Gli incendiari della Comune: edizion ELTeC Barbieri, Ulisse (1841-1899) Editor Ciotti, Fabio 36110 COST Action "Distant Reading for European Literary History" (CA16204) Zenodo.org Gli incendiari della Comune o le stragi di Parigi ed il governo di Versailles Barbieri, Ulisse Editor Legros, Felice MIlano Legros Felice Editore 1871

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Sordi fremiti.

È una mesta sera. Il cielo è sereno, ma la serenità non è negli animi... Parigi è cupo... a guardarlo fa paura. Lo diresti un vulcano nel cui seno si sente ribollire la lava... Quei fremiti sono poca cosa - parole sussurrate a bassa voce - radunanze segrete tradite da un lume che si vede tremolare dalle chiuse persiane d'una casa che diresti deserta. Sono crocchi che si formano qua e là, sono voci di tradimenti - minaccie di vendetta!... Impazienze frenate a stento. I cittadini armati stanno di guardia ai cannoni di cui è munita la cinta, paurosi di lasciarseli togliere... o negli animi si agita un sinistro presentimento che dice - tutto non è finito.

L'Assemblea Nazionale

Il 12 febbraio si radunò la nuova Assemblea Nazionale in Bordeaux nel teatro della commedia.

La bella città che si specchia nella Garonna, e pare superba della operosità del suo commercio, della bellezza delle sue contrade, della sua vita infine, era così gremita di gente che o non si trovavano alloggi, o si avevano a prezzi favolosi.

La piazza della Commedia era fino da mezzodì piena di spettatori che vi si erano recati per veder passare i rappresentanti.

Alcuni picchetti ed un cordone di guardia nazionale posti davanti al teatro, permettevano ai deputati il libero accesso alla sala.

La maggior parte degli eletti sono perfettamente sconosciuti alla popolazione. - Sulla piazza si additano con qualche interesse, Thiers, Arago!... ed alcuni altri ancora - si cerca con avido sguardo uno sopra tutti: Gambetta.

Tutte le preoccupazioni si fermano su questi tre personaggi. - La folla però non è che fredda.

I deputati vi stavano alquanto a disagio. Essi occupano tutta la platea e le loggie del contorno, per cui la circolazione ne resta difficile. Molti di essi hanno fatto inchiodare le loro carte sulle seggiole, ma i migliori posti, come sempre, sono per i primi arrivati.

La loggia di proscenio del pianterreno a sinistra è assegnata ai redattori del resoconto ufficiale. Quella di destra è occupata dagli stenografi. Ai giornalisti sono destinati una cinquantina di posti nella grande loggia della prima galleria.

La seconda galleria ed il loggione sono riservate al pubblico.

Nel grande ridotto è stata disposta un'immensa tavola rotonda, coperta da un tappeto verde.

Nel mezzo vi è la seggiola del presidente che sarò occupata provvisoriamente dal decano d'età.

Le due scale che conducono al ridotto sono salite e discese da deputati che non si conoscono tra di loro e che si incontrano salutandosi appena.

Quelli che appartengono alle vecchie assemblee formano un gruppo; essi hanno presa immediatamente conoscenza dei luoghi, vanno alla questura, chiamano gli uscieri per nome e danno con confidenza i loro soprabiti agli inservienti. I nuovi eletti si mostrano invece più timidi e forse un po' imbarazzati.

La seduta è aperta a tre ore.

Circa trecento deputati stanno nel foyer del Grand-Tèatre. Fra i deputati notansi i membri del Governo di Parigi con Favre, e i generali Chanzy, D'Aurelles de Paladines, l'ammiraglio Fourichon, Thiers, Baze, già questore nell'Assemblea del 1848, e Paul de ròmusat. Due membri della Delegazione di Bordeaux e Gambetta mancano.

Duecentocinquanta o trecento deputati si radunano nella sala dell'Assemblea.

Vi entra Rochefort. Porta una camicia rossa e prende posto sul penultimo banco della montagna.

Dopo breve discussione viene costituito il seggio della presidenza, quand'anche l'Assemblea non sia ancora in numero, e ciò perchè si crede necessario far sapere tosto al paese che l'Assemblea è legalmente costituita.

Rimane perciò presidente il decano d'età signor Benoit-d'Azy e segretari i signori Duchatel, de Castellane, Ebraly e Paul de ròmusat.

Per la gravità della circostanza il presidente propone di dichiarare che l'Assemblea è costituita. La proposta è adottata all'unanimità.

Benoit d'Azy, che occupò come presidente per età, il seggio della presidenza fino alla definitiva costituzione degli uffici, ha 75 anni, ed è un legittimista ultramontano che combattè nelle varie fasi della sua vita politica con ugual forza contro l'Orleanismo, la repubblica e l'impero. Sotto la sua presidenza venne tenuta la famosa seduta dei deputati nella Mairie del decimo circondario il 3 dicembre 1851.

Fu egli quello che proclamò in quel giorno fatale la destituzione del presidente Luigi Bonaparte, ed egli è di nuovo colui che inaugura la prima assemblea repubblicana dopo la caduta dell'impero. Che egli poi dovesse fungere da presidente per età in questa sessione, si spiega dalla circostanza che la maggioranza dei deputati non era ancora giunta in Bordeaux. Fra questi trovavansi alcuni deputati più vecchi di lui p. e., il generale Changarnier che ha 80 anni.

così costituita fino dalla prima seduta l'assemblea, alle quattro ore i deputati uscivano dal teatro e passavano di nuovo tra la folla, la quale serbòil medesimo contegno come al loro arrivo.

Garibaldi all'Assemblea.

Fra i deputati dell'Assemblea francese ve n'era uno che un anno prima non avrebbe mai immaginato di dovere in quel giorno esercitare un mandato legislativo in Francia e per la Francia. Era Giuseppe Garibaldi.

Una lettera era stata indirizzata il 7 febbraio al generale dal Maire di Algeri, e da altri membri del Consiglio municipale. Eccola:

Generale, Noi vi preghiamo come rappresentante, non per firmare una pace impossibile, ma per continuare la guerra anche contro la decisione di qualsiasi assemblea.

Nessuna pace di sorta.

La guerra dovesse durare 20 anni!...

Noi contiamo su di voi, al bisogno per ripiegarvi sull'Algeria colle brave genti che vorranno seguirvi.

Accettate dunque di rappresentarci e optate per il dipartimento d'Algeri. Voi verrete forse a noi, voi ci aiuterete a conservare a qualunque costo, verso e contro tutti, l'Algeria alla Francia e la repubblica al mondo.

In altro collegio di Algeri fu eletto a deputato Leone Gambetta al quale l'8 febbraio fu inviato questo telegramma:

Voi siete eletto qui.

Optate per il dipartimento d'Algeri.

Se la Francia accetta la pace, venite in Algeria con Garibaldi a conservare la Repubblica.

Il generale aveva lasciato il suo quartier generale posto al castello di Montigny e giunse dopo ventiquattro ore, cioè al mezzogiorno del 12, a Bordeaux.

Egli stava benissimo e pareva che le fatiche lo ringiovanissero.

Appena giunto a Bordeaux volle fare una corsa lungo la Garonna, e a tal uopo noleggiò un vaporino. Tornato dopo due ore trovò sulla riva una gran folla che lo accolse col grido: Vive le saveur de la France!... Gentili signore sventolavano dai balconi dalle vie i loro bianchi fazzoletti.

Ognuno voleva avvicinarsi all'eroe di Montevideo, di Roma, di Marsala!... al difensore dei Vosgi!

Le signore stimavano il più grande degli onori che loro venisse concesso, quello di potergli stringere la mano; di attirare su esse se non altro il suo sguardo.

Ond'è che assaltato da tanta calca e tanto entusiasmo, durò somma fatica a rientrare nell'albergo di Wantes a pochi passi dal Quai. Sino alla sera la folla assediò letteralmente l'albergo, e si diradò sul calar della notte il tramestìo, quando si fu certi che il generale non sarebbe più uscito.

Lo visitarono alcuni suoi amici, e gli chiesero quale fosse il suo programma:

Ecco il mio programma, rispose Garibaldi:

1°. Il mio voto è per la Repubblica. La Repubblica è il governo delle genti oneste, è il governo che cade per la corruzione e si sostiene colla virtù; è il solo governo che può impedire alla Francia d'avere una rivoluzione prima di sei mesi.

2°. Come condizione di pace lo statu quo ante bellum.

Le spese di guerra devono necessariamente essere pagate dai 7 milioni di oui che l'hanno voluta, e particolarmente dagli imperialisti e dai preti che hanno suscitato gli oui.

Le spese di guerra dovranno essere equamente determinate da un arbitrato di un numero uguale di potenze neutre da una parte e dall'altra, a scelta dei contendenti.

Il giorno 13 febbraio, Garibaldi si recò all'Assemblea.

Si aperse la seduta, e Giulio Favre depose i poteri del governo della difesa nazionale fra le mani dei rappresentanti del popolo francese, con queste parole:

- Io adempio un dovere che mi è particolarmente dolce, dipendono i poteri del governo della difesa nazionale fra le mani dei rappresentanti del paese.

Dopo che i membri del governo della difesa nazionale vennero gravati dal peso che hanno accettato, essi non hanno avuto altre preoccupazioni, altri desiderii, che di poter arrivare al giorno nel quale sarebbe loro possibile di trovarsi in presenza dei mandatarii del popolo. (Benissimo!)

ciò avviene in circostanze le più dolorose e crudeli; ma grazie al vostro patriottismo, signori, grazie all'unione di tutti, alla quale io ne sono certo, noi non facciamo uno sterile appello, (Bravo! Bravo!) e che se ve ne fosse bisogno ci sarebbe consigliata e dalla sventura, e dal buon senso, e dai timori per la nostra cara patria, (Nuova approvazione) noi arriveremo a fasciare le sue ferite e a rifare il suo avvenire (Vivo movimento d'adesione ed applausi).

È a voi, o signori, che spetta questa grand'opera. Quanto a noi, non siamo più se non i vostri giudicabili, pronti a render ragione di tutti i nostri atti, convinti che noi non incontreremo nel loro esame che la lealtà che spira da ogni vostra deliberazione, come voi potete esser certi che mai altro pensiero ci guiderà nelle spiegazioni che avremo a presentarvi (Segni unanimi di consenso).

In attesa, signori, della costituzione di un nuovo potere, che sarò il vero potere legittimo, che deciderà i destini pella Francia, ho l'onore di deporre sul banco della presidenza dell'assemblea la seguente dichiarazione:

"I membri del governo della difesa nazionale, sottoscritti, tanto in loro nome che in nome dei loro colleghi, che ratificheranno la presente, hanno l'onore di deporre i loro poteri fra le mani del presidente dell'assemblea nazionale. Essi resteranno al loro posto per il mantenimento dell'ordine e l'esecuzione delle leggi fino a che essi vengano regolarmente sostituiti."

Tutti i ministri, signori, depongono egualmente la loro missione, con questa condizione che essi aspetteranno il successore da voi designato; e sino a tale momento, spero che sarò vicino, ogni ministro prende l'impegno di fare il suo dovere.

Il mio, signori, era di comparire dinanzi a voi al più presto possibile. Nelle circostanze tanto penose che io avrò occasione di farvi conoscere dettagliatamente più tardi, io ho fissato all'8 febbraio l'elezione dei deputati della Francia ed al 12 la loro riunione.

Era cosa quasi impossibile; ma io ho contato sul patriottismo della Francia, e sapeva che implorando da lei questo sforzo supremo e quasi miracoloso saremmo esauditi. La miglior prova che io non mi sono ingannato, è che voi siete qui.

Mi sta a cuore, permettetemi di dirlo, per il governo che ho l'onore di rappresentare, per voi, per il nemico, come per l'Europa, che noi fossimo esatti a questa scadenza.

È perciò che io sono venuto da Parigi a Bordeaux. Vi domando il permesso di ritornare per qualche giorno al mio posto, ove ho dei doveri difficili e delicati da adempiere. Io non posso spiegarmi ulteriormente in presenza di tutte le difficoltà che ci circondano, ma voi comprenderete benissimo che avendo cominciato quest'opera sotto la nostra responsabilità noi non l'abbandoneremo che dietro il giudizio che voi, nella vostra equità, farete della nostra condotta. La mia prima cura, come il mio primo dovere, (è con questa osservazione che termino, e non ho bisogno di consultarvi per essere sicuro che incontrerà in questa Camera una completa unanimità) sarà di riferire a quelli coi quali noi negoziamo questa affermazione, che la Francia è pronta, checchè avvenga, a fare coraggiosamente il suo dovere. (Viva approvazione ed applausi).

L'Assemblea deciderà in piena libertà, come appartiene a dei rappresentanti del paese, che non prendono consiglio che dalla salvezza della Francia e non hanno altra cura che quella del suo onore (Bravo! Bravo! Nuovi applausi).

Ecco ciò che il nemico deve sapere.

In pari tempo è essenziale di dirgli che non è più soltanto in nome di alcuni cittadini, che dopo aver raccolto il potere vacante ed essere stati più tardi eletti da un'intera capitale, aspettavano con ansia l'ora in cui sarebbe loro concesso di consultare la Francia, ma in nome di tutto il paese, in nome di un'assemblea che lo rappresenta legittimamente che noi veniamo a domandargli il tempo di compiere l'ordine incominciato.

Voi lo sapete, un termine perentorio era stato fissato preventivamente, ma la convenzione portava che l'armistizio potesse essere prolungato.

Secondo me, questo prolungamento deve essere il più breve possibile. Noi non dobbiamo perdere un minuto. Noi non dobbiamo dimenticare le nostre sventurate popolazioni calpestate dal nemico senza che sia possibile, malgrado i nostri sforzi, di migliorare la loro situazione come noi l'avremmo voluto. Siate certi che le loro lagrime, i loro sacrifizi pesano gravemente, non dirò sulla mia coscienza, poichè dinanzi a Dio io ne sono innocente, ma sulla mia responsabilità, ed io non ho altra fretta che di giungere al termine di queste miserie.

Voi ci aiuterete a giungervi, io ne sono convinto, e posso, lo so, contare anticipatamente sul vostro concorso. Io dirò a coloro con cui io tratto, che è voto dell'assemblea francese che ci sia accordata una dilazione breve, ma sufficiente, perchè voi possiate, con maturità e cognizione di causa, decidere i destini del paese (Vivi applausi).

così termina Favre il suo discorso salutato da lunghe acclamazioni.

Dopo di lui prende la parola il presidente annunciando che molti rappresentanti non han potuto ancora rendersi al loro posto; egli invita l'assemblea a riunirsi nei suoi uffici per affrettare la verificazione dei poteri, affinchè gli sia possibile domani o domani l'altro formare un governo della difesa nazionale.

In questo momento Garibaldi, che si trovava accanto al deputato Esquiros, si toglie il cappello di feltro grigio, si alza e domanda la parola.

La curiosità è al colmo nella sala. Lo stupore e l'imbarazzo si manifestano nella Camera di cui tutti i membri sono in piedi.

Molti deputati allora cominciano a far grida e rumore per impedire a Garibaldi di parlare.

Numerose voci si fanno intendere. In mezzo al tumulto si distinguono le seguenti:

- Voi insultate la maggioranza dell'assemblea, grida un deputato verso Garibaldi.

La seduta è levata!

In mezzo a quel tumulto Garibaldi se ne rimane in piedi silenzioso, impassibile, sebbene molti de' suoi colleghi gli facciano segno di sedersi.

Il deputato Esquiros esclama con voce sdegnosa:

- Un'assemblea francese non può rifiutare la parola a Garibaldi. Il vostro dovere è di ascoltarlo.

- Parlate! Gridano alcune voci dalle tribune.

Un giovane delegato del comitato di Marsiglia, che ha spesso preso la parola nelle riunioni pubbliche, e che si trova in uno dei primi palchi del centro, interpella l'assemblea con voce tuonante accompagnata da gesti di indignazione:

- Assemblea dello smembramento nazionale! Assemblea rurale! Voi soffocate la voce dei patrioti! È un'infamia.

Improvvisamente parte delle tribune alza il grido di: Viva Garibaldi.

- Egli parlerà! Noi vogliamo ch'egli parli! gridano alcuni spettatori in abito di guardie nazionali, i quali trovano immediatamente una viva approvazione nel pubblico.

Uno spettatore prende la parola, e in una improvvisazione violenta accusa la nuova assemblea di "tradire il popolo, di essere un'onta per la Francia!" si intendono ad ogni istante le parole "traditori, vigliacchi" che sono come una sfida ai rappresentanti.

Nelle tribune superiori, numerosi spettatori, fra i quali delle guardie nazionali, gridano a squarciagola: Viva Garibaldi.

La confusione è al colmo. I deputati in piedi e rivolti verso gli interruttori, intimano loro di tacere e di rispettare l'Assemblea.

Il giovane tribuno di Marsiglia continua a gesticolare e ad apostrofare i deputati con una veemenza crescente:

- sì, dice egli, voi siete l'assemblea rurale! I rappresentanti dello smembramento della Francia! Voi tremate davanti a questa voce generosa!

- Viva Garibaldi! Gridano le duecento voci del centro.

- Silenzio ai perturbatori! rispondono i deputati irritati. Che si faccia sgomberare la tribuna colla forza.

Il tumulto diviene indescrivibile: in questo tempo Garibaldi sta sempre in piedi e silenzioso.

Il signor Benoist d'Azy, decano d'età ch'era uscito dalla sala, vi rientra vivamente col cappello in testa, e con una voce che domina un istante le grida:

- Si facciano sgombrare le tribune, esclama, e se occorre, si impieghi la forza!

Il generale Le Flo, che aveva lasciato il suo banco sino dal principio del tumulto, fa chiamare il comandante del battaglione della guardia nazionale, e gli dà l'ordine di far sgomberare le tribune.

Le guardie nazionali alle quali viene trasmesso l'ordine, obbediscono con premura, e ben tosto le tribune sono intieramente sgombrate. Non restano nella sala, che i rappresentanti ed il generale Garibaldi sempre in piedi.

Finalmente il generale abbandona la sala, e si dirige verso l'uscita dell'edifizio, accompagnato da alcuni militari in uniforme d'uffiziali d'ordinanza, Esquiros ed il generale Bordone.

Intanto il popolo si era fermato nel vestibolo e nella grande scala per veder passare Garibaldi.

Ben presto esso comparisce con un mantello grigio, appoggiato al braccio di due dei suoi aiutanti. Grida formidabili si fanno udire: Viva Garibaldi! Viva Garibaldi! I cappelli ed i kepò si agitano. Nessuno resta a capo coperto sul passaggio del capo dei volontarii.

I deputati che escono dopo Garibaldi sono molto turbati. Violenti dispute si impegnano sulla scala fra coloro che prendono parte alla manifestazione e coloro che la disapprovano: Garibaldi scende lentamente la scala sorridendo a coloro che l'acclamano. Al di fuori lo aspettava una nuova ovazione. Appena egli si presentò alla porta, le grida di Viva Garibaldi! echeggiano sulla piazza del Gran Teatro. Le guardie nazionali che sono di fazione uniscono i loro evviva a quelli della folla.

Garibaldi monta con fatica in una carrozza che lo aspettava alla porta. I gruppi si stringono intorno alla carrozza. Il generale rivolge al popolo alcune parole.

Quando la carrozza si è allontanata, il generale Le Flo rimprovera gli ufficiali della guardia nazionale incaricati del servigio dell'assemblea.

Intanto Garibaldi volgeva serenamente agli amici che gli stavano intorno queste memorabili parole:

"Io ho sempre saputo distinguere la Francia monarchica, la Francia dei preti, e la Francia repubblicana."

"Le due prime non meritano altro che di essere esecrate, ma la Francia repubblicana merita tutto il nostro amore e tutto il nostro zelo."

"Fintanto che il popolo avrò da rimproverarsi d'aver dato i suoi voti a dei partitanti della monarchia, e a dei preti, egli sarò ingannato, in preda alla miseria e alla schiavitù".

"Ma lasciate che questa assemblea, dalla quale esco, duri più che sia possibile; È il mezzo più sicuro per screditare i partiti monarchici che essa rappresenta, e per sollecitare il ritorno della sovranità popolare."

" Viva la repubblica una e indivisibile!"

Ultime parole di Garibaldi in Francia.

Nello stesso giorno, il 13 febbraio, Garibaldi scriveva al presidente dell'assemblea nazionale:

Come un ultimo dovere da rendersi alla causa della repubblica francese io sono venuto per dare il mio voto che depongo nelle vostre mani.

Rinuncio al mandato di deputato di cui fui onorato da diversi dipartimenti.

Vi saluto

G. GARIBALDI.

Ai dipartimenti che mi hanno fatto l'onore di eleggermi deputato dell'Assemblea costituente.

Io accetto il mandato di deputato per dare il mio voto alla repubblica.

Con questo ultimo dovere è compiuta la mia missione, ed io rimetto nelle vostre mani i poteri che mi avete delegati.

Sono con riconoscenza

Vostro devotissimo GARIBALDI.

Cittadino ministro della guerra - BORDEAUX.

Essendo stato onorato dal governo della difesa nazionale del comando dell'armata dei Vosgi e vedendo la mia missione finita, chiedo la mia dimissione.

G. GARIBALDI.

Generale, Il ministro della guerra vi consegnerà la lettera colla quale vi diamo la vostra dimissione da comandante dell'armata dei Vosgi.

Accettando questa dimissione il governo ha il dovere di indirizzarvi a nome del paese i suoi ringraziamenti ed il suo rammarico.

La Francia non dimenticherà, generale, che voi avete gloriosamente combattuto coi vostri figli per la difesa del suo territorio e per la causa della repubblica.

Aggradite il nostro cordiale e fraterno saluto. I membri del Governo: JULES SIMON - EMANN. ARAGO - EUGÈNE PELLETAN - GARNIER-PAGES. Il ministro della guerra Generale LE FLOÒ.

Giuseppe Garibaldi lasciava la Francia e portava con sè memorie dilette e delusioni.

Ma ciò che egli non presentiva in tutta la sua orrenda realtà, era il disordine in cui i suoi uomini erano per ripiombarla... Era la lotta fratricida che stava per dilaniare quell'infelice paese dove al clericalismo monarchico che vomità il suo odio contro lo stesso generale in mille modi, stava per gettare nei partigiani della repubblica, il seme del sospetto della diffidenza per poter schierarsi poi gli uni contro gli altri in una di quelle orrende battaglie di cui la storia registrerà le pagine nefande.

Le ultime parole del prode generale furono un commovente commiato dai suoi soldati.

"Prodi dell'armata dei Vosgi....

scriveva egli il

13 febbraioda Bordeaux,

Io vi lascio, miei bravi!... vi lascio con infinita pena e forzato a questa separazione da circostanze imperiose.

Ritornando ai vostri focolari, raccontate alle vostre famiglie, i lavori, le fatiche, i combattimenti che insieme abbiamo sostenuto per la santa causa della repubblica.

Dite loro sopratutto che aveste un capo che vi amava come i proprii suoi figli e che andava superbo della vostra bravura.

Ci rivedremo in migliori circostanze. GARIBALDI.

Il tranquillo scoglio di Caprera accoglie l'illustre campione cosmopolita della libertà. Egli è là, ed il mare che lambisce colle sue onde spumeggianti le rocche solitarie, gli mormora all'orecchio parole d'addio, lontani ricordi!... saluti d'amici!... La leggenda lo attornia con le mille sue larve!... Ed egli, sublime figura rischiarata della luce delle grandiose sue opere, giganteggia su quello scoglio remoto che la natura gli ha eretto come un piedistallo.

Nelle sue conversazioni il guerriero, ridivenuto agricoltore, non si stanca di ricordare l'affettuosa accoglienza fattagli in Francia dalla popolazione. Ma dalla Francia ufficiale cosa ebbe egli?... Da quell'assemblea che si dice repubblicana ed è vigliacca d'anima ed ebete di mente? Disprezzo ed insulto!... L'assemblea che vagheggia i programmi di un duca di Grammont!... una Francia colla sua fede in Dio, e nella religione!... coll'inviolabilità del suo ebete unto del Signore!... col suo rispetto alle leggi che si poteva tradurre nella vigliacca sommissione al nuovo despota che stavano concertando di regalarle, non poteva che insultare a Garibaldi che era la personificazione di tutto ciò di cui essa doveva aver paura!...

La sola cosa che egli chiese alla Francia... fu la parola... e gli fu rifiutata.

La sua voce fu soffocata dal tumulto.

I suoi colleghi del momento, i futuri bombardatori di Parigi, lo temevano. Egli poteva parlare per la continuazione della guerra ed essi non la volevano. Parlare per la nazionalità di Nizza che essi volevano tenere stretta quanto più erano prossimi a perdere altre terre di nazionalità non meno promiscua. Voleva egli legar loro solennemente di compiere l'opera repubblicana come il nuovo edificio che doveva sollevare la Francia? Ma la repubblica essi la accettavano come una transazione per oggi per poterla calpestare domani! Poteva parlare contro la Francia dei preti!... Ma non era quella forse la Francia di Thiers?

Ma che importa?

Egli combatteva in Francia per la repubblica e pagava un debito dell'Italia, che l'Italia ufficiale non poteva pagare. Egli scrisse una pagina di più che la nostra storia registra con orgoglio.

Dopo aver combattuto e sofferto... dopo aver lottato e vinto, egli si ritira senza onori, senza compensi, sfuggendo alle ovazioni, ma si ritira col più grande degli onori, col più grande dei compensi; quello d'aver compiuta la gloria propria e quella del proprio paese.

Ben a ragione scrisse L'Egalità:

"Nell'epoca la più egoistica, nell'epoca più vergognosa, più scettica della storia europea, vi fu un uomo che diede prova d'un zelo profondo, di una intemerata e vera fede repubblicana, ardente, di dati tali che saranno oggetto di stupore e di ammirazione per la posterità e che nondimeno passano inosservate, e sono perfino derise in un mondo degenerato che non è fatto per capirle".

Tracciata poi per sommi capi la vita tutta d'abnegazione, di sagrifici, d'eroismi del generale, egli conchiude:

"Quando, dopo la sconfitta di Sedan, principiù la gran lotta della democrazia meridionale contro il feudalismo Germanico, Garibaldi abbandona lo scoglio di Caprera.

Garibaldi con 6000 uomini indisciplinati e armati alla peggio, con 2 piccoli cannoni da campagna, e 30 soli soldati di cavalleria, egli tien fronte per ben due mesi e mezzo all'esercito di Werder, e gl'impedisce di invadere le nostre contrade, e quando finalmente gli vengono confidate forze più importanti, allora egli vince quella battaglia di Digione, ultimo raggio di gloria che solca la notte tenebrosa della capitolazione, toglie ai prussiani la sola bandiera che essi abbiano perduto in tutta la guerra, e rimane l'ultimo armato contro il nemico padrone della Francia.

Quale sarò questa volta la ricompensa del modesto eroe? Eccola:

Si conclude un armistizio dal quale è escluso il suo esercito e non lo si avverte di questa esclusione. Anzi gli viene ordinato di cessare le operazioni militari. Fidandosi nelle istruzioni ricevute, egli si trova quasi nelle mani del nemico che l'abborre sopra ogni altro, e si sottrae con gran fatica alla sorte degli 800,000 francesi prigionieri, o dei franchi tiratori impiccati e bruciati vivi. Il suo esercito solo continua ad armarsi, mentre il resto del paese non pensa che dopo l'armistizio possono ricominciare le ostilità. Al popolo non rimaneva che un solo mezzo per mostrargli la sua riconoscenza, e per protestare contro l'ingratitudine dei governanti; il corpo elettorale in un suo slancio di virilità, lo manda alla Camera. Egli, sempre fedele al suo dovere, vi si reca; vedendosi in compagnia con così strani colleghi, dà la sua dimissione. è accettata immediatamente, e nemmeno una parola è pronunziata per ringraziarlo dei servizi resi al paese. Giulio Favre prende la parola. L'avvocato non s'occupa altro che di sè stesso e dichiara soltanto che spera ottenere qualcosa dal padrone: il signor di Bismark. Allora il soldato repubblicano domanda la parola. È la sola cosa che abbia domandato alla Francia. Il presidente gliela rifiuta.

Ecco le ricompense che la nazione francese accorda a coloro che vengono da lontano a versare il loro sangue per la sua salvezza".

Garibaldi ritorna a Caprera!

Va, nobile vittima! L'albero della libertà non può sorgere che inaffiato dal sangue dei suoi figli. E quest'albero sorgerà, grazie a te, e cuoprirà colla sua benefica ombra i due emisferi!... e gli eroi dell'antichità e i santi martiri della libertà si sveglieranno dal fondo dei loro sepolcri consolati, per baciarne le radici.

ANCORA L'ASSEMBLEA DI BORDEAUX.

L'assemblea francese procedè rapidamente alla verifica dei poteri.

Fu stabilito che i deputati avrebbero ricevuto 9,000 franchi di stipendio annuo, 12,000 i questori. Lo stipendio del presidente doveva essere di 50,000.

Grevy fu nominato presidente ed in un programma che presentò ai suoi elettori, riassumeva la sua professione di fede.

"I vostri rappresentanti diranno che se la Francia deve, ad ogni costo, salvare il suo onore, essa non vuole però correre inutilmente alla rovina. Quanto alla Costituzione io non ho qui da fare una professione di fede nuova. Ho detto una volta, e lo ripeto: Io fui, sono, e sarò sempre fino alla morte repubblicano.

