'animo, parte per felice semplicità, ignorava i modi di far bottega dell'ingegno: e tanto più ne aborriva che in sua gioventù vi si trovò di quando in quando condotto, senz'abbiettezza ma non senza certa quasi costernazione. Neppur l'amore in lui stimolava questa non ignobile inerzia: che nella parola scolpita dall'arte, animata dall'affetto, ben altro vedev'egli che soldi e centesimi.

Quel che più gli doleva, si era vedere le intenzion sue frantese: chi le opinioni di lui dire troppo timide, chi troppo audaci, chi di bacchettone, chi d'empio. Anche non era poco che l'animo non calunniassero: ma vedendol povero, e sdegnoso di ogni artifizio, e ambizioso di non piacere in tutto a nessuna opinione estrema, e pur non contento ai mezzi termini, non potevan chiamarlo né ipocrita né venduto né stolto. In quella vece chiamavano semplice lui che la lor semplicità affaccendata e boriosa e sì lungamente impotente, e sempre più boriosa e affaccendata che mai, compiangeva. Pure non tutte le sue parole cadevano in terra ingrata: ispiravano, se non fede, riverenza delle cose a lui sacre. E chi negava Gesù Cristo e chi Dio, l'ascoltavano pazienti confessare e Dio e Gesù Cristo.

Le prove del vero e' traeva sovente dal bello. Passeggiando un dì con un ateo la galleria del Louvre, dove le gioie dell'arte confuse insieme s'intorbidano come vino mescolato con vino: «Togliete», diceva, «da codesto cumulo di bellezze, la religione: che resta? I più di questi che ammiriamo son quadri rubati alle chiese: e sui profani anch'essi la luce religiosa si rifletté o si rinfranse. Chiamate pure superstizione il sentimento che ispirò tanti ingegni, fiore dell'umanità. Qual miracolo maggiore di questo, che quella che voi dite stoltezza abbia generate sì splendide maraviglie? — Ma un ateo avrebbe fatto meglio. — Trovatemelo».

Altra volta deduceva difesa alle credenze dilette da questo rinnegare che, da venticinqu'anni segnatamente, gli uomini irreligiosi o i pochi religiosi fanno in modo infame le dottrine già propugnate furiosamente: e diceva:

«Dottrina senza domma è di sua natura versatile, perch'all'anima umana dà non solidità né forza, ma impeti; e non empie, enfia. Vedete in Italia (dove siffatte trasmutazioni sono, grazie a Dio, più rare che in Francia): il Monti, rinnegatore della sua fede, rinnega gl'idoli politici suoi: il Pindemonte, pio, scrive di coscienza, vive con dignità; né la memoria sua è profanata da apologie più terribili d'ogni accusa. Io lo vidi (diceva Giovanni), il buon vecchio, che me giovane oscuro e dissenziente da lui, confutava con urbano risentimento, non tiranneggiava d'ire e di spregi decrepiti: lo vidi sereno, ed amabile di quasi leggiadra vecchiezza, ripensare le non vergognose memorie degli anni andati, e non arrossire di Dio».

Ma ne' suoi coetanei Giovanni vedeva con dolore le piaghe aperte dal dubbio e dalle audacie della ragione miserabile umana: vedeva dalla baldanzosa sicurezza cascare ingegni vigorosi in quiete disperata, per avere lasciato il cammin della fede, arduo ma sicuro, e che sale. E di questi paralitici nel vigor della vita più d'uno egli amava, ed era amato da quelli; ché la sua fede, sdegnosa delle dispute viete e delle obiezioni scolaresche e delle scipite ignoranze, era pietosa ai dolori e ai languori dell'anima umana.

Egli la schietta fede delle moltitudini e del sesso gracile, sentiva essere cosa sapiente: e per questo, sebbene in molte famiglie protestanti vedesse tale virtù da essere a molte cattoliche esempio e rimprovero; nondimeno le donne protestanti guardava dalla lontana, perché a lui pareva che sdottorassero troppo, o, nol facend'anche, si credessero in diritto legittimo di sdottorare.

Una di queste, e non disamato, conobbe a Montmorency, buona donna, e moralissima molto; ma che con la sua sapienza critica gli dava l'imagine di materia che s'appiccica: sicché molte volte le liete ombre di Montmorency, or disegnate per terra dal sole incerto, or dileguantisi; e i suoni vari e confusi dello stormire, e il verde vivo che veste la terra appiè degli alberi digradanti per l'ameno declivio, sì che dell'uno le cime toccano le radici dell'altro; e la macchia cespugliosa, e i grossi alberi e radi, o i minori raccolti in fratte; e le vallette contemplate dall'alto: tutte quelle gioie modeste, vedute in compagnia della molto ragionevole creatura suddetta, gli venivano quasi a noia.

Era la metà del novembre: e nell'albergo di lui venne una cantante italiana a cui la bellezza era tutta nella voce: piccoletta, gli occhi e le labbra per troppo affaccendato sorridere dilatati e impotenti. Sua madre era seco, ancor bella, di forme e d'atti maschile. Le quali non risparmiavano le tenerezze a Giovanni; e fin della povertà di lui si sarebbero contentate in quel primo imbarcarsi sulla palude della grigia città. D'altra parte Maria, mesta e per le cose udite, e più per il silenzio di lui, si chiudeva in se stessa; e il giorno e quant'ore potesse della notte spendeva al lavoro, per non essere di peso a Rosa, e per mostrare a esso che la non gli sarebbe stata di peso. Ma Giovanni tanto più s'accorava del non le poter promettere vita libera di fatiche e pane sicuro. Tacendo, s'imbronciavano più che più; e quel mal umore che, con due parole franche, si sarebbe rivolto in affetto confidente e in rassegnazione quasi lieta, covavano. Rosa non s'ardiva a mettere bocca: e poi Maria gliel vietava.

A lui, fragile e mal sicuro di sé, la facilità del fallare, quando non bisognasse né tastare l'altrui dubbia volontà né sospingerla, era tentazione grande. Sebbene affettuoso, anzi per questo appunto, e' temeva l'amore; e lo paragonava alle tepide sponde fiorenti e alla corona de' poggi che cingono il lago di Garda spumante con fremito tempestoso.

Però fuggendo l'amore, lo cambiò molte volte con ovvia voluttà. Ma qui la facilità stessa era impiccio; e la figliuola lo salvava dalla madre, e questa da quella. Se non che tutti i giorni, tutte le notti trovare un uscio socchiuso, e quattr'occhi invitanti, non era senza pericolo. Ma pensando a Maria, al suo pallore sereno; e non tanto alla presente malinconia di lei (la malinconia è mal adatta conciliatrice d'amore: vuolsi o il dolore o la gioia) quanto a' suoi guai passati, n'aveva pietà e riverenza. Da ultimo, conoscendo la propria cedevolezza, e ormai mirando in Maria come in iscopo d'immutabile amore; sebben fosse a mezzo il mese, la stanza ch'aveva, già cara, sgomberò.

E la domenica, andati insieme a vedere san Dionigi, le disse ogni cosa. Maria da questa schiettezza s'accorse che il tacer egli delle sue strettezze non era silenzio d'animo tiepido, e si confortò. Lieta gita fu quella: e la strada senza varietà né bellezza, che mette a san Dionigi, fu loro abbellita di dolci parole e dolci silenzi.

Videro la chiesa, all'ingresso magnifica, nel fondo serena, e come cosa che levi da terra. Il sole dalle lunghe invetriate dava sull'opposte colonne, e con l'ombra e col lume variando gli aspetti, le faceva mirabili di forza e maestà e leggerezza. «Vedete (dicev'egli a Maria) l'arco a sesto acuto salire umile e snello: ma l'arco a semicerchio casca sopra sé, imagine delle pavide e pesanti audacie umane». Maria contemplava tacendo, tanto più lieta nel bello quanto men dotta a sviscerarlo: ma negli sguardi intendenti le si leggeva l'affetto, intanto che francesi decorati di croce, e Lordi inglesi, guatavano o sbirciavano, la bocca aperta, gli occhi muti, con stupido sussiego, altri con ingenua sbadataggine, o con gioia negli sguardi infantili. Scesero tra le tombe profanate dalla libertà barbara e matta. Que' sassi, dentro vuoti, di fuora scolpiti d'imagini semplici, gravi, pie, destavano più pensieri che non se custodi di polvere regia. Quante glorie, quanti amori, quanti misfatti andarono a finire in quest'arche! La cenere dei grandi e delle donne adorate, chi sa da qual piede fu pesta, con che fango mista, in che nuovi corpi d'uomo o di bestia trapassati gli elementi di lei! Videro una volta nel fondo buia, con cancello e una lampana; là entro il cadavere d'un'impiccato, del principe di Condé.

Salirono muti: e i pensieri delle illustre miserie fecero in Giovanni più alto l'affetto. L'allegra gita e il mesto ritorno confortarono Maria: qual più non saprei.

Una circostanza da poco, che in altri avrebbe destato altri sensi, la confortò ancora più. Per istornare il pensiero dalla cantante, e rendere schifosa ai propri occhi l'imagine d'ogni amore men puro, aveva Giovanni gettate in carta le parole che seguono:

«Quel canto che par venga dall'anima, e l'anima leva sopra se stessa, per che sozzi canali, prima di venire alle labbra amorose, s'aggira! Sotto quella pelle fremente di voluttà, che sporcizia d'umori, d'omento, d'insetti innumerabili che lì nascono e muoiono! Quel delicato color delle gote, degli occhi, de' capelli, di che putredine biascicata si nutre! E in quest'avello l'anima immortale soggiorna, ispirata, ispiratrice; e tal sucidume non solo permette ma irrita l'amore!».

Questo foglio, pieno al solito di cassature, egli aveva dimenticato in un soprabito dato a raccomodare a Maria; la qual vedendo che non era lettera, lesse, e tacque. Ma egli, ritrovato il foglio, s'avvide che la lo doveva aver letto. E una sera che passeggiavano a un bel lume di luna (le notti a Parigi hanno una bellezza ineffabile sua), le entrò di codesto. Ella confessò, e sorridendo:

— Ma il fogliolino non parla degli uomini.

— Si sottintende.

— Peccato in verità che non siate chirurgo o medico.

— Sarei più passionato, e più spirituale che mai. Quel che mette disamore e ribrezzo, gli è il difetto che si discopra inaspettato: ma i noti e pensati rinfiammano il desiderio non ignobile, se il basso e debole spengono.

Così dicendo salirono per una via listata di luce. La luce e l'ombra giocavano in vago modo sugli alberi, le case, i muri, i sentieri, parte celandone, parte mostrando con amoroso pudore. Giovanni dopo breve silenzio seguitò:

— Per ignobile che in me fosse il desiderio, sempre si tinse d'affetto: o stima o pietà, o rimorso o dolore, e l'abito stesso che tante brame sazia, tante imbestia, le mie ingentilì.

Da questi vennero Maria con Giovanni a discorsi più cari: parlarono breve dell'amor loro, più a lungo del lor futuro destino. Egli che da qualche tempo pareva come dimentico di ciò, ne ragionò tanto più fermamente: ma la sua povertà gli stava sempre come spina nel cuore: e Maria, nella consolazione, pur s'accorava ch'e' non le toccasse di questo. La serata, dico, fu lieta di quella letizia tranquilla che a' buoni è più memorabile d'ogni tripudio; perché non iscende nell'anima come scossone con bufera, ma stilla com'acqua quieta che imbee a poco a poco le zolle sitibonde e i languidi steli.

Ma le gioie d'amore annunziano burrasca vicina. E sebbene questi due cuori, fatti già diffidenti dalla sventura, stessero in guardia contro i sùbiti mutamenti, quella tema valeva piuttosto a intepidire i piaceri che ad allontanare i dolori. Seguì dunque cosa che mise a repentaglio le tanto vagheggiate speranze.

Fin dall'ottobre aveva Giovanni avuta da un amico suo di Lombardia lettera che diceva:

«Voi conoscete l'affetto ch'io v'ebbi sempre: e conoscete la mia nepote: non vi dirò ch'ell'ha ottomila scudi di suo, con altrettanti ch'io le destino: ma vi pregherò di venire a consolare del vostro affetto gli anni miei già cadenti».

Rispose del no ringraziando: la sua vita essere omai sacra al vero, e alle traversie che attendono gli amici del vero; non volere i propri tedi addossare a donna cresciuta nella serena solitudine della domestica pace. E' temeva inoltre (ma questo non disse) dover essere legato allo zio più che alla nepote, e a lui dover dedicare più cure e più tempo che alla dignità ed agli studi della vita sua non si convenisse. Le quali cure nobil cosa era esercitare spontaneo, e senza sospetto di vili speranze, verso un vecchio povero; ma duro troppo vederle o temerle imposte come dovere ed esercitate com'arte. Di questa sventura, più orribile d'ogni miseria e d'ogni malattia, pauroso Giovanni, ricusò con animo grato ma senza sforzo, e come chi ubbidisce ad amata necessità. Agli altri motivi s'aggiungeva un più possente, Maria.

La qual nel novembre aveva conosciuto un conte romagnolo, che veniva in casa lo Svizzero, prima con isperanze di piacere alla Rosa; poi, visto il terreno duro, con brama di giorno in giorno più rispettosa, di non dispiacere a Maria. L'oriuolaio l'accoglieva bene per riconoscenza; che nel bisogno gli aveva dimostrato il suo buon volere. Grosso uomo; e tuttoché di sangue nobile e d'affettata cortesia, duro il viso e l'accento. Nell'incredulità incroiato e furibondo, ma probo; superbo verso gli uomini, colle donne modesto. Maria lo vedeva senza guardarlo, se non quanto quelle ricercate delicatezze glielo facevano molto notabilmente uggioso: ma le sue buone doti riconosceva, e, così alla lontana, stimava. A lui quella mestizia intelligente, quel pallore, suo malgrado, amoroso, occupavano quasi a forza il pensiero: e a questo aiutavano le lodi brevi ma quasi passionate di Rosa, donna di lodi non prodiga. Giovanni, al trovarlo lì tanto spesso, adombrava; né altrimenti esprimeva il suo malcontento che con certa fredda rassegnazione e sdegnosa. Ella se ne offendeva, interpretandola per non curanza: e mostrava di dar retta talvolta alle parole del conte pur per provare; e parlando all'uno, pensava all'altro; e alle facezie contegnose del nobile uomo sorrideva con l'anima lacerata.

Ecco intanto nuova lettera di Lombardia, che rioffre a Giovanni moglie. Questa parendogli buona congiuntura da conoscere il cuor di Maria; le mandò la lettera dell'amico inchiusa in una sua, che diceva:

«Maria, voi siete mutata verso di me. Vorrei dubitarne: ma troppo lo veggo. Questo m'è dolor grande: ma se il mio dolore debb'essere pace a voi, e se a me stesso dee risparmiare dolori più gravi, sia. Leggete l'inchiusa, e la risposta ch'io fo. Non ve la mostro per vanto, né perché conosciate il cuor mio: che v'importa di ciò? Ma questa mi sia almeno occasione d'interrogare i vostri pensieri. Che risolvete della vostra, che della mia vita, o Maria? Gl'indizi che mi deste d'affetto, eran eglino cenni fugaci di stima e di pietà, ovvero, com'io le intesi, promesse solenni? Saprete voi esser moglie d'un uomo povero, che desiderava, cercava potervi offrire un pane sicuro, e non può? Saprete voi consolare la mia miseria? e non maledirla? Soffrir meco i dispregi del ricco, l'invidia degli uguali; il bisogno in casa, la calunnia fuori? Oh Maria, non ingannate voi stessa, non m'ingannate. Nelle man vostre è la sorte mia. Aspetto un cenno da voi con rassegnazione accorata, con quasi disperata ansietà. Qualunque esso sia, non mi potrà togliere, o Maria, ch'i' non v'abbia venerata e non v'ami: e l'avervi conosciuto non reputi grazia maggiore d'ogni merito mio».

In queste parole era un accento d'amore profondo ma cupo: e nuovo a Maria. Che sebbene cuor di donna buona sia l'indovino di tutte le lingue dell'affetto, può la passione stessa talvolta velare l'intelligenza; come in acqua limpida ma sciaguattata, mal si riflette il cielo e il sorriso umano.

I precedenti silenzi l'avevano mal disposta: adesso questa lettera le parve una bravata, un metterla al punto. Quelle stesse parole che in altro momento le sarebbero suonate potenti, ora parevano aride e fiacche. Appena letto, prese la penna, e in un impeto scrisse:

«Io mutata? fate bene a mettere le mani innanzi. Temete da me dolori più gravi? Fuggiteli: e non venite a mostrarmi i vostri sacrifizi, quasi rimprovero alla mia povertà. Se una moglie vi s'offre, accettate il presente dell'amicizia: l'amore verrà; se non è già venuto. Accettate, ve lo consiglio. — Oggi mi rimproverate il mio cambiamento: voi a me! chi sa quali rimproveri mi verrebbero un giorno? Siate ricco e felice. Lontano, non mi disprezzerete, spero; e io, sapendovi contento, godrò del ben vostro; ma che v'importa di ciò?

«Ecco quel ch'io risolvo della mia vita. Le prove ch'io vi diedi d'affetto, se fossero o no sincere, il cuor vostro lo dica: io non ho parole per raccontare i sentimenti dell'animo mio: e, le avessi, non è questo il momento. Quel ch'io promisi, prometteste anche voi; ma io, se ve ne rammentate, vi dispensai dal promettere. — La nuova offerta vi libera affatto da me. — A vedervi povero al fianco mio, ogni silenzio, ogni sospiro, mi parrebbe un rimprovero. Piuttosto la morte.

«Avete voluto la mia risposta: eccola. Ma non venite a domandarmi s'io avrei saputo esser moglie d'uomo non ricco. Ah, Giovanni, quando v'ho conosciuto, v'ho io domandato delle vostre provvisioni? Non son io avvezza a campare un'intera giornata con un pezzo di pane? V'ho io mai parlato d'altra speranza che d'essere amata, compianta? Ah Giovanni, le vostre parole mi fanno male. Avreste potuto abbandonarmi senz'essermi cagione di tanto dolore».

Egli s'aspettava tutt'altra risposta; non supplichevole ma tenera, che dicesse: vi ringrazio, eccomi. Incerto in amore, quante in altre cose sicuro, e' voleva a ogni passo essere sostenuto, sospinto, rincontrato: e le donne che questo fanno, non sempre sono le più innamorate; perché chi fa questo, ha il tempo di pensare all'altrui debolezza e ai modi di vincerla. L'altera anima di Maria vide in quella lettera come una disfida fatta alla sua generosità; egli nella risposta non vide l'amore offeso, ma la voglia di finirla; non badò all'accorato affetto dell'ultime parole, e non le credette del cuore. Onde rispose.