Mi riassumo dunque:

La Repubblica sempre:

La pace, salvo rivincita, con tutte le condizioni accettabili.

Ecco il mio programma".

Non erano però con lui che 150 deputati al più, il resto dell'assemblea componevasi di monarchici, e di clericali più o meno bene mascherati e divisi parte in legittimisti borbonici, in orleanisti e bonapartisti.

Nella seduta del 16 febbraio, venne a galla la profonda scissura di questi partiti che preparavano alla Francia giorni nefasti - e di cui furono frutto mostruoso le lotte che seguirono poi tra la Comune di Parigi ed il Governo di Versailles.

La sala era popolatissima, - Rochefort è presente, - Gambetta non è ancora giunto.

Si seguita la verifica dei poteri, quando un deputato di destra sorge con impeto e si lagna perchè il giorno innanzi quando i rappresentanti uscivano dall'assemblea, Vittor Ugo aveva ricevuto dalla folla accalcata una clamorosa dimostrazione ed era stato salutato dal grido di: Viva la Repubblica.

Vuole che tali tumulti non si rinnovino e chiede la nomina immediata dei questori.

L'oratore parlando dei deputati di Parigi, dice che essi si sono macchiati nel sangue delle guerre civili e scongiura di fare in modo che la libertà delle discussioni non sia osteggiata.

Queste parole sollevano naturalmente vivi reclami per parte della sinistra liberale.

Il presidente legge frattanto una lettera del generale Faidherbe che rassegna il suo mandato.

Un deputato rinnova la sua domanda per la nomina immediata dei questori onde proteggere i deputati contro gli insulti del di fuori.

Un deputato della sinistra, dice che le grida di: Viva la Repubblica, non sono un insulto.

"Voi non siete giudici!... siete una fazione!..." rispondono molte voci.

Succede una terribile agitazione; si scambiano grida di Viva la Repubblica, emesse dalla sinistra, e di Viva la Francia!... emesse dalla destra.

Il dualismo non poteva essere più marcato.

La conclusione della seduta fu però la nomina di Thiers a capo del potere esecutivo della repubblica francese.

La formola adottata dall'assemblea per questo atto che affidava al dubbio repubblicanismo del signor Thiers le sorti della Francia eccola:

"L'assemblea nazionale, depositaria dell'autorità sovrana, Considerando che è necessario, fino a che sarà presa una decisione sulle istituzioni della Francia, di provvedere immediatamente alle necessità del governo e alla condotta dei negoziati;

Decreta:

"Il signor Thiers è nominato capo del potere esecutivo della repubblica francese. Egli eserciterà le sue funzioni sotto l'autorità dell'assemblea nazionale, col concorso dei ministri che avrà scelto e che egli presiederà."

L'assemblea aderì alle conclusioni della commissione. Il signor Thiers, fu nominato capo del potere esecutivo della Repubblica francese dall'unanimità dei suoi colleghi; possiamo dirlo, giacchè, se non tutti si levarono per lui quando vi furono invitati dal presidente, nessuno si levò per la controprova.

Le parole del Lefranc porsero occasione a Luigi Blanc di esporre le sue teorie in fatto di forma di governo. Egli dichiarò essere la repubblica la sola forma di governo legittima, naturale necessaria e superiore anche al suffragio universale. La stessa dottrina fu proclamata dal Gambetta in una memorabile tornata del Corpo legislativo. Ecco le parole di Luigi Blanc:

Luiggi Blannk : "Se vi è un'istituzione che abbia per essenza un carattere non provvisorio, questa istituzione è la repubblica (Movimento). E perchè? Per la ragione ben semplice che la repubblica è la forma, non dirò naturale, ma necessaria della sovranità del popolo, perchè il suffragio universale medesimo, nulla può contro la repubblica." (Applausi a sinistra, proteste a destra).

Leopoldo Laval. "La repubblica è dunque di diritto divino?".

Louis Blanc. "Io ripeto che il suffragio universale medesimo nulla può contro la repubblica (nuovo movimento), perchè la generazione presente non può confiscare il diritto delle generazioni future (reclami a destra, approvazione a sinistra), perchè se il suffragio universale stabilisce una monarchia ereditaria, ciò che suppone l'immobilità, il suffragio universale si suiciderebbe e perderebbe, per questa stessa ragione, la sua ragione d'essere. La sovranità d'oggi distruggerebbe la sovranità di domani ciò che implica una contraddizione.

Io dico dunque, che la repubblica non ha bisogno per esistere d'essere riconosciuta, perchè essa ha la sua ragione d'essere (Interruzioni)..."

Leopoldo Laval. "Allora voi volete la repubblica di diritto divino; non è cosa che si possa accettare."

Louis Blanc. "Io ripeterò, terminando, con una parola di cui non voglio citare l'autore, perchè il suo nome è nella memoria di voi tutti: La Repubblica è come il sole. Cieco chi non la vede! (Applausi a sinistra, reclami a destra)".

A proposito della mozione Gròvy-Dufaure, non omettiamo di dire, che il titolo di capo del potere esecutivo della Repubblica francese non fu lasciato passare senza difficoltà.

La parola Repubblica spiaceva a molti. 300 deputati desideravano che fosse eliminata. Nella seduta pubblica non apparve questo sentimento, ma nelle adunanze private le discussioni furono vivacissime. Il desiderio della concordia acchetò i monarchici.

Queste lotte succedevano nel seno dell'assemblea nazionale cui solo scopo doveva essere quello di volere ciò che voleva la Francia, ed aizzavasi così quella irritabilità che già serpeggiava minacciosa, allarmata dal dubbio che si volesse tentare il ripristinamento d'un ordine di cose che una grande maggioranza della Francia intelligente, e specialmente di Parigi, non voleva. Erano questioni così mal a proposito messe in campo da lasciar pienamente scorgere come in quegli uomini non vi fosse nè cuore nè patriottismo, e come volessero servirsi del potere che loro fu fatalmente conferito, con un mezzo soltanto di appagare le loro ambizioni personali e sfogare i loro rancori, anteponendo una testardaggine stupida in un'idea, anzichè il vero benessere del paese.

Thiers intanto lavorava a comporre il suo ministero:

GIULIO FAVRES, Esteri. LUIGI RICARD, Interno. GIULIO DAFAUVRE, Giustizia. FELICE LOMBRECHT, Commercio. Generale LE FLOÒ, Guerra. GIULIO SIMON, Istruzione. Ammiraglio POTRHAN, Marina. CARLO LARCY, Lavori pubblici.

Di questi otto ministri, Favre, Ricard e Simon, erano i soli repubblicani - Lambrecht e Dafauvre non erano che orleanisti come Thiers.

Dafauvre era fatto ministro di giustizia... quello stesso che fu ministro d'istruzione pubblica sotto Luigi Filippo nel 1840, dell'interno sotto Cavaignac dopo la rivoluzione 1849, e dell'interno sotto la presidenza di Luigi Napoleone.

Larcy non è che un antico legittimista ed un moderno democratico, - uno di quei cinque deputati che fecero al conte di Chambord la famosa visita di Belgrave Ignare per la quale essendo stati vituperati nell'indirizzo della Camera al re Luigi Filippo, furono costretti a dare le loro dimissioni.

Il ridicolo, questa terribile arma di demolizione, mordeva intanto sul suo elevato seggio il signor Thiers, che Rochefort nel suo nuovo giornale il Mot d'ordre chiama "il piccolo uomo che porta un soprabito grigio ed un paia d'occhiali per meglio nascondere i suoi progetti".

L'arguto redattore della Lanterne ricordava i suoi recenti fiaschi diplomatici a Pietroburgo, a Londra, a Vienna ed a Varsavia e dichiarava che la retriva e vigliacca assemblea di Bordeaux non l'aveva scelto a presidente dei ministri, se non perchè lo sapeva deciso a conchiudere la pace a qualunque costo.

Perchè lui e non un altro? diceva egli:

"Perchè lui e non un altro? Che il presidente Grevy mi getti in faccia i suoi questori se l'osa. Non certo per gratitudine del successo delle sue imprese, perchè tutte naufragarono; non nella speranza che egli vede chiaro nella situazione attuale, poichè egli non seppe scorgervi sin qui che confusione".

Lo scelsero o Francia polverizzata! perchè si sa che egli è l'antesignano della pace ad ogni costo; perchè il giorno in cui Guglielmo di Prussia, - personaggio fantastico, metà re e metà mercante d'orologi, - gli domanderà d'Alsazia, Metz e Pondechery, si è sicuri che Thiers I risponderà:

"Permettimi sire, d'aggiungere, a titolo di spillatico, un migliaio d'ettari nel Morvan e altrettanti nella Saitonge".

Conchiudeva dicendo "Thiers accorderà tutto ciò che la Prussia domanderà, compresi i nostri stivali e le nostre camiciuole di flanella".

Petrucelli della Gattina in una sua brillante lettera a un giornale di Firenze, alludendo all'ultima gita del Thiers in Italia, così caratterizza la politica ambigua dell'uomo, al quale ventisei dipartimenti - un quarto della Francia - vollero affidati i destini della Francia:

"L'illustre uomo di Stato, come lo si addimanda oggi nelle gazzette non repubblicane, si presentò costì per sollecitare la mediazione d'Italia, o meglio il concorso d'Italia nella mediazione che egli credeva aver ottenuta per terminare la guerra. Ebbene in quel momento proprio, il degno galantuomo si aveva ancora in tasca la sua famosa lettera a Pio IX, con la quale ragguagliava il santo pontefice che egli, il Thiers, aveva implorata la protezione di tutte le cancellerie e di tutti i sovrani di Europa per deciderli alla ristaurazione del potere temporale ed alla espulsione degli italiani da Roma. L'illustre uomo di Stato non ha ancora riconosciuta l'Italia. L'Italia è ancora per lui un Piemonte impinguato e rimpinzato di Stati rubati ai loro sovrani legittimi. E' dava dunque al papa consolazioni e speranze d'aver toccato il cuore della diplomazia europea in favor suo.

"L'uomo a coscienza sì larga, a delicatezza sì squisita, è oggi l'incarnazione dei voleri della Francia, o presso a poco".

Le previsioni del partito liberale a cui stavano a cuore l'onore e la dignità della Francia, non tardarono a verificarsi.

I primi sintomi d'una sorda indignazione serpeggiarono nel popolo. "Cosa aveva fatto questa assemblea repubblicana?" avea accettata una pace vergognosa - avea stancheggiate le popolazioni e ne aveva snervato quell'entusiasmo da cui si poteva trarre ancora qualche speranza di resistenza all'invasione. Dopo aver limitato con ogni sofisticheria i mezzi d'azione all'uomo che aveva portata la sua spada, la sua esperienza, il suo braccio, il suo nome ed il suo cuore in aiuto della Repubblica, lo aveva insultato, calunniato!... Mentre poteva con un esercito aprirgli una via da Dole nel centro della Germania ove egli voleva avventurarsi coi suoi prodi disposti a morire ma non a fuggire e stancheggiare così il nemico con un piano che avrebbe rivaleggiato colla spedizione di Marsala e colle battaglie di Montevideo, lo aveva imprigionato nei Vosgi!... affidando un posto limitatissimo e di estrema responsabilità quale campo d'azione per un uomo come Garibaldi, che come la folgore aveva bisogno di spazio per correre la sua via.

Una parte della Francia chinava il capo sotto le terribili e vergognose condizioni imposte alteramente dalla Prussia, e bassamente accettate da Thiers, ma coloro che erano disposti a dare tutto per l'onore del loro paese, coloro che avevano già sui campi di battaglia, esposta la vita con spensierata noncuranza, o che volevano morire, se altra speranza di vendicare i patiti oltraggi loro non fosse rimasta, fremevano di sdegno e non trovavano parole bastanti per esprimere il loro odio ed il loro disprezzo contro i negoziatori di Versailles.

Rochefort, scriveva nel Mot d'ordre ch'egli ed i suoi amici si raderebbero le mani fino all'osso prima di acconsentire a quell'atto di vigliaccheria.

Egli aggiungeva:

"Come si doveva aspettare, i signori Thiers e Giulio Favre hanno sottoscritto tutto, alla chetichella, come quelle madri infami che, di notte, si aggirano furtivamente nelle vie deserte, conducendo le loro figlie alla prostituzione.

"Sì, essi hanno tutto sottoscritto, tutto, capite?

I giuramenti più solenni, li hanno violati spudoratamente. Dell'onore della Francia hanno fatto un letamaio, e, col sorriso sulle labbra, col frak nero indosso, hanno vilmente abbandonata l'Alsazia eroica, e la patriottica Lorena, e Metz, e la fortuna della Francia (cinque miliardi e mezzo, il doppio di ciò che occorrerebbe a continuare la guerra ad oltranza quindici mesi) e la nostra industria, e forse Nizza e Savoia, e certamente Parigi, di cui i lanzichenecchi di re Guglielmo calpesteranno fra qualche ora il lastrico immortale".

Il Blanqui d'altra parte scriveva che la pace non era che la continuazione dei tradimenti. "Quando una mano di furfanti preceduti da un gesuita, s'intitolò Governo della difesa nazionale, intendeva senza dubbio sotto la parola difesa la parola capitolazione.

L'esacerbazione contro l'assemblea arrivava al parossismo ed a questo stato di cose aggiungevasi l'opera infame dei mestatori che volevano ad ogni modo provocare disordini, sia per impedire che in qualche modo potesse consolidarsi un'assemblea francese, sia per trar motivo in moti parziali al saccheggio ed alla distruzione.

Parigi era il centro di questo vorticoso turbinio di passioni. I giorni nefasti della guerra civile si preparavano. Le sinistre faci si accendevano. Per salvare l'onore della Francia e fare che la guerra si chiudesse con uno di quei fatti che costringono al rispetto della sventura, quando a questa sventura vada collegata la grandezza, occorreva alla Francia, un uomo che sapesse audacemente affrontare un partito estremo quale era voluto da una parte rispettabile della popolazione... un uomo insomma che avesse saputo comprometterla.

Occorreva alla Francia un uomo, che elevandosi all'altezza dei tempi e con profonda conoscenza delle cose e della Francia istessa, avesse avventato contro l'esercito prussiano quella massa ardente, febbricitante che si scatenò poi contro le truppe di Versailles... che si fosse fatto un'arma di tutte le passioni, di tutte le esaltazioni, pur di mettere un ferro ed un fucile in ogni mano!... Invece di cercare una pace obbrobriosa che avrebbe portato per frutto la rivoluzione, ed aggiunta all'onta di una disfatta e a quella della capitolazione, l'onta della guerra civile che doveva chiudere l'infausta pagina di questa storia sanguinosa, si poteva non salvare la Francia, ma si poteva farla cadere avvolta in tanta grandezza da ricordare, rinnovandoli, gli eroismi della Sparta antica... Come Sparta, Parigi era il grande focolare da cui poteva partire la scintilla incendiatrice.

Bisognava sfrenare qual tremendo vulcano. Il Louvre e le Tuileries che arsero contese da un popolo furente all'occupazione delle truppe di Versailles, potevano ardere monumento di sublime sagrificio e di indomito coraggio contese alle truppe prussiane!... Si poteva creare una grandezza là dove si è creato un delirio!... Il vandalismo che ha atterrati quei monumenti... che ha distrutta la colonna Vendome per distruggere tutto ciò che era l'espressione d'un passato, perchè quel passato era l'aspirazione degli uomini aborriti d'un governo di inetti e di reazionari!... poteva commutarsi in una virtù! Le lotte tremende ed eroiche di Neuilly, di Points du jours, di Montmartre, si trasformavano in un'epopea... La Francia oggi nulla nel suo governo; avvilita dal fratricidio!... che piange e si morde le mani nella convulsa disperazione del parossismo, poteva elevarsi dalle stesse rovine in cui oggi si è travolta, come uno di quei quadri innanzi alla cui grandiosità maestosa si sente la venerazione del rispetto e l'impeto dell'entusiasmo.

Onta a coloro che tanto in basso hanno spinta quanto potevano sublimemente sollevarla!...

L'entusiasmo che può salvare un popolo è però tal cosa che guai a non saper cogliere in tempo!... Guai se la riflessione rompe l'incantesimo d'un sogno!... L'uomo che saprebbe ora morire sopra una barricata, se anche la fame lo sfinisse, forse perchè nella stessa disperazione trova la fonte del suo coraggio, domani potrebbe entrare furtivo da una porta e rubare quel pane che ieri era orgoglioso di non poter portare alle labbra! I saccheggiatori di Belleville potevano essere eroi! Coloro che saranno i proscritti di domani, quando il governo di Versailles avrò stabilito ciò che egli chiama l'ordine, sarebbero stati forse i martiri dei cui nomi la Francia avrebbe illustrato un nuovo monumento... Fosse pure stato quel monumento una lapide sepolcrale!

Gustavo Flourens che cade scannato dai soldati di Versailles, non sarebbe forse caduto, novello Leonida, sugli spaldi dell'ultimo bastione di Parigi?... difendendo l'ultima barricata dall'invasione?...

I suoi soldati non avrebbero forse intorno a lui, formidabile barricata umana, stesi i loro corpi insanguinati?

sì! di questi soldati che si difendevano palmo a palmo, vita per vita, si poteva farne gli stessi difensori di Parigi contro l'assalto di un esercito straniero. Le donne che si armarono per difendere i loro fratelli ed i loro mariti si potevano armare per una ben più santa causa, e quel delirio di morire piuttosto che di cedere che ha invaso gli animi in questo ultimo e fatale periodo della rivoluzione di Parigi poteva armare tante braccia da offrire alla libertà francese una superba ecatombe di martiri.

Lo Charivary riassumeva lo stato della Francia quale era prima che incominciasse la rivoluzione del 18 marzo con due lugubri caricature. La prima rappresentava la Francia morente in una stanza, mentre i suoi domestici abbandonatala si impadroniscono già delle sue masserizie. I domestici ci raffigurano i diversi partiti.

La scritta dice: - Mi credono già morta! L'altra, mostra il dimagrito cadavere della Francia in un campo di battaglia. Un nugolo di corvi scende per farsene pasto. La scritta dice: - Altri candidati!

- Lo stesso giornale che aveva pubblicato sempre le sue caricature durante l'assedio, al terminare di questo, ne fece una che rappresentava un Faust alla moda del 1871. L'amante di Margherita che ritorna dalla guerra, le presenta una quantità di oggetti; vi primeggiano gli orologi che ha trovati in Francia.

I giornali del partito estremo si moltiplicano. Al Mot d'ordre di Rochefort tien dietro il Dernier mot di Blanqui: a questi si aggiunge Le cri du peuple di Giulio Vallès, il cui primo articolo è intitolato Parigi venduto: sorge infine un altro giornale con questo strano titolo: Paris-Belleville, Moniteur du XX arrondissement.

Parigi che ha sempre avuto la mania dell'eccentricità, ha sempre una fisionomia tutta sua! Egli è un gran fanciullo, come lo ha chiamato Vittor Hugo, che si lascia sedurre da tutto ciò che ha il bagliore d'un prestigio qualunque!...

Un gran fanciullo che ha bisogno di correre, di saltellare e di far delle pazzie!... Se non può avere illusioni egli se le crea per il piacere di poter credervi... Ed è questa una delle cause per cui il francese passa istantaneamente e con quella volubilità fatale di cui ha dato più di una prova, dall'entusiasmo alla sfiducia!... dalla febbre all'apatia!... e lo si può condurre oggi ad esaltarsi per un delitto come per una virtù; a far sua un'empia come una buona causa!... ad amare, ad idolatrare oggi, per imprecare, per dimenticare domani.

Negli ultimi giorni del carnevale in cui la crisi tremenda della guerra franco-prussiana era alla sua funesta meta, e si chiudeva colla capitolazione che tanta agitazione, tanta lotta dest" nella Francia, Parigi non voleva rinunciare al suo istante di buon umore ed il martedì grasso accettò e mise in voga con vero furore una canzonetta che si vendeva e si cantava da girovaghi sulla piazza e per le vie.

La canzonetta era intitolata: La Marche du Boeuf Gras da cantarsi sull'Aria della complainte di Fualdès.

Una grande incisione rappresentava il corteggio tradizionale.

È aperto dal generale Trochu che porta una immensa chiave della città di Parigi. Vengono dietro lui il conte Bismark e re Guglielmo, vestiti ed atteggiati come i re ed i ministri delle opere d'Offenbach.

Il bue grasso è La Francia, condotta da due littori prussiani col classico elmo, e la mazza del carnefice. Il vecchio Constitutionnel le sta a cavalcioni vestito da amorino. Giulio Favre lo segue colla Convenzione del 28 gennaio sotto il braccio: v'è poi una quantità di altre figure e d'allusioni che tralasciamo per accorciare. La canzone finge che il corteo si arresti qua e là, come il solito, e ne trae argomento a scherzi sanguinosi. Comincia:

Bientòt, gròce è l'armistice (Lisez capitulation) Dans Paris dèfileront Sir Guillaume et sa milice; Chaons vite, il n'est que temps, Nos pendules, nòtre argents . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ce monarque s'imagine (!!) Qu'il a conquis tous nos forts, Il nous tient, gròce aux efforts Du general Von Famine. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

La prima stazione è alla piazza della Concordia ove non si manca di mostrargli come la giustizia popolare

Punit ici les tyrans!

Ma Guglielmo, dice la canzone, teme di raffreddarsi in quel sito.

La seconda stazione è in un luogo ove perirono molti bambini per lo scoppio d'un obice, e là egli riceve una deputazione di becchini. più lungi una di spie:

Voici ton armèe fidèle Le regiment d'espions; Tu dois è nos bataillons Une fameuse chandelle. La quarta stazione è al Giardino delle piante, ove, gli dicono, può andare senza paura poichè Les tigres et les panthòres Les animaux furieux, Ne se mangent pas entre eux. La morale, - poichè c'è sempre una "morale" nelle complaintes - è questa; Le proverbe dit qu'en France. Tout finit par des chansons.

Pur troppo per la Francia! Ma poi aggiunge che

En Prusse par des ranòons Tout finit et tout commence Il mot de la fin è che Pour vaincre un Guillaume tel Il faut des Guillaume Tell!

Questa canzone, fece furore, ed ha bilanciato il successo di un'altra complainte sopra il piano di Trochu che principia così:

Un general de Bretagne Qu'on appelait Trochu tout court, Concut l'matin d'un beau jour Un vaste plan de campagne; Il disait è ses amis: Grace è c' plan j' debloque Paris.

e che si canta molto nei sobborghi.

La lotta dei partiti arrivava frattanto a quel cozzo formidabile da cui doveva nascere la guerra civile.

Due elementi estremi primeggiano nel popolo francese; l'elemento ateo, materialista, socialista, e l'elemento clericale, bigotto e reazionario.

Sono eccessivi entrambi e formanti fra loro il più fiero ed irreconciliabile contrasto, ed è codesto antagonismo appunto che produce i sussulti e gli sconvolgimenti in mezzo ai quali la Francia si dibatte da ottant'anni a questa parte.

La sua vita è una continua oscillazione fra l'anarchia ed il dispotismo, fra il materialismo e la superstizione. è una vicenda continua di sfrenatezze impazienti o di dispotismo assoluto.

A questi due elementi contrarj messi così in aperta lotta tra di loro dalla eventualità dei fatti, aggiungansi i disastri della guerra, la sopraeccitazione degli animi, lo sfacelo dell'esercito, lo scioglimento d'ogni autorità, e si avrò un'idea di ciò che poteva e doveva nascere da un urto che sentivasi vicino ed inevitabile.

Prima dell'armistizio la lotta civile era impedita dalla pressione della guerra collo straniero; cessato questo motivo che imbrigliava ancora le passioni che già ruggivano, doveva necessariamente, non stornata a tempo, sfrenarsi la lotta fratricida, irresistibile e feroce.

La profonda divisione degli animi si manifestò fino dalle elezioni all'assemblea, la quale riuscì un incomposto miscuglio di repubblicani, di legittimisti e di retrogradi. Mentre l'estrema provincia mandava deputati monarchici e conservatori, Parigi eleggeva i suoi più ardenti e sicuri repubblicani.

Vi fu quindi nell'assemblea una maggioranza che diede il primo e fatale saggio delle sue idee, espellendo quasi dalla Francia Garibaldi. La più bella personificazione della democrazia.

La massa che sentiva invece quel sentimento di riconoscenza per l'uomo che aveva alla Francia portato il suo braccio, e che rispondeva con un'abnegazione senza pari ai dolorosi ricordi di Mentana, ne fu offesa e protestò colle dimostrazioni le più entusiastiche fatte all'uomo che essa non era rea del vile fatto.

Questa massa si staccava dunque dall'assemblea che era pure fatalmente il governo della Francia, per non voler essere complice nè compartecipe di quel suo vigliacco atto di sconoscenza e di bassa codardia.

Tra l'assemblea e una grande maggioranza della popolazione già allarmata da noti precedenti su cose e uomini che la stampa democratica denunciava arditamente al popolo, aumentavansi quindi i motivi di quell'avversione che deve arrivare all'odio il più incompatibile e violento.

Si era aggiunto a ciò la rettificazione d'un trattato che feriva profondamente l'orgoglio del popolo francese ed in ispecial modo i parigini assoggettati, benchè per pochi giorni, alla occupazione straniera.

Il timore che la forma d'un governo repubblicano, carissimo ai parigini, corresse grave pericolo, in vista del colore monarchico del maggior numero dei deputati che lasciavano troppo apertamente intravvedere il desiderio d'una restaurazione, insinuavasi già sinistra ombra negli animi.

già si parlava di un accordo stretto tra i pretendenti borbonici e gli orleanisti, per rendere più forti i loro fautori insieme riuniti, e rendere quindi più facile il trionfo dell'antica monarchia.

Questi timori, non infondati, rendevano più acerbo lo stato degli animi, e uniti alle cause sopra enumerate accrescevano la probabilità di un conflitto.

Intanto l'ostilità fra l'assemblea personificante nella sua maggioranza il principio reazionario, e Parigi esprimente, pure nella sua maggioranza, quello delle idee più avanzate, questa ostilità si andava più sempre pronunciando. nè sarò senza interesse la disamina degli ultimi atti dell'assemblea francese che precedettero, e provocarono per così dire la guerra che proruppe improvvisa ed atroce fra i figli d'una medesima terra.

è forza ricordarlo. più Parigi protestava e gridava contro le tendenze retrograde dell'assemblea, e più questa si atteggiava in modo ostile contro Parigi.

L'elemento parigino che stava in minoranza nel consesso nazionale, dava spesso occasione a scene di scandalo che palesavano apertamente la profonda divergenza delle opinioni, la discordia implacabile degli animi. Tale fu la seduta del quattro marzo.

Vi nacque una scena tempestosissima provocata da Felice Pyat, il quale accusò pubblicamente il presidente di aver soppressa una sua lettera, e il resto della seduta fu poi tutto impiegato a discutere una assurda proposta del signor Guichard il quale voleva che fosse nominata una commissione finanziaria a cui sarebbero sottomesse tutte le modificazioni che le circostanze esigerebbero nel budget del 1871 e che avrebbe a ricercare e ad esaminare tutte le economie che converrebbe introdurre immediatamente nelle spese pubbliche.

Thiers rispose essere impossibile che il budget sia proposto da altri che dal governo.

Intanto i semi della discordia, fomentati dalle mene segrete della reazione, crescevano.

Si tendeva a dividere Parigi dalla Francia, ed a sfrenare contro la capitale i rancori e le invidie della provincia che già covavano da lungo tempo contro questo grande centro dell'intelligenza che dominava la Francia.

Parigi la si chiama un nido di rivoluzioni inquiete, e l'assemblea che vi si trovava a disagio occupata come era da ben diversi interessi personali che non fossero quelli che aveva giurato di mantener in faccia al paese, propose di stabilire il governo a Versaglia oppure a Fontainebleau.

La provincia si associò tosto a questo insulto che si voleva fare alla metropoli su cui abilmente si faceva ricadere la colpa dei mali che afflissero la Francia.

Si coprò di numerose firme di tutte le province francesi, una petizione diretta all'assemblea così concepita:

Dipartimento di... Comune di...

Considerando che è urgente di costituire un governo stabile,

Considerando che Parigi colle sue rivoluzioni periodiche, porta il maggior pregiudizio agli interessi della patria,

Gli elettori sottoscritti hanno l'onore di domandare ai loro rappresentanti che per lo innanzi la città di Parigi non sia più la capitale della Francia.

La maggioranza dell'assemblea non chiedeva di meglio. Parigi la sorvegliava col suo sguardo diffidente; a Versaglia essa era libera di gettarsi in braccio alle sue aspirazioni reazionarie.

Le mire dell'assemblea trapelavano però da ogni suo atto, già Rochefort, Ran, Malos, Pegrat si erano ritirati in seguito alla votazione nel trattato di pace.

Intanto le petizioni delle provincie per l'esautorazione di Parigi giunsero all'assemblea. I deputati, favorevoli per la maggior parte a quella domanda, oscillarono qualche tempo fra Versaglia, Fontainebleau, Tours, Orlèans e Bourges, finalmente decretarono di porre la sede dell'assemblea e del governo a Versaglia. La distanza che separa questa città da Parigi è bastante (si pensò) per impedire che l'assemblea soggiaccia ad un colpo di mano di Belleville o di Montmartre. "Gl'insorti dovranno passare sotto i cannoni di quei forti che i prussiani non poterono ridurre al silenzio. Il Monte Valeriano è a cavaliere della strada di Versaglia: un generale posto sotto la protezione del suo fuoco, con un distaccamento agguerrito, può sfidare tutte le bande indisciplinate che i sobborghi manderanno".