«Noi non c'intendiamo, Maria. Se m'amaste, non avreste no interpretata così la mia lettera. Ma altri vi sta a cuore, e vi stoglie da me, e mi calunnia. Badate di non ve ne pentire amaramente, badate. Ve lo dice chi v'ama. Un nobile difficilmente perdona a sua moglie gl'impicci che gli cagione l'origine umile di lei; e le fa scontare la sua breve voglia con freddi e pesati oltraggi. Voi pia, pensate che vita avreste accanto ad un uomo che non crede le cose a voi care tanto. Ma, si mutass'egli, e v'amasse d'amore intimo e rispettoso: i pari suoi, le sue pari, pensate con quale occhio vi guarderebbero. Dicono che il tempo de' pregiudizi è passato. Ah Dio mio! i poveri e le donne lo sanno. Questo vi dico per ben vostro, Maria. Perdonate. Veggo che tutte le mie parole son torte a mal senso. Tacerò. Ma lasciate ch'io mi dolga de' vostri oltraggiosi sospetti. Io rimproverarvi mai la povertà vostra, la vostra povertà che vi fece più cara agli occhi miei? Così poco mi conoscete? Ah si vede che non ci intendiamo. E pur mi pareva... Povero me! povera la vita mia!».

Quando Maria ebbe la lettera, era già sera, ed essa in casa sola: onde poté rispondere singhiozzando liberamente, e portare il foglio da sé al portinaio dell'albergo di lui. La lettera, tutta vuoti che avevan fatti le lacrime grondanti, diceva:

«Non mendicate pretesti, per carità: lasciatemi almeno questa misera consolazione, ch'io possa stimarvi. Voi mi parlate d'altr'uomo? Ah se foste stato presente alle parole che intesi, e che dissi! Se m'aveste letto nell'anima allora! Ma né questo è tempo di discolpe, né io n'ho di bisogno, né voi ne chiedete da me. Sola una cosa vi dico: domani partirò per Quimper. Così non l'avessi lasciato mai! Così non fossi tornata in questa maledetta città! Oh la mia pace, la mia desolata pace, perduta per sempre! E chi me l'ha tolta? Un uomo ch'i' non potrò mai maledire, ma che forse un giorno n'avrà rimorso nel cuore. Iddio ve li risparmi, o Giovanni. Voi non avevate intenzione di tormentarmi così: non è vero? Lo spero almeno. Non è possibile che l'anima vostra sia tanto crudele.

«Addio, per sempre. Vivete, se non felice, tranquillo: fate agli uomini quel bene che desiderate; e guardatevi dagl'ingrati. Possano tutti conoscervi com'io v'ho conosciuto. Del bene che un tempo m'avete voluto, e di quel che m'avete fatto con la vostra compagnia, vi ringrazio. Voi, se dovete confondermi con le tante delle quali vi resta appena un'imagine languida in mente, sia pur così: ma non mi disprezzate, Giovanni; non mi calunniate nel vostro pensiero. Io non vi ho fatto alcun male; o almeno non ho inteso di farvene. Addio».

Lasciato il foglio al portinaio, uscì in fretta, e rivenne ansando, che né Rosa né il suo marito erano ritornati. Allora la piena dell'angoscia la sopraffece: si buttò ginocchioni appiè del letto, guardando a un'imagine della Vergine; ma le lacrime le ne velavan la vista. Si chiuse il viso nelle palme; e piangeva e gridava senza parola, senza pensiero. L'anima da qualch'anno composta in riposo quasi verginale, e mezzo dimentica dei dolori cocenti, aveva ripresa l'antica freschezza; e ora il dolore tornando improvviso e più penetrante che mai, incrudeliva come in anima nuova. I guai passati, che parevano per lontananza illanguiditi, si ripresentavano fedeli al richiamo, schierati tutti, or distinti or confusi, grandi sì che coprivano il rimorso perch'eran rimorso essi stessi; pieni di pietà e di spavento. Ella li sentiva come se fosse un'altra, e insieme se stessa; e non si comprendeva. Quel che più la tormenta adesso, gli è che le pare d'aver con silenzio altero, con le svogliate parole freddato l'animo di lui, datogli pretesto a interpretar male il suo cuore. Vorrebbe riscrivergli, dirgli quant'ella lo ami, chiedergli perdono, promettergli più amore no, ch'è impossibile, ma più abbandonate dimostrazioni d'amore, e più mansuetudine, e più pazienza. Stava per cominciare la lettera: ma ripensando al grande amor suo, e a' segni che gliene aveva già dati: «Se non m'intese — diceva — segno è che non m'ama. Che posso far più?». E ripeteva: «che posso far più?». E singhiozzava disperatamente: e pensava la sua vita avvenire: e a quest'idea insopportabile inorridiva. Entrò Rosa in quel mentre.

Al vederla, le risovvenne della notte quando tanti anni fa la trovò accucciolata sul ponte: e uno spasimo, una vergogna, una riconoscenza amara la prese: le lacrime ristettero; tremava convulsa. Rosa atterrita di pietà, domandava: ella che non aveva parole né voce, le mostrò l'ultima lettera di Giovanni. E Rosa allora rassicurata:

— Gli si risponde; gli si fanno passare questi grilli dal capo: e finito ogni cosa.

— Ho risposto (e allora i singhiozzi ricominciarono: abbracciò l'amica sua, appoggiò il viso al seno di lei, e gridava in voce interrotta): domani... domani me ne torno a Quimper.

— Bene, brava! una delle solite tue. Ma se questa è cosa subito raccomodata! Bisogna proprio avere la smania di tormentarsi. Ma egli che dice, quell'altro capaccio? Non risponde? Non viene? che sorta d'uomini!

— Glien'ho portat'ora la lettera.

— Ora la finisco io: ci vo da me, e vo' vedere se...

— Oh no.

— Come no? Insomma parliamoci chiaro. Ti conviene quest'uomo, o non ti conviene?

— Impossibile ormai.

— Tu non dèi cercare se sia impossibile o no. In due parole io vi metto d'accordo.

— Dirà che son io che ti mando.

— Lascia fare a me per cotesto.

Maria lagrimando senza più piangere, la guardava, e l'abbracciava più stretto: e Rosa impietosita come del dolore di bambina che si sia fatta male da sé: — Andiamo, chétati, se non c'è altro che questo di male. — E la baciava in fronte, ed usciva.

Per la strada andava pensando come pigliare quell'uomo ch'ell'intendeva poco, e come sostenere l'onore del sesso. S'imaginava d'essere lei in ballo; e quali parole le sarebbe caro che un'altra dicesse in nome suo all'uomo amato. Maria si pentiva frattanto d'averla lasciata uscire; tormentava il pensiero per figurarsi i sentimenti di lui. Non raccapezzava più nulla, se crederlo l'uomo di prima o un indegno che si facesse gioco del suo dolore.

Rosa entrò ch'egli usciva. Al vederla, tra spaurito e consolato:

— Che c'è?

— Vengo a sentirlo io da lei quel che c'è. (E in così dire si mise a sedere con autorità, e seguitava). Da quella ragazza non c'è da saper nulla: ma io non debbo soffrire che le si usin soverchi.

— Io soverchi?

— Lei soverchi, gnor sì: perché Maria non è capace di far torto a nessuno, e se...

— Leggete.

E le porse la lettera ultima di lei: Rosa la scorse, e rispose:

— Codesto non vol dir nulla: bisogna vedere quel che la le avrà scritto lei. Vo' altri uomini vi credete lecito tutta sorta infamità; e poi se una povera donna si risente: oh sesso perfido! Insomma che cosa intendete adesso di fare?

— Vederla, rimproverarle il suo indegno procedere.

— Rimproverarle che cosa? Facciamo un po' i nostri conti. Chi è che ha mancato di sincerità? Chi è che avendo in corpo un secreto, se l'è tenuto, eh? I suo' impicci del non poterla sposare, del voler fare l'eroe piuttosto che procacciarsi un pane a tutti e due, a me l'è venuto a dirmeli, come se la mi volesse per moglie me. Crede lei che quella povera donna sia un ciocco, da non capire, e da non sentir dispiacere di questa doppiezza? Sì signore, doppiezza.

— Ma per carità, vedete in che stato sono; non mi tormentate: lasciatemi dire.

— Che vuol ella dire? Meglio che la stia zitto. Levare una povera donna dal luogo dove la se ne stava tranquilla, prometterle un destino sicuro tra breve: e poi, al primo ostacolo, impalarsi lì, e non le dire nemmeno: questo e questo segue; scusate; vediamo di rimediare...

— Rimediare, ma come?

— Poverino! a me me lo domanda il come? Eh via si vergogni costì. Dica un poco: le voleva o non le voleva bene a codesta ragazza?

— Che discorsi?

— Gli è un discorso da fare: perché chi lo capisce lei? Se le voleva bene, la ragazza era lì. Ci voleva tanto a chiamare un prete?

— Ma poi?

— Ma poi? Oh che? mi dica di grazia, così la non campa? Sentiamo, quanto le ci vuole al giorno per lei solo costì?

— Cinque franchi.

— Per cinque franchi fo un cottimo, e vi mantengo io tutti e due.

— E i figliuoli?

— E un tremuoto? E il diluvio? O che? i figliuoli dello spazzaturaio non campano? Scuse! Sa ella, signorino mio, a che si sta male? Qui (e si metteva la mano al cuore), qui, e non a quattrini.

— Ma, Rosa, abbiate compassione; finitela.

Ed ella, tagliandogli le parole, che pareva lo volesse mangiare: — Finischiamola, sì: mi dia le sue lettere, e...

— Mai.

— Mai? Oh che pretensioni sarebbero le sue? mi dica.

— D'amarla sempre a dispetto suo e della mia povertà, di volerla.

— Oh perché non lo diceva prima?

— Ah Rosa, io sono un disgraziato.

— Un po' pazzo, scusi: ecco il male. Ripeto, se c'è sotto altri impicci; se Maria non fa per lei...

— Ma insomma, per carità...

— Quanto al campamento, quel che fa per uno, e un capo ameno come lei, ci si campa due e tre.

Giovanni aperse il suo scrittoio, ne trasse il danaro che aveva, le lo mise nel grembiule, e disse:

— Ecco, portateglielo, dite ch'ella oramai deve pensare a spenderlo e a risparmiarlo; non mi neghi questa carità.

— Ragazzate! Appena le vede queste monete Maria, la me le schiaffa nel viso. Quel ch'i' voglio sapere da lei, gli è se la le vuol bene davvero.

— Voi siete donna; e...

— Io son donna, e conosco gli uomini che son fatti come gli altri uomini: ma i letterati, veda! ...

— Oh sì, l'amo; col cuore l'amo; intendete? col cuore.

— Badate veh! Perché...

— Se ci bado! Credete voi che possiamo abbonirla?

— Proveremo.

— Vengo?

— Oh no, signore.

— Lasciate vi seguiti almeno.

— Purché la stia giù in istrada; e la non salga che quando aprirò la finestra.

Così rimasero. Giovanni fuor di sé voleva baciare la mano di Rosa; la quale ritrosa sorridendo, e contenta in cuore come foss'ella l'innamorata:

— Sguaiato, costì!

Maria nel vederla le si levò incontro, e non osava fiatare; ma l'altra: — Non è nulla: raccomodato ogni cosa: pace, e, se tu vuoi, matrimonio.

E mentre Maria rimaneva in atto di rimproverarle lo scherzo importuno: — Non c'è rimedio: o sposarsi subito o lasciarsi per sempre. Voi altri siete du' pazzi: starete lì tutta l'eternità a contemplarvi, a mangiarvi l'anima, a aspettare il Messia. Pare come ne' drammi: tira, tira: c'è ancora due atti prima che vadano a letto, o prima che muoiano. Oh che cosa vi manca?

— Ma, Rosa, ti pare, dopo quel ch'è seguìto?

— Che cos'è seguìto? Vi siete scritti delle lettere giucche, le quali per opera mia son diventate la scritta di matrimonio.

— Ma spiegami un poco.

— Spiegami! Gli ho detto: ci pensate perché siete povero? Oh voi, povero costì, non campate? Di quel che spende un giovanotto, ci campa la moglie, e anche la balia. Allora pareva come un cieco, che gli si renda la luce degli occhi. E' non ci aveva mai pensato a questa grande scoperta. Contento, pentito, abbonito. Buon figliuolo!

— Ma che diceva?

— Lo vuoi sapere? Gli è giù.

— Maria l'abbracciò: Rosa aperse la finestra: il letterato saliva gli scalini a tre a tre.

Ma conoscendo d'aver che fare con due teste secche, Rosa si mise di mezzo, e, lui appena entrato:

— Badiamo che non si torni alle solite. Lasciatemi dire a me. Tutti e due (non è vero?) siete dolenti di quel ch'è seguìto; e insomma, senza tanti preamboli, vi volete bene?

Risposero con lo sguardo, egli più impicciato quasi di lei.

— In nome di Dio! Fate dunque conto d'esser marito e moglie. Voi, signorino, in presenza mia qui, datele un bacio in fronte; poi subito via: che questa non è serata da veglia.

La baciò. Ella guardando a Rosa, sorrise commossa; e guardando a lui, arrossì tranquillata. Rosa lo prese per mano, e: — Ora che siete guarito, andate a letto.

La mane venne da lui l'oriuolaio marito della Rosa, vestito da festa, lieto e rispettoso. Giovanni l'accolse con gioia, come persona vicina a Maria; ché l'amore raggia da un oggetto su molti, e li fa venerabili o gai.

Per venire, il buon uomo aveva chiusa la bottega: e si vedeva nel suo far di svizzero, povero ma dignitoso, non so che solenne. Giovanni, cattolico di cuore, amava questo protestante sincero; e le sue virtù invidiava onorando, quell'uguaglianza d'umore, quella giovialità tranquilla, quella modesta fermezza. L'accolse con gioia. — Il brav'uomo esitava come chi venga a chiedere grazia grande; e cominciava, così:

— Caro signore, io vengo a pregarla di cosa che la non mi vorrà, spero, negare. Ma non m'interrompa di grazia. So delle sue risoluzioni, caro signore, quel tanto che me ne disse mia moglie: e anco senza saperne, non penserei di lei altra cosa che onorevole. L'opinione ch'i' ho, caro signore, di lei, non so se la se ne sia potuto accorgere, perché certe cose io non le so dire, ma le sento quant'altri. Sono svizzero, sa?: null'altro che un buono svizzero. Mi scuserà se non fo cerimonie. Quel ch'io la volevo pregare, gli è... non mi scomoda punto, veda... In certe occasioni c'è qualche spesuccia di più... Io ho lì un migliaio di franchi... Mi lasci dire. Glie li offro con cuore. Non mi neghi questa consolazione, gli accetti. Aspettare un anno, due, tre, non mi fa. Ne la prego in nome di Rosa. Rosa è una buona figliuola: troppo le dispiacerebbe...

— Degno uomo, e vorreste ch'io vi privassi del frutto delle vostre fatiche?

— Che fatiche? Io non n'ho di bisogno. La lo vede: si campa, con un po' di giudizio, e coll'aiuto del cielo.

— Ma s'io morissi?

— Per codesto si può morir tutti. Non pensiamo a disgrazie.

— No, mio buono amico, e ve lo dico in verità: non n'ho di bisogno per ora. Ma se mai...

— A me piuttosto che ad altri: me lo promette?

— Sì, ve lo prometto; e vi stringo la mano; e vorrei potervi mostrare il cuor mio.

— Ci voglia bene: ecco fatto. E scusi, sa? Un altro glien'avrebbe profferto con più bel garbo, ma non con più cuore. Io certe cose (ripeto) non le so dire.

— E le cose che sentite voi, degno uomo, nessuno le sa dire: credete. Tra i molti beni ch'io debbo a Maria, pongo questo, d'avermi fatto conoscere voi.

— Oh Maria è una buona ragazza. Ma sfortunata! Glie la raccomando.

Quest'ultima parola commosse più di tutte Giovanni, che gli strinse la mano, movendo le labbra e senza parola.

Da sera a mane che cambiamento nell'anima di Maria! Ieri vedova dell'ultima e più strettamente abbracciata speranza: oggi alle speranze ringiovanite ricongiunta più forte che mai. Quietata nel pensiero della vinta burrasca, nell'avvenire non sapeva affisarsi. Così navicella raccolta in porto, si gode di breve calma, intanto che il mare e il cielo preparano a lei, rinavigatura, tempeste.

Sulla spiaggia di Corsica, che più vicina si stende all'Italia, sentiste mai imperversare con fischi a mille ricrescenti e con buffi profondi quasi tuono, il libeccio; e il lungo fiotto frangersi molto sonante, e le macchie stridere per l'incendio che corre quasi drago immenso portato dal vento, e una nube tra cinerea e rossigna sedersi grave sulle spalle de' monti? Ma i voraci impeti dell'aria quasi in un subito cadono; e il sole signoreggia beato l'ampio sereno; e i colli ridono nell'azzurro quieto che dal bruno di quelli par fatto più limpido; e il cielo e la terra, memori del passato scompiglio, paiono, ricreati, congratulare alla mutua bellezza.

Si riaveva Maria, e ritornava alla freschezza come del primo amore così del primo pallore: e negli atti più sciolta, nelle parole mostravasi più cordiale. Di lì prese animo il conte romagnuolo; e interpretando a speranza quel mutamento, si pensò di scriverle una lettera, patrizia e letterata molto, in questo tenore:

«Quel nobile ingegno, o signora, del quale in sì gran copia vi fornì la natura, non può certamente non s'essere oramai avveduto della gentile affezione che l'ornato spirito vostro e il leggiadro volto e l'onesto portamento destarono dentro all'animo mio. Né questa poca mia nobiltà di sangue, e questo qualsiasi decoro d'avita ricchezza del qual mi fregiò la fortuna, m'è o sarà caro, se non quanto m'aiuti a onorare tanto bellissimo fiore di leggiadria e di virtù. Le quali doti, la ragione de' tempi e la considerazione attenta delle mondane cose c'insegnano essere ornamento precipuo de' petti mortali. E se il volgo degli uomini questa opinion mia dispregiasse, io la sua matta superbia a più gran diritto dispregerei: e quanti sono spiriti gentili e magnanimi, di buon grado verrebbero nella sentenza mia».

Seguitava su questo andare. Maria gli rispose:

«La cortese sua lettera troppo m'onora: io non merito tanto. Quand'anco la mia fede non fosse data al altr'uomo, temerei d'accettare la sua profferta. Ella troverà facilmente meglio per ogni verso: ma se mi fosse lecito un consiglio, le raccomanderei di cercare una compagna tra le pari sue. Quando pure il più ricco o il più nobile de' due abbia sentimenti così generosi e volontà così ferma in amare come credo sarebbe la sua, l'accettare certi doni talvolta costa più dell'offrirli. La riconoscenza ispiratami dalla bontà sua mi fa tanto ardita. Perdoni, e mi creda di vero cuore...». Mostrò le due lettere a Giovanni; che disse:

— Buon uomo! migliore di quel ch'e' pare.

Ed ella:

— Certamente buon uomo. Ma vossignoria non sarà, spero, d'ora innanzi geloso d'un conte così.

Giovanni si rabbruscò, e con accento dolcemente severo: — Non celiate, Maria, sull'affetto. È sempre venerabile cosa l'affetto d'anima umana qualunque ella sia. Se quest'uomo v'ama da conte, e se amarvi altrimenti non sa, la colpa non è in tutto sua. Ma ve n'è pur tra loro ch'amano con viscere umane; e di quella fortuna da molti invidiata e da loro medesimi forse ostentata un giorno, sentono il peso grave. Io ne conosco.

— Non c'è bisogno di pigliare la cosa tanto sul serio. Quelle parole (Dio lo sa) non erano nella intenzion mia punto crudeli; e venivano da un sentimento...

— Ve ne ringrazio, Maria. Ma la profferta di quest'uomo mi ridesta nel cuore una memoria consolatrice, e adesso innocente più che mai. Anco a me fu fatta, anni sono, da persona d'altra condizione che la mia, offerta simile; ed era in nobile modo significata. Godo che mi sia data occasione di farvene cenno: ma di più a lungo parlarne ho riverenza: e quella imagine velata di donna avvinta già ad altre sorti giova che rimanga nell'ascoso de' pensieri, non tocca neppure da parola.

— Domando scusa s'ho, non volendo, offesa una memoria a voi sacra.

— Scherzate adesso, Maria?

Ed ella, non gli lasciando tempo di finire, con trepida ansietà, e quasi supplichevole: — Oh no!

Conobbe egli allora d'essere amato.

Rosa intanto affrettava le cose. Fu posto al matrimonio il dì vensei di dicembre, la festa di san Giovanni: e risolvettero, subito dopo, lasciare Parigi (città a lei odiosa, noiosa a lui), e rifuggirsi in Corsica dove campare con meno; giacch'egli in Italia non poteva.

Il dì vensei al medesimo altare Giovanni e Maria ricevettero e il corpo del lor Redentore e il titolo di consorte, senz'esultazione di gioia, tementi del mondo e di sé, speranti in Dio, rassegnati a nuovi dolori. La sera, inginocchiati alla sponda del letto, pregarono alla madre della gran Vittima, all'apostolo amico di Gesù, banditore degno del nuovo amore: e Giovanni disse così:

«Dateci, o Dio, gioie pure, dolori sopportabili, amore paziente, lieta e forte concordia nel bene. Datemi un pane per lei. Se destinato a essere padre, donatemi vita e virtù da educare i miei figli. Se i giorni a me numerati son brevi, nelle vostre mani raccomando, Signore, questa ch'è omai tanta parte dell'anima mia. Con l'esempio e con la parola dateci di consolare e nobilitare l'anime de' fratelli. Insegnatemi ad espiare le colpe mie tante, che non ricadano sulla povera famiglia mia. Perdonatemi. Benediteci. In voi temendo esultiamo: in voi, lieti od afflitti, riposeremo».

LIBRO QUINTO

Amore di donna, tuttoché necessario conforto al debole cuore di Giovanni, non lo poteva mai, neppure nella prima ebbrezza, occupar tutto quanto. E Maria sel sapeva; e non era tanto vuota da averselo a male: ch'anzi codesta vedev'essere guarentigia dell'amore. Certe passioni impronte che appiccicano a guisa di cataplasma du' anime e due corpi insieme, lasciano e questi e quelle appiastricciate sì che poi ripulirle è noia e dolore.

S'offerse subito occasione d'esercitare, egli la libertà d'uomo, ella la tolleranza sì amabile in donna quand'è congiunta ad affetto. Un Italiano dimorante in Bordeaux, che, sebbene vecchio, non dispregiava le intenzioni né gli scritti né gli esempi de' giovani, né li calunniava con rea diffidenza, mostrò desiderio di deporre nell'orecchio di lui alcuni secreti della sua vita. E sebbene Giovanni da tale lavoro dovesse tutt'altro aspettare che lucro, non osò rifiutare l'onorata profferta; e risolse, movendo alla volta di Corsica, toccare Bordeaux. Si dava per sorte che uno zio dello Svizzero dovesse andarsene fino a Tolone: né a miglior mani poteva essere affidata Maria. Fu fermato dunque di fare la metà del viaggio insieme; poi, per risparmio di spesa, Maria se n'andrebbe col vecchio; e troverebbe in Corsica conoscenti, da aiutarla, nella breve assenza del marito, a mettere su casa.

Il dì due di gennaio lasciaron Parigi con un nuovo senso quasi d'amicizia alla città dove fu consacrato l'amor loro. Le dipartenze furono a Rosa più dolorose che ad essi: che le pareva rimaner sola, ed amava in Maria il bene fattole: amore nell'anime buone non orgoglioso né impronto ma tacito e lieto. In Maria la gratitudine, e così nel suo marito, non era loquace, ma quieta e raccolta; e con la meditazione e la lontananza ed il tempo si veniva più confermando ed accendendo. Poche parole si dissero, contenti di poche, perché sicuri d'intendersi. Giovanni stese a Rosa la mano, che gli diede la sua lagrimando; abbracciò l'oriuolaio come fratello. Maria strinse a questo la mano, guardandolo con pieno affetto, e nel baciare Rosa, le disse:

— Sorella mia. — Né più si parlarono; né si rividero mai.

O voi che dubitate se l'anima sia immortale sentiste voi mai l'amore? Sentiste voi mai l'amicizia?

Il dispiacere del distacco rese ancor più composto il mite amore de' due, che parevano, più rispettosi e più impacciati di prima, conoscersi allora allora. A Lione si divisero: ed egli di Bordeaux a lei già in Corsica scrisse:

«Mia buona Maria.

«Mia, non è vero? E che importa il resto? Non son io più che felice? Non son io contento?

«Giunto appena, eccomi a raccogliere le notizie per cui son qui. Il giorno che avrò terminato, mi parto. Vedermi tra gente nuova, sempre mi dispiacque: pensa, ora. Io sopra tutti, che mostro di me prima le qualità più disamabili, e provoco gli altri a fare, anco involontariamente, il simile, debbo penar troppo a essere conosciuto e a conoscere. Ma quando ciò segua, il piacere è più vivo. Che consolazione secreta e quieta, vedere a poco a poco dall'animo altrui cadere la diffidenza; e l'affetto nascoso, d'una parte e d'altra farsi strada; e balenare in una parola, in uno sguardo; e richiudersi timidamente, e riaprirsi più lieto che mai: vedere un'anima umana accostarmisi passo passo; e non s'abbandonare a me per cieco impeto ma con pensata letizia! Ma a provare tal sorta di gioie, mi ci vuole del tempo: e oramai non n'ho più di bisogno, o Maria. Onde se non fosse l'occupazione che qui mi trattiene, sarei più infelice, cioè più annoiato che mai.

«E vi ringrazio dell'avermi in questo, o Maria, lasciato libero di me fin dal primo. Le smorfie dell'affetto donnesco, sono intolerabili a voi più che a me, e però v'amo con sì franco rispetto. E vi rammento, non per ammonirvene ma per ringraziarvene, il patto stretto fra noi; che in qualunque cosa io creda conducevole alla dignità del mio nome e all'uffizio mio di scrittore, pericolosa o no, i' prenderò consiglio, Maria, non dall'affetto vostro ma dalla mia coscienza. Non dubitate che io di questa libertà abusi mai per portarvi inutili cure e timore. Appunto perché voi mi permettete di molto celare al cuor vostro, nulla celerò al vostro senno. E voi non sola consigliera ne' dubbi, o unica mia, ma, dopo Dio, ne' falli avrò confessore.

«Promettiamo d'aprirci ogni più chiuso, ogni più sottile secreto. Una parola soffocata tormenta come rimorso; si accumulano intorno a lei tante cagioni impercettibili di risentimento; e ne segue l'impazienza, e dall'impazienza lo sdegno, e dallo sdegno il dispetto. Ma io non posso, né pur pensando, seguire questa catena di guai. E pure in essa si mutano i vincoli coniugali sì spesso. Parliamoci dunque: e non sempre è necessaria a ciò la parola: un cenno serve, un abbassar d'occhi, un silenzio. Ma noi ci aduliamo l'un l'altro accarezzandoci troppo. E quando l'impeto della tenerezza soprabondi, sfoghiamolo con dirci quel che all'uno nell'altro men piace. Oh come, dopo tali confessioni, l'anima si sente libera ed alta, e lieta del suo non fragile amore! — Interrompo, perché......................

«Ieri ho sospeso, perché cominciavo a entrar nel patetico: cosa che mi seguirà, v'avverto, più spesso di prima. A me l'abitudine rinforza, non allenta, l'affetto. Ma più m'astengo dal disfogarlo in atti o in parole di molle tenerezza, e più sento lui fervente e me lieto. E però vi ringrazio del non poter voi, o mia, sopportare quel tu che a molti è quasi unico segno di confidenza. Attendiamoci al voi: quel linguaggio al qual venimmo i primi giorni del nostro parlarci, serbiamo, a dolce memoria, insino agli ultimi. Quando il labbro dice voi, ben sappiamo che l'anima dice meglio che tu, dice noi; intanto che gli amori volgari al tu familiare sottintendono l'ella servile. Com'è profanato nel mondo il linguaggio del cuore, Maria! Per dire oramai cosa non comunemente sentita, è forza ricorrere ai termini più comuni, che sono i meno sgualciti. Quando il cuore dell'ascoltante gl'interpreta que' termini schietti, e l'accento e gli occhi di chi li profferisce, oh quante e che dolci cose dicono! Del resto, la parola può ella mai agguagliare il concetto, non che il sentimento! Per profferirlo, converrebbe poter meditarlo: ma le meditazioni del vero amore non sono altro che nuovi sentimenti d'amore. Sia schietta dunque a noi, come l'anima, così la parola. Noi non ci ameremo, Maria: ci vorremo bene.

«Vi rammentate voi, lo scorso autunno a Parigi del giorno che guardavam lieti alle isolette vagamente alberate e cespugliose del ponte a Neuilly, che, tutte vestite, bagnano nell'acqua i lembi del verde lor manto; e quando, svoltando per la via che accompagna il fiume, montavam per la costa vignata di Suresne, verso la chiesetta ch'è in cima, e vedevam la salita ad ora ad ora mollemente riposarsi in pianure ondeggianti od in seni; e i poggi a destra fender l'azzurro con le allegre lor cime: quando entrammo in un capanno biancheggiante di gesso cavato; e guardando al sole che mandava gli ultimi raggi alla già languente verzura, tale, diss'io, è l'ultimo amore?

«Addio, buona mia. Un bacio: un bacio in fronte; poiché questo è il patto; e poiché alle labbra le parole e il sorriso, e il tremito della gioia e quel delle lacrime, sono assai. Addio, Maria».

Ella rispose di Corsica:

«Non usa, e non par che stia bene, la donna dire all'uomo quando e quanto ell'è lieta per lui. Ma io a voi posso dirlo: non è vero che posso? Non è vero che voi sapendo quant'io vi son grata del vostro affetto, mi vorrete più bene? Non è vero che Dio non mi vorrà gastigare se dico: sono contenta? Oh sì, vogliatemi bene. Ho patito tanto per meritarlo; e l'ho desiderato indarno tanto!

«Sia come dite: avvertiamoci de' nostri difetti; confessiamoci i falli sin di pensiero. Se differenza insorge tra noi, se l'impazienza ci coglie (e siamo tutti e due in diverso modo impazienti), determiniamo fin d'ora i segni che ce ne mettano in guardia. — Al primo moto di sdegno, pronunziare il nome un dell'altro. Spero ch'a un rimprovero vostro, nel suono di questa parola: Giovanni, e a un mio: Maria, la lite cadrà. Se non cade, andarsene, l'un de' due. Se questo non si può, l'ultimo scongiuro, l'ultima intimazione sia un bacio in fronte. Ma queste, lo veggo, son precauzioni simili a quelle di certi vostri politicanti, buone finch'altre ragioni più intime gli dieno (dovrei dire dien loro, ma mi par tanto letterato quel loro!) gli dieno virtù; vane poi. La precauzione migliore è pregar Dio ci mantenga unanimi. Bella parola de' Salmi, che voi m'insegnaste, o umanime mio.

«Mia madre mi raccontava come passando di Padova, andò al Santo; e all'arca di lui nell'ombra sacra stese la mano e posò 'l giovane capo, pregando. Vorrei potere anch'io nel luogo stesso dove mia madre mise la fronte, posare la mia, e pregar pace alla nostra vita. Oh chi dispregia questi aiuti ch'alla fede umana e alla speranza combattuta offre la religione nostra con cura materna, non ha amato mai con tutta l'anima né Dio né le sue creature.

«Ma noi i dolci riti della fede compiremo insieme (non è vero?); e insieme ci vedranno non le sale ciarliere ma le chiese romite. Né l'ore del piacere torremo dal capriccio dell'allegria altrui, ma dall'ispirazione libera del cuor nostro. Io so bastare a me sola; né, per divertir me, dovrete tirare in casa vostra noie e ciarle e calunnie, né rubare il tempo debito agli studi vostri. Siamo fin d'ora severi nell'uso del tempo e nelle dimostrazioni dell'affetto; acciocché l'ultimo giorno del nostro consorzio, sia, quanto si può, uguale al primo.

«Il mio buon compagno di viaggio mi prestò fino all'ultimo ogni cordiale assistenza. A Marsiglia mi fermai tre dì, pieni di gravi memorie. Appena a Bastia, ho cominciato a dar sesto alle cose nostre: ma prima d'ogni cosa ho visitato il camposanto, e pregato. Le lettere di raccomandazione, sapete, valgono o poco o troppo. Gli antichi conoscenti di mia famiglia, riguardandomi come còrsa, m'usano delle gentilezze: ma perch'io non son còrsa alla francese, e perché mi fo lecito di parlar con rispetto dell'Italia ch'eglino più non conoscono omai, da quest'orecchio non ci sentono: e mi dispiace per loro. Francesi potrebbero essere di governo: ma d'ingegno e di lingua, italiani: e dai Bretoni (che a chi loro parla francese non degnan rispondere) imparar da' Bretoni ad amare la tradizione de' padri loro; e a' Francesi rendersi rispettabili rispettando se stessi.

«Scrivetemi presto e a lungo; e quando crediate poter venire. Oh quel re ch'ha inventata la posta, rese a me un gran servigio!

«Uno degli spettacoli che più mi commossero a Parigi fu ritrovarmi verso le sei della sera nel cortile della posta, quando partono i corrieri, con due o tre viaggiatori ciascuno, per tutte le parti di Francia. Le madri, le mogli, le figliuole, le amanti, gli amici (anco a Parigi ce n'è) stanno in fila dall'uno e dall'altro lato. Una vettura s'avanza; è gridato: Marsiglia; e lì sull'atto di salire, abbracciamenti e strette di mano e raccomandazioni e consigli, e lagrime, più preziose se represse: entrati, via. Un'altra vettura: Strasburgo: e lì nuovi amplessi; e fugge. Poi un'altra: Calais: nuovi baci: e chi sa se più si rivedranno quaggiù? E così per tutte le parti di Francia e d'Europa e del mondo si spandono da quel gran centro uomini, lettere, merci, idee, vizi, virtù, gioie, affanni. Se una di quelle tante lettere manca, quante fila interrotte, quant'anime in sospeso, disperate? In un foglio, di quante vite il destino? E in questa gran tela delle faccende e delle affezioni umane, che gli uomini stracciano sempre, ed è sempre ritessuta da un amore sicuro e paziente, si vede la mano di Dio.

«Ella ci regga, o Giovanni, e ci difenda dalle ignote, dalle inaspettate sventure».

Un'altra lettera le scriss'egli prima di rivederla, che, fra l'altre cose diceva:

«... A me più ch'ad altri il viaggiare è penoso, a cui son difficili le cose più facili della vita di fuori. Far lunghe gite a piedi, correre, arrampicarsi, nuotare, remigare, guidare una vettura, sostener la vigilia ed il freddo, pascersi d'ogni sorta cibi, aver l'occhio, la mano, i sensi tutti docili all'agile volontà, raddoppia il prezzo del vivere, moltiplica i modi di fare il bene. Ma l'anima incarcerata in un tronco che non sa esserle altro che tentazione ed ingombro, vive mezz'inutile altrui, grave a sé. Il contadino, l'artigiano, e voi altre donne, sentite più retto di noi, perché la destrezza o la forza del corpo adoprate a più vari usi. Ma questa mia inutilità m'è vergogna e tormento continovo.

«... Se il pensiero di voi non m'avesse custodito, o Maria, gli occhi miei, non ad altro acuti che a tessere insidie all'anima, sarebber vagati non senza pericolo sui visi di queste leggiadre donne di Bordeaux, dai quali (e fin da' men belli) spira, con quant'ha di più fine lo spirito francese, un'aura d'Italia. Arguti visi e delicati, sorridenti o di candore roseo o di pallore olivastro o di bruno gentile, digradanti con linee armoniosamente soavi; abbelliti da' neri capelli, dagli occhi saettanti, e dalla pezzuola che avvolta in cima al capo, s'annoda con grazia che non ha pari. Ma l'ampia rada, allegro specchio dell'ampio sereno, e i suoi cento vascelli schierati in grand'ordine quasi a pompa, vomitano sulla briosa città l'oro e i vizi e il contagio di tutti i paesi del mondo.

«A Tolosa meno pericoli: città di dolce nome a me, fin da quando lo udii, e il perché non sapevo. Ma quivi l'eleganza è negl'ingegni ben più che ne' corpi. Mi pareva sentire in quell'aria non so che spirito e luce di glorie novelle. Sorgerà forse grande Tolosa quando Parigi cadrà.

«La non m'apparve quale se la dipingevano i pensier miei: pur mi piacque; e con gioia visitavo le antiche sue chiese, respiravo il suo sole, guardavo fiso a' bambini per via. La donna tanto complessa a Tolosa quanto fine a Bordeaux. Nondimeno una gentile imagine anco di quivi raccolsi, che mi fece desiderar con dolore il magistero della matita: imagine di giovanetta mendicante che, seduta su una gradinata con un bambino in seno, mostrava i be' piedi ignudi, e levava in me gli occhi possenti, e l'ancor più possente pallore del viso estenuato, e a parole sommesse e dolcemente roche moveva in atto leggiadro le labbra delicate: figura da scolpire, non che da dipingere.

«D'una tentazione giovane, facilmente vinta, che a Cette m'aspettava nel bagno, non parlerei, se questa non fosse occasione a dir della mia fragilità che in certi momenti a voi pare tanta. A voi pare tanta perch'io vi raccontai le cadute, non le vittorie. Ma s'io vi dicessi che per sei mesi dormii in una stanza accanto alla stanza di donna giovane e divisa dal marito e non barbara punto, e che non ho mai tentato né pur col pensiero l'uscio che ci divideva! Confesso che il pensiero tentava altr'uscio, e di più bella: ma questa è pur prova che la fragilità mia non è tanto rotta quant'altrui e io temiamo. E se vi dicessi che per sei mesi e più, in altro tempo, fui cieco al sorriso di donna a cui non mancava intelletto né dell'amore né della vita, voi mi potreste opporre che la timidità raffrenava il desiderio: ma la timidità è guardia anch'essa della virtù; e se c'è un po' d'orgoglio, c'è anche un po' di pudore.

«Giacché siamo a questo, voglio un'altra vittoria confessarvi: e dico confessare, perché la memoria dell'antica nemica mia m'è tuttavia cara ma senza pericolo. Una portoghese, di quel pallore olivastro che le portoghesi sogliono, ma più grande delle forme, e bella di silenzio intendente e d'occhi affettuosi e d'ingenui desideri, a cui da molti anni il marito viveva al Brasile, già passati ella i trenta, ma schietta dell'anima; di quelle donne che sanno amare umilmente; io conobbi a Parigi; e mi piacque: ed ella pensava di me più che non io di lei, sola e senza né speranze né distrazioni alla vedova vita. Né forse avrei vinto se sapevo, come seppi poi, la pietosa bontà dell'affetto suo. Dio la guardi: e la memoria di me, rimastale pura, le torni consolatrice, come la voce d'amata sorella.