La sola sinistra repubblicana sostenne che Parigi dovesse rimaner capitale, ma fu schiacciata dalla maggioranza antiparigina.

Chi non conosce Vittor Hugo, quel potente scrittore che da Nostra Signora di Parigi all'Uomo che ride, ha lanciati al mondo tanti poemi immortali, che dai Castighi alle Canzoni dei boschi e delle vie ha fatto modulare tutte le corde della lira poetica, la cui magica penna ora diveniva fulmine di sdegno, ora plettro di mestizia e d'affetto? Vittor Hugo fu sempre l'amico di Garibaldi. L'uomo della parola e l'uomo dell'azione, il sommo poeta e il sommo soldato, grandi patrioti, grandi uomini entrambi, erano fatti per intendersi e per amarsi. V'ha una fratellanza necessaria fra le anime sublimi.

All'indomani di Mentana Vittor Hugo scriveva a Garibaldi la Voce di Guernesey canto ardente d'amore e d'ira.

Dopo che Garibaldi partiva quasi scacciato dall'assemblea di Bordeaux, dopo questa seconda Mentana che l'astio francese infliggeva al grande benefattore, fu la voce di Vittor Hugo che si levò a protestare in seno di quella medesima assemblea.

E la parola di Vittor Hugo fu soffocata come quella di Garibaldi.

Nella seduta dell'Assemblea dell'8 marzo, era all'ordine del giorno la convalidazione dei poteri. Quando fu la volta dell'elezione del generale Garibaldi in Algeria, il relatore signor Vente diede lettura delle seguenti conclusioni:

"L'ufficio, considerando che il generale Garibaldi è dimissionario, crede che non v'ha più luogo a decidere, e lascia al governo la cura di provvedere all'elezione d'un nuovo deputato".

La discussione avvenuta allora, pur troppo mostra che i francesi hanno poco imparato dalla sventura; v'è la stessa leggerezza, vi son le stesse intemperanze, le stesse ciarlatanerie del passato, fra cui è soffocata la solitaria voce della verità e della giustizia.

Il presidente. Il generale Garibaldi non è dimissionario di questa elezione, e bisogna che sia deciso in un modo qualunque.

Il signor Richier. Garibaldi non ha il diritto di essere eletto e di far parte d'un'assemblea francese. (Reclami su vari banchi).

Il presidente. Il generale darò la sua dimissione se lo crede conveniente; ma ciò che l'assemblea deve verificare, è la validità della sua elezione in Algeria.

Il relatore dice che non può indicare le conclusioni dell'ufficio sul punto speciale indicato dal signor presidente, per la ragione che l'ufficio non ha trattato in questo modo la questione. Se l'assemblea crede necessario che la questione venga posta all'ufficio gliene riferirò (Interruzioni diverse).

Il presidente. L'ufficio non ha che una cosa da fare; dare conclusioni sulla validità dell'elezione.

Quanto al governo egli vedrò ciò che deve fare in seguito alla decisione dell'assemblea, ed il generale Garibaldi pure.

L'ufficio incaricato della verificazione dell'elezione deve rispondere a questa domanda: l'elezione è essa valida o no? Che egli risponda."

Allora Vittor Hugo domanda ed ottiene la parola:

Ecco testualmente ciò che disse il gran poeta:

VITTOR HUGO. Non dirò che una parola. La Francia ha attraversato sventure dalle quali essa è uscita sanguinante. Si può esser vinti e restar grandi, la Francia lo prova. La Francia schiacciata alla presenza delle nazioni, ha esperimentata la viltà dell'Europa.

-Di tutte le potenze europee, nessuna si è levata per difendere questa Francia, che tante volte difese la causa dell'Europa (Bravo! all'estrema sinistra). Non un solo re, non uno Stato, nessuno, eccettuato un uomo. (Risa ironiche a destra. Benissimo all'estrema sinistra).

-Ah, le potenze non intervenivano. Ebbene! Un uomo è intervenuto, e quest'uomo è una potenza (Esclamazioni su parecchi banchi a destra).

-Quest'uomo, signori, che cosa aveva? La sua spada..."

IL VISCONTE DI LORGERIL: E Bordone!

VITTOR HUGO: La sua spada, e questa spada aveva già liberato un popolo... (Esclamazioni) e questa spada poteva salvarne un altro. così egli ha creduto! è venuto, ha combattuto.

A destra:No! No!

IL VISCONTE DI LORGERIL: Non furono che reclames. Egli non ha mai combattuto.

VITTOR HUGO:Le interruzioni non m'impediranno di esprimere le mie opinioni. Egli ha combattuto... (Nuove interruzioni).

Molte voci a destra: No! No!

A sinistra:Sì! Sì!

VISCONTE DI LORGERIL: Ha fatto le mostre.

Un membro a destra: Comunque sia, non ha vinto.

VITTOR HUGO. "Io non voglio offendere alcuno in questa assemblea, ma dirò che egli è il solo, dei generali che hanno combattuto per la Francia, il solo che non sia stato vinto.

(Reclami rumorosi a destra. Applausi a sinistra)."

Il tumulto durò molto tempo. "All'ordine!" gridavano molti. "Garibaldi è una comparsa da melodramma," gridè il reazionario e clericale visconte di Lorgeril "Non fu vinto perchè non combattè". Ed il signor Richier: "Un francese non può ascoltare parole simili a quelle che furono pronunziate dal signor Hugo". - Il generale Ducrot protestava clamorosamente da un palco di prim'ordine. Finalmente, quando la calma fu ristabilita, Vittor Hugo annunziò che, non riuscendo a farsi ascoltare, dava la dimissione, e sceso dalla tribuna scrisse la sua lettera di dimissione sul banco degli stenografi. Invano il presidente tentò di dissuaderlo. "No, no, diss'egli con insistenza, non rientrerà mai in questa assemblea" ed uscì dalla sala.

Ecco qual'era l'assemblea francese da cui la Francia doveva sperare una tregua ai tanti mali sofferti. Ecco quali erano gli uomini eletti dalla maggioranza dei ruminanti come Rochefort, con adattatissimo vocabolo, classificò i provinciali che avevano già coll'opera sua imposti alla Francia i famosi sì dell'ultimo plebiscito.

LA RIVOLUZIONE.

Il 18 marzo eccitata dagli uni, conseguenza logica della mala fede degli altri, voluta dalla inevitabile fatalità delle cose, la rivoluzione fu padrona del campo e terribile levò il suo ruggito. Seguendo lo sviluppo dei fatti che travolsero nel vortice apertosi tante vittime umane, noi avremo un'uguale parola, un'uguale misura... Sovra le due fazioni che si lanciarono l'una contro l'altra, pesa una tremenda responsabilità, quella di una guerra civile compiutasi sotto gli occhi dello straniero che era là sinistro spettatore di quell'orrendo macello, e che in mezzo a quel lago di sangue vede scomparire la grandezza d'una nazione. Forse d'innanzi alla difesa dell'onore nazionale, innanzi all'idea di liberare il suolo francese dall'invasione era dovere di carità cittadina sagrificare ogni rancore, ogni disgusto, ogni legittimo reclamo sull'altare della Concordia che poteva ancora salvare la Francia; ma in mezzo a quel turbine spaventevole, che è una rivoluzione, quale sguardo può leggervi arditamente e con serena coscienza farsi giudice di quell'eruzione che come il vulcano non ha traccie nè limiti finchè l'impeto della sua foga distruttrice siasi esaurito?... Accanto alla santità di nobili principii proclamati, di generose aspirazioni santificate coll'abnegazione, suggellate col sangue, v'ha commisto il buio di tenebre inesplorate. Agli eroi che combattono e muoiono è necessaria legge delle rivoluzioni, massime se non hanno un chiaro, supremo, irremovibile scopo, che vi si congiunga il feciume criminoso dei bassi stratti sociali... e che alle sublimi aspirazioni dell'anima si uniscano ed emergano quasi per disonorare la barricata eletta a tutela dell'indipendenza del proprio paese, le basse passioni e le piccole ambizioni che vi cercano o un appoggio, o un tornaconto.

Come le grandi tempeste le rivoluzioni unitamente alla terribile, aperta e gigante furia delle onde, che rasentano il cielo, rimescolano la melma del fondo.

La limpida acqua si intorbidisce ed in quella notte, in cui i martiri scompaiono, i mostri mettono fuori il capo.

Fortunate quelle nazioni dove il fermento delle buone idee, è tale da rimettere presto con attenta ed onesta opera la purezza e l'equilibrio negli elementi sociali.

Il governo aveva già tentato la notte del 16 al 17 d'impossessarsi dei cannoni che stavano in potere delle guardie nazionali schierate sulla piazza reale, sorprendendo le guardie che li custodivano.

Quel tentativo non riuscì in causa di una difesa improvvisata che vi oppose la guardia nazionale istessa.

Alla mattina del 18, la città fu risvegliata dal rullo dei tamburi che battevano la generale. Il cielo era nebbioso; faceva un freddo piccante. Le guardie nazionali si recavano lentamente ed in piccol numero alle caserme.

Diversi pelottoni di gendarmi a cavallo scortavano colla sciabola in pugno alcuni carri vuoti che andavano verso i boulevards.

Un proclama del governo era stato affisso durante la notte. Stanchi di attendere che l'agitazione finisse da sì, il capo del potere esecutivo ed i ministri si dichiarano pronti a finirla con la forza.

L'azione aveva seguito davvicino le parole. Sino dall'alba un cordone di truppe regolari si era steso da Battignolles alle Buttes Chaumont. Alle otto il generale Vinoy alla testa di parecchi battaglioni di linea e di alcune compagnie di gendarmi si trovava in piazza Pigalle. Un parlamentario fu spedito verso la collina Montmartre.

I militi della repubblica sociale erano in piccol numero. Essi si dicevano pronti a rendere i cannoni non alla truppa, ma alla guardia nazionale.

Siffatta risposta non soddisfece il generale Vinoy che ordinòtosto di marciare all'assalto.

Egli aveva sotto i suoi ordini dei battaglioni disparati; presi qua e là fra i reggimenti arrivati dalle provincie. Appena giunti sulla piazza San Pietro, i soldati levarono il calcio dei loro fucili in aria per fraternizzare coi ribelli. La cosa ebbe luogo nel modo più strano e col maggiore disordine. Le guardie nazionali emisero alte grida di gioia.

Una scena quasi consimile avveniva intanto in un altro punto di Parigi.

All'entrata del boulevard Ornano, stava un forte corpo di truppe di linea che occupava anche i balconi e le finestre delle due parti della strada; quando si vide avvicinarsi da lontano una grossa colonna che occupava la strada da una parte all'altra, e si avanzava con passo fermo verso le truppe.

In un batter d'occhio quelli che si trovavano in quella strada, si rifugiarono nelle case perchè una collisione sembrava imminente; ma una guardia nazionale si avanzòsola gridando "N'ayez pas peur, il n'y a pas de danger." Alla testa della colonna marciava un gruppo di soldati di linea, che vociavano, ridevano e guidavano quella colonna. Appena giunsero alla distanza di 20 a 30 passi dalle truppe di linea del boulevard Ornano, i soldati che erano alla testa delle guardie nazionali e che servivano loro come di riparo gridarono "Viva la Repubblica!". Questo sembrò essere il segnale per tutte le truppe regolari di gettare in aria il calcio dei fucili, movimento al quale fu risposto da tutta la guardia nazionale con grida entusiastiche di Vive la ligne!

Per qualche istante non si vedevano che calci di fucile in aria e non si udivano che le grida di "Vive la ligne! Vive la Republique!" I soldati che si trovavano ai balconi ed alle finestre, e che erano stati posti colà per far fuoco sulle guardie nazionali, vennero già invece, e le abbracciarono. Le donne spargevano lagrime di gioia e parlavano dei loro figli e fratelli che erano "sous le drapeau." Vi furono allora abbracciamenti, strette di mano, baci e tutte quelle estreme dimostrazioni di fratellanza che erano un bisogno di quell'espansione. Gli ufficiali sembravano alquanto imbarazzati per quell'episodio, ma si comportavano con tutta la disinvoltura permessa dalle circostanze.

Frattanto, il comitato centrale aveva avuto il tempo di trasmettere degli ordini ai battaglioni fedeli. Uno o due erano già arrivati sulla collina di Montmartre, quando il generale Vinoy fece marciare un'altra parte dei suoi soldati che ripeterono la stessa brillante manovra dei loro compagni. Gli insorti, incoraggiati da questi successi, discesero per la via Houdon verso la piazza Pigalle, gridando al generale Vinoy ed ai suoi: "Rendetevi! Rendetevi!". Un capitano di gendarmeria ordinòil fuoco. Si tirò da una parte e dall'altra. Il capitano, colpito nel petto, cadde freddo col suo cavallo. Vi furono diversi feriti ed alcuni morti. I suoi gendarmi tenevano duro. Il resto delle truppe si sbandava. Il generale Vinoy fu obbligato a ritirarsi.

Alle nove e mezzo, la bandiera rossa sventolava vittoriosa sulla Butte Montmartre, ed i cittadini del luogo dividevano a pezzi tra loro il cavallo del capitano di gendarmeria.

IL TRIONFO DELLA COMUNE.

Un movimento di reazione contro il governo rivoluzionario si andava pronunciando in una parte della popolazione parigina. Il signor Alfredo Bome, sarto, capitano della guardia nazionale, si fece contatore di questo movimento facendo per via d'avvisi un appello agli amici dell'ordine.

Alla mattina del 21 marzo, il comitato mandè per arrestarlo, ma il signor Bome s'era messo in salvo.

Verso l'una egli fece appendere una bandiera ad un albero, innanzi alla sua porta. Su quella bandiera stava scritto: Viva l'ordine!

In breve numerosi gruppi si formarono sul boulevard vicino alla porta del signor Bome. La bandiera fu staccata dall'albero.

Un soldato di linea la portava. Circa mille persone lo seguivano, ad ogni passo la folla si ingrossava. S'udivano le voci: Viva l'assemblea! Viva il Comitato! Viva l'ordine!

Si parlava, si ciarlava, tutto andava bene fino all'ingresso della piazza Vendème, dove alcuni battaglioni di guardie nazionali dell'insurrezione impedirono loro il passo incrociando le baionette.

I tamburi battevano la carica, ma quel rullo triste e ferale era quasi interamente coperto dalle grida Viva l'ordine! Viva la Repubblica!

Un gruppo di cittadini che era sboccato dalla via nuova dei Cappuccini, portando una bandiera tricolore, si avanzòdi fronte alle guardie nazionali armate che ne sbarravano il passaggio.

Scoppiano varii applausi, si agitano dei fazzoletti; si ha speranza di un felice scioglimento. Vinte da questa dimostrazione pacifica già alcune guardie armate alzano il calcio del fucile.

Si sentiva che dopo alcuni secondi l'insurrezione avrebbe ceduto d'innanzi alla conciliazione.

Una di quelle sinistre sfingi che dovevano poi gavazzare nel massacro delle fucilazioni sommarie del giugno, stava in mezzo a quel gruppo. Era un gendarme che cavalcava poco discosto dal cittadino che portava la bandiera. Intorno alla bandiera il gruppo erasi reso più fitto. Le guardie dell'insurrezione ad un movimento che fece la folla avanzando, incrociarono le baionette. Non era un atto ostile, era un atto di difesa.

Il gendarme scaricòsulle guardie un colpo di revolver.

Fu il segno fatale.

Una scarica per parte delle guardie che risposero a quel colpo provocatore, colpì il gruppo che erasi stretto intorno alla bandiera.

In un batter d'occhio la via della Pace fu coperta di gente ferita, morta o sbattuta a terra dalla folla disordinata che si sbandava fuggendo da ogni sbocco.

L'allarme si sparse subito nei quartieri del centro. Tutte le botteghe, tutti i caffè furono chiusi. Gli amici dell'ordine gridavano che le dimostrazioni pacifiche non erano buone a nulla, ma gridavano molto, e nessuno prendeva un fucile.

Verso le 5 una dozzina di cadaveri avvolti in coperte, e dei quali non si era potuto constatare l'identità, erano condotti alla Morgue. Dovunque passavano quei cadaveri, ogni capo si scopriva, ed ogni labbro faceasi muto. Il cuore soltanto palpitava di sinistri presentimenti.

Chi aveva provocata quella prima strage?... Sempre!... Sempre questi vigliacchi satrapi!...

Prima dell'alba del 23, i quartieri del centro, eccetto lo spazio compreso fra la piazza Vendème e l'Hòtel de Ville, appartenevano alle guardie nazionali conservatrici. Esse non fecero alcun tentativo sulle due piazze cinte di barricate, irte di mitragliatrici e di cannoni. Dalla parte Nord, rimpetto la via della Pace, a pochi passi dagli avamposti del Comitato, fu stabilito un posto dagli amici dell'ordine. Le sentinelle nemiche si guardavano dai due marciapiedi. Il grand'Hòtel, occupato da un battaglione fedele all'assemblea, divenne come un centro di arruolamento. Borghesi, militari, allievi della scuola politecnica, cittadini d'ogni ordine andavano là, per mettere il loro braccio al servizio della causa dell'ordine. L'ammiraglio Saisset trasportòil suo quartier generale alla stazione di Saint-Lazare, per trovarsi in più rapida comunicazione con Versailles. così stettero le cose fino al giorno 25: nel quale il vice-ammiraglio Saisset pubblicòquesto proclama:

!Investito del comando in capo delle guardie nazionali della Senna, e d'accordo coi signori sindaci di Parigi, eletti dal suffragio universale, io entro in funzioni a cominciare da oggi.

Io non ho altro titolo all'onore di comandarvi, miei cari concittadini, che quello d'essermi associato alla vostra eroica resistenza, difendendo con ogni mia possa contro il nemico, sino all'ultima ora, i vostri forti e le vostre posizioni poste sotto il mio comando.

Appoggiandomi sui capi eletti delle nostre municipalità, io spero di riescire con la persuasione e i savii consigli ad operare la conciliazione di tutti sul terreno della Repubblica, ma sono fermamente risoluto a dare la mia vita, se fa d'uopo per la difesa dell'ordine, il rispetto delle persone e della proprietà, come il mio unico figlio dià la sua per la difesa della sua patria. Stringetevi attorno a me. Concedetemi la vostra fiducia, e la Repubblica sarò salva.

La mia divisa rimane quella dei marinai:

Onore e Patria!Il viceammiraglio comandante le guardie nazionali SAISSETE.

Intanto i maires di Parigi trattavano col Comitato. Le trattative andavano a rilento. Il Comitato, per affrettarle, spedè tre battaglioni e quattro mitragliatrici alla mairie del secondo circondario, situata in via della Banca. Diversi magistrati municipali stavano riuniti colò. I tre battaglioni e le quattro mitragliatrici si fermarono in fondo alla via Vivienne. Alcuni delegati del Comitato centrale furono ricevuti dai magistrati municipali. Si discusse lungo tempo. Infine si convenne che le elezioni sarebbero prorogate al giorno 30.

I delegati diedero la buona notizia ai tre battaglioni, che alzarono il calcio dei fucili in aria. A questo segno, le guardie nazionali conservatrici si fecero da banda per lasciarli passare. Essi sfilarono lungo i boulevards, gridando viva la repubblica e viva la Comune. La voce che un accordo era avvenuto si sparse rapidamente nella città.

Ma il Comitato centrale non volle accettare la convenzione fatta dai suoi delegati. Esso rifiutònettamente di prorogare per una terza volta le elezioni. Ogni tentativo fu inutile. Le probabilità di una lotta fratricida parevano ritornate. Gli amici dell'ordine aveano comperate diverse altre mitragliatrici. I generali della repubblica sociale facevano fortificare maggiormente le barricate della piazza Vendème e del Palazzo di città.

Alcuni magistrati municipali e sei deputati della Senna, vollero ad ogni costo evitare la guerra civile. Essi acconsentirono alle elezioni immediate, ed invitarono i cittadini ad accorrere numerosi alle urne.

E così avvenne che mentre l'ammiraglio Saisset col suo proclama si diceva d'accordo coi maires, gli stessi maires mandarono fuori quest'altro, col quale essi si mettevano d'accordo col Comitato.

REPUBBLICA FRANCESE

libertà, fratellanza, uguaglianza, giustizia.

I deputati di Parigi, i sindaci e gli aggiunti eletti, reintegrati nelle mairies dei loro circondari, e i membri del Comitato centrale federale della guardia nazionale, convinti che il solo mezzo di evitare la guerra civile, l'effusione del sangue a Parigi, e in pari tempo di consolidare la Repubblica è di procedere alle elezioni immediate, convocano per domani, domenica, tutti i cittadini nei Collegi elettorali.

Gli abitanti di Parigi comprenderanno che nelle attuali circostanze il patriottismo li obbliga d'andare tutti a votare affinchè le elezioni abbiano quel carattere serio che solo può assicurare la pace nella città.

VIVA LA REPUBBLICA! (Seguono le firme di cinque rappresentanti della Senna presenti a Parigi e quelle dei sindaci e aggiunti).

Dopo ciò Saisset credette che a Parigi non c'era altro da fare e se ne andè a Versaglia. Partì da Parigi a piedi; per non essere riconosciuto, si era messo un paio d'occhiali e teneva in mano un numero del Rappel.

Poco dopo aver passato la porta, l'ammiraglio salì in una vettura che l'aspettava e arrivòa Versaglia senza impedimenti.

Dopo la partenza dell'ammiraglio il partito dell'ordine rimase scoraggiato, e abbandonòogni idea di resistenza. La rivoluzione dominòin Parigi senza contrasto.

Tutte le guardie nazionali dell'ordine ritornarono immediatamente alle proprie case. I battaglioni dell'Hòtel de Ville abbandonarono dal canto loro varie posizioni occupate, levando su molti punti le barricate erette, ma conservando la piazza Vendème, quella dell'Hòtel de Ville, Battignolles, Montmartre e Belleville.

Mancando il tempo materiale di convocare gli elettori, i cittadini si radunarono per le strade, ed i boulevards, dalla Bastiglia alla Madeleine, presentavano dalle nove ore a mezzanotte uno spettacolo dei più interessanti. Centinaia di gruppi si erano formati, ed ovunque, dopo essersi scagliati contro l'assemblea ed approvata la condotta conciliatrice dei maires e deputati di Parigi, si conchiudeva da molti colla necessità di recarsi tutti l'indomani a votare, onde insediare al più presto un potere municipale legalmente eletto.

Le elezioni avvennero dunque in Parigi il 26 marzo.

La votazione fu scarsa, in causa della precipitazione in cui fu ordinata, del consiglio d'astensione, tanto facile a seguirsi, dato da varii giornali e finalmente per l'assenza da Parigi di quella parte della popolazione che aveva abbandonato Parigi minacciata dalla guerra civile.

Duecentomila elettori si recarono alle urne, e, meno pochi quartieri aristocratici, l'affluenza degli elettori fu numerosa e relativamente proporzionata al numero degli inscritti. Giammai elezioni avvennero con maggior calma e tranquillità, sia durante la votazione, che durante lo scrutinio. La città riprese il suo aspetto ordinario. Tutte le botteghe eransi riaperte, i pubblici passeggi invasi da una moltitudine gaia e noncurante.

Intanto il nuovo governo pensava a fortificarsi contro qualunque attacco.

Alla piazza Vendème i cannoni che erano stati levati dalle barricate vennero rimessi in posizione.

A Batignolles si eressero nuove barricate e per poter liberamente circolare in quel quartiere come in quello di Montmartre, senza deviare dal proprio cammino od allungarlo, i passanti venivano costretti, pro forma, a concorrere all'erezione di quelle barricate. Citoyen, votre pierre! si gridava e il passeggiero doveva raccogliere da terra una pietra qualunque e posarla sulla barricata.

Qualunque dovesse essere l'esito della lotta che stava per cominciare, il fatto era compiuto. Parigi si era emancipato col governo di Thiers.

Il guanto era stato lanciato, ed i due partiti si misurarono corpo a corpo. Luis Blanc scriveva in risposta a Cernuschi, che gli chiedeva quali fossero le sue idee sulla Comune e sulla posizione dei due movimenti.

"Desiderate sapere se sono rimasto socialista. La vostra curiosità sopra questo punto deve essere ben grande poichè è la seconda volta che me lo chiedete pubblicamente.

Permettete d'aggiungere che se ciò ignoravate, non lo è per colpa mia, poichè nelle mie lettere al Temps non ho mai trascurata una occasione per far conoscere le mie convinzioni politiche e sociali, ed ancora recentemente, spiegai, sviluppai, e difesi queste, in un libro pubblicato in Francia sotto il titolo La Rivoluzione di febbraio.

vero, dal momento che ritornai dall'esilio per rinchiudermi in Parigi assediata, i miei pensieri e la mia mente erano interamente occupati da ansietà grandissima pelle sventure della mia patria; ma quello che ero, quello sono. Al momento presente mi sento attirato con tanta forza quanto sempre, verso lo studio del problema da lungo tempo definito nei seguenti termini:

Il miglioramento morale, intellettuale e fisico, nella condizione della classe più numerosa e più povera, mediante la cooperazione e gli sforzi, anzichè coll'antagonismo, e mediante associazione, anzichè con conflitto.

Se riguardo ai mezzi pratici da impiegarsi per arrivare gradatamente alla soluzione di questo grande problema, venti anni d'osservazione e di studio sincero avessero modificato le mie idee, mi considererei obbligato dall'onore di dichiararlo. Questo dovere non lo ho. La ragione forse è che il modo erroneo fu preso per convincermi essendo le mie opinioni state poste in ridicolo e calunniate piuttosto che discusse.

In quanto al rimprovero indirizzatomi d'appartenere ad un partito che, per citare le vostre parole, "teme di danneggiare l'edifizio secolare dell'unità reale, e teme l'apparizione d'una costituzione federale, dalla quale verrebbe spezzata la catena del passato" intendiamoci.

Lo spezzare la catena del passato, lo credo nè desiderabile nè possibile, pella semplice e ben nota ragione che il passato è genitore del presente, il quale a suo posto è genitore del futuro. E stimerei cosa da deplorarsi, se la catena del passato potesse essere spezzata, che lo fosse pel vantaggio del federalismo che sembrate desiderare. Se la sola cosa da farsi sarebbe il danneggiare l'edifizio secolare dell'unità reale, un vecchio repubblicano quale io sono, non sarebbe spaventato da un simile risultato. Ma il principio pel quale io pugnerà sino a tanto che potrò tenere la penna, è quello che la Repubblica proclamò; quello dal quale ebbe la sua forza per schiacciare la coalizione dei re: quello espresso da quelle parole che spiegano tante vittorie e richiamano tanti grandi fatti. - "Repubblica una e indivisibile!"

La Francia avanzando unita e compatta alla conquista pacifica della sua libertà e di quella del mondo, con Parigi, - l'immortale Parigi - per capitale, è un prospetto che mi piace molto più, lo ammetto - che la Francia, divisa come quel federalismo italiano del medio evo, che era la causa continua di contese interne in Italia, e che la consegnava, lacerata da sì stessa, ai colpi d'ogni straniero invasore.

Non mica ch'io sia in favore della centralizzazione portata agli estremi. - Lungi da ciò. Io considero che la Comune rappresenta l'idea d'unità non meno veramente, che lo Stato, sebbene sott'altro aspetto. Lo Stato corrisponde al principio di nazionalità; la Comune corrisponde al principio d'associazione; se lo Stato è l'edifizio, la Comune ne compone le fondamenta. Ora dalla solidità delle fondamenta dipende quella dell'edifizio.

Da ciò segue che riconoscendo il diritto della Comune di governare se stessa, d'eleggere i suoi magistrati, principiando dal Maire, di controllare i loro fatti, di provvedere in una parola a tutto ciò che costituisce la sua propria esistenza, per tutto ciò che la sua autonomia realizza, la causa dell'unione nazionale è realmente servita.

Ma come è necessario che le municipalità sieno libere nei loro movimenti - in tutto ciò che specialmente le riguarda - così pure è necessario che il legame che le unisce una all'altra e le attacca ad un centro comune sia stretto vigorosamente. Come il decentramento è necessario in tutto ciò che riguarda interessi locali, così sarebbe pericoloso se esteso a interessi generali. Soffocamento, no; unione sì. Di certo nessuno negherà che è di buon senso l'attribuire - ciò che è personale all'individuo; ciò che è comunale alla Comune; ciò che è nazionale alla nazione.

La difficoltà sarebbe di segnare una linea di distinzione bene definita, fra queste diverse classi d'interessi, se i mezzi di distinguere l'una dall'altra non fossero quasi sempre forniti dalla stessa natura delle cose, ed inerente nelle leggi dell'evidenza. Sotto qualunque circostanza ciò è materia di libera ricerca e libera discussione. Ma ahimò! quanto lontano sembra ancora il giorno in cui quella massima che l'accumulare dei sofismi ha resa sì oscura diverrò un assioma - òla forza non fonda nulla perchè nulla stabilisce!

Di fatti cosa ha luogo? Tuona il cannone; l'abisso s'apre: ammazziamo; moriamo; e tale è la fatalità della situazione, che quelli entro l'assemblea e quelli di fuori che darebbero la loro vita per vedere questo sanguinoso problema sciolto in modo pacifico, sono condannati alla tortura d'essere incapaci di fare un solo atto, di emettere un grido, di dire una parola, senza correre il rischio di provocare manifestazioni contrarie all'oggetto che si propongono, e senza esporsi in questo modo ad irritare la malattia, o avvelenare la piaga. Fuvvi mai miseria come questa? E quando il ritorno a pace civile dipende per un lato, dalla ricognizione formale della sovranità del popolo, che è il suffragio universale che lo esprimerà in modo più intelligente, in proporzione che l'organizzazione viene ammigliorata, e per l'altro lato sulla consacrazione senza rancore di tutto ciò che costituisce libertà municipale, è concepibile che invece di cercare una via d'uscita da tanti mali, in una politica di pacificazione, di conciliazione e d'obblio, i francesi continuino a tagliarsi l'un l'altro la gola, sotto gli occhi del nemico, che le nostre discordie rinforzano, e sotto quelli del mondo che scandalizzano? Oh! guerra civile, inoculata sì fatalmente sopra guerra straniera! Lotta orrida, fatta fra una notte intellettuale, che un solo raggio di pensiero dovrebbe da per sì dissipare, vi è una cosa che uguaglia i tuoi orrori, ed è la tua follia!"

LOUIS BLANC

La lotta infatti facevasi ogni giorno più spaventevole e più accanita. La difesa di tutti i punti armati, fino a Vanves ed a Issy, fu eroica. Il generale Cluseret lo proclamòaltamente abbandonando il forte crivellato di palle.

Il forte Issy resistette un mese contro le formidabili artiglierie dei Versagliesi che ritornavano quasi tutti i giorni all'assalto.

La batteria stabilita tra Meudon e Chatillon dagli insorti, cagionava ai Versagliesi serj guasti.

Quattro granate tirate dagli insorti su Breteuil avevano smontato un cannone nemico ed uccisi diversi artiglieri di marina.

I Versagliesi da parte loro tiravano a gola spianata contro il forte d'Issy - gli orrori della guerra aumentavano.

A Neuilly i viveri mancavano completamente - molti di quegli infelici abitanti, che eransi rifugiati nelle cantine onde sfuggire al bombardamento vi erano morti della morte la più orribile. Di fame!...

In una cantina si trovarono perfino 36 cadaveri umani deformati dalla più spaventevole delle agonie.

Frattanto nel seno stesso della Comune sorgevano discussioni fatali, diffidenze e rancori personali. Il Temps aveva suggerito un piano di conciliazione e dai più assennati della Comune era stato accettato. Pascal Grousset delegato agli affari esteri, aveva perfino dichiarato che la Comune stessa desiderava la conciliazione.

L'uomo che vi si opponeva, che per nulla voleva transigere... armato soltanto della sua alterigia, del suo orgoglio infame!... delle sue mire liberticide, a cui tutto voleva sacrificare, - il vigliacco ipocrita che sotto l'idea dell'ordine nascondeva il rancore personale!... Il vecchio ebete che nulla capiva nè delle aspirazioni del secolo, nè del pericolo in cui travolgeva la Francia, che non conosceva nè cose, nè uomini!... era Thiers.

A Parigi il disordine cresceva ognor più... se molti degli uomini della Comune erano onesti - se saggi erano molti dei principii che informavano quel movimento che poteva essere l'ultimo baluardo della libertà francese, mancava una mente atta a comprenderlo, a guidarlo!... - Cluseret era stato minacciato d'arresto, e Rossel era stato nominato provvisoriamente delegato di guerra.

Egli stesso scrisse una lettera alla Commissione esecutiva in cui, accettando il posto, diceva abbisognarli tutto il concorso il più assoluto per non soccombere nella lotta.

Il servizio telegrafico privato era stato sospeso provvisoriamente.

Il primo maggio udivasi uno spaventevole cannoneggiamento ed un fuoco continuato di moschetteràa su tutta la linea, dalla porta Maillot fino a Montmartre.

Tutte le batterie federali, comprese quelle delle alture tiravano a tutta volata.

L'effetto che tutto questo frastuono terribile, assordante, produceva nella città era tale, che il sangue gelavasi nelle fibre dallo spavento.

La Cecilia fu nominato comandante il forte d'Issy, - i Versagliesi tentavano un attacco definitivo.

Parigi giudicata da Petrucelli della Gattina.

Parigi, aprile.

Quel benedetto programma di cui vi diedi un riassunto nell'ultima mia, ha suscitato un diabolico garrito nei giornali partigiani dell'assemblea.

Doveva esser così.

Chi lo accusa di vago, chi di fantastico, chi di pattume di vecchi sofismi, chi di mancanza di senso pratico; ed ognuno a bezzicarlo dal lato che più lo molesta.

Due proposizioni però hanno destato una riprovazione unanime e generale; l'universalizzamento della proprietà e del potere; l'associazione delle Comuni autonome della Francia!

In queste due proposizioni, si è creduto scorgere che la Comune dimanda: il federalismo ed il comunismo.

Da cinque settimane, il partito che impera all'Hòtel de Ville ha subito dei quotidiani e profondi cambiamenti. Il comitato centrale è stato annullato. Ventisei membri eletti hanno dato la loro dimissione per incompatibilità di principii - e ieri ancora si ritiravano due uomini notissimi, Fòlix Pyat e Rogeard - l'autore dei famosi Propositi di Labieno. Degli uomini comunemente noti non rimangono che l'equivoco Delescluze. Io non so più, alcuno non sa più chi siano, cosa siano, cosa vogliano gli uomini che compongono la Comune di oggidè. L'Internazionale sembra messa da parte, e ieri si parlava altresì di un nuovo arresto di Assò. Potria dunque esser possibile che dessi avessero tendenze comuniste, o piuttosto socialiste, nel senso di Fourier. è incontestabile ad ogni modo che essi sono federalisti, e che navigano in quel vago tenebroso che addimandasi la repubblica universale.

Noi non vogliamo nè accusarli, nè scusarli, non essendo più con loro le nostre simpatie. Vogliamo precisare.

La politica, scienza di fatti, più che ogni altra, dovrebbe usare dell'esattezza del linguaggio algebrico: ed allora, per ventura dei popoli, tutto ciò che il governo parlamentare ha di ciarlatanesco scomparirebbe.

Per insensata però che si voglia supporre la coda dell'attuale Comune, essa deve sapere che in Francia, come altrove, il comunismo alla maniera di Baboeuf e di Cabet è un delirio. Essa sa pure, per la sperienza che ha delle associazione operaie e dalle proposte che faceva il sindacato di trentadue di queste associazioni, che il socialismo, quale fu professato nel 1848, non è di voga; è stato smantellato da quel rude pugilatore che fu Proudhon, e da altri e poi altri della scuola economica; non è adesso altrimenti che una rosea visione di un avvenire identico, che l'angelo del lavoro guarda con la sua spada di fuoco; non seduce più l'operaio serio, che oggi si batte, non per la confusione nel falanstero, ma per la libertà dell'officina. Noi non possiamo quindi credere che per quella frase infelice: universaliser le pouvoir et la proprietà, la Comune abbia voluto intendere la uguaglianza assoluta, od anche il socialismo nella guerra al capitale, all'eredità, alla proprietà, al tabernacolo santo della famiglia.

Per l'universalizzamento del potere, la Comune ha voluto dire probabilmente, che tutte le cariche pubbliche sarebbero delegate per suffragio al popolo; che la sovranità integrale resta così inerente al popolo, e che per tal guisa il potere sarò universale. Per l'universalizzamento della proprietà - se ciò significa qualche cosa - sembraci che non abbiasi dovuto intendere altro che l'abolizione del salario, e la partecipazione uguale dei produttori al prodotto. Ora, come oggi la produzione appartiene al capitale, il quale si redime della parte spettante altrui col pagamento di un salario, egli avverrebbe, che la proprietà si universalizzerebbe, se tutti coloro che concorrono a crearla vi avessero la loro debita parte.

Non ho bisogno di aggiungere che alcuno non ha dato questa benevola spiegazione all'assioma scuro del programma, neppure i giornali favorevoli alla Comune. E la ragione è chiara.

Questa ha bisogno adesso di tutte le forze quindi ha bisogno di accecarle tutte nell'indeterminato crepuscolo di un linguaggio, a cui domani si darò il senso che le circostanze detteranno. Ed è ciò appunto che i giornali nemici non le consentono, attribuendole i disegni i più sinistri.

più vivo è stato l'attacco a proposito del federalismo. Ma, su questo terreno, i lottatori si sono battuti nel buio. Bisogna intendersi però; dappoichè il federalismo non è solo all'ordine del giorno in Francia. Esso lo è in Italia, in Austria, in Spagna; e qui piglia le forme di ribellione, là di reazione, altrove di progresso e di libertà; in Austria resta monarchico; in Spagna e Francia assume divisa repubblicana; in Italia gli uni si accomoderebbero dei vecchi principi, gli altri vorrebbero la repubblica.

Il rumore che fa questa parola gli è perchè si fa del federalismo l'antitesi e l'antipodo dell'unità.

Ora, ciò non è.

L'unità è un principio, un principio assoluto. Il federalismo è una modalità, un metodo, una forma di governo.

Il federalismo può coesistere con l'unità nazionale. Cosa è infatti il Regno-Unito, o l'Inghilterra? una Confederazione dell'Irlanda, della Gran Bretagna, le quali conservano ciascuna certe specialità politiche ed amministrative, benchè tutte abbiano un sol potere esecutivo, un solo parlamento, ed in generale un'uniforme legge organica dello Stato. Gli Stati Uniti, benchè una confederazione di ventinove Stati, e alcuni territori che mano mano van diventando Stati, è tuttavia una nazione: l'America del Nord. La Svizzera è nelle stesse condizioni. La federazione non è dunque l'assoluta negazione dell'unità, come qui si vuole far asseverare alla Comune. Essa è una facilità della forma governativa, prodotta dalla storia come in Inghilterra; creazione della geografia diplomatica, come la Svizzera; necessità della resistenza, della diversità dei culti, dell'etnologia e della sterminata estensione del suolo - oltre le ragioni - come nell'America del Nord.

Le ragioni di razza renderanno, fra non guari, necessaria questa forma di governo nella bicipite Austria; nè perciò l'Austria cesserà di esistere, o diventerà meno potente, o sarò un fattore meno glorioso della civiltà. Ed è ciò appunto che si rimprovera alla Comune: di voler disfare in Francia l'esistenza, il potere, la civiltà, disfacendo l'unità.

In Francia vi è la tradizione dell'unità, radicata nelle due fazioni che dividono la società francese.

La monarchico-clericale attinge questa tradizione di lontano. Essa la data da Luigi XI; la dice completata da Richelieu; incarnata in Luigi XIV, il quale la perfezionòfino a poter dire: Lo Stato sono io!

La fazione giacobina attinge la tradizione all'89, quando la Francia degli Stati, delle caste, degli ordini fu livellata; quando gli Stati divennero dipartimenti; le caste e gli ordini divennero il popolo; il tutto fu addimandato Nazione. Non vi fu più nè Piccardia, nè Normandia, nè Borgogna, nè Anjou, nè alcun'altra provincia; vi fu la Francia.

Un lavoro di amalgamazione analogo avevano compiuto in Ispagna, coi regni Ferdinando ed Isabella, Carlo V e Filippo II.

Cosa dimanda il federalismo rivoluzionario ne' due paesi?

La demolizione dell'opera della monarchia. Dimandar il ritorno agli antichi ordini è desso un regresso? Gli è un dimandare il dislocamento della nazione? Nulla di ciò.

I re di Lione, di Aragona, di Castiglia, di Navarra erano re spagnuoli, governavano un popolo spagnuolo, rappresentato con l'amplissima libertà dei fuoros e dalle Cortes.

I sessantuno grandi feudi, sotto Ugo Capeto, che poi divennero le ottanta provincie, grandi e piccole, e più tardi circa quaranta governi, grandi e piccoli, avevano capi, donni, amministratori, con larghi privilegi, ch'erano pure francesi, come francese era il popolo. Queste divisioni mobili, godenti di vecchie franchigie, erano al postutto divisioni amministrative, ordinate o rispettate dai re o dipendenti da loro come signori suzerrini, che non alteravano punto l'unità nazionale, neppure con la ribellione di questo o di quel capo.

Se dunque quando esistevano questi reami, questi feudi, queste provincie, questi governi non disgregavano la compage nazionale, come potriano disfarla adesso, quando la ricostruzione che si dimanda non ha altro significato che la rottura delle catene dell'accentramento, l'applicazione del municipio del self-governement amministrativo, cui riconosce politicamente allo Stato: il rispetto della libertà individuale e di domicilio applicata all'ente comune? Un federalismo inteso così, in queste condizioni, in questi termini, in questi paesi che godono di una tradizione storica nazionale, lungi dall'essere un attentato contro la patria, noi troviamo che è un passo nel progresso amministrativo, nella libertà e nel rispetto che debbesi ad un popolo, la di cui maturità politica è sanzionata dal suffragio universale.

Vi è bene un federalismo retrogrado e colpevole, ed è quello appunto che reclamano il partito monarchico-clericale e repubblicano italiano.

In Italia vi furono sette Stati, ove il popolo era ben italiano, ma dove i governi - tranne il sabaudo - erano tutti stranieri - austriaco o spagnuolo, e peggio ancora, cosmopolita. Il papale. L'unità monarchica, espressione dell'unità del popolo, ha sbarbicati questi governi stranieri. La ragione di essere del federalismo monarchico-clericale saria di ristaurarli; la colpa del federalismo repubblicano saria di spianare la via al loro sollecito ritorno, mediante l'infiaccamento del legame nazionale, e dell'abolizione del suo simbolo, la monarchia, la monarchia unica!

In Francia, dove la monarchia e l'impero, con l'incentramento, s'immedesimarono la nazione, bisogna sgroppare per restituire la nazione a sì stessa. In Italia, dove la nazione era annullata mediante il suo partaggio fra dominatori stranieri, bisogna, al contrario, ricostruirla aggruppandola intorno ad un centro solo. La geografia aveva, come la natura, una Francia, una Spagna. La natura dava bene una penisola italica; ma la geografia politica segnava un regno di Napoli, un regno di Sardegna, un regno Lombardo Veneto, uno Stato Pontificio... Ed Italia? Zero.

L'Italia dovette dunque rifare una storia di rovescio di quella di Francia; e perciò, se qui la federazione saria un ascendere nelle spire del progresso, in Italia saria un discendere verso le caligini del passato.

è mestieri d'aggiungere che federalismo e discentramento non sono punto una stessa cosa, e che, anche presso di noi, respingendo l'uno si debbe sollecitare la realizzazione dell'altro, non fosse che per combattere il federalismo che il discentramento?

In sostanza, anche qui, anche come lo intende la Comune, il federalismo non è che un vasto discentramento. Ed è perciò che degli spiriti vasti e serii, come gli uomini dell'Unione repubblicana, dell'Unione delle Camere sindacali del commercio, a cui aderirono l'altra sera ventisette Camere sindacali di società operaie, non ripudiano la Comune, avvegnachè ne condannino gli atti oltre la loro competenza municipale.

La Comune è un Governo rivoluzionario, in istato di guerra col Governo nazionale e con una parte dei suoi concittadini, i quali credono quel Governo solo legittimo e nel vero. Gli uomini che operano le rivoluzioni non sono di ordinario i più timorati, coloro che potriano concorrere per il premio della virtù Montyon. Se molti degli atti di questi uomini sono essenzialmente biasimevoli, perchè non addebitarne la colpa a coloro che, più virtuosi, più temperati avriano potuto concorrere col suffragio e con la persona alla composizione di una Comune più sennata, moderata ed illuminata? sì è voluto fare il vuoto intorno all'Hòtel de Ville; si è voluto astenersi. Gli scioperati sono quindi restati più liberi, ed imperano soli.

La Comune ha ricomposto il suo Consiglio esecutivo; e di che uomini! Basti dire che il più moderato e il più sennato è Cluseret - formato ai bureaux arabes, in Algeria - come chi direbbe uscito dalla scuola politecnica della pirateria! Del resto, non conoscendo gli altri, non so cosa dirne. So benissimo però che si esagerano enormemente gli atti arbitrari, cui la violenza della situazione produce. Ad ogni modo comparata con l'Assemblea di Versailles per saggezza, senso pratico, moderazione, magnanimità, la Comune primeggia come un faro sopra un moccolo.

Io ho la convinzione che il signor Thiers non reggerà lungo tempo. Di già si comincia la demolizione del suo Gabinetto. Picard non resterà. Jules Favre lo seguirò. - Questi due uomini non sono l'idolo della Francia: il partito repubblicano li disistima. Ma la loro caduta sarò il segnale di una reazione che allargherà la cerchia della guerra civile moralmente, e preparerà una resistenza nelle grandi città, che renderà l'esistenza dell'Assemblea impossibile. Questa è il pernio della discordia. Un'assemblea anche più trista - e lo sarebbe forse - non sveglierebbe tanti odii, tanti timori, tante ripugnanze. Senza la diversione della battaglia intorno Parigi, l'Assemblea non avrebbe adesso l'ombra di valore morale. Ora sventola come l'orifiamma della Francia perchè serve di padiglione al vascello dello Stato. Quando la bandiera della Comune sarò abbattuta, quella dell'Assemblea non sfrangerà lungo tempo i campi dell'aria.

I combattimenti sotto Parigi vanno sempre male per i federali. però i Versagliesi non avanzano gran che. Neuilly e Asniòres si possono oggimai dire neutralizzati. I federali non vi son più. Ma i Versagliesi non possono radicarvisi. Gli uni si ritengono sulla seconda sinistra, gli altri sulla destra della Senna. Ad ogni conto rimarrò il còmpito più arduo: pigliar d'assalto le mura, poi la città, barricata per barricata. Ed in fine, quando l'esercito del signor Thiers si sarò impossessato di Parigi, esso avrò pigliata una città nemica che abbomina l'Assemblea, e il signor Thiers più che non fu mai abborrito il tedesco.

La legge del fitto, essa sola, ha volto loro contro più di 200 mila parigini, i quali, pagando un fitto inferiore di 600 franchi annui, credevano di essere esonerati da una parte della pigione. La Commissione l'aveva sanzionato: la maggioranza ha respinto l'articolo 8 che legislava questa misura.

Che farò di Parigi nemica, l'Assemblea a Versailles? L'imperatore Napoleone III è caduto, vinto, non dall'orrore che ispirava a Parigi, ma dal semplice broncio di questa fantastica città. Da trentasei ore si combatte sullo spazio delle rive della Senna che intercede fra Neuilly ed Asniòres. Combattimento feroce, senza mercò, corpo a corpo, complicato di sciagure, come l'esplosione della polveriera a Neuilly, che seppellì meglio di settanta persone - non combattenti - sotto il conquasso. La battaglia nella città sarò occasione di fatti terribili, di ruine incalcolabili. La Comune passa. I suoi attori entrano in quella notte formidabile che chiamasi popolo; il Governo di Versailles resta, ed eredita tutti gli odii.

In Francia il vinto ha sempre ragione, chiunque esso sia.

Le prime angherie della Comune saranno obbliate. Le si conterà per bene che, potendo, e forse dovendo innalzare il patibolo, onde essere consentanea all'indole sua, non sparse neppure una gocciola di sangue: giuridicamente e rivoluzionariamente; non confiscò, come l'Austria, il re di Napoli, e Napoleone III; non istituì tribunali rivoluzionari; si lasciò discutere dalla stampa, contaminare d'ogni sporchizia, come fa quotidianamente l'Univers, e non ebbe che dei lampi di dispetto che la rimpicciolirono, invece dei ruggiti di collera che l'avrebbero ingrandita. Ecco ciò che si ricorderà quando il signor Thiers sarò entrato a Parigi, aprendosi la via con la mitraglia, e passando per la via sacra sopra i cadaveri di dodici o quindici mila francesi.

Regna una grande inquietudine nella classe placida della popolazione, e fra coloro che hanno relazioni con lo straniero. Dicesi che i cinquecento milioni scaduti della tassa di guerra siano già in potere del Governo, e che vadano subito ad esser pagati ai tedeschi. Con questo pagamento, secondo la capitolazione, costoro debbono sgomberare i forti al nord-est di Parigi, il dipartimento della Senna, e quello di Senna e Oise...

Se ciò avverrò, tutte le comunicazioni oltre Parigi saranno intercettate, e l'investimento della piazza sarò completo. Il bombardamento può essere, sarò generale. Comprendete dunque la costernazione di tutti - non esclusi i combattenti - i quali non sono abbastanza in forza per tenere tutta la cerchia di Parigi e sostenere battaglia in più punti ad un tempo. A Versailles vi sono già 140,000 uomini.

Io non ho veduto segno fra i tedeschi di questa partenza subita. Ma ciò potria arrivare da un momento all'altro, ed il segreto si conserverebbe appunto per fare giungere il fatto come un fulmine sulla città insorta. Che eccidio! che sconquasso, se l'assalto ha luogo, e se i fortilizi del nord-est, rivenuti in mano del signor Thiers, - che nel 1848 protestava contro il bombardamento di Palermo! cominciano a lanciare obici sui quartieri popoleschi di Montmartre, della Chapelle, della Villette e di Batignoles! E poi un assedio sopra un assedio! Fa orrore pensarvi. Parigi è sprovveduta di tutto, e le derrate sono fin da ora orribilmente care. Che inferno, che giorni che spuntano!"

PETRUCCELLI DELLA GATTINA

LE OPERAZIONI FEDERALI.

La lotta continuava intanto e non aveva che cambiato luogo, da Asniòres e da Neuilly essa è passata ad Issy, a Vanves ed a Montrouge. Padrone della penisola di Gennevilliers, solidamente stabilite ad Asniòres e lontano un tiro di fucile dai federali, che stanno attualmente quasi addossati alla cinta, le truppe di Versaglia ripresero un'attiva offensiva contro i forti del Sud. Il piano d'attacco pareva fosse quello di ottenere su questo punto i risultati ottenuti al nord-ovest, e di riuscire di tal guisa a respingere i battaglioni federali sotto i bastioni di Parigi, in tutto il semicerchio che si stende dalle linee prussiane, dalla parte di Saint-Denis, alle linee prussiane dalla parte di Charenton.

Da qui i combattimenti vivissimi ed assai ostinati degli scorsi giorni, nei dintorni di Clamart, di Chatillon, e di Bagneux; da qui il fuoco aperto da Chatillon, da Meudon e da Breteuil, sui forti d'Issy o di Vanves.

Il rumore della fucileria proviene dal fuoco dei federali, sparpagliati alla cacciatora, per non lasciar tregua ai Versagliesi, che continuano sui diversi punti, e i lavori d'assedio dinanzi alla seconda parallela. La posizione dei federali ai Moulineaux tira anche essa assai per impedire i movimenti delle truppe di Versaglia, gli avamposti delle quali sono ad alcune centinaia di metri dalle sue trincee.

Un decreto della Comune ordina che tutte le persone dell'età da 19 a 40 anni, le quali hanno abbandonato Parigi dall'epoca in cui scoppiù la rivoluzione, abbiano da pagare una multa giornaliera da 5 a 50 franchi. La rendita chiuse ieri con 51 80.

Un affisso del sindaco di St.-Denis avvisa che essendo stati tagliati in più luoghi i fili telegrafici, i colpevoli saranno assoggettati alle punizioni dettate dalla legge militare.

Alle 2 pomeridiane del 30, la Comune fu proclamata alla sezione della Guillotiòre, e un Comitato di cinque membri è stato nominato.

Alle 4 le truppe spedite per reprimere il movimento alzarono il calcio del fucile in aria. Alle sei la Comune è stata proclamata alla Croce rossa. Alle 8 altre truppe attaccarono la Guillotiòre e il cannoneggiamento vi cominciò. Alle 10 di sera le truppe presero il palazzo municipale di quella sezione e le barricate. però il fuoco di moschetteria durò fino a questa mane alle 5. Si contano circa 200 morti. L'ordine è ristabilito e le truppe occupano la Guillotiòre."

Il generale Cluseret mandava la sera del 29 il seguente rapporto alla Commissione esecutiva:

"Vengo dalla visita dei forti d'Issy e Vanves. La difesa del forte d'Issy è eroica. Il forte è letteralmente coperto di proiettili, eppure tutti ridono. è cosa grande! Mentre io ero al forte di Vanves, ho assistito a un combattimento di fucileria tra Versagliesi, che ha durato tre quarti d'ora. Meudon è in fiammeò.

Le cannoniere della Comune hanno incominciato a prendere la loro parte attiva alla lotta.

Queste fortezze galleggianti, in numero di sei, sono ancorate sotto gli archi del ponte-viadotto del Point-du-Jour, e quindi completamente riparate dal fuoco degli artiglieri versagliesi. Una settima cannoniera, La libertà, più piccola delle altre, facile a manovrarsi e che pesca assai poco, bordeggia tra il viadotto del Point-du-Jour e il Bas-Meudon. Questa piccola barca, montata dai migliori puntatori, si avanza da 2 a 400 metri sulla Senna, sprigiona la sua bordata, indi ritorna a tutto vapore a rifugiarsi dietro il viadotto, sino alla stazione dei battelli-mosca. Ivi si effettua ogni volta la carica dell'enorme cannone.

Un vaporetto non armato, facente servizio di battello esploratore, circola in mezzo alle barche, portando gli ordini e raccogliendo le indicazioni sul tiro, di cui gli ufficiali sorvegliano esattamente la precisione.

Durante la notte, questa piccola flottiglia aveva preso a bersaglio il Monte Valeriano, che in allora sturbava col suo incessante fuoco le batterie della Muette e del bastione d'Auteuil. Il cannoneggiamento durò senza interruzione cinque ore di seguito, e verso il mattino il fuoco del Monte Valeriano si è rallentato.

Oggi le cannoniere eseguirono una girata di bordo senza essere inquietate, e i loro cannoni furono puntati sul castello di Meudon e sulle alture boschive di Sòvres. Queste posizioni furono bombardate senza posa, segnatamente il terrapieno del castello di Meudon, a motivo dei lavori che vi si suppongono in corso. Abbiamo potuto vedere più volte le granate a scoppiare sul terrapieno stesso, oppure ad una distanza piccolissima, ed ogni volta l'equipaggio federale, riunito sul ponte del battello, applaudiva.

I Versagliesi che si erano impadroniti del cimitero d'Issy ne furono scacciati. Nuovi lavori rendevano formidabile quella posizione mantenuta dagli insorti a tutta oltranza e con tale coraggio da far comprendere ai signori di Versailles cosa fosse quel branco di miserabili e di vigliacchi, come il signor Thiers ostinavasi a qualificare i federali.

Il formidabile cerchio però delle truppe del governo di Versailles stringevasi come le spire d'un serpente intorno alla città.

Il comitato invano faceva sforzi terribili. Al movimento mancava una mente suprema che lo dirigesse. La diffidenza s'infiltrava dei membri stessi della Comune. L'oro dei partiti che tendevano ad un solo scopo a far abortire l'Internazionale, ad infamarne gli uomini, a contaminare le barricate erette per la difesa della libertà cittadina minacciata dalla reazione del governo di Thiers, amalgamava già agli onesti del Comitato centrale i maniaci del Comitato di salute pubblica il quale ricordando il tremendo Comitato del 93, non aveva di spaventevole che il nome, e non sapendo imporsi colla vigoròa di una di quelle estreme risoluzioni che possono salvare una causa, si minava col ridicolo. Si avvicendavano decreti sopra decreti, si ordinavano arresti, si privavano i punti minacciati delle braccia che li avevano fino allora difesi, si dubitava oggi di Cluseret, domani di Rossel. La dissoluzione guadagnava quel corpo in preda alla febbre. Si sentiva che nella Comune vi era il delirio. Il delirio dell'agonia. Le truppe di Versailles d'altra parte mettevano un accanimento spietato in quella terribile caccia alla macchia di uomini che pure dovevano aver comune la patria come l'idioma!... La strage di Clamart fu uno di quei primi atti di ferocia che fece inorridire il mondo, pure non doveva essere fatalmente che un meschino episodio di quegli orribili massacri che si perpetrarono poi in nome dell'ordine, e sotto l'egida dell'autorità legale fatta strumento d'inique vendette, e di infami mostruosità. Il 22òbattaglione di cacciatori era riuscito a circondare la stazione e ad entrarvi senza aver sparato un colpo di fucile.

Con pertinacia felina quei soldati erano rimasti tre ore in imboscata, prima di lanciarsi sopra la condannata guarnigione. Fra le 11 e le 12 di notte la loro prima colonna s'avanzò. Quando essi si avvicinarono, una sentinella che faceva guardia fuori della stazione diede la solita chiamata: Qui vive? Uno dei cacciatori che si trovava nelle linee più avanzate della colonna rispose: "22° battaglione della guardia nazionale!. Il soldato di sentinella cadde nella trappola e permise alla colonna di venir avanti. Egli venne tosto spacciato e la stazione circondata e presa.

I cacciatori trovarono, al loro entrare, due battaglioni di guardie nazionali ed una compagnia di franchi-tiratori. Circa la terza parte degli insorti erano immersi in un profondo sonno quando il massacro incominciò.

Essi balzarono in piedi e si rannodarono per fare una resistenza, che necessariamente fu molto debole, poichè ben pochi degli insorti avevano in pronto i loro fucili.

Quanto sia stata lieve tale resistenza, può venir giudicato dal fatto che il numero dei soldati di Versaglia feriti e morti, non fu che di cinque. Assai più di 100 guardie nazionali vennero uccise sul posto. Al resto riescò d'uscir fuori e si diressero, correndo, al forte di Issy ed a quello di Vanves. I soldati li inseguirono tirando su di essi e le guarnigioni dei forti, vedendo gli spari della moschetteria e sospettando un assalto, cominciarono una fucilata micidiale dai bastioni. così esposti, in campo aperto, ad un fuoco terribile d'amici e nemici, gli sfortunati fuggiaschi caddero in tal numero da coprire un lungo tratto di terreno di morti e feriti, al di fuori della stazione.