«Quanto de' Corsi mi dite, pensavo anch'io. Quel che in loro mi fa più paura, gli è che (tranne rarissimi) non sentono il bello né della lingua materna né della nuova, né de' suoni né de' colori, né di natura né d'arte. Ma dovesse la Corsica imbastardire innestata alla francese mediocrità, ell'ha vissuto abbastanza, se ha generato Pasquale Paoli, scusa ed espiazione anticipata del reo Buonaparte. La guerra da lei durata nel secolo scorso vale per secoli molti d'oziosa od invaditrice grandezza. La Corsica ha pagato all'umanità il suo tributo d'esempi generosi e di sangue.

«Ma chi sa? forse nuovi destini l'attendono. E a questa Francia stessa noi siam forse troppo severi. Buona e giuliva gente, e pronta ad impeti generosi: a cui l'impazienza è scusa accettabile di colpe assai. Vero è che le cose grandi per forza di perseveranza si fanno: ma le sventure e i disinganni sono maestri efficaci, e possono almeno in parte immutar la natura.

«Tutte queste che io scrivo, s'intende che sieno parole d'amore, o Maria. Tra poco vi rivedrò; e viveremo indivisi. E voi perdonerete i miei tanti difetti agli errori della passata mia vita, e al grande amor mio».

Venne in Corsica. Le cure, a lui nuove, della casa gli erano alleggerite e dall'esperienza di Maria, e dal contento di avere a compagna donna sì intelligente, sì docile, e, nell'impazienza stessa, sì sofferente di lui. Pur le spese passavano l'aspettazione: che gli era pensiero grave. La mediazione dignitosa d'uomo che l'amava con l'opera ancor più che col cuore, gli aveva trovato a Venezia editori che i lavori di lui rimeritavano di compenso raro in Italia, e sentivan l'affetto debito a scrittore ch'abbia sacra al vero la vita.

In Corsica ripres'egli di lena gli svariati suoi studi: ché da un concetto filosofico gli era sollievo passare a una distinzione di vocaboli affini, e da un frammento di storia a una varia lezione di codice antico, e da un padre della Chiesa a un locuzione mancante alla Crusca. Scriveva una preghiera a Dio, e un ragionamento sul bello; da un discorso politico correva a un frammento di Saffo, da una lettera teologica a un'ode. Il medio evo buio e possente, e il suo secolo molle e con lampioni a gasse; i sonanti numeri latini e i rotti accenti francesi; i vecchi volumi in foglio e i giornaletti leggieri; una scena di dramma e una citazione erudita; un disegno d'alta educazione e un articolo teatrale; un versetto dell'Apocalisse e un capitolo di romanzo. E correggere scritti propri ed altrui; e scriver lettere, e migliorare con esercizi di bambino la sua mano di scritto; e memorie della sua vita, e disegni di libri avvenire; e traduzioni e commenti ed epigrammi: la natura e l'arte, le donne ed il popolo, la terra e il cielo. Ma gli doleva non poter ne' viaggi diversi prendere piena esperienza d'uomini vari e di cose, non potere le membra sue flettere a violenti esercizi, essere delle scienze de' corpi quasi digiuno, non poter navigare sicuro per tutto l'oceano della storia, non poter tentare le affannose dolcezze della pratica vita. Di che la colpa, parte sua, parte era de' tempi.

E siccome il nuovo stato non lo distoglieva dagli studi, (ch'anzi le comodità che prepara la cura quieta e continua di donna amante con senno, gli risparmiavano e tempo e noie); così né gli studi lo facevano men riconoscente alla pietà di Maria. Pietà, dico: perché dell'amor pieno e divoto di donna e' si sentiva appena degno: tant'alta cosa gli pareva l'amore.

Allorché, le bufere quietate, il sole incoronava di puro azzurro le cime de' monti, uscivano qualche volta insieme, che il marzo non era lontano, e la terra si apparecchiava, quasi vedova giovanetta, a nuovi amori. Paragonavano quella liberale ricchezza di gioie alle bellezze parche, e quasi pensose, della terra di Francia: rammentavano le passeggiate dello scorso autunno nel bosco di Meudon, tra il canto raro, e però più soave, di pochi uccelli, sotto il sole ch'or si cela, or ritorna, e fende a poco a poco la nuvola, sì che l'ombre vengono a grado a grado dipingendosi per terra, e quasi camminando col raggio: ripensavano le salite e le chine del bosco, e i sentieretti secreti accanto al viale, nereggianti di more, e il mesto stormire delle foglie appassite; e un'acquicella che accavalciata da un ponte, fugge tacita e bruna, e riappare tra l'ombre, e riflette una lista di cielo, una ciocca di verde; e la barca a vapore che fitta di gente di vari colori passa volando nel basso; e le isolette che quasi navicelle ondeggianti paiono vogare sul fiume; e rammentavano i pensieri ch'egli ebbero in quel bosco, e quelli che adesso. «Sovra l'altura dove il bosco finisce (diceva Giovanni) pensai a mia madre: nel prospetto del fiume presi la vostra mano, Maria».

A chi ama l'Italia, il passare da Marsiglia a Bastia, gli è come a chi sente in cuore l'eleganza, trovare in vetta dell'Appennino separati da breve limite l'accento bolognese e il toscano. La lingua ch'in Corsica nella gente che vuol parere da qualcosa è sudicia di francesismi accattati, nel popolo serba ancora modi schietti e potenti che rammentano la prosa di Dino e il verso di Dante. La natura qua e là selvaggia è come ammansata dal mite imperio del cielo: e tra l'orrido appare ad un tratto l'ameno, come tra i monti ignudi di Rovereto la valle Lagarina si stende dilettosa, e l'Adige l'accarezza, possente fiume ed ameno. I monti dell'isola qua e là dilatandosi, lascian luogo a vallette declivi con seni tra' poggi; altre meno, altre più verdeggianti: e la varietà loro s'accorda e contrasta con la varia forma de' poggi; e rade biancheggian le case; e un lontano suono di campana sulla sera diffonde in quella serenità la mestizia, in quel silenzio la vita, e fa pensare alla morte. Ma d'acque è meno ubertosa la Corsica, che paiono fuggirsene quasi timide tra le rocce, né si spandono in ampi veli di schiuma, come là presso a Scardona fa il Cherca co' passi sonanti, che giù pei massi quasi per gradinata gigante scendendo, senza infuriare biancheggia, e le colonne dell'acqua sospese in aria rinfrangono il raggio lieto, e poi precipitano in tonfani al basso, e altre le incalzan rumorose, e s'ingorgano e sgorgano continove con veloce armonia.

Gli spettacoli più frequenti erano a Giovanni, per le nuove idee che destavano in esso, più nuovi. Si fermava a veder la luna spuntare, rosseggiante a fior d'acqua quasi vela infiammata, e alzandosi lentamente, cadere a piombo una colonna di fuoco sull'onde che paiono, dal raggio quasi da tromba tirate in alto, confondersi coll'orizzonte; poi vedere la colonna di luce che si fa più chiara e si stende rotta qua e là, e si frange alle rive e si sparpaglia in fasci di raggi e scintille. Vedere il sole cader tra le nubi, le più prossime al mare color di rame, poi cenerognole, poi più su altre bianchicce, altre lucenti; e una donna in un campo, pallida i lineamenti severi, e modestamente altera come suol donna còrsa che infrancesata non sia, gli pareva degno di quadro. Il vario colore e le forme varie dei visi delle donne còrse che dalla raffaellesca passano per gradi alla maniera di Michelangiolo, sopra ogni cosa il pallore possente, più ch'amare, ammirava; e gli occhi raccolti, la forte dolcezza, non so che di rientrato e d'intimo che dimostra come donne tali saprebbero al bisogno trattare sul serio la vita. Poi, a sentirle parlare francese barbaro o italiano infrancesato, rimaneva di gelo. E comparava nel pensiero le grandi forme e tranquille delle donne milanesi con le raccolte e quasi contratte di Corsica; e rammentava a Maria (la qual di tutti i suoi pensieri chiamava testimone) una quasi apparizione di due giovani donne di più che umana statura e di più che italiana bellezza, che in Lombardia un dolce giorno di primavera a lui giovanetto arrisero, e sparvero, e lasciarono orma di sé in molte fantasie, in molte armonie del suo stile.

De' campagnoli còrsi amava Giovanni la compagnia, che in quelli, più che ne' cittadini, vedeva dignità, senno, affetto, eleganza. Un giorno salendo dalla Penta all'Oreto, mentre guardava tra' colli addossati le vallette scorrere quasi seni, e il forte castagno quasi abondante criniera vestire le cime, e i sentieruoli distinti di fior bianchi e gialli, e le siepi ondeggianti per le fronde a piramide della felce; e il declivio digradare lento verso la piaggia feconda, e sul mare il sole novello, e i villaggi biancheggiare, e l'ombre e il lume dai dossi sbattuto risaltar pel contrasto; e' s'abbatté ad un buon vecchio co' capelli bianchi; e accompagnatosi seco, gli domandava del Paoli. — L'ho conosciuto, ch'i' avevo vent'anni quando venne quassù. Grande, calzon corti, stivali al ginocchio, rosso di viso, capelli rossi, e gli occhi tamanti (e mostrava col dito in arco).

— Affabile?

— Coll'ultimo come col primo.

— L'amano i Corsi tuttavia?

(Qui un gesto che dice più d'ogni parola).

— Venne poi Napoleone: ma il Paoli!

— Alcuno de' vostri ha egli combattuto seco?

— Mio padre, al Pontenuovo.

— Dove perdeste per tradimento.

Si rasserenò di gioia affettuosa in vedermi informato delle cose del suo paese, e mi disse:

— Si sarebbe perduto da ultimo sotto il gran numero, ma quella giornata ci fu tradimento. Mio padre si trovava sul ponte: il fumo faceva l'oscurità della notte: e tanta la calca che i cadaveri stavan ritti; e al toccar delle mani, se fredde, si conoscevano i morti. Ma al Borgo vincemmo.

— Vostro padre v'er'egli?

— C'era. Quando i Francesi, poi, chiedevano a' Corsi per insulto: «Eravate al Pontenuovo, voi?» E i Corsi rispondevano: «E voi, al Borgo?»

Questo tranquillo e forte vecchio godeva del dirsi italiano, e di ciò discorreva come di cosa sottintesa, e il contrario sentiva assurdo.

Giovanni, libero ne' suoi studi, ai quali la moglie gli era quando ispiratrice, quando consigliatrice; e pe' risparmi di lei riuscitogli di metter l'entrata in pari colla spesa; viveva non senza dolori interni né tedi, ma dolori e tedi consolati. Quand'ecco gli vien fatto profferta d'andare in un collegio a Nantes, direttore degli studi, con promesse di mercede scarse, di morale e civile riuscita ampie: perché i fondatori non altro avevano in bocca che la grand'opera, e il sacrifizio, e la generazione novella da dare al mondo mutata. Dolevagli lasciare il cielo d'Italia e prender vita nuova; ma il desiderio d'uscire della letteratura inerte, e d'assaggiare la pratica dell'educazione (che dopo il sacerdozio è il più nobile de' ministeri), e l'assunto suo di fare il bene per qualunque via gli s'aprisse, e anche (ma ultimo) il pensiero di assicurare alla famiglia un pane, lo indussero, dopo consultato Maria, ad accettare.

Era l'autunno del trentasette: ed egli rivedeva per l'ultima volta i luoghi già divenutigli cari, e il mare, sua uggia un tempo, or amico. Il sole, a quella stagione sereno e tiepido, lascia nella sua via un puro e caldo candore, il qual posa sull'azzurro splendente del mare, e sull'aria che s'inzaffira più viva, e più sale e più azzurreggia, quasi per accordarsi col verde de' monti. Le cime de' quali o gemmanti del ghiaccio perenne, o biancheggianti pei massi ignudi, il celestino soprastante fanno balzare più gaio. Una pace luminosa è diffusa sulla terra, sull'acque: ma, nella pace, una vita possente par che s'affretti a correre invisibile dalla valle al poggio, dal poggio alla valle. Il mare ora puro, mostra le pietruzze del fondo, e rende intatte le forme delle case biancheggianti, degli alberi radi, immoti: or si frange tra gli scogli a fior d'acqua, e con più lento rumore si distende sul lido. La luna solitaria illumina di più larga luce le onde dilatate nel frangersi, e le nubi lontane tinge di bianco rossigno simile al color dell'occaso.

Questi piaceri semplici, non men dolci a lui dell'amore, pensava gli mancherebbero in Francia. I luoghi gli dispiaceva lasciare, con gli uomini non aveva stretto dimestichezza. A questo proposito rammentavano, egli e Maria, i distacchi della vita passata, amari a loro, e ad altri per loro. E della gente più povera erano più superbi d'aver meritato il desiderio. Ricordava egli d'una povera serva, che gentile della voce e del viso e del sorriso e dello sguardo più che alla sua condizione non paresse dover convenire, nel vederlo partirsene l'accompagnò con timidi desideri e riverenti.

Non già che nel povero, scossa ch'egli abbia la legge del pudore, gli affetti non siano, o non paiano, più grossolani, e più abietto il linguaggio; né cosa è più schifa che contadina rincivilita che ai difetti della sua condizione accoppi i vizi di gente educata a orpellare il male. Quella sincerità di parole e d'atti offende, benché forse non rea. Ma in anima popolana e gentile, il pensare d'essere amata da maggior di sé, diffonde in ogni atto una grazia d'umiltà, una gioia contenta e temente, ch'è com'aura sul fiore, che avviva di tremito il dolce stelo, e la dipinta corolla, e ne liba gli odori. Quel linguaggio eletto d'amore, al quale non son use, le move più forte; e ne studiano ogni accento; ed è mirabile a dire come l'intendano, e il vero discernano se misto al falso, e rispondano con semplicità più avveduta d'ogni arte. Perch'alla donna respira, e da lei spira, se buona, ogni delicato linguaggio.

Sui primi d'ottobre lasciaron la Corsica, egli rassegnato, al solito, a ogni dubbio destino, e raccomandando a Dio sé e la moglie ogni giorno più amorosa ed amata: ella con un tristo presentimento nel cuore. Abbattuti, e come da malattia presente e come da augurio funesto, dai disagi del viaggio; videro finalmente Marsiglia; entrarono, quasi per angusto sentiero, in quella selva di legni carichi di tante speranze e di guai tanti. Ma Giovanni pensava alla ben più lieta entrata che gli s'offerse nel montar la Garonna, che il glauco del mar rifluente si mischia al gialliccio del fiume, e la Gironda e la Dordogna scendono affrettando a congiungere le larghe correnti; e le rive mostrano al legno rapidamente passante i lunghi viali, e i casini nuovi, vestiti quasi a festa; e il sole piove i suoi vivifici ardori, novità quasi dimenticata a chi vien da cielo più immite; e a memoria di quello, rosseggian sul fiume le vele bretoni; e da ultimo la rada si vede schierare a rassegna leggiadramente minacciosa gli ardui vascelli come guerrieri adornati a battaglia.

Per agiato e lieto che sia, ogni viaggio ha i suoi momenti di noia indomabile. In que' momenti Giovanni faceva Maria a sé maestra di stile, e le leggeva qualcosa di suo; ed ella (non letterata, ma culta del proprio affetto, e di poche letture ma delicate, e della dolce sua lingua, e del consorzio d'uomini innamorati del bello), così vagando con l'agile parola, coglieva più verità che un critico di mestiere e di schiena. Fermatisi a Aix, cittadetta a lui cara per il limpido cielo e le memorie dell'antica Provenza, e' si mise a leggerle questa pittura scritta già da buon tempo.

Si tratta d'una ragazza. — «Lineamenti composti quasi fiore non isbocciato; tenui come disegno leggermente condotto a contorno: spirituale il profilo; di faccia, più piena e sensualuccia: candore primo di adolescenza, con rado rossore, ch'erra e si dilegua: occhi non limpidi, mollemente socchiusi, pupilla viva, sguardo possente se diretto, di mal augurio se obliquo: un mover di labbro disavvenente; ma in serietà la bocca gentilmente immota: l'aspetto piacente: poche e leggiere lentiggini al mento, che, piano, s'assottiglia bellamente, e alla gola: sotto il cappel bianco risalta dai capelli non bellissimi la fronte pura e senza ruga, e una ciocchettina divisa fa parere il candore, come sole tra il verde. Parca degli atti; e più severa che pudibonda: accento spiccato. Nell'andare della carrozza il sole e l'ombra degli alberi intramischiata corre e ricorre sulle gote di lei, or tutte vestite del raggio che fa la bianchezza loro più smagliante, or parte nell'ombra. Il raggio in passando diresti che del suo candore non presti a lei, ma ne tolga...

— Che ve ne pare?

— Io lascerei fuora il sole che piglia del candore d'una donna. Se questa donna l'aveste amata davvero, non l'avreste pensata codesta squisitezza, scommetto.

— Cancelleremo.

— Eh no. Io dico quel che mi pare, ma poi di bellezze letterarie non me n'intendo.

— Meglio per voi. Rifacciamoci da capo. Lineamenti composti quasi fiore non isbocciato. Vi piace?

— Poco.

— Anch'a me. Come dire? socchiuso?

— Piuttosto.

— Ma socchiuso ce l'ho un po' più giù.

— Che fa?

— Non bisognerebbe ripetere, perché...

— In codesto non c'entro (e sorrise).

— Faremo socchiuso.

Di faccia, più piena e sensualuccia, non mi va. Quando dite spirituale il profilo, il resto s'intende. E poi questo sensualuccia risica d'essere un giudizio temerario. Gli uomini che si credono leggere nelle donne come in un libro stampato, ci azzeccano tanto di rado!

— Per altro...

— Non parliamo di questo. Sguardo di mal augurio se obliquo. Non lo direi.

— Perché?

— Il perché poi non ve lo saprei dire. Ve li domando io a voi i perché delle cose?

— E come mutare?

— Voi che l'avete veduta, pensateci; e dite la verità per l'appunto.

— Per l'appunto gli è un poco difficile.

— Se no, si stona, e si dice bugia.

Così seguitavano, ella col suo buon senso a dargli lezioni di stile cioè d'affetto e di sincerità; egli a tradurre nel gergo letterario, e a far teoria (poveraccio!) dei sentimenti, appena adombrati, di lei. Finito ch'ebbero, disse Maria:

— Insomma questa ragazza si può egli sapere chi fosse?

— Non lo so nemmen io. Da Montmorency venne meco a Parigi. A certi indizi la feci crestaia; innocente tuttavia non di pensiero ma d'opera. Delineai, come i pittori sogliono, questo schizzo di lei che mi piacque.

— E poi?

— Stretta la foglia.

— Finisce lì?

— Finisce lì. E la pittura come vi pare?

— Ora vuol esser lodato il letterato. Via, ecco un articolo. E lo baciò in fronte.

Più s'inoltravano e più grave sentivano l'aria di Francia. Il contrario sente chi da Trieste entra per terra in Italia, che il cielo e la terra e la lingua e i visi e i sorrisi umani si vengono, come fa da mattina l'oriente, rischiarando di più schietta e carezzevole e allegra bellezza.