Era una scena terribile dentro e fuori della stazione. I clamori dei non soccorsi feriti, che chiedevano di esser portati via o ristorati almeno di un sorso d'acqua venivano uditi a gran distanza dal luogo ove giacevano. Parecchie ore dopo, quando i cacciatori s'erano stabiliti alla stazione, alcuni di quegli ufficiali, commossi a quelle grida, diedero ordine a dei soldati di andar a prendere i feriti e di portarli dentro, ma il fuoco di moschetteria dei bastioni dei forti obbligarono i soldati che volevano eseguire tal ordine ad una frettolosa ritirata.

La reazione frattanto metteva fuori il capo dall'assemblea, da quello schifoso impasto d'uomini che ad ogni costo volevano essere il governo della Francia e la trascinavano intanto verso quell'abisso della disperazione che dovè aprendosi, trarla alla estrema rovina.

Il conte di Chambord poneva senza ambagi la sua candidatura al trono di Francia.

Il Times, passando in rassegna l'importanza numerica dei partiti che regnano nell'assemblea, conta 250 legittimisti, 160 orleanisti, 200 repubblicani d'ogni mistura, 5 bonapartisti e 10 imperiali.

Di fronte allo spirito reazionario dell'assemblea, la Comune minacciata dal tradimento interno e dall'assalto esterno dei forti di Parigi, abbandonavasi ad atti che sempre più staccavano da lei gli uomini stessi che prima eransi uniti al suo programma.

I federali battevansi però con indomito coraggio, nullostante le dissenzioni interne dei Comitati. - Il 14 maggio tre gendarmi travestiti offrirono i loro servigi al Comitato centrale che messo in sospetto ne ordinòl'arresto.

Uno fuggò, l'altro fu ucciso con un colpo di baionetta da una sentinella. Il terzo confessòche erano venuti allo scopo di assassinare Dombrowscki. - I pericoli crescevano da ogni parte.

Un attentato diffatti sul generale aveva avuto luogo. Dombrowscki era ai posti avanzati di Neuilly, quando un individuo di cattivo aspetto volle precipitarsi su lui e gli vibrò un colpo di pugnale che non lo colse.

L'individuo fu all'istante rovesciato e dovette la vita all'intervento del generale stesso.

Gli sforzi di Parigi d'altronde sono le convulsioni dell'agonia. - Ecco come ne parla Petrucelli della Gattina di cui abbiamo raccolto le corrispondenze che completeranno il quadro che ci siamo assunti di tracciare.

ciò che più interessa non è la Comune... Essa può durare un mese, un anno, la è un'altra domanda che si affaccia al pensiero... una domanda terribile...

Non è questione della Comune. I suoi giorni sono contati. - Il signor Thiers vincerà. - Il signor Thiers ha già vinto.

Chiudiamo quindi il cuore alla pietà. Si sa ciò che la guerra e la rivoluzione producono. La città deve essere smantellata. Migliaia di vittime, combattenti o no, debbono esser spezzate dalla mitraglia e seppellite sotto le rovine; il patibolo spigolerà dietro le mitragliatrici, e se il patibolo ha pudore quattro uomini ed un caporale, in un angolo oscuro di mura, sbrigheranno la faccenda. Il mogog della deportazione inghiottirò quelle lunghe file di uomini, dal guardo torvo ed altiero, che s'incamminano verso Caienna, dove la febbre gialla delle canne ansiose li aspetta.

Siamo all'indomani di una vittoria cui neppure la Chiesa, che tutto osa, non osa santificare d'un Tedeum. Silenzio e solitudine, come sulle rive del Mar Morto. Il terrore ed il dubbio in tutti gli spiriti. La libertà, alla catena come un molosso arrabbiato. Lo stato di assedio, che si abbatte su città e dipartimenti come una cappa di ferro. L'Assemblea monarchico-clericale di Versailles, costituita a convinzione in nome del re e di Gesò. Intorno intorno, una fitta nebbiaccia striata di sangue; ed innanzi a quel Comitato di servità pubblica, innanzi a quegli affiliati al sacro cuore di Maria e di Gesò; a Versailles, un esercito che non ha patria; a Parigi, un popolo che non ha più atelier; in provincia, una nazione che ha perduto la nozione del diritto della libertà e della morale; ed alla frontiera l'Internazionale che ringhia!

Io non offusco i colori a disegno e pingo spettri di fantasia. Io ho assistito alla tragedia del 2 dicembre. Ed al 2 dicembre, non lo si obblii, trionfava al postutto un capo umano e scettico, avvegnachè attorniato da masnadieri. Oggi, trionfa un partito - quel partito che dimandè il canonizzamento di Filippo II, che canonizzòPio V, che benedè alla Sainte-Barthòlemy, e che adora sugli altari Domenico di Guzman.

A Parigi non è la Comune che soccombe. La Comune è un accidente, una espressione infelice d'un concetto giusto; la palinodia ridicola d'un'idea e di diritto di giustizia. La Comune non soccombe, cade; non espia, è punita; non è vinta, si sfascia nel vuoto, perchè la non seppe trovare elementi di coesione per tutti. Passa, ma torna. A Parigi soccombe il diseredato, il proletario, che credette di battersi e morire per Issione, e combattè e morò per una nuvola. Ma col proletario parigino soccombe adesso il diseredato di tutta l'Europa. Ora, questo diseredato e questo proletario, a cui si lascia ancora una schedola di voto, a cui s'impone il fucile della coscrizione obbligatoria, a cui si sente la necessità di offrire un'istruzione gratuita, sono la maggioranza, e codesta maggioranza è costituita in un'associazione che chiamasi Internazionale, la quale non è sotto la mano dei figli di sant'Ignazio di Versailles.

Lo saprete voi bentosto, voi italiani che credeste Roma essere Italia e non il mondo, che occupazione saprò trovare il signor Thiers a questo esercito che non ha patria, e questo proletario che non ha più officina. Non parliamone adesso. In politica, il sole corica spesso sulla tempesta, e l'alba si leva coronata di rose e rugiada.

Alla quistione del giorno non vi è per ora che la Comune, e gli uomini che la compongono. Essi appartengono tutti all'Internazionale - tranne i quattro o cinque giornalisti che vi sono guizzati dentro - e coloro che per le dottrine dell'Internazionale soffersero condanne e prigionie. Eppure la sezione francese di quell'associazione non è più radicale!

Quale sarò la loro parte?...

Il più fortunato sarò colui che la deportazione ghermirò co' suoi artigli infernali e lo getterà a sparire sulle spiaggie mute e pestilenti dell'Africa. Il più attempato fra coloro ha 35 anni.

Ieri sera ho assistito dalla torretta di un fotografo nell'avenue della grande armèe ad un altro assalto dei Versagliesi. Il primo colpo fu tirato verso le 8 è di sera, ed alle 11 è qualche obice pigro e trainard solcava ancora l'aere attristato di Parigi. L'attacco restòcircoscritto tra la Muette, al Bois de Boulogne e Clichy. I campi Elisi erano gremiti di gruppi di curiosi, che sempre più assottigliandosi si spingevano fino 200 metri dall'Arco della Stella. Vi era la luna, ed il cielo era qui e là tigrato di fiocchi di bianche nuvole. Un freddo ventuccio gemeva nelle foglie dei giovani platani dei viali. Di un tratto, l'azzurro del cielo si tinge di porpora, e quelle bianche nuvolette sembravano stillassero sangue. Tre incendi, l'uno dell'avenue della grande armèe e due nel faubourg di Roule, poco discosto dall'arco di Trionfo, allietavano i signori dell'assemblea, che, dalla terrazza di Meudon, erano venuti a contemplare lo spettacolo col castigo di Parigi! Le bombe a petrolio del Monte Valeriano avevano illuminata la festa.

Il vano dell'arco della Stella era solcato o riempito dei fuochi delle bombe, e talvolta vi si scorgeva come un astro fugace un punto più luminoso. Intorno intorno, nel mezzo cerchio dell'orizzonte, due mezzi cerchi di fuochi, quello dell'attacco e quello della difesa, e nell'interstizio, delle miriadi di lingue di fiamma. La trottola infernale della mitragliatrice scandiva il ritmo del cannone e del mortaio, ed aizzava il crepitante tumultuoso della fucilata, che si sarebbe detta una plebaglia strepitante in un dì di sommossa. Niuna voce umana in quel muggito diabolico della polvere. I raggi della luna indicavano, come un formicolòo indefinibile, i battaglioni in movimento sull'avenue, tra la porta Maillot ed il ponte Neuilly, su i bastioni, e dietro la barricata della porta. L'aria violentemente scossa dava come un palpito nell'osservatorio del fotografo; ed è mestieri dire che le bombe fossero clementi, risparmiandolo da circa un mese che dura la battaglia.

L'assalto fu respinto. Alle 10 e mezza la moschetteria si spense, e non restòche il brutale, il quale continuòper più di un'ora ancora a risvegliare ed atterrire gli echi sonnolenti e misteriosi della notte. Il Bois de Boulogne sembrava come allagato dalla Senna; i vapori del fiume ed il fumo delle artiglierie vi ondulavano su mollemente ed indolenti. La linea dei fuochi avanzava e retrocedeva, girava di manca, quasi danzasse un minuetto; talvolta si spegneva affatto, talvolta si scompigliava. L'è dunque a ricominciare.

L'opera della scorsa notte potè danneggiare un poco ancora gli spaldi, uccidere e ferire qualche uomo, ed ecco tutto. Perchè dunque il presentimento mi dice che le ore della Comune sono contate?

Perchè credo che la reddizione di Parigi non può effettuarsi che per un'azione psicologica. Un momento di stanchezza, un impeto di panico, un istante di disperanza, un ordine mal compreso, un capo venduto che lascia sguarnito un varco prezioso, un singulto di noia... e Parigi è presa!

Tutto ciò alita nell'aria. Se ne fiutano i sintomi senza poterli specificare. è un magnetismo fatidico che scaturisce spontaneo da tutte le coscienze. Le ruine non hanno solo degli echi, hanno dei gemiti profetici.

Il forte d'Issy è come una pasta di terra e di pietre. Eppure si mantiene; eppure serve ancora di ricovero ai difensori, e di ostacolo agli assalitori. Vanves, Montrouge, porta Maillot, molti altri punti si reggono appena. Malgrado ciò la resistenza potrò prolungarsi ancora di un mese. E non pertanto, una voce indefinita ondula sulla città, penetra negli animi, blandisce le speranze o confonde i calcoli strategici, e dice: le ore della Comune sono contate!

Non si discutono i presentimenti. Se ne mena vanto, quando riescono, e se ne ride quando falliscono.

LE ELEZIONI DEL 30 APRILE.

Mentre la Comune e l'assemblea si cannoneggiano e si scambiano bombe a petrolio e granate, nelle trentasei mila comuni di Francia si procedeva allo spoglio dei voti delle elezioni.

Per una recente legge di Versailles codeste comuni erano state chiamate a darsi un Consiglio municipale elettivo. Esse eleggeranno altresì i loro maire, dovunque però la popolazione non oltrepassa i 30,000 abitanti. più liberale che il signor Thiers, l'Assemblea aveva accordato o piuttosto riconosciuto, questo diritto a tutti i municipii francesi, piccoli o grandi, borghi e città. Ma il sig. Thiers, avendo dichiarato che egli non poteva governare se non gli si lasciava il diritto di nominare i sindaci nei centri di popolazione oltre i 30,000 abitanti, avendo annunziato che egli non rispondeva del famoso ordine, e profferta la sua dimissione, l'assemblea rivenne codardamente sul suo voto e si disdisse.

Le elezioni si sono dunque compiute l'altro dì.

Finora non ci è noto che il risultato delle città, precisamente di quei centri di popolazione numerosa che fanno tanta paura al signor Thiers ed alla maggioranza clericale-monarchica dell'Assemblea. I voti di sette decimi della Francia ci restano ancora a conoscere.

Se nelle votazioni dei corpi deliberanti si debba innanzi tutto considerare l'importanza morale ed intellettiva piuttosto che il numero dei voti, la Francia si è pronunciata per la seconda volta, ed i voti rurali, qualunque sia il loro volume, non mutano più i destini della nazione. Le liste repubblicane sono passate dovunque, quasi all'unanimità. Le liste clericali monarchiche hanno riunito un numero ridicolo di suffragi. Campanili e castelli, ed anticamere sono state battute.

Ma battuta altresìè la repubblica sociale e federale che, sotto il nome di Comune, era stata inaugurata a Parigi.

La significazione delle elezioni del 30 aprile non è ambigua.

Essa esprime il desiderio, la volontà della Francia cittadina, vale a dire di quella che è la più idonea ad ammettere un voto e comprenderne il valore, di conservare l'ordine repubblicano per arrivare alla pace ed alla rigenerazione nazionale, mediante la libertà; il disegno assoluto di resistere alla ristaurazione monarchica, con la sua trista coda della chiesa; allo stabilimento dei comuni, col loro intento di discentrare mediante la federazione; all'organamento sociale, mediante i metodi rivoluzionari; ad ogni attentato contro l'ordine, la libertà del lavoro, lo svolgimento attuale del sistema economico della nazione, lo stabilimento progressivo della libertà sotto tutte le sue forme. Non re, non comune, non Convenzioni bianche o rosse, non provvisorio onde darsi il comodo di cospirare, non velleità di ritornare nel brago delle dinastie sfasciate dalla collera di Parigi e condannate dalla nazione.

Il voto del 30 aprile colpisce coll'istesso vigore l'Hòtel de Ville di qui e la sala di spettacolo di Versailles, la Comune e l'Assemblea. L'una e l'altra non sono più alla taglia dell'opinione pubblica, la potenza la quale oggidè ha rimpiazzato la forza. L'una e l'altra han prodotto la guerra civile; e dalle guerre civili si vien fuori dittatore o nulla; aut Cesar, aut nihil! La dittatura è impossibile. Le città di Francia l'hanno dichiarato col voto dell'altro dì. nè Silla, nè Gracchi, non Cesare e non Catilina. Il periodo della rivoluzione è chiuso.

La Francia vuole la repubblica come governo definitivo, il quale può, è vero, essere turbato da ammutinamenti, ma non da rivoluzioni. Le repubbliche, come le monarchie, vanno soggette a quelle pletore sociali che si addimandano rivolte: la Svizzera ha avuto il Sunderbund; gli Stati Uniti la guerra di seccessione; le repubbliche dell'America del sud sono in rivolta permanente; la storia delle repubbliche in Francia è a tutti nota. Ma, nelle repubbliche, questi avvertimenti producono sempre un benefizio sociale; nelle monarchie, una catastrofe.

Lo schiacciamento del Sunderbund produsse in Svizzera la sicurezza della libertà di coscienza, il consolidamento del potere centrale politico della Confederazione, l'abbassamento del partito clericale che ordiva la rottura dell'unione. La guerra della schiavità.

Le sommosse dell'America del sud hanno sempre un risultato: la sconfitta del partito militare e clericale, vale a dire il sentimento monarchico.

La Convenzione salvòla Francia dall'invasione straniera e dall'invasione interna dei partiti federali, clericale e monarchico, fondando definitivamente in Francia il diritto democratico nell'eguaglianza innanzi la legge.

Le rivoluzioni delle monarchie, quando non trionfano e non schiacciano la dinastia che le provocò, non hanno altro risultato che quello di riempire le galere, insanguinare le piazze, sopprimere la libertà, turbare e demoralizzare la società, far trionfare insomma il boia, il birro, il caporale ed il prete. Poi, le dirotte di Naseby, le fughe di Varennes, il palco di White Hall, la guillottina della Place de la ròvolution, i Waterloo ed i Sedan.

La Francia sembra stanca e della lunga sequela di catastrofi, per le quali è passata dall'89 in poi, e dell'annichilimento che le aveva precedute sotto la monarchia, la quale diceva: La Francia sono io!

La Dubarry chiamava Luigi XV: La France!

Questo popolo non vuole vedere più messi in dubbio dai monarchico-clericali, nè compromessi dai socialisti, i risultati ottenuti da tante rivoluzioni. Perocchè queste rivoluzioni, malgrado tutto, si slanciarono dietro una eredità di riforme.

L'89 infatti, fu la redenzione non solo della Francia, ma dell'Europa; esso chiuse il mondo nefasto del medio evo e decretà i diritti dell'uomo. Il 93 rese impossibile nell'avvenire la monarchia, piantando nel sangue il santo pennone dell'eguaglianza civile e politica. Il 1815 inaugurò il sistema costituzionale inglese. Il 1830 introdusse il sistema elettivo del re, la libertà di coscienza e dei culti, questa fatale libertà della stampa che tutti ammettono, quando sono nel partito dei vinti, tutti manomettono, vincitori; tutti credono necessaria e tutti conculcano; tutti promettono e tutti violano, di cui tutti si servono e di cui vogliono orbare altrui; cui tutti assalgono e da cui tutti sono vinti.

Il 1848 lasciò in retaggio il suffragio universale.

Il 2 dicembre esso stesso organizzòil socialismo cesarico che diventerà il socialismo economico quando si sarò trovata l'armonia degli interessi. Il 4 settembre ha colpito a morte la dittatura imperiale, e resa la libertà e la moralità al suffragio universale. E il 18 marzo ultimo è stato l'origine della libertà municipale di cui è oggimai dotata la Francia, e di cui fece uso nelle elezioni del 30 aprile.

La Francia non vuol vedere naufragare di nuovo queste così costose e tanto insanguinate conquiste, e si pronunzia pel regime repubblicano, la di cui essenza è di conservarle.

Il voto dei cantoni rurali può aver diverso significato. La Vandea, la Brettagna, la Sologna, i dipartimenti neri insomma, i dipartimenti clericali possono esprimere altre tendenze, incoraggiare l'Assemblea di Versailles ad un colpo di stato monarchico cattolico. Ma un regime qualunque, che ha contro di sì le città, non è vitale, e proclamarlo non significherebbe altro che mettere all'ordine del giorno una nuova rivoluzione, una nuova guerra cittadina.

La costituzione della repubblica in Francia poi non interessa unicamente questa nazione, ma l'Europa.

Facciamo poco conto dei tentativi ibridi del partito che si avvisasse di iniziarla altresìin altri Stati d'Europa. Queste imitazioni ridicole non hanno prospettiva di successo, nè succedendo, probabilità di allignare. Le forme di Governo non si improvvisano. E quando s'improvvisano, senza una necessità inesorabile che le giustificano, senza una preparazione storica e sociale che le rende inevitabili e normali, l'edifizio si accascia e schiaccia gli architetti.

L'Europa ha altri interessi più serii a vedere nella repubblica consolidata in Francia.

Col regime repubblicano, la Francia cessa di esser clericale e cessa di esser una potenza formidabile.

Un uomo che palleggia 38 milioni di cittadini, ne illumina l'intelletto, ne regola la coscienza, ne ispira gli atti, ne fa muover il braccio a suo volere, detta loro la fede, la volontà, la legge, il destino, il moto, l'impulso, quest'uomo, signore d'un popolo della tempra del popolo francese, è la Nemesi dell'Europa, come la Nemesi della nazione che ne è posseduta.

Col regime repubblicano, questa forza terrificante non esiste.

Il prete, non avendo più un Cesare di cui divenir complice, servendolo e servendosene, non avendo più un Cesare che gli abbandona l'istruzione pubblica, la direzione della morale, la beneficienza di cui si fa uno strumento di servità, l'educazione delle donne, la dittatura delle anime, il prete ridotto ad una semplice funzione nello Stato - quella del culto per i soli credenti sotto la sorveglianza della polizia - cessa di essere un pericolo per la libertà, un fattore di bruti, un elemento della tirannia, un veleno nazionale. La libertà rischiara gli antri delle sacristie e dei conventi, delle scuole d'ignorantelli e delle suore della carità; gli ospizi, i confessionali, l'alcova dell'agonizzante dove si racimolano le eredità. E quindi, il clericalismo, questo vomito nero dei popoli, perde l'efficacia.

Il conquasso del clericalismo mantiene il conquasso della potenza temporale del papa, e libera l'Italia dalle noie della diplomazia francese, e dalle ansie di guerra con una nazione di cui dovremmo secondare i destini.

Il regime della libertà poi, cui mena con sì la forma repubblicana, fiacca l'incentramento della forza politica, e perciò scongiura le velleità bellicose, i disegni ambiziosi, il militarismo e la burocrazia. La Germania può intendere dunque a costituire la sua unità ed allargare l'azione della sua libertà politica.

Col regime repubblicano, la Francia si ripiega in sì, non si allarga e traripa oltre l'Alpi ed oltre il Reno. Essa si mette all'opera delle riforme interne, come l'Inghilterra, e dismette le audacie delle conquiste; regola la casa sua e non vigila la casa di altrui; si espande per la libertà, non per gl'interventi; costituisce una nazione per la nazione e con la nazione, e non rumina, nel rancore, come sfasciare, umiliare, signoreggiare l'Alemagna e l'Italia, che lavorano alla loro indipendenza ed al loro consolidamento.

La Francia è una nazione magnetica e simpatica. I popoli che la attorniano, lungi dall'avere astii ed invidie contro di lei, non sono che troppo proclivi ad imitarne perfino le stravaganze e le inezie. La lingua, la facile comunicativa, la generosità del carattere, la giovialità, la sveltezza, costituiscono di già un primato inviolabile per il francese, senza che desso abbisogni di ambizionarne un altro. Diventando voltairiano, per cui la natura del suo spirito è tagliato, diventando libero, per cui le sue abitudini sociali lo rendono altero il francese, lungi dall'essere un pericolo per l'Europa, ne sarò una forza, un elemento di civiltà. Clericale e monarchico, qual è oggidè, il francese è al di sotto del turco nella scala della civiltà europea, malgrado le belle intelligenze che noverano le alte sfere scientifiche e politiche della nazione.

La repubblica in Francia è la pace e la civiltà non turbata in Europa, la prosperità. Imperciocchè l'Europa è oggidè talmente solidale nell'azienda sociale, politica ed economica, che la scossa pronunziata in un punto si propaga con celerità irresistibile come nei corpi sonori, fino alle estremità. Il bilancio di tutti gli Stati d'Europa non risente forse dello stato di guerra, benchè localizzato? Il bilancio del commercio e dell'industria europea non è desso affetto profondamente dallo squilibrio che si è prodotto nel sistema economico delle due nazioni belligeranti? Queste son verità triviali. Epperciò l'Europa tutta dovrebbe accogliere con la soddisfazione la più completa la manifestazione, il voto espresso delle città francesi: il consolidamento della repubblica!

L'espressione di questa volontà conturberà forse la maggioranza dell'Assemblea di Versailles e disordinerà le sue file di cospirazione monarchico-clericale. però, qualunque sia la sua fellonia interiore e la sua collera mal celata, noi non la crediamo di taglia a consumare del 18 brumaio.

La repubblica non sopprime, è vero, alcune delle difficoltà, non scioglie alcuna delle questioni sociali che turbano la nazione, ma dessa la semplifica e porge il capo del bandolo per un aggiustamento leale, legale e nei sensi della giustizia.

Da tre giorni la lotta civile ha perduto la selvaggia energia che aveva assunto la settimana scorsa. Si combatte tuttavia, ma nessuno vince. I Versagliesi progrediscono; il cerchio della resistenza si stringe ogni dì; ma l'ultima parola è lontana, ben lontana ancora dall'esser detta, militarmente. Se alcuno di quegli incidenti psicologici imprevisti, non sopraggiunge, se il petit rien che mena le cose del mondo non interviene, Parigi non cadrò così presto sotto l'impeto del cannone, anche quando i forti saranno in potere dell'esercito regolare, ciò che non è ancora, benchè li avesse ridotti allo stato di spugna, e forellati come una pietra pomice.

Ma il petit rien spunta nell'orizzonte sempre più visibilmente largo e si spande, e procede oltre; lo si può di già indicare e definire.

La Comune fa bene ad arrestare i Cluseret; i Cluseret sbucciano come i funghi nei terreni melmosi delle rivoluzioni che soccombono. Uno avulso non deficit alter!

La Comune ha costituito un Comitato di salute pubblica per scongiurare le tempeste tenebrose. è l'ultimo ridicolo che si è dato; benchè avesse dichiarato che questo comitato non ha altro senso che quello di un comitato di controllo.

Vi sono delle istituzioni che non si rinnovano: degli uomini che non si rimpiazzano.

Il papato di Pio IX, che convoca concilii, che scomunica popoli e re, che chiama l'Europa contro l'Italia, non è il papato di Innocenzo IV; il meeting del Vaticano non è il concilio di Lione; Vittorio Emanuele non è Federico II; l'Europa del 1871 non è quella del 1245, e Mastai non è il terribile Sinibaldo dei Fieschi.

Il Comitato di salute pubblica del 71 non ha nessuna analogia con quello del 93; ed i Ranvier, i Pyat, gli Arnauld... sono in faccia ai Robespierre, ai Saint-Just, ai Couthon, ai Carnot, come dei granelli di sabbia in faccia alle Piramidi, come la lucertola in faccia all'antidiluviano ignanodon.

Mettiamo dunque da banda la Comune, la quale non è più se non un ostacolo d'ore.

L'esercito di Mac-Mahon entrerà in Parigi. La reazione vi si installerà. Il signor Thiers sarò mandato via con la stessa durezza che egli ha messa in umiliare il bestiame monarchico-cattolico della maggioranza. L'Assemblea si proclamerà costituzionale e si metterà all'opera della costituzione definitiva del reggimento nazionale. L'Assemblea rurale, rappresentando il contado, è monarchica. Le grandi città, le piccole città, i grossi borghi essi stessi hanno con l'elezione dei consigli municipali manifestato che sono repubblicani moderati. Che ne pensa su tutto ciò il principe di Bismark?

Nel suo discorso del 12 maggio al parlamento vi è questa frase significativa; un grande insegnamento per i poveri spiriti dell'Assemblea versagliese, ed un avvertimento di cui saria stoltezza non tener conto. òIl governo francese attuale, ha detto il gran cancelliere, è il migliore in istato di soddisfare i voti del popolo francese. Qualunque altro governo che vorrò sostituirvisi avrò a temere di non assicurare la pace con eguale completezza.è Bismark dunque vuole la repubblica; teme complicazioni, se la si vuole rovesciare; diffida della restaurazione sia di quel prezioso Henri che si crede sul punto di essere chiamato, sia dagli Orlòans che han mostrato durante la guerra, spiriti troppo guerrieri e gareggiato di contumelie contro l'Alemagna col Figaro e la libertà. Laonde siccome il principe di Bismark è il giudice in ultimo appello della sicurezza dell'ordine e della stabilità del nuovo regime, se l'Assemblea si avvisa di scoccargli contro uno spettro qualunque delle dinastie cadute, quando gli si dirò: Ora andate via! egli potrò rispondere, e non è uomo a peritarsene: Non possumus!

Il trilemma è dunque così: o occupazione indeterminata della Francia; o repubblica; o dissoluzione dell'Assemblea di Versailles.

nè l'occupazione dei forti di Parigi, che si òprolungherà per un altro anno, o per lo meno fino a dicembre,è è bastata al principio di Bismark. Egli ha detto: òche le truppe tedesche, nell'interesse della loro sicurezza avessero la disposizione della zona neutra situata tra la linea di demarcazione alemanna e la cinta di Parigi sulla riva destra della Senna.è L'Alemagna comincia dunque alle porte nord-est di Parigi.

Bismark infine ha stipulato delle condizioni commerciali che solo poteva dimandare: essere trattato, cioò, come le nazioni le meglio favorite.

Il ministro delle finanze attuale - l'archimandrita del protezionismo - fa grandi assegni sul reddito delle dogane. Dovunque potrò, e' riformerà le tariffe. Ed il trattato con l'Inghilterra è di già condannato a morte. Pouyer-Quartier, se resta al posto, prepara un Sòdan finanziario alla Francia. Tal sia di lei. Il mercato di Francia non è indispensabile che per pochi oggetti. Le nazioni lo tratteranno, fino al punto che torna loro utile, con la legge della reciprocità, e compreranno e venderanno dove troveranno condizioni più miti. L'industria francese si troverà così esclusa poco a poco dai mercati europei e messa all'indice dalla concorrenza, per l'elevazione dei prezzi. ciò profitterà all'Inghilterra, alla Svizzera, alla Germania ed a noi stessi, se sappiamo navigare con accortezza fra questi grandi cetacei industriali. Io sono convinto però, osservando il movimento economico che si opera in Francia, che il protezionismo non trionferà. Esso è il clericalismo e la monarchia nell'ordine economico.

Quando le elezioni suppletorie avranno avuto luogo, il centro diverrò il perno della Camera; e noi crediamo che allora si dichiarerà la costituente. Le nuove elezioni saranno repubblicane, di quella gradazione di colore cui rappresentano Jules Favre, Gròvy, Simon, Picard, e i convertiti orleanisti del partito che segue il signor Thiers.

A questo partito si agglomerano il duca di Broglie, Malleville, Remusat e tutti i vecchi e nuovi parlamentari liberali i quali sono numerosi, influenti, capaci ed intraprendenti.

L'ingrossamento del centro ha di già disequilibrato le due estremità, le disorganizzerà completamente, quando i nuovi membri saranno arrivati. La maggioranza del signor Thiers conterà 500 voti per lo meno, e nelle quistioni amministrative anche di più.

La repubblica sarò proclamata da circa 600 voti.

E la Francia intiera vi si accomoderà.

Libero dalle esigenze minaccianti della maggioranza attuale, il signor Thiers si mostrerà allora meno retrogrado, meno clericale, meno protezionista. - Questo illustre clown è abituato alle evoluzioni, e non vi è scimia che sia più agile di lui - tranne Emile de Girardin - questo signor Thiers non officiale. Il signor Thiers ama la ebbrietà del potere, e sa che non può conservarlo se resta nelle panie astiose ed antidiluviane della destra. La Francia non è là. Poi, questo vecchio gamin de Paris vorrò ad ogni costo riconciliarsi con Parigi, e il signor Thiers sa che con Parigi non si riconcilia se diviene agente di papa e di re. Quel piccolo gnomo si crede il centro del mondo politico d'Europa, di cui resta uno degli ultimi così detti vecchi uomini di Stato.

Le conseguenze poi delle mutazioni che avvengono nell'Assemblea di Versailles saranno numerose e di grande portata. Innanzi tutto la vittoria sul comune di Parigi perderà l'asprezza della reazione trionfante, e le prescrizioni, le severità dello stato d'assedio saranno temperate. Il ritorno dei Bonaparte è scongiurato definitivamente, malgrado il loro tanto rimestare. L'amministrazione passerà per qualche riforma di economie anzi che di organizzazioni; perocchè il signor Thiers e il partito cui rappresenta è repubblicano e parlamentare-liberale, è centralista. La pace europea non sarò forse turbata, benchè la diplomazia europea, impastata di intrighi, cerchi di semplificare, di legare e aggruppare onde avere la magnimità di sciogliere.

La Francia avrò ancora un possente esercito permanente, ciò che, se annoierà l'Italia, non è, in definitivo, un male per l'Europa. E ciò potrò dare occasione ad un ministro italiano, se l'Italia avesse un bricciolo di ministro, che sapesse assicurare la nazione con una potente alleanza. Il signor Thiers vagheggia le alleanze a modo dell'antica diplomazia, e perciò rimuoverà i Gabinetti; e per la stessa ragione faciliterà il giuoco di quegli Stati che hanno a temere della smania d'interventi e delle turbolenze della politica straniera francese.

In una parola, l'Assemblea di Versailles, restando sempre un corpo politico retrogrado, è in via di tramutarsi, e le nuove elezioni assicureranno la maggioranza al partito repubblicano moderato, e l'esistenza alla forma repubblicana.

LA COLONNA VENdèME

E LA CASA DI THIERS.

Della casa del signor Thiers non resterà che lo spazio, ove gli antichi avrebbero seminato del sale, ed ove i moderni pianteranno dei fiori. E allora si rinnovellerà la leggenda indiana, la quale racconta: la Neptunia Desmanthes essere nata da una lagrima di Brahma, alla vista di un fanciullo gittato in un lago dalla madrigna.

L'Assemblea di Versailles ha di già ordinato che la casa sia riedificata a spese dello Stato. Ma il vecchio ne rimarrò inconsolabile. La lumaca ha perduto il suo guscio. E non troverà più i suoi piccoli bronzi del Rinascimento italiano al loro posto; il libro ove aveva intercalato dei segni, nel suo scaffale; le carte, che aveva dettate, nei loro cartoni; l'autore che aveva annotato i documenti che aveva raccolti, il seggiolone ove la ispirazione veniva; quel grado di luce che filtrava propizio dalle persiane e dalle bandinelle; quell'atmosfera amica che lo carezzava da trentacinque anni; quelle care abitudini, quelle innocenti nenie proprie dei vecchi uomini di lettere; quella memoria locale delle cose che spiana ed allunga la vita; quell'aria amica, facile, sommessa, piaggiatrice, che pigliano gli oggetti che ci circondano da lungo tempo.

è una nuova esistenza che s'impone a quel vecchio di 75 anni. Lo si attornia d'ignoto, e, che non ha più il tempo di ricominciare ad apprendere!

E quante memorie profane perdute! Quanti secreti intimi violati! Quante reticenze svelate! Quale rivelazione della vita di un uomo di Stato gettata così ai quattro venti, lui vivente! Ah! non sono le pietre e le tegole della sua dimora scompigliata che desolano il signor Thiers; è lo stupro della sua anima. Il castigo è stato terribile. Egli passerà molte notti insonni a rivangarlo nel cuore.

La pena psicologica applicata alla responsabilità politica non era stata mai più rudemente applicata e più profondamente sentita. Cicerone lagrimava la casa; Dante nella casa, la patria; il signor Thiers lagrimava il santuario della sua coscienza gualcito, la sua vita intima sconvolta e messa in ruina. La patria e la casa a quell'età sono l'anima, la memoria, il sentimento; le cose acquistano una emanazione spirituale.

Il gabinetto ov'era stata tessuta con tanta compiacenza la leggenda di Bonaparte sprofondava all'ora stessa che l'uomo di bronzo di quella leggenda precipitava dagli spazi dell'aria, di dove dominava ancora Parigi come il vortice di un parafulmine. Coincidenza terribile di quella giustizia misteriosa che emana dagli avvenimenti e flotteggia nell'atmosfera morale fino all'ora in cui si abbatte sopra altri avvenimenti e dà loro un senso!

Napoleone si era appropriata la colonna Vendème mettendovi su la sua statua, come si era appropriato il Codice mettendovi il suo nome. Ma questa era l'opera della Costituente e della Convenzione, quella il risultato di milledugento cannoni di bronzo strappati al nemico nelle guerre della rivoluzione come in quelle del consolato e dell'impero.

Fra quei cannoni vi erano quelli che nel 29 Custine aveva carpiti a Spira, a Worme, a Magonza, a Francoforte; Montesquieu, a Chambery; Anselme a Nizza ed a Villafranca. Vi erano i cannoni che nel 93 Dumouriez aveva presi agli Austriaci nelle ridotte dei poggi di Jemmapes, nelle fortificazioni di Mons, d'Anvers, a Brusselles, ed Acquisgrana ed in altre contrade, ove gli eserciti della repubblica, sulla mozione di Cambon, importavano la dottrina della sovranità del popolo ed i diritti dell'uomo, e, sulla mozione di Lasource e di Clootz, portavano le depredazioni le più volenti, per il principio che la guerra nudrisce la guerra.

Fra i cannoni della colonna vi erano quelli che lo stesso Dumouriez aveva tolti l'anno stesso - il più grande della storia di Francia - a Breda, Klundelt ed in altre piazze dell'Olanda, parte dei quali però furono ripresi da Cobourg, da Clairfait e dall'arciduca Carlo. Poi i cannoni degli alleati che Dugommier aveva trovato nei forti e nei castramenti di Toulor; i cannoni che Jourdan aveva portati via dagli austriaci a Wattignies e a Mauberge; Hoche ai prussiani, nei Vosges; Desaix e Hoche nelle piazze del Reno, agli Austriaci ed agli alleati comandati da Wurmser. Vi erano inoltre i cannoni che, nel 94, Lavicloire, ex sarto, e Dugommier conquistarono sugli spagnuoli, nei Pirenei; quelli che Dumerbion e Massena catturarono nei passi delle Alpi; quelli che Jourdan prendeva agli Austriaci, a Fleurus; Scherer e Moncey, agli Spagnuoli; quelli che Pichegru raccoglieva nella conquista dell'Olanda, dove, nel solo arsenale di Dordrecht trovò632 bocche a fuoco, la maggior parte di bronzo; e Championet, Bernadotte, Moreau, Lefebvre, Marceau... in Italia ed in Germania. Vi erano infine i cannoni che Augereau, Massena, Victor, Joubert, Serrunier, Cervoni, Laharbe, Kellermann e Bonaparte, egli stesso, mandarono al direttorio come trofei della campagna d'Italia.

Nel 1805, la coalizione europea si era rannodata più potente che mai - era l'ultimo anelito del grande Pit - onde spezzare la signoria di Napoleone, padrone d'Europa.

Napoleone gitta Massena sull'Adige, Davorest, Lannes, Soult, Marmont, Noy, Murat, Bernadotte sul Reno, ed egli stesso li segue. Tutti insieme, traversano il Danubio, vincono a Wertingen, ad Albok, ad Elchingen; rinchudono Mak in Ulm; marciano su Vienna, sfondano Kutusof ed i suoi 50,000 russi; spingono l'arciduca Carlo in Ungheria, ed entrano in Vienna il 15 novembre. Il due dicembre, 40,000 Russi ed Austriaci giacevano sul campo di battaglia di Austerlitz, e 270 cannoni cadevano nelle mani dei francesi.

A questo esercito, a questi generali, che gli aveva legati la repubblica, a questa miracolosa campagna, Napoleone volle innalzare un monumento. Il senato riceve l'ordine di decretare l'erezione della colonna. Sulla piazza Vendème, vi era già stata una statua colossale di Luigi XIV, che la rivoluzione aveva abattuta. Sulle fondamenta di quel monumento sorse la colonna, inaugurata nel 1810.

A cima della colonna, torreggiava una statua di Napoleone, in costume d'imperatore romano. Nel 1814, gli alleati, entrati in Parigi, le attaccarono delle gomene al collo e con duecento cavalli provarono a precipitarla già. La statua tenne fermo. Qualche anno dopo, però, Napoleone fu tolto da quei pinacoli e rimpiazzato... dalla bandiera bianca dei borboni!...

Nel 1833, la famosa statua di Seurre, Napoleone in rendigote di bronzo, con in capo il celebre cappello, ripigliòil suo posto, mentre il bronzo della prima statua serviva a fondere l'Enrico IV che è ora sul Ponte Nuovo.

La colonna pesava 251,367 chilogrammi ed aveva costato, bronzo compreso, poco meno di due milioni.

Per gittarla già - ciò che è costato 29,000 franchi - si è segato la colonna alla base sul piedistallo; si sono messi dei cunei nella fessura, attaccate delle gomene alla base della statua sulla galleria superiore. Degli uomini, girando un mulinello che avvolgeva l'altro capo della gomena, hanno tirato già il monumento tutto intero. Cadendo, la colonna si spezzòin due nell'aria, e non soffrò che poco, arrivando al suolo su un letto di fascine. La commozione della terra fu perciò quasi nulla. Lo strepito, in due tempi, poco più di quello di una bomba.

I fuochi del sole, all'occaso, formavano sul capo imperiale un'aureola. E sembrava ch'ei scintillasse di sdegno guardando i pigmei che gli formicolavano ai piedi. La statua di Cesare, che si era sostituita nel 63 a quella del 33, era grottesca; malgrado ciò, quel capo coronato di vittorie dominava Parigi come una minaccia, come una sentinella. Lo slancio che prese fu fulmineo. In un secondo, la colonna descrisse il quarto di curva, che separava i campi del cielo dalla terra, ove la plebaglia le saltà su e la calpestò. Un immenso grido l'accompagnònella caduta: Viva la Repubblica!

Il nipote aveva inflitto al grande Imperatore l'espiazione che cominciò al 2 agosto e finì al 28 gennaio ultimo. La Comune gli ha inflitto il supplizio della gogna.

Niuno detto popolare era stato mai tanto vero quanto quello che suona: guardando la colonna, sono fiero di esser francese! La leggenda napoleonica - quella dello zio - è immortale, perchè niun principe francese, al pari di quel Còrso, incarnòmeglio l'anima della nazione. Vizi e glorie, istinti e modi, odi ed appettiti, simpatie e volontà, passioni civili, politiche, sociali, aspirazioni orientali e sentimenti europei, antitesi di cuore, di carattere, d'intelligenza... Napoleone compendiò tutto; egli fu Enrico IV, Luigi XI e Luigi XIV, un Robespierre coronato, un Danton per impeti, Voltaire per il cervello e per ragione di Stato, e perfin religioso, per meccanica di governo.

Egli era arrivato, come la vendetta o la giustizia, onde confondere, punire, umiliare dodici secoli di tradizione storica della monarchia europea. Egli menò netto intorno la spada dell'angelo del livello, e dall'argilla infima del popolo tirò re, cardinali, duchi, conti, quelli che dominano e abbarbagliano il mondo. Egli fe' risonare il suo sprone d'oro negli echi secolari delle Piramidi, nelle tombe formidabili di Carlomagno, di Federico II, degli Habsbourg, dei Carpeti e dei Valois, a Saint-Denis dei duchi di Savoia. Egli misurò alla sua testa la corona di ferro di Carlomagno e la trovò esigua; si unse dell'olio di Reims; chiamòun papa per venirgli a servir di untore, e poscia, sembrandogli onorarlo troppo dell'uffizio, ei si coronòda sì, come un Brandeburgo un secolo innanzi aveva fatto prima di lui! Egli si assise su tutti i troni, tranne su quello di Pietro il Grande, il solo pertanto cui agognasse più che tutti, di far gemere sotto il suo calcagno vittorioso. Ma la natura, che è il genio custode della santa Russia, disse con piglio di morte: Tu non verrai fin qui! e fin là non andò.

Egli pose la mano a tutto e rimanipolando le formole umane che la rivoluzione aveva sanzionato, ricreò una società sul vecchio tipo francese, di cui egli era l'embrione.

Spirito religioso alla superficie ed immorale nel cuore e negli atti; odio della scienza e paura e disprezzo de' pensatori, vilipesi col nome di ideologi; servità di tutti i corpi e di tutte le istituzioni dello Stato, formando una catena di schiavi che, di anello in anello, si innalza fino al capo, il quale li tien tutti: brutalità soldatesca e bravura vera contaminata da spavalderia e da iattanza; minaccia perpetua dei popoli deboli che non accettano la supremazia del più forte; appetito di distinzioni nobilesche unito alla rabbia dell'uguaglianza; ignoranza profonda, spalmata dalla vernice brillante dell'improntitudine; egoismo e materialismo radicali, abbelliti di forme seducenti; bassezza d'animo da lacchè con petulanza da basciò; tutti i vizi nella vita, ma con eleganza; tutte le garantie nell'amministrazione, ma come ceppi; tutte le facilità nella politica, ma nessuna libertà; tutte le ipocrisie nella morale, ma nessun vincolo... ecco la società che Napoleone impastò col sangue e col fango della rivoluzione, togliendone il lievito divino del diritto, della giustizia e della libertà.

Egli era stato, di passo in passo, Gracco, Clodio, Catilina, Silla, Augusto; impresso al mondo nuovo che regolòquesti germi e questi stigmati. E da sessant'anni la Francia rotola nel circolo.

Le vicende, il successo, le vittorie, lo infortunio, tutte le antitesi, tutti gli elementi di sole e di tenebre che concorsero a comporre la leggenda napoleonica, la rendono imperitura nell'anima e nella coscienza della Francia; e la Comune, che ha decretato l'abbattimento della colonna Vendème, aggiunge la cresima di questa esecuzione alle aurore ed ai colpi del fato che accompagnarono l'aquila còrsa.

Si è gittata nel fondo della Senna la statua del 1833, rilegata nel 1863 a Courbevoie; si è rovesciata la colonna; ma l'arco della Stella? ma i libri del signor Thiers? ma la cupola degl'Invalidi? ma le canzoni di Bòranger e le odi di Victor Hugo? ma la tradizione che fluisce inesorabile nelle notti d'inverno intorno ai fuochi dei casolari, e si tramanda da padre a figlio, come un dà i canti d'Omero, quelli del Niebelungen, quelli del Ramayana?... Chi sbarbicherà ciò con un decreto o con una mina, con il patibolo o con il martello?

E poichè si è in via di proscrivere i monumenti, che cosa fanno là l'arco della porta Saint Denis, la statua di Enrico IV sul ponte Nuovo, la statua di Luigi XIV nella piazza della Vittoria, le stesse Tuileries? Ah! guai se i rivoluzionari d'occasione avessero logica! Ma l'essere insorto gli è raramente essere rivoluzionari per mestiere. Prova Mazzini, Louis Blanc, Proudhon, Jacoby, Kossout.

La rivoluzione, che da due settimane e più fa il Comitato di salute pubblica, suscita più dispetto e pietà che paura o apprensione di mali. Altri giornali sospesi, che sotto un altro nome riappariscono l'indomani; altre visite domiciliari per pescar traditori e refrattari; altre minaccie di rappresaglie sugli ostaggi; la carta personale, per constatare l'identità; la facoltà data ad ogni guardia nazionale di arrestare chi non è munito di questa carta; e cui nessuno ha, e nessuno dimanda; le chiese, in cui il giorno si cantano messe e la sera si trasformano in clubs; le barricate che incepperebbero la circolazione, se vi fosse chi circolasse; la mobilità del personale dei governanti, se governassero, e tutti che sospettano di tutto e di tutti, e con ragione... ecco l'addizione approssimativa degli atti di questo terribile Comitato di salute pubblica!

Tutto va malissimo; però tutto tiene ancora e terrò per un pezzo, se non vi sarò tradimento - ciò che vi sarò e forse più presto che non si pensa. I federali non hanno più forti - tutti presi dai realisti; le porte sono in frantumi da un mese, sopra tutto la porta Maillot; la cinta dei bastioni è bombardata da 600 cannoni, da mane a sera, e da sera a mane; in parecchi punti questa cinta è forellata come una schiumarola; ed ora la si batte a breccia da due giorni; i cannoni dei baluardi non appena pigliano la parola, le batterie di fronte li riducono al silenzio; in ogni sortita, i federali hanno la peggio; eppure tutto va, la resistenza non scema, il coraggio non infiacchisce, la speranza vive, la decisione di resistere è irremovibile! E si battono, si battono, si battono. Dopo le ridotte i forti, burbanzano i proclami; dopo i forti la zona, dopo la zona il recinto bastionato, dopo le barricate, dopo le barricate le case una dopo l'altra... Versailles vincerà; ma quando ed a qual prezzo!

Versailles pagherà, in fin dei conti, chi gli consegna Parigi.

Ed è questa l'unica paura della Comune e di Delescluze, che oggi ne compendia tutti i poteri. Ah! se la Comune avesse avuto un programma sobrio, savio, netto e fisso, ed un uomo per farlo eseguire! Comunque e quante volte i parigini, e la Francia, e Thiers egli stesso, prima di tutti, più di tutti, avranno a rimpiangere che la Comune non abbia saputo trionfare!

LA COMUNE E VERSAILLES.

Le cose toccano il loro sviluppo fatale e terribile. I federali hanno mantenuta la loro parola. Thiers ha una immensa responsabilità sulla sua coscienza da gesuita; quella d'aver voluto che quanto accadde avvenisse. Pochi giorni prima che sotto alle rovine di Parigi si seppellisse quel partito che credeva e voleva barricare col proprio petto la ristaurazione monarchica che si sente bene essere il programma dell'assemblea di Versailles, si poteva ancora transigere ed evitare così gli orrendi mali che colpirono la Francia e che porteranno per logica conseguenza i mostruosi eccidii a cui si doveva abbandonare l'Assemblea. L'orda vigliacca dei suoi soldati fuggiaschi; quei prigionieri di Sòdan e di Metz, non domandavano miglior cosa che donne e fanciulli, vecchi e prigionieri da scannare, per mostrare quell'eroismo che credettero bene di conservare per miglior occasione dinanzi alle armate prussiane.

In faccia alle truppe di Versailles, che entravano in Parigi ebbre d'odio e di vendetta, i federali gettarono le rovine di tutto ciò che ricordava le opulenze monarchiche che tante volte hanno insultata la miseria del popolo e il Louvre, le Tuileries, l'Hòtel de Ville, il palazzo di Giustizia, la santa Capella ardono!... e le loro fiamme illuminano sinistramente il massacro che si fa sulle vie, dove si combatte petto contro petto, barricata per barricata.

Noi non vogliamo già scusare gli incendiarii, ma diciamo una sola cosa. L'Assemblea doveva sapere che ciò sarebbe avvenuto.

In faccia alla possibile rovina di Parigi, se quell'impasto di clericume che ne costituiva la maggioranza avesse potuto sentire soltanto un'idea di amor patrio, il mezzo di appianare le cose era facile a trovarsi. Ebbra d'orgoglio, di vigliaccheria e di odiose personalità, l'Assemblea che si diceva rappresentante della Francia non fece che gettar fuoco su quel vulcano che ardeva minaccioso.

Se quella lava è eruttata, di chi è la colpa? Chi ha spinti gli uomini dell'Internazionale e della Comune fino a quel parossismo del delirio a cui si sono abbandonati?... La spietata inesorabilità dell'Assemblea!.. La sua ferocia fu appagata; se era ciò che si voleva, si ottenne.

Cosa riescirò frattanto l'Assemblea di Versaglia?...

Mentre i comunisti incendiano, i versagliesi, dopo aver detto al mondo che nella lotta civile le truppe francesi riacquistarono l'antica riputazione, quella riputazione che avevano perduta combattendo il nemico della patria, oggi proclamano che continuano in Parigi la loro marcia trionfale. Fra gli incendi ed i cadaveri dei cittadini, hanno il tempo di pensare allo spettacolo del trionfo!

sì, fra i cadaveri dei concittadini: imperciocchè essi fanno una parte all'elemento straniero della rivoluzione parigina. Ma i fatti sono fatti. Chi combatteva in numero mille e mille volte maggiore, era la guardia nazionale, erano i franchi-tiratori di Parigi; e combattevano non per un giorno, ma per oltre due mesi, contro un esercito fornito di tutto dinanzi al fuoco terribile delle mitragliatrici, e così accanitamente che senza il soccorso indiretto prestato dai tedeschi, i quali tagliarono la strada del nord, forse la lotta non sarebbe ancora finita.

Strano spettacolo! I giornali bonapartisti tentando di giovarsi d'ogni incidente per una restaurazione, sono i più acerrimi contro i comunisti - e non ricordano come essi abbiano recati danni alla Francia ben superiori a quelli della intiera distruzione di Parigi, abbandonando le popolazioni allo straniero, perdendo ricchissimi territori, gravando le spese di cinque miliardi, perpetuando l'occupazione prussiana. I vincitori, che oggi alzano il capo superbo, a Sòdan ed a Metz preferirono cedere con disonore le armi al nemico anzichè con onore morire - ed i vinti anche, nella scellerata loro brutalità manifestano quanta energia ci fosse nel popolo di Francia se non l'avessero tradito. L'assemblea di Versailles non pensa che alle vendette, non vuole che la distruzione, e non sente, come ben osserva l'Opinione, essere su lei, sulla sua durezza inaccessibile ad ogni componimento, sulla sua condotta reazionaria che ricade la colpa della insurrezione scoppiata a Parigi.

E certo tutte queste contraddizioni ed altre che si potrebbero rilevare, non scusano gli orrori cui si assiste. Ma dopo aver manifestata l'indignazione che l'animo prova, dopo aver con tutta la forza condannati delitti che nessun tempo perdona, dopo aver ascoltata la voce dell'umanità, è dover del pubblicista indipendente di far sentire anche quella della ragione che la completa.

La resistenza di Parigi ispiravasi a grandi principii. I mezzi adoperati per sostenerli erano cattivi, gli uomini che li proclamavano non avevano autorità da farli rispettare. Questi uomini sono ormai passati, questi mezzi hanno fatto la loro prova; ma quei principii restano, e gli errori stessi, le colpe degli amici e degli avversari, come lo sfregamento villano su caratteri di bronzo, li resero più chiari più tersi.

Ci piace confermarlo col seguente brano dell'Opinione uno dei giornali del partito moderato che abbia finora meglio giudicata la situazione in Francia e quello certamente che meno può esser sospetto.

òNon si deve credere, dice l'officioso periodico fiorentino, che Parigi sia del tutto isolata. Se il duello fosse stato ristretto assolutamente tra la Francia e la sua capitale, non sarebbe durato così a lungo. Noi vediamo dallo stesso ultimo tentativo dei delegati di Lione quanto la causa di Parigi trova fautori nelle altre principali città, ed è possibile, contro le tendenze dei più importanti centri della ricchezza; il sapere, e quindi una gran parte della forza della nazione, è impossibile immaginarsi che le tendenze retrive dell'Assemblea possano avere libero e tranquillo il loro corso!è.

è dunque la guerra civile in permanenza ciò che può aspettarsi la Francia se l'Assemblea di Versailles, conchiusa la pace con cui fu nominata, non discioglie. Imperciocchè è impossibile che la Francia intelligente rinunci a quei principii con cui combatteva Parigi; la forma di governo repubblicano colla quale meglio d'ogni altra darò all'Europa guarentigie di pace; la libertà comunale che stabilirò l'ordine all'interno; e lo studio della grande questione sociale che dovrò conciliar i diritti del capitale con quelli del lavoro.

però questi principii li giudicheremo un'altro giorno; oggi non dobbiamo che condannare gli orrori di Parigi.

La tremenda pagina intanto si compie e non manca di nessuno di quegli episodi che la mente non arriverebbe ad immaginare in tutta la loro truce realtà.

Padroni del Pantheon gli insorti aveano stabilite sotto il portico del tempio le loro batterie, pronti a saltare in aria col monumentale colosso di cui ne avevano fatto una barricata.

Parigi non era che un immenso braciere in mezzo a cui si agitano gli insorti ed i soldati dell'ordine.

Ad ogni punto dell'orizzonte, gli incendi innalzano verso il cielo colonne di fumo nerastro; di tanto in tanto, una nube biancastra indica una esplosione di polveriera, di un deposito di munizioni, di qualche piccola mina ignorata.

Una volta preso un edificio convien perquisire le cantine ed esplorare i punti segreti. Quello che accade in ogni parte di Parigi può far temere di tutto.

La facciata del ministero degli affari esteri, verso il quai, è mutilata dalle granate; a Corpo Legislativo, col suo portico classico, alcuni enormi capitelli furono portati via dai proiettili di Montmartre; anche la facciata della Maddalena è danneggiata. Il circolo agricolo, sull'angolo del quai d'Orsay, sembra che sia stato preso per obiettivo dalle batterie delle terrazze delle Tuilleries.

Gli episodi non hanno valore in una resistenza tanto colossale; nessun capo celebre della Comune è stato preso dagli insorti; la lotta è una lotta spontanea; ognuno di coloro che vi si trova impegnato si sente ridotto alle strette e brucia le sue munizioni dove si trova. Non più sonno, non nutrimento; polvere ed acquavite; e poi, in mancanza d'ispirazione, una specie di illuminismo, causato dalla certezza della morte inevitabile.

L'incendiario delle Tuilleries è un certo Bandin, aggiunto del signor Dardelles, che comandava il palazzo.

Entrato dapprima nel teatro, egli vi gettò del petrolio, e vi appiccò il fuoco. Indi se ne andò negli appartamenti dove fece altrettanto.

Le granate lanciate dagli insorti che si sono rifugiati alle alture Chaumont ed in Belleville, piovono nelle vie Ventadour, Saint-Honorò, Neuve, des Petits-Champs, Quatre Septembre, sul bouleverd Hausmann, e in via Godot-de-Mauroy.

I quartieri Vivienne e Richelieu hanno poco sofferto.

In piazza Vendème, si sequestrarono tutte le carte di Dombrowscki.

In data del 28, il Francais, recava questi altri particolari.

Il ministero degli esteri ed il ministero della guerra sono in buono stato. La casa che fa angolo colla via di Bellechasse è bruciata. Il ministero delle finanze è assolutamente distrutto. Non rimangono che carboni fumanti laddove sorgevano le Tuilleries fino ai due cancelli Lesdiguiòres e Rohan. Le case che stanno di fronte alla colonnata del Louvre sono in fuoco. Tutto l'isolato dell'Hòtel-de-Ville è in fiamme. In piazza Vendème, tutto è in buon stato. La barricata che ostruiva la via Castiglione all'altezza della via di Saint-Honorò esiste ancora.

Le perdite degli insorti vengono calcolate a 600 morti.

Gli abitanti della via di Lille sono stati prevenuti martedì alle ore 8 è pomeridiane che si stava per appiccare il fuoco al Consiglio di Stato, e che le loro case erano destinate a subire ugual sorte. Poche ore dopo gl'incendiarii recando torce e versando petrolio hanno percorso la via Lille. Fra le case distrutte ci si nominano le quattro case che formano gli angoli della via del Bach e della via di Lille. La casa del Bon-Marchè, in capo della via del Bach, è affatto distrutta.

In via di Royale, i pompieri lanciarono dei getti che sembravano accrescere anzichè spegnere l'incendio. Furono sequestrate le loro pompe, che vennero trovate piene di petrolio. Il capitano dei pompieri e quelli che facevano il servizio delle pompe, che appartenevano alla Comune, furono immediatamente fucilati.

Verso mezzodè, vennero arrestate nella via Miromesnil delle donne e dei fanciulli che portavano degli inaffiatoi coi quali gettavano petrolio nelle cantine dagli spiragli.

I comunisti non avevano sgombrato la loro ambulanza delle Tuilleries e che 400 dei loro feriti sono periti nelle fiamme.

La piazza della Concordia è stata bombardata e presa da tre colonne che vi giunsero per il quai de la Conference, per l'avenue dei Campi Elisi e per la via du Bach.

80 cannoni d'ogni calibro posti sul quai hanno in un istante distrutte le barricate che sono cadute in frantumi. La terrazza delle Tuilleries è stata presa vivamente d'assalto. Qui come altrove furono fatti numerosi prigionieri. La porta Maillot attaccata dal 5° corpo è stata presa d'assalto dai fucilieri marinai comandati dal generale Bruat. Vi si presero 12 cannoni ed 8 mitragliatrici.