A Lione rincontrò Giovanni una donna conosciuta in Italia, riveduta a Parigi, né amata, né amante ma sulla via d'essere e questo e quello, se due providi rimedi non rincontrava l'amore; l'essere lei francese e l'essere dotta. Gracile delle forme, né senza grazia il pallore del viso; ma né la voce né lo sguardo né la fronte né i silenzi, né le cure amorose di donna: ma e ragionare, e citare, e giudicar duramente le grandi cose vestite d'umiltà, ed ammirare le basse pitturate d'orgoglio; e filosofare sul male, e vantarsene per vanità; e non temere l'amore come cosa terribile; né agognarlo come necessità prepotente, ma pensacchiarlo, e calcolarlo; e in ogni atto dell'uomo vedere, con noiosa credulità, un indizio di debolezza (viene, casca, l'ho vinto!); e non mai quella sublime dimenticanza o dubbiezza di sé, nella quale rapisce le anime gentili l'amore, ma sempre il pensiero immoto a ammirar la virtù della propria parola, sempre in atto quasi da mostrarsi ignuda perché la vagheggino (vedete bel codrione ch'è il mio!); stuccavano altamente Giovanni, il quale non poteva pure non istimare le qualità buone e di donna ch'erano in lei, coperte dalle macerie letterate. E l'aveva già vista donna ad ora ad ora, e leggiadramente umile, e china gli occhi, allora solo possenti; e arrossir di speranza e di gioia, e d'infrenabil turbamento; e sorridere modesta, e piangere vinta.

La rivide, che ben lo poteva senza pericolo; ma il freddo e scarno demone del paradosso la invasava tuttavia; ed egli quella natura rimprosciuttita e insieme infradiciata dall'arte e i già non lontani anni di lei, denudati della leggiadra baldanza della gioventù, compiangeva. Maria domandata se volesse conoscerla, ringraziò: ma gli diede ampia licenza d'andare: perché sapeva non c'essere la meglio che lo spettacolo di donna dotta per deprimere la fantasia.

Arrivarono a Nantes. Fin dal primo entrare nel collegiuccio con magnifico nome chiamato istituto, egli misurò la distanza che i Francesi pongono tra le parole e le cose. Meschine le menti: e più i cuori; avare gelosie, avari inganni. Dura sorpresa per lui, che nuovo dell'educare, sentiva quante piccole cognizioni e quante grandi virtù gli mancassero a ciò; e l'aveva, già prima di venire, confessato, e sperava da' suoi colleghi aiuto fraterno. E' volevano un manuale, non già un architetto. Aveva egli un bel proporre il meglio: non l'avevan costoro di sì lontano chiamato a codesto.

A' fanciulli s'affezionava; e di loro studiava il linguaggio, sapiente del vero, e fiorente di poetica vita; studiava le fronti, e il sorridere, e i segni dell'affetto: e queglino cominciavano affezionarsi a lui; ond'egli era lieto come d'amore riamato. Si sentiva ad essi, più che padre, fratello: perché la sua gioventù gli era passata sì mesta ch'e' non poteva risolversi a guardarla come tutta finita, e tuttavia si sentiva nell'anima or gl'impeti allegri dell'adolescenza, ora l'inesperta affezionabilità del fanciullo. Ogni segno della benevolenza loro e' raccoglieva con sollecitudine lieta; e temeva di non corrispondere assai cordialmente: troppo già pentito della freddezza non disdegnosa ma spensierata con la quale aveva altre volte ricevuto il proffertogli affetto.

E uomini e donne in questo pentimento gli tornavano innanzi: una tra l'altre, gentile fanciulla e modesta e amica del bello, che, vinta leggiadramente la verginale timidità, gli aveva fatto con ingenue parole intendere il desiderio suo puro; ed egli, più per salvatichezza che per isconoscenza, fatto le viste di non ci por mente: di che vergognava. E anche altre volte col fare sbadato e col suo strapensare di versi e di periodi egli aveva rigettato da sé l'affetto che veniva riverente e sommesso: e allorché subito desiderio lo pigliava di ricambiare, era tardi: onde il dolore misto ad un quasi rimorso reo.

Ma assennato dagli anni, e' diventava avido dell'amore altrui, liberale del proprio; e il sorriso amico di creatura umana pregiava sovr'ogni ricchezza e ogni gloria. Dovere rimeritare i suoi fanciulli di lode, empieva di tenerezza più lui che di gioia loro: e sempre la lode alquanto solenne, data altrui, lo commosse profondo.

Mentr'egli combatteva co 'l mal volere e l'inettitudine d'altri, e con la propria inesperienza, coloro che l'avevan chiamato direttor degli studi, ecco profferiscono a un tratto cedergli l'istituto, e promettono guadagni grandi. Egli senza sospettar male, con la provida semplicità delle anime oneste, risponde sé non esser venuto speculatore ed economo: insistono, ripromettono lucri, s'ingegnano d'addossargli una parte, un'ombra del carico. Invano. Il direttore, l'uomo del sacrifizio, lascia a un tratto la città, e mena seco la moglie d'un amico suo, attempatetta, lasciando il collegio dai lucri grandi, in debiti e in disordini d'ogni maniera. Giovanni n'esce senz'altra indennità chiedere che del viaggio, e di questa pure rinunzia a una parte. Egli insidiato, turbato da' suoi studi, aggravato di spese tante, appena si salva dalla calunnia. Lo scandalo reo compiangeva Giovanni senz'ira: né a lui spettava gettare la pietra; a lui che in gioventù era vissuto con donna altrui parecchi anni, e smentite vergognosamente le credenze co' fatti, e scemato valore alle proprie parole; e date occasioni più facili al figliuolo di lei, che, corrotto dal padre, perisse di morte immatura e misera. Ma qui nell'amore er'innestata l'insidia avara e traditrice; e la lezione del male era data in pien collegio a tant'anime giovanette.

Uscì Giovanni: e lo consolarono uscendo i desideri affettuosi degli allievi, e le lacrime d'uomini puri, che appena conosciuto, l'amavano (molte dipartenze ti furono, o sventurato, consolate di lagrime: uomini che in sul primo, giudicando al sembiante e secondo l'esperienza trista del mondo, t'avevano calunniato in pensiero, si partirono da te piangendo). E per salvare il collegio da ruina, prestò l'opera sua gratuita di fuori; e vinse con la pertinace generosità la calunnia. Più che il suo, gl'importava il nome italiano, e si vedesse chi fossero gli avventurieri, egli o gli uomini della grand'opera.

Ma tante spese chiedevano straordinari rinfranchi. E scrivendo per vivere, bisognava pur nulla dire che non fosse direttamente volto all'utilità de' fratelli. Maria l'aiutava a trascrivere, lavoro a lui insopportabile, e spesa omai grave; e passava le lunghe ore fredde della notte nell'ingrata fatica: di ch'egli non osava neppur ringraziarla: tanto quell'amore pio gli pareva cosa santa. Ma se trascrivendo, le veniva incontrata qualch'espressione troppo letterata, ed ella ne sapesse una più alla mano, chiedeva scusa del frastornarlo per dirgliene: ed egli allora l'abbracciava commosso e alzava gli occhi, come per dire: non son degno di tanto.

Una notte di dicembre fredda e piovosa (eran le undici sonate, e il fuoco del caminetto già spento), Maria pregata, non voleva smettere prima di finire il lavoro. Giovanni le si accosta quasi supplichevole: e stava per baciarla in fronte, quando s'accorge di non so che rosso sul volto suo più pallido e più soavemente mesto che mai. Mentre guarda spaventato, Maria ritira in fretta la pezzuola che aveva sul grembiule; egli trepidando glie la prende, la trova intrisa di sangue e mette un grido.

— Non è nulla.

— Da quando?

— Dall'altr'ieri. Oh per carità non vi spaventate.

Egli cadeva abbattuto sopra una seggiola; e Maria l'abbracciava sollecita come fa madre a figliuol pericolante.

Solevano (tal fin dal primo era il patto) dormire divisi: che da questo reciproco rispetto, conducevole insieme a virtù e a libertà, a sanità e a pulizia, credevano giovarsi l'amore. Ma quella sera ell'era sì ghiaccia, ed egli sì intimorito, e sì diffidente del silenzio di lei, che pregò di posarlesi accanto. E nell'impeto del dolore innamorato congiunsero labbro a labbro; e con ardore più abbandonato ma con anima monda riprovarono nuove le gioie note: ed egli le disse parole d'amore quali ella non aveva sentite, misera, mai; ed ella gli disse parole d'amore quali egli non aveva sentite, misero, mai. Un'imagine or lontana or presente, velata dalla speranza, ma pur terribile, gli stava dinanzi; e avvelenava la dolcezza, e la faceva correre più veemente, penetrar più profonda. Parevagli d'abbracciare una donna condannata a morire, e la stringeva a sé come per rattenere l'angelo suo fuggente. Ma dell'affannarla col tremito dell'amore sentiva rimorso, e ristava a un tratto: ed essa con dolce voce lo chiamava confortando, e parlava degli anni avvenire. Così passarono tutta la notte: e mentr'ella s'addormentava, semi aperte le labbra rosseggianti, e con sul pallido viso la pace di persona consolata; Giovanni pensava: «Dio buono! difficil cosa anco i puri affetti esercitare con animo puro. Quante memorie vietate, fin ne' concessi abbracciamenti! Perdono, o terribile Iddio dell'amore severo! Non mi punite: non togliete a me questa ch'è omai conglutinata con l'anima mia!»

Era a Nantes un medico italiano, affettuoso più che medico non soglia, e schietto, e non ancora credente ma desideroso di credere, e innamorato. Il quale aveva amato Giovanni dagli scritti di lui, e ai difetti suoi compativa. Alla malattia di Maria prestò cura fraterna: e si sarebbe sdegnato pur del pensiero di non la prestare gratuita. Ma già ella si riaveva: che la contentezza dell'animo in questo può molto. Giovanni per tenerle compagnia smetteva di tanto in tanto i lavori: e più che dai libri imparava da lei parole ed affetti, e quelle idee tante che in ciascuno affetto s'ascondono, e quelle imagini di poesia delicata che fioriscono fitte in elegante linguaggio. La gli parlava di sé, la gli domandava di lui: e domandando e rispondendo, la gl'insegnava a interrogare se stesso. Un giorno con dolce rimprovero: — Ma chi finisce di conoscervi voi altri? — gli disse — Voi non mi dite tutto quel ch'avete nel cuore.

— Tutto, impossibile.

— Ma le memorie care, almeno in una parola, si può. Voi n'avete una che chiudete, come s'io fossi indegna d'averne la chiave.

Egli intese sull'atto, e rispose: — Non la chiudo: ne taccio, perché non avrei parole che non dicessero troppo o troppo poco. E già dissi assai. Una fanciulla che, inuguale a me nelle apparenze del mondo tiranno, mi riguardò con affetto. Tutta la storia è qui. Se quell'affetto fosse o potesse divenire amore, chi sa? Nemmen ella. Questa memoria, credete, è senza pericolo, e tanto delicata che sotto vil desiderio non cade. Né io lei vedrò forse più: ma se mai, la eviterei per orgoglio, acciocch'ella non mi trovasse minore del suo gentile concetto.

«Di questa sapete ogni cosa: d'un'altra storia non v'ho detto mai (simile, ma nel di fuori), ch'ha lasciato in me più riconoscenti affetti che caldi.

«Anno, passando di Nantes, conobbi un giovane avvocato, pien di sentimenti buoni, e più ritraente della sodezza bretone che della francese volubilità: ma francese in questo, che gl'Italiani, senza conoscere, aveva in concetti di tristi. D'un Italiano parlando, gli scappò detto una parola avvelenata: io a lui che sapevo buono, risposi tranquillamente rammentasse ch'ero italiano, e ch'amavo l'Italia. Si ravvide, chiese scusa: e prese a stimarmi. Eramo un giorno a Clisson, ameno luogo d'acque e d'ombre e di trarotti declivi, dove i massi vedi biancheggiare fitti di fiorellini che alle vene del sasso affidano la radice gracile, e vivono succiando aria e luce dai petali pallidetti; e sul fiume qua bruno là scintillante galleggiano le larghe foglie del nenufar, e gli alberi pendenti par si rovescino sitibondi nell'acqua che lambe i rami commossi dal vento. Quivi ci rincontriamo in una cugina di lui, baronessa, fanciulla di dignitose maniere, di severo pallore, ornata dell'ingegno, e pur semplice e buona. Di lì a qualche giorno me ne riparlò egli: né la conclusione era, s'io volevo, lontana: ma lo sguardo di lei, baronale, cioè troppo sicuro, mi dava pensiero, e la dote soverchia a me pauroso della ricchezza. Sarebbe bisognato parlare francese a tutte le ore del dì e della notte; tradurle in francese il mi' affetto, i miei dolori; e non tacerle quanto leggiadramente mediocri mi paressero molti grand'uomini della sua gente. Bisognava nell'inuguale contratto portare anch'io la mia dote, rendermele barone a forza di fama, scrivere non solo per dire il bene ma per espiare agli occhi di lei la mia povertà. Avrebb'ella poi saputo espiare la sua ricchezza? — Ringraziai. —

Maria, riavuta, tornava, sconsigliante indarno il marito, ai lavori di prima. Una mattina, ch'egli stava a scrivere, ella a preparare la colazione, ecco una visita.

Fin da quando ell'aveva lasciato Lione, raccomandata dal buon prete bretone alla sorella sua, d'anno in anno la gli aveva dato nuova di sé, ed egli rispostole breve, profferendosi ove potesse. Desideroso adesso de' dolci colli e dell'armonia dell'idioma materno, ritornava alla sua mesta Bretagna, per ivi pensoso vivere e sconosciuto morire: anima compressa dai casi, ma non sì ch'a ogni tocco di nobile affetto aprendosi e rintegrandosi con improvvisi impeti, non provasse l'invitta, e seco stessa battagliante, forza sua.

Maria, andata a aprirgli con in mano la ciotola del latte, se la lasciò a quella vista insperata cadere. E l'accolse con la sollecitudine trepida e consolata che brilla negli sguardi sommessi, e fa eloquenti i silenzi, e il sorriso ineffabile. A lui dovev'ella, tra tante cose, questa che, venuta a Quimper, conobbe Giovanni. Giovanni e lui alla prima si piacquero: ambedue credenti di fede schietta e pensata, affettuose anime, e pie (l'uno per prova, l'altro per carità) ai falli umani. Perché don Tommaso in ciò teneva piuttosto dell'affabilità serena de' preti italiani che dell'ombrosa cupaggine de' francesi. Maria uscì lieta a pigliare del latte per tutti e tre. Nel vederla pulita sì ma tanto poverina al vestire, il prete si sentì commovere l'anima, e alzò gli occhi come chi prega trafitto da pungente pensiero.

Dopo colazione, affrettatosi a uscire, Giovanni l'accompagnò. Per istrada ragionarono più confidente; e il prete gli disse:

— Non so se Maria v'abbia parlato abbastanza di me. Ma questo vi dirò io: che la compagnia di tal donna sarebbe a me troppo più desiderabile che sicura. E, questo premesso, a voi offro l'affezion mia, e voi solo chieggo poter qualche volta vedere; e la mia casetta di là da Pontcroix vi profferisco di cuore. Io me ne vado oggi stesso; salutatemi Maria, ch'i' non rivedrò forse mai più.

Giovanni tornato raccontò a lei, commosso, il breve colloquio e soggiunse: — Raro uomo! — Maria guardò il suo marito con guardo affettuoso: e tacquero lungamente.

LIBRO SESTO

Andò, fatto pasqua, Giovanni a trovarlo, sì per aver seco discorso di scienza religiosa (a lui sopra tutte cara), sì per vedere nuove forme di poggi e di valli e di seni, nuovo ondeggiar di foreste, nelle quali sentiva, com'Elia già, sommesso e soave passare lo Spirito. Vide del mesto Morbihan la semplice gente e severa errare taciti e disadorni sui campi impoveriti d'ombre sin da quando ogni macchia nascose un fucile sterminatore de' Rossi; vide la terra allegrarsi nel Finisterre di correnti e di verdura e di variati declivi: pregò nella chiesa di Pontcroix fabbricata elegante dalla magnifica pietà degli antichi, che in belli monumenti ponevano l'oro disperso adesso in vizi inetti, e lasciavano alla posterità scolpiti in perenne linguaggio, alteri ed umili, i loro ammaestramenti paterni e i rimproveri: poi tra le liete ombre di Pontcroix e gli squallidi stagni d'Audierne, trovò la casetta ospitale del prete, e i commossi colloqui, e le veglie quasi con rimorso prolungate, della sua giovinezza. Si librarono insieme sulle balze precipiti del capo del Ratz il quale assordano con infaticabile muggito l'onde divoratrici di corpi umani: videro bruna tra la spuma l'isoletta di Sain, dove le giovani donne sono apprese a cantar dolcemente in versi bretoni le lodi di Dio: furono insieme a un perdono a una chiesetta eminente su un poggiuolo ignudo in prospetto del mare, dove la gente da tante bande raccolta, vari di colori e d'atti e di fogge, inginocchiati a calca nel sacrato, cavalcanti pe' sentieretti e nel pianoro, sedenti sotto le tende, festeggiano con abbandonata allegria; e belle donne dal sorriso italiano; e giovanetti, all'arie del viso e alla mossa e a' lunghi capelli, e al guardo mitemente severo, degno modello dell'arte.

A Pontcroix cercò di Matilde, della buona Matilde, della quale l'affetto egli adesso sospettava, avvertitone da Maria. Er'ita a stare a Quimper. E' propose, tornando, cercare di lei, e rivedere i dolci luoghi passeggiati in compagnia di Maria, perdersi ne' sentieri ch'erran fondi e pur gai tra siepi distinte di fiori; guardare dall'alto lo smalto fiorito che veste i campi fitto, e fiori appiè de' cespugli, fiori appiè delle croci, fior sulla via.

Accomiatatosi dunque dal prete, venne a Quimper. Alla tavola dell'albergo trovò con due Nantesi un Italiano che, ormai cittadino di Francia, all'antica patria insultava e in fatti e in parola, credendo così ingrazionirsi i Francesi, lo sciagurato: e mentr'essi vogliono i figliuoli loro ammaestrati nell'italiano, egli a' suoi non volgeva un suono dell'idioma che sua madre parlò: pieghevole ingegno, ma senza inspirazione d'affetti; e in questo solo non mediocre, che sapeva in faccia a' semplici evitare della mediocrità le apparenze. Cadde parlar dell'Italia: e qui un de' Nantesi, le solite cose che i Francesi (gente ripetitrice, e in questo solo costante), ricantano con vanità soverchiamente molesta. Giovanni che, avvezzoci omai, vi badava come al suono d'uno scacciapensieri, e o rispondeva nulla, o con sorriso, o dicendoli ignoranti di tutto che francese non sia; Giovanni che e per coscienza, e per riverenza al buon senso, e perché il coraggio poneva in cose alquanto più difficili, aveva sempre disprezzato ogni provocazione coll'affrontarla quasi, e senza restare di dir fino all'ultimo le sue ragioni; quel giorno, fosse stizza dell'Italiano rinnegato, o che l'avversario gli paresse meno sciocca creatura delle solite, inalberò.