Il corpo che formava l'ala sinistra, ha preso d'assalto le stazioni del nord e di Strasburgo, mentre il generale Clinchant stendendosi sulla riva sinistra giungeva al crocevia di Clichy, si inoltrava per le avenues di Clichy e di Saint-Ouen in guisa da chiudere da questa parte l'altura Montmatre.

Il corpo Douai marciava al centro dell'esercito, giungeva a chèteau d'Eau per prendere l'altura dall'altra parte.

Verso le dieci, l'artiglieria tacque ed i tre corpi d'esercito, procedendo all'assalto dell'altura da diversi punti, la presero con grande slancio. Fra l'una e la due, le nostre truppe si erano rese padrone di questa formidabile posizione.

Il corrispondente versagliese del Times telegrafa a questo giornale in data di Versaglia, 22, a sera:

òSono ritornato in questo momento dall'aver seguita l'ultima colonna del generale Vinoy, che si recava a prender posizioni nelle vicinanze del Trocadero. Sono penetrato a Parigi per il Point-du-Jour, ho visitato Auteuil ed i bastioni fra la porta di Saint-Cloud e quella di Auteuil. Dopo passato il ponte di Sòvres, restai sorpreso che nella via portante il nome di questo ponte le case presso alla cinta abbiano sofferto pochissimo. Una o due portavano i segni delle granate, ma il fatto che quasi tutte rimanessero illese prova che l'artiglieria versagliese sapeva dirigere benissimo i suoi colpi. La popolazione sulla via di Sòvres tenne aperte le botteghe in mezzo ad un terribile fuoco. Soltanto due o tre case erano chiuse perchè facevano un angolo pericoloso alle batterie di Meudon. In una di esse s'era scritto: fermòpour cause du bombardement. Fra le ultime case ed il bastione, ad una distanza di circa 100 metri da quest'ultimo v'erano le trinciere costruite dalle truppe. Esse erano munite di buoni gabbioni, ed intorno v'era una grande quantità di fascine. I battenti della porta non esistevano più. Il ponte levatoio era pure fatto a pezzi. Il corpo di guardia cadeva in rovine, e la spianata da Point-du-Jour ad Auteuil era letteralmente coperta di frammenti di granate. Il parapetto era crollato, ma non vi era praticata una breccia, propriamente detta.

Passato il Point-du-Jour, le rovine vanno aumentando; dalla porta alla stazione ferroviaria non v'è neppure una casa abitabile; neppure tre hanno il tetto, e neanche una ha intatte le finestre ed i muri. Dal viadotto io potei distinguere un immenso incendio nelle vicinanze del Campo di Marte ed assistere al combattimento fra le truppe e gli insorti. Nella piazza della Concordia e la via di Rivoli presso il Trocadero, le truppe stanno colle armi a fascio dalle due parti della strada, ma lungo i quais non ha luogo alcun combattimento. Il generale Vinoy si è stabilito nel suo nuovo quartiere generale ed i 70 o 80,000 uomini già entrati in città sono reputati sufficienti per disperdere gli avanzi della Comune. Il rumore della battaglia si poteva udire in più d'un punto, e nondimeno tutti credono che l'insurrezione sia all'agonia. Dietro ai bastioni vi è un piccolo cimitero, dove rimangono insepolti i cadaveri di trentadue guardie nazionali. I dintorni di Auteuil presentano un'orribile scena di desolazione e di disordine; le porte di Auteuil, come quelle del Point-du-jour, sono scomparse, e le abitazioni sono ridotte ad un mucchio di rovine.

Le case della via Rivoli, specialmente quelle che stan vicine alla mairie di Saint-Germain, Auxerrois, il teatro Lirico, le Tuilleries, o per lo meno la facciata verso il giardino sono distrutte, le case della via Royale che fanno angolo colla via del Faubourg Saint-Honorò sono abbruciate. Del ministero delle finanze non rimangono che i muri.

Sulla riva sinistra, molte case in via du Bach e Lilla, la prefettura di polizia, il palazzo di giustizia, la cassa dei depositi e delle consegne, la Legion d'onore, il tribunale di commercio, le case dei Faubourg Saint-Germain sono più o meno danneggiate dal fuoco. Notre-Dame e la Sainte Chapelle sono salve. Da ultimo, in una parte remota di Parigi due immense colonne di fiamme e di fumo si elevano, indicanti, per quanto si dice, che alla stazione dell'est, e certamente al granaio di deposito sul quai Bourdon, si sta compiendo un'opera di distruzione.

Questi incendii gettavano in Parigi lo spavento più ancora che il frastuono della battaglia. Dappertutto si turano accuratamente gli spiragli delle cantine. Furono còlte delle donne che vi gettavano del petrolio infiammato. Gran numero di guardie nazionali hanno preso le armi nei quartieri vicini ai boulevard, ed ognuno veglia alla propria casa. Assicurasi anche che in più d'un punto sono le donne che hanno rinfocato la lotta e dato esempi di meraviglioso fanatismo.

Quale tremendo aspetto aveva Parigi, così deserto, devastato, forato, ognuna delle cui case era solcata da traccie delle palle!

In molti punti, la resistenza è stata delle più vive. Alla stazione Saint Lazare, alla Maddalena, alla via Lafayette si è combattuto con accanimento. Un lungo combattimento d'artiglieria ha avuto luogo da un capo all'altro della chausòe d'Antin fra la barricata innalzata all'altezza della casa Bignon e le batterie poste allo square della Trinità.

Un incendio considerevole si sviluppònel quartiere del Lussemburgo.

La fisonomia di Parigi era delle più tristi. Quasi completa ne è la solitudine. Gli abitanti ignoravano tutto meno quello che accade loro sott'occhio. Il maresciallo Mac-Mahon che evidentemente è in istato di giudicare della situazione, si è opposto, dicesi, alla pubblicazione di qualunque giornaleò.

Dall'estremità occidentale di Parigi, il quadro delle rovine già ammucchiate dalla guerra civile o dalle faci degli incendiari è terribile.

Auteuil più non esiste; Passy ha delle porzioni quasi interamente distrutte: l'orlo del bosco di Boulogne è quasi ridotto allo stato di terreno brullo. Il viale dell'imperatrice è nudo affatto.

La parte sud-ovest dell'arco di Trionfo, compreso il bassorilievo, è più o meno mutilata da cima a fondo. Le case che fiancheggiano la piazza dalla stessa parte sono crivellate. Il viale dei Campi Elisi, disseminato di palle e scheggie di granate, porta sulla maggior parte delle case e degli alberi traccie dello spaventevole cannoneggiamento delle ultime quarantotto ore. La legazione d'Italia, alla rotonda, ha ricevuto una granata che ha prodotto grandi guasti.

Lo spettacolo è approssimativamente eguale a quello del Faubourg Saint-Honorò, dove un combattimento accanito ha crivellato le case di traccie di palle, specialmente nelle adiacenze del ministero dell'interno; l'ambasciata d'Inghilterra è forata da tre o quattro granate. Il ministero dell'interno non sembra sia stato oggetto di un tentativo di incendio. Nella Cità sono abbruciati: La prefettura di polizia, la Santa Capella, il palazzo di giustizia, il quai des Orfòvres, dal boulevard du Palais fino alla via di Harlay.

Se ora noi ridiscendiamo alla piazza della Concordia per rimontare di là alla riva destra ecco ciò che incontriamo:

La via Royale, che non è più che un ammasso di macerie su tutto il lato dei numeri pari. Un solo muro rimane in piedi, e porta, sospeso all'altezza del terzo piano un cartello intatto, accanto al quale è rimasto attaccato un quadro.

Il ministero delle finanze, rovinato all'interno nella parte che sta verso la facciata; sembra per altro sia stato risparmiato dal fuoco, verso la via Mont-Thabor.

All'incontro, le case che vi confinano, in via Rivoli, e credo, anche nella via Castiglione, furono seriamente danneggiate. Le Tuilleries sono distrutte verso il giardino, in tutta la lunghezza dalla via Rivoli al quai; l'ala del padiglione di Marsan subì la stessa sorte fino al ponte di incontro coll'antico Ministero di Stato.

Verso il fiume, l'incendio potè essere domato un poco al di qua di questa linea. Per conseguenza, il Louvre e tutte le sue collezioni sono salve. Il Palais-Royal propriamente detto, cioè le parti che contenevano gli appartamenti di residenza, non esiste più.

La parte superiore della galleria di Valois è stata avvolta in questa distruzione.

La galleria d'Orlèans, la galleria Montpensier ed il Teatro Francese sono stati preservati.

Il vasto agglomeramento di costruzioni che comprendeva l'albergo del Louvre ed il magazzino dello stesso nome, è devastato in tutta la sua estensione.

Da un rapporto spedito al ministero dell'istruzione pubblica da delegati mandati a Parigi, rilevasi che della biblioteca del Louvre non resta più un solo volume.

In faccia a questa tremenda realtà, Thiers aveva il coraggio impudente di dire all'Assemblea che le truppe sono degne dell'ammirazione di tutta l'Europa, che i soldati fecero prodigi.

La mattina del 26, il generale Liszy si era impadronito della Salpetrière, mentre altri generali occupavano differenti altri punti. La resistenza è dai versagliesi incontrata sulla piazza del Chateau d'Eau. è qui che rimase ucciso il generale di brigata Leroy de Dais. Gli insorti difesero accanitamente la barricata innalzata all'angolo della rue du Temple e del boulevard. A mezzogiorno, la Bastiglia era occupata dalla truppa.

Nella via di Rennes, la lotta fu terribile. A duecento metri dalla chiesa di Saint-Germain-des-Pròs, sette insorti, nascosti dietro materassi, fulminavano i soldati. Scoperti, furono fucilati. Alcune case più lungi, da un quinto piano, un insorto nascosto dietro un materasso ha dato la morte a ventun soldati; non si sapeva donde partissero i colpi, e quando si concepì il dubbio che escissero dalla finestra accennata, l'insorto erasi già salvato su pei tetti.

I movimenti delle truppe erano regolati con ordine ammirabile. L'attacco facevasi su quattro linee, la prima fila faceva fuoco; una volta stanca, cedeva il posto alla seconda, e andava a riposarsi, e così di seguito.

Per tutta la giornata, gli insorti lanciarono granate nella direzione del nuovo Opera; gli abitanti del quartiere furono costretti a rifugiarsi nelle cantine.

Le barricate della Villette non poterono essere prese che a costo dei più duri sacrifizii.

Alla mattina di sabato 27, fu presa la barriera del Trono, e dopo quest'azione, le truppe ebbero alcune ore di riposo.

I forti del sud che resistevano ancora, si sono resi nella giornata di venerdè. è in seguito allo scoppio di una polveriera nella cinta di Ivry che i dragoni del generale du Barrail hanno posto piede a terra, e profittando del panico degli insorti, entrarono nel forte, ove riuscirono a mantenersi dopo una vivissima lotta.

Nella notte di giovedè a venerdè avea preso fuoco il complesso di costruzioni, ove trovavansi i depositi e le officine della compagnia dell'est alla Villette. Esso rimase completamente distrutto.

La facciata del Ministero degli esteri fu rovinata in tal modo che si dovrò ricostruire. La piazza della Concordia presentava il più triste aspetto.

Macerie in quantità enorme coprivano il suolo.

Vi sono centinaia di carra di pietre e di materiale di fabbrica. La statua dell'imperatore è col dorso fortemente incastrata nel suolo. Il bronzo della colonna è rotto in mille pezzi, nel chètelet furono rinchiusi numerosi prigionieri che hanno la libertà di passeggiare sul balcone e che di là possono contemplare la loro opera di distruzione.

La notizia dell'incendio del palazzo degli archivi era falsa. Sono per altro abbrucciati gli Archivi della Corte dei Conti. Arso l'Hòtel de Ville. Non esistono più i documenti dello stato civile di tutti gli abitanti della capitale.

Gli uomini della Comune destinati a dar fuoco agli edifizii, coll'aiuto di una pompa o con larghi pennelli, coprivano di petrolio i monumenti condannati alle fiamme e le case vicine; venivano in seguito altri colle torcie ad appiccare il fuoco. In un momento, le fiamme, salendo lungo i muri, s'appiccavano al legno, penetravano nell'interno propagandosi dappertutto con istraordinaria velocità. E, come ciò non bastasse, giungevano dall'alto gli obici, le palle di cannone, palle piene di petrolio.

I grandi depositi di alcool e di petrolio destinati al consumo della città fornivano abbondanti munizioni agli incendiari.

Quel po' di luce che si potè avere da quello spaventoso abisso che travolse con sì uomini e cose in quella ecatombe in cui si seppelliva un'idea colla disperazione del cuore.... mostrò come agli incendiari della Comune andasse unita una ciurmaglia d'ogni basso grado. - Mani comperate dagli Orlòans, dai Bonapartisti, dal governo istesso di Versaglia avevano per iscopo di disonorare un partito che temevano.

Il Moniteur, in data di Parigi 20 maggio, dava intanto un positivo ragguaglio dei guasti sofferti dalla città, ove risultava:

"Palais Royal, abbruciato, meno le gallerie; i muri restano in piedi. - Ministero delle finanze, abbruciato. - Rue Royale, tutti i numeri dispari fra Rue saint Honorò e la Madeleine, ed alcuni numeri pari. - Rue du Bach, grande incendio fra il ponte e Rue de Lille; parecchie case crivellate nei dintorni della Rue Saint-Dominique; barricate numerose, passaggio difficile. - Thèatre Lirique, abbruciato per di dietro. - Thèatre del chètelet, intatto. - Palazzo delle Tuilleries, le gallerie della corte d'onore abbruciati. - Louvre completamente salvo, meno ed unicamente la biblioteca vittima di un disastro speciale. Alcune palle nella facciata della colonnata. - Piazza Saint-Germain l'Auxerrois, bruciata la gran casa posta fra la mairie e Rue de Rivoli. Salvate la mairie e la chiesa di Saint-Germain l'Auxerrois. - Palazzo di Giustizia, abbruciato, meno la biblioteca degli avvocati. Il fuoco era combattuto due piani più in alto e si sperava di spegnerlo. Santa Cappella, intieramente intatta; la bandiera a tre colori è stata portata sulla sommità della guglia da un pompiere chiamato Blin del distaccamento di Chartres. - Prefettura di Polizia, in piedi, sostenuta da innumerevoli puntelli, ma intieramente incendiata. - Molte case della Rue de Rivoli abbruciate, fra cui i magazzini di Pygmalion. - Hòtel de Ville e suoi annessi della piazza abbruciati; la caserma di dietro e la mairie, in piedi; alcune scheggiature nel campanile della chiesa vicina. - Corte dei Conti, co' suoi archivi e Consiglio di Stato, distrutti. - Cancelleria della Legion d'onore, abbruciata. - Ministero degli affari esteri, alcune brutte scheggiature nella facciata. - Biblioteca Mazarino, qualche vetriata rotta; le tinozze di petrolio erano già preparate, ma gli uomini non hanno lasciato il tempo di darvi fuoco. - Palazzo della zecca, vetri rotti. - Museo Carnevalet intatto. - Notre Dame, salva. Le seggiole ammonticchiate cominciavano già ad ardere, quando i praticanti di farmacia d'Hòtel Dieu sfondarono la porta e tirarono indietro i rimasugli infiammati. - Tribunale di commercio e Caserma dei pompieri, intatti. - Granaio d'abbondanza, incendiato. - Biblioteca dell'Arsenale, molto minacciata dalla vicinanza del Granaio d'abbondanza. - Gobenins, abbruciati senza che si possa dire fino a qual punto il fuoco abbia estese le sue devastazioni. - Avenue Victoire, e Boulevard Sèbastopol, abbruciate le prime case della Rue Saint-Martin che formano uno dei lati della Tour Saint-Jacques. - Deposito delle carte e piani della Marina, Rue de Lille: salvo, ma spogliato de' suoi cannochiali e cronometri. - Museo, rispettato. Archivi nazionali, soltanto qualche scalfitura dalla parte di Rue de Chaume. è il solo stabilimento in cui la bandiera a tre colori sia rimasta fino al 23 maggio. Il signor Naury direttore del medesimo, è rimasto al suo posto. - Conservatorio delle arti e mestieri; due bombe nelle gallerie. Il signor Tresca sotto direttore, precedendo le truppe, aveva fatto preparare tre pompe a vapore, una delle quali è stata mandata in soccorso della Biblioteca dell'Arsenale appena il combattimento lo ha permesso. - Panthòon: salvato. - Biblioteca Sainte Geneviòve; una sola bomba caduta in uno scaffale di libri.è

LE GIORNATE DI PARIGI.

Dopo gli incendi dei comunisti toccava all'armata di Versailles giuocare la sua parte nel sinistro dramma che si eseguiva sul grande teatro!... L'Europa intiera vi assisteva con un interesse egoistico. Gli assalti dalla parte di Porta Maillot del Ponte Neuilly, d'Issy, dell'arco del Trionfo; i massacri di Clamart ed i mille altri scontri che erano avvenuti intorno alle Mura di Parigi a cui si era formata una barricata di cadaveri umani, tutto ciò non era stato che il preludio del grande atto.

In attesa della interessante e curiosa rappresentazione in cui si sarebbero veduti i fratelli d'una istessa terra gettarsi petto a petto gli uni sugli altri, inseguirsi di barricata in barricata... e fra i vortici infiammati dell'incendio che ardeva case, palazzi, barricate e soldati... il mondo aveva la febbre.

In Parigi ferveva intanto quella vita convulsa che annuncia la caduta d'un partito.

I federali accerchiati da ogni parte si sentivano perduti. Innanzi a loro, dietro loro, non v'era che una cosa di reale: la morte. Bisognava dunque dargli il benvenuto e lanciarsegli incontro nell'ebbrezza vertiginosa del delirio.

Dal 17 al 21 maggio, scrive quel bell'ingegno che è Petrucelli della Gattina, testimonio oculare dei tremendi fatti che si avvicendano nella grande metropoli francese, cento mila uomini con un'artiglieria di seicento e più pezzi - batterie di campagna, di forti e di ridotti compresi - davano l'assalto ai bastioni. La breccia era stata praticata in più punti, ma incompleta, e dietro la breccia si rizzavano barricate armate di cannoni. L'assalto non era dunque riescito ed il successo sembrava ancora aggiornato. Questa era la posizione di domenica sera.

Nella notte della domenica al lunedè non un colpo di cannone su tutta la linea, quella almeno che da sud-est si stende al sud-ovest. Ignoro cosa avvenisse dalla porta di Neuilly a quella di Saint-Ouen. Ed ecco che la mattina del lunedè ci svegliano, e la novella che i versagliesi sono in Parigi si spande di porta in porta, come un fremito di terrore. Il terrore era universale perchè l'esito della lotta sembrava incerto, ed il partito qualunque si fosse, non aveva a sperar mercè dal vincitore.

L'ingresso dei realisti aveva avuto luogo per queste quattro porte: la porta di Versailles, che corrisponde ad Issy fuori ed a Vaugirard dentro i bastioni; la porta di Sòvres, detta altrimenti di Point-du-Jour, che corrisponde alle batterie formidabili dei Moulineaux e di Billancourt fuori, ed a Grennelle dentro; la porta della Muette, donde dal Bois de Boulogne si arriva all'Ecole Militaire e al Champs de Mars; la porta di Saint-Ouen, ove comincia la Germania, e per la quale, venendo da Asniòres, da Genevilliers e da tutte le numerose posizioni così disputate da due mesi, si entra in città, e svolgendo a manca si riesce dietro a Montmartre, la Chapelle, la Villette, e tutto il paese che al di là delle fortificazioni è occupato dai tedeschi.

Per la porta di Versailles, alle quattro del mattino del 22 i soldati entrarono senza bruciare una cartuccia. Il battaglione di federali che la teneva si ritirò al primo segnale di tromba che gl'intimòla resa dall'altra banda. Il capo di battaglione, di cui non mi ricordo il nome, fe' sonare la ritirata malgrado le rimostranze di qualcuno dei suoi uomini, e, mettendosi alla testa, dette l'ordine di abbandonare il posto. I federali videro in quest'ordine un tradimento e, gridando ad una voce: Nous sommes vendus! si ripiegarono in disordine e ripararono nel loro quartiere.

Alla porta del Point-du-Jour vi fu un simulacro di resistenza. Ma dopo pochi colpi scambiati, il capo di battaglione gridè: Siamo girati, si salvi chi può!

E dette il primo l'esempio.

Alcuni individui, senza capi, provarono di tenere la barricata. Ma coperti da un nugolo di obici, attaccati dal cannone, avendo appreso che i versagliesi erano di già entrati, si ritirarono all'Ecole Militaire.

Alla Muette, la lotta fu più seria e si prolungòfino alle ore pomeridiane.

Non so nulla ancora di ciò che avvenne a Saint-Ouen.

Dalle tre porte precedenti, battaglione dietro battaglione, reggimento dietro reggimento e brigata seguendo brigata, entrarono il 22 maggio circa quaranta mila uomini.

Alle 9 del mattino essi avevano occupato, senza resistenza, la stazione della ferrovia di Versailles, a Montparnasse, la caserma della strada di Babilonia, lo stabilimento de l'Ecole de l'òtat major, nella strada di Grenelle e gli Invalidi.

L'Ecole Militaire, al Champ de Mars, fu presa d'assalto, e tutto ciò che vi era dentro di vivente fu massacrato: "Nous y avons fusellè mème les chats de la citoyenne la Commune" diceva un sotto uffiziale in una bettola vicino a casa mia. Il palazzo dell'Industria, ai Campi Elisi, tramutato in ambulanza, non era guardato che dalla bandiera bianca colla croce rossa di Ginevra. Fu preso. I feriti, 400 federalisti, non furono passati per le armi, come mi avevan detto, ma sono guardati a vista. Sono andato ad assicurarmene.

Ma qui i facili trionfi dell'esercito del signor Thiers cessarono.

La Comune aveva pigliate le determinazioni convenevoli, in previsione degli avvenimenti. Delescluze, il capo vero dell'ultimo periodo del regime comunalista, lasciò il ministero della guerra. Questi, il comitato centrale, il comitato di salute pubblica si raccolsero tutti all'Hòtel de Ville. I cinquantadue membri superstiti della Comune si sparpagliarono, recandosi ciascuno nel circondario che lo aveva nominato, e pigliandovi il comando supremo.

La parte ovest della città fu lasciata al suo destino ed alla difesa individuale di chi volle pigliarne l'iniziativa e la responsabilità. La Comune si decise a difendere i quartieri al nord-est ed una parte dei rioni del sud, vale a dire, si cedè senza lotta tutto il lato ovest della città che, partendo dalle vette di Batignolles giunge alle vette di Vaugirard, passando dal Faubourg St-Honorè, i Campi Elisi e l'Hòtel des Invalides.

A mezzodè, come per incantesimo, la parte ove la Comune voleva dar battaglia fu coperta di barricate. Tutto ciò che poteva sembrar utile a questo scopo fu preso nelle vie, nelle botteghe, nelle case. Quindi i ciottoli, che formavano il nucleo resistente dell'opera, ebbero un rivestimento di botti piene di terra e perfino di vino, di sacchetti di sabbia, di materassi, di coperte, di mobili, di guanciali di piume, di tutto insomma che poteva servir di riparo agli assaliti ed ammortire i colpi degli assalitori. Le case circostanti furono occupate.

In ogni angolo di strada stazionava a guardia un gruppetto di combattenti che, celato agli spigoli, faceva fuoco sull'avversario. Quando la strada era in potere di una sola delle parti, le finestre erano guarnite di cittadini, principalmente donne, le quali assistevano alla fucilata, come se fossero al Circo. Quando i federali erano ad un capo ed i reazionari dall'altro, tutto era chiuso, ed un silenzio terribile regnava nella contrada.

Il cielo era splendidissimo di azzurro e di sole, ciò che raddoppiava la mestizia e l'orrore.

Il cannone si udiva poco, raro, lontano. Dalle terrazze si potè contemplare, fino alle sette della sera, tutti i comignoli della città sventolar ancora baldanzosi la bandiera rossa della Comune. Nel pomeriggio però si cominciò ad udire qualche sibilo di bomba fendere l'aria ed andare a cacciarsi in mezzo al nemico. Nella mia strada, a cento metri di casa mia, uno di questi proiettili venne a battere il muro della scuola di Stato Maggiore, penetrò nei giardini dove vi era copia di fieno e vi occasionò, oltre l'immenso conquasso nella strada, un incendio che durò tutto il giorno. Un fumo giallastro s'innalzava come un immenso fungo, il di cui peduncolo restava nerastro e fisso, e la di cui ombrella si allargava e rischiarava a misura che si inoltrava nell'azzurro.

A Parigi vi è la tradizione della guerra di strada e della sua particolare strategia. ciò data dal 1830. L'esperienza l'ha perfezionata nelle sommosse del 33, del 38, del 48, del 52. Il maresciallo Bugeaud lasciò delle indicazioni molto utili, e il signor Thiers era ministro dell'interno quando ebbe luogo l'affare famoso della rue Transnonian che ha formato di poi codice e leggenda.

Codesta tattica è semplice come l'amore a venti anni. Le spie riportano in qual punto è la barricata. Con la mappa di Parigi alla mano, si sceglie un gruppo di case, le quali, partendo dall'estremo il più lontano o il più sicuro, vanno ad imboccare a perpendicolo sulla barricata o alla sua parte posteriore. I combattenti entrano nella casa ai piani superiori, poi forando i muri o scalando i tetti avanzano di casa in casa fino alle spalle o sul capo del nemico, il quale li attende dalla parte opposta della barricata.

Se il nemico ha occupato le case che dominano la strada, il combattimento ha luogo negli appartamenti, e gli abitanti sono massacrati al par del resto, ora come complici ed ora per sventura. I soldati del signor Thiers, nella sommossa della via di Transnonian, non si dettero neppure la briga di bruciar delle cartuccie: essi precipitarono sommariamente insorti ed abitanti dal quinto e sesto piano sulla strada.

E giustizia era fatta!

La medesima tattica fu seguita sotto Cavaignac, nelle lugubri giornate di luglio 1848, e da Saint-Arnaud nell'imboscata dei masnadieri 1852.

La tradizione è stata rispettata.

E come di poi l'artiglieria ha fatti dei progressi, ed oggi ha il primo posto fra gli ordegni di guerra, di essa si è fatto spaventevole uso. La truppa ha bombardate le case dove gl'insorti si erano appostati ed il fuoco e la mitraglia hanno scoraggiati coloro che gli uomini non osavano o non potevano attaccare. Che importa la città, gli edifizi, i monumenti, gli abitanti? si dirò più tardi, si dice già adesso: quelli scellerati della Comune! - come si diceva nel tempo della guerra: quelle orde selvaggie di prussiani! Ed è così che la gente d'ordine narra poscia la storia.

La battaglia vera sulle barricate cominciò dunque alle quattro del mattino, il 23 maggio. Da questa e dalle case federali opposero una terribile moschetteria alle truppe che avevano occupate pure le case all'altro estremo della via o si appiattavano agli angoli.

Infrattanto si faceva avanzare il cannone. I federali ne avevano pochissimi, perchè tutte le loro bocche a fuoco erano state trasportate alle mura o sulle barricate adiacenti. Una barricata su dieci avrò avuto forse un piccolo pezzo o una mitragliatrice. I soldati, al contrario, ne erano provvisti a dovizia. Il cerchio del cambiamento si estendeva.

I soldati avanzavano e si battevano disperatamente. Sono in parte soldati dell'impero, reduci dalla prigionia, gendarmi, fanteria di marina, cacciatori di Africa - truppe essenzialmente solide - a cui, del resto, si era tolto il ruzzo dell'esitare, minacciando di fucilazione chiunque rinculasse. Gli ufficiali poi erano sempre bravamente alla testa.

A mezzodè, i federali si erano tutti ritirati dietro le barricate. Verso le due, il cannone pigliòla parola e si potòcosì specificare ove il combattimento ferveva.

Terribilissimo era nella rue du Bach, nella rue Royale, dirimpetto alla piazza della Concordia, sulla parte della ferrovia di cintura che dalla porta di Saint-Ouen va alla porta Saint-Denis, e di dove si era contornato Montmartre, prendendolo per di dietro, dove aveva cominciato a fortificarsi di fretta e furia quando già il nemico si avanzava. Ed il nemico aveva oramai tutte le entrate libere, poichè i federali si concentravano nel centro della città, asserragliato di una rete potentissima di barricate.

L'assalto a fondo delle barricate cominciò il 23, verso le due, preceduto da un diluvio terrificante di palle di cannone, di mitragliatrici e di obici, che piovvero sulle barricate e nelle case di dove i federali sostenevano la battaglia. ciò durò fino alle cinque, altrove più tardi. Poi il cannone si acquetà e ricominciò la fucilata. Si sarebbe detto una cascata di scoppi, il crepitamento dell'incendio messo ad un bosco le di cui fronde non sono ancor secche. Gli obici avevano sloggiati o uccisi i federali che tiravano dalle case e vi avevan messo l'incendio. La moschetteria spazzava quel resto di uomini, che la barricata sconvolta e sfondata, si tenevano ancora intrepidi dietro un alcun che di riparo, e rispondevano alla baionetta.

I federali si ritirarono allora alla barricata intatta più lontano. Quelli che, feriti o prigionieri, caddero in mano dei soldati, furono fucilati immediatamente. Nella corte del ministero dell'interno ho veduto io ieri due enormi carretti pieni di cadaveri di coloro che la truppa aveva catturati o trovato feriti dietro la piccola barricata della strada di Grenelle. Ad alcuno non si era fatto grazia.