— Giudicare — disse — né intendere le nazioni straniere, i Francesi non seppero mai. Ma quand'anco i rimproveri che all'Italia si fanno, fossero veri, ripeterli non ispetta a una nazione che le fu or serva e discepola, or alleata e sorella, che con le bugiarde promesse tanta parte ebbe nella sua decadenza. E ad ogni modo, rinfacciar la sventura, per meritata che sia, non è né urbanità, signore, né dignità, né coraggio.

— Ripiglieremo — rispose il Francese — il discorso a miglior luogo.

— Dove e quando vi piaccia.

La sera medesima il Francese gli scrisse: «Domando se le ultime parole da voi dette quest'oggi venivano a me: se sì, ne chieggo ragione. E per non parere ch'io voglia approfittarmi de' miei vantaggi, a voi la scelta delle armi».

Rispose: «A chi le mie parole andassero, voi sapete. Scelgo la pistola: e accetto a due patti: che voi, signore, tiriate primo; e che la cosa si differisca quanto bisogni a ordinare i miei fogli, e assicurare a mia moglie la vita. Dodici ore dopo giunto a Nantes, sarò pronto. Partiamcene insieme. Di questo, come d'atto cortese, vi sarò grandemente tenuto».

Come Giovanni credesse poter conciliare tal passo con le credenze sue, dirò poi. Partirono il dì ventotto d'aprile, e sull'alba del trenta furono a Nantes. Maria che del suo giungere non aveva novella, era a letto mezzo malata. Lo accolse con gioia mista di gemito e di sorriso, come persona che si consola e patisce, e non vuol parere di patire. Egli in vederla così, si sentì stringere il cuore; e non sapeva da che parte farsi per prepararla. La gli domandava perché non iscrivergli: e poi di Matilde (la quale e' non aveva, per non amareggiarla, voluto vedere), e della salute sua: e lo guardava fiso. Egli per sottrarsi al tormento di dolorose menzogne, si disse stanco; e la pregava si ricoricasse: ed ella obbedì.

Giovanni si mise nella vicina stanza a scrivere le ultime lettere e il suo testamento. Ma Maria, nel sentirlo armeggiare co' fogli, entrò ansiosa e tutta vestita, senza dire parola. Credett'egli tempo di cominciare, e le disse:

— Per un caso sopraggiunto debbo scrivere a lungo e senz'indugio. Scusate, Maria: tra poco ve lo dirò.

— Oh dite subito, ve ne scongiuro: qual caso?

— Fra poco. Lasciatemi solo un momento; e raccomandatevi a Dio.

Si rimise a scrivere, ma interrotto dal pensiero di lei che seduta col braccio posato sul letto e la mano sulla fronte, aspettava trepidando. Egli s'alzava di tanto in tanto a guardare dalla porta socchiusa il suo atteggiamento, e una pietà ineffabile gli vinceva l'anima. Maria lo scorse una volta, e rizzandosi verso lui:

— Giovanni, non avrete voi compassione di me?

— Maria, vi siete voi raccomandata a Dio?

— Oh sì.

— Ripregatelo: e vengo.

Si rimise a scrivere: ella s'inginocchiò; ma per un momento; ed entrò da lui, colorata di rossore angoscioso. La prese sulle sue ginocchia, senz'osar di guardarla; e abbracciandola, disse:

— Maria, vi ricordate voi d'una promessa che mi faceste da' primi giorni ch'io vissi consolato di voi?

— Per pietà, dite subito.

— Che se all'amore d'Italia, al bene de' fratelli io dovessi sacrificare la vita... (Qui Maria si rizzò, impallidita in un subito...) Vi chieggo perdono, Maria, del dolor che vi reco. Potessi tutto io solo sentirlo!

— Un duello? Dite... Non è possibile: non sarà mai. Come! la vita, la vostra vita? Non è possibile. Io lo vedrò codest'uomo, gli parlerò io: gli dirò che e' non ha diritto di rapire la mia, la mia vita. Che gli ho fatt'io? Chi sarà tanto vile da volere straziare una infelice donna?

— Maria! (e la guardò tra severo e supplichevole, la prese per mano, e la fece sedere accanto a sé).

Ella abbonita ma più disperatamente ambasciata che mai: — Oh Dio mio, e voi potrete soffrirlo! M'avete conceduto questo respiro di bene per tormentarmi poi più atrocemente? Come? così tutt'a un tratto? Me lo figuro tranquillo, sano; gioisco nell'imagine di rivederlo, ed egli vien per morire! Ma non pensasti tu a me? Non sai... (e gli si gettò al collo coprendolo de' suoi capelli sparsi) non sai quant'io t'ami? Non sai che tu sei necessario alla salute dell'anima mia? Che se ti perdo, io muoio perduta?

Egli tentava sciogliersi da quegli amplessi tremendi: e la pietà e la vergogna soffocavano il suo dolore.

— Maria, non è tempo di piangere. Abbiate compassione di voi e di me. L'ore fuggono. Raccomandatevi a Dio.

— Quando? (e gli occhi rasciutti le sfavillarono nello spavento).

— Tanto da ordinare i miei fogli, da preparare l'anima mia, la vostra. Vi domando perdono. Iddio sa se lo fo per servire all'orgoglio mio, ai pregiudizi degli uomini. Voi sapete s'io vada per uccidere.

— Ah troppo lo so.

— Lasciate ch'io dia quest'esempio, che può salvar molti, può almeno onorare l'Italia. Quest'Italia insultata, io la vendicherò non coll'uccidere...

— Oh basta. Ma dite, com'è seguito? con chi?

Gliene disse: Maria rimaneva abbattuta guardandolo con occhi erranti senza quasi vederlo né udirlo: ed egli seguiva:

— Il tempo stringe. Pregate, Maria: lasciatemi solo un momento.

— Oh no.

E si sedeva, e con le mani commesse insieme, crollando il capo come chi connette appena, diceva: — Che farò io poverina? — Il dolore grande non grida, e chiude l'anima ristretta: se non che a quando a quando l'intelletto riaffacciandosi, fa la smania disperata. Lei che negli anni teneri poco aveva provato degli affetti semplici che allevano l'anima tra la puerizia e l'adolescenza; l'amore innocente l'aveva adesso ricondotta agl'ingenui moti, alle impazienze, alle debolezze dell'età prima prima. E adesso la si doleva con l'impotente disperazione di bambina accorata; dolore che par meno terribile perch'ha parole men forti, ed è più di tutti memorando, perch'urta in anima disarmata.

Giovanni ripeteva: non sarà nulla, sebbene altro pensasse; e smaniava del non poter scrivere con mente tranquilla; e temeva che la disordinata dicitura di quell'ultime parole gli fosse imputata a turbamento pauroso: nel quale timore entrava un po' l'orgoglio, ma più la brama di consumare esemplarmente il suo sacrifizio. E mentr'egli pensava le parole più schiette per dire l'intenzione sua e le più efficaci per raccomandare a' suoi fidati Maria, i singulti di lei lo sturbavano in modo crudele e quasi importuno. Miseri noi che non sappiamo soffrire neppure gl'indizi del grand'amore!

Scrisse a Rosa, a Matilde; al prete di Bretagna non osò, non perché diffidasse, ma per non moltiplicare battaglie a quell'anima affranta. Quando fu per estendere il suo testamento, pregò lei ch'andasse a pregare nella vicina chiesa di san Giuseppe; e negand'ella: — In chi sperate voi dunque? — Andò quasi vergognosa e si mise a pregare con gli occhi al cielo, la mente alla terra. Ah chi aspetta i gran dolori per volgersi a Dio, sceglie pure un cattivo momento. Solo l'abito del pregare può in quegli spasimi premere la foga del pensiero fuggente là dove l'angoscia lo tira. Ma più ella pregava, più l'anima con volo agitato e quasi colomba ferita, si reggeva in alto; più la s'affisava, (pensando a Dio) nell'oggetto del suo terrore, e meno disperatamente inorridiva. Sovrumana virtù della fede! Nelle parole usuali, per tanti anni ripetute senza trovarvi alcun senso profondo, in quell'atto ella scopriva un valore, un effetto nuovi: dal dolore interpretate, le rischiaravano il dolore, e parevano medicina che l'amor di Dio avesse da molto tempo riposta all'estremo suo male. Poi la mente stanca e atterrita fuggiva, poi ritornava con impeto confidente; e il pentimento del così divagarsi era anch'esso preghiera.

Giovanni scrisse intanto le cose che seguono: «Quel ch'altri fa per rancore, mi si perdoni s'io fo per amore; quel ch'altri per servire al pregiudizio, s'io per vincerlo. Potessi spegnerlo col mio sangue! Ma quando a un solo uomo fatto vergognoso dall'esempio mio, rimordesse l'uccidere un fratello, avrei bene spesa la vita. O Italiani, mostrate in degni atti il coraggio; sappiate vivere a tempo, a tempo morire. Con questa intenzione io vo spontaneo al duello come a pensato sacrifizio. Potess'io offrire a Dio per voi tutti un sangue e uno spirito puri! Ma degli esempi co' quali ho attenuata o distrutta l'autorità delle mie parole, vi chieggo perdono; perdono dell'avere ne' miei scritti mancato dell'amor fraterno, il quale i difetti altrui dovrebbero far più sollecito e più riverente. Le intenzioni non erano triste: l'affermo in queste che son forse a me l'ultim'ore.

«Affido la mia memoria agli amici miei: dagli scritti che lascio, traggano i meno incompiuti, e veggano, scorrendo il resto, se possono attestare che il poco ch'io feci, era minor del concetto; che, bastando la vita, avrei forse impressa in parole quell'imagine di bellezza che mi sta confortatrice e tormentatrice nell'anima.

«Lascio il mio cuore all'Italia, che sempre l'ebbe. Mia moglie raccomando a' parenti miei. Ma se l'eredità de' beni miei le è negata, le lascio, benedicendo, la mia povertà senza macchia, e l'affetto candido d'amici che la ricchezza non dà, la sventura non toglie».

Scritto, uscì a confessarsi. — Errava egli nel credere lecito il sacrifizio di sé, e il consentire a questo omicidio con la speranza di risparmiarne altri assai?

Maria tornò: non trovandolo, pensò foss'ito al duello senza dirle addio; e la forza di che s'era armata nella battaglievole preghiera, le cadde a un tratto. Girò gli occhi intorno, chiamandolo a voce squarciata; stese le mani alle lettere sigillate: ma (tant'era l'abito del vincersi) non le aperse. Aveva promesso nascondere a tutti la cosa: onde in quella foga di pianto non poteva né manco singhiozzare a suo agio, non forse que' gridi paressero agli estrani artifizio di viltà per sottrarre il marito al pericolo. L'angoscia ritorta in sé, la lacerava come ferro uncinato che non si possa trar fuori. Già dava in delirio. La misera errava a passo lento lungo le pareti della stanza, movendo le labbra senza parola, brancicando e soppesando e lasciando cadere checché le venisse tra mano, massime se cosa puntuta o tagliente; ma senza pensar di morire, senza guardare. Si fermava alla finestra di dietro a dove riesce l'uscio, in atto d'aspettare. Du' ore ancora così; e la impazzava.

Non sentì il noto suono del suo salire; se lo vide come un'apparizione, dinanzi. Allora credé finito in bene ogni cosa, e diede un grido gettandogli le braccia al collo: ma nel vederlo accorato della sua gioia, s'accorse del vero, e si scostò desolata, pur ringraziando Iddio del vederlo, e guardandolo fiso. Egli si mise a legare insieme i suoi fogli, e l'avvertiva dell'uso da farne, pregava l'aiutasse; ma ella, rispondeva: «sì», e stava immota. Poi, scossa s'affaccendava, e si faceva ripetere le cose udite, e le ripeteva a bassa voce da sé come per rammentarsele.

Mancava un'ora al fissato: Giovanni se la fece sedere accanto, pregò stesse attenta per carità; ed ella ritrovò tutto il lume della mente in udirlo: ma non rispondeva.

— Maria, non so né anch'io quel che chiedere; quel che sia il meglio vostro, il mio, l'altrui. Chi sa per quali vie ci voglia Iddio condurre a sé, il buon Iddio. Raccomando a lui la vostra vita, o Maria. Lo ringrazio che in voi m'ha dati, insieme uniti, a me indegno, l'amore e il rispetto, il piacere, la pace e la virtù. Vi ringrazio del bene che m'avreste fatto col vostro infaticabile amore per tutto il restante della mia vita. Chieggo perdono se ho mal corrisposto, se non ho inteso o fatto vista di non intendere le delicatezze del vostro affetto, se ho taciute le gioie profonde dell'anima mia. Perdonatemi. Perdonate a tutti: desiderate a tutti quel bene ch'a me. Dite che perdonate, Maria.

— Oh sì: a tutti perdono.

— V'affido questi fogli: scorreteli; e quelli che possono nuocere all'altrui pace o alla fama, bruciate: non ve li lasciate uscir di mano a verun prezzo. Di questo non dubito: che vi conosco.

Qui Maria, che non poteva far parola, come persona vinta, gli fece cenno restasse. Egli tacque un poco, e poi seguitò:

— I fogli che son qui legati, mandate o portate a G... C..., scelga que' che son da stampare, e corregga, e ne tragga da' librai quel che può, e ve lo dia. Quest'è forse tutta la mia eredità, o sfortunata. Là entro è quel po' di danaro che vi farà qualche mese. Altro non posso lasciarvi che la benedizione mia. Iddio vi dia forza di guadagnare e di sopportare la vita: ma se a qualcuno dovreste ricorrere, non a' ricchi, Maria. De' ricchi il più fa il bene a estri; non conosce quella pietà continova che dà l'esperienza del dolore. Da Rosa non vi darà l'animo di tornare a Parigi, città infausta a voi. Vedete di stare con Matilde: parlerete di me qualche volta. Dovunque viviate, o sfortunata, pensate che portaste il mio nome. La mia memoria vi raccomando; l'onor mio...

Qui diede in singhiozzi non di dolore ma di tenerezza: ed ella sollecita e supplichevole accennò non alzasse la voce, e l'abbracciò, dimentica in quel punto del proprio tormento, e pensosa dell'onore di lui. Conobbe egli allora più che mai qual donna gli avesse Iddio data a moglie. Seguitò:

— Se occasione vi capita...

Ella intese, e con disperato atto crollò il capo, e stese alla bocca di lui la mano e disse: — Il conforto mio è che poco da penare mi resta. — Gli mostrò una pezzuola intrisa di sputi sanguigni, che la celò sempre a lui come donna rea cela il fallo, per non l'accorare, o ch'e' non l'obbligasse a smettere le sue faccende, o non ispendesse per lei. Egli allora:

— Perdono, Maria, se ho strapazzata la vita vostra, se non mi son saputo avvedere del vostro patire. Dite che mi perdonate, Maria.

Ella ansimando gli prese la mano, e se la mise sul cuore premendola senza guardarlo.

— Se m'avete perdonato, promettetemi che, quant'è da voi, viverete. Non fate ch'io vada con questo rimorso. Io sarò sempre con voi: l'anima mia starà nei vostri pensieri.

Sonarono le ore: egli si rizzò spaventato credendo le cinque; ma sentite al rintocco le quattro, si ricompose, e si preparava ad uscire. Ella imaginava di vederselo dinanzi sanguinante, caldo ancora della vita fuggita, ma pallido e disteso; e le pareva sogno. La alzò quasi di peso, la baciò; Maria a labbra aperte non rendeva il bacio; non poteva. La condusse accanto al letto: la pose in ginocchio, e all'imagine della Vergine: — A voi — esclamò — la raccomando — : ed usciva. Ella diè un fioco grido per richiamarlo, si tolse di collo un rosarino che aveva, memoria di sua madre, glielo mise addosso; e rincorata da quell'idea, lo baciò. E nascondendo il viso nelle mani, chinò la persona sul letto tra il vaneggiamento, l'agonia e la preghiera.

Ma perché non la confortav'egli con più carezzevoli parole, con la speranza di ritornar vivo e sano? — Perché, non l'avendo questa speranza, non voleva profanar con menzogna la santità dell'ultimo abbracciamento; perché la stima e la fiducia sua nell'anima di Maria superavan l'affetto, e parevano sopprimere la pietà; perch'e' non osava farle poi più crudele l'annunzio della sua fine, e sapeva bene come terribile sopravvenga a speranza ostinata e a infiammato affetto un immedicabil dolore; perch'egli andava disposto a consumare quel che pareva a lui sacrifizio, e sperare d'uscirne, era un toglierne il merito; e l'intenerirsi in quella imagine gli pareva mollezza: perché più d'ogni cosa l'atterrivano le spese e i perditempi e le cure che costerebbe a lei malaticcia una ferita non mortale ma grave; sebbene, anche a ciò fosse già preparato: perché l'uomo che con parole consola l'ambascia altrui, non la sente nel fondo. E s'io aggiungessi che in certe strette l'uomo ha di bisogno di sentir pronto e forte l'altrui dolore, che regga il suo? E se dicessi che questa non è crudeltà, è debolezza? — Ma troppi commenti.

Andò prima dell'ora a veder s'eran pronti i padrini, i quali il Francese volle dargli di forza; che Giovanni ne voleva far senza, per non mettere in compromesso i suoi conoscenti. Del dolore di farli complici all'atto reo dell'avversario, si consolava nel pensiero dell'esempio ch'essi ed altri n'avrebbero. Il Francese scelse l'avvocato che aveva, presente Giovanni, offeso l'Italia, e poi chiestogli scusa; e un medico ateo, che dalla bontà dell'animo molta veniva a poco a poco condotto a credere le verità già negate con ira. Al vederli, e' li pregò a bassa voce di non si scandalezzare, aspettassero di giudicarlo alla fine. Un padrino dell'altro mancava: Giovanni annoiato, e non per fretta trepida di paura (che in ogni moto spirava l'animo suo rassegnato con sicurtà), fece un atto d'impazienza: l'atto irritò il Francese, a cui quella calma sdegnosa pareva disprezzo. Uscirono finalmente. Giovanni raccomandava per via all'avvocato sua moglie: come assisterla, e mandarla dov'ella desiderasse. Giunti al luogo, il Francese, secondo il patto (e lo credeva bizzarria o ubbia o pretesto; però l'accettò), tira primo. Coglie Giovanni nel petto. Quegli s'appoggia ad un albero, e con voce ferma: — Tiro a quel salcio. — E vi colse.

Poi seguitando:

— Il signore certamente non è soddisfatto. Ricominciamo.

— A che patti?

— A questi.

— Codesto è un insulto.

— S'io pregassi voi di tirare agli alberi piuttosto che a me, potreste offendervene, o signore: ma io posso delle mie palle e della mia pelle far l'uso che più mi garba, finché voi non abbiate finito.

— E questa è la risoluzione vostra?

— Provate s'io scherzi.

— Io non sono qui venuto a fare l'assassino.

— E vorreste forzarmici me? I padrini tacevano. Il Francese dopo breve silenzio, con quell'agilità ch'è il loro pregio insieme e il difetto:

— Qui non c'è mezzo; o ammazzarvi o avervi amico.

— Si può e l'uno e l'altro insieme.

Tese la mano a Giovanni: il medico vide la ferita, grave, non mortale però: l'avvocato corse da Maria.

Inginocchiata e fuor di sé, non sentiva più la su' angoscia: ma al suono de' passi volse il capo, e prima di veder l'uomo, intese la voce: — Coraggio, madama; vostro marito vive. — Si rizzò senza rispondere, e sedette tremando. Ah miseri noi, la gioia non è forte tanto quanto il dolore! Accolse la nuova come compenso debito al suo tanto soffrire; alzò gli occhi per ringraziare Dio: ma pareva dicesse: «E come potev'essere se non così? sarebbe stata ingiustizia.» Quando sentì della ferita, ricominciaron gli spasimi: peggio, quando lo vide in carrozza, e salire portato. Mise uno strido, e scese a rincontro. Ma nell'abbracciarlo, sentì quel che stava per perdere, sentì la gratitudine a Dio profonda, e pianse abondantemente senza parola. Non sa soccorrerlo; lascia ch'altri facciano: lo guardava e piangeva.

La ferita prese in pochi dì buon aspetto. Ma il timore ingrandiva a Maria e prolungava il pericolo. La credeva le celassero il vero, e ch'egli soffrisse più, ma tacesse per non l'affliggere: e co' falsi timori aggravava il male di lui daddovero.

Veniva il Francese a trovarli: e più li conosceva, più si vergognava in sé del passato. Un giorno, sebben gli pesasse tornare su questo, disse di secco in secco a Maria:

— Converrebbe, madama, per riguardo agli spasimi delle mogli innocenti, stabilire almen questo: che l'ammogliato potesse rifiutar la disfida, come il superiore od il nobile quella di plebeo o di minore.

Maria rispose: — Voi dite le mogli. Ma e le sorelle? e le figliuole? e le madri?

Giovanni allora gli raccontò di certo suo mezzo rifiuto; glielo raccontò sorridendo, così:

— Un impiegatuzzo di dogana, favetta al possibile, e dotto tanto che dava a Alessandro la vittoria di Maratona, cascò sull'Italia. Gli feci capire che le sue considerazioni erano alquanto ridicole. «Perché ridicole?» domandò mi spiegassi. Sorrisi, e dissi alquanto difficile spiegargli il perché della cosa. Né sulla spiegazione tornò: ma fosse tornato, non avrei fatto l'onore al doganiere dotto di sparare ad un salcio per lui.

— Noi siamo leggeri (confessò il Francese con franchezza più nobile d'ogni orgoglio): e vani.

— Parete — rispose Giovanni — più di quello che siate. Né ogni vanità ammazza il merito. A molti la vanità sta negli atti, e in certe parole che ripetono sbadatamente; ma il fondo dell'anima è più modesto che d'altri in vista umilissimi. Passando da Agen, la città degli ombrosi passeggi e delle piante antiche (delle quali povera Bordeaux, scuote al sole il bel capo di gioiosa baccante); entrai a farmi fare la barba dal vostro Jasmin, poeta, dopo la Sand, della Francia primo, e più di lei in questo che consente col popolo. La boria, più che guascone, dell'uomo faceva spiacevol contrasto col lume della fronte ispirata e degli occhi, con la parola imaginosa e percuotente diritta nel segno: e nondimeno, quando il vantatore impronto mi si mise a recitarmi tradotti in prosa francese de' versi suoi, tali erano, e con tale accento li dissi ch'io sentii negli occhi le lagrime. La natura permette i vizi; ma insieme prepara i compensi. Non arrossite, o Francesi, della razza vostra; ma non disprezzate l'altrui.

Si riaveva Giovanni: Maria languiva. La tosse secca, ospite sua da anni, anelava più affannosa che mai. Gli sbadigli penosamente lenti; la rocaggine che le velava la voce più dolcemente mesta; e, ne' brividi, il calore sùbito, i sonni agitati, le digestioni faticose, lo sputo tenace; tristi indizi in persona di pelle delicata e d'alta statura. Ella non ci badava, o faceva le viste: egli se ne accorava in sé, ma sperava.

Gli fu dato poterle prestare cure migliori: che conoscenti suoi gli avevano senza supplica di lui ottenuto un lavoro dalla commissione illustratrice de' documenti storici fondata in Francia; cosa che da politica era in tutto aliena. Pur nondimeno, prima d'accettare, rammentò egli al ministro Guizot le opinioni sue differenti da certi atti dei governanti la Francia, e indicò lo scritto dov'egli le aveva esposte: delatore di sé. Il Guizot pregiò l'atto, non ch'adontarsene; e gli commise il lavoro. Poté Giovanni così provvedere con più agio alla salute della dolce sua donna. E, consigliando i medici il moto, presero a far qualche gita.

Andavano un dì di giugno a Nort su per l'Erdera: e l'impeto delle rote che il vapore affatica, piegava, come fa il vento le messi, i galleggianti fiori e l'alta erba lussureggiante: e dall'amena pianura sorgevano radi i pioppi a rammentargli l'Italia. Maria tossicava tacendo: Giovanni nel pensare alla gita d'anno sull'Odet, e di idea correndo in idea, sospirò. Ella, avvistasene, lo conquideva con l'inquieta smania che suole assalire i malati, per sapere il pensiero di quel sospiro. Rispose:

— Pensavo a una povera donna con la quale m'abbattei sul vapore a Bordeaux, pallida come voi, più pochina di voi, piena di senno e di pudica mestizia le parole, gentile in ogni atto più che gentildonna, perché leggiadria le veniva non dall'abito cieco o dalla vanità vigilante, ma dal continuo inconsapevole affetto. Due bambini eran seco, imagine sua: uno da lei tenuto a mezza vita, sulla sponda del legno si spenzolava giocolando. Io non vedendo la man della madre tenerlo, temetti per lui, misi un grido: ed ella mi guardò sorridendo riconoscente. Poche parole ci dissimo rispettose: ma ella negli occhi miei leggeva la candida volontà di più dire; io ne' suoi. Nella notte il disagio la fece sputar sangue: non la rese però più pensosa. Giunti a Tonneins suo soggiorno (allegro paesello che inerpicato sull'arduo masso pendente, sta dalla lunga ringhiera, quasi da terrazza, a guardare il bel fiume che va); ella chinando gli occhi e poi lentamente levandoli, con voce esile mi disse addio. Le risposi con l'anima; ma nell'impazienza che par talvolta rompere gli affetti miei più veraci, le volsi le spalle, mentr'ella guardandomi pareva volesse aggiungere qualcosa, e non saper che. Del brusco atto, quanto mi pentii nel vederla irsene per sempre da me!

— Sarà morta — soggiunse Maria.

E perch'egli taceva, pentito dell'aver tocca questa corda, ella cambiò discorso con quell'agilità piena d'arte pietosa che nelle anime affettuose mette Iddio.

Preso da Blain, scorsero l'ampio antico bosco di Gavre, qui macchia umile, lì grande foresta; cavalcarono il viale che corre diritto tre miglia tra spalliera d'abeti, di quercie, di pini. Penetravano sotto i rami tesi a festoni e stillanti rugiada; coglievano il gaio fior dell'acacia, e Maria con un ramo fiorito percoteva il cavallo. Entravano nelle capanne de' poveri zoccolai, che, divisi dalle mogli e dal mondo, ivi passano i dì faticosi e le umide notti. Videro le cave non lontano da Nort, e Maria volle scendere per le ripide scale confitte a perpendicolo alla parete del buco altissimo; volle addentrarsi nelle vene, l'una all'altra con disegno mirabile corrispondenti, del carbone che veste luccicando il lubrico masso; saltare sui pianerottoli tra scala e scala, e posare ivi un poco il piede sicuro, indi avventurarsi a scesa più ardua; e con la guida d'un lume che dal cappel di metallo getta il languido raggio sulle angustie dell'umido fondo, guardar di laggiù la luce del giorno da breve pertugio, simile a pallida luna in notte tetra. In quell'aria a lei sana avrebbero fermata dimora: ma le comodità necessarie ad inferma nel paese mancavano.

Poi scendendo la Loira, videro il fiume dal mare respinto distendersi in mesta ampiezza, sì che l'occhio appena abbraccia le due rive; e le campane della chiesetta povera di san Nazzaro mandar sull'onde il saluto che fa ripensare della patria e di Dio: passeggiarono di là dal Croisic lungo la sponda inabitata dove il grande oceano infrange tonando le onde viaggiatrici per ispazio d'abissi e di cieli smisurato; le infrange nelle arene lucenti per pietruzze eleganti, per conchiglie dipinte di gai colori; le infrange ne' massi, nido di candidi uccelli che sulle spume volteggiano aliando sicuri, ne' massi imminenti, incavati, che quasi cetre giganti rispondono all'ingruente tempesta. Videro nel borgo di Batz, tribù piccoletta, distinta per puro linguaggio e forti membra e vestir mondo e suo, una cappella scoperchiata, di cristiano disegno, ricco di casti ornamenti, gaia in sua composta bellezza, quasi perla minuta dell'arte gettata sul lembo dell'immensa natura, lieto inno che la fede umile dell'uomo contempera al concento tremendo delle tue opere, o Dio. Con loro era un architetto ch'aveva i lineamenti e la fede bellicosa de' cavalieri normanni suoi padri, innamorato dell'arte, conscio della dignità santa di lei, uomo memorabile a Giovanni perché nuovi seni gli rivelò della interminata bellezza.

Tornarono a Nantes: ella un po' riavuta, pur lassa. Ora per non amareggiar lui, faceva inganno a sé del suo stato; or s'abbatteva vinta. Un giorno passando davanti alla spera, si guardò più fiso che non solesse, e: — Sono assecchita — domandò: — non è vero? — Egli che mai le parlava né della bellezza né d'altro de' pregi che gliela rendevano terribilmente cara, in quel momento, abbracciandola: — Oh no — sclamò — tu sei bella. — E della lode e del tu, come d'atto irriverente e volgare, si vergognò seco stesso.

Passeggiando un giorno l'ampie strade serene, quasi unica bellezza di Nantes, venuti all'informe porta del non disameno cimitero, Maria volle entrarvi. Cadeva un'acquerugiola con affrettato moto come di trepida gioia, e i fiori arridenti alle tombe s'inchinavano tremuli sotto la brezza piovigginante. — Belle le rose tra i cipressi; belle le corone appiè delle croci — disse Maria. Leggevano le iscrizioni o semplici e pie, o vantatrici e senza cuore, o gravi d'affannoso amore umano senza pensiero a Dio: vedevano i lagrimoni grossi dipinti in bianco sul legno; d'alcuni monumenti le lagrime e le lettere già mangiate dal tempo breve; d'altri i fior secchi, d'altri atterrate o stroncate le croci: vedevano le annaffiatrici che per un soldo al dì fanno vivere quelle gracili memorie, e campan de' fiori, del dolore altrui, della morte. Maria sedette su un'umile pietra in fondo là dove il suolo è più sgombro, e guardando al sole che riappariva in subita serenità: — Questo luogo mi piace. — Giovanni non osava rispondere; ella, quasi madre sollecita di far cuore a bambino che si perita, lo prese per mano e s'alzò. E pareva più tenera, più gioviale, più giovane di cuore che mai.

Ma in Nantes (città che non sa né di Francia né di Bretagna, dove e gl'ingegni e gli affetti materialoni), Giovanni pensava che, caso la s'allettasse, v'era da sperare non molta assistenza: e fu lieto sentendo lei stessa desiderare Quimper.

Quivi giunti, tornarono a uscio a uscio con Matilde, la quale li ricevé cordiale al solito, afflitta d'un suo bambino perduto di corto, e col fare incerto di persona che, non riamata ma avuta in affezione, abbia amato, e ami tuttavia, m'altrimenti. Giovanni er'anch'egli impicciato un po' seco: se non che Maria col su' affetto diffondentesi tutt'intorno, e con la pietà de' patimenti suoi, li affiatava. E i patimenti crescevano: brividi, dolori alle giunture, alle costole, alle spalle, arsione e sputi cenericci, e l'ansima che non ristà se non coi rossori del viso, e tosse a letto più forte che mai, e non si poter posare che su un lato, e sudori da mattina, e sovente smania impazienti. Un giorno ch'ella credeva d'aver offesa Matilde, chiamò lui; e con le lagrime agli occhi disse che la non voleva più essere di peso a lui povero, e a lei sì buona; la mettessero all'ospedale.

— All'ospedale? (esclamò, con ribrezzo accorato e cruccioso, Giovanni) voi! Piuttosto vendere il mio vestito e accattare. Sentite, Matilde?

Matilde, chiamata, invece di rispondere a tono: — Siete du' matti. Ma che? credete che sia male serio? Non avete ma' visto malati. — E usciva per non si mostrare commossa.

Maria, ora le veniva la parlantina, e non s'avvedeva che il suo petto patisse; ora si chiudeva in silenzio disperato: e egli allora a stillarsi il cervello per trovar materia di discorso gaio. Un giorno di questi siffatti, tirati fuori certi versi composti poco prima che conoscesse lei, e glieli lesse.

Di casta donna un core chieggo consorte al mio. Ogni terren desio cresce angoscioso e muore; quel che consacra Iddio, è più ch'umano ardor. Disse il Signor: lasciate de' genitor le soglie, la bene amata moglie segui indiviso; e fate in due terrene spoglie, solo un pensiero, un cor. Dio può de' cor più rei purificar l'affetto. Di lume uguale e schietto spandete, o pensier miei, sul marital mio letto un vergine candor. Ella, taciuto, intenda e affini il mio sentire, brilli del mio gioire, e come specchio il renda. Del ben che dee venire, Signor, ringrazio a te. Gioia delle amorose tue mani, o buon Signore, donna innocente è il fiore delle terrene cose. Ma di mondano onore carca la mia non è: non è di vil ricchezza l'unica mia fastosa, né di voluttuosa terribile bellezza: è schietta, affettuosa, mite, raccolta in sé. Tale io la chieggo. O caste spose de' miei già morti, che mansuete e forti con lor la vita opraste, voi le medesme sorti dal ciel pregate a me. Dell'anime che padre mi chiameranno, o voi spirti custodi a noi guardate! o terra madre, largisci i doni tuoi a lei che il ciel mi diè! Sia, come Rut l'umile, di poveretti nata, e ignota, e a te, beata, sia quanto può simile, o sposa inviolata del fabbro Nazzaren. Lieve sul suo concorde lo spirito mio si stia, com'esce l'armonia dalle commosse corde, e si diffonde via per l'aere seren. Ma chi son io ch'anelo, indegno, a tanto dono? Un de' redenti io sono. Come di luce il cielo, Cristo, del tuo perdono immenso, il mondo è pien. Sgorga una fonte, a un rio che in cupa selva nacque s'incontra: uniscon l'acque con queto mormorio; li vede e sen compiacque il florido terren. Dove cresciuta sei, e a che pensando or vai, donna ch'ancor non sai che ne' contenti miei tra poco e ne' miei guai palpiterà il tuo sen?

— Ancora per poco — diss'ella — palpiterà. Ma vedendo lui corrucciarsi addoloratamente di questa parola, soggiunse: — Non dirò più: perdono.

E' teneva gli occhi bassi, trafitto di terribile compassione, e Maria seguitava:

— Non è egli vero che voi mi perdonate, Giovanni? Abbiam promesso di confessarci i falli più intimi, e consolarcene confessando, e perdonarceli. Oggi ho bisogno di dirvi i miei: falli non contro l'amore, no, ma d'amore. Dunque dirò che più volte (non molte però) vi frantesi; e volendovi simile in tutto a me, e non vi provando qual vi volevo, n'ebbi dispetto. Ora v'opposi i difetti degli uomini del mondo, ora vi volli più ch'uomo. Ho dubitato del cuor vostro talvolta: perché impaziente, v'ho giudicato incostante. Ho preteso conoscervi fino in fondo: e perché non mi riusciva, me la presi con voi, non con me. E nondimeno allora vi volevo bene con più trepida cura che mai. E temevo di perdervi; e ad ogni vostr'atto badavo, se amorevole a me, badavo a ogni mio se a voi non discaro. Studiavo l'amore troppo più che a donna amorosa, a moglie rassegnata non si convenga. E del sentirvi pur sempre buono, e mio, mi tentava il cuore tacito una gioia superba. Poi tante pecche di pensiero che fuggono all'attenzione fin di chi le commette: le quali l'amore genera; ed esse, fatte abito, uccidon l'amore: — ma in me non l'uccisero. Se trovassi parole che le dicessero senza né ingrossarle né attenuarle (perch'una circostanza par che le aggravi, ma un'altra minutissima le fa leggiere), ve le direi tutte, sicura che non mi sprezzereste però. Noi siam tanto deboli, noi altre donne!

— E noi!

— Questo giorno ch'io v'ho, quanto potevo, aperta l'anima mia, rammentatelo quando... Direte: gli era d'autunno; dopo una pioggerella leggiera il sole dava lieto sul letto alla malata; e sulla parete il candido raggio rinfranto da un bicchier d'acqua si variava in colori modesti e gai.

Matilde sopravveniva, lieta anche se il cuore le piangesse; e, quando nulla v'era da fare, affaccendata, pur per distrarre altri e sé.

Fu profferto a Giovanni ire a Brest a raccogliere canti bretoni, canti popolari, delizia sua. E' non la voleva lasciare: ma confortandovel'essa, non osò dir le ragioni del no. E la gli parev'anche entrata un po' in isperanza, e il male a lui stesso non pareva sì fiero. Candidi i denti; né il corpo né il viso estenuati: ma le febbri ardenti, e, nel voltarsi, dolore. Rincorato anch'egli, per pochi giorni andò.

Le poesie promesse raccolse amorosamente. Vide di Brest l'ampia rada, quasi deserta, sentì il suon confuso delle voci, dell'opere, delle catene, montare dall'arsenale soggetto: v'entrò dentro ammirando quella magnifica e minacciosa ricchezza di strumenti di pace e di guerra; l'ancore ammontate sulla riva distendere le smisurate braccia ricurve, e le forti gomene attorte in grandi giri; accanto ai cannoni prostesi quasi mostro che dorme, ai cannoni che, più o men lontana, con dottamente computato empito manderanno la strage sulle mura merlate e sulle cittadelle nuotanti: e ammucchiarsi in piramidi le bombe che o si spegneranno stridenti nell'onde, o si conficcheranno nei fianchi d'antica fortezza americana, o porteranno volando nel vano le cervella d'un marinaro bestemmiante, o piombate in un magazzino di polvere faranno scoppiare i terrapieni, e sbalzar le tetta nel mare come foglia levata dal vento, e corpi vivi agonizzare schiacciati dalle ruine scroscianti. Vide a ogni menomo attrezzo destinata ampia sala; e lì affaticarsi la pena, la pena senz'amore ne' punitori, senza rimorso ne' puniti, miseri ed infami operai che sudando taciti e bisbigliando sdraiati, meditano il passato misfatto o il misfatto avvenire. Li vedeva vestiti di rosso, con mostre gialle i più rei, girar ruote, volger argani, levar pesi, strascinarli, portarli; e a ogni moto la catena sonare; e diceva tra sé: «Quante nobili idee e sentimenti da un affetto prepotente, da un pravo esempio rivolte in veleno! Quanti di costoro men di me rei negli occhi di Dio! Se le ispirazioni che a me, erano date all'un d'essi, chi sa quanto più di me forte al bene! O anime sconosciute e disperate dal mondo, cada su voi la benedizione d'un uom peccatore; e il pentimento che, al vedervi, l'inonda de' falli suoi, terga i vostri».