I giudici han talvolta idee sovversive di umanità, ed il militare, in generale sì bravo uomo nelle ore di pace, nella concitazione della guerra è feroce da far paura ad una tigre.

Mentre una divisione della truppa del generale Cissey s'impadroniva del ministero dell'interno e della mairie del 7° arrondissement, alle sei della sera, altra divisione dello stesso corpo, che era passata dai quais, malgrado i proiettili dei federali, veniva ad accampare nella strada dell'Università e bombardava il corpo legislativo.

Dietro le inferriate del cortile di questo stabilimento si teneva un gruppo di federali, il quale impediva l'accesso della piazza, e perciò l'avvicinarsi al ministero della guerra. Sotto l'attacco della mitraglia, i federali evacuarono il posto, uscendo dai quais, sotto la protezione del cannone delle barricate della Rue Royale e degli angoli della piazza della Concordia. I soldati si avanzarono ancora, ed a loro volta fecero una barricata singolare - con le tele delle tende legate a mucchi - dall'angolo della piazza di Bourgogne a quello del Corpo legislativo. La bandiera rossa però sventolòfino all'indomani sull'edifizio.

Un distaccamento di cacciatori procedè allora, dalla piazza degl'Invalidi, per la strada dell'Università, e venne ad occupare gli edifizi che attorniano la parte del ministero della guerra sulla piazza S. Clotilde. Il cannone della strada di Grenelle fu puntato contro l'edifizio, altri pezzi vennero innanzi per i quais. Innanzi al Ministero vi era una barricata. All'angolo ve n'era un'altra, che intercettava la strada di Solferino, poi un'altra alla strada di Lille. I federali si erano ritirati nella parte orientale del ministero della guerra, nell'Hòtel della Legione d'Onore e nell'archivio della Corte dei Conti che sembra una fortezza, e tiravano fucilate. L'artiglieria si mise all'opera. Le bombe appiccarono l'incendio al palazzo della Legion d'Onore ed all'archivio. Altri accusano di ciò i federali. L'avvenire rischiarerà la quistione. Ma i federali restarono la sera in tutta la parte orientale del ministero della guerra, fino a che la colonna che aveva preso la barricata della strada di Grenelle non discese per la strada di Bellechasse, dove aveva occupato la caserma, dopo avere sfondate le due barricate della via.

Ieri mattina nei dintorni della caserma vidi un capo mozzo e due cervella intere di uomini nel mezzo della strada. In ogni angolo immensi gorghi di sangue. I rivoli di acqua che lavano le vie ai lembi dei marciapiedi erano tinti di rosso; qua e là mucchi di casquettes e uniformi di federali. Che orrore vi doveva essere nelle interne corti della caserma!

Restava la piazza Vendème, il centro della posizione.

Tutte le strade circonvicine erano state barricate, ma poco solidamente. L'opera teneva ancora e guardava la posizione al nord. Questa fu presa per di dietro dalla divisione del generale Clinchant, che aveva spazzate le barricate della strada Tronchet e delle altre vie alle spalle della Maddalena, ed una rimontata verso Clichy per dare la mano al corpo di Ladmirault.

La piazza Vendème si trovava dunque minacciata da due punti: all'ovest, per la strada St-Honorò, al nord, dall'Opòra che le fa faccia. Il pericolo aumentòquando una colonna del corpo di Vinoy, penetrata dalla via Louis-le-Grand, dalle Halles si cacciò nelle case, di dove sfondando semplicemente un muro o due, si penetrava negli edifizii che hanno vista sulla piazza. Dalle barricate e dalle finestre si impegnò, malgrado ciò, il combattimento, ma la resistenza non fu efficace. Il posto poi, essendo divenuto ormai inutile, vi si lasciò qualche uomo per tenere a bada i soldati, ed il resto, dopo aver messo il fuoco al ministero delle finanze, se furono dessi, per il giardino delle Tuileries si cacciò nel palazzo.

Qui non vi fu combattimento, e non vi è dubbio sugli autori dell'incendio. I federali avevano da lunga mano fatto dei preparativi a quest'uopo.

Il generale Roselli nel 1848 voleva bruciare San Pietro e tutte le moschee di Roma, dicendo: che al nido bruciato, l'uccello non torna più. è un'idea rivoluzionaria, che ha un valore drammatico indiscutibile.

Gli ultimi momenti della Comune intanto si avvicinavano.

Distaccamenti di soldati freschi furono condotti al fuoco in mezzo agli applausi della popolazione, che dalle botteghe e dai balconi batteva le mani. Se i federali avessero vinto sarebbero stati ricevuti con le stesse ovazioni.

Parigi ha di queste epilessie.

Era una notte splendida di stelle; un arco di luna spandeva un dolce crepuscolo. Non lumi nelle strade, che sembravano come solchi cavernosi di tenebre. Non una creatura vivente che passasse, tranne di tratto in tratto, come un fantasma, un federale o un soldato che strisciava verso un angolo della strada per ascoltare il battito del cuore della posizione.

I combattimenti in campagna aperta, sono un'epopea. Il paesaggio del campo di battaglia; l'immenso movimento; le artiglierie che coronano le alture di fuoco e di fumo e conducono il fulmine al galoppo dei cavalli in tutti i punti; le fanfare che suonano; i gridi di hurrah; le bandiere spiegate che flotteggiano come l'alia di un genio protettore sulla legione combattente; le cariche grandiose della cavalleria; lo spanto dell'intelligenza dell'uomo che giuoca quella tremenda partita di scacchi; gli uniformi multicolori dei reggimenti; le vicende della lotta; il correre dei brillanti officiali di Stato Maggiore; il luccicare delle armi... tutto ciò è la vita, è grande, è poetico, esalta la fantasia, inebbria di qualche cosa di più che la feroce ansia di uccidere; è l'uomo a cui restano ancora talune delle sue divine facoltà dello spirito. Per tali grandiose scelleratezze si trovano ancora gli Omero, i Virgilio, i Tasso, i Camoens... che accordano la loro cetera d'oro e le cantano.

I combattimenti delle strade, di ordinario fatti di guerra civile, sono bassamente prosaici ed atroci. I combattenti non han più nulla del guerriero. Essi si appostano, si appiattano, si spiano, si dissimulano dietro un riparo; non bandiera che si porta avanti; non musiche che intuonano passi di carica. Non si vede il lampo dell'istrumento che uccide. Appena se ne ode lo scoppio. Un serpente passa sibilante sul vostro capo, vi morde, vi abbatte, e va pesantemente ad appiattarsi contro uno spigolo di muro o un lastrico. Non si vede il nemico: si sospetta la sua presenza in questo o quel sito. Non un grido onde non denunziarsi. Ogni espansione dell'animo si comprime, e si manda come elemento combustibile ad intrattenere la ferocia. più tristo ancora. In queste guerre di strada vi è sempre da una parte della barricata un partito che crede nell'idea per cui si batte; dall'altra banda una coorte di uomini pagata, che non sa chi combatte, perchè combatte, per chi combatte, ed obbedisce. Perinde ac cadaver!

I combattimenti di strada han l'aria di imprese da masnadieri. Il terrore è nell'aria. Delle migliaia di innocenti si contorcono negli spasimi dell'ansietà. Sovente batte la campana a martello che raddoppia l'orrore, come se anche la voce di Dio gridasse: Uccidete! uccidete! Chi non è attore, è vittima. Lo strepito stesso del cannone e del fucile, rimbalzato d'eco in eco, acquista un accento sinistro.

Se questo combattimento poi ha luogo nella notte; se ha luogo in più punti della città, sì che il fragore vi avviluppa come in un'orbita di follia; se il chiarore dell'incendio vi stende sul capo un'onda di luce purpurea, mentre nera come baratro, la terra si spazia davanti a voi, se il cielo è solcato da bombe, ed il sibilo di esse vi stilla nelle vene lo spavento dell'incognito; se il tuonare delle artiglierie dà i sussulti alle fondamenta della vostra casa, vi squassa le imposte, vi stritola le finestre, vi commove le intime viscere; se vi attorniano donne e fanciulli che vi domandano la vita, fuggire, scampare da quel centro di spiriti infernali scatenati... e voi siete inchiodato a quel calvario perchè lo scampo è impossibile... oh! allora la guerra delle strade è un'opera che non ha nome. Bisogna esser passato per quel caleidoscopio infernale, di sensazioni, di affetti, di passioni, di scompiglio di cuore e di mente, per formarsene un'idea. Ogni colore di chi tenta dipingerlo è sbiadito, eppur sembra caricato a disegno. Ebbene questa deve esser stata la notte del 23 al 24 maggio che si è passata nel faubourg Saint-Germain.

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Alle 4 del 24 la piazza della Concordia era tutta in potere delle truppe, la via Royale e quella di Rivoli aperte innanzi a loro. Ma non osavano spingersi oltre, perchè il Ministero delle finanze, le Tuileries, il Palais-Royal, il Louvre bruciando, il giardino delle Tuileries restando misterioso, non sapevano a che ed a chi andavano incontro.

La fucilata era terribile su i quais, e nell'interno di Parigi, nel bacino tra la sponda destra della Senna ed i bouleverds.

L'aspetto delle strade spazzate dai federali era sinistro. Qualche rarissimo passante il quale guardingo e rasentando i muri, si guardava intorno come il selvaggio delle foreste vergini d'America. Poi, qua una gora di sangue, là un pezzo di uniforme lacerato, più oltre un cadavere, e due sovente di federali, talvolta di soldati, a destra una casa che bruciava, a sinistra altre case butterate sgraziatamente di palle; i vetri quasi tutti rotti e di dietro le porte della strada socchiuse una figura pallida ed esterrefatta che domandava: Oì sont-ils? L'ils erano i federali.

Poi altre strade solinghe come quelle d'una città di provincia a mezzanotte. Nugoli di fumo a tutti i punti dell'orizzonte.

Strepito di moschetteria e di cannonate da vicino o da lontano al nord, al mezzodì, all'oriente innanzi e dietro. Sovente una barricata lasciata intatta. Sulle pietre e con il legno delle barricate vinte, il soldato che prepara la zuppa, altri, affranti di fatica, sdraiati come morti per terra, pigliavano un istante di riposo che poteva ben essere il prodromo di un riposo eterno. Gli alberi dei viali tagliati, o spezzati da una palla, o feriti. Ad ogni svolgere di strada, una voce che intima: Non si passa! Nei terreni vuoti mucchi di cadaveri. Sotto gli archi dei ponti dove gli insorti han fucilati i soldati presi e questi quelli, una infilzata di corpi o un mucchio di casquettes bleu o rosso. Il fiume solitario come le vie.

In quel punto si ode la fucilata terribile che precede la presa della barricata nella strada di Lille, tra la strada di Baune e quella del Bach, e si vede l'incendio delle case che si accasciano con uno strepito spaventevole.

Nel punto stesso le divisioni del generale Douai, dopo aver preso la Chaussòe d'Antin, la chiesa della Trinità, la mairie della strada Drouot, attaccano le barricate del boulevard Montmartre e quelle di Saint Martin. Il teatro di questo nome, occupato dai federali, piglia fuoco e rende impossibile la difesa dell'immensa barricata.

All'ora stessa le colonne del generale Vinoy, avanzando per quel dedalo di viuzze che sono tra il Palais-Royal e le Halles, si dirigono verso l'Hòtel de Ville, ove deve raggiungerle il corpo del generale Cissey che opera nel faubourg Saint-Germain e nel quartiere Latino.

La polveriera del Luxembourg salta, e con essa si affonda l'intera strada Vavin, e seppellisce vivo tutto ciò che viveva.

L'attacco della Croix-Rouge comincia alle 2, ed alle 4 si dà l'assalto alla terribile posizione, di cui la chiesa di San Sulpizio è centro.

Non entriamo in dettagli. Per comprenderli bisogna avere una pianta di Parigi sotto gli occhi, od avere abitato il luogo. Il sistema d'altronde è lo stesso; dovunque. La mitraglia della truppa mette fuoco alle case ove si annidano i federali per cacciarneli; questi mettono il fuoco in altri siti per formare, delle case che crollano, un ostacolo che arresti il nemico alle loro spalle. Per fortuna questi punti di concentrazione di difesa non sono numerosi perchè il numero dei federali è piccolissimo.

La posizione di S. Sulpizio non fu pigliata il 24, ma la notte seguente. Il Luxembourg fu sorpreso. I distaccamenti del generale Cissey, che scendevano pei boulevard St-Jacques, non poterono nemmeno giungere a tempo per concorrere alla presa dell'Hòtel de Ville.

I difensori della parte orientale delle alture di Montmartre erano respinti verso la Chapelle.

I federali misero il fuoco alla prefettura di polizia. Ai prigionieri della Conciergerie furono aperte le porte; ma parecchi morirono, avviluppati nel nuvolo di palle dei combattenti. Il fuoco si appiccòal palazzo di Giustizia, e ve lo appiccarono forse i proiettili dei soldati. Ma la bella guglia della Cappella, che vi si attiene, sfrangia ancora l'azzurro.

L'ora dell'Hòtel de Ville però era arrivata.

Il cannone l'attaccava già da tutti i punti: dai quais, dalla via di Rivoli, dai ponti, dai larghi stradali che partono dalle Halles centrali. Tutto ciò di federale che aveva potuto scampare alla battaglia delle barricate nei due giorni precedenti s'era quivi concentrato, si era annicchiato nelle case intorno alla piazza, ed in quelle che guardavano sulle strade che vi conducono.

Le barricate sull'avenue Vittoria, sul quai, sulla via di Rivoli, altrove, erano armate di bocche da fuoco e mitragliatrici. Era un campo trincerato di cui tutto concorreva ad interdire l'accesso. L'abile e valoroso comitato centrale, l'inetto comitato di salute pubblica, la parte moderata della Comune che non aveva avuto alcuna funzione speciale per sospetti di colleghi o non ne aveva voluto assumere alcuna per paura, i corpi più decisi insomma, circa tre mila disperati si concentravano in quel circoscritto perimetro, dove ognuno combatteva per la propria vita e per la fede del principio che difendeva da due mesi.

Forse Cluseret era ancor quivi. Quivi si era recato Delescluze, e forse aveva riparato pure Dombrowski ferito, dopo aversi veduto rifiutato il passaggio nel Belgio dai tedeschi a Saint-Denis. Il fuoco delle artiglierie solo poteva distruggere quell'insieme di potenza morale e materiale quivi incastellata.

Ed il fuoco si adoperò.

L'artiglieria officiale rese inabitabili le case di fronte e di lato dell'edifizio municipale, bombardè questo e la caserma che gli sta dietro. Quando le fiamme avevano cacciati via i federali da questi approcci, quando l'Hòtel de Ville principiava già a bruciare, la truppa s'avanzòall'assalto. Erano le 9 circa.

Cosa era ivi avvenuto?... quanti eroismi compiuti!... quanti martiri caduti!...

Cosa avvenisse dentro non so, ed alcuno nol saprò per un pezzo. Certo però che, avanti di lasciare il posto per le vie sotterranee che esistono sotto l'Hòtel de Ville e per le vie più sicure delle cloache ed andare a sboccare Dio sa dove, i federali misero il fuoco in più punti. Avevano bisogno di tempo onde fuggire per anditi sì angusti ed oscuri, e l'incendio solo poteva accordarlo loro. La ritirata fu mascherata da una cortina di tiragliatori, che fecero credere, per un'ora almeno, all'esistenza di una grande forza nella piazza. E questi - una cinquantina - trovati ultimi sul sito della battaglia, furono all'istante passati per le armi.

Alle nove e mezzo si dette l'assalto, passando in un vortice di fiamme e di fuoco che irrompeva dalle finestre. Non si aveva più a combattere con gli uomini. Non si poteva più salvar nulla; Hòtel de Ville, caserma Lobeau, case circostanti, tutto formava un vulcano che atterriva Parigi, coverto di un cielo di fuoco.

La notte era nuvolosa; un vento malfattore si era levato. Le fiamme che lambivano un edifizio attiravano quelle dell'edifizio di prospetto e formavano qui come un ponte rovente, là come un cratere, altrove come un sipario di fumo frastagliato da lingue di fulmini... Ed in mezzo a quell'inferno scatenato dagli spiriti dell'abisso, centinaia e centinaia di creature innocenti perivano asfissiate nelle cantine o abbrustolite negli appartamenti. Molte donne prese dalla vertigine del terrore, cercarono scampo perfino dalle finestre e si fracassarono il cranio sul lastrico.

L'aspetto di Parigi in quella notte, se si fosse potuto vedere da una terrazza, doveva essere tale epopea di spavento e di grandioso orrore, che alcuna favella non può riprodurre. L'incendio contemporaneo delle Tuileries, del Consiglio di Stato, del Louvre, della Prefettura, del palazzo di Giustizia, del palazzo reale e del Ministero!

Due quinti di Parigi dopo due giorni e due notti di combattimento accanito giacevano però ancora sotto il dominio della Comune.

V'erano da domare i quartieri i più intrepidi, i più formidabili. Erano i quartieri dove il popolo regnava fiero della sua barricata che voleva difendere, e della preziosa indipendenza che voleva tutelare. Ivi il prete non ha presa: la donna non teme i nervi, il fanciullo, il terribile gamin che non comprende cosa sia la paura, fa del pericolo il suo giuoco prediletto.

Per impossessarsi di questo campo trincerato della rivoluzione, Mac-Mahon ha dovuto fare, nè più nè meno, che un piano di battaglia. Dei quattro corpi di esercito entrati a Parigi, quello di Ladmirault si avanza per le alture del Nord.

Un proclama di clemenza avrebbe forse arrestato lo sterminio; ma la parola clemenza era delitto di Stato, e il signor Thiers, che l'aveva sulle labbra forse, ha dovuto ringhiottirla.

Non si trattava dunque che di continuare ad aprirsi la via col cannone, e rovesciare gli ostacoli, qualunque si fossero, barricate, case tramutate in fortezze, uomini, innocenti o rei.

La sera del 25 il cielo era ancora rosso di un altro incendio; i magazzini di ambulanza ardevano. Gli Incendiari cosmopoliti, come dicevano i giornali e come il pubblico ripeteva, vi avevano dato fuoco.

Infrattanto si ristabilivano batterie di grosso calibro sulle vette di Montmartre e si bombardavano le posizioni dei federali la cui resistenza era ormai divenuta impossibile.

Fu una di quelle lotte terribili di barricata in barricata, di casa in casa, da cui la penna rifugge con orrore.

Vi furono fucilazioni in massa per parte della truppa, a cui i federali risposero colla fucilazione orrenda degli ostaggi. Furono arsi confini pubblici, case private... Dal terreno su cui i soldati avanzavano portando la morte, i federali cadendo, lasciavano la distruzione. Il fuoco veniva dopo la strage, ed all'igneo chiarore delle vampe potevasi vedere in un'onda di sangue un convulso dibattersi di membra palpitanti.

La Comune cadeva e l'ordine inalberava sulle rovine di Parigi la sua bandiera vittoriosa. I soldati di Metz e di Sedan fuggiti ed arresisi a centinaia di migliaia in faccia alle schiere prussiane avevano operati prodigi di valore, come spudoratamente annunciavano gli ordini del giorno di Thiers.

Le strade di Parigi erano così ingombre di cadaveri che si pensòcon terrore cosa si dovesse farne di tutta quella carne mitragliata e sgozzata. Si propose di arderla.

I soldati non potevano occuparsi di quei morti. Si occupavano nell'uccidere ed avevano troppo da fare. Un ufficiale arrestava il primo che gli capitava fra le mani; qualcuno non aveva che da dire: è uno della Comune, ed era tosto fucilato.

Cosa sono dodici scariche contro il petto d'un uomo, per il trionfo dell'ordine?...

Costava così poco! ed in certi casi si semplificava la faccenda e bastava un colpo di revolver. Se il colpito agonizzava per qualche ora, peggio per lui!...

Pel trionfo dell'ordine c'era da far altro che curarsi della vita d'un uomo!...

Quanti innocenti furono massacrati in quegli orribili giorni di guerra fratricida sarebbe cosa orribile il dirlo; la storia ha registrato dei nomi... ma a quei nomi quanti ne andrebbero aggiunti!...

I prigionieri venivano a migliaia cacciati nei vagoni, e tratti alla loro destinazione.

La loro destinazione non era una cosa difficile a indovinarsi.... era la fucilazione in massa senza le noie del processo.

Coi processi si sarebbero condotte le cose troppo lentamente e pel trionfo dell'ordine bisognava spazzar via quella feccia!...

In un vagone cinque persone, due donne, tre vecchi ed un fanciullo colle mani legate dietro al dorso, erano stanchi, pallidi, sfiniti: eransi lasciati cadere sopra una panca.

-Non si può star seduti, gridè loro un gendarme che li scortava.

-Non possiamo stare in piedi, rispose un vecchio con voce morente.

-Se non vi alzate vi faccio bruciare le cervella, riprendeva il gendarme.

-Provatevi!... disse il vecchio fissando in volto il gendarme. Le cinque persone rimasero sedute coll'impassibilità dell'atonia. Ad un ordine del gendarme i soldati spaccaron loro la fronte colla palla del loro revolver.

(Questo episodio ci fu narrato da un testimonio oculare).

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A Versailles un capitano degli zuavi di Charette propose di consegnare tre prigionieri colti colle armi alla mano, alla scuola d'anatomia, perchè fossero operati vivi, e la proposta fu accettata ad unanimità.

Gli eroi di Charette, avevano ben diritto di divertirsi!...

Sulle pubbliche piazze furono violate le donne e poi scannate.

Ad un fanciullo che piangeva, si gettò la testa di sua madre.

Al Chatelet si facevano passare da due porte i prigionieri che erano sommariamente giudicati.

Per una si andava alla deportazione; dall'altra in un cortile dove un caporale e dodici soldati sbrigavano la faccenda.

Su 300 prigionieri rinchiusi in quel cortile si fece tirare con la mitraglia.

Pesiamo su una medesima bilancia i fatti degli uni e degli altri. Da qual parte traboccherò essa?...

Deploriamo pure gli eccessi della Comune, ma cosa diremo delle infamie legali del Governo di Versailles?...

Ma mentre i federali morivano sulle barricate, chi sa dirci quante braccia comprate dagli Orlèans, dai Bonapartisti o dagli stessi uomini dell'Assemblea di Versailles erano intente a lordare con infami atti, con furti e con incendii quelle barricate che volevano insudiciare, perchè abominata restasse persino la memoria dei caduti?!...

Fate il processo al fulmine!... come disse Vittor Ugo del 93, così può dirsi della Comune. La Comune non fu che una conseguenza degli errori dell'Assemblea, del modo fatale, indecoroso, subdolo, con cui furono condotte le cose!... Nacque dalla sfiducia, che colpì gli uomini del Governo, sfiducia che essi stessi meritavano.

Thiers d'innanzi agli incendii che ardono l'Hòtel-de-Ville e le Tuileries, esclama con una sorpresa orribilmente gesuitica e turpemente cinica - Oh gli infami...

Ma v'ha un uomo su cui cade la tremenda responsabilità di quegli orrori. - Thiers!... Egli, che potendo evitare la terribile catastrofe, volle invece le rovine di Parigi per poter su di esse edificare il suo potere.

Transigendo cogli uomini della Comune, quegli uomini restavano!... Fu ciò che non voleva la volpe di Versailles. Bisognava scavar loro sotto ai piedi la tomba che li dovesse ingoiare, bisognava trascinarli con un insolente disprezzo a compiere quanto essi minacciavano di fare e dar così pretesto a quella repressione sanguinosa che dovea spaventare la Francia perchè si gettasse nelle sue braccia riserbandosi cosa certa a ricambiarle il bacio di Giuda.

La Francia ha oggi una Repubblica, la Repubblica di Thiers!...

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Ora tutto è finito... le fucilazioni sommarie, le deportazioni in massa, la giustizia dei consigli di guerra, hanno spazzata tutta quella roba che voleva agitarsi e turbare l'ordine che regna a Parigi, come regnava a Varsavia.

Tutto è finito!... terribile parola!

Vi sono compresi 40 mila infelici che gemono sui pontoni e che andranno in isole lontane, sotto un cielo di fuoco, a trascinare una vita di stento a cui sorriderà vicina una sola speranza... la morte!...

Vi sono comprese famiglie intere desolate, miserabili; senza pane, senza fede! ... colle lagrime agli occhi, colla bestemmia nel cuore... Odi che maturano, rancori che fremono; le carceri che non hanno più posti, i castelli trasformati in galere... I navigli in pontoni... Quello che si è salvato dal piombo si inceppa... i fabbri ferrai hanno del lavoro!... essi fanno delle manette.

sì... lo ha detto il signor Thiers... tutto è finito. Degli uomini della Comune non se ne parla già più... sono atomi scomparsi da quel grande tutto che ora come morto stagno vive una vita ebete ma nel cui fondo si agitano passioni e idee che verranno a galla in quel gran giorno in cui tutti i popoli si daranno la mano per avviarsi uniti in un solo pensiero, ad una sola meta.

La Comune fu un lampo!... ma il lampo si succede e lascia nell'aria quell'elettricità in cui si forma la folgore!... Quel lampo è balenato, e la folgore non farò attendere troppo a lungo il formidabile suo scroscio.

ULISSE BARBIERI

INDICE

CAPITOLO I. Sordi fremiti. L'assemblea Nazionale.

CAPITOLO II. Garibaldi all'Assemblea.

CAPITOLO III. Ultime parole di Garibaldi in Francia.

CAPITOLO IV. Ancora l'Assemblea di Bordeaux.

CAPITOLO V. La Rivoluzione.

CAPITOLO VI. Il trionfo della Comune. Parigi giudicata da Petruccelli della Gattina.

CAPITOLO VII. Le operazioni federali.

CAPITOLO VIII. Le elezioni del 30 aprile.

CAPITOLO IX. La colonna Vendème e la casa di Thiers.

CAPITOLO X. La Comune e Versailles.

CAPITOLO XI. Le giornate di Parigi.

NOTA Gli eletti furono i seguenti: segue ciascun nome, il numero dei voti riportati.

1° Circondario (Louvre). Adam (si dimise), 7272; Mòline, 7221; Rochard, 6629; Barrò, 6294.

2° Circondario Brelay, 7025; Loiseau-Pinson, 6922; Tirard, deputato (optò per la Comune) 6386; Cheron, 6068.

3° Circondario (Temple). A. Arnaud, 8679; Demay, 8730; Pindy, 7816; Clòray, 6115; Clovis Dupont, 5661.

4° Circondario. Lefranùais, 8705; Artour Arnould, 8584; Clèmence, 8163; Gùrardin, 8104; Amouroux, 7909. (In questo circondario Louis Blanc parve reazionario e non fu eletto).

5° Circondario. règrèe, 4026; Jourde, 3949; Tridon, 3948; Blanchèt, 5271; Ledroit 3236.

6° Circondario (SaintSulpice). Albert Leroy, 5800; Goupil, 5111; Varlin, 3602; Beslay, 3714; Dr. Rubinet (si dimise), 3904.

7° Circondario. Dr. Parisel, 3367; Ernst Lefùvre, 2859; Urbain, 2803; Brunel, 1947; (Qui parve reazionario il deputato Arnaud (de l'Ariùge) e fu scartato).

8° Circondario (Sobborgo Saint-Honorò). Raoul-Rigault, 2175; Vaillant, 2145; Arthur Arnould (2a elezione) 2114; Alix, 2028.

9° Circondario. Ranc, 8950; Desmarest, 4232; Ulysse Parent, 4770; E. Ferry, 3732.

10° Circondario. Fortunè (Henri), 11,042; Pyat (Fèlix), 11,813; Gambon, 14,734; Champy, 11,042; Babick, 10,738.

11° Circondario. Mortier, 19,393; Delescluze, deputato, 18,379; Profot, l'avvocato di Mùgy e raccomandato dal Pùre Duchesne, 17,062; Assy, 18,041; Eudes, 19,397; Avrial, 16,193; Verdure, 15,577.

12° Circondario (Bòrey-Reully). Varlin (2a elezione), 2312; Gèresme, 2194; Fruneau, 2173; Theisz, 2150. (Non riuscì il generale Cluseret).

13° Circondario (Gobelins). Lèo Mailliet, 6531; Generale E. Duval, 6482; Chardon, 4663; Frankel, 4480.

14° Circondario (Montrouge). Billioray, 6100; Martelet, 5927; Descamps 5830.

15° Circondario (Grenelle-Vaugirard). Clèment, 6100; Jules Vallàs, 4403; Langevin, 2417.

16° Circondario (Passy-Autouil). D.r. Marmottau, 2036; De Bouteiller, 1959.

17° Circondario (Battignolles). Varlin (2a elezione), 9356; Clèent, 7121; Gùrardin, 6142; Chalain, 4547; Malon, 5199. (Non riuscì Megy).

18° Circondario (Montmartre). Dereure Theisz (2a elezione), Blanquin, J.-B. Clèment, Th. Ferrò, Vermorel, Paschal Grousset. Questi candidati hanno avuto 14,000 voti circa.

19° Circondario. Puget, 9547; Oudet, 10,060; Delescluze, 5840; Jules Miot, 5520; Cournet, 5540; Ostyn, 4100.

20° Circondario (Belleville et Charonne). Ranvier, 14,127; Bergeret, 14,003; Blanqui (2a elezione), 13,498; Flourens, 13,333.