Questi suoi pensieri spargeva di sconsolata amarezza il pensier di Maria, la quale gli era sempre negli occhi ansimante; e tutti i suoni di tutte le cose gli pareva piangessero la sua fine. Tornò sull'alba del dì de' morti, e la trovò a letto desta (Matilde dormiva accanto), sedente, mezza vestita, retta il capo da' guanciali ammontati; e i rossori della febbre le contristavano il viso. Pareva, a guardarla, in meglio stato che mai; ma la voce spenta: tossiva a stento. Gli stese la mano, e con fioco quasi rantolo chiese bere a lui che non osava mostrar lo spavento. Poi riavutasi:

— Ho dormito un po' — disse: — Ho sognato Margherita, non quale voi me l'avete più volte dipinta, ma bella di quasi trasparente bianchezza. E passeggiava soletta presso Desenzano, là dove l'aura lucida e odorosa del lago finisce, e la terra, quasi sposa già madre, si fa più severa. Passeggiava pregando, e la sua voce argentina si spandeva sull'acque. E sull'acque camminò leggiera entr'un raggio di luna; e cantando svanì. E pur la voce correva per l'acque argentate diffusa, come l'olezzo de' cedri.

Di Margherita Giovanni le aveva racconto più volte: giovane donna, che, nobile e ricca, e allevata in solitudine pia, il molto ardore del cuore aveva volto alle cose di Dio: quand'a un tratto, quasi corrente che torbida scende in fiumicino nitido e queto, i pensieri umani incorsero in lei: e nell'alta e forte anima la battaglia fu forte ed alta: e, siccome nel contrasto di due potenti il debole ch'è sotto, patisce, così nel percuotere degli affetti il corpo suddito languì. Come desiderata le dovette venire la requie della morte! Giovanni l'aveva conosciuta; e sebbene incerto del resto, di questo era sicuro che Margherita di là dalla tomba pregava per lui.

Pareva Maria ad ora ad ora venir meno: poi, riconfortata, riaveva l'appetito ed il sonno: onde i medici sulla fin di novembre sperarono bene. Dalla consueta mestizia risaltavano le rare e brevi consolazioni, come nel verno sotto il pallor degli ulivi risalta della poca erbolina il verde gaio. La stava il più che potesse levata, e leggeva. Pregavano talvolta insieme a voce bassa.

Una domenica ell'era inginocchiata di contro alla finestra in un raggio di sole languido; ed egli dietrole: e, pur pregando, la riguardava. Una pezzuola rossa annodata sotto il mento, una verde che, incrocicchiata dalle spalle si stendeva sul seno, il grembiule turchino sul vestito nero; davano al pallore del viso e alla mossa della gentile persona languidamente inchinata, non so che aria di vergine voluttà, che i pensieri di lui travolgeva vaganti per indocili fantasie. Poi riscosso, levava a Dio gli sguardi pentiti, e chiedeva con ardore trepido e rassegnato quella sì cara vita. E cercava come nell'anima sua, assodata dal consorzio di lei, penetrasse la molle gioia di tali pensieri; e studiando se stesso scopriva che solita causa del condiscendere al senso era l'aver compiaciuto all'orgoglio, l'avere offesa la carità ch'è dovuta a' fratelli. E quando sentiva i terreni desideri venire, allora cansava Maria, la qual cosa ella non sempre intendendo, gemeva; e a momenti, tuttoché sicura di lui, si mostrava scontrosa a tutti, massime alla buona Matilde. Matilde soffriva: soffriva per amor di lei, per affetto di lui; e vinti i naturali impeti suoi, s'inchinava a Maria come moglie a marito diletto e temuto. Quella ben presto si ravvedeva delle sue smanie, e con tanta vergogna da non osare tampoco chiederlene perdono; e tacendo l'abbracciava.

Un giorno più sfinita del solito: — Quant'hai fatto — disse — per me! quanto, povera Matilde, sofferto! Tu soffri, lo so, nel cuor tuo. Credi tu ch'i' non lo intenda il tuo cuore? Ma taccio per non t'amareggiare di più. Pregherò per te, sai?

— Oh sì, prega per me tutti i giorni, che t'amo.

— Tu m'ha sempre amata, poveretta, anche tu. Che t'ho io reso altro che dispiaceri? Ho fatto infelici i più cari miei. Quant'era meglio forse e per lui e per te, s'io l'avessi ceduto all'amor tuo, se m'aveste lasciata morire!

Matilde confusa, commossa, ferita:

— Ah taci per carità.

— Iddio ti consoli, il nostro buon Iddio, l'unico amore sicuro degli abbandonati dal mondo.

Matilde levando gli occhi con quasi disperata rassegnazione:

— Io sono tranquilla credimi. Ho un angiolo in cielo che prega per me.

— Per te, madre sua, e per me, sorella tua moribonda.

— Oh non dire.

— Io non ho nulla, poverina, da lasciarti per memoria di me.

E diede in pianto. Matilde baciò le sue lagrime costernata: in quel punto le venne all'anima l'imagine dell'uomo ad entrambe caro, e rabbrividì nel timore di profanar con pensiero men che pio quegli amplessi supremi, e si ritrasse tremando con le labbra aperte, come chi si sente vinto da un'ambascia grande. In questa Giovanni entrò: Matilde sedette. Maria si ricompose: tacquero.

Il male ripigliava con furia: le febbri talvolta la levavan di sé; e nel delirio vedeva cose pietose, e quando liete, ch'erano più di tutte pietose a sentire. La notte del dì ventun dicembre vaneggiò lungamente.

«... Mi manca il respiro. E una volta mi pareva sì poca cosa quest'erta. Non è costì la chiesetta dell'Annunziata, e Bastia colaggiù? Inginocchiamoci. Questo ramoscello d'ulivo chi ce l'arà messo all'inferriata così? Una donna di quelle che si rammentano il Paoli. Vo' serbarne una foglia. — E gli allori della tomba d'Arquà? L'ho veduta io. Come bello il grande avvallar di que' colli, che Dio destinava a consolazione d'un'anima pentita! Ma un fiume ci manca. La Brenta vorrei qui; e non tutte, ma qualche allegra palazzina delle allegre sue rive. La Brenta mi piace: le grandi correnti del Po mi spaventano. I' amo il grande nel lieto, io mesta. Ferrara mi piace, città serena e solinga. — Ve' ve', Giovanni, un ponte dell'Adige che accavalcia il Po; e la collina gaia di fronte: e un altro ponte, e un altro ancora. Ma non è questa, Verona? Come presto siam giunti! — Son pur liete le città della povera Italia! — Non posso più. Sediamo su questa gradinata: io sono inferma; m'è lecito a me. Nel duomo d'Imola un giorno pregai ginocchioni sopra una gradinata così. I' ero bella allora, dicevano: e adesso! Ma dentro rea, e irrequieta. Quanto soffersi! E quella notte a Mantova nel sotterraneo dì sant'Andrea, quanto piansi! — Ma non è Pesaro, quella? Quelle statue che biancheggiano sotto gli alberi... Che? non son cerri codesti. — Oh l'aveste veduta, quella ragazzina di Pescia, come parlava soavemente! con dinanzi un fascio di legne di cerro, nuda i piè: pur bellina! — Ah il mio petto! Preghiamo Dio che mi dia pazienza. Non mi reggo ritta. Poserò la fronte da un lato di quest'altare. Che dice lassù? A Cristo... poi una parola scancellata. Povera me, non ci veggo più. Ma le sculture sono del Cividale: le riconosco. — Oh Giovanni, compratemi un quadrettino di Frate Angelico: piccolo, purché di lui. Vi ricordate di quell'Annunziata che vidimo a Nantes? L'angelo come pudico, com'angelica in viso Maria, bruna, gracile, veneranda! L'angelo le mani al petto, ella giunte e commesse, vestita di rosso pallido, d'azzurro pallido, e il fondo, un rosso più vivo: leggeva. E all'angelo era verde il manto e parte dell'ali, e sopra volante una colomba candida in raggio d'oro. Son pur gentili le creature dell'uomo che crede in Dio!». Qui la lingua impedita dava suoni confusi: e Maria nello sforzo si riscoteva ansimando.

Il dì ventidue peggiorò. Tornando frettoloso Giovanni da chiamare il medico, sulla piazza l'arresta una fila di bambini che, condotti da' buoni fratelli delle scuole cristiane, uscivano da messa a due a due, colle braccia un sull'altro raccolte al petto, vispi, modesti, i be' capelli giù per le spalle, e più gentili i più poveretti. S'impazientiva egli dell'intoppo, preparato da Dio per dargli luogo d'imbattersi col buon prete di Pontcroix, che in quel punto uscì di chiesa, e primo lo vide, e lo salutò con gioia, perché nulla sapeva del male di lei. Giovanni lo pregò di venire; e perché il prete dubitava: — Venite. La consolerà rivedere chi le ha fatto del bene. E anch'a voi farà bene il vederla in tale stato. La lo conosce il suo stato. Parlatele senza tema di spaurirla: l'offendereste se no.

Maria nel vederlo alzò il braccio e la voce come persona sana, e brillò ne' begli occhi languidi. Egli tacito e conturbato le si pose di fronte appiè del letto, gli occhi abbassati levando or a lei ora al crocifisso, e cominciò:

— Maria, un'altra volta io vi vidi languente, e vi consolai parlando del nostro buon Dio. Egli solo sa se voi siate destinata a più lungo patire: ma il patire v'ha già da gran tempo preparata alla morte. Terribile parola all'anima degli spensierati, non a coloro che l'hanno tante volte invocata nel pianto. Il più gran dolore di chi muore amato, è il dolore de' cari che restano: ma con essi rimane Iddio. Duro mistero all'amore umano, ma certo come la morte: la vostra partita, o sorella, per quelli che v'amano sarà il meglio. Ringraziate Iddio delle consolazioni ch'ha sparse sull'afflitta vostra vita; pensate agli errori commessi; e doletevene con amorosa fiducia nell'instancabile Amore. Offrite in espiazione le pene dell'ultimo sacrifizio: offrite per coloro che muoiono in quest'istante a migliaia su tutte le regioni della terra, più infelici e men disposti di voi; per que' che rimangono a tribolare e a peccare, per que' che nascono e nasceranno; per le nazioni intere ch'hanno terribilmente affannata vita e agonia lunga anch'esse. Noi di quaggiù pregheremo che, giunta presto in luogo di luce, ci assistiate di lassù, e c'insegnate la via. Se le consolazioni umane non fossero poca cosa ai pensieri di Dio, e se voi già nol sapeste, vi direi che, finch'io vivo, Giovanni il vostro marito averà in Bretagna un fratello; che a me vederlo e meritare il su' affetto, sarà consolazione desiderata: direi che morite, che morite benedetta, o Maria...

Levò gli occhi negli occhi di lei, né poté seguitare: e scuotendo il capo, fece un cenno d'addio; e uscì. Maria in atto di compassione e di ringraziamento e di rassegnazione e di preghiera e d'offerta, disse, levando le mani giunte: — Dio mio! — Giovanni lo seguì, gli stese la mano, l'abbracciò, senza dire parola.

Languente ma tranquilla, il seguente dì chiese il viatico. Volle in capo il mésero che portò 'l giorno del suo matrimonio: Matilde nell'acconciarglielo, vedendo sotto al candore del velo quel pallore pur bello, la baciò come madre che dica addio a figliuola gentile e diletta. La malata disse: — Non mi baciare, Matilde; non accostare il tuo fiato al mio. — Ella in risposta la ribaciò. E Maria: — Benedette le cure dell'amor tuo! Così facciano i tuoi figliuoli a te moribonda! — Giovanni allora con pienezza d'affetto: — Oh sì, beneditela. — E nulla più. Ma quel motto al cuor di Matilde fu premio assai.

Il viatico venne. — Pace — disse il prete — a questa casa e a chi abita in essa (Giovanni e Matilde s'inginocchiarono). Pietà, Dio, di me, secondo la grande misericordia tua. Ecco l'agnello di Dio, ecco chi toglie i peccati del mondo. — Allora Maria con fioca voce ma chiara: — O mio consolare dall'infanzia mia, spero in voi: v'amo, v'amo più delle più care cose ch'io lascio. Voi me le donaste, voi me le renderete. Datemi una scintilla dell'amore che v'arse, morendo, immenso. O amico mio e degli amati miei, perdono a me, pietà d'essi. Entrate nell'anima mia e nella loro.

Accolse con ansia amorosa la sua salute: e quando intese il prete uscendo intuonare: Lodate il Signore del cielo, lodatelo, o angeli suoi, le rivenne negli occhi, quasi visione, il quadro del fraticello di Fiesole, Gabriele, la Vergine, la colomba, ogni cosa involto in colori vivi e moventisi, verde e celeste, e d'argento e di viola.

Potenza dell'affetto e dell'arte! Tu non pensavi, o povero abitatore del chiostro, che poche linee segnate dalla tua mano dovessero cinquecent'anni dopo la morte tua consolare, non viste, gli occhi morenti d'una povera donna piena d'amore.

La sua pace, fin qui rassegnata, divenne serena. Sull'imbrunire chiamò lui: — Finché la mente e l'animo reggono, facciamo, Giovanni, le nostre dipartenze. Voi già sentite in cuore quel ch'io dovrei dire, voi che foste sì spesso la coscienza mia. Vi ringrazio d'ogni cosa. Vi chieggo perdono. Ho patito del farvi soffrire: avrei voluto a ogni costo vedervi felice per me. Non ho potuto: Iddio m'ha gastigata così.

— Oh sì che lo poteste, Maria. L'imagine vostra, per dolorosa che rimanga, ha rifatti e nobiliterà i miei pensieri. Io piuttosto vi chieggo perdono.

— Di che? D'avermi fatta sopportabile e cara la vita? Sì, confesso; sento che la vita m'è cara. Vorrei, disgraziata, ricominciarla con voi. Ma sia fatta la volontà di Dio.

Tacquero costernati. Egli non piangeva, ma il suo dolore era come piaga che tacita dentro mangia le carni, di fuora non geme. A un tratto levando la fronte, e stese verso la terra le braccia:

— Che più — proruppe — mi resta?

— Iddio vi resta; e l'amore immortale della moglie vostra, e la gioia austera e contrastata, ma invitta, di fare il bene, e l'affetto de' buoni. E chi sa che il buon Dio non vi faccia rivedere l'Italia?

— Ahi, ma non rivedrò più mia madre.

— La rivedrete: ella intanto pregherà: pregheremo.

— Pregate ch'io sia umiliato e infelice. Se non compresso dal dolore, l'animo, i sensi miei ripugnano alla legge della mente mia, mi contaminano. Oh che farò di me, della stanca vita mia?

— Il Signore è buono e possente: vi darà forza; perdonerà. D'una cosa vi prego. Se mai gli anni vi volgessero un po' men tetri, non v'esca di mente la vostra Maria.

— Smettete per carità.

— Eh sì, Giovanni: tutti i dolori umani hanno fine. L'imagine di donna morta, ogni giorno si fa più lontana nel vano; e gli anni vengono, e la respingono indietro, e la dileguano. Ma fin nell'ultima vecchiaia, una volta almeno ogni giorno vi ricorderete, spero, di me.

— Una volta?

— Lo so, lo so che voi siete buono.

La notte calava cupa, e Maria si sentiva finire. Chiese l'estreme unzione: il curato venne; e adempiuto con doloroso rispetto il debito suo, disse che a qualunque ora chiamassero, tornerebbe. Ma, in quella notte cruda non volend'ella a nessun costo disturbare il buon vecchio, Giovanni leggeva tradotte le preci, e Maria le accompagnava col mover tacito delle labbra. Alle cinque pregò Matilde, che da più notti vegliava, andasse a riposarsi una mezz'ora lì accanto: ripregò di lì a poco, rassicurandola: e Matilde per tema di non la inquietare, ci andò: ma nell'andare supplicò la chiamassero a ogni occorrenza; e diceva con gli occhi: «Non m'ingannate per pietà». Seguitava Giovanni a raccomandarle l'anima con le parole che la Chiesa pronunzia al letto di peccatori e di santi, di mendichi e di re; e v'intrecciava memorie de' Salmi e del Vangelo: e alle parole di lei non trovava da rispondere altre che le parole di Dio.

«Il tuo soggiorno anima cristiana, sia in luogo di pace. Pàrtiti di questo mondo nel nome del Padre che ti creò, del Figliuolo che t'ha redenta, dello Spirito che t'ha rinnovata nell'amor suo. Dio possente, riguarda alla tua creatura. Pietà di lei che non fida se non in te. Dio ti perdoni, sorella, quanto fallasti cogli occhi, con la lingua, co' piè, col pensiero».

— Giovanni, quella poca di roba, datela a Matilde, la porti e la serbi a memoria di me. Voi tenetevi il mésero del mio matrimonio e del viatico, e quest'anello ch'è vostro. Ecco tutta la mia eredità. Vi rammentate del primo incontro sul poggio, e del verso innanellata pria?... Tagliate una ciocca de' miei capelli: ora subito, che sien tolti da me viva.

Prese la ciocca, l'anello: e, pregato da Maria, seguitò: «Ti raccomando, carissima sorella, all'onnipotente Iddio. Apparisca all'anima uscente l'aspetto di Gesù, splendido e mansueto. Ti liberi dall'eterna morte, egli morto per te. Io son pellegrina, o Dio, sulla terra. Padre delle misericordie, Dio di tutta consolazione, riguarda alla tua serva Maria, che, lavata nel sangue di Cristo, salga alla vita. Venite, santi di Dio, angeli del Signore, ricevete l'anima di lei, offeritela nel cospetto dell'Altissimo».

— Giovanni, la povera donna che veniva tutti i sabbati, lasciatele qualcosa; pregatela preghi per noi.

«Apritemi le porte della luce perpetua. Spera, sorella, vedere a faccia a faccia il tuo liberatore; veder manifesta con gli occhi beati la verità».

— Scrivete ad Aiaccio l'ultimo mio saluto ai parenti di mia zia: se passate da Pisa, dite a mio cugino che son morta consolata, e, spero, in grazia di Dio. Avrei voluto che la mia sepoltura fosse in Italia, e lì potere scontare con buoni esempi le colpe mie.

Tacquero un poco.

«Non morrò ma vivrò, per narrare le meraviglie del Signore. Interceda per me la madre di Lui che nella notte di domani nacque povero di povera; interceda Giovanni al qual furono rivelati i secreti del cielo. Levati gli occhi, disse: — Padre mio, è giunta l'ora».

— La mia sepoltura porti il mio nome, e che fui moglie vostra: non più. Gesù mio, raccogliete a voi i miei pensieri.

Giovanni, con gli occhi in alto e con viso di chi si sente venir meno: «Questo è il dì che Dio fece: rallegriamoci in esso. Per la morte, Gesù, e per il nascere vostro, pietà. Il suo sudore come goccie di sangue grondante in terra. Lode a Dio, perché buono! Gesù, che l'anima di questa donna amaste d'eterna carità, congiungetela a voi con amore indivisibile».

— La pace eterna: — diss'ella, e mosse le labbra a baciare il crocifisso offertole da Giovanni; e nel bacio dell'Amico suo immortale spirò.

L'infelice marito non osava levare il pianto per non affrettare le lagrime alla povera donna dormente accanto. Accese una candela allato al cadavere, e aprì pian piano le imposte. Sorgeva torbido il dì: nevicava. Egli, seduto tra il letto e la finestra, guardava ora al cielo biancheggiante, ora alla sua moglie morta; e pregava Dio senza piangere